Con Chiappucci parlando di Sanremo e strategie vincenti

21.03.2025
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«Vengo per vincere e spero di fare un gran casino». Con questa frase Claudio Chiappucci si approcciava alla Milano-Sanremo del 1991, vinta poi in solitaria sul traguardo di Via Roma. L’azione decisiva da parte del “Diablo” arrivò sul Passo del Turchino quando, sfruttando un meteo particolarmente avverso, fece sgretolare il gruppo in discesa. Da lì in poi la corsa prese forma sotto i colpi di Chiappucci. Il corridore di Uboldo, in provincia di Varese, aveva da poco compiuto 28 anni ed era sulla porta dell’esplosione ai massimi livelli, dopo essere stato secondo nel Tour de France dell’anno precedente.

«La mia dichiarazione – ci dice Chiappucci appena lo raggiungiamo al telefono – non era buttata lì a caso. Arrivavo da un periodo di ottima forma, confermato dalla Setmana Catalana dove vinsi due tappe. Non ero andato a correre alla Tirreno e alla Parigi-Nizza perché il tempo era troppo incerto. Mi sentivo bene, nonostante la Sanremo fosse una corsa difficile per un corridore dalle mie caratteristiche. Un percorso che non dà troppi spunti per attaccare e nemmeno tante chance, a volte se ne ha solo una».

Nell’edizione del 1991 quando la corsa arrivò sull’Aurelia il copione era già scritto
Nell’edizione del 1991 quando la corsa arrivò sull’Aurelia il copione era già scritto

Da lontano

L’impresa di Chiappucci ci è sembrata molto attuale, nonostante poi di anni ne siano passati 34 da quel 23 marzo 1991. Lo scalatore lombardo vinse con un’azione coraggiosa a oltre 100 chilometri dall’arrivo. Una situazione che trova terreno fertile anche nelle dinamiche attuali, con uno scalatore del calibro di Pogacar che negli anni ha provato a sorprendere corridori dalle caratteristiche diverse. 

«Ricordo – continua Chiappucci – che la mia voglia di vincere era legata al fatto di voler ribaltare i pronostici che non mi vedevano tra i favoriti. Anche io, come Pogacar sabato, avevo attorno avversari agguerriti e con caratteristiche da veri uomini da Classiche. La difficoltà per un corridore come me era doppia, non dovevo sbagliare l’attimo e allo stesso tempo trovare quello giusto. La stessa cosa deve fare Pogacar e nelle ultime due edizioni abbiamo visto come abbia cambiato strategia. Il primo anno aveva attaccato in cima al Poggio. Nella passata edizione aveva iniziato a far lavorare la squadra fin dalla Cipressa».

Il meteo avverso potrebbe essere l’alleato speciale di Pogacar per rendere la corsa ancora più dura
Il meteo avverso potrebbe essere l’alleato speciale di Pogacar per rendere la corsa ancora più dura
Come nel 1991 sabato sulle strade della Sanremo è previsto brutto tempo…

Per la mia vittoria fu un fattore determinante. La pioggia aveva reso insidiosa la discesa del Turchino e insieme alla mia squadra avevamo fatto una gran selezione. Il maltempo per Pogacar può essere un’arma a doppio taglio, perché anche lui non è immune dalle cadute. Lo abbiamo visto al Tour due anni fa e alla recente Strade Bianche

Dici che può essergli rimasta in testa?

Non si sa, dipende come reagisce. A me è successo di cadere ma sono tornato più forte ancora. Per lui è un punto di domanda.

Nel 2024 il UAE Team Emirates fece la Cipressa a tutta, ma non bastò per fare la selezione voluta
Nel 2024 il UAE Team Emirates fece la Cipressa a tutta, ma non bastò per fare la selezione voluta
La vittoria alla Strade Bianche, nonostante la caduta, è stato un messaggio chiaro per gli avversari…

Ha fatto vedere che è il più forte, perché una vittoria di quel tipo lascia un solo messaggio agli altri. Ovvero che non ce n’è per nessuno. Già spesso succede che quando attacca gli altri non lo seguono, se poi ci mettiamo la netta superiorità mostrata anche alle Strade Bianche. Non so a voi ma quando lui attacca sembra che in gruppo si pensi alle posizioni di rincalzo. 

Al mondiale era andata così, un attacco a 100 chilometri dall’arrivo e non si è più visto. 

In pochi hanno reagito. Pogacar ha una progressione impressionante e quando gli altri naturalmente calano lui mantiene watt altissimi. Riallacciandomi al discorso di prima, questa potrebbe essere una soluzione tattica a suo favore.

Negli anni Pogacar ha visto che attaccare in cima al Poggio non basta, se lo facesse fin dai primi metri?
Negli anni Pogacar ha visto che attaccare in cima al Poggio non basta, se lo facesse fin dai primi metri?
Spiegaci…

Pogacar ha capito che attaccare in cima al Poggio non gli permette di fare troppa differenza, in gruppo ci sono corridori potenti che possono seguirlo sullo scatto secco (come Van Der Poel, ndr). Altri, invece, possono rientrare in discesa. Ma se Pogacar partisse ai piedi del Poggio in quanti avrebbero la capacità di stargli a ruota? A giudicare dal mondiale e dalla Strade Bianche direi nessuno. In questo caso la discesa del Poggio non basterebbe per rientrare. 

Senza contare che la squadra è davvero forte.

La strategia di fare la Cipressa a velocità sostenuta non deve cambiare. Quando i suoi compagni di squadra tirano fanno la differenza e questo gli permetterebbe di isolare tanti avversari. Poi Pogacar è uno che corre d’istinto, quindi sa decidere cosa fare a gara in corso. Se gli altri rimangono soli lui avrebbe campo libero e in quel caso diventerebbe difficile fermarlo. 

Il fascino della maglia a pois. Ciccone sulle orme del Diablo

26.07.2023
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Ha ragione Giulio Ciccone a dire che la conquista della maglia a pois al Tour appena concluso è stato finora il momento più alto della sua carriera. Spesso nel ciclismo si è abituati a vedere solo chi vince, non si va a cercare fra le pieghe della corsa se non si è davvero appassionati, ma in questo caso è un po’ diverso perché quella maglia è un simbolo, profondamente amato dal pubblico francese. Tanto è vero che la dizione “maglia a pois” è ormai entrata nel gergo comune, a prescindere dalla lingua.

