Quando ha vinto alla Planche des Belles Filles, il giorno dopo la vittoria di Longwy, abbiamo iniziato a guardarci intorno, cercando nelle altre squadre quegli sguardi. Non poteva lasciar vincere Kamna? Eppure non una voce in questo senso si è alzata dal gruppo o sui media. Al contrario, si è detto: è giusto che il più forte corra sempre per vincere. E’ il ciclismo dei giovani fenomeni e del pubblico che va di fretta. Sarebbe servito che Pogacar vincesse ieri a Chatel per averne la controprova.
Perché del Pantani che vinse anche a Campiglio non si disse che fosse il più forte ed era giusto che vincesse, e si disse al contrario che stava esagerando, mentre lo sloveno può fare quel che vuole e nessuno trova da ridire? Una catena di ipermercati romagnoli era meno gradita al cospetto dei grandi, rispetto alla squadra degli Emirati? Niente di tutto questo, almeno non oggi. La sensazione è che sia tutto cambiato.
Tutto cambiato
Il ciclismo è cambiato. Sono cambiate le persone che ci lavorano, è cambiato il modo di starci dentro. Per certi versi è tutto così inquadrato, che è venuto meno un certo tipo di stress (sostituito da altre tipologie).
Prima c’era il direttore sportivo che faceva tutto da sé. Non aveva Velo Viewer e nemmeno le radioline. Per cui doveva costruirsi la tattica un pezzettino per volta, parlando con i corridori e sommando la sua e la loro esperienza. La sera in hotel, aspettava l’arrivo dei comunicati e li spulciava riga dopo riga, per capire che cosa avessero fatto i suoi corridori e gli avversari. Sapeva tutto di tutti. E i suoi ragionamenti tenevano conto dei suoi uomini e delle prestazioni dei rivali.
Oggi il direttore sportivo entra nella riunione del mattino dopo che i suoi colleghi hanno fatto la loro parte, svelando tutte le insidie del percorso e come spingere e mangiare per superarle. Lui aggiunge qualcosa della sua esperienza, poi sale in ammiraglia e spera che le cose vadano come ha previsto. Ammette Martinelli che ai tempi di Pantani, un corridore che potrebbe stare nella galleria dei fenomeni di tutti i tempi, non si usavano le radioline e forse alcune corse le avrebbero gestite diversamente.
L’errore di Van Aert
Vi siete divertiti a vedere Van Aert in maglia gialla, in fuga dal mattino? Chi scrive non si è divertito per niente. Okay, la Jumbo Visma non ha lavorato per tutto il giorno, ma puoi dirlo col senno di poi. Quella tappa con Van Aert dovevano vincerla correndo in altro modo: quella fuga non sarebbe mai arrivata. In tre, poi, figurarsi. Con Fuglsang che ancora non si è ripreso. Ma se chi racconta le tappe ne parla come di un’impresa, è ovvio che la gente sia contenta. Poi spegne la televisione e non ci pensa più.
Noi ci divertivamo anche a vedere Pantani contro Ullrich o contro Tonkov, ma in quegli anni c’era più gente che poi rimuginava e la vittoria non era mai foriera di sola serenità. Sono sparite le seghe mentali, dicono in gruppo, che non è poco.
«Pantani non voleva vincere a Madonna di Campiglio – ricorda Martinelli – e ci eravamo adoperati perché arrivasse la fuga. Dietro si era deciso così, invece Jalabert mise la squadra a tirare forse perché voleva vincere lui. E a fronte di quel comportamento, Pantani perse la pazienza e vinse lui».
Era il più forte, era giusto che vincesse. Come la prese il gruppo? Con voci e commenti sull’ingordigia di Marco e chissà cos’altro. E quando il giorno dopo il sole cadde dal cielo, ci fu anche chi si diede di gomito. Fra le squadre, soprattutto. E nel palazzo.
Sparita l’invidia
Oggi fra le squadre non ci sono più gelosie, ai fenomeni si perdona tutto. Proprio Martinelli racconta di aver scritto di recente al suo preparatore Mazzoleni che una volta piaceva a tutti curiosare in casa degli avversari, mentre oggi dopo l’arrivo si fa un reset e si guarda al giorno dopo. E proprio il non avere più il comunicato da studiare fa sì che il tecnico abbia una conoscenza diversa del gruppo. Se gli serve un’informazione, va su internet e tira fuori vita, morte, miracoli e piazzamenti di chiunque. Paradossalmente è un modo di fare che porta a una conoscenza meno approfondita del corridore, che prima avrebbero dovuto osservare, incontrare, parlarci e capire se ci fosse margine per costruirci qualcosa.
Oggi si va più di fretta. La gente vuole divertirsi e non farsi pensieri dopo. Per questo avere fenomeni come Pogacar, Van Aert, Van der Poel è bello e coinvolgente. Ma siamo sicuri che tutto quello che fanno sia oro? Ogni loro gesto viene dipinto come prodigioso, ma spesso certe fughe illogiche andrebbero bollate come errori.
L’appassionato di ciclismo
Chi è oggi l’appassionato di ciclismo? Quelli di ieri conoscevano anche corridori di cui negli ordini di arrivo non c’era traccia e sapevano inquadrare il risultato di oggi ricordando i piazzamenti di ieri. Oggi basta andare su Procyclingstats per avere le informazioni, ma non la conoscenza. Quanti sanno dire chi ci sia dietro a quei fenomeni?
«Una volta – dice Martinelli – incontravi per strada quello che ti chiedeva di Fontanelli. Secondo me oggi se chiedete a un telespettatore chi sia O’Connor, non tutti lo sanno. Ma sanno di Pogacar, Van Aert, Van der Poel e gli altri fenomeni. Si tocca con mano e per certi versi è bello che sia così».
Oggi quanti sanno chi siano i gregari di Pogacar o Van der Poel e perché siano speciali? All’opinione pubblica piace così perché probabilmente vi è stata portata dal racconto televisivo. Se Pogacar avesse vinto ieri a Chatel si sarebbe detto che per farlo avesse spremuto troppo la squadra (come tanti di noi hanno pensato, a prescindere dal risultato), oppure se ne sarebbe esaltata ancora una volta la forza?