A tu per tu con la Reusser, tornata dall’abisso

16.06.2025
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Per certi versi, Marlen Reusser è la donna del momento. Vincitrice quasi a sorpresa della Vuelta a Burgos e poi della gara di casa, il Giro di Svizzera dando nella tappa finale una dimostrazione di forza anche a quella Demi Vollering che finora era stata la più brillante fra tutte. Una dimostrazione che assume maggior risultato se consideriamo che siamo nell’imminenza dei due Grandi Giri, ai quali l’elvetica della Movistar prenderà parte con ambizioni rinnovate.

La Reusser aveva già vinto il Giro di Svizzera nel 2023. Per lei questo successo ha però un sapore speciale
La Reusser aveva già vinto il Giro di Svizzera nel 2023. Per lei questo successo ha però un sapore speciale

Finora, la Reusser era conosciuta soprattutto come straordinaria specialista contro il tempo, tre volte campionessa europea, brillante anche in qualche classica (sua la Gand-Wevelgem 2023), prima in qualche breve corsa a tappe, ma un simile livello non l’aveva mai raggiunto. Forse però questo salto di qualità ha radici che prevaricano quelle squisitamente tecniche e che coinvolgono l’aspetto umano, la voglia di rivalsa dopo un 2024 andato quasi tutto perduto – Olimpiadi comprese – a causa dei postumi del Covid, che ha avuto su di lei effetti devastanti.

Per questo dopo le sue vittorie, Marlen ha una gran voglia di parlare e dopo la sua vittoria in terra elvetica ha accettato anche di mettersi online per una chiacchierata che andava anche al di là del puro significato della vittoria.

La svizzera, 33 anni, è alla sua prima stagione con la Movistar, scelta per cambiare tutto
La svizzera, 33 anni, è alla sua prima stagione con la Movistar, scelta per cambiare tutto
Quanto è stato importante per te, anche in funzione del trionfo casalingo, vincere la Vuelta a Burgos dopo tutto quel che è successo lo scorso anno?

E’ difficile a dirsi, perché tutto quel che ho passato mi ha insegnato a guardare le vittorie, le corse, la mia attività con un occhio diverso. Responsabile verso il mio team, ma forse più disincantato. Penso che dopo tutto quello che è successo l’anno scorso non sia così importante se vincerò e come. Per me è un dono immenso tornare e poter guadagnare i miei soldi, avere una vita, essere in salute. Avere messo alle spalle un periodo davvero buio, del quale per me è anche difficile parlare. Vincere una gara è super emozionante, questo è certo. Ma non voglio giudicarlo in base a quel che ho passato, quel che conta è avere di nuovo una vita normale. Molto più di aver vinto, forse.

A Burgos ha dato le prime dimostrazioni di forza. Qui stacca la Kastelijn e va a prendersi la maglia
A Burgos ha dato le prime dimostrazioni di forza. Qui stacca la Kastelijn e va a prendersi la maglia
Hai iniziato la stagione vincendo al secondo giorno, in Spagna. Quella vittoria, pur in una gara non di primaria importanza, come l’hai vissuta?

L’esperienza a Mallorca è stata fantastica. Voglio dire, non solo sono tornata dopo un anno molto, molto difficile, ma è stata anche la prima volta con il mio nuovo team. Avere subito quel successo è stato particolare, al di là del suo valore. E’ come se mi fossi sentita nuovamente a casa mia, nel mio mondo, riaccolta. Iniziava la nuova avventura con il Team Movistar e la mia nuova vita.

Aver dovuto rinunciare alle Olimpiadi 2024 è stata per te una ferita?

E’ un discorso complicato. Certo, dover rinunciare alle Olimpiadi e anche ai campionati del mondo in Svizzera o al mio lavoro l’anno scorso è stata dura. Ma a essere onesti è servito, è stato un passo dopo l’altro, prendendo sempre più consapevolezza di quanto fossi malata. Alla fine, non importava più quale gara avrei fatto o meno. Non si trattava più di fare gare ciclistiche. Si trattava più di poter essere in salute e di tornare a vivere una vita normale. Era molto più importante, per questo non ci ho pensato molto a mettere uno stop, non era più importante se potevo partecipare a una certa gara ciclistica o no. Io sono davvero grata che mi abbiano rimesso in salute. E sì, questa ferita è guarita e non è mai stata così grave perché, tipo, era all’ombra di una ferita molto più grande.

L’elvetica viene da un 2024 difficilissimo, segnato dai postumi del Covid che l’hanno fermata a lungo
L’elvetica viene da un 2024 difficilissimo, segnato dai postumi del Covid che l’hanno fermata a lungo
Quella di Burgos è la tua quarta corsa a tappe vinta in carriera: è quella la tua dimensione ideale?

Penso di sì. Non solo ho 14 anni di carriera, ma ho anche rinunciato a un sacco di podi, anche quelli importanti, per aiutare la squadra. Non correvo per me stessa, anche se ero comunque molto forte. Quindi penso che dovrei sempre essere a quel livello, penso che sia un obiettivo a cui puntiamo molto e per cui lavoriamo molto. Penso di poter ancora fare molto bene nelle classiche e sono ancora forte a cronometro, piuttosto versatile. Non sarò mai solo una specialista di qualcosa.

Al Giro di Svizzera avevi già vinto nel 2023: pensi di essere una ciclista diversa e una donna diversa rispetto ad allora, soprattutto dopo quanto avvenuto lo scorso anno?

Sicuramente, penso che la vita ti cambi molto. In qualche modo sono anche una Marlen 2.0 ora… Il Giro di Svizzera penso che sia la corsa giusta per capire che tipo di corridore da classifica generale sono. Nel 2023 era una delle poche gare in cui potevo davvero dare il massimo. E in teoria avevo il supporto della squadra. Forse non molto, quindi ero davvero desiderosa di vincere questa gara. E’ stato davvero molto bello, diverso dalla vittoria di quest’anno, ma penso di essere più o meno la stessa ciclista, tecnicamente parlando.

Il ritorno in gruppo è stato per la Reusser una grande gioia, a prescindere dai risultati
Il ritorno in gruppo è stato per la Reusser una grande gioia, a prescindere dai risultati
Tra Giro d’Italia e Tour de France, quale corsa pensi sia più adatta alle tue possibilità di vittoria?

Guardando i percorsi dovrei dire il Giro, soprattutto per via della cronometro, che è abbastanza tosta all’inizio, introducendo una serie di tappe davvero dure sulle Alpi. Non capisco sinceramente perché prima non ci fosse una prova contro il tempo, come non capisco perché al Tour non sia contemplata. Come percorso in generale però quello francese mi sembra più variegato, con più possibilità per emergere anche per chi non è propriamente uno scalatore e per questo penso che sceglierei il Tour. E anche come team è l’obiettivo che abbiamo mirato.

Selva, il Covid, il grosso rischio e il pericolo scampato

15.02.2025
7 min
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Avevamo lasciato Francesca Selva alla fine di dicembre nei panni di coach per il compagno Oscar Winkler e dopo l’idoneità agonistica ricevuta dopo un allarme fisico. In realtà poi, era stata lei su Instagram a raccontare in maniera più approfondita la natura del problema, parlando di una miocardite da Covid. Uno dei mali tipici del nostro tempo che si è portato via ben più di un corridore e ha costretto altri a chiudere la carriera.