Il podio dei vincitori agli Champs Elysees, per Ciccone una enorme soddisfazione
Il podio dei vincitori agli Champs Elysees, per Ciccone una enorme soddisfazione

L’abruzzese, encomiabile nella sua caccia durata tutte e tre le settimane e maturata quasi in extremis, ha colto la vittoria numero 13 per un ciclista italiano in questa speciale classifica, entrando in un club esclusivo che contiene campionissimi come Bartali, Coppi, Nencini e Claudio Chiappucci, l’ultimo vincitore prima di lui. Il lombardo era riuscito nell’impresa due volte consecutive, nel 1991 e 1992, anno nel quale fece l’accoppiata con la classifica degli scalatori anche al Giro d’Italia. E il popolare Diablo ha potuto verificare sulla sua pelle come sia ben diversa la portata emozionale che quella maglia a palle rosse comporti rispetto al simbolo corrispettivo del Giro.

«In Francia vanno pazzi per questa maglia – ricorda Chiappucci – ma non è che la vedi solamente ai bordi delle strade del Tour, con tanti tifosi che la indossano per l’occasione. E’ qualcosa che poi noti tutto l’anno, nelle randonnée, nelle Granfondo, anche semplicemente in giro. Si vede che c’è una passione, un attaccamento particolare a questo che giustamente è considerato un simbolo».

Per Chiappucci due vittorie, nel 1991 e ’92 quando fu il miglior scalatore anche al Giro (foto Gazzetta)
Per Chiappucci due vittorie, nel 1991 e ’92 quando fu il miglior scalatore anche al Giro (foto Gazzetta)
Che valore ha in concreto?

Dipende sempre da chi la vince, ma basta andare a guardare l’albo d’oro per accorgersi che ci sono tutti grandi nomi, chi la conquista non lo fa mai per caso. Spesso la ottiene chi lotta per la classifica generale, anche se non è stato il caso di quest’anno, almeno nell’esito finale.

Perché c’è questa grande passione, quest’attenzione così particolare?

Perché i francesi amano l’attacco, amano il coraggio e per emergere in salita devi averne in gran quantità. Non è un caso se in entrambe le occasioni in cui ho conquistato la maglia ho vinto anche il premio della combattività. La gente si entusiasma, ricordo che quando passavo c’era un tifo indiavolato per me anche se non ero francese, proprio perché quella maglia significa qualcosa.

Passa l’abruzzese in maglia a pois: guardate quanti tifosi sono vestiti come lui…
Passa l’abruzzese in maglia a pois: guardate quanti tifosi sono vestiti come lui…
Spesso come sottolineavi la maglia va a chi è in lotta per la generale, non è un caso se prima di Ciccone nei tre anni precedenti ha premiato il vincitore del Tour. Ciccone però era fuori dalla lotta per la classifica, era favorito?

Non in assoluto, è vero però che se non sei in classifica hai più libertà, altrimenti in fuga non ti ci fanno andare e non conquisti punti. Quest’anno Vingegaard e Pogacar si sono disinteressati della classifica perché la corsa si era messa in un certo modo, ma non è diverso dal solito, nelle grandi corse a tappe c’è chi corre per la classifica, chi punta alle tappe e chi corre per altri traguardi, come ha fatto Giulio.

Che cosa serve per conquistare la maglia?

Parlo per esperienza personale, ricordo che dovevi essere sempre concentrato, ogni tappa di montagna dovevi esserci con la testa prima ancora che con le gambe. Serve una grande motivazione personale e la spinta della gente è molto importante per sostenerti. Io lottavo sempre per stare davanti, allora le tappe erano un po’ diverse da quelle di oggi perché la prima parte era abbastanza tranquilla, ora ti mettono le salite appena parti… Devi essere sempre sul pezzo, Ciccone è stato molto bravo in questo. Poi c’è un altro fattore che finora non abbiamo considerato…

Richard Virenque è il primatista di successi: 7 maglie a pois, tra il 1994 e il 2004 (foto Flickr)
Richard Virenque è il primatista di successi: 7 maglie a pois, tra il 1994 e il 2004 (foto Flickr)
Quale?

La maglia è una motivazione per salire sul podio. Essere lì, agli Champs Elysées, essere chiamato è una grande soddisfazione. E’ un palcoscenico mondiale eccezionale, unico nel mondo ciclistico e salirci per vestire quel simbolo ha un grande significato.

Molti hanno sottolineato come la vittoria di Ciccone abbia ridato un senso alla risicata spedizione italiana al Tour…

Sicuramente il successo dell’abruzzese ha permesso di lasciare un segno, ma certamente non è che possa cancellare dati estremamente negativi, come la mancanza di successi di tappa che si protrae negli anni o il primato stabilito in fatto di numeri di partecipazione, con soli 7 corridori. Senza dimenticare che non abbiamo un uomo per le corse a tappe. E’ un bel rebus, non facile da risolvere. Servono tempo, possibilità e un po’ di fortuna. I giovani ci sono ma molti li perdiamo per strada. Non è che si può cambiare tutto il sistema, ma bisogna ragionarci sopra.

Alleati al Giro? Per Chiappucci no, per Bugno forse…

05.04.2023
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Le parole di Evenepoel al Giro di Catalogna hanno fatto rumore. Subito dopo la conclusione della corsa iberica, vinta da Roglic per un pugno di secondi sul campione del mondo, quest’ultimo aveva gettato il sasso.

«Il rapporto tra me e Roglic da fuori sembra più competitivo di quanto sia in realtà… Certi corridori sanno che per vincere devono collaborare e non farsi dispetti. Quindi, anche se qualche momento di tensione lo abbiamo avuto, penso che abbiamo costruito un certo legame e che al Giro avremo bisogno l’uno dell’altro. Allo sprint ce la giochiamo. In salita penso che ci sia ben poca differenza. Sarà tutto da giocare…».

