Vent’anni dopo il Panta, il tentativo sfumato di Froome

31.12.2023
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Dopo Pantani, esattamente vent’anni dopo, l’infallibile Chris Froome tentò l’accoppiata Giro-Tour e ne fu respinto. Vinse il Giro, poi arrivò terzo al Tour, dietro il compagno Thomas e Dumoulin. Il britannico veniva da un filotto sensazionale, avendo vinto il Tour e la Vuelta del 2017 e poi il Giro del 2018. Già dall’inizio della stagione, l’idea di vincere il quinto Tour dopo aver vinto il primo Giro stuzzicava i tecnici del Team Sky. Froome sembrava imbattibile, chi avrebbe potuto impedirglielo? Ci riuscirono la sfortuna e la presenza del compagno in maglia gialla. Se anche avesse voluto riaprire la corsa come al Giro con l’impresa di Bardonecchia, con quale faccia avrebbe potuto disarcionare Thomas?

«Anche il Giro inizialmente non andò troppo bene – ricorda Dario Cioni, che guidò Froome in Italia – nel senso che per vincerlo gli toccò fare quell’impresa sul Colle delle Finestre. Nei primi dieci giorni non era stato brillantissimo. In Israele era caduto e poi nelle prime tappe aveva accumulato ritardi anche su salite non impossibile. Aveva perso 26 secondi sull’Etna e poi un minuto sul Gran Sasso. Fece un bel numero sullo Zoncolan, mentre la crono andò così e così. Insomma, alla vigilia delle Alpi era lontano in classifica…».

L’altura di giugno

L’idea di fare la doppietta era il filo conduttore della primavera, in un Team Sky che sarebbe andato al Tour anche con il giovanissimo Bernal e con Geraint Thomas. Al momento di disegnare il programma di Froome, che avrebbe comunque voluto correre due grandi Giri, fu individuato il Giro d’Italia.

«Dopo il Giro – ricorda Cioni – Chris andò in altura. La decisione fu presa perché il Tour era slittato avanti di una settimana, quindi c’era quasi un mese e mezzo fra le due corse (il Giro finì il 27 maggio, il Tour sarebbe cominciato il 7 luglio, ndr). Non si valutò mai di correre nel mezzo. Ugualmente al Tour ci arrivò meno centrato di quanto si sperasse, un po’ stanco. E si ritrovò in squadra un Thomas molto forte, che ci puntava da anni. Se questo lo ha condizionato? Potrebbe anche darsi, abbiamo visto con la Jumbo-Visma alla Vuelta che problemi ci sono quando hai davanti in classifica un compagno di squadra. Comunque ci fu subito una caduta e perse 51 secondi, poi Chris si ritrovò a perderne 8 sul Mur de Bretagne. Poca cosa, ma comunque un primo segnale. Fino alle Alpi era lì, anche se già staccato di 1’39” da Thomas».

Froome va al Tour dopo aver vinto il Giro: c’è attesa per la doppietta
Froome va al Tour dopo aver vinto il Giro: c’è attesa per la doppietta

Quale condizione

La doppietta è una sfida particolare, condizionata da fattori ambientali e dal calendario. Le annate non sono mai uguali fra loro e i giorni che dividono Giro e Tour sono spesso la parentesi in cui si gioca tutto.

«Trovare il bilanciamento migliore fra Giro e Tour – spiega Cioni – è quello che fa la differenza. Fra il Giro e il Tour del prossimo anno ci sono 34 giorni, nel 2018 erano 40. La differenza vera si fa cercando di capire se uno vuole fare la doppietta tenendo la stessa condizione oppure scaricando e poi tornando su. Se il tempo è poco, finisci il Giro, fai una settimana di recupero, un po’ lavori ed è già tempo di partire per il Tour. In questo caso è facile mantenere la condizione. In caso contrario, può essere difficile gestire le cinque settimane. Sono poche per staccare e poi riattaccare, che fu quello che cercò di fare Chris».

L’approccio light

Probabilmente nel valutare il diverso approccio con la doppietta tra Pogacar e Froome c’è da tenere anche conto della diversità fra i due atleti: un fatto di psicologia e caratteristiche tecniche.

«Il prossimo anno – dice Cioni – c’è una settimana in meno e Pogacar ha il vantaggio di saper tenere la condizione molto a lungo. E poi, da quello che si può capire osservandolo da fuori, Tadej ha un approccio più light di Chris, che era molto perfezionista nell’approccio. Pogacar sembra che viva la gara quasi come un gioco, quindi sente poco la pressione ed è un vantaggio, perché non avrà niente da perdere».

Alla fine il Tour 2018 va a Thomas, chissà se Froome senza di lui avrebbe provato altro
Alla fine il Tour 2018 va a Thomas, chissà se Froome senza di lui avrebbe provato altro

L’insidia di Oropa

Tra le variabili va ovviamente considerato il disegno dei due percorsi. E il Giro d’Italia che parte subito duro potrebbe complicare la vita a chi cercasse di restare in forma tanto a lungo.

«Anche nel 2018 l’Etna arrivava abbastanza presto – ricorda Cioni – ma dover fare i conti con la tappa di Torino e ancora più con quella di Oropa potrebbe esporre al rischio di perdere terreno se non ci arrivi già pronto. Per cui non puoi permetterti di arrivare alla partenza sperando di crescere di condizione con il passare dei giorni. Anche perché dopo il secondo riposo ci saranno ancora giornate molto pesanti, come ad esempio la doppia scalata del Monte Grappa, in cui stare molto attenti. Sono cambiati i percorsi e il modo di correre. La prima settimana del Tour in cui l’uomo di classifica spariva nel festival delle volate non esiste più. Per questo fare la doppietta è diventata così difficile».