Francesca l’ha vista brutta e deve la vita all’intervento del suo cardiologo. Questo l’ha prevedibilmente spaventata. Si è presa un lungo periodo di stop. E adesso che ha ricominciato ad allenarsi, chiederle di parlarne è il modo per esorcizzare quel che è accaduto e far riflettere chi potrebbe trovarsi o essersi trovato inconsapevolmente nella stessa situazione. Il punto di partenza è il Covid, asintomatico e sottovalutato.

Francesca Selva, veneziana di 25 anni, al momento di trova a Noto per allenarsi su strada e in pista. Ha iniziato a frequentare la pista siciliana dal 2018 e vi è di casa. Al punto che essendo occupata la casa in cui era solita fare i soliti ritiri invernali, ha scelto di alloggiare nella foresteria del velodromo Paolo Pilone. Nel momento in cui l’Italia è sotto un rigurgito d’inverno, il sole e gli oltre 20 gradi di Sicilia sono un bel modo per farsi venire la voglia di pedalare.

Francesca Selva ha 25 anni e svolge la preparazione invernale in Sicilia sin dal 2018
Francesca Selva ha 25 anni e svolge la preparazione invernale in Sicilia sin dal 2018
Racconta, Francesca: che cosa ti è capitato?

Ho sempre sofferto di aritmie quindi sapevo già cosa volesse dire averne una, perché quelle più forti riesci a percepirle. E’ successo però che a inizio ottobre ho preso il Covid, ma senza saperlo. L’ho capito dopo tutta questa storia, perché ho riconosciuto i sintomi. Quei 2-3 giorni di febbre poco sopra i 37 gradi. Non gli avevo dato peso perché un paio di giorni prima avevo fatto per due volte cinque ore sotto la pioggia, quindi pensavo di aver preso freddo. Classico dell’autunno, no?

Invece cosa stava succedendo?

Il giorno in cui mi sono svegliata con quella poca febbre, avevo da fare ancora cinque ore, con dei lavori neanche particolari in zona 3, un po’ più del medio. Ho provato a farne uno in salita e mi sono fermata dopo una trentina di secondi perché non riuscivo a respirare. Sono andata in affanno, però era umido, pioveva e mi sono detta che potesse dipendere da quello. Era il terzo o quarto giorno di carico, quindi ho continuato.

E hai fatto le cinque ore?

Più di cinque ore, da sola. Un bell’allenamento, solo che non riuscivo a fare i lavori perché se spingevo, andavo in affanno. Come se uno mi stesse tenendo la gola e mi impedisse di respirare. Non gli ho dato peso, ma il giorno dopo mi è venuta ancora la febbre e ho ricollegato quella difficoltà al fatto che stessi incubando l’influenza. Mancava una decina di giorni ai mondiali in pista. Sono andata in Danimarca, poi mi sono spostata a Londra per correre la Tre Giorni e lì davvero mi sono accorta che qualcosa non andava. Nella normalità stavo bene, però appena abbiamo iniziato a correre la prima madison, non riuscivo neanche a tenere le ruote di quelle che si staccavano. Ero completamente in affanno, una sensazione stranissima.

Selva ha concluso la stagione invernale alla Sei Girni di Brema insieme a Veronika Bartonikova (foto Instagram/Frontalvision)
Selva ha concluso la stagione invernale alla Sei Girni di Brema insieme a Veronika Bartonikova (foto Instagram/Frontalvision)
Poteva dipendere da una condizione non buona?

Il livello non era astronomico, c’erano la Guazzini e la Consonni, però a ruota ci potevo stare senza problemi. Invece faticavo e non capivo perché. La cosa strana è che le altre scendevano di bici con 160-170 battiti medi e io invece ne avevo 190, con picchi di 210 che non ho mai avuto in vita mia. Finché una settimana dopo, mentre mi allenavo su strada in un tratto di discesa, mi è sembrato di sentire un’aritmia. Ho guardato per vedere i valori e il cardio segnava zero, come se si fosse scollegato. Poi, appena si è ricollegato, segnava 195 battiti, nonostante non stessi neppure pedalando.

Sei andata da un medico?

No, ho continuato a correre, anche perché la stagione invernale è quella degli ingaggi migliori. Ho pensato che il mio corpo avesse bisogno di riposo. Non avendo pensato che quella febbre potesse essere Covid, ma fosse solo un’influenza: non dicono tutti questo? Così sono andata a correre a Copenhagen. Andavo meglio che a Londra, però ugualmente non recuperavo, tanto da chiedere alla mia compagna di fare i doppi turni nella madison. E alla fine, era novembre, sono andata dal mio cardiologo, che si chiama Marco Moretti, per fare la visita di idoneità, che in ogni caso mi sarebbe scaduta a gennaio.

Dicevi di avere familiarità con le aritmie?

Esattamente. Infatti da quando mi segue lui, tutti gli anni facciamo l’holter, l’ecografia e tutto quello che serve. E per fortuna questa volta, nella fase di recupero dopo la prova da sforzo, mi sono venute in serie delle extrasistole doppie e triple. Lui si è allarmato e io con lui, anche se da un lato mi sono sentita sollevata perché voleva dire che c’era un problema e non che fossi diventata di colpo la più scarsa di tutte. Però il sollievo è durato poco…

In questi giorni siciliani, con Francesca c’è il compagno Oscar che a breve volerà in Turchia per la Nations Cup
In questi giorni siciliani, con Francesca c’è il compagno Oscar che a breve volerà in Turchia per la Nations Cup
Che cosa ti ha detto il medico?

Mi ha spiegato che una cosa simile era già successa ad altri atleti, ciclisti e calciatori, che non hanno fatto una bellissima fine. Ho rischiato e non so cosa sarebbe successo se avessi continuato, ma sono contenta di non saperlo. Secondo lui si è trattato della classica miocardite da post-covid e la conferma l’abbiamo avuta ricostruendo i vari passaggi di quella febbre che ho sottovalutato, allenandomi e poi andando a correre. Io mi sono fermata, altri sono stati spinti a correre dalle loro squadre e hanno chiuso la carriera. Per fortuna, il cardiologo mi ha detto che il modo più sicuro di guarire fosse riposare e da lì mi sono fermata.

Riposo assoluto?

Ho continuato solo con un po’ di palestra, perché nella mia testa c’era l’idea di fare le Sei Giorni, ma c’è voluto un mese di stop per riavere l’idoneità. Poi per fortuna qualche gara l’ho fatta, ma dicendo sempre con grande sincerità alle mie compagne, che il mio livello non sarebbe stato quello di prima. Fra l’altro ho dovuto lasciare libera Amalie Winther Olsen, la mia compagna di sempre, che quest’inverno ha chiuso la carriera e mi sarebbe piaciuto scortarla. Ci tenevo tanto, ma non sarei stata in grado.

Come si fa a ripartire e scacciare la paura?

Cerco di stare con i battiti bassi, perché non ha senso stressare il cuore. Appena mi alzo sui pedali per fare un cavalcavia, la fatica è tanta, perché dopo un mese ferma a livello aerobico sono praticamente a zero. Adesso mi sto riabituando, però nelle prime uscite sentivo che il battito era pesante e mi chiedevo se fosse così anche prima. Ho passato un mese di transizione, in cui cercavo di non stancarmi neppure a salire le scale. Un po’ di paranoia, comunque di paura. L’ansia di riposare, di stare ferma, di non fare niente perché non volevo assolutamente che succedesse qualcosa di irreparabile.

Nel 2023, Francesca Selva ha preso parte alla Champions League, anche quella volta con qualche problema di salute (foto SWpix.com)
Nel 2023, Selva ha preso parte alla Champions League, anche quella volta con qualche problema di salute (foto SWpix.com)
Hai mai pensato di mollare il ciclismo?