Possibile che due rivali diretti per la vittoria (nella foto di apertura al Catalunya) possano mettersi d’accordo, oltretutto in un grande Giro? Un conto è la corsa in linea, l’esempio di Van Aert, Van Der Poel e Pogacar alla E3 Saxo Bank Classic è ancora davanti agli occhi di tutti, ma una gara di tre settimane è tutta un’altra cosa, si gioca su equilibri molto diversi. Figurarsi se Coppi e Bartali si mettevano d’accordo per controbattere i campioni stranieri dell’epoca, non lo facevano neanche se militavano nella stessa nazionale… E Gimondi e Ocaña contro Merckx? Bugno e Chiappucci contro Indurain?

I due grandi rivali degli anni Novanta. Un’alleanza fra loro era pura utopia, anche contro Indurain
I due grandi rivali degli anni Novanta. Un’alleanza fra loro era pura utopia, anche contro Indurain

Tutto nelle mani dei team

Già, Bugno e Chiappucci. Abbiamo voluto chiamarli direttamente in causa, come spettatori privilegiati per capire se le parole di Evenepoel possono avere un senso compiuto e anche in questo, come si vedrà, i due grandi rivali degli anni Novanta sono su posizioni diverse.

«Io credo che un’alleanza ci possa anche stare – mette le mani avanti Bugno – ma bisogna capire che cosa si intende. Io non parlerei tanto di alleanze, quanto di comuni intenti da parte delle squadre. Per me Roglic ed Evenepoel faranno la loro corsa senza pensare all’altro, potrà però starci che Jumbo-Visma e Soudal-Quick Step possano ritrovarsi affiancate in alcune fasi della corsa, per tenere unito il gruppo».

«Non ci credo molto – ribatte Chiappucci – e il Catalogna lo ha dimostrato. Nella tappa finale ho tanto avuto la sensazione che lo sloveno abbia voluto dare il “contentino” a Evenepoel, d’altro canto in passato era stato più volte accusato di fare l’ingordo (vedi la storia di Mader alla Parigi-Nizza del 2021, ndr). Ma il Catalogna è una corsa ben diversa dal Giro d’Italia, non solo per durata, ma soprattutto per prestigio.

«Parliamoci chiaro – si infervora El Diablo – dovrebbero allearsi contro chi? Se guardo il parco partenti della corsa rosa, si vede subito che i due sono almeno una spanna sopra a tutti gli altri. Chi è il terzo incomodo? E che cosa potrà fare?».

I grandi team potranno allearsi per tenere chiusa la corsa? E’ uno degli interrogativi del Giro
I grandi team potranno allearsi per tenere chiusa la corsa? E’ uno degli interrogativi del Giro

L’interesse a controllare la corsa

Bugno però non è di questo avviso: «In un grande Giro devi tenere conto di mille variabili. Ci sono corridori forti al Giro, non al loro livello ma sicuramente in grado di giocarsela, soprattutto se alle spalle hanno formazioni ben attrezzate. E allora un’alleanza fra le due squadre ci può anche essere. Deve però essere chiaro un fatto: non è un’alleanza sancita, non ci sono i corridori che si mettono d’accordo e tanto meno i diesse. E’ un patto non scritto: sia l’iridato che Roglic hanno interesse a controllare la corsa, se a quel punto ci si dà una mano, non c’è niente di strano».

Su questo Chiappucci è parzialmente d’accordo: «Il controllo della corsa ci può anche stare, ma teniamo conto che ci saranno anche frazioni dove il pallino in mano lo avranno i team che puntano alla vittoria di tappa, che pensano alla volata finale. Tutto lavoro in meno per le corazzate che pensano alla classifica».

Vlasov e Almeida, principali candidati al podio. Per Bugno e Chiappucci però non sono da vittoria finale
Vlasov e Almeida, principali candidati al podio. Per Bugno e Chiappucci però non sono da vittoria finale

L’assenza della rivalità

Riportiamo indietro l’orologio del tempo: si poteva allora pensare a un’alleanza dei due campioni italiani per mettere in difficoltà Indurain?

«E’ lo stesso discorso che abbiamo fatto per Roglic ed Evenepoel, in questo il ciclismo non è cambiato: io e Claudio non ci siamo mai parlati né tantomeno messi d’accordo in corsa, ognuno faceva i propri interessi, ma poteva capitare che questi interessi potessero coincidere e allora le nostre squadre si ritrovavano a fare le stesse cose. Ripeto: è un patto non scritto, che deriva dall’evoluzione della corsa».

«Tenete poi conto di un fatto – interviene Chiappucci – ai nostri tempi c’era un fattore che è andato via via scomparendo: la rivalità. Oggi sembrano tutti amici, quel fattore è andato sicuramente un po’ perdendosi e anche con esso un po’ di fascino. Non dimentichiamo inoltre che avevamo a che fare con un certo Miguel Indurain: non è che non ci provassimo a metterlo in difficoltà, ma era un gigante vero, nessuno ci riusciva quand’era nel pieno della forma».

Ciccone, principale rivale dei due grandi in Catalogna. Bugno lo vede protagonista al Giro
Ciccone, principale rivale dei due grandi in Catalogna. Bugno lo vede protagonista al Giro

Chi può creare problemi?

Su un punto i due grandi rivali si trovano completamente d’accordo: sulla carta il Giro è bloccato intorno a questi due nomi. «Io non vedo avversari alla loro altezza – afferma Bugno – almeno per il momento, ma si sa bene che nel ciclismo di oggi ci sono pochissimi nomi in cima e poi tanti buoni corridori. Penso ad esempio che al Giro Ciccone possa fare molto bene, potrebbe anche creare loro qualche problema, ma alla fine quei due sono i netti favoriti. Come lo saranno Vingegaard e Pogacar al Tour, anche in quel caso difficile pensare che qualcuno possa inserirsi».

«Io credo che assisteremo a un duello vero e proprio – taglia corto Chiappucci – non riesco sinceramente a trovare un terzo incomodo. So bene però che il ciclismo è uno sport strano, dove gli inconvenienti possono sempre capitare, come le giornate storte, gli errori. Non dimentichiamo poi che sia Roglic che Evenepoel vengono da sport diversi dal ciclismo. Ecco, se devo trovare un punto in comune è proprio nelle loro origini così… originali».

