Un caffè con Paletti: ragionando sul presente e parlando del futuro

06.03.2025
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LAIGUEGLIA – Luca Paletti è un cumulo di ricci con gambe magre e spalle strette. E’ tanto alto quanto timido, ma basta sedersi un attimo e lasciarlo respirare che le parole fluiscono da sole. Il reggiano è uno dei giovani dell’infornata della Vf Group-Bardiani CSF-Faizanè che è pronto a maturare e spiccare il volo. Dopo due stagioni in cui è cresciuto parecchio è arrivato al 2025 forte e determinato. Nelle prime gare della stagione ha già raccolto gli stessi punti del 2024, per gli amanti dei numeri. 

Paletti al Trofeo Laigueglia terminato al 30° posto a 1′ e 15″ dal vincitore Ayuso
Paletti al Trofeo Laigueglia terminato al 30° posto a 1′ e 15″ dal vincitore Ayuso

Un inverno diverso

Ieri al Trofeo Laigueglia, prima gara italiana della stagione, è arrivato un trentesimo posto, il secondo miglior giovane dopo Simone Gualdi. Risultati frutto di un inverno diverso nel quale si è concentrato molto sulla strada.

«E’ un anno un po’ particolare – racconta – senza ciclocross. Il primo da quando vado in bici dove non ho fatto attività invernali. Chiaramente nella preparazione è cambiato qualcosa, ad esempio mi sono concentrato maggiormente sulla distanza. Devo ammettere che sto sentendo la differenza, complice anche la crescita e qualche elemento diverso. In due anni (Paletti è passato professionista nel 2023, ndr) sono cambiato tanto, complice anche l’età. E’ normale che a vent’anni si sia ancora nella fase dello sviluppo».

Luca Paletti insieme a Tolio, il rapporto con i corridori più grandi è fondamentale (foto Vf Group-Bardiani CSF-Faizanè)
Luca Paletti insieme a Tolio, il rapporto con i corridori più grandi è fondamentale (foto Vf Group-Bardiani CSF-Faizanè)
Ti è dispiaciuto lasciare il cross?

E’ stata una decisione presa con la squadra perché abbiamo voluto provare a fare qualcosa di diverso.  Non è che mi sia dispiaciuto molto, so che dietro questa decisione c’è un motivo importante. E poi non è detto che il prossimo anno possa tornare. Se non dovessi vedere i miglioramenti che mi sono prefissato non escludo un passo indietro. 

Per il momento cosa è cambiato?

A livello atletico sento di essere arrivato con più fondo alle gare di inizio stagione. Anche mentalmente è stato diverso visto che ho fatto quasi tre settimane senza bici a novembre, non mi era mai capitato. Di solito staccavo qualche giorno finita la stagione su strada e poi un’altra settimana finita quella del ciclocross. Fare un periodo di stacco più lungo mi permette di sentirmi più riposato. 

Paletti ha mostrato ottime cose durante le corse di inizio anno in Spagna, qui al Gran Camino
Paletti ha mostrato ottime cose durante le corse di inizio anno in Spagna, qui al Gran Camino
Sei partito subito forte…

Quando si sta bene anche la tattica in corsa cambia. Ne parlavo con il mio preparatore, Michele Bartoli, il quale mi diceva che finalmente mi ha visto attaccare. Ora che sento di avere una buona gamba mi viene la voglia di provare. 

E’ cambiato altro durante l’inverno?

Ho inserito anche un po’ di palestra, cosa che non avevo mai fatto fino ad adesso. Prima non l’avevo mai fatta perché il preparatore vedeva un muscolo ancora acerbo, un po’ per questo e anche per le mie caratteristiche ha sempre preferito tenere indietro la palestra. 

Come arrivi a questo terzo anno con la Vf Group-Bardiani, è arrivato il tuo momento?

Sicuramente ci proverò. Non nascondo che il Giro Next Gen è uno dei miei obiettivi, sia per caratteristiche che per ambizioni. Ma anche alle gare di primavera come Piva, Recioto e Belvedere proverò a fare qualcosa. Sento di essere cresciuto mentalmente, quindi sarà anche un po’ più facile tenere duro di testa. Mi sento pronto per fare classifica. 

La Vf Group-Bardiani nel 2024 ha vinto la classifica a squadre al Giro Next Gen (foto Lisa Paletti)
La Vf Group-Bardiani nel 2024 ha vinto la classifica a squadre al Giro Next Gen (foto Lisa Paletti)
Cosa intendi con “tenere duro di testa”?

Ad esempio nelle scorse settimane al Gran Camino ero quello messo meglio in classifica per la squadra. Nell’ultima tappa non mi sentivo bene, sono andato all’ammiraglia e ho detto: «Oggi non finisco la corsa». Invece mi hanno convinto a tenere duro e a metà tappa ho iniziato a sentirmi meglio, tanto che nel finale ho provato a fare la volata. Queste situazioni mentali che oltrepassi sono un grande bagaglio di esperienza. Al Giro Next Gen, altro esempio, se dovessi trovarmi in una situazione simile so cosa fare. 

La Vf Group è in un momento di ricambio generazionale, voi da dentro come lo vivete?

Avere dei riferimenti come Marcellusi o Magli per noi è fondamentale, ci spiegano come muoverci e ci danno una grande mano in gara. Soprattutto nelle fasi di gestione. Secondo me quest’anno tra gli under 23 ci divertiremo parecchio, già nel 2024 ci siamo dati da fare ed eravamo tanti ragazzi al secondo anno. 

Durante l’inverno Paletti non ha corso nel cross, questo gli ha permesso di lavorare maggiormente sul fondo
Durante l’inverno Paletti non ha corso nel cross, questo gli ha permesso di lavorare maggiormente sul fondo
Quali pensi siano i passi giusti da fare?

Forse un po’ la capacità di resistere sulla distanza, ma arriverà correndo. Devo dire che sui punti in cui devo migliorare non ho preoccupazioni, sto lavorando tanto e credo che la crescita farà il resto.Un punto su cui mi sto allenando sono i cambi di ritmo, ma sono fiducioso di quanto sto facendo con Bartoli. 

Obiettivi quindi?

Arrivare pronto alle gare internazionali riservate agli under 23. Piva, Belvedere e Recioto sono degli obiettivi concreti, anche per mettermi alla prova in gare non troppo vicine alle mie qualità, ovvero quelle di un giorno

Scappini e un inverno di cambiamenti tra cross e strada

15.02.2025
5 min
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Samuele Scappini non ha nemmeno avuto il tempo di appoggiare la bici da ciclocross e metabolizzare quanto fatto nella stagione appena conclusa che già si trova a pedalare su strada in vista della Firenze-Empoli di sabato 22 febbraio. L’ultima corsa sul fango per l’umbro è stato il campionato del mondo under 23 il primo febbraio. Un finale meno dolce rispetto ai risultati ottenuti durante la stagione invernale, che lo ha visto cambiare a correre con la maglia del Team Cingolani

«Ho fatto un riposo breve – racconta appena rientrato dall’allenamento su strada, siamo a metà pomeriggio – di quattro giorni. Mi sono dedicato al recupero, anche se ho fatto qualche uscita in bici ma solo per divertimento. Nessuna vacanza, quest’anno con il mio preparatore abbiamo deciso di fare così. Vista la condizione con cui arrivavo al mondiale, che era abbastanza buona, ci siamo detti di provare a prendere parte a questa prima gara su strada».

