Della Vedova, un grido d’amore e d’allarme per il ciclismo giovanile

03.04.2024
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«Ho voluto gettare un sasso nello stagno e capire se si possono smuovere le acque». Il post su Instagram della settimana scorsa di Marco Della Vedova sul ciclismo giovanile ha immediatamente avuto una grande eco nel panorama delle relative categorie e non solo. La causa scatenante era stato accorgersi che, a causa del fine corsa troppo vicino ai vincitori, la maggior parte dei ragazzi venuti da molto lontano non erano riusciti a concludere la gara. Da qui e dalle reazioni ricevute, è nata una denuncia delle problematiche, in termini di sicurezza e sprechi, delle categorie giovanili.

Il concetto è piuttosto chiaro quanto semplice. La base va coltivata adeguatamente se si vogliono avere ancora talenti, ma il rischio di arrivare ad un punto di non ritorno è molto alto per il diesse della Bustese Olonia. C’è una serie di problematiche che riguardano da vicino esordienti ed allievi (in apertura foto Aimi), senza tralasciare gli stessi juniores, in ogni gara. Con Della Vedova abbiamo riavvolto il nastro riprendendo il suo accorato sfogo per provare a vedere se ci possono essere delle soluzioni attuabili o per lo meno mettere sul piatto tanti spunti da approfondire. E’ serenamente consapevole di non avere la verità in mano ed è aperto ad ogni tipo di confronto o suggerimento. Sentiamolo su un argomento a lui sensibile.

Marco Della Vedova, diesse degli juniores della Bustese Olonia. Ex pro’ per sette anni, da venti è anche ispettore di percorso per le gare RCS
Marco Della Vedova, diesse degli juniores della Bustese Olonia. Ex pro’ per sette anni, da venti è anche ispettore di percorso per le gare RCS
Marco, quanto ti è costato scrivere quelle parole?

Tanto, ma mi sono venute spontanee. So che ci sono genitori che partono dalla Val Formazza con i propri figli per andare a correre a Brescia, raggiungendo la propria squadra. Oppure da Potenza Picena per andare in Emilia. Significa farsi 600 chilometri, più di sei ore di viaggio e quindi perdere una intera giornata per una gara di esordienti o allievi che sapete quanto durano. Sono sacrifici che in qualche modo andrebbero ripagati. Però se organizzatori, direttori di corsa e giuria non concedono a tutti i ragazzi di finire la propria gara, vuol dire che stiamo sbagliando qualcosa. E non da oggi.

Facendo gli avvocati del diavolo, sono situazioni che non si verificano sempre.

E’ vero che non è sempre così, per fortuna. Ma per me non dovrebbe capitare nemmeno una volta. So perfettamente che non si può trovare un rimedio istantaneo con delle parole sui social. So anche che non si possono far partire 280 esordienti e vederne classificati una quarantina tra primo e secondo anno perché li hanno fermati. Negli altri sport a quell’età tutti finiscono le proprie gare. Anzi, nella Mtb, ciclocross o pista si può, mentre non capisco perché nel ciclismo giovanile su strada non si possa.

Qual è il rischio principale?

Ripeto, c’è qualcosa che non va. Continuando a fare in questo modo, perderemo i ragazzi molto presto o sempre prima. La Federazione deve accorgersi che i numeri sono in picchiata. Già gli juniores sono ormai gestiti e considerati come se fossero in team continental e arrivano alla fine di quei due anni esasperati. Adesso questa estremizzazione c’è nei giovanissimi dove vedo tattiche surreali, bici con ruote ad alto profilo o freni a disco. Figuratevi negli esordienti o allievi. Invece a me interessa che dei ragazzini di tredici-quattordici anni finiscano la gara in sicurezza e soddisfatti di averlo fatto.

Radio-corsa è presente quasi ad ogni gara. Della Vedova trova superflua la moto-tv nelle gare giovanili (foto Aimi)
Radio-corsa è presente quasi ad ogni gara. Della Vedova trova superflua la moto-tv nelle gare giovanili (foto Aimi)
A proposito, la sicurezza è un altro tema importante.

Delicato direi, perché strettamente legato a quello del numero di partecipanti. Anche nell’ultimo weekend ho visto e ho saputo di gare con parecchi pericoli sulla strada per i ragazzi. Però non posso essere sempre io a fare casino (dice con un sorriso amaro, ndr). Qualcuno mi ha scritto in privato contestandomi e dicendo che non conosco l’argomento o che dovrei organizzare io se sono più bravo. Questo fa capire che non è stato capito il senso del mio sfogo.

Cos’hai risposto?

Devo dirvi che onestamente mi sono un po’ risentito. Sono nel ciclismo dal 1980, da quando ho iniziato da giovanissimo. Ho corso in bici per ventidue anni, ho fatto il pro’ per sette (con Brescialat, Lampre e Mercatone Uno, ndr), poi sono diventato diesse dei giovani e parallelamente sono vent’anni che lavoro per RCS Sport come ispettore di percorso delle loro gare. Tra tutto avrò più di tremila corse alle spalle vissute sotto ogni punto di vista, quindi, a costo di essere frainteso come un vanitoso, tutto quello che dico lo dico con cognizione di causa. E sono padre pure io. Poi certo, non ho la bacchetta magica per risolvere tutto, però non voglio nemmeno restare immobile davanti a certe cose.

Quali potrebbero essere le eventuali soluzioni?

Ce ne sono tante che si potrebbero valutare e provare a vedere se possono funzionare. Per prima cosa dovrebbero estendere il dispositivo del fine gara di ulteriori cinque minuti. Non possiamo vederlo fissato ad un minuto e mezzo dal vincitore, soprattutto nelle gare in circuito. Poi, laddove fosse possibile, bisognerebbe pensare a percorsi diversi, ma che possano essere completati da tutti. Dove c’è una folta partecipazione, come spesso accade in alcune gare, limitare il numero dei partecipanti oppure fare delle batterie per dorsali pari e dispari, dividendo le squadre equamente, come si fa nei meeting regionali o nazionali dei giovanissimi. L’organizzatore non deve voler fare a tutti i costi più categorie possibili in una giornata.

Per Della Vedova il dispositivo di fine gara dovrebbe essere esteso di ulteriori cinque minuti per concedere a tutti di finire la propria prova (foto Aimi)
Per Della Vedova il dispositivo di fine gara dovrebbe essere esteso di ulteriori cinque minuti per concedere a tutti di finire la propria prova (foto Aimi)
Cosa intendi?

Ad esempio se negli esordienti hai numeri alti, si fanno più partenze tra primo e secondo anno. Così tutti possono correre e finire la propria gara. Per me non è necessario che si corra per forza ogni weekend. Così come mi sento di dire che non tutte le società sono obbligate ad organizzare gare, anche perché si rischia di andare al risparmio per le cose fondamentali. Proviamo a vedere cosa fanno in altri Paesi, come la Svizzera, e prendere spunto. Da noi spesso ho visto e vedo delle contraddizioni.

Quali ad esempio?

Ci sono gare di esordienti con moto-tv, con radio-corsa da categoria elite e poi magari non hanno transenne adeguate oppure la gente necessaria per la sicurezza del percorso. Personalmente toglierei le premiazioni dai giovanissimi agli allievi o quantomeno non gli darei tutta questa importanza. Si rischia di creare aspettative inutili. Toglierei tutti quelli che sono i costi superflui, specialmente se un organizzatore o un comitato ha dimostrato di non sapere tenere un certo livello di sicurezza e valore sociale. Anche questo è un aspetto che va tenuto in considerazione.