Chiappucci rimanda Pogacar e alla crisi non ci crede

14.07.2022
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Nel 1992 Chiappucci scalò l’Alpe d’Huez cercando di staccare Indurain. Sono trent’anni tondi tondi. Lo spagnolo vestiva la maglia gialla, l’italiano era secondo in classifica. E il giorno prima con la fantastica impresa di Sestriere gli aveva guadagnato 1’42”. Claudio doveva recuperare i 5’26” lasciati a Miguelon nella crono di Lussemburgo lunga 65 chilometri. Per questo quando gli chiedi della reazione alla crisi di ieri avuta oggi da Pogacar con i suoi scatti, prima sta zitto e lo senti che si trattiene. Poi risponde.

«Reazione ne ho vista poca – dice – se voleva davvero fargli male, doveva partire all’inizio dell’Alpe d’Huez per mettere in difficoltà la sua squadra. Altrimenti con quegli scattini, gli fai le carezze. E soprattutto, come recupera se non ha la squadra?».

Il giorno dopo la crisi di fame si potrebbe avere paura di non aver recuperato, non credi?

Non so se abbia avuto davvero una crisi di fame. Oggi se ne è stato quatto quatto sino alla fine, poi ha fatto i suoi scatti e dopo l’ultimo si è piantato. Se vuoi attaccare davvero, tiri dritto e soprattutto non ti volti dopo ogni accelerazione. Sennò non serve a niente.

Se non è stata crisi di fame, cosa è stato?

Ha sprecato tanto nella prima settimana. Anche il giorno sul pavé, a cosa serviva fare quelle sparate? Lo guardo correre e ho la sensazione che ogni volta voglia dimostrare di essere il più forte. Solo che questa volta è diverso dallo scorso anno. Adesso ha davanti un avversario più forte, con un gregario come Roglic e altri compagni fortissimi. Mentre lui non ha la squadra che serve. Credo che la UAE abbia gli uomini, ma forse doveva portarne altri. E di sicuro adesso nessuno gli darà una mano…

Secondo Chiappucci l’errore di Pogacar è stato lasciare la corsa in mano alla Jumbo per i 3/4 della salita
Secondo Chiappucci l’errore di Pogacar è stato lasciare la corsa in mano alla Jumbo per i 3/4 della salita
In che senso?

Nel senso che se adesso possono fargli un dispetto, glielo fanno. Quando uno vuole tenerti sempre sotto scacco, appena puoi gliela fai pagare. Non è forte come credevamo, ma vedremo andando avanti. Il Tour è lungo e magari lui può crescere. Però mi spiegate a che cosa è servita la volata di oggi? A sprecare ancora?

Cosa ti pare di questo ciclismo così battagliero?

Mi piace relativamente poco. Quando arrivai davanti in quell’Alpe dHuez, venivamo dalla tappa di Sestriere, ben più dura di quella di ieri. E’ vero che magari sembrava tutto più faticoso perché avevamo mezzi diversi, non avevamo il potenziometro ma solo il cardio. Di sicuro avevamo una maggior fame agonistica che piaceva alla gente. Non facevamo le nostre cose per piacere agli altri, veniva da sé.

Froome si è giocato l’Alpe sino alla fine, ma ancora il gap dai migliori è notevole
Froome si è giocato l’Alpe sino alla fine, ma ancora il gap dai migliori è notevole
Torniamo all’ipotesi che abbia avuto una crisi di fame, qualcuno doveva ricordargli di mangiare?

Mica è colpa sua, questo è il ciclismo che rincorrono. Li vogliono professionisti già da juniores, si bruciano le tappe. A 18 anni non sono più ragazzini, sono sviluppati fisicamente e tecnicamente, ma si perdono in un bicchier d’acqua se salta la tecnologia. Ma alla crisi di fame non ci credo…

Proprio no?

Non credo che a questi livelli si trascurino i dettagli e che la maglia gialla possa dimenticarsi di mangiare, sarebbe grave. Il ragazzo ha vinto due Tour non la corsa del paese, credo abbia già fatto le sue esperienze. Non credo che i 23 anni possano essere una scusante, per lui e per chi lo gestisce.

Ti manca non aver mai vinto sull’Alpe d’Huez?

Avrei potuto quando arrivai quinto, ma c’era davanti la fuga e non riuscimmo a riprendere tutti. E alla fine è diventata la salita di Bugno, che l’ha vinta due volte. Ma non mi lamento, credo di aver fatto parlare. Credo che tutti noi abbiamo dato e ci siamo dati, mentre oggi c’è un’esagerazione tecnologica che li limita. Pensate che io non avevo neanche il procuratore…

Sei stato al Tour nella prima settimana, giusto?

Sì, lungo la strada, mischiato tra la gente, accompagnando tifosi. Loro chiedono e io rispondo. Ma non vado nei villaggi e nemmeno in televisione. Lì sono già tanti quelli che parlano di ciclismo.

Attaccare Pogacar? Persino Chiappucci ha qualche dubbio, ma…

27.02.2022
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L’arrivo di Jebel Hafeet al UAE Tour non ha fatto altro che confermarci la pressoché inattaccabilità di Tadej Pogacar. Lo sloveno in questo momento è su un altro pianeta. Forse solo i bestioni alla Van Aert o un Ganna potrebbero metterlo in difficoltà su percorsi estremamente veloci. Forse… E quindi dove si potrebbe attaccare?

Una situazione del genere scoraggerebbe chiunque. Anche il lottatore più tosto, il samurai della situazione. Persino El Diablo, il mitico Claudio Chiappucci potrebbe avere le sue difficoltà.

E sì che Chiappucci aveva a che fare con un certo... Miguel Indurain, che non era propriamente l’ultimo arrivato. Lo spagnolo dominava le crono e controllava in salita, dando la sensazione che, volendo, avrebbe potuto staccare tutti anche lì. E in qualche caso lo fece pure. Claudio lo attaccava sempre. Anche quando non ne aveva, anche quando sapeva che con grande probabilità si sarebbe schiantato contro un “muro”. A volte in quel muro aprì una crepa. Una crepa che in qualche occasione divenne crollo.

Claudio Chiappucci ha corso dal 1985 al 1999. Infiammava il pubblico con i suoi attacchi (spesso) folli
Claudio Chiappucci ha corso dal 1985 al 1999. Infiammava il pubblico con i suoi attacchi (spesso) folli
Claudio, come si attacca oggi Pogacar? Come lo attaccheresti tu?