Samuele Scappini per la stagione 2024/2025 di ciclocross si è unito al Team Cingolani (foto Instagram)
Samuele Scappini per la stagione 2024/2025 di ciclocross si è unito al Team Cingolani (foto Instagram)

Qualche cambiamento

Per il giovane cresciuto sulle strade della sua Umbria la stagione di ciclocross 2024/2025 ha portato qualche novità. Abbandonato il team Beltrami TSA-Tre Colli si è unito alla Cingolani per il fuoristrada, mentre su strada vestirà la maglia della Work Service (che nel frattempo ha cambiato nome diventando Sam-Vitalcare-Dynatek). 

«Per quanto riguarda il ciclocross – analizza con noi Scappini – ho cambiato preparatore, ora lavoro con Matteo Belli, che mi seguirà anche su strada. Insieme abbiamo deciso di partire a correre sul fango fin da subito per sfruttare la condizione favorevole. Infatti al primo appuntamento di Corridonia sono riuscito a vincere. Ci siamo concentrati maggiormente su lavori di forza esplosiva, poi abbiamo deciso settimana per settimana come procedere».

Il confronto con atleti elite gli ha permesso di crescere parecchio e di alzare il suo standard (foto Lele Momoli)
Il confronto con atleti elite gli ha permesso di crescere parecchio e di alzare il suo standard (foto Lele Momoli)
Quest’anno nel ciclocross hai ritrovato un “vecchio” rivale: Stefano Viezzi…

Ci avevo corso contro già da junior. Quest’anno al campionato italiano abbiamo avuto un bel testa a testa e ho avuto modo di vedere che è cresciuto parecchio. Posso dire che va davvero forte, lo si è visto anche al mondiale dove è arrivato quarto al suo primo anno nella categoria. 

Come lo ha ritrovato?

Con una mentalità diversa. Ricordo che quando eravamo juniores riuscivo a batterlo perché giocavo di più sulla tecnica, visto che allenavo molto quell’aspetto. Lui nel 2024 è migliorato parecchio sulla distanza e nei rettilinei. Ha un fisico importante che gli permette di avere tanta forza. 

Nelle gare nazionali ha sempre ben figurato, dando filo da torcere a tutti e ottenendo belle vittorie (foto Instagram)
Nelle gare nazionali ha sempre ben figurato, dando filo da torcere a tutti e ottenendo belle vittorie (foto Instagram)
E’ uno di quelli con i quali ti piace confrontarti maggiormente?

In realtà preferisco scontrarmi con gli elite, come ad esempio Gioele Bertolini. A Torino c’è stato un bel duello e ha fatto fatica a staccarmi, solo una foratura nel finale mi ha allontanato da lui. Le gare fatte insieme agli elite mi hanno detto che vado forte, prendo questa cosa come un premio al mio lavoro e al preparatore. 

In cosa sei migliorato tanto, anche grazie a Matteo Belli?

Nei lavori in bici ma anche nell’alimentazione, sia prima che durante la gara. 

Scappini ha vestito la maglia della nazionale agli europei under 23 a Pontevedra, arrivando 11°
Scappini ha vestito la maglia della nazionale agli europei under 23 a Pontevedra, arrivando 11°
Com’è scontrarsi ogni domenica con atleti che poi saranno tuoi compagni di squadra in nazionale?

Da loro nel confronto imparo molto. Bertolini al mondiale di Levin ci ha mostrato bene come affrontare le curve e le canaline, in modo da viaggiare nella maniera più pulita possibile. Per il resto quando metto il numero sulla schiena non ho amici, una volta sceso dalla bici l’atteggiamento cambia, riesco a dividere molto questi due momenti. 

E’ un confronto che ti fa alzare l’asticella?

In allenamento penso alle sfide, correre contro di loro diventa un mio obiettivo migliorare per essere competitivo. Così, quando in gara mi ritrovo lì a battagliare, so di aver fatto tutto bene e che qualcosa in me c’è. 

La stagione dell’umbro classe 2005 si è conclusa con il mondiale di Levin, pochi giorni dopo era già in sella alla bici da strada
La stagione dell’umbro classe 2005 si è conclusa con il mondiale di Levin, pochi giorni dopo era già in sella alla bici da strada
E’ stato facile fare subito lo switch tra cross e strada?

Bisogna riuscire a cambiare mentalità perché si passa da allenamenti di una o due ore a uscite da quattro o anche cinque. Si deve curare maggiormente la distanza abbassando l’intensità, sto comunque continuando a tenere i lavori di forza ed esplosività. Cosa che faccio anche in palestra. Sono un corridore dallo spunto veloce, uno sprinter. Qualità nella quale il ciclocross mi dà una mano.

Che obiettivi hai per questa stagione su strada?

Correre con i professionisti e farmi vedere, mostrare che sono migliorato. Se penso a una disciplina sulla quale emergere dico senza dubbio la strada. Il ciclocross è un divertimento che mi dà tanto durante l’inverno, sia per la preparazione sia per la tecnica di guida. Voglio che continui a far parte del mio essere ciclista.

Eva Lechner, il saluto a una campionessa immensa

03.02.2025
7 min
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«Quando avevo 15 anni per tutta l’estate ho fatto la baby sitter. Con i soldi guadagnati ho comprato la mia prima bici». Eva Lechner è così. È sempre stata così: semplice, diretta, coriacea, determinata. Sabato, cioè l’altro ieri, ai mondiali di ciclocross a Liévin, ha chiuso una carriera straordinaria.

Strada, ciclocross, mountain bike: la campionessa altoatesina ha lasciato il segno ovunque. A 39 anni, 40 a luglio, Lechner ha detto basta, ma il suo lascito resta indelebile. Comprese le categorie giovanili, si contano oltre 30 titoli italiani, uno persino su strada tra le elite, tre medaglie ai mondiali, due nella mtb (un argento e un bronzo), e una nel cross (un argento). E ancora: titoli europei, partecipazione a quattro Olimpiadi… Potremmo continuare all’infinito.

Eva Lechner (classe 1995) ha chiuso la carriera al mondiale di Liévin
Lechner (classe 1995) ha chiuso la carriera al mondiale di cross Liévin
Eva, partiamo dalla fine: in Sardegna, nella gara di Coppa che non si è disputata, ci avevi detto che non saresti andata al mondiale. Invece…

Vero, le cose sono cambiate a dicembre. Non sono andata al mondiale per i meriti sportivi di quest’anno, ma il cittì Daniele Pontoni aveva in mente di darmi un premio carriera. Ne abbiamo parlato, io avevo questo desiderio di chiudere con un Mondiale e lui mi ha promesso che avrebbe fatto di tutto per portarmi. Con la Federazione si è deciso di farmi questo regalo, che ho apprezzato tantissimo. Per me è stato un onore poter indossare ancora una volta la maglia azzurra.

Come hai vissuto quest’ultima gara della tua carriera?