Spiega pure.

Intanto a scuola non si insegna quasi più nulla ad educazione fisica. Si stanno riducendo le ore o sono le prime ad essere tagliate per certi programmi e comunque molti ragazzi le saltano. Non è un bel segnale. In questo senso il ciclismo, come il resto dello sport, deve tenere i ragazzi lontano da cattive situazioni o dalla sedentarietà psicofisica. Ma se il nostro sport non prova a cambiare mentalità a livello giovanile, non avremo più corridori fra qualche anno. Anche perché è faticoso e quando si cade ci si fa male. Oltre a non essere più sicuro per allenarsi. Adesso non mi stupisco se tutti tendono a scegliere tennis o nuoto. Possono praticarli al chiuso o all’aperto, ma in sicurezza. E tutti possono fare o completare le proprie gare.

Spesso ci sono giornate in cui corrono tre categorie con partecipazione alta. Sono pochi gli organizzatori bravi ad allestirle
Spesso ci sono giornate in cui corrono tre categorie con partecipazione alta. Sono pochi gli organizzatori bravi ad allestirle
Sono parole di un Marco Della Vedova pessimista o speranzoso?

Al momento dico pessimista, anche se dovrei dire realista. Guardo le cose come stanno andando e non vedo la voglia di cambiare. Il ciclismo giovanile dovrebbe provare a fare un paio di stagioni più austere come una volta, senza l’arrivismo attuale di certa gente. Venti-trenta anni fa si ambiva a raggiungere un certo tipo di servizi nelle gare giovanili con l’obiettivo comune di fare crescere dei corridori. Ora non è più così. Ora che avremmo tante possibilità di fare le cose fatte bene, abbiamo organizzatori che non si rendono conto di non essere all’altezza. Tutti vogliono fare quello che fa l’altro senza averne le credenziali. Per contro applaudo e faccio i complimenti a chi riesce ad allestire tutto alla perfezione o quasi. Di sicuro vedere il nostro amato sport con tali differenze nel settore giovanile mi fa molto male.

Capecchi: i giovani, le gioie e le fatiche del ciclismo

18.08.2023
5 min
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Eros Capecchi è tornato a casa, nel vivaio di famiglia, dove lavora e intanto pensa al ciclismo. Nei giorni scorsi è stato in ritiro con i ragazzi del Comitato Regionale Umbro, del quale è cittì. Il caldo nel centro Italia si fa sentire e quando gli facciamo notare che la sua regione è “bollino rosso” risponde così: «Ora capisco perché sento tutto questo caldo – ride – io al meteo ci bado poco. Tanto non è che si possa fare qualcosa se fa caldo o meno».

Il lavoro procede e le piante stanno bene, neanche loro sembrano soffrire troppo il caldo. «Di acqua ne abbiamo – dice Capecchila diga del Monte Doglio ha ottimi livelli e non dovrebbero esserci problemi. Poi nel nostro vivaio abbiamo tante colture a terra, che richiedono meno cure e acqua. Qualche pianta in vaso si secca, ma è normale che sia così». 

Il ritiro di Livigno è servito per creare un gruppo coeso ed unito, in vista dei prossimi impegni
Il ritiro di Livigno è servito per creare un gruppo coeso ed unito, in vista dei prossimi impegni

I suoi ragazzi

Capecchi parla, lo fa volentieri e la telefonata diventa un motivo per affrontare tanti argomenti legati al ciclismo. La passione per la bici è tanta, e quella di coltivare i nuovi talenti del vivaio ciclistico dell’Umbria è anche di più

«Mi piace molto lavorare con i ragazzi – conferma l’ex professionista – vedi i miglioramenti, ti ascoltano. C’è sempre chi fa un po’ di testa sua, ma è normale, una volta sbattuto il muso torna sui suoi passi. Fa parte della crescita e dell’essere adolescenti. Questa esperienza, nata per gioco, è appagante. Seguo i ragazzi da quando hanno 12 anni fino ai 18, li vedo crescere e li seguo per ogni categoria». 

I ragazzi ci sono e Capecchi sarà chiamato a convocarne sei per il prossimo Giro della Lunigiana
I ragazzi ci sono e Capecchi sarà chiamato a convocarne sei per il prossimo Giro della Lunigiana
Che metodo utilizzi con loro?

Non ce n’è uno specifico. Li ascolto, li frequento e cerco di capire. Devi guadagnarti la loro fiducia affinché si aprano e ti parlino dei loro problemi e delle loro preoccupazioni. Riesco a fondermi con loro, mantenendo sempre dei limiti precisi che mi permettono di avere un’autorità. 

Il rapporto che hai ti piace?

Tanto, ho il modo di legare insieme a loro, magari divertendoci insieme. E’ capitato di fare qualche partita a biliardino o di andare a mangiare un gelato. Se i ragazzi si sentono a loro agio, ti vengono a chiedere cose che magari non avrebbero il coraggio di domandarti. Sono esempi banali ma che costruiscono un bel rapporto, non si può sempre e solo dire “no”. 

Pedalate e momenti di divertimento, nel ritiro di agosto c’è stato spazio per tutto
Pedalate e momenti di divertimento, nel ritiro di agosto c’è stato spazio per tutto
I giorni a Livigno come sono andati?

Bene. E l’ho capito dal fatto che mi seguissero in tutto e per tutto. Anzi, spesso erano loro a chiedermi di fare qualche lavoro in più. Hanno proprio dato il cuore e queste per un tecnico sono grandi soddisfazioni. Lo fanno perché sanno che poi possono chiederti di prendere un gelato o mangiare un piatto di patatine. Sono piccole cose che creano il gruppo e la fiducia reciproca. 

Ora siete tornati, in che modo si lavora fino ai prossimi impegni?

Correranno domenica e andrò a vederli. Ho ancora qualche dubbio da sciogliere, ma lo farò in corsa. Per i prossimi impegni – Vertova, Paganessi e Lunigiana – dovrei scegliere sei ragazzi e portarli sempre con me. Però diventa difficile, perché qualcuno ha degli impegni con la scuola e non è sempre libero. L’idea è quella di andare a vedere le strade del Lunigiana, subito dopo il Paganessi. E’ sempre bene prendere le misure con quei percorsi, il Lunigiana in foto sembra semplice, poi vai lì e ti ammazza.

Per Capecchi si avvicina il secondo Giro della Lunigiana alla guida della formazione umbra
Per Capecchi si avvicina il secondo Giro della Lunigiana alla guida della formazione umbra
Hai tanta scelta quindi?

Sì e mi fa piacere, perché vuol dire che si è lavorato bene. Mi mettono in difficoltà, nel senso buono del termine chiaramente. 

Sono curiosi delle tue esperienze passate, del corridore che sei stato?

Tutto si basa sulla fiducia, nel momento in cui si fidano di te sono loro a domandarti. Io non uso il metodo del “ai miei tempi” anche perché diventa facile che ti prendono in giro, diventi il vecchio che non vogliono ascoltare. Devi essere uno di loro, quando instauri questo tipo di rapporto si aprono e ti chiedono consigli e suggerimenti. 

E’ un movimento, quello della tua regione, in continua crescita?

Mi piace davvero come stiamo lavorando. Tra quattro o cinque anni ci saranno delle grandi soddisfazioni. Alcuni ragazzi li vedo, soprattutto gli allievi, fanno risultati ma sono ancora “bambini”. 