E’ difficile dirlo adesso. Dovrei stargli di fianco, studiarlo, conoscerlo… Perché un conto è vederlo dalla tv e un conto dal vivo. Tadej dà l’impressione di poter fare quello che vuole. E anche tutta la squadra sembra ormai sulla sua rotta. Anche ieri ho visto che vanno forte tutti in UAE Team Emirates. Tirano, scattano e lavorano per lui. E quando è così non è facile.

Ci sono delle analogie tra Pogacar e Indurain?

Sono fortissimi entrambi! Scherzi a parte, è una situazione diversa. Miguel i numeri li aveva anche in salita, anche se non li mostrava. E aveva dalla sua le lunghe cronometro individuali che oggi non ci sono più. Mettetevi nei miei panni: due crono lunghe e un prologo, che era quasi come una crono attuale. Indurain partiva già con un bel distacco su tutti. Per me quindi era un istinto naturale dover attaccare. 

E quindi lo attaccavi comunque…

E cosa potevo fare? Come detto, partivo da “tre tappe in meno”. Quando scattavo facevo una fatica immane, ma pensavo che anche gli altri la facevano e tante volte riuscivo a prendere terreno. Ho sempre pensato che la miglior difesa fosse l’attacco. Mi dicevo: vediamo che succede. Preferivo anticipare, metterli in difficoltà e soprattutto creare confusione per rompere schemi e strapotere delle squadre.

Questa sarebbe un’ottima strategia d’attacco: rompere lo strapotere delle squadre, il loro controllo e “aprire” la corsa. Ma è ancora possibile?

Mmm – esclama scettico Chiappucci – c’è troppa, troppa tecnologia. Le radioline, le tv in ammiraglia (più auto di assistenza lungo il percorso, ndr), i computerini coi watt… Il corridore è un automa. Così si limita l’istinto e non c’è l’atleta che emerge. Il corridore emerge quando è solo, quando va al di là della tattica impostata dalla squadra. Quando durante la corsa si inventa una soluzione, anche se non fa in tempo a parlare con compagni e il diesse. E poi c’è un’altra cosa.

Per il Diablo Pogacar va isolato. Ciò accadde nel 2021 verso Le Gran Bornand ma lo sloveno per tutta risposta prese la maglia gialla
Per il Diablo Pogacar va isolato. Ciò accadde nel 2021 verso Le Gran Bornand ma lo sloveno per tutta risposta prese la maglia gialla
Cosa?

Oggi le corse sono più brevi. Corse più brevi e squadre più organizzate: è davvero difficile fare la differenza. E’ difficile dire dove attaccare. Oggi ci sono 5-6 fenomeni. Davvero non sai come fare. Prendiamo Van Aert. Vince dappertutto: a crono, in salita, in volata, nel cross. E lo stesso Pogacar va forte a crono, nelle classiche… e pure nel cross. Tra l’altro fanno tanto tutto l’anno. E a me – Chiappucci si toglie un sassolino – rompevano le scatole perché dicevano che facevo troppo, che d’inverno facevo “persino” il ciclocross…

Prima, Diablo, hai parlato di crono. Se tornassero ad essere più lunghe ci sarebbe più spettacolo? Magari anche un Van Aert davvero potrebbe lottare per un grande Giro e attaccarlo…

Non so se le crono più lunghe aumenterebbero lo spettacolo, di certo qualcosa andrebbe cambiato. Almeno a me non appassiona molto questo ciclismo così tecnologico. Più che le crono lunghe toglierei gli auricolari. Sarò fuori coro, ma sono completamente lontani da me. Guardiamo il mondiale come cambia.

Come cambia?

Per me cambia la corsa. I corridori sono meno preparati all’imprevisto. Emergono gli istinti sul momento. E tutto può nascere senza averlo programmato. Il famoso tranello come l’attacco al rifornimento, il ventaglio… Lo potresti fare. Ma oggi come fai se c’è chi vede la corsa in tv dall’ammiraglia? 

Pogacar quindi si attacca a sorpresa?

Esatto.

Chiappucci in fuga verso Sanremo nel 1991, con Marino Lejarreta al suo fianco
Chiappucci in fuga verso Sanremo nel 1991, con Marino Lejarreta al suo fianco
Il Diablo contro Pogacar farebbe un’imboscata quindi?

Potrebbe essere, sì. Di certo non aspetterei la salita per attaccare. Cercherei di farlo su percorsi mossi, vari, tortuosi. Anche perché quando attacchi lui, devi pensare di attaccare anche la sua squadra. La prima cosa sarebbe quella di isolarlo e magari incoraggiare anche altri ad attaccare. Insomma, devi fare qualcosa di diverso dal solito. Io ho sempre saputo con chi avevo a che fare e mi adattavo al suo modo correre, cercando di capire dove attaccare appunto. Per esempio in discesa, soprattutto se pioveva.

Il tuo attacco più pazzo?

Milano-Sanremo 1991 – risponde secco Chiappucci – Io quell’attacco non lo avevo programmato. Non sapevo come sarebbe andata. Vedete quel che dicevo prima? Quando ho visto che pioveva e tutti avevano paura della discesa bagnata mi è venuto in mente. Ho capito che avevano paura perché prima della galleria del Turchino avevano iniziato a fare le volate per prenderla davanti. Tutti sapevano che potevo creare problemi e io volevo proprio fare sconquasso. Però anche l’attacco del Sestriere al Tour è stato abbastanza folle. Attaccai pensando semplicemente: vediamo un po’ che succede…

Serve quindi uno spirito un po’ folle per tentare di mettere in difficoltà Pogacar. Il che può sembrare doppiamente folle, vista la tecnologia del ciclismo. Ma se non si esce dalle righe con Tadej che è più forte, a meno che lui non abbia una giornata no, non lo batti. Semmai la questione non è tanto attaccare Pogacar in un momento inaspettato, ma essere disposti a rischiare di saltare…

El Diablo: «Il Santa Cristina? Nel 1994 lo sottovalutammo»

28.11.2021
4 min
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Entriamo sempre più nel dettaglio delle ormai tre famose salite più dure del Giro d’Italia numero 105. Dopo il Blockhaus con Cataldo è la volta del Santa Cristina con Claudio Chiappucci, per tutti El Diablo.