È stato bello. Il percorso era duro, ma mi sono sentita bene e per questo mi sono anche divertita. Ho fatto il miglior risultato della stagione, il che non è poco a 39 anni, gareggiando contro atlete di altissimo livello. Nell’ultimo giro mi sono goduta ogni istante, salutando il pubblico. Avevo un buon vantaggio su chi era dietro di me, posto che avrei potuto anche perdere una posizione, ma sapete… non si vuole mai mollare. Neanche alla fine. C’era un lungo rettilineo in salita pieno di gente: ho dato il cinque a tantissimi tifosi e sono arrivata al traguardo con il sorriso.

Sei stata una campionessa in più discipline. Se pensi a un momento per ognuna, quale ti viene in mente?

Parto dalla strada, che è quella che ho fatto meno. Direi senza dubbio il Mondiale di Varese 2008: una bellissima esperienza. Quel giorno lavorai tanto per la squadra e mi ritirai, ma che giornata! Ricordo tutto questo pubblico e io lì a difendere i colori dell’Italia. Poi ricordo bene anche il titolo italiano vinto un po’ a sorpresa. Era il 2007 a Genova. Quando passai in testa la linea del traguardo non ci credevo: «Ma cosa ho fatto?», mi dicevo.

Mondiali di ciclocross 2014: Lechner fu la prima azzurra a riuscire nell’impresa di salire sul podio in questa disciplina. Qui con Marianne Vos
Mondiali di ciclocross 2014: Lechner fu la prima azzurra a riuscire nell’impresa di salire sul podio in questa disciplina. Qui con Marianne Vos
Nel cross?

Nel ciclocross mi viene in mente la prima vittoria in Coppa del Mondo a Hoogerheide e il secondo posto al Mondiale: arrivare dietro Marianne Vos era come vincere a quei tempi. Quel giorno pensai a mettermi alla ruota di Marianne. Pensavo intanto a stare dietro a lei. Questo mi avrebbe fatto guadagnare terreno sulle altre e andò esattamente così. Poi nel corso della gara lei mi staccò, ma io stavo bene e mantenni il secondo posto.

E infine la “tua” MTB…

Per la mountain bike i momenti sono tantissimi, ma direi anche qui la prima vittoria in Coppa del Mondo a Houffalize nel 2010. C’era tanto fango quel giorno. A un certo punto, in cima a una salita, c’era una stradina stretta, stretta. Io ero a ruota di Willow Rockwell e ricordo che lì stavo benissimo. Avrei potuto passarla quando volevo. Ma lì non si poteva. Con estrema tranquillità dissi a me stessa che lo avrei fatto appena possibile. E così feci. Andò tutto secondo i piani, tutto era sotto controllo. Tutto facile. Il top a livello psicofisico. E poi ricordo la medaglia d’argento ai Mondiali di Leogang: salire sul podio iridato fu una grandissima soddisfazione. Era il 2020 ed era passato qualche anno (per la cronaca vinse Pauline Ferrand-Prévot, ndr).

Ci sono stati momenti difficili? Delusioni?

Direi le Olimpiadi, soprattutto quelle di Londra 2012, dove davvero potevo fare qualcosa di importante. Era un anno difficile, non riuscivo a esprimermi al meglio, avevo troppa pressione. Dopo la gara ero a pezzi. Per un bel po’ non sono riuscita neanche a salire in bici.

Le Olimpiadi, il tasto dolente di Lechner. Ne ha disputate quattro. Miglior piazzamento il 16° posto a Pechino 2008
Le Olimpiadi, il tasto dolente di Lechner. Ne ha disputate quattro. Miglior piazzamento il 16° posto a Pechino 2008
E come ti sei rialzata?

Non so di preciso. C’era ancora un Mondiale e, piano piano, sono ripartita. Mi ha aiutato pormi un nuovo obiettivo: quando hai qualcosa da raggiungere, trovi la forza per ripartire e così è andata. Ma fu una vera batosta.

Senza togliere nulla agli altri, qual è il “tuo” tecnico?

Edi Telser, il mio preparatore per 13 anni. Lui è di Prato allo Stelvio. Ora è il cittì della Svizzera. Mi ha seguita a lungo e ha avuto un impatto enorme sulla mia carriera. È lui che mi portò nella selezione dell’Alto Adige, mi fece fare il primo ritiro, le gare all’estero e tanto altro.

Come hai iniziato a correre?

Ho iniziato a 16 anni, un po’ tardi. Non sapevo nemmeno che esistessero le gare di mountain bike. Dalle mie parti c’erano tutti sport di squadra. Io ho sempre amato la competizione, ma non mi piacevano gli sport di squadra appunto. Ho provato anche l’atletica leggera, ma…

Una Eva in formato bambina. Eccola, piccolissima, con una mtb ben più grande di lei
Una Eva in formato bambina. Eccola, piccolissima, con una mtb ben più grande di lei
Ma?

Ma non mi piaceva, non tanto per lo sport in sé, ma perché quando andavi ad allenarti facevi altre cose, esercizi. Mentre nella bici, se gareggi o se ti alleni, comunque pedali.

E quindi come sei arrivata alla bici?

Avevo iniziato ad andare in bici, ma così, da sola. Era quella delle mie sorelle più grandi. Ma ormai, arrivata a me, era sempre rotta. Papà me l’aggiustava, ma io questa cosa proprio non la sopportavo. Così un’estate ho fatto la baby sitter e con i soldi ho comprato la mia prima bici. Era una Giant argentata, una mtb rigida. La scelsi perché mi piaceva. Quello però fu anche il momento in cui cambiarono le cose.

Perché, cosa accadde?

Entrando nel negozio di bici ad Appiano ho conosciuto il mio primo allenatore, Anglani, che mi ha invitata a provare. Alla prima gara, a Villa Lagarina, feci una fatica immensa, ma mi è piacque subito. Ero proprio contenta e soddisfatta. Da lì altre gare. C’era una ragazza, sempre dell’Alto Adige, che mi batteva sempre. Poi al campionato italiano l’ho battuta io! Da quel giorno non mi è più arrivata davanti.

Avevi messo le cose in chiaro!

Sì, l’anno dopo, il primo anno junior, vincevo tutto. Al secondo anno, nel 2003 a Nalles, che per me era una gara di casa, Morelli e Telser ebbero l’idea di farmi partire con le élite, giusto per capire dove potevo arrivare. I giudici fecero un’eccezione e mi fecero partire con le élite. C’era un bel parterre: Kalentieva, Dahle, Kraft… Finii terza, davanti a tutte le altre italiane.

I cavalli, una passione di lungo corso per Eva (foto Sabine Jacobs)
I cavalli, una passione di lungo corso per Eva (foto Sabine Jacobs)
Oggi c’è una nuova Eva Lechner in Italia?

Bisogna vedere. Oggi i ragazzi sono già super allenati e hanno materiale al top. Bisogna capire quanto lavoro hanno già fatto e quanto margine di miglioramento gli resta, perché vedo delle ragazze e dei ragazzi sono fortissimi da piccoli, poi però non arrivano. Ci sono i giovani stra-allenati. Tutto è diverso, anche le discipline. Le gare sono più corte, sono più intense… Non so, ma credo sarà difficile per loro avere una carriera lunga tanto quanto la mia. Sono costretti ad essere professionali sin da subito e mentalmente non è facile.

E dal punto di vista della multidisciplinarietà?

Quella c’è e credo sia un bene. Spero che continuino a fargliela fare anche quando sono più grandi. Io l’ho fatta sin da giovane. “Tels”, ai tempi, mi faceva fare le gare su strada e questo è importante soprattutto per chi fa ciclocross da quel che vedo.