I giovani non si crescono con la teoria del “ai miei tempi” a loro interessa del futuro
I giovani non si crescono con la teoria del “ai miei tempi” a loro interessa del futuro
Dopo un anno di lavoro che cosa pensi del ciclismo moderno?

Posso dire che in Italia non abbiamo capito bene cos’è il ciclismo ora. Diciamo che i ragazzi vanno fatti crescere tranquillamente, poi però abbiamo degli atleti validi che da under 23 non riescono a trovare squadra. Non bisogna spremerli, ma metterli nelle condizioni di fare del loro meglio. Se continuiamo così non li facciamo crescere lentamente, ma smettere velocemente. 

In questo è cambiato molto il ciclismo.

Non ci sarà più il corridore che farà 17 anni di carriera, ma che problema c’è? Il ciclismo è più veloce, non è bello da dire, ma ora hai meno possibilità di provarci. Lo vedo in una regione come la nostra, dove abbiamo buoni corridori anche senza numeri elevati di tesserati. Anche se a livello di Comitati Regionali non è semplice.

In che senso?

Ne parlavo lo scorso anno con Salvoldi, proprio al Lunigiana. L’intento è fare più corse a tappe e far crescere il movimento, per noi regioni l’interesse è alto. Il problema poi è riuscire ad organizzare la stagione quando i soldi scarseggiano. Anche il ritiro appena fatto a Livigno lo hanno pagato le squadre e in parte alcuni genitori. Senza considerare che il nostro presidente mette spesso soldi di tasca sua.

Juniores, anche in Francia il livello si alza…

05.03.2023
6 min
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Il viaggio in Francia con gli juniores del CPS Professional Team è stata un’occasione per “toccare dal vivo” ciò di cui spesso parliamo: come lavorano e com’è il movimento giovanile all’estero. Ed in effetti qualche differenza c’è.

Alcune le abbiamo captate noi stessi semplicemente osservando quanto accadeva: infrastrutture organizzative snelle, ogni ragazzo ha la sua bici, poco gioco di squadra… Altre differenze ce hanno rivelate i direttori sportivi con cui abbiamo parlato: la presenza di “squadre federali” e squadre satellite, il progetto scuola. E in comune? Anche in Francia la categoria juniores sta vivendo una rapida evoluzione.

Manu Cordoba con i suoi ragazzi della Occitaine Cyclisme Formation
Manu Cordoba con i suoi ragazzi della Occitaine Cyclisme Formation

Cordoba, diesse OCF

Manu Cordoba è il direttore sportivo dell’Occitan Cyclisme Formation Juniores con lui partiamo appunto dalla questione dell’importanza di questa categoria, la prima internazionale.

«E’ la categoria più importante – spiega Cordoba – I bambini sono spugne e certe cose le imparano dai piccoli, ma la categoria juniores consente loro di convalidare tutto ciò che hanno appreso prima. In questa fase subentrano infrastrutture tecniche, conoscenze e figure professionali che gli insegnano il mestiere del ciclista». 

«Oggi molti ragazzi sono captati direttamente dai grandi team, ma credo che se ne sia anche abusato. Abbiamo degradato la categoria U23 in Francia perché oggi uno junior corre come fosse un trentenne o un quasi pro’, mentre la categoria U23 può permettere a tutti gli juniores che non sono maturi di crescere e quindi di passare. Oggi (riferito alla Challenge Anthony Perez, ndr) abbiamo 160 ragazzi, ma il prossimo anno ce ne saranno 80 nella categoria superiore. E perdiamo tesserati. Questo anche perché le gare U23 dovrebbero essere vere gare U23 e non gare elite».

Codoba passa poi agli allenamenti, l’altra sfera su cui ci siamo concentrati.

«Non abbiamo un ritiro fisso e non seguo giornalmente i miei ragazzi, ma cerchiamo di fare degli stage. Per esempio veniamo da un training camp in Spagna e magari questa estate ne faremo uno in montagna, Sono momenti di apprendimento e non solo di preparazione.

«Voglio portare i ragazzi alle gare tutti allo stesso livello. Cerco di lavorare in modo equo con tutti. Per me il gruppo è centrale. Oggi molti diesse isolano i corridori meno forti e perdiamo questo senso di gruppo. La bici mi ha insegnato molti valori e voglio condividerli con tutti: quelli bravi e quelli meno bravi, più ricchi e meno ricchi…».

Michel Puntous, della Haute-Garonne. Dietro a questa squadra federale c’è anche il supporto di Specialized Francia
Michel Puntous, della Haute-Garonne. Dietro a questa squadra federale c’è anche il supporto di Specialized Francia

Puntous, Haute-Garonne

A Cordoba segue Michel Puntous, diesse dell’Haute-Garonne, una squadra federale che raccoglie e ha rapporti con diversi team.

«La categoria juniores – spiega Puntous – si sta sviluppando anche in Francia. Noi dell’Haute-Garonne abbiamo questa categoria da 10 anni e da 4 abbiamo creato una squadra di livello internazionale. Andiamo all’estero: Belgio, Spagna… Questa estate abbiamo ottenuto un invito per una corsa in Austria. In tutto faremo 20-22 gare internazionali».

«Prima i migliori juniores andavano in club di divisione nazionale come Aix-en-Provence o Vendée, ora invece vanno direttamente nei team di sviluppo delle squadre professionistiche. Personalmente, ho fatto passare 14 corridori. 

«Non abbiamo un filo diretto con le squadre professionistiche, ma abbiamo una buona rete a livello di comitato dipartimentale che a sua volta ci mette in contatto con le squadre pro’. Ma vale anche il contrario: molti ragazzi vogliono venire da noi. Per esempio quest’anno avevamo 6 posti e 30 candidati. E ci siamo posti un limite di due ragazzi stranieri».

Il dipartimento dell’Haute-Garonne nel Sud-Ovest, rappresenta un grande serbatoio ciclistico per la Francia.

«Non abbiamo un ritiro. Alcuni ragazzi che vivono vicini nei pressi di Tolosa si allenano insieme. Tutti vivono a casa coi genitori anche perché hanno la scuola. Ciò che vogliamo è che abbiano un doppio progetto sportivo e scolastico. A 18 anni ottengono il diploma di maturità (un anno prima rispetto a noi, ndr) e fino ad allora cerchiamo di allenarli senza strafare e oggi ci sono gli strumenti per farlo con potenziometri, piattaforme preparatori.

«I ragazzi devono imparare il mestiere e avere dei margini di miglioramento per quando passeranno. Il nostro obiettivo: prepararli per l’altissimo livello, non essere professionisti da junior. Se imponi loro troppi vincoli sin da adesso, come il nutrizionista, poi come faranno?».

Con Puntous si parla anche di tattiche. Lui dirige una squadra importante e avevamo notato che dopo il primo giorno di gara non c’era stato un grosso gioco di squadra.

«In Francia è complicato farli correre da squadra! Sono pochissimi i team che corrono con un leader. La filosofia è spesso individuale e anche io sostanzialmente la penso così. Voglio dare una possibilità a tutti. Non voglio avere solo uno o due leader e gli altri ragazzi che sono lì solo per loro.

«Poi è anche vero che da due anni a questa parte i ragazzi spesso ci chiedono di designare un leader. Più che altro perché hanno una tattica più chiara. Però non chiudiamo a nessuno. Ripeto, in questi due anni di categoria non voglio bloccare un corridore che magari non ha grandi mezzi e dirgli: “Non avrai mai la tua possibilità».