Il varesino affrontò questa scalata nella mitica tappa, Merano-Aprica del 1994, che suggellò la doppietta di Marco Pantani in quell’edizione del Giro. Il giorno prima l’allora ragazzino romagnolo aveva vinto a Merano, staccando tutti sul Giovo e arrivando da solo nella cittadina tirolese. Con lui alla Carrera c’era anche Chiappucci che quel giorno morse il freno col compagno che faceva fuoco e fiamme. Ebbene, con Claudio cerchiamo di conoscere meglio questa salita.

Questa scalata per certi aspetti era nuova, tuttavia come punto di passaggio non era del tutto inedito. Il Giro ci era transitato tre anni prima, nella Morbegno-Aprica. Si fece solo il breve tratto da località San Pietro (che si nota nell’altimetria in basso) al valico, quello che in pratica corridori in pratica affronteranno in discesa il prossimo 24 maggio.

L’ultimo passaggio sul Santa Cristina avvenne invece nel 2010 (foto di apertura), ma era lontano dall’arrivo.

Chiappucci e Indurain nella Morbegno – Aprica del 1991
Chiappucci e Indurain nella Morbegno – Aprica del 1991

Scalata in doppia veste

Si sale dalla Valtellina, pertanto il Santa Cristina non si prende a metà come nel 1994, ma da Tresenda. Quindi dal fondovalle, per un totale di 13,5 chilometri.

La strada così ha una doppia fisionomia: carreggiata ampia e pendenze più “dolci” (6-9%) nella prima metà e carreggiata stretta e ripida nella seconda, con pendenze quasi sempre al di sopra del 10%. L’ultimo chilometro è il più duro e presenta una pendenza media dell’11,2%.

«Questa doppia veste – spiega Chiappucci – per me non influisce troppo sull’andamento tattico. Le squadre che tirano non lo fanno per prendere in testa il tratto più duro e stretto, ma perché stanno già facendo un forcing, quindi presuppongo che ci si arriverà tutti in fila indiana. Posto che poi la corsa la fanno i corridori e che oggi la tendenza è sempre più quella di aspettare l’avvicinarsi della cima.

«Stare davanti per me è sì importante, ma non è fondamentale. Certo non è che devi stare in coda al gruppo! Si è pur sempre su una salita potenzialmente decisiva».

Il Santa Cristina non è anche sede di arrivo ma è vicinissima al traguardo dell’Aprica
Il Santa Cristina non è anche sede di arrivo ma è vicinissima al traguardo dell’Aprica

I ricordi del 1994

Chiappucci parla una frazione lunga e dura in quel Giro. Una tappa corsa in modo intenso soprattutto sulle rampe del Santa Cristina, scalata posta nel finale anche allora.

«Ricordo – dice El Diablo – che era una tappa lunga e dura. Si faceva lo Stelvio in partenza, poi il Mortirolo, poi ancora l’Aprica e infine il Santa Cristina. E quest’ultima salita che all’epoca era inedita, trovandosi tra tutti questi mostri sacri passò in secondo piano. Dall’altimetria non sembrava così terribile. Non l’andai a vedere. E invece… era una salita importante».

«Quel giorno fece primo Pantani e secondo io. Ero con Berzin e Indurain e staccai tutti proprio sulle rampe del Santa Cristina. C’era tanta gente, ero convinto di essere solo, dopo un po’ invece mi accorgo che alla mia ruota c’è “Cacaito” Rodriguez… così piccolo non lo avevo notato. Mi guardò con quella faccina e mi disse di tenerlo lì, di non staccarlo, ma io gli dissi che non potevo. Così allungai ancora.

«Ma che fatica nel finale. L’ultimo chilometro era davvero tosto. In cima poi non si scendeva subito».

Molto bosco e pochi tornanti nella seconda metà della scalata
Molto bosco e pochi tornanti nella seconda metà della scalata

Occhio al falsopiano

Il Santa Cristina quindi non sarà sottovalutato. Ma oggi anche se fosse una salita inedita, anche se i corridori non ci mettessero piede, avrebbero una mole d’informazioni grazie alle quali la scalata gli sarebbe decisamente meno sconosciuta. El Diablo invece ha avuto modo di ripassarla e vederla meglio parecchi ani dopo.

«Esatto – dice Chiappucci – l’ho rivista, e me la sono goduta questa volta, nella granfondo dell’Aprica. E in effetti è bella dura. Anche perché bisogna considerare una cosa: noi all’epoca avevamo la folla, i tifosi a bordo strada, che ostruivano la visuale in molti tratti». E a proposito di visuale e punti di riferimento, bisogna considerare che dopo il bivio per la statale verso Aprica, si entra in un fitto bosco. Solo qualche radura lo interrompe e comunque non prima dei tre chilometri dallo scollinamento. Il paesaggio quindi è chiuso.

«Scalata irregolare? Io non direi – conclude El Diablo – Direi piuttosto che sale sempre forte. E’ tutta uno strappo. E poi non va sottovalutato il pezzo dopo il Gpm. Come ho detto non si scende. Ma c’è un falsopiano in discesa, molto stretto e abbastanza veloce, con curve e semicurve. E se ne hai continui a guadagnare, altrimenti diventa duro e lungo anche quello».

Landa Vuelta 2021

EDITORIALE/Meno male che c’è Landa…

23.08.2021
4 min
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Geraint Thomas è l’eccezione che probabilmente conferma la regola. Dopo una vita di piazzamenti e cadute, senza mai un podio in un grande Giro, nel 2018 s’è svegliato e ha vinto il Tour, arrivando secondo l’anno dopo. E basta, come se fosse poco! Detto di uno che è nato pistard (due ori olimpici e tre mondiali), si tratta ovviamente di una grande impresa, ma accende la luce sull’argomento che ci si è proposto davanti agli occhi ieri con la crisi di Mikel Landa (nella foto di apertura) sull’Alto de Velefique alla Vuelta.

Non è per niente facile essere capitano, pertanto questo discorso che nasce come un’apparente critica farà il giro largo per dimostrare l’opposto. Non vuole essere una mancanza di rispetto per il basco al quale auguriamo di risollevarsi e vincere la Vuelta. Dopo la caduta del Giro ha avuto le sue ossa da aggiustare e ritrovare la condizione alla ripresa da un infortunio non è affatto semplice. Tuttavia la storia è emblematica.