Oltre ai tuoi cavalli, cosa prevede il futuro?

Mi piacerebbe rimanere nell’ambiente e aiutare i giovani a crescere. Trasmettere la mia esperienza e far parte del loro percorso. È una cosa che mi piacerebbe molto, anche se non so ancora in quale ruolo. Vedremo nelle prossime settimane cosa accadrà, visto che devo parlare con qualcuno. Speriamo bene!

Van der Poel fa sette, Agostinacchio ci regala un’impresa

02.02.2025
6 min
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Finisce che nel giorno in cui tutti attendevano Van der Poel e Van Aert, il ricordo più bello dei mondiali di Leivin ha lo sguardo allegro, commosso e anche divertito di Mattia Agostinacchio, campione del mondo juniores di ciclocross, già campione d’Europa. E se la gara dei grandi ha confermato un copione così prevedibile da non essere particolarmente emozionante (per i non olandesi e i non tifosi di Van der Poel), la rincorsa dell’azzurro al titolo mondiale è stata rocambolesca come si addice a un’impresa.

«Sono partito anche bene – dice Agostinacchio sorridendo – direi in seconda posizione. Poi però me ne sono successe di tutti i colori, pur consapevole, avendo visto il percorso, che non si dovesse commettere il minimo errore. Ho rotto una scarpa. Mi si è abbassata la punta della sella. Ho bucato due volte. Però non ho mai mollato. E quando ho visto che all’inizio dell’ultimo giro avevo 10-15 secondi dal francese, mi sono detto: adesso o mai più».

Le ultime gare di Coppa non erano state il massimo per Agostinacchio: l’emozione ora è fortissima
Le ultime gare di Coppa non erano state il massimo per Agostinacchio: l’emozione ora è fortissima

Le parole di Pontoni

Questa è la storia di un giorno che Agostinacchio farà fatica a dimenticare, venuto dopo la delusione per la Coppa del mondo sfumata in extremis. Ma Pontoni ci aveva visto lungo, prevedendo che quella rabbia sarebbe stata benzina sul fuoco per il giorno di Lievin.

«Con Daniele ho un buonissimo rapporto – va avanti Agostinacchio – ed è capitato più di una volta che mi abbia ricordato i miei valori, anche quando ero io il primo a dimenticarli. Ero molto dispiaciuto per la Coppa, ma dentro di me sapevo che la forma continuasse a essere buona. C’è voluto un giorno per mandare via la delusione, poi ho spazzato via tutto e ho messo la testa sul mondiale».

Il fango ha reso le rampe più ripide scivolose e poco pedalabili: Agostinacchio non ama queste condizioni
Il fango ha reso le rampe più ripide scivolose e poco pedalabili: Agostinacchio non ama queste condizioni

L’ultimo giro a tutta

Peccato per la brutta sorpresa quando, arrivato in questo spicchio di Francia al confine con il Belgio, si è reso conto che il percorso disegnato dai francesi non gli piacesse neanche un po’ e ancor meno gli andava a genio il fango.

«I primi giri che vi abbiamo fatto sopra – sorride Agostinacchio – non mi hanno dato sensazioni buonissime, perché il fango non mi piace proprio. Però era quello e lo abbiamo affrontato, con le scelte tecniche che avevamo deciso alla vigilia e senza cambiare nulla per il giorno di gara. Se cambi proprio il giorno del mondiale, rischi di combinare dei disastri. Quando siamo arrivati all’ultimo giro e ho deciso di attaccare il francese, non mi sono messo a pensare a un punto in particolare. Si doveva fare la differenza su ogni metro. Per cui, quando l’ho preso e poi l’ho staccato, non mi sono più voltato sino alla fine. I francesi mi sono simpatici, anche quelli con cui mi trovo a lottare. In realtà credo di avere buoni rapporti con tutti…».

Oltre la sofferenza

E’ stata la gara più combattuta, ben più di quella degli elite. Il cittì Pontoni è d’accordo e tira le somme, dicendosi soddisfatto e fregandosi le mani per il domani che ci attende e anche per il dopodomani. Gli accenniamo le parole di Mattia sul suo ruolo di fine psicologo.

«A volte Mattia – dice Pontoni – ha bisogno di supporto psicologico più che del resto. Ha gambe e tecnica da vendere. Solo che come i grandi campioni, si spaventa e ha paura di essere giudicato dall’esterno. Va stimolato, anche se oggi c’erano poche cose che potevi dirgli. Sapevo che dovevamo crederci fino in fondo, perché aveva fatto la stessa rimonta a Zonhoven. Non ha ancora 18 anni, ma ha una qualità rara. Quando arriva al limite, riesce a varcarlo per i secondi necessari a fare la differenza. Oggi all’inizio dell’ultimo giro ha visto il fondo del barile, era ormai al buio, ma è riuscito ad andare oltre, aprendosi un portone. Oltre a lui, sono andati bene tutti gli altri. Grigolini, ma anche Pezzo Rosola che senza la caduta sarebbe finito nei cinque, al pari di Giorgia Pellizotti che era da medaglia. Grande gara anche di Viezzi, che al primo anno mi ha davvero colpito e bellissimo il Team Relay, specialità che mi piace tantissimo. Riparto soddisfatto, grato al mio staff, al team performance e alla presenza del presidente Dagnoni e di Roberto Amadio. Ci ha fatto piacere averli con noi e sono stati uno stimolo ulteriore».

Le chiavi del successo

Quando ha tagliato la linea di arrivo e anche ora che ci stiamo parlando, la sensazione è che Mattia Agostinacchio, 17 enne di Aosta, non si sia reso conto di cosa abbia combinato. Pur avendo vinto già il campionato europeo e avendo quasi portato a casa la Coppa del mondo, il mondiale è un obiettivo così alto da far tremare le gambe.

«Se tre mesi fa mi avessero detto dove sarei arrivato – ammette con un sorriso – non ci avrei creduto. Penso che la chiave di volta siano stati la maturazione atletica e gli allenamenti, ma da qui a pensare che avrei vinto il mondiale, il passo è lungo. Per questo faccio fatica a dire a cosa pensassi tagliando il traguardo e nemmeno mi ricordo chi sia stata la prima persona che ho visto. C’era tutto lo staff. Poi ricordo di aver salutato mio padre, che era qui a Lievin, ho chiamato mia madre e mio fratello che non sono potuti venire. Ho chiamato il mio procuratore. Sul podio ero emozionato, ma c’è una foto con la mano sugli occhi in cui stavo ridendo, non piangevo. Adesso però si torna a casa. Domani lo passo tutto nel letto a dormire. Poi mi riposo e solo poi penserò alla stagione su strada con la Trevigliese. Una cosa per volta, però. Oggi ho vinto il mondiale di ciclocross».

Una giornata all’insegna del ciclocross insieme a Martina Fidanza

24.01.2025
5 min
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Capita, durante il ritiro di gennaio, di essere vicini a Benidorm, dove si è corsa una tappa di Coppa del mondo di ciclocross. Allora, visto che le tue compagne saranno impegnate sullo sterrato di questa cittadina a sud della Spagna, decidi di andare a vederle. In poche parole questo è ciò che è capitato alle ragazze della Visma Lease a Bike e a Martina Fidanza. Da qualche foto social abbiamo visto l’entusiasmo e i sorrisi delle atlete del team olandese. Così siamo andati da Martina Fidanza per farci raccontare l’esperienza vissuta. 