Xavier Bernat con due ragazzi della As Villemur Cyclisme
Xavier Bernat con due ragazzi della As Villemur Cyclisme

Bernat, Villemur Cyclisme

Xavier Bernat è invece l’organizzatore della due giorni francese, lui dirige la As Villemur Cyclisme, una squadra più piccola e che rientra in quella rete di team satelliti della Haute Garonne.

«In Francia – dice Bernat – la categoria juniores è diventata fondamentale. Ci sono corridori che passano subito alle “Conti” e possono diventare professionisti. Ora chiediamo a questi ragazzi di essere ad un alto livello. Guardate il vincitore di ieri (Giuliano, ndr): erano tre settimane che ogni weekend faceva delle corse con gli elite. E nell’ultima di queste gare è arrivato con il gruppo di testa. La cosa dura è che se non ottengono dei buoni risultati per loro il ciclismo è finito: non trovano un posto nella categoria successiva (come da noi, ndr)».

«Per quanto riguarda la gestione quotidiana dei ragazzi, anche noi non abbiamo un ritiro fisso. Siamo una piccola squadra e facciamo due stage l’anno qui in zona. Ognuno ha il suo preparatore. Anche perché spesso venendo da altre squadre erano legati ad esso e quasi non vogliono venire se non continua a seguirli».

«Abbiamo dei corridori del nostro team che fanno la spola con il team Haute-Garonne, che è una squadra della Federazione. I ragazzi hanno 17-18 anni e non tutti possono andare a correre ogni fine settimana con loro che fanno un’attività più internazionale. Pertanto stiliamo un calendario parallelo: chi può va con loro, chi non può resta a correre con noi. Andiamo d’accordo. Quest’anno per esempio faremo la Liegi Juniores, c’è una buona collaborazione con la Federazione».

La Pomme Marseille, Boggianti parla in inglese con uno atleta giapponese prima del via della Ronde Besseriane
La Pomme Marseille, Boggianti parla in inglese con uno atleta giapponese prima del via della Ronde Besseriane

Boggianti, Pomme Marseille

Jean Michel Boggianti è intento a parlare con i ragazzi de La Pomme-Marseille quando ci avviciniamo per parlare con lui. La sua è una delle squadre più blasonate di Francia.

«In Francia – dice Boggianti – investiamo molte risorse sui giovani perché il ciclismo si sta evolvendo e sempre più juniores stanno diventando professionisti. Cerchiamo di fargli prendere gli automatismi per il mondo dei pro’. Non abbiamo un nostro nutrizionista, ma organizziamo di tanto in tanto degli incontri con mental coach, preparatori, nutrizionisti…».

«In Pomme abbiamo un progetto, un programma di lavoro doppio: uno sportivo e uno scolastico. Per noi l’obiettivo è che i ragazzi abbiano successo, ma non per forza nel ciclismo. Se non avranno una carriera con la bici, che abbiano qualcosa a cui aggrapparsi e quindi che portino avanti il loro percorso di studi. Per questo abbiamo un centro di formazione dove sono fissi, dove dormono, e tre volte a settimana si allenano con noi. I ragazzi vanno a scuola e noi li andiamo a prendere quelle tre volte a settimana.

«Sono 9 ragazzi su 17 che portano avanti questo progetto sport-studio. In Provenza, il nostro dipartimento, vi accedono solo quando hanno raggiunto buoni risultati. Sono classificati come sportivi di alto livello e quindi beneficiano della scuola di sviluppo e ottengono una borsa di studio».

A Boggianti chiediamo se hanno dei fili diretti con le squadre pro’.

«Delle relazioni con i team pro’ ci sono: vedi EF Education-EasyPost o Soudal-Quick Step, ma ci sono soprattutto gli agenti (procuratori, ndr) che vengono da noi per individuare gli atleti». 

La carezza e lo schiaffo: parlando di giovani con Visconti

16.11.2022
9 min
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Prendi le ultime giornate belle e “calde” di questo autunno. Mettici un bosco, le colline toscane. Aggiungici un campione che la sa lunga e ha appena smesso di correre e il risultato è: una passeggiata nel bosco con Giovanni Visconti. Una passeggiata in cui si parla dei giovani. Del ciclismo che sarà. Anche se si parte da quello che è stato.

Giovanni ci viene a prendere al bar L’indicatore di San Baronto. Un caffè e sa già dove condurci. Magari si becca anche qualche fungo. Il panorama si apre sotto di noi, ma presto viene inghiottito dal bosco. Castagni, qualche grosso masso d’argilla, un viandante di tanto in tanto e una panchina, che doveva essere la nostra meta, ma che non si trova più!

L’autore dell’articolo con Visconti, a spasso nei boschi che sovrastano San Baronto, nel pistoiese
L’autore dell’articolo con Visconti, a spasso nei boschi che sovrastano San Baronto, nel pistoiese
Se chiudi gli occhi cosa ti resta di questa stagione? Qual è la tua immagine?

Non è facile. Io ho finito in malo modo. Avrei voluto farlo diversamente. Quindi ho passato i primi mesi con la testa fra le nuvole. Ho seguito “poco” il ciclismo. Non che fossi arrabbiato, ma insomma… Se proprio dovessi scegliere un momento, me ne viene in mente uno. Uno che racchiude tutti i momenti: l’abbraccio tra Valverde e Nibali. E’ la chiusura di un ciclismo che era anche il mio. E questo porta con sé altri argomenti. Si è chiuso un ciclismo okay, ma di là cosa c’è?

Cosa c’è?

C’è tanta confusione. Penso che noi italiani abbiamo tutte le carte in regola per avere un ciclismo forte. Ma le carte sono disordinate. Bisognerebbe fare un po’ di ordine e far rendere questo patrimonio. Non abbiamo dei brocchi: abbiamo giovani forti nei professionisti ed altri più giovani ancora che hanno numeri pazzeschi e sono stati testati anche dalla nazionale. E non li perdi dall’oggi al domani. Per questo mi viene in mente la passerella di Nibali e Valverde, perché bisogna passare ad un altro ciclismo. Quelle immagini sono una carezza e uno schiaffo. «Caro ciclismo noi siamo Nibali e Valverde e ce ne stiamo andando. Ora fai qualcosa». 

Per Visconti l’abbraccio tra Valverde e Nibali è il simbolo del definitivo passaggio di testimone al ciclismo dei giovani
Per Visconti l’abbraccio tra Valverde e Nibali è il simbolo del definitivo passaggio di testimone al ciclismo dei giovani
Questo ciclismo che verrà ha un’eta media più bassa. E’ sempre più il ciclismo dei giovani?

Sì, sì… lo è da qualche anno già. E quando parlo di quel momento, penso al ciclismo italiano perché in altre nazioni già si puntava sui giovani. Il fatto che la carriera si sia accorciata è anche un vecchio modo di dire. Okay si è accorciata, ma cosa cambia? Buon per loro, si godranno la vita prima, ma è anche vero che iniziano prima a fare certi sacrifici. Io da junior scappavo dal ritiro a mezzanotte per andare a mangiare la pizza o dalla ragazza. Cose che oggi si sognano, almeno gli juniores forti che sanno già che passeranno pro’.

Quindi alla fine i tempi si anticipano, non si accorciano le carriere?