Landa ha fatto le cose migliori quando era più giovane e correva senza grosse responsabilità con l’Astana. Scattava. Vinceva. Masticava amaro quando gli toccava frenare per aspettare Aru. Però così facendo ha portato a casa l’unico podio in un Giro, quello italiano del 2015, dietro Contador e appunto Aru.

Thomas Tour 2018
Geraint Thomas in maglia gialla: uno dei pochi vincitori estemporanei in un grande Giro nel ciclismo d’oggi
Thomas Tour 2018
Geraint Thomas in maglia gialla: uno dei pochi vincitori estemporanei in un grande Giro nel ciclismo d’oggi

Landa e quel “treno” ormai passato…

A ben vedere, la stessa cosa è successa a Damiano Caruso, che al Giro c’è arrivato come gregario di Landa e, quando Mikel si è ritirato, ha potuto correre libero da pressioni, conquistando il secondo posto.

In questi casi, come è giusto che sia, il suo procuratore portò Landa al Team Sky e lì gli offrirono la chance di essere capitano al Giro. Lui arrivò a un soffio dall’impadronirsene, ma fu colto da malore e si ritirò mestamente sul più bello. Da quel momento, forse con eccesso di lungimiranza, la squadra britannica lo mise a tirare, avendo forse colto in lui altre stimmate. Desideroso di liberarsi dal giogo, dopo due anni Landa è passato alla Movistar di Quintana e Valverde: ambiente forse poco ospitale per uno che promette scintille e si ritrova con padroni di casa preoccupati che gli brucino il giardino.

Così anche nella squadra spagnola, non sono arrivati i risultati sperati. Il quarto posto al Giro, dovendo aiutare Carapaz, il sesto posto al Tour. Al Team Bahrain Victorious (allora Merida) lo volle Rod Ellingworth che con lui aveva lavorato a Sky e i risultati hanno parlato del quarto posto al Tour dello scorso anno e di una condizione stellare all’ultimo Giro d’Italia, vanificata tuttavia dalla caduta di Cattolica.

Chiappucci
Claudio Chiappucci,, con il suo coraggio alla ricerca dell’utopia, ha fatto innamorare gli italiani e non solo
Chiappucci
Claudio Chiappucci,, con il suo coraggio alla ricerca dell’utopia, ha fatto innamorare gli italiani e non solo

Viva coloro che almeno ci provano…

Quanti sono i corridori (ancora) in grado di vincere un grande Giro? Fra quelli in attività, si contano sulla punta delle dita. Sono quattro: Pogacar, Bernal, Roglic, Carapaz. Ci sarebbe Quintana, che però da un pezzo sembra aver rivisto le sue azioni al ribasso. Ci sarebbero Froome e Thomas, che potrebbero aver fatto il loro tempo. Altri che diano quale segno di concretezza crescono, pensiamo a Sivakov e Vlasov.

E poi ci sono quelli che ci provano. Landa, appunto, e anche Simon Yates. Quelli che quando ne parli, sui social si scatena la lapidazione. Su Landa, un commento ricevuto su Facebook continua a ronzarci nella testa: «Il protagonista annunciato. E continuate ad annunciarlo…».

Potremmo smettere di parlarne, in effetti, lasciarlo alla sua dimensione di Willy Coyote su ruote. Potremmo concentrarci soltanto su quei quattro e rassegnarci anche noi all’appiattimento. Invece alla fine, sapete una cosa? Continueremo a raccontare il coraggio di provarci. Lo stesso che rese Chiappucci un beniamino dei tifosi italiani. Neanche Claudio vinse mai un grande Giro, ma continuò a provarci fino all’ultimo. Meglio Landa che si mette in gioco rinunciando ai soldi… facili, di quelli che si nascondono sotto l’ombrello di un ottimo contratto e alle loro chance rinunciano in partenza. E poi volete mettere che bello il giorno che davvero Willy acchiapperà quel velocissimo Beep Beep?

Giant sceglie Chiappucci come nuovo ambassador

27.07.2021
3 min
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Nei giorni scorsi Giant Italia ha ufficializzato la scelta di Claudio Chiappucci come proprio ambassador. “El Diablo” (il soprannome con il quale Chiappucci è conosciuto in tutto il mondo, ndr) andrà ad affiancare un altro sportivo, il campione di Moto2 Enea Bastianini, che ha deciso di utilizzare una bicicletta Giant per i propri allenamenti invernali.

Chiappucci Tour 1992
Chiappucci è rimasto nel cuore dei tifosi per i suoi attacchi e per le sue vittorie
Chiappucci Tour 1992
Chiappucci è rimasto nel cuore dei tifosi per i suoi attacchi e per le sue vittorie

Finalmente su Giant

Claudio Chiappucci non ha certo bisogno di presentazioni: le sue vittorie al Tour de France, al Giro d’Italia e alla Milano-Sanremo, solo per citarne alcune, sono rimaste impresse nella mente degli appassionati di ciclismo e di sport in generale. Dopo aver concluso la propria attività come professionista, Chiappucci non si è mai allontanato dal mondo del ciclismo, ma soprattutto ha continuato ad allenarsi. Da oggi potrà farlo in sella ad una TCR Advanced SL 0 Disc, il top di gamma delle bici strada Giant.

La scelta di Chiappucci come ambassador è stata fortemente voluta dall’Ufficio Marketing di Giant Italia che ha individuato nell’ex professionista varesino il testimone ideale per far conoscere ancora di più il brand Giant: «Abbiamo scelto Claudio per il suo passato d’atleta e per i successi da lui ottenuti, ma soprattutto perché ancora oggi è uno sportivo molto amato e conosciuto da tutti, anche da chi non pratica ciclismo, pur avendo smesso da tanti anni. Siamo sicuri – proseguono da Giant Italia – che ci aiuterà ad avvicinare ancora di più al nostro brand gli appassionati di ciclismo».