«Eravamo in ritiro – spiega mentre si dirige in macchina verso la sede di Nimbl – e sapevamo che le nostre compagne sarebbero state impegnate nella tappa di coppa del mondo a Benidorm. Margaux (Vigie, ndr) ha organizzato la trasferta, chiedendo prima ai diesse e ai manager. Avevamo quattro ragazze del team che avrebbero corso: Van Empel, Marianne Vos, Viktória Chladonova e Imogen Wolff. Volevamo essere presenti per supportarle».

Nei giorni della tappa di coppa del mondo di Benidorm Martina Fidanza e compagne si trovavano in ritiro a Gandia
Nei giorni della tappa di coppa del mondo di Benidorm Martina Fidanza e compagne si trovavano in ritiro a Gandia

Il viaggio

In pochi giorni, se non ore, tutto era pronto e organizzato. Dal ritiro di Gandia allo sterrato di Benidorm, per una giornata all’insegna del ciclocross.

«Avevamo studiato bene il programma – dice Martina Fidanza – ed era abbastanza stressante. L’idea iniziale era quella di andare a vedere anche la gara degli uomini, ma la giornata diventava troppo lunga. Per fortuna la gara capitava in un momento comodo del ritiro, tanto che siamo riusciti a incastrare lì il giorno di riposo. Abbiamo preso due macchine, una la guidava la nutrizionista del team, e siamo partite. Appena finita la corsa delle nostre compagne ci siamo rimesse in viaggio, così da essere in hotel per le 17 e fare un paio di ore di riposo».

Che te ne pare dell’atmosfera si respira nel ciclocross?

E’ molto bella. Per le nostre compagne averci lì a bordo pista voleva dire avere una spinta in più, glielo si leggeva negli occhi ogni volta che passavano davanti alla nostra postazione. Quando ero piccola, da esordiente, ho corso per due anni nel ciclocross e mi ricordavo fosse un mondo divertente. Però non ero mai stata a una gara di Coppa del mondo. Non mi aspettavo che ci fosse così tanta gente. Solo per trovare spazio intorno al percorso ci siamo dovute impegnare.

Dalle foto abbiamo visto che vi siete anche attrezzate per il tifo…

Ognuna di noi ha deciso un po’ come fare per dare sostegno, in due si sono messe un costume: una da apicoltore e l’altra da ape. Altre avevano delle campane. Il tutto per farci riconoscere. A me è bastata la voce, sicuramente mi hanno sentita (ride, ndr). 

Erano quattro in totale le ragazze in gara della Visma, qui in foto Imogen Wolff
Erano quattro in totale le ragazze in gara della Visma, qui in foto Imogen Wolff
Le quattro che hanno corso erano con voi in ritiro a Gandia?

Sì. Per questo siamo venute a conoscenza della gara e abbiamo deciso di andare. Loro quattro sono partite il giorno prima verso Benidorm e hanno dormito lì. 

Avete fatto delle domande prima di partire?

Durante i giorni di ritiro eravamo curiose, chiedevamo loro se il percorso fosse di loro gradimento. Poi mentre si svolgeva la gara ci facevamo un po’ di domande tra di noi a bordo del tracciato. Tra chi corre solo su strada e chi anche su pista non conoscevamo esattamente le dinamiche del ciclocross. Quando Fem (Van Empel, ndr) era davanti da sola ci chiedevamo se avesse aspettato Marianne (Vos, ndr) per andare insieme all’arrivo. 

Le ragazze della Visma si sono organizzate per la trasferta, portando anche dei costumi: ape e… apicoltrice
Le ragazze della Visma si sono organizzate per la trasferta, portando anche dei costumi: ape e… apicoltrice
Invece?

Non lo ha fatto. Ma direi che nel ciclocross non c’è tanta tattica. O per lo meno, non di squadra. Ognuna imposta il suo ritmo e fa la sua gara. 

Una volta tornate avete parlato con loro?

Abbiamo chiesto dei feedback sul percorso. Ci hanno risposto che era un po’ diverso dai classici sterrati del ciclocross. Era più da gravel a detta loro, per questo si sono trovate avvantaggiate. 

Una delle cose che ha colpito maggiormente Martina Fidanza è la grande affluenza di pubblico
Una delle cose che ha colpito maggiormente Martina Fidanza è la grande affluenza di pubblico
Cosa ti ha colpito di più delle dinamiche di questa disciplina?

La partenza, quasi scioccante. Partono fortissime e sono davvero tante. Viktória (Chladonova, ndr) ha perso posizioni all’inizio a causa di due che si sono toccate, nonostante ciò è arrivata decima al traguardo. Terza tra le under 23. Mi ha impressionato quanto sia importante partire bene. Nonostante tutto è comunque arrivata tra le prime dieci. Vederla rilanciare, recuperare e sorpassare è stato molto emozionante. 

Poi in spazi così stretti…

E’ importantissimo anticipare e correre davanti. La differenza di fatica tra le prime tre e le altre deve essere tanta. In quel percorso poi si formavano trenini da dieci atlete, l’ultima all’uscita delle curve prendeva delle “frustate” incredibili. Se ti metti davanti, invece, imposti il tuo ritmo e stai un pochino più tranquilla. 

Olympia Challenge (versione gravel): garantisce Fontana

20.01.2025
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Il test completo di Olympia Challenge (versione gravel). E' la bici usata nel ciclocross da Filippo Fontana e disponibile nella versione con allestimento dedicato al gravel, noi abbiamo provato quest'ultimo. Challenge si dimostra una bici che si spinge verso l'agonismo, o comunque un prodotto dedicato a chi ama spingere sui pedali e divertirsi aprendo il gas. Compatta e agile, divertente e reattiva, ma soprattutto con un prezzo davvero interessante e alla portata di molti.

Olympia Challenge è una gran bicicletta e una volta portata sullo sterrato non ha paura di nulla, un mezzo sul quale è semplice fare affidamento. E’ usata (e vincente) in ambito ciclocross da Filippo Fontana, è un bel cavallo di razza quando i percorsi gravel obbligano ad una velocità maggiore.

Comoda sì, ma fino ad un certo punto, perché il DNA corsaiolo e spinto non si nasconde. L’abbiamo usata e provata in configurazione gravel, dove il giusto setting in fatto di ruote e coperture fa la differenza. Entriamo nel dettaglio della nostra prova.

La Challenge in versione gravel
La Challenge in versione gravel

Il nodo sella by Olympia

I dettagli di telaio e forcella sono tanti e ognuno ha un compito ben preciso. Quello che colpisce maggiormente però tutto il blocco del nodo sella, ovvero il punto di unione tra gli obliqui, il piantone e l’orizzontale, naturalmente il seat-post.

«La chiusura sella è originale Olympia – argomenta Alberto Pizzo, designer e project manager Olympia – e viene usata anche su altri modelli e-bike che abbiamo. Aiuta ad aumentare il raccordo del tubo per irrobustire il telaio e mantiene una linea filante ed integrata senza rinunciare a praticità e sicurezza. La scelta del diametro 30.9 nasce per dare la possibilità a chi volesse di montarla anche con il reggisella telescopico. Questo modello viene venduto anche come kit Telaio e prevede uno sportellino per nascondere l’attacco deragliatore, nel caso si volesse montare la corona singola. La bici è compatibile per la trasmissione meccanica ed elettromeccanica».