Esatto. Se vuoi fare il ciclista c’è da anticipare i tempi. Avranno guadagnato soldi prima, saranno maturi prima e si fermeranno prima. Le carriere finiscono prima? E dove sta il problema? Oggi sono seguiti in ogni cosa, al millesimo. L’atleta finirà un po’ più stressato di testa, ma perfettamente integro per il resto. Non so se è per il bianco e nero, ma nelle foto del passato i venticinquenni di una volta sembrano i quarantenni di oggi.

Che poi non è solo nel ciclismo. Anche nel calcio. Tu che sei del Milan lo sai bene: avete una squadra giovanissima…

Tutto va avanti. Anche le tecnologie e gli strumenti. I ragazzi di oggi crescono con queste conoscenze, non con quelle di una volta. Se a un sedicenne oggi dici che le carriere finiscono prima, quello ti guarda e ti chiede: «Ma di cosa stai parlando?». Sono discorsi nostri, che dovremmo smettere di fare. I ragazzi devono crescere con le leggi di ora.

De Pretto ha fatto uno stage con la BikeExchange. E’ uno dei talenti del ciclismo italiano. In gruppo si è mostrato subito pronto
De Pretto ha fatto uno stage con la BikeExchange. E’ uno dei talenti del ciclismo italiano. In gruppo si è mostrato subito pronto
La tua ultima squadra, Giovanni, la Bardiani Csf Faizané, ha avviato un progetto sui giovani. Li hai anche visti in gruppo: hai notato queste differenze che hai detto?

Assolutamente sì, tanto che mi risultava difficile il mio ruolo da chioccia. Perché per fare la chioccia non basti tu, ma serve anche gente che è propensa ad ascoltarti e crede in te. Che parli la tua lingua. Io un po’ riuscivo a parlarci, ma avevo addosso l’indole del vecchio ciclismo. Dovevo insegnarli qualcosa, ma per esempio non potevo dirgli che non dovevano allungare troppo in allenamento. Primo, perché ormai i 18-20enni devono andare forte. Secondo, perché sanno già come allenarsi.

Non era facile neanche per te…

Alla fine mi ero buttato sul fare gruppo, che invece deve restare. Oggi ci si messaggia. Le squadre fanno le tattiche via mail. E già da anni. Quasi non c’è più bisogno di fare la riunione prima di partire. E l’armonia, quel filo che li lega, sono necessari. I team building avventurosi servono. Invece a dicembre ci si ritrova al primo ritiro e tutti vanno come moto, perché tanto è così. Se una volta facevi il medio, ora fai soglia. Se facevi soglia, fai fuori soglia. Poi è il nuovo ciclismo e va bene, anche perché a gennaio corrono, ma medierei un po’.

Facciamo invece un po’ di nomi. Chi è tra questi che ti ha colpito. Prima “a taccuino chiuso”, tra gli altri è emerso Alessandro Covi…

Covi quando ha avuto le sue giornate di gloria ha fatto dei numeri pazzeschi. Magari ci si attendeva un po’ più di costanza. Ha iniziato forte la stagione. Idem da Andrea Bagioli. Alterna momenti in cui può lottare con chiunque, e quando dico chiunque intendo tutti per davvero, a momenti in cui dovrebbe esserci e non c’è. Penso ai due mondiali: Imola e quest’anno.

L’impresa di Covi sulla Marmolada all’ultimo Giro d’Italia
L’impresa di Covi sulla Marmolada all’ultimo Giro d’Italia
Forse non sono costanti proprio perché sono giovani…

Sì, ma anche gli altri sono giovani! I giovani di oggi sono diversi. Che poi, giovani… Questa parola, come pure neopro’, andrebbe eliminata. Il neopro’ lo fa lo junior forte. Andate a vedere Evenepoel cosa faceva da junior. Tutti vogliono fare come lui, solo che non hanno lo stesso motore. Oggi le squadre testano molti ragazzi, poi magari quelli più bravi lì tengono lì, ma gli fanno fare la vita da professionisti. I primi 10 di ogni Nazione sono pro’ e sono quelli che passano. Anche in Italia. Vanno nelle development o addirittura in prima squadra.

In gruppo come sono? Timidi, spavaldi…

Qualcuno scherza, per esempio Pinarello. Passano dopo due anni vissuti “da pro’” e sono più sicuri, più pronti. Sanno quel che devono fare. Anche nell’atteggiamento. Quando toccò a me, solo a dire che ero un pro’ mi emozionavo. E quando vedevo qualcuno che si avvicinava per la foto, mi preparavo. Ora per loro è scontato. Si aspettano che tu gli chieda la foto. Hanno immediatamente un atteggiamento da pro’ affermato. E neanche gli puoi chiedere di essere umili. Per noi era un sogno, qui il loro sogno è scontato, è un percorso.

Torniamo ai nomi, uno dei giovani che hai vissuto di più è Filippo Zana

Pippo ha dei margini enormi. Ha già fatto vedere qualche numerino, senza strafare. Per me è cresciuto nel modo giusto e ha avuto la fortuna di trovare una squadra come la Bardiani che ti fa crescere così. Guardiamo Colbrelli. Se fosse stato nel ciclismo di oggi avrebbe vinto la Roubaix? Non avrebbe avuto tempo di dimostrare di essere un ottimo corridore. Idem Zana. Filippo ha fatto tre anni in Bardiani.

Già tre anni. Il primo ricordo di lui risale al Giro d’Italia del 2020: era stanchissimo, ma lo ha finito…

Il primo anno non si è quasi mai visto, poi sempre meglio. Ma per me è ancora lontano il suo salto. E queste fondamenta che ha creato alla Bardiani se le ritroverà alla BikeExchange. Anche perché per certi aspetti in gruppo avrà vita più facile. E’ la legge non scritta che le professional non possono stare davanti. In Bardiani ci stavo solo perché si accorgevano che ero io. E queste situazioni ti rendono la vita più difficile. Penso anche a Fiorelli in tal senso. Sapete quante energie in meno spenderebbe per arrivare a fare la volata? Fagli prendere una salita davanti a Zana…

Andrea Piccolo, magari lo conosci poco, ma lo hai visto all’italiano…

La miseria che corridore! Ci messaggiamo spesso. C’è una stima reciproca. Gli mandai un complimento e mi disse che era stato un onore ricevere un mio messaggio. Lui è un fuoriclasse e te ne accorgi anche dall’atteggiamento. In gruppo è un po’ mattarello, non presuntuoso, ma ha un suo mondo. E’ diverso da altri giovani. Per esempio Bagioli è più chiuso, lui invece è più spavaldo, ma al tempo stesso tranquillo. 

E tu hai qualche nome che vorresti dire?

Non è più giovanissimo, ma dico Lorenzo Rota: ci ho anche corso insieme. Questo ha classe, ragazzi. Quest’anno ha fatto un bel salto di qualità. Deve vincere una corsa più seria che gli darà sicurezza e farà ancora meglio. Poi mi piace come persona. Si tratta di un atleta serio, dedito al lavoro… Senza contare che ha passato momenti davvero difficili. Lorenzo stava per smettere. E non una volta. E ciò dimostra come ci sia bisogno di ricambio. Non può essere che uno come lui abbia dovuto bussare a più porte per continuare. Cambia la generazione del ciclista? Allora deve cambiare la generazione di chi gli sta intorno.

E’ cambiata oggi la figura del corridore da corse a tappe?