La TCR Advanced SL Disc
La TCR Advanced SL Disc

Il top per “El Diablo”

Come dicevamo all’inizio Chiappucci utilizzerà nei suoi allenamenti una Giant TCR Advanced SL 0 Disc. Si tratta di una bici decisamente aerodinamica, veloce ed in grado di rispondere al meglio ai cambi di ritmo.

«Le prime impressioni sono molto positive – racconta il nuovo ambassador dopo le prime uscite – Ho trovato il telaio decisamente scattante e veloce nei cambi di ritmo. Ha una risposta perfetta soprattutto per quelle fasi di gara in cui è importante saper rilanciare la bici per rispondere ad eventuali scatti oppure per promuoverne in prima persona. Lo scorso fine settimana ho avuto l’opportunità di provarla in una gara in circuito a Ghedi vicino Brescia – ha aggiunto lo stesso Chiappucci – e nell’occasione ho voluto fare una progressione nei chilometri finali. La bici ha risposto davvero alla grande. Fin da subito mi sono reso conto che riuscivo a trasmettere al meglio tutta la potenza che stavo imprimendo sui pedali senza alcuna dispersione di forza. La Giant TCR Advanced SL 0 Disc è davvero super!»

Giant

Felice Gimondi, Marco Pantani, Tour 1998

Tour, una corsa poco italiana? Guardiamo i numeri

24.06.2021
4 min
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Il Tour del ritorno all’estate, il Tour della rivincita slovena Pogacar-Roglic, il Tour del minimo di presenze italiane da anni a questa parte. A due giorni dal via la Grande Boucle si sofferma a contare i suoi numeri, in attesa che le ruote inizino a dare i loro verdetti in un’estate infuocata che avrà un’appendice destinata a pesare, visto che solo 6 giorni dopo l’arrivo a Parigi ci si giocherà l’oro olimpico dall’altra parte del mondo.

Andiamo per ordine: Tadej Pogacar va a caccia del bis consecutivo, un’impresa che al Tour non è certo infrequente. Il primo a riuscirci fu Lucien Petit Breton, nel 1907 e 1908. Da allora ben 11 corridori hanno compiuto lo stesso iter, qualcuno come Bernard Hinault riuscendoci due volte (1978-79 e 1981-82), qualcun altro andando anche oltre, come Chris Froome autore di un tris e Jacques Anquetil, Eddy Merckx e Miguel Indurain arrivati al poker consecutivo. Armstrong andò anche oltre, ma sulla sua carriera come noto è stato passato un deciso colpo di spugna…

Chiappucci Tour 1992
Chiappucci pur senza vincere il Tour è rimasto nel cuore dei francesi, per la doppia maglia a pois
Chiappucci Tour 1992
Chiappucci pur senza vincere il Tour è rimasto nel cuore dei francesi, per la doppia maglia a pois

Da Bottecchia a Pantani, 10 grandi colpi

Uno della “magnifica dozzina” era italiano, Ottavio Bottecchia, primo nel 1924 e 1925 e soprattutto primo italiano a vincere la Grande Boucle. Bottecchia era un corridore che agiva in Francia, era quasi ritenuto uno di casa, ben diverso il discorso quando iniziarono ad arrivare i campioni da questa parte delle Alpi, come Bartali (1938-48), Coppi (1949-52), Nencini (1960), Gimondi (1965) fino ai più recenti trionfi di Pantani nel ’98 e Nibali nel 2014, ultimo italiano a salire sul podio agli Champs Elysees.

Proprio considerando il podio, le 10 vittorie si uniscono ai 15 secondi e 15 terzi posti, quindi i successi rientrano in una congrua media matematica.

Il Tour non è fra le manifestazioni sportive francesi più favorevoli ai nostri colori, considerando che in altri sport vige da quelle parti il detto “la course des italiens”. Molto dipende anche dalla partecipazione.

Petacchi Tour 2010
Due sole vittorie italiane nella classifica a punti: una per Petacchi, trionfatore nel 2010
Petacchi Tour 2010
Due sole vittorie italiane nella classifica a punti: una per Petacchi, trionfatore nel 2010

Le firme di Bitossi e Petacchi

Con 9 presenze italiane sparse per vari team, torniamo a contingenti nazionali che ricordano fortemente gli anni Ottanta, quando squadre e corridori nostrani privilegiavano il Giro e le partecipazioni in Francia erano ridotte al minimo. Nel nuovo secolo mai si era scesi alla singola cifra, ma non essendo presenti team italiani la cosa ha un suo perché.

Abbiamo detto che il Tour è sempre stato poco italiano, ma è davvero così? la maglia verde della classifica a punti è stata vinta solo da due italiani, Franco Bitossi nel 1968 e Alessandro Petacchi nel 2010. Quella a pois del miglior scalatore ha registrato 14 successi azzurri, da Bottecchia negli anni dei suoi trionfi a Claudio Chiappucci nel 1991 e ’92.

Gli italiani più combattivi

Quella bianca di miglior giovane ha visto 5 successi italiani (Moser nel ’75, Pantani nel ’94 e ’95, Basso nel 2002, Cunego nel 2006), ma non vanno dimenticati i 6 premi alla combattività conquistati da Gimondi nel ’65, Ghirotto nel ’93 seguito l’anno dopo da Poli, Chiappucci sempre nel ’91 e ’92 fino ad Alessandro De Marchi che mise la sua firma nel 2014.

Azzini Tour 1910
Una foto-documento: al centro Ernesto Azzini dopo la sua vittoria alla 15esima tappa del Tour, a Parigi
Azzini Tour 1910
Una foto-documento: a destra Ernesto Azzini dopo la sua vittoria alla 15esima tappa del Tour, a Parigi

Vittorie di tappa

Capitolo vittorie di tappa: si resta quasi stupiti vedendo che l’Italia è al terzo posto nella classifica per nazioni con 268 centri, certamente lontana dai 710 della Francia e 477 del Belgio, ma ben protetta dal ritorno dell’Olanda, ferma a 177. Se le ultime vittorie risalgono al 2019 con Viviani, Trentin e Nibali, la prima è datata addirittura 1910, per merito di Ernesto Azzini, un gigante di quasi due metri che fu anche il primo ad abbinare una vittoria di tappa al Tour a una al Giro. Scomparso a soli 38 anni per una forma di tisi, il suo nome resta comunque una pietra miliare nella storia italiana del Tour.