Diciamo di no. All’inizio ero arrabbiata. Pensavo: “Sono un’atleta e ho rischiato di fare un infarto, dovrei essere l’esempio di persona che fa la vita attiva, mangia bene e si allena e invece stava per succedere anche a me”. Quando ho parlato col dottore, fra le ipotesi che mi sono vista davanti c’era anche che non avrei potuto fare più alcuno sport. Per me sarebbe stato ancora più pesante, perché fin da bambina non sono mai stata ferma. Per questo ho accettato di fermarmi. Ho fatto un mese completo di stop per fare un reset del corpo, sperando che questo poi mi permetta anche di migliorare il mio livello. E così riparto dalla Sicilia, pensando a cosa sarebbe potuto accadere se non fossi andata dal medico e avessi insistito a correre pensando di aver avuto soltanto un’influenza. Insomma, l’ho davvero scampata bella…

Abbiamo perso il conto degli atleti e degli ex atleti che sono morti inspiegabilmente per problemi cardiaci. Alcuni, come Sonny Colbrelli, sono arrivati a un passo dal farlo. Altri, come Francesca Selva, sono stati fermati prima che il problema divenisse irreparabile. Con la solita superficialità adesso qualcuno dirà di smetterla con la favoletta del Covid, pensiamo che invece sia acclarata la necessità di approfondire le visite di idoneità. Perché la superficialità con cui si può spiegare qualche linea di febbre negando l’esistenza del virus potrebbe portare diritti al campo santo.

Covid e idoneità: cos’è cambiato? Cresce l’attenzione al cuore

11.10.2024
4 min
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Il tema della salute resta centrale nello sport e chiaramente anche nel nostro settore, il ciclismo. In questi ultimi anni si sono visti molti casi di atleti costretti a smettere o peggio ancora, che hanno trovato la morte. E’ chiaro che il Covid ci ha messo inevitabilmente lo zampino (e molto di più). Molte cose sono cambiate da allora e la visita d’idoneità sportiva è forse diventata ancora più importante in quanto a prevenzione.

Ne abbiamo parlato con il dottor Nino Daniele, in forza alla Lidl-Trek. Daniele opera nel settore da decenni. Ha un’enorme esperienza e in quanto alle visite d’idoneità in pochi ne sanno quanto lui.

Nino Daniele con Juan Pedro Lopez: il medico romano è da anni nel gruppo della Lidl-Trek
Nino Daniele con Juan Pedro Lopez: il medico romano è da anni nel gruppo della Lidl-Trek
Dottor Daniele, dal Covid alle visite attuali: cosa è cambiato?

Se parliamo di atleti professionisti ci riferiamo subito ad un protocollo e a una tipologia di visita importante di suo, che già era ben strutturata. Rispetto all’era pre-Covid, almeno per quel che riguarda il mio team, non è cambiato nulla. Soprattutto perché da quando ne sono io responsabile, abbiamo sempre fatto visite complete che andavano oltre il protocollo prefissato.

Ci spieghi meglio…

I protocolli indicati dall’UCI di anno in anno non cambiano moltissimo. La base di questi protocolli vuole che oltre agli esami prestabiliti: visita generale, spirometria e analisi delle urine, si debba fare un anno l’ecocardiogramma e un anno l’elettrocardiogramma sotto sforzo. Noi, in Lidl-Trek facciamo ogni anno entrambi gli esami. Questo ci consente di andare ancora più nel profondo, di acquisire più dati ed essere più sicuri. Alcune squadre invece eseguono la normativa UCI, perché ovviamente ci sono anche problemi di costi. Per questo motivo dico che a noi non è cambiato nulla. Già facevamo di più. 

Nei suoi atleti ha riscontrato qualcosa di diverso dopo il Covid?

No, ma questo non significa che le differenze non siano state trovate perché siamo stati bravi a fare le visite in precedenza.

ECG sotto sforzo e soprattutto ecocardiogramma, sono esami ancora più importanti dopo il Covid
ECG sotto sforzo e soprattutto ecocardiogramma, sono esami ancora più importanti dopo il Covid
Semmai perché avete gestito bene i casi di Covid…

In generale è anche una questione di casistica. In letteratura sono stati rilevati molti casi di miocarditi, pericarditi dopo il Covid, alcuni anche gravi come è noto.

Ha parlato di norme UCI, ma queste valgono ovunque?

L’aspetto normativo dell’UCI è uno e vale per tutti, ma alcune Nazioni hanno parametri diversi. Ci sono alcuni stati che non prevedono il certificato d’idoneità agonistica. Per esempio, negli Usa non si è obbligati a presentare un certificato se si vuol gareggiare. Mentre in altri stati, l’Italia in primis, ma anche in Spagna, ad Andorra, in Belgio… è obbligatorio ottenere l’idoneità agonistica se si vuole una tessera. Da noi per la normale visita agonistica di uno sportivo (non professionista, ndr) sotto ai 35 anni bisogna eseguire oltre alla visita generale, l’elettrocardiogramma a riposo, l’elettrocardiogramma dopo sforzo, la spirometria e l’esame delle urine.

Qual è l’esame più importante, specialmente dopo il Covid?

Sicuramente l’ecocardiogramma. Considerando in particolar modo le complicanze che hanno portato soprattutto la prima e la seconda ondata del Covid, questo esame ci permette di andare più a fondo. Di vedere se magari un’eventuale miocardite ha lasciato delle cicatrici. Se queste ci sono vengono evidenziate. Per questo, è un esame fondamentale.

Perché ha parlato di prima e seconda ondata?

Perché all’inizio non si sapeva bene come affrontare questa nuova pandemia. E poi perché man mano anche il corpo umano ha imparato a combatterla autonomamente.

Il Covid ha scombussolato molti equilibri. Per molti team anche le visite d’idoneità, ma non per i ragazzi del dottor Daniele
Il Covid ha scombussolato molti equilibri. Per molti team anche le visite d’idoneità, ma non per i ragazzi del dottor Daniele
Nei cuori dei suoi atleti ha trovato differenze fra prima e post Covid?

Come detto, no. Specialmente nei confronti di atleti di cui dispongo di uno storico abbastanza lungo. Se ci fossero stati dei cambiamenti li avremmo visti. In questo caso, ma si parla più di gente comune, è molto importante avere uno storico e una buona anamnesi del paziente. «Quante volte ha avuto il Covid? E con quale quadro clinico? Com’erano gli esami dopo ogni ondata?». Chiaro che se si hanno dei sospetti perché si rilevano delle aritmie, per esempio, si richiedono degli accertamenti clinici. Oltre agli esami serve esperienza durante la vista e soprattutto è importante poter disporre di un quadro clinico il più completo possibile. 

Ammesso che la domanda sia ben formulata: chi ha preso il Covid ha avuto poi rese inferiori da parte del suo cuore?

Se le miocarditi sono state forti ci potrebbe anche essere un calo di rendimento del muscolo cardiaco, perché resta la cicatrice. Quindi sì: potrebbe essere successo. Quando si esegue un ecocardiogramma ci sono molte formule e tanti parametri che sul momento possono essere okay e poi variare. La medicina non è una scienza esatta a volte alcune complicanze possono emergere dopo una banale influenza, per questo in alcuni casi è anche questione di “fortuna” riuscire a trovare qualcosa per tempo. Noi siamo ancora molto concentrati sul Covid, perché è qualcosa a cui non eravamo preparati e non avevo difese, ma anche un’influenza, come detto, può portare a complicanze mediche.