Già da un po’, direi. Lo scalatore puro per me non esiste più. Sto seguendo i giovani e mi rendo conto che tipo di atleta serve. Quando vedi un corridore da 55 chili, ti chiedi cosa può fare. Se vai al Tour, stacchi tutti in salita, arrivi da solo e vinci la tappa okay, ma se non arrivi da solo? Ti è servito? No… In volata perdi. In pianura non puoi neanche aiutare. A crono le prendi. Il corridore modello attuale è il corridore completo. Guardiamo Vingegaard, tra i top rider è l’unico che ha il fisico da scalatore puro, ma poi a crono va forte. Pogacar non è così. Evenepoel non è così.

Sono più muscolati…

Esatto, soprattutto Pogacar ne ha di margini sul piano muscolare… E per me può ancora perdere qualche chilo. Lui ha ancora spazio per migliorare, ne sono sicuro.

La famosa panchina non si trova… e ci si siede su una roccia
La famosa panchina non si trova… e ci si siede su una roccia
Altri nomi importanti sono Baroncini e Verre: perle dell’ultima infornata under 23.

Entrambi non li conosco molto. Però a Verre ho visto fare dei bei numeri in salita. Per lui può esserci quel problema di doversi completare come corridore. Non puoi essere solo uno scalatore in questo ciclismo. Perché o trovi una squadra che ti porta in un grande Giro e cerchi di vincere una tappa (tanto la classifica non la fai), oppure sono problemi. Anche Baroncini è un grande atleta. Anche perché altrimenti non vinci un mondiale U23, tanto più come ha fatto lui. 

E Battistella?

Ecco, con lui  parliamo di un corridore importante. Che ha una certa pedalata e una certa classe. E’ uno di quei corridori che a vederli è bello. E’ completo. Però lo deve dimostrare: l’estetica non basta, ma la base c’è tutta.

Sissio Team: nei dilettanti, come Davide contro Golia

12.10.2022
6 min
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Parliamo spesso di un dilettantismo che volenti o nolenti è sempre più professionistico nel vero senso della parola. Le continental hanno alzato l’asticella, è innegabile. Ma c’è anche chi, ed è la maggior parte delle squadre, continua a vivere la categoria elite-U23 essendo del tutto… elite-U23. Non suona bene, ma il concetto è reso. Pensiamo, per esempio, al Sissio Team.

La società di Pastrengo, nel veronese, è stata un po’ la “cenerentola” dell’ultimo Giro d’Italia U23. Era il team più piccolo per budget e risonanza. Come Davide in mezzo a tanti Golia. E in questi contesti, andare in corsa è doppiamente difficile, soprattutto per i ragazzi. Marco Toffali, team manager, ma potremmo dire factotum del Sissio, ci ha aperto le porte.

Marco, Sissio Team, squadra piccola che lotta tra società ben più attrezzate: come si fa?

Con passione e tanto lavoro. Si fa la formichina. Si risparmia di qua, di là, sopra e sotto e alla fine con l’aiuto degli sponsor si riesce a far quadrare i conti e ad andare avanti.

Rispetto ai maggiori team della categoria avete un budget della metà?

Della metà? Molto meno. Le squadre più note arrivano ad un milione di euro o giù di lì, io faccio la squadra con 100.000 euro. Ma proprio perché faccio tutto io. Certo, ai ragazzi non do uno stipendio, ma un piccolo rimborso a fine mese. Non ho un budget apposta per premi e stipendi come alcune squadre.

Quindi l’attività prima di tutto?

Esatto, prima pensiamo a fare le gare e a farle al meglio. Cerco ragazzi che hanno una grande volontà, che hanno fame, cui i tecnici che hanno avuto prima gli hanno lasciato dei valori. E poi magari grazie al mio aiuto emerge un Martin Nessler della situazione. Lui era stato scartato dal Cycling Team Friuli, è venuto con me e la prossima stagione andrà alla #inEmiliaRomagna (divenuta continental, ndr), che farà un calendario pressoché professional. Lo so da fonti certe. Correranno anche all’estero.

Vincendo a Sommacampagna Nessler ha ottenuto una vittoria in questa stagione per il Team Sissio
Vincendo a Sommacampagna Nessler ha ottenuto una vittoria in questa stagione per il Team Sissio
Come recluti i ragazzi?

Faccio un passo indietro. Il problema del nostro movimento, a mio avviso, sono le continental. Ed è un problema che nasce dall’Uci e dalla Fci che gli va dietro. Uno junior vuole andare in una continental, ma per andarci deve avere almeno 10 punti. Ma tolti quei 5-6 ragazzi che li hanno, trovare uno junior bravo che ha qualche punto per portarlo in una squadra under 23 come la nostra è un terno al lotto. 

Ne hai preso qualcuno?

Per il 2023 ne ho presi tre, ma che fatica… Senza contare che fino a giugno-luglio sono impegnati con la scuola e gli esami. Quindi li hai a singhiozzo. L’unica cosa che puoi fare è introdurli nei metodi di lavoro che richiede la categoria. E questo è un problema che oggi incide moltissimo sul passaggio dei ragazzi tra gli under 23, dove si vuole tutto e di corsa. Quest’anno di juniores ne restano a casa tanti. Siamo una cinquantina di squadre, in media ognuna ne prende un paio, ecco che almeno 150 ragazzi smettono. E molti di questi, che magari sono “discretini” e hanno un minimo di punti, neanche possono fare il terzo anno da juniores.

E allora la soluzione quale potrebbe essere?

Togliere le continental da questa categoria. Le continental sono il primo livello del professionismo. Se la fai è perché hai un minimo di budget e dovresti fare come Stefano Giuliani (della Giotti Victoria Savini Due, ndr) e fare gare da pro’ lasciando spazio a chi è veramente un dilettante. Così tra l’altro lusingano i ragazzi, che attratti dall’essere pro’ e di fare certe corse vogliono andare con loro. Salvo poi prendere legnate. Per me hanno ammazzato la categoria U23. Prendiamo un Riccardo Lucca. Uno bravo come lui ha rischiato di smettere. Passa quest’anno a 25 anni (alla Bardiani Csf Faizanè, ndr), ma con un aiuto enorme da parte del suo procuratore, Fondriest, e altre conoscenze. Si dovrebbe tornare al sistema dei dilettanti di prima e seconda fascia. In questo modo tutti erano presi in considerazione. Invece per 4-5 fenomeni che a 22 anni hanno vinto i grandi Giri è cambiato tutto.  Le squadre dei pro’ vogliono gli juniores. Io invece introdurrei due anni obbligatori di under 23.

Cinque su cinque: da Riccione a Pinerolo, tutti i ragazzi della Sissio hanno concluso il Giro U23
Cinque su cinque: da Riccione a Pinerolo, tutti i ragazzi della Sissio hanno concluso il Giro U23
Torniamo alla tua Sissio. Quest’anno siete andati al Giro: è stato un bel traguardo?

Certo. E devo ringraziare molto Marco Selleri che ha creduto in noi e ci ha dato questa opportunità. Erano due anni che stavamo crescendo. La soddisfazione è stata portare alla fine cinque ragazzi su cinque. Un grazie poi va agli sponsor. Sapendo di questa grande vetrina, raccogliendo 500 euro di qua, 500 euro di là abbiamo messo insieme un budget extra per affrontare questa avventura. Sono amanti di questo sport come me.

Quanti mezzi avete?