La Challenge in test

Una taglia media che offre degli spunti interessanti anche sotto il profilo geometrico. Ha due valori, reach e stack in linea con la categoria, rispettivamente 39 e 55 centimetri, un carro compatto a 42,5 centimetri ed un passo complessivo di 101,2 centimetri, decisamente corto per essere una gravel. Siamo alla stregua di alcune bici road endurance di nuova generazione. Non è un fattore secondario e si riflette in modo esponenziale su una bici estremamente reattiva, agile e briosa, tutto pepe e da tenere per le briglie quando si affrontano tratti particolarmente scassati.

Telaio e forcella in carbonio (un blend di fibre lavorate con tecnologia monoscocca), attacco e manubrio in alluminio, così come il reggisella, tutto X-Feel. La sella è una San Marco GND. La trasmissione è Shimano GRX 2×12 di matrice meccanica (che funziona a meraviglia) 48/31 e 11/36. Anche l’impianto frenante è GRX con cerchi da 160 di diametro. Le ruote sono il risultato di un assemblaggio che ha l’obiettivo di dare sostanza e contenere il prezzo. Cerchio in alluminio X-Feel tubeless ready e mozzo Shimano. Le coperture sono Schwalbe G-One Bite TLE (tubeless). Il peso rilevato è di 9,8 chilogrammi (senza pedali). Prezzo di listino di 2.585 euro.

Una bici tutte pepe

Come accennato in precedenza, la Challenge è un bel cavallo di razza, il DNA spinto verso le gare si percepisce, si sente parecchio. Le versione in test non è una bici banale, anche se l’allestimento non rende completamente merito ad un kit telaio molto, molto interessante. E’ veloce e agile, soprattutto nei contesti più tecnici dove è fondamentale avere un mezzo preciso e semplice da “far girare” negli spazi più stretti (che in ambito ciclocross non è un dettaglio, ma anche nei contesti gravel può fare una grande differenza). Davanti però è da tenere e assecondare, perché la sua briosità non è celata. Bello tosto anche il comparto centrale, che sotto il profilo della resa tecnica rispecchia un impatto estetico muscoloso che non passa inosservato.

La zona del nodo sella e tutto il piantone smorzano poco o nulla, dedicati a chi piace “sentire” la bicicletta. I vantaggi si sentono soprattutto in salita e quando si rilancia da seduti e si alza il ritmo. Zero flessioni e ondeggiamenti, zero dispersioni.

In salita è un bel cavallino e ha una buona trazione del posteriore
In salita è un bel cavallino e ha una buona trazione del posteriore

Fra gomme e pressioni

In conclusione, la Challenge di Olympia è una bicicletta per nulla banale. Soprattutto in ottica training e gravel invernale, la bici stessa necessita di un setting adeguato derivante in modo particolare dalle pressioni degli pneumatici. Qualche “zero-virgola” di bar in meno per sfruttare una maggiore fase ammortizzante, un galleggiamento accentuato sullo sterrato (e sul fango) e per dare respiro ad una zona lombare che è sollecitata.

La Challenge è una bici gravel che strizza l’occhio alle gare e la customizzazione adeguata di ogni singola parte è un aspetto che non deve passare in secondo piano. A prescindere, sposiamo a pieno la scelta di usare pneumatici tubeless da 40 millimetri di larghezza su un mezzo del genere.

Corsaiola, ma non estrema
Corsaiola, ma non estrema

In conclusione

Un applauso ad Olympia. Un 10 pieno al progetto e una lode a chi a disegnato la Challenge, che a prescindere dall’utilizzo e dall’interpretazione è una bici con un design e forme proprie che si distingue dalle altre. Mette qualche accento anche sulla resa tecnica, perché non fa nulla per nascondere il DNA race e quella compattezza che non guasta mai, neppure su asfalto. Sui tratti di bitume sembra una bici da strada a tutti gli effetti, con una capacità di rispondere ai cambi di ritmo che è degna di nota.

L’allestimento è più che efficiente, ma in ottica risparmio di peso e sfruttabilità completa del kit telaio un upgrade sarebbe necessario. Nel complesso il rapporto qualità/prezzo della bici completa è molto buono, diventa eccellente se consideriamo i 1.825 euro del frame-kit.

Cicli Olympia

Tra ciclocross e nuovo coach, l’inverno tribolato di Merlier

18.01.2025
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E’ proprio vero che in tanti casi il dolce viene alla fine. Analizzando l’inverno di Tim Merlier è proprio così. Settimane tribolate, con un magone nello stomaco che non poteva togliersi. Viso accigliato e quella sensazione di disagio che accompagnava le sue due uniche uscite nel ciclocross (che meritano un approfondimento, ma ci torneremo più avanti): «Sapevo da tempo che Erwin Borgonjon stava per lasciarmi e non potevo neanche dirlo. Un problema per il mio futuro che diventava più incerto, ma poi c’era anche l’aspetto umano, un rapporto di lavoro e d’amicizia che durava da 11 anni».

Una delle vittorie del belga al Tour, a Pontivy nel 2021. Ci tornerà quest’anno, come pure alla Vuelta
Una delle vittorie del belga al Tour, a Pontivy nel 2021. Ci tornerà quest’anno, come pure alla Vuelta

Il doloroso addio a Borgonjon

Borgonjon è stato per questo lasso di tempo il suo allenatore e Tim gli deve molti dei suoi successi, della sua crescita veemente fino a diventare uno degli sprinter di riferimento. Il tecnico ha scelto di dirigersi verso la Tudor, inquadrandosi nel grandioso progetto messo in piedi da Cancellara e per Merlier tutto è stato messo in discussione: «Non sapevo con chi sostituirlo – ha raccontato, a cose fatte, a Wielerflitscon Erwin avevamo una fiducia reciproca al 100 per cento. Mi conosceva più di quanto mi conosco io».

Poi, mentre Tim era ancora alla ricerca di un nuovo coach, la Soudal ha deciso per lui affiancandogli l’ex direttore tecnico della federazione belga Frederik Broché. Cambiare in corsa non è mai semplice, c’è stata da impostare tutta la stagione e soprattutto la preparazione in tempi ultrarapidi: «Con Frederik cambia molto, in termini di approccio e strategie ma potrebbe essere una scelta molto fruttuosa».

Per Merlier due sole gare di ciclocross quest’anno, ma il corridore di Wortegem ne avrebbe fatte altre (foto Corvos)
Per Merlier due sole gare di ciclocross quest’anno, ma il corridore di Wortegem ne avrebbe fatte altre (foto Corvos)

Che fatica con Iserbyt e Vanthourenhout

Qui entra in scena il discorso ciclocross. Cambiando con così poco tempo, c’è stato da decidere e Broché, che pure è favorevole all’attività invernale, ha dovuto optare per una presenza sporadica, ridotta a due sole gare nel periodo delle feste: «Il ciclocross dà un’intensità più profonda che il puro allenamento su strada e Broché è della mia stessa opinione – ha spiegato a Sporza il campione europeo su strada – la preparazione per l’attività invernale è utile anche per il miglioramento della tecnica di volata perché permette di affinare la guida e mantenere un alto livello di competitività. Avrei fatto altre gare, ma coincidevano con il periodo di preparazione in Spagna e non era il caso di saltarlo o interromperlo».