Reusser fermata dal long covid. Quanto è diffuso?

01.10.2024
4 min
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Ai mondiali di Zurigo c’era un’assenza che ha fatto rumore. E’ quella di Marlen Reusser, la specialista della cronometro che sarebbe stata una delle più chiare speranze di podio per i padroni di casa. Sarebbe, perché l’elvetica non gareggia da maggio. Anzi, non si allena e non perché non ne abbia più voglia.

Per la Reusser l’ultima gara risale a metà maggio in Spagna. Il suo futuro è nebuloso
Per la Reusser l’ultima gara risale a metà maggio in Spagna. Il suo futuro è nebuloso

In un’intervista a SRF, la Reusser ha raccontato il suo calvario: «A fine primavera ho avuto un mal di gola trasformatosi in bronchite. Nonostante le cure continuavo a peggiorare. A giugno ho provato a riprendere ma con la febbre che saliva e scendeva non aveva senso. Ad agosto ho avuto la diagnosi di sindrome da Long Covid che mi ha trasformato in una malata cronica, con momenti buoni alternati ad altri molto brutti. E ho paura che non passerà».

Una diagnosi che dà da pensare e per questo abbiamo voluto allargare il discorso parlando con Carlo Guardascione, medico della Jayco AlUla per capire quanto il virus che quattro anni fa ha congelato non solo l’attività ciclistica ma la vita quotidiana di buona parte del mondo sia ora impattante nei suoi effetti: «Premesso che del caso in questione non possiamo saperne a sufficienza, se non quello che la ragazza ha detto, oggi con il Covid si viaggia a vista, ma mi sento di dire, anche in virtù della mia esperienza di medico di base, che i casi di long covid sono strettamente legati alla mancata vaccinazione. Chi ha fatto almeno parte delle dosi prescritte, è molto più garantito».

I sintomi principali manifestati in età adulta dalla sindrome del Long Covid
I sintomi principali manifestati in età adulta dalla sindrome del Long Covid
Quanto incide su chi fa attività ciclistica?

L’allenamento intenso influisce sulle difese immunitarie, le fa diminuire e quindi chi fa sport, senza un’adeguata protezione data dal vaccino, è più esposto. Che cosa è cambiato rispetto ai primi tempi? Ora il Covid è stato quasi sdoganato, quando si avvertono i sintomi come raffreddore e mal di gola, si pensa che siano solo questi, invece se si tratta di sintomi Covid, è importante che si stia fermi, si dia uno stop alla propria attività.

Per la sua esperienza sul campo, i casi sono molti?

Ce ne sono, e per quel che vedo nella stragrande maggioranza colpiscono chi non si è vaccinato. In base a quel che sappiamo, noi possiamo usare una terapia sintomatica, in presenza in particolare di quei segnali tipici del long covid: astenia, problemi a gusto e olfatto che persistono, turbe del sonno. E’ importante però che si agisca nei primissimi momenti, con integratori e farmaci per alzare le difese immunitarie, un po’ come avviene nella mononucleosi, per questo è importante fermarsi e riprendere solo quando il fisico tornerà a rispondere adeguatamente.

In caso di sintomi da covid è importante consultare subito il medico riinunciando al “fai da te”
In caso di sintomi da covid è importante consultare subito il medico riinunciando al “fai da te”
Nei team i controlli vengono fatti?

Noi prima di ogni corsa a tappe e di ogni serie di corse d’un giorno ravvicinate nel tempo e quindi riservate agli stessi atleti, facciamo una serie di tamponi a tappeto, a tutti i componenti della squadra, corridori e staff. Chi presenta sintomi viene fermato preventivamente. Anche noi vediamo che le maglie regolamentari sono diventate più larghe, che chi è positivo ma asintomatico viene fatto gareggiare, ma d’altronde abbiamo ormai acclarato che la risposta di ogni individuo al virus è diversa, anche in base a che cosa si è fatto come vaccinazione. Chi le ha fatte resta più protetto.

Di vaccini oggi si parla abbastanza poco. Quelli disponibili sono aggiornati alle ultime varianti del virus?

Sì, assolutamente. Il vaccino è consigliabile per bambini, anziani e persone fragili per malattie pregresse, per questi è bene fare il richiamo. Per gli altri, compresi i nostri atleti, è importante che facciano il vaccino antinfluenzale che agisce sui virus stagionali esponendo molto meno i soggetti. Anche il vaccino antinfluenzale è aggiornato alle variazioni dei virus e dà un’ottima protezione. Nel nostro team oltre l’80 per cento dei tesserati si vaccina contro l’influenza.

La vaccinazione è la principale difesa, a cominciare da quella antinfluenzale
La vaccinazione è la principale difesa, a cominciare da quella antinfluenzale
Il covid è ancora diffuso?

Sì, molto. Anche nell’ambiente ciclistico, abbiamo visto come al Giro di Francia siano stati tanti i casi e molti corridori presentando sintomi siano stati fermati. Io riscontro casi tutti i giorni di mia presenza a studio. L’unica differenza con il passato è che sono molti meno i casi che necessitano di ricovero e questo è frutto della campagna di vaccinazione.

Champoussin, quando i secondi posti hanno un valore particolare

30.08.2024
5 min
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Dopo un Tour de France nel complesso modesto, senza squilli, Clement Champoussin ha tirato fuori le unghie: protagonista assoluto all’Arctic Race of Norway dopo una rimonta furiosa nell’ultima tappa piegandosi solo al danese Magnus Cort e secondo anche al Circuito de Getxo dietro il basco Barrenetxea. Il francese dell’Arkea B&B Hotels ha confermato così quella vecchia equazione che vuole chi esce dalla Grande Boucle, anche se corsa in modo anonimo, con una condizione invidiabile, da sfruttare.

Lo sprint finale di Getxo, Champoussin prova a fare lo sgambetto al locale Barrenetxea
Lo sprint finale di Getxo, Champoussin prova a fare lo sgambetto al locale Barrenetxea

Il transalpino di Nizza non si è fermato, chiude un agosto in attivo e si prepara per un grande finale di stagione per rilanciare la sua sfida per il prossimo anno, per il quale ha già il contratto di riconferma con il team WT del suo Paese.

Come giudichi questa tua seconda stagione all’Arkea?

Il primo anno è stato una scoperta, mi sono orientato anche se qualche squillo è arrivato come la tappa nella corsa in Norvegia, nella quale mi trovo particolarmente bene. Ho trovato un team di famiglia con grande senso di ascolto, di condivisione. Quest’anno mi sento più regolare con un 11° posto alla Freccia Vallone, 2° all’Arctic Race, 2° a Gexto. Voglio continuare a migliorare le mie prestazioni nel tempo, ma anche vincere perché tutti corriamo per questo scopo.

Ottava frazione al Delfinato, Clement è già sofferente per il Covid e si ritirerà di lì a poco
Ottava frazione al Delfinato, Clement è già sofferente per il Covid e si ritirerà di lì a poco
Il tuo Tour de France non è stato come quello dello scorso anno, perché?

Sono stato male prima della partenza, ho avuto il Covid mentre correvo il Criterium du Dauphiné tanto che sono stato costretto al ritiro. E ci ho messo molto tempo a riprendermi con il passare dei giorni, pur continuando ad allenarmi e a correre. Mi è particolarmente spiaciuto perché al Delfinato avevo avuto ottime sensazioni, ma gli strascichi sono stati pesanti.

Tra l’inizio e la fine del Tour hai notato un cambiamento nella tua condizione di forma?