Quattro. Un furgone a passo lungo diviso in due settori: davanti c’è la zona dei massaggiatori, con la lavatrice, un piccolo lettino, il frigorifero… e dietro quella dei meccanici, la parte più grande, per le bici, i materiali, gli attrezzi. Poi un secondo furgone da sei posti e due ammiraglie.

Quante corse siete riusciti a fare quest’anno?

Settanta, il record. I ragazzi avevano voglia di correre e ci siamo riusciti. Di solito finivamo con 50-55 gare.

Quanti ragazzi ha in rosa il Sissio Team?

Undici, ma il prossimo anno saranno dieci. I costi aumentano, ma io quelli che ho voglio seguirli al meglio, dargli ciò che serve: una buona bici, delle ruote per le gare, tutto il vestiario…

Chi li segue, hanno un preparatore?

No, faccio tutto io, dalla palestra alle uscite in bici. Come detto, è così che posso portare avanti la squadra. Nel tempo ho messo su una “casina”: 130 metri quadrati con 15 posti letto. Per ottenere qualcosa da loro gli sto “col fiato sul collo”, nel senso che li chiamo, li seguo negli allenamenti, ci parlo… perché solo così, con il lavoro e il controllo diretto, rendono. Altrimenti se deleghi raccogli la metà.

ExtraGiro, si riparte! Il Giro U23, gli italiani donne, il gravel…

22.02.2022
5 min
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Il ciclismo è decisamente nel Dna di Marco Selleri. Quando il dirigente di ExtraGiro ci risponde al telefono si trova presso il negozio Cicli Ronchini, una pietra miliare del ciclismo imolese, per far sistemare le ruote di alcune Mtb. Oggi vi lavora Fabio Patuelli, a sua volta ex professionista: alle pareti poster di grandi campioni e tante bici Colnago di ogni epoca. Selleri ci porta così in questa atmosfera genuina.

A sinistra Marco Selleri e a destra Marco Pavarini premiano Ayuso nel finale di Castelfranco Veneto lo scorso anno
Selleri (a sinistra) e Pavarini (a destra) premiano Ayuso nel finale di Castelfranco Veneto lo scorso anno

Primavera intensa

Con lui facciamo il punto sull’attività di ExtraGiro, che sta ormai ripartendo con un’altra stagione ricca di eventi.

«C’è parecchia carne che bolle in pentola – dice Selleri – ma non è ancora cotta del tutto. Tra qualche tempo potremmo essere più precisi su un nuovo evento in cui crediamo molto, manca solo la firma. Meglio aspettare un po’.

«Per il resto eccoci: il 26 marzo a Bubbano di Mordano ci sarà un circuito per soli under 23. Il 1° maggio ci sarà la Strade Bianche di Romagna – Memorial Fausto Pezzi dedicata agli allievi e il 28 maggio quella per gli under 23. Il 5 giugno ci saranno due eventi internazionali nello stesso giorno, entrambi a Meldola. La mattina saranno di scena le donne open. Il pomeriggio invece sarà la volta degli under 23. Il 26 giugno, ancora donne: con il campionato italiano elite».

Ma gli eventi non finiscono qui. Anche in autunno ExtraGiro ha il suo bel da fare.

«Settembre sarà dedicato al mondo gravel – riprende Selleri – Noi abbiamo tre eventi in programma. Uno, è quella la grossa novità che bolle in pentola, e credetemi è davvero importante, sarà una gara gravel UCI. Un’altra gara è già stata fissata in calendario, il 18 settembre, ad Argenta in provincia di Ferrara. Mentre il weekend precedente organizziamo la Maratona Valle Spluga, in Valchiavenna. Ma quello è un evento dall’aspetto cicloturistico».

«Lasciatemi però ricordare un Memorial a cui tengo particolarmente. Il 26 marzo a Mordano ricorderemo Sauro Coppini. Sauro faceva parte della scorta tecnica dello scorso Giro under 23, ma per un incidente è morto durante un trasferimento. Era una persona appassionata e noi vogliamo salutarlo così».

Fabio Vegni sarà il direttore di corsa della prossima edizione del Giro U23 (foto ExtraGiro)
Fabio Vegni sarà il direttore di corsa della prossima edizione del Giro U23 (foto ExtraGiro)

Ecco il Giro U23

Ma quando si parla di ExtraGiro il piatto forte è il Giro d’Italia under 23. La corsa è organizzata davvero nel dettaglio, è forte di grandi strutture e ha un’ottima comunicazione mediatica, cosa che lo ha rilanciato tantissimo. E, perdonateci il campanilismo, questo nostro giudizio è avvalorato anche dall’esperienza vissuta lo scorso anno in Francia al Tour de l’Avenir. 

«Il Giro scatterà l’8 giugno e durerà fino al 18 – continua Selleri – Non posso dire molto, ma posso svelarvi che, nell’ordine, attraverseremo sei regioni: Marche, Emilia-Romagna, Veneto, Trentino, Lombardia e Piemonte, che ospiterà le tre frazioni conclusive. 

«A mio avviso si tratta di un Giro abbastanza impegnativo, almeno sulla carta. I metri di dislivello sono parecchi, soprattutto nel finale, mentre la prima parte è più facile. Non ci saranno cronometro stavolta».

Filippo Baroncini vinse la crono del Giro U23 dello scorso anno
Filippo Baroncini vinse la crono del Giro U23 dello scorso anno

Niente crono, perché?

E questo ci incuriosisce. Come mai è stata tolta la tappa contro il tempo? E’ una scelta tecnica? O c’è dell’altro? Selleri fa subito chiarezza.

«Fare una cronometro non è facile – spiega Selleri – Noi abbiamo a disposizione una sola domenica e infilare una cronometro nel pieno di un giorno lavorativo non è così scontato, questa implica una chiusura delle strade più lunga. Lo scorso anno ci riuscimmo perché avevamo cinque tappe in Emilia-Romagna (c’era la ciclabile Food Valley da inaugurare, ndr) e in qualche modo ci siamo arrangiati. Stavolta invece si parte dalle Marche e c’è molto Nord.

«E poi bisogna vedere anche le località che ti ospitano, perché alla fine, inutile negarlo, bisogna fare i conti con i budget e chi dà l’opportunità di far arrivare la corsa. Io avrei anche trovato due località, una di partenza e una di arrivo, ma sono distanti 120 chilometri!

«Posso assicurare dunque che Marco Pavarini ed io non abbiamo tolto la cronometro per una scelta tecnica».

Il Giro d’Italia U23 2021 ha raggiunto 40 Nazioni: un’ottima diffusione mediatica (foto ExtraGiro)
Il Giro d’Italia U23 2021 ha raggiunto 40 Nazioni: un’ottima diffusione mediatica (foto ExtraGiro)

Verso il futuro

Selleri poi racconta anche che questo potrebbe anche essere l’ultimo Giro under 23 di ExtraGiro. Il  bando indetto dalla Federciclismo infatti è in scadenza, si è al termine del secondo triennio.

«Noi – dice Selleri – abbiamo la volontà di continuare, ma vediamo come andrà. Non possiamo neanche arrivare all’ultimo minuto, per questo in teoria avremmo già le basi per il 2023».

«Per noi di ExtraGiro il ciclismo, quello giovanile soprattutto, è una mission. Cerchiamo di dare sempre il massimo. Anche per questo tutto è molto impegnativo, richiede energie e risorse economiche. E ogni volta vogliamo fare di più.