Eppure Merlier aveva sorpreso a Loenhout, soprattutto in quell’avvio dov’era l’unico a tenere il passo di Van der Poel, anche più di Van Aert andando poi in calando ma chiudendo comunque nono. Molto meglio di quanto aveva preventivato: «Nel ciclocross non t’inventi niente. Le gare belghe sono spesso altalenanti – diceva prima della partenza – e se parti molto indietro non puoi ambire al risultato, vedi quel che è successo a Toon Aerts nelle prime gare. Io non le ho preparate in modo specifico, anzi per dirla tutta ho fatto una sessione di allenamento con Iserbyt e Vanthourenhout, ma è stata troppo dolorosa…».

A Loenhout nella prima parte ha lottato ad armi pari con Van Aert e Van der Poel
A Loenhout nella prima parte ha lottato ad armi pari con Van Aert e Van der Poel

La protesta degli altri big

Intorno al campione della Soudal si era anche creato un vespaio. Merlier aveva paventato infatti l’idea di competere nella prova di Besançon della Coppa del mondo, ma poi aveva deciso di soprassedere per non mettere in difficoltà il cittì De Clercq. Questi avrebbe dovuto fargli avere una wild card, ma dagli altri capisquadra c’era stata un’autentica levata di scudi che aveva minato i già tenui equilibri in seno alla nazionale.

Dicevamo però all’inizio che il dolce viene alla fine. In occasione del media day del team è stato infatti reso noto che Merlier ha prolungato il suo contratto per altri 4 anni: «Fin da quando ero giovanissimo sognavo questo team, quello del Wolfpack e prolungare il contratto per altri due anni significa molto. Ho già vinto molto con questa maglia, potrò farlo anche di più insieme a Bert».

Merlier con Bert Van Lerberghe, amico d’infanzia e suo uomo fidato per le volate
Merlier con Bert Van Lerberghe, amico d’infanzia e suo uomo fidato per le volate

Un uomo solo per il Tour

Bert è Bert Van Lerberghe, che era arrivato con lui e con il quale condivide un’amicizia sin da quando erano bambini: «La nostra intesa si traduce in un forte legame anche in corsa e il fatto che abbiano rinnovato il contratto anche a lui mi dà ancora più fiducia. E’ l’uomo ideale per guidare le mie volate, anzi ho già detto che per il Tour avrò bisogno solo di lui per giocarmi le mie chance di conquistare una tappa».

Già, perché nel programma di Merlier c’è anche la Grande Boucle, insieme alla Vuelta. La sua presenza al Tour era sfumata lo scorso anno perché i tecnici giudicavano impossibile impostare una squadra su due obiettivi, la classifica di Evenepoel e le sue volate. La soluzione proposta dallo stesso Merlier ha dissolto le nubi e quindi alla prossima edizione si lavorerà per fare il meglio in entrambe le direzioni. Prima ci sarà da pensare però alle classiche.

Merlier vanta un ottimo passato nel ciclocross, con ripetuti podi tra il 2013 e il 2018 (foto Corvos)
Merlier vanta un ottimo passato nel ciclocross, con ripetuti podi tra il 2013 e il 2018 (foto Corvos)

Appuntamento a Kuurne

Merlier farà il suo esordio all’AlUla Tour e poi si concentrerà sulle classiche: «Ci riproverò alla Gand-Wevelgem, ma bisogna che i pezzi del puzzle vadano a combinarsi nel dovuto modo, mentre la Roubaix si sa che è legata molto alla fortuna. Per il resto, senza Asgreen e Alaphilippe, il nostro modo di correre le classiche cambierà e saremo di più a poter emergere. Attenzione ad esempio a Lampaert, Vangheluwe e Van Gestel, sono tutti in grado di fare molto bene. E poi c’è Magnier, che per me è come Van Aert, anzi è anche più veloce».

Il belga ha già scelto comunque la gara su cui puntare e la scelta stupisce: «Se devo dirne una, penso alla Kuurne-Bruxelles-Kuurne perché ha il percorso ideale per me». Poi fa una promessa: «Un giorno farò tutta la stagione del ciclocross, preparandola come si deve. Perché sarà la stagione del mio addio».

Campionati Italiani Giovanili di cross, ecco perché piacciono

12.01.2025
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I campionati italiani di Follonica, un bell’esempio di promozione per il ciclocross e per il ciclismo giovanile in genere. Un plauso alla ASD Romano Scotti che arriva da più direzioni, non in ultimo da Fabrizio Tacchino (preparatore e anche tecnico federale) che abbiamo intervistato nel post evento. Fausto Scotti ed il suo staff hanno organizzato a Follonica la rassegna nazionale di ciclocross dedicata alle categorie giovanili.

Il ciclismo ha bisogno di tornare a crescere anche sotto il profilo della durezza, della tecnicità dei percorsi, ma sempre con le giuste proporzioni di sforzo legate alle categorie dei partecipanti, fattori che potrebbero riportarci al pari di nazioni che in questo periodo storico la fanno da padrone.

Fabrizio Tacchino con Nicolò Maglietti e Giovanni Bosio, campioni del team releay (foto Tacchino)
Fabrizio Tacchino con Nicolò Maglietti e Giovanni Bosio, campioni del team releay (foto Tacchino)
Ti sentiamo entusiasta dell’evento appena concluso!

Per me è stata una bellissima manifestazione, ben congegnata e ben fatta sotto tutti i punti di vista. Lo ritengo il sigillo di una stagione giovanile del ciclocross che è anche una sorta di rilancio vero e proprio. Un elogio a chi ha avuto il coraggio di organizzare un evento del genere, una manifestazione che diventa un’ottima base per una ricostruzione tecnica del ciclismo, a partire dai giovani.

Ti riferisci al percorso?

Anche. Di sicuro il tracciato è stato degno di una rassegna nazionale del ciclocross, impegnativo e tecnico per gli atleti, a tratti anche molto impegnativo, ma è giusto così. Comunque ben strutturato anche in base al modello di sforzo proporzionato all’età. Non bisogna dimenticare che hanno gareggiato le categorie esordienti e allievi. Un campionato nazionale non deve essere una gara fatta a caso. Bello per gli spettatori che hanno beneficiato di una panoramica di un tracciato come andrebbe fatto.

Tracciato completo, tecnico ed impegnativo, ma ben studiato per i ragazzi (foto ASD Scotti)
Tracciato completo, tecnico ed impegnativo, ma ben studiato per i ragazzi (foto ASD Scotti)
Per fare un paragone, un percorso degno delle gare del Belgio?

Con le dovute proporzioni e considerando che si tratta di categorie giovanili, direi di si. Anche se è necessario sempre fare delle considerazioni ben precise.

A cosa ti riferisci?

Spesso si celebrano, da una parte giustamente, i circuiti di Belgio e Olanda, ma è necessario considerare che in quelle Nazioni buona parte dei tracciati sono permanenti. Sono dei veri stadi e arene. In Italia questo non esiste, perché i percorsi da ciclocross vengono tracciati nei giorni antecedenti alla gara o comunque non sono permanenti. Non è una banalità, una variabile che influisce anche sulla tecnicità dei percorsi.

