«Ho voluto gettare un sasso nello stagno e capire se si possono smuovere le acque». Il post su Instagram della settimana scorsa di Marco Della Vedova sul ciclismo giovanile ha immediatamente avuto una grande eco nel panorama delle relative categorie e non solo. La causa scatenante era stato accorgersi che, a causa del fine corsa troppo vicino ai vincitori, la maggior parte dei ragazzi venuti da molto lontano non erano riusciti a concludere la gara. Da qui e dalle reazioni ricevute, è nata una denuncia delle problematiche, in termini di sicurezza e sprechi, delle categorie giovanili.
Il concetto è piuttosto chiaro quanto semplice. La base va coltivata adeguatamente se si vogliono avere ancora talenti, ma il rischio di arrivare ad un punto di non ritorno è molto alto per il diesse della Bustese Olonia. C’è una serie di problematiche che riguardano da vicino esordienti ed allievi (in apertura foto Aimi), senza tralasciare gli stessi juniores, in ogni gara. Con Della Vedova abbiamo riavvolto il nastro riprendendo il suo accorato sfogo per provare a vedere se ci possono essere delle soluzioni attuabili o per lo meno mettere sul piatto tanti spunti da approfondire. E’ serenamente consapevole di non avere la verità in mano ed è aperto ad ogni tipo di confronto o suggerimento. Sentiamolo su un argomento a lui sensibile.
Marco, quanto ti è costato scrivere quelle parole?
Tanto, ma mi sono venute spontanee. So che ci sono genitori che partono dalla Val Formazza con i propri figli per andare a correre a Brescia, raggiungendo la propria squadra. Oppure da Potenza Picena per andare in Emilia. Significa farsi 600 chilometri, più di sei ore di viaggio e quindi perdere una intera giornata per una gara di esordienti o allievi che sapete quanto durano. Sono sacrifici che in qualche modo andrebbero ripagati. Però se organizzatori, direttori di corsa e giuria non concedono a tutti i ragazzi di finire la propria gara, vuol dire che stiamo sbagliando qualcosa. E non da oggi.
Facendo gli avvocati del diavolo, sono situazioni che non si verificano sempre.
E’ vero che non è sempre così, per fortuna. Ma per me non dovrebbe capitare nemmeno una volta. So perfettamente che non si può trovare un rimedio istantaneo con delle parole sui social. So anche che non si possono far partire 280 esordienti e vederne classificati una quarantina tra primo e secondo anno perché li hanno fermati. Negli altri sport a quell’età tutti finiscono le proprie gare. Anzi, nella Mtb, ciclocross o pista si può, mentre non capisco perché nel ciclismo giovanile su strada non si possa.
Qual è il rischio principale?
Ripeto, c’è qualcosa che non va. Continuando a fare in questo modo, perderemo i ragazzi molto presto o sempre prima. La Federazione deve accorgersi che i numeri sono in picchiata. Già gli juniores sono ormai gestiti e considerati come se fossero in team continental e arrivano alla fine di quei due anni esasperati. Adesso questa estremizzazione c’è nei giovanissimi dove vedo tattiche surreali, bici con ruote ad alto profilo o freni a disco. Figuratevi negli esordienti o allievi. Invece a me interessa che dei ragazzini di tredici-quattordici anni finiscano la gara in sicurezza e soddisfatti di averlo fatto.
A proposito, la sicurezza è un altro tema importante.
Delicato direi, perché strettamente legato a quello del numero di partecipanti. Anche nell’ultimo weekend ho visto e ho saputo di gare con parecchi pericoli sulla strada per i ragazzi. Però non posso essere sempre io a fare casino (dice con un sorriso amaro, ndr). Qualcuno mi ha scritto in privato contestandomi e dicendo che non conosco l’argomento o che dovrei organizzare io se sono più bravo. Questo fa capire che non è stato capito il senso del mio sfogo.
Cos’hai risposto?