Sì. Le mie condizioni fisiche sono migliorate con il passare dei giorni, non solo perché man mano gli effetti del Covid svanivano, ma al contempo sentivo riemergere una grande condizione fisica, il lavoro precedente stava iniziando a dare i suoi frutti. Frutti che ho potuto raccogliere quando la grande corsa francese si era conclusa, per questo era giusto tirare avanti.

Cort guarda al suo fianco Champoussin, tenendolo dietro e vincendo anche l’ultima tappa in Norvegia
Cort guarda al suo fianco Champoussin, tenendolo dietro e vincendo anche l’ultima tappa in Norvegia
Sei andato molto bene all’Arctic Race chiuso al 2° posto, poi al Circuito de Getxo hai ottenuto un altro 2° posto: quale dei due ti ha lasciato un po’ deluso?

Volevo vincere entrambe le volte e mi sono scontrato con qualcuno che era più forte di me. Non fa mai piacere finire al secondo posto per un ciclista, anche se significa portare una bella dote di punti alla tua squadra e quindi onorare al meglio il tuo contratto, ma bisogna anche prendere atto di chi hai contro. Cort sta vivendo anche lui una fase davvero straordinaria, guardate quel che ha fatto dopo il Tour, non esce mai dalle posizioni alte delle classifiche. Lo spagnolo correva sulle sue strade. Io poi non sono abituato a lamentarmi, tanto meno di un secondo posto…

L’impressione è che sei sempre più orientato a essere un corridore in grado di ottenere risultati nelle classiche ma anche nelle brevi corse a tappe: quale delle due dimensioni pensi sia più adatta alle tue caratteristiche?

In realtà mi piacciono le gare di un giorno, come le gare a tappe di una settimana. Ma mi attirano anche i Grandi Giri, so cosa vuol dire vincere una tappa in un evento di questo tipo e una volta vissuto un momento del genere, tu inevitabilmente vuoi sperimentarlo di nuovo. Quel giorno alla Vuelta 2021, quella vittoria da godersi appieno con gli avversari lontani, incapaci di rispondere, pur essendo grandi campioni come Roglic, Yates, Mas è qualche cosa che resta stampato indelebilmente nella mia memoria.

Gli avversari sono staccati, da Roglic in poi: la vittoria alla Vuelta 2021, nella tappa di Castro de Herville è sua
Gli avversari sono staccati, da Roglic in poi: la vittoria alla Vuelta 2021, nella tappa di Castro de Herville è sua
Con questi risultati e questa forma pensi di poter ambire a un posto per i Mondiali e il percorso di Zurigo si adatta alle tue caratteristiche?

Questa è una bella domanda, ma credo che la risposta stia nella mente di Thomas Voeckler. Io possono solo continuare a fare il mio dovere e andare più forte che posso, se mi vuole sono qua…

Guardando le Olimpiadi, pensi che le due medaglie vinte dalla Francia possano dare ulteriore sviluppo al movimento ciclistico nazionale?

Io non faccio parte degli organismi che governano il ciclismo francese, da praticante posso solo sperare che ci sarà un’eredità olimpica. Il successo dei Giochi Olimpici in ogni caso è stato totale, abbiamo ottenuto una quantità straordinaria di medaglie e di titoli, la gente si è esaltata per oltre due settimane non parlando d’altro e il ciclismo su strada, con le medaglie di Valentin Madouas e Christophe Laporte, ha partecipato brillantemente.

Una stagione nel complesso positiva per il nizzardo con 8 Top 10, ma manca la vittoria
Una stagione nel complesso positiva per il nizzardo con 8 Top 10, ma manca la vittoria
Sei sempre in buona evidenza all’inizio come alla fine della stagione: soffri particolarmente il caldo?

Non particolarmente visto che le mie ultime due prestazioni sono state ottenute con il caldo dell’Arctic Race e della Gexto. Non influisce particolarmente la stagione o il clima nelle mie prestazioni, dipende tutto da quando la migliore condizione arriva e il nostro compito è farla arrivare il prima e il più a lungo possibile.

Da qui alla fine dell’anno quali sono i tuoi obiettivi?

Uno solo: vincere!

Tour e Covid: problema vero? Risponde doc Rotunno

20.07.2024
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EMBRUN (Francia) – Siamo probabilmente gli unici in Europa ad andare (nuovamente) in giro con le mascherine e per questo veniamo anche presi un po’ in giro da chi è a casa e ascolta. Eppure il Covid c’è ancora. Al Tour sono attentissimi che la misura venga rispettata, perché corridori positivi ci sono stati e probabilmente ce ne sono ancora. Racconta qualche direttore sportivo che si era già iniziato ad avere delle avvisaglie al Delfinato. E che poi, nei giorni del Tour in cui se ne è preso coscienza, capitava di vedere ragazzi che arrivavano alla partenza nell’ammiraglia e non sul pullman. Oppure altri che di colpo si staccavano anche su percorsi semplici e finivano fuori tempo massimo.

Al UAE Team Emirates per il Covid hanno dovuto rinunciare ad Ayuso e non osiamo pensare quanto sarebbe stata devastante la squadra di Pogacar avendo tra le sue file anche lo spagnolo. Recalcitrante e dotato di un ego importante, Juan resta comunque un signor atleta e al Tour teneva tanto. Perciò, per capirne di più, ci siamo rivolti ad Adrian Rotunno, il medico della squadra emiratina. Magari non abbiamo scelto il momento migliore per farlo, dato che sul bus si stava pianificando la tattica per il giorno di Isola 2000. Eppure, visto come è andata a finire, si può dire che gli abbiamo portato anche fortuna (in apertura, Mauro Gianetti e il fotografo Lorenzo Fizza Verdinelli).

Adriano Rotunno è nato in Italia e cresciuto in Sudafrica (foto UAE Team Emirates)
Adriano Rotunno è nato in Italia e cresciuto in Sudafrica (foto UAE Team Emirates)
Buongiorno dottore, ecco la prima domanda: perché indossiamo queste mascherine?

E’ importante cercare di limitare il diffondersi delle infezioni, non solo per il Covid, ma per qualsiasi altro virus. Soprattutto perché c’è così tanta interazione con la folla. Non è come il calcio o il rugby, dove sei in uno stadio separato dai tifosi. Quindi dobbiamo cercare di mantenere la massima distanza possibile. E ovviamente le indossiamo anche per il Covid, che resta una malattia molto contagiosa, cercando di mitigarne gli effetti.

Quanto è diverso il Covid per un atleta e una persona normale?

Colpisce il corpo allo stesso modo, ma una persona normale non corre 200 chilometri ogni giorno per tre settimane. Per questo la sua incidenza sull’organismo è enorme. Ovviamente dobbiamo essere consapevoli del rischio e valutare, qualora avessimo un atleta positivo, se sia salutare o meno per lui continuare la gara o non sia meglio tornare a casa e riprendersi. Normalmente lo prendiamo molto sul serio e ci assicuriamo che i nostri corridori siano sempre assistiti al meglio.

Può essere pericoloso correre con il Covid addosso?

Può esserlo, ma può essere pericoloso anche per chi va a fare una passeggiata. Dipende da come influisce sul corpo. L’importante è che non ci siano segnali di pericolo in termini di rischio cardiovascolare o di compromissione respiratoria.

I corridori fermati quest’anno per il Covid sembrano molto stanchi, come se fossero più stanchi del solito.