Ambire alla qualità dei tracciati?

Esattamente. In Italia dobbiamo tornare a disegnare, tracciare e far correre gli atleti all’interno di tracciati con una elevata tecnicità, partendo dalle rassegne nazionali ed eventi più importanti e poi a cascata un po’ ovunque. La semplicità non porta a nulla.

Una fase di partenza lungo il rettilineo che anticipava il tracciato vero e proprio (foto ASD Scotti)
Una fase di partenza lungo il rettilineo che anticipava il tracciato vero e proprio (foto ASD Scotti)
Un fattore che potrebbe aiutare a sfornare talenti?

Le gare facili abbassano il livello dei corridori o comunque non ci mettono al pari delle Nazioni che dominano. I percorsi tecnici divertono il pubblico ed i ragazzi, diventano al tempo stesso un’eccellente base di lavoro e per la guida. Fanno crescere il livello complessivo, danno motivazione. Un livello elevato permette di gratificare anche con la sola partecipazione. E’ un incentivo.

Pensi che abbiamo perso molte gare con un elevato tasso tecnico?

Sì e non solo in ambito ciclocross. Paradossalmente sono rimaste tante gare facili. I motivi sono diversi, sicuramente i costi recitano la parte del leone. Soprattutto a livello giovanile abbiamo perso, purtroppo, la maggior parte degli eventi che si svolgevano sui tre giorni. Manifestazioni che permettevano di fare una grande esperienza ai più piccoli, gare che invece sono un modello tanto utilizzato all’estero. Sono idee che andrebbero riprese, sicuramente ripensate in ottica più moderna, ma comunque utilizzate.

La rassegna di Follonica, un bell’esempio di organizzazione e promozione del ciclismo giovanile
La rassegna di Follonica, un bell’esempio di organizzazione e promozione del ciclismo giovanile
Si parla tanto di far pagare un biglietto, la ritieni una soluzione?

In Italia è difficile pensare di far pagare il biglietto ad una gara di bici, ma non è impossibile. Come accennato in precedenza, a mio parere, è giusto prendere spunto da quello che vediamo arrivare dalle nazioni trainanti, ma altrettanto giusto calibrare al contesto italiano. Gli eventi collaterali sarebbero una buona soluzione, solo per fare un esempio.

Follonica, festa tricolore del cross al sapore di futuro

06.01.2025
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FOLLONICA – Vedere aggredire, una dopo l’altra, le dure rampe di fango dai giovani atleti e atlete che hanno partecipato ai Campionati Italiani Giovanili di Ciclocross di Follonica è stato un piacere per gli occhi. La loro fame, la loro voglia di dare il tutto per tutto al di là della posizione di gara è il ricordo più vivido che ci portiamo dietro. 

Impeccabilmente organizzata dall’Asd Romano Scotti, la manifestazione ha richiamato nell’Arena Centrale (ex ippodromo) di Follonica oltre 500 ragazzi delle categorie esordienti ed allievi, provenienti da tutta la Penisola. Basti pensare che l’organizzatore, Fausto Scotti, ha voluto che a delimitare gran parte dei 2.700 metri del circuito ci fossero le reti rosse come nelle prove di Coppa del mondo. Il fatto poi che dalla parte collinare dell’anfiteatro fosse possibile ammirare la totalità del percorso (una rarità) ha aggiunto spettacolo allo spettacolo.

«Vedere questi giovani correre è un grandissimo piacere – spiega Scotti – sono sei anni che veniamo su questo tracciato quindi lo conoscono un po’ tutti. Quest’anno abbiamo voluto colorarlo un po’. E poi abbiamo avuto autorità importanti come il presidente della Regione Toscana Eugenio Giani e il presidente federale Dagnoni».

Di madre in figlia

In questa cornice anche i genitori si sono sentiti maggiormente coinvolti, tanto che alcuni hanno rincorso ed incitato i propri figli spendendo forse più energie di questi ultimi. Come è normale che sia in un campionato italiano. «Prendi il gel!». «Scendi e sali a spinta!». «Fai una linea più larga in curva». Sono alcuni dei consigli che sono andati per la maggiore, fino al quasi commovente «Dai che è finita!» di una mamma super tifosa. Sua figlia tredicenne è stremata dall’acido lattico in cima ad una delle rampe finali dell’ultimo giro. Ci arriva piangendo, con la bici in spalla sfiorando le transenne e aiutandosi con un grido per superare l’ultimo metro.

E come non ricordare il baccano di campane e trombette o addirittura di un motore di motosega acceso a sgasare al passaggio dei propri beniamini? 

Il futuro del movimento

Sin dalla gremita riunione tecnica del sabato sera (che ha fatto seguito alle gare a staffetta del Team Relay) che si è svolta presso il Villaggio Mare Sì, i commenti dei direttori sportivi confermavano la durezza del percorso. Dopo le ricognizioni, invece, anche i ragazzi hanno ribadito la sua difficoltà. Con una parte più tecnica ed esigente, quella delle rampe naturali dell’arena, ed una in cui bisognava spingere di più, quella dei rettilinei nel tratto pianeggiante.

Sulle alture di Follonica gli spettatori erano chiamati dallo speaker gli “indiani”, per via delle loro silhouette che si stagliavano sul tracciato. Mischiato tra di essi abbiamo agganciato anche il tecnico della nazionale maggiore, Daniele Pontoni.

«Questi ragazzi delle giovanili – ci dice fra una prova e l’altra di Follonica – sono il futuro del movimento e qualcuno di loro li ritroveremo nelle nazionali maggiori. Molti li conosco, ma in questi giorni avrò modo di vederli più da vicino. Soprattutto per le categorie allievi c’è già da guardare e cominciare a programmare per le stagioni prossime».

Fra Borile e Careri

Le prove del mattino, quelle degli esordienti, si sono corse in una giornata quasi primaverile, ma il cielo di Follonica si è poi coperto portando per un breve momento anche una leggera pioggerellina fine che ha rappresentato un ostacolo in più per le categorie allievi. A proposito di ostacoli: l’organizzazione non ha previsto la presenza di quelli artificiali. Però la lunga scalinata posta nella seconda parte del circuito è stata per molti una rasoiata nelle gambe, dovendo ovviamente portare la bici in spalla.

Nel frattempo i ragazzi e le ragazze, sul fango e l’erba del circuito imbastito dall’Asd Romano Scotti, non si sono risparmiati. Va segnalata la battaglia curva su curva, rilancio su rilancio tra Alessio Borile e Michel Careri, con quest’ultimo a spuntarla nella categoria allievi 1° anno. Tra gli allievi 2° anno si è invece imposto il già campione europeo Tommaso Cingolani, davanti al fratello gemello Filippo. Nella categoria donne allieve di 1° anno ci ha colpito la vittoria di Matilde Carretta del Gs Mosole che ha preso subito il largo, particolarmente a suo agio sul percorso scivoloso, e ha condotto la gara in solitaria fino al traguardo. 

Per tutti gli otto vincitori che sono saliti sul podio ed hanno indossato la maglia verde bianca e rossa c’è stato l’onore dell’inno nazionale, un’emozione per molti inedita che ricorderanno a lungo.