«Anche in termini di copertura mediatica cerchiamo di fare qualcosa in più. Ci sono diverse idee allo studio per il prossimo Giro, anche con la Rai. Marco Pavarini ci sta lavorando. Oggi la tecnologia permette di fare molte cose, come una diretta streaming degli ultimi 30 chilometri e questa si potrebbe trasformare in una diretta Tv».

Una cosa è certa, ExtraGiro specialmente con il Giro d’Italia U23 sta lavorando bene. Ha ripreso un valore, perché questo è la corsa rosa giovanile, che era sparito per alcuni anni. Un valore importante se non vitale per il settore giovanile e i risultati si vedono: «Se guardiamo bene – conclude Selleri – Covi, Battistella, Baroncini tutti loro sono passati da lì».

MMR Cycling Academy, la nuova vita di Samuel Sanchez

31.10.2021
7 min
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Le stesse bici per tutti. Le stesse scarpe. Gli occhiali. Persino gli stessi calzini. Sanchez, campione olimpico di Pechino 2008, ride e racconta orgoglioso la sua MMR Cycling Academy. Ce ne aveva parlato nei giorni scorsi Stefano Garzelli e dato che non sentivamo Samuel davvero da un pezzo, abbiamo pensato di andare a sentire meglio.

«Ho cominciato cinque anni fa – sorride il campione di Oviedo – ma volevo che fosse un gruppo diverso dalla solita squadra di ragazzi. Li abbiamo dagli 8 ai 18 anni, grazie a grandi persone che ho incontrato e hanno deciso di credere, come me, che la società di oggi ha bisogno di un progetto per il futuro dei bambini. E il ciclismo se fatto bene è un’ottima scuola di vita. Insegna il lavoro di squadra, l’impegno, le rinunce per ottenere un obiettivo. Se anche non diventeranno campioni, potranno estrapolare dalle esperienze che fanno con noi quello che gli servirà per diventare delle brave persone».

Oviedo, Asturias

Oviedo è la capitale delle Asturie, la città del sidro e dell’Alto del Naranco su cui lo sbalorditivo Horner soffiò a Nibali la maglia di leader nella Vuelta del 2013. Ed è appunto la città di Sanchez, cui dopo le Olimpiadi del 2008 dedicarono un monumento celebrativo.

Alla bontà del progetto, hanno deciso di credere prima di tutto MMR, azienda che produce biciclette ad Aviles, 34 chilometri a nord di Oviedo, poi Toyota. E anche la municipalità della città, che ha investito sulla MMR Cycling Academy che ha nell’olimpionico il suo punto di riferimento.

«In Spagna fino a qualche anno fa – dice – c’erano tanti professionisti di alta qualità. Adesso non ci sono squadre, poche corse e credo che il problema sia la base. Il primo a capirlo fu Contador, la sua Fundacion è sempre stata un modello che mi piaceva. E’ partito da un buon team di juniores, poi under 23, la continental e adesso la Eolo-Kometa in Italia con Basso. Bisognava fare qualcosa anche qui e così mi sono messo a cercare amici e risorse».

Cosa cambia dagli 8 ai 18 anni?

Con i bambini si gioca. Abbiamo una piccola pista chiusa al traffico e li facciamo lavorare per due volte a settimana sulla guida, l’abilità, piccole sfide fra loro. Questi fondamentali sono la base su cui si può semmai costruire un corridore. Con i cadetti, che hanno 15-16 anni, iniziamo a scoprire il potenziometro. L’allenamento è leggermente più strutturato, si comincia a parlare di strategia. Ma alla base resta sempre il divertimento.

Poi gli juniores…

Loro devono scoprire l’allenamento ben fatto. Curiamo l’alimentazione. Gli insegniamo come prendere la borraccia in corsa, a mettere la mantellina nelle situazioni più difficili. Non facciamo allenamenti di 5-6 ore, al massimo arriviamo a 100-110 chilometri. Come disse una volta qualcuno più bravo di me: i campioni si fanno nelle categorie inferiori. Ricordo che qualche anno fa venivano a correre in Spagna le squadre junior di Evenepoel e Pidcock ed erano cinque anni avanti alle nostre. Per quello ho capito che si doveva partire dai piccoli. Non è facile arrivare al professionismo.

E’ il tuo obiettivo?

Sarebbe bello vedere uno dei nostri in una grande squadra e in realtà sta per succedere con Ivan Romeo. Lui ha vinto il campionato spagnolo juniores su strada e a crono, inizierà il 2022 con la Axeon di Axel Merckx e da agosto andrà alla Movistar (un po’ come Ayuso con la Colpack e il Uae Team Emirates, ndr).

Un altro baby prodigio?

E’ la moda di trovare juniores e farli passare professionisti. Non so se sia giusto, lo vedremo fra dieci anni. Ma adesso non puoi andare da Pogacar e Remco e dirgli di andare piano, perché sennò avranno una carriera breve. La situazione è questa.

Con gli allievi si comincia a ragionare in modo più serio sulla preparazione
Con gli allievi si comincia a ragionare in modo più serio sulla preparazione
Toglici una curiosità: perché non fai anche la squadra under 23?

Perché non ho cuore (sorride, ndr). E’ frustrante parlare con un ragazzo di 20 anni che ha lavorato tanto per arrivare a quel punto e dirgli che non ha i numeri per diventare professionista. 

Il tuo ruolo?

Sono il team manager, curo i contatti, busso alle porte. Faccio in modo che la parte della comunicazione sia seguita bene.

Chi si occupa della parte tecnica?

Il mio asso nella manica è Benjamin Noval, uno che ha fatto tanto professionismo e tanta esperienza. Con lui ci sono altri ragazzi che seguono gli allenamenti. Abbiamo un buon meccanico e cerchiamo di catturare quanti più ragazzi si possa. Il ciclismo si fa con la passione e il sogno e noi ex corridori possiamo fare la nostra parte.

Ce ne sono altri?

Sastre ha la sua scuola di ciclismo, ma suo figlio corre con noi, anche se Avila sta a 400 chilometri da Oviedo. Viene su per le corse e i ritiri. Viene il figlio di Beloki, anche se Vitoria sta a 300 chilometri. E l’anno prossimo verrà con noi il figlio di Freire.

E i tuoi figli?

Il piccolino, Unai, c’è già, il grande no. E abbiamo anche il figlio di Noval. E’ un bel progetto, mi fa stare bene e vedo che con i ragazzi funziona.

Sui social qualcuno immancabilmente farà notare che nel 2017 sei stato sospeso per doping…

Non ho problemi con questo, in Spagna la mia immagine è assolutamente normale. So che i social fanno parte del sistema, su twitter è stato a lungo un disastro. Sono una persona forte. Chi c’era sa come funzionava il ciclismo, ma si troverà sempre qualcuno che scriverà contro. Non ho problemi con i social, sono stato trovato positivo. Ogni caso è diverso, la differenza l’ha fatta semmai essere tornati a correre oppure no. Io mi sono ritirato. Poi tutto si dimentica.

Samuel Sanchez va ancora in bici?

Poco e piano. Il sabato ho il mio gruppetto di amatori e stiamo fuori 3-4 ore. A volte esco con gli juniores e vanno davvero forte, come gli under 23 di quando correvo ancora. L’anno prossimo mi piacerebbe portarli al Giro della Lunigiana, ma abbiamo un problema di date. La Federazione impone che se c’è una gara concomitante in Spagna non si possa andare all’estero, per cui si dovranno vedere le date. Intanto vi mando le foto e qualche video, poi ditemi se vi piace…