Normalmente la spossatezza è una delle manifestazioni più grandi. Non si riesce a sostenere lo stesso sforzo. A volte si ha una frequenza cardiaca più alta, perché il corpo sta combattendo un virus, oltre a cercare di ottenere prestazioni elevate sulla bicicletta. Generalmente, questi sono quelli di cui ti preoccupi maggiormente e che di cui ti accorgi. Durante il Tour abbiamo visto spesso molti ragazzi, che normalmente sarebbero stati davanti sulle salite, penzolare nelle retrovie. Alcuni hanno mollato, altri si sono ripresi e sono tornati forti la settimana successiva.

Perché alcuni sono stati fermati?

Non lo so, onestamente. Penso che si siano basati sui sintomi. Quindi, se lo hanno fatto, vuol dire che c’era uno spettro di malattie più preoccupanti. Alcune persone hanno sintomi lievi. Altre non hanno nulla. Mentre alcuni hanno sintomi molto gravi e questo è ciò che metterebbe in pericolo il corridore. Ovviamente il quadro deve essere esaminato e valutato dal punto di vista medico, prima che il corridore inizi la tappa. Dobbiamo capire se sia sufficientemente in forma per correre. Bisogna anche tenere sempre presente che gli atleti hanno bisogno di ascoltare il proprio corpo.

Che cosa significa?

Se qualcosa va storto, devono fermarsi immediatamente. E poi ovviamente li mandiamo via perché recuperino.

Ayuso si è ritirato nella tappa di Pau: sapeva di essere positivo, ma ha provato a partire lo stesso
Ayuso si è ritirato nella tappa di Pau: sapeva di essere positivo, ma ha provato a partire lo stesso
Ayuso è stato fermato per il Covid o perché era stanco?

Principalmente per il Covid. Era in buone condizioni, ma anche estremamente sintomatico. Non c’era niente di pericoloso nel suo caso, tanto che gli è stato permesso di iniziare la tappa. Era già successo alla Vuelta del 2022 ed era andata bene, tanto che Juan finì terzo. Invece questa volta, a causa di quei sintomi, sfortunatamente non è riuscito a tenere il passo. E’ stata proprio una giornata difficile per lui.

Ecco perché anche stamattina, andando verso la corsa, ci siamo sincerati di avere una mascherina nuova. L’organizzazione del Tour ha in giro degli addetti alla loro distribuzione e adesso viene da chiedersi se alle Olimpiadi si andrà a finire allo stesso modo. Il disagio c’è, perché ci si disabitua facilmente alle pratiche scomode. L’elenco che a causa del contagio dovranno rinunciare a Parigi vanta già i primi nomi. Per rispetto verso tutti gli altri, indossare una mascherina non è certo la cosa peggiore.

Covid? Non è mai sparito del tutto, la parola d’ordine è precauzione

28.06.2024
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Il Covid-19 non ha abbandonato il gruppo e la nostra vita di tutti i giorni. L’ultimo caso è quello di Sepp Kuss, il vincitore dell’ultima Vuelta Espana e fido scudiero di Vingegaard non sarà al via del Tour de France. Una perdita importante per la Visma Lease a Bike in vista della battaglia che la attende sulle strade della Grande Boucle. Ieri durante la conferenza stampa alla vigilia del Tour, Evenepoel si è presentato con la mascherina, mentre Pogacar ha raccontato di averlo preso di recente. Ma come viene approcciato ora il Covid dai medici dei vari team? Ne parliamo con Emilio Magni, dottore dell’Astana Qazaqstan Team.

«Da questa primavera – spiega subito – ci sono stati dei casi, in aumento rispetto ai mesi precedenti. Anche noi in squadra abbiamo avuto dei corridori positivi, ma è una storia difficile dalla quale venire fuori. La sintomatologia è meno importante rispetto al periodo pandemico, praticamente è assimilabile ad un’influenza. Il problema è che gli atleti di alto livello devono stare bene per svolgere la loro attività, quindi anche una normale influenza diventa destabilizzante».

Sepp Kuss ha annunciato la sua mancata partecipazione al Tour causa Covid postando questa foto sui social (foto Instagram)
Sepp Kuss ha annunciato la sua mancata partecipazione al Tour causa Covid postando questa foto sui social (foto Instagram)
Però si fanno ancora i test per distinguere il Covid da un’influenza.

Sì, perché è giusto capire di cosa si tratta. Le conseguenze a livello sportivo non sono state importanti, ma ogni squadra ha un alto numero di atleti e devono essere monitorati e tutelati. 

Una delle conseguenza più gravi furono i vari casi di miocarditi e pericarditi che si manifestarono nei soggetti positivi…

Non furono tanti a livello numerico, chiaro che anche un solo caso fa drizzare le antenne a noi medici. Quindi poi sono stati inseriti diversi test a livello cardiologico per controllare lo stato di salute prima di far riprendere all’atleta la sua attività. 

I test sono attendibili?

La fortuna dei test per individuare una positività da Covid-19 è che sono facili da effettuare e direi anche che sono affidabili, soprattutto rispetto all’inizio. 

Evenepoel con la mascherina alla conferenza stampa di ieri al Tour: «Meglio non correre rischi»
Evenepoel con la mascherina alla conferenza stampa di ieri al Tour: «Meglio non correre rischi»
In che senso?

Che nei primi anni (2020 e 2021, ndr) c’erano molti casi di false positività e negatività. Quindi atleti che risultavano negativi dopo qualche ora erano invece positivi e viceversa. Adesso è tutto più lineare, ad una positività anche leggera segue una conferma nel giro di poche ore.

Quindi si fanno più test?

Una volta effettuato il primo e rilevata la positività se ne effettua un altro poche ore dopo. Il corridore viene messo a riposo e nel corso dei giorni in cui è a casa ripete il test in autonomia ogni due o tre giorni, fino alla negativizzazione. 

Il protocollo prevede ancora lunghi stop? 

No siamo nel corso di cinque o sei giorni di fermo dall’attività sportiva. Una volta negativo il corridore viene sottoposto ai test cardiaci che dicevamo prima. Questi sono: elettrocardiogramma a riposo, sotto sforzo e ecocolordoppler cardiaco. Sono gli stessi esami che si effettuavano nel programma “return to play”. 

Gaudu ha corso il Delfinato sotto tono e ne è uscito con il Covid, ma sarà comunque al via del Tour
Gaudu ha corso il Delfinato sotto tono e ne è uscito con il Covid, ma sarà comunque al via del Tour
Se l’atleta li supera?

Semplice, torna in mano ai preparatori e rincomincia con il piano di allenamento. 

Pensa che la non partecipazione di Kuss al Tour de France sia corretta?

Sì, non c’era altra via. A parte che avrebbe dovuto negativizzarsi, ma comunque a pochi giorni dal via del Tour non ci sarebbe stato modo di fare i test cardiaci necessari. E’ più un discorso di precauzione e di tutela, prima dell’atleta stesso e poi dei compagni. 

L’aumento dei casi in gruppo a cosa è dovuto?

Semplicemente ad un abbassamento, naturale, delle misure difensive che si adoperavano in tempi di pandemia. Banalmente non utilizziamo più le mascherine o comunque frequentiamo posti molto affollati.

Per il dottor Magni siamo lontani dal ritorno di protocolli rigidi come nel periodo di pandemia
Per il dottor Magni siamo lontani dal ritorno di protocolli rigidi come nel periodo di pandemia
C’è il rischio del ritorno delle mascherine e della famosa bolla?

Non direi. Anche perché non avrebbe molto senso. Se si tornasse ad utilizzare le mascherine in squadra questa misura cadrebbe nel momento in cui si è a contatto con la gente. Dovremmo tornare alla bolla, ma penso sia impossibile, noi come squadra cercheremo di fare maggiore attenzione. E’ un discorso legato al fatto che se un atleta si ammala poi il rischio è che contagi la squadra e che ci si ritiri dalla corsa. 