Devo dirvi che onestamente mi sono un po’ risentito. Sono nel ciclismo dal 1980, da quando ho iniziato da giovanissimo. Ho corso in bici per ventidue anni, ho fatto il pro’ per sette (con Brescialat, Lampre e Mercatone Uno, ndr), poi sono diventato diesse dei giovani e parallelamente sono vent’anni che lavoro per RCS Sport come ispettore di percorso delle loro gare. Tra tutto avrò più di tremila corse alle spalle vissute sotto ogni punto di vista, quindi, a costo di essere frainteso come un vanitoso, tutto quello che dico lo dico con cognizione di causa. E sono padre pure io. Poi certo, non ho la bacchetta magica per risolvere tutto, però non voglio nemmeno restare immobile davanti a certe cose.
Quali potrebbero essere le eventuali soluzioni?
Ce ne sono tante che si potrebbero valutare e provare a vedere se possono funzionare. Per prima cosa dovrebbero estendere il dispositivo del fine gara di ulteriori cinque minuti. Non possiamo vederlo fissato ad un minuto e mezzo dal vincitore, soprattutto nelle gare in circuito. Poi, laddove fosse possibile, bisognerebbe pensare a percorsi diversi, ma che possano essere completati da tutti. Dove c’è una folta partecipazione, come spesso accade in alcune gare, limitare il numero dei partecipanti oppure fare delle batterie per dorsali pari e dispari, dividendo le squadre equamente, come si fa nei meeting regionali o nazionali dei giovanissimi. L’organizzatore non deve voler fare a tutti i costi più categorie possibili in una giornata.
Cosa intendi?
Ad esempio se negli esordienti hai numeri alti, si fanno più partenze tra primo e secondo anno. Così tutti possono correre e finire la propria gara. Per me non è necessario che si corra per forza ogni weekend. Così come mi sento di dire che non tutte le società sono obbligate ad organizzare gare, anche perché si rischia di andare al risparmio per le cose fondamentali. Proviamo a vedere cosa fanno in altri Paesi, come la Svizzera, e prendere spunto. Da noi spesso ho visto e vedo delle contraddizioni.
Quali ad esempio?
Ci sono gare di esordienti con moto-tv, con radio-corsa da categoria elite e poi magari non hanno transenne adeguate oppure la gente necessaria per la sicurezza del percorso. Personalmente toglierei le premiazioni dai giovanissimi agli allievi o quantomeno non gli darei tutta questa importanza. Si rischia di creare aspettative inutili. Toglierei tutti quelli che sono i costi superflui, specialmente se un organizzatore o un comitato ha dimostrato di non sapere tenere un certo livello di sicurezza e valore sociale. Anche questo è un aspetto che va tenuto in considerazione.
Spiega pure.
Intanto a scuola non si insegna quasi più nulla ad educazione fisica. Si stanno riducendo le ore o sono le prime ad essere tagliate per certi programmi e comunque molti ragazzi le saltano. Non è un bel segnale. In questo senso il ciclismo, come il resto dello sport, deve tenere i ragazzi lontano da cattive situazioni o dalla sedentarietà psicofisica. Ma se il nostro sport non prova a cambiare mentalità a livello giovanile, non avremo più corridori fra qualche anno. Anche perché è faticoso e quando si cade ci si fa male. Oltre a non essere più sicuro per allenarsi. Adesso non mi stupisco se tutti tendono a scegliere tennis o nuoto. Possono praticarli al chiuso o all’aperto, ma in sicurezza. E tutti possono fare o completare le proprie gare.
Sono parole di un Marco Della Vedova pessimista o speranzoso?
Al momento dico pessimista, anche se dovrei dire realista. Guardo le cose come stanno andando e non vedo la voglia di cambiare. Il ciclismo giovanile dovrebbe provare a fare un paio di stagioni più austere come una volta, senza l’arrivismo attuale di certa gente. Venti-trenta anni fa si ambiva a raggiungere un certo tipo di servizi nelle gare giovanili con l’obiettivo comune di fare crescere dei corridori. Ora non è più così. Ora che avremmo tante possibilità di fare le cose fatte bene, abbiamo organizzatori che non si rendono conto di non essere all’altezza. Tutti vogliono fare quello che fa l’altro senza averne le credenziali. Per contro applaudo e faccio i complimenti a chi riesce ad allestire tutto alla perfezione o quasi. Di sicuro vedere il nostro amato sport con tali differenze nel settore giovanile mi fa molto male.