Quindi per il Tour avete precauzioni particolari?

Siccome è una corsa che attira tanta gente e avremo degli eventi con ospiti interni alla squadra chiederemo dei test negativi. Se qualcuno dovesse arrivare senza mi preoccuperò io di farglielo.

L’ansia nei giovani atleti esiste e può fare tanto male

06.02.2024
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Il ragionamento fatto ieri nell’editoriale sulla fragilità dei corridori più giovani è da un paio di anni uno dei temi più dibattuti nel mondo dell’educazione. Il punto è proprio capire che gli atleti in quanto tali non sono immuni da ciò che accade attorno a loro e che i loro pochi anni, sia pure con la maturità superiore prodotta dall’attività agonistica, li rendono comunque fragili. Non tutti allo stesso modo, ma sarebbe sbagliato pensare che i migliori valori fisici possano coprire l’ansia e tutto quanto è accaduto nei ragazzi dopo il lockdown. Anche se nel mondo dello sport vigono regole spesso miopi per cui simili problemi si nascondono, quasi sia peccato parlarne.

Crini 2022
La psicologa piemontese Manuella Crini affronta con noi uno dei fenomeni più diffusi fra gli adolescenti
Crini 2022
La psicologa piemontese Manuella Crini affronta con noi uno dei fenomeni più diffusi fra gli adolescenti

Le scorie del Covid

Ne abbiamo parlato con Manuella Crini, psicologa con cui già in passato abbiamo affrontato tematiche importanti come i disturbi alimentari negli atleti. Che cosa succede nella testa di un ragazzo che non sia perfettamente a posto, davanti alle pressioni sempre crescenti dell’attività sportiva?

«Le restrizioni dopo il Covid – dice – hanno fatto sì che la vicinanza con i coetanei sia stata molto limitata, mentre la nell’adolescenza il confronto con i pari età è importantissimo. Tanti si sono trovati chiusi in situazioni familiari di ogni genere, anche le meno prevedibili, e nella maggior parte dei casi questi ragazzini non hanno potuto confrontarsi coi loro coetanei e hanno sviluppato molta più ansia. Questa ha preso forme diverse, come l’aumento dei disturbi alimentari, l’aumento delle dichiarazioni di transgenderismo di fronte alle quali il mondo dello sport è bloccato e quasi rifiuta di prenderne atto, l’autolesionismo, difficoltà scolastiche e l’abbandono scolastico.

«Siamo animali sociali, perciò se mi tieni chiuso in una gabbia, cambi la mia natura. Quanto durano questi effetti? Se faccio crescere una pianta dentro una scatola chiusa, le sue radici prendono una forma diversa. E l’adolescenza è un momento chiave per la formazione della personalità dell’individuo. Certi eventi traumatici rischiano di lasciare segni indelebili».

Gabriele Benedetti si è ritirato a inizio 2023, ad appena 23 anni, svuotato di motivazioni (foto Instagram)
Gabriele Benedetti si è ritirato a inizio 2023, ad appena 23 anni, svuotato di motivazioni (foto Instagram)
Parliamo di corridori, che vengono spesso ritenuti invincibili. E’ possibile che questa ansia magari sottovalutata venga fuori quando il livello si alza tantissimo?

Puoi essere ansioso in ogni fase, però nel momento in cui vai verso una prova che ti crea stress, il problema può venir fuori più amplificato. E’ un disagio, chiamiamolo così, che trovi prima della gara o alla vigilia del primo esame universitario. Solo che magari di colpo ha conseguenze peggiori perché, non avendo mai gestito prima l’ansia, è una cosa che ti spaventa. Non controlli più il tuo corpo e quindi ti agiti e l’ansia diventa paralizzante. Prima a livello di pensiero e poi anche di movimento. Due elementi che poi, all’interno di una competizione, vanno indubbiamente ad inficiare la prestazione.

Come si fa a capire che ne soffri?

Prima di tutto l’atleta deve riconoscere che c’è qualcosa che lo blocca al livello della prestazione. Si va poi a capire se quel blocco è preceduto o meno da una paura oggettiva. Vanno esplosi i pensieri paurosi, perché dietro ce ne sono altri che possono essere la paura di vincere e non solo la paura di perdere. Come tutte le cose, se la intercetti subito, l’ansia non cresce. Se sa riconoscerla, puoi imparare ad utilizzare dei meccanismi per far sì che non degeneri. Se resta a un livello fisiologico, allora l’atleta riesce persino a servirsene, perché attiva l’organismo. Però il lavoro va fatto sul pensiero, che poi genera stati emotivi. E dietro non c’è sempre la gara, perché parliamo di adolescenti.

Cioè?

Il pensiero da cui tutto parte può essere banalmente la paura di perdere la fidanzata appena conosciuta, perché se vado avanti con le gare, presto mi troverò a non aver più tempo per lei o per gli amici. Oppure ci può essere il desiderio di gratificare i genitori e non deluderli. E’ una fase talmente delicata della vita, in cui si fa anche fatica a trovare è l’evento scatenante dell’ansia.

Il ciclismo è uno sport talmente impegnativo, che diventa insormontabile se non si è convinti al 100 per cento (foto Tornanti_cc)
Il ciclismo è uno sport talmente impegnativo, che diventa insormontabile se non si è convinti al 100 per cento (foto Tornanti_cc)
Quanto la motivazione di arrivare in una squadra importante può far passare inosservata l’ansia?

La grande motivazione ti aiuta molto a trovare le risorse per dare un senso all’ansia. La preoccupazione, più che altro, è che parto con queste grandi aspettative che non so tenere nelle mani, perché sono un ragazzino. Quindi mi faccio grandi sogni, grandi progetti incoraggiati dal mondo in cui vivo e non ne costruisco altri perché ho solo lo sport. E se poi a 18-19 anni, vengo buttato fuori da quel mondo, che cosa resta di me?

E cosa succede?

Se non ho lavorato prima sull’ansia, rischio veramente di cadere in depressione. La stiamo banalizzando per renderla comprensibile, però perdendo un obiettivo di vita, il rischio è di sentirsi falliti. E il senso di fallimento è qualche cosa che ti priva del tutto della motivazione e non ti dà altri obiettivi di vita. Quindi mi domando se ci sia effettivamente un piano B per questi ragazzini, che sia sempre nell’ambito sportivo o in parallelo con la scuola.

Il piano B difficilmente esiste, perché le pressioni ci sono e richiedono la massima dedizione. Bisognerebbe capire se le attese siano troppo grandi in rapporto alla loro età…

Penso che ci siano sempre pretese troppo alte, perché si pretende che dimentichino di essere ragazzini. Considerando che l’adolescenza psicologica termina intorno ai 25 anni, questi ragazzini vengono adultizzati in maniera troppo prematura. E a quel punto fanno fatica anche a capire se veramente quella è la loro strada. Perché è una strada veramente costellata di sacrifici e devi essere disposto a farli perché li vuoi fare e non perché ti ci hanno messo con lo specchietto per le allodole.

Non avere più un obiettivo, ancorché da giovani, può portare alla depressione (immagine depositphoto.com)
Non avere più un obiettivo, ancorché da giovani, può portare alla depressione (immagine depositphoto.com)
Il fatto che fisicamente siano già adulti può allontanare il senso di fragilità?

Questa apparente maturità può trarre in inganno l’ambiente circostante e anche loro stessi, dandogli un senso di libertà nell’esprimersi che può trarre in inganno chi non ha competenze specifiche. Ma se la guardiamo dal lato della pedagogia dello sviluppo, sappiamo quanto in realtà l’adolescenza sia un momento tremendamente drammatico e fondamentale, per lo sviluppo di una psiche sana. Quando sei adulto, riesci a reggere di più, mentre se tratti i ragazzini da adulti, rischi di fargli molto male. Si picchia sull’autostima, altro concetto sottovalutato, e finisci che il ragazzo non crede più in se stesso.

Tour of Guangxi: si comincia, fra tifosi e due espulsioni

11.10.2023
7 min
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BEIHAI – Prima un centro commerciale, poi l’hotel delle squadre. Il Tour of Guangxi comincia alla cinese, con tanti ragazzini pieni di domande e il vociare allegro. Siamo stati accolti con grandissimo calore e tanti sorrisi, ma la barriera della lingua finora è risultata difficilmente sormontabile. I pochi che parlano inglese diventano il bersaglio delle mille domande che il cervello annota a ogni passo. E poi c’è internet, chiuso rispetto al resto del mondo. La VPN che dovrebbe permetterci di aggirare il blocco in questo momento non funziona troppo regolarmente, speriamo si connetta per tempo. Google e tutti i social di Meta, compreso Whatsapp, in Cina non si aprono. E pare che negli ultimi mesi il governo abbia inasprito i filtri.

Anne Wu, assieme all’olandese Sjors Beukeboom, ha condotto la presentazione: una in cinese, l’altro in inglese
Anne Wu, assieme all’olandese Sjors Beukeboom, ha condotto la presentazione: una in cinese, l’altro in inglese

Tutti al Wanda Plaza

Il Wanda Plaza è un centro commerciale, probabilmente uno dei più grandi di questa città, piccola per essere cinese. Dai 26 milioni abbondanti di Shanghai, siamo arrivati a Beihai che ha 400.000 abitanti e si affaccia sul Mar Cinese Meridionale, davanti all’isola di Hainan su cui si è corso fino a pochi giorni fa.

Si comincia domani e i primi ad essere applauditi sono stati i tre corridori che si sono prestati oppure sono stati estratti per la partecipazione al bagno di folla. Tim Wellens che ha da poco vinto il Renewi Tour e di questa corsa colse la prima edizione. Elia Viviani, campione olimpico. E Jakub Mareczko, che in Cina ha vinto più di 30 corse, quest’anno ha fatto centro per due volte e magari spera con un colpo di coda di trovare la giusta ispirazione per la prossima stagione, dopo il 2023 di pochissime corse con la Alpecin-Deceuninck (appena 32 giorni di gara).

Dopo 4 anni di buio

Mentre scrutiamo fra gli sguardi delle ragazzine che dalla balconata riprendono tutto con i cellulari, pensiamo a quel senso di festa clamorosa che fu in Italia il ritorno alle gare dopo i 4 mesi di lockdown. Loro si accorgono che le guardiamo: prima salutano, poi si nascondono emozionate. Il Guangxi Tour mancava da quattro anni, comprensibile che per il pubblico sia qualcosa da esaltare, alimentare con risate e foto.

«Sono super felice di essere qui – dice Wellens –  ho tanti bei ricordi. Il percorso è più duro di quando vinsi, c’è una tappa molto impegnativa, per cui conterà avere ancora buone gambe. E’ comunque una prova WorldTour, nessuno è venuto per non fare sul serio. Mi piace sempre viaggiare verso parti di mondo che normalmente non frequentiamo. E’ passato tanto tempo dall’ultima volta che si è corso da queste parti, sono certo che per i tifosi sarà molto bello»

Maglie da firmare per Viviani, accolto come una star
Maglie da firmare per Viviani, accolto come una star

Un giorno per volta

Gli hanno regalato dei fiori e una collanina, che osserva lentamente. Poi gli hanno portato un mucchio di maglie da firmare. Elia Viviani ce lo aveva detto in una delle ultime interviste: la squadra ha deciso che, vista la sua condizione, venire qui gli farà bene. E così, se da un lato avrebbe preferito mandare la bici in vacanza, il veronese sa di avere la gamba vincente (il successo in Croazia è ancora fresco) e cercherà di battere il ferro ancora caldo.

«Ho già corso in Cina, al Tour of Beijing dove vinsi due tappe – racconta lasciando dopo ogni frase il tempo per la traduzione – però mai da questa parte. Sono uno sprinter, quindi ho delle ambizioni prima di chiudere la stagione. Una vittoria di tappa sarebbe molto importante, abbiamo diverse chance e domani ci sarà la prima. Meglio andare avanti giorno per giorno. Ci sono strade larghe, quindi si arriverà alle volate a grande velocità, ma con buona sicurezza. Le motivazioni a questo punto della stagione sono importanti e la mia è vincere di nuovo. Essere qui con una corsa dopo quattro anni è strano, pensando a quello che hanno vissuto e che noi seguivamo attraverso i media. Per loro è stato tutto più lungo, ma adesso vogliamo che i fan si divertano».

Lionel Marie, primo da sinistra, guida la nazionale cinese al debutto WorldTour
Lionel Marie, primo da sinistra, guida la nazionale cinese al debutto WorldTour

Marie e la nazionale

Il tempo di sentire Mareczko che ha raccontato la sua voglia di vincere, perché ha vinto in tutta la Cina però mai al Tour of Guangxi e nel centro commerciale è entrata la nazionale cinese guidata da Lionel Marie. Il francese, 57 anni, racconta di aver avuto i primi contatti con la Cina 12 anni fa e più di recente di aver fondato la continental China GLory. Dice che i suoi ragazzi non sanno cosa significhi andare a 60 all’ora per due ore. Racconta che dopo quattro anni di Covid c’è da ricostruire da zero.

Qualcuno sogna di diventare professionista, ma senza fretta perché un alto livello da queste parti equivale a un medio livello europeo. Lavorano per i punti della qualificazione olimpica e dice che con i suoi parla in inglese, perché il cinese è troppo complicato. La stessa parola ha almeno quattro diversi significati, impossibile per lui. Non lo dica a noi che siamo qui da appena due giorni…

Due corridori… espulsi

Poi dal centro commerciale, salendo sul pullman che da ieri ci trasporta seguendo gli orari che ogni giorno arrivano su WeChat (che sostituisce Whatsapp), arriviamo all’hotel delle squadre. Si parla di conferenza stampa, in realtà è un evento organizzato da Giant per la Jayco-AlUla. Tutti i corridori seduti e poi di colpo in piedi per posare con i tifosi. Quindi domande, domande con premi e alla fine anche una sfida virtuale fra i corridori presenti. E’ festa grande, genuina e semplice. Ma l’ingenuità non tragga in inganno, irriderli porta a conseguenze pesanti. Se ne sono accorti Thijssen e Mikhels della Intermarché-Wanty messi fuori corsa per aver simulato gli occhi a mandorla in un video social. La rivolta sui social cinesi ha costretto la squadra a fermarli.

Domani comincia il Guangxi Tour, corsa di sei tappe che chiude la stagione 2023. L’arrivo della prima tappa è previsto per le 14,30 ora locale: le 8,30 in Italia. La vivremo con la curiosità della prima volta in Cina e raccontando dei suoi protagonisti. Sperando che la connessione in qualche modo anche stasera decida di funzionare. Sono le 18 adesso che chiudiamo il pezzo, ci sono due ore per cercare di metterlo nel sito.