Froome e l’errore nelle misure della bici: fantasia o verità?

22.11.2023
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Un errore di valutazione nella misura e nella taglia della bici di Froome, come ha lasciato intendere il britannico in svariate interviste? E’ ancora possibile nel momento in cui la cura di ogni dettaglio è maniacale? Ci può essere una correlazione tra il non sentirsi a posto sulla bici e la rottura del femore?

Cerchiamo di approfondire l’argomento con l’aiuto del dottor Loris Perticarini, ortopedico e traumatologo a Brescia, che tra gli altri ha operato Formolo e più recentemente Marco Frigo, oltre ad aver curato il ginocchio di Colbrelli. E poi con il parere di Alessandro Mariano, biomeccanico che in più di un’occasione ha aiutato diversi pro’ a rimettersi in sella.

Il dottor Loris Perticarini è un ortopedico piuttosto conosciuto nel ciclismo
Il dottor Loris Perticarini è un ortopedico piuttosto conosciuto nel ciclismo
Dottor Perticarini, quanto influisce la rottura del femore nella carriera di un pro?

La rottura del femore è un discorso ampio. La gamba inizia proprio dal femore, ma nel caso di una rottura sono da considerare i diversi fattori. Le cicatrici ad esempio e i danni muscolari, aspetti che portano ad alterazioni nell’espressione della forza sui pedali. Il femore guarisce, ma tutto quello che è intorno può aver subito dei danni. Il femore è articolato al bacino, di conseguenza alla colonna:, argomento davvero ampio e complesso.

Cosa significa?

Il femore non è circondato dal vuoto. Quando si ha la frattura ad un femore i tessuti intorno si lacerano, si tagliano e, quando guariscono, lasciano cicatrici. Bisogna valutare con attenzione se la contusione si è estesa al bacino, alla colonna con alterazioni di entità varie. La colonna vertebrale ad esempio può ridurre la lordosi naturale, con la conseguente modifica della mobilità. Quello che succede al femore si ripercuote inevitabilmente sul resto.

Il femore è l’osso più lungo del corpo umano
Il femore è l’osso più grande del corpo umano
Si rompe un femore, è da prevedere l’accorciamento dell’arto inferiore?

Decisamente no, bisogna capire dove si trova e come è fatta la frattura. Chiaro è che l’intervento, ovvero la riduzione della frattura, deve essere fatto bene. Non devono esserci dismetrie.

La frattura può portare a problemi al gesto della pedalata e a modificare la posizione in sella?

Sì, si possono verificare degli squilibri biomeccanici, soprattutto a livello del ginocchio e dell’anca. Non cambiano i punti di appoggio delle tuberosità ischiatiche una volta in sella, piuttosto influisce sulla mobilità della colonna.

Ha seguito il caso Froome?

Io penso che questi ragazzi, capaci di erogare prestazioni eccezionali, sentano a naso i 2 millimetri di differenza, mi limito a dire questo.

La vecchia Pinarello

In un’intervista rilasciata a Cyclingnews, Froome aveva raccontato di aver portato da un esperto una vecchia Pinarello dei tempi del Team Sky e di aver confrontato la posizione di allora con l’attuale. Il risultato è stato riscontrare una differenza di altezza sella di qualche centimetro. E avendo riportato le misure di allora sulla bici di oggi, avrebbe dichiarato di sentirsi molto più a suo agio.

«Partiamo dal presupposto – argomenta Alessandro Mariano – che mi sembra molto strano che un corridore del calibro di Froome non si accorga di un fitting che non gli permette di essere efficiente. Non è da escludere che gli sia stata impostata una posizione antalgica sulla bici e che questa non sia stata aggiornata nei periodi successivi all’infortunio. Detto questo, parlare di centimetri mi sembra un’enormità. Faccio fatica ad accettare una considerazione del genere».

Maurizio Radi, titolare di Fisioradi Medical Center a Pesaro. A destra, Alessandro Mariano
Maurizio Radi, titolare di Fisioradi Medical Center a Pesaro. A destra, Alessandro Mariano
Nel caso di Froome è possibile un errore di valutazione biomeccanica?

L’errore ci può stare, ma quello che ritengo inaccettabile è una differenza così grande, inoltre 3 centimetri in allungamento si vedono ad occhio. Si parla di centimetri, considerando che ci sono atleti che sentono i millimetri del fondello.

Cosa succede quando si è troppo lunghi sulla bici?

C’è sempre da fare tre valutazioni. Se l’attacco manubrio è troppo lungo, se il telaio è lungo, oppure se la sella ha un arretramento/avanzamento non adeguati. Come principio la bici lunga, con la sella a posto, aiuta a scaricare le pressioni che si generano sulla schiena, ma è vero che ogni caso è a sé e merita una valutazione specifica. Quando si è troppo lunghi sulla bici, si possono verificare dei problemi alle ginocchia e all’articolazione del bacino, in particolar modo quando c’è la misura sbagliata del telaio. Quando si è troppo corti, è la schiena a risentirne maggiormente.

Un trauma come quello subito da Froome, obbliga a un cambio di posizione in sella?

Generalmente sì, talvolta si tratta di un fitting temporaneo per poi tornare alla posizione usata in precedenza. In altri casi il cambio è radicale e viene portato avanti per il resto della carriera. In casi come questo di Froome, è necessario analizzare cosa è stato coinvolto, se solo l’arto inferiore o altre parti. Ma a prescindere, faccio fatica ad immaginare un corridore professionista di alto livello che non si accorga di una differenza così importante.

Chris Froome visita l’HQ di Factor… e trova la sua O2 VAM 2024

23.10.2023
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Factor Bikes, il marchio di biciclette ad alte prestazioni distribuito in Italia dalla commerciale reggiana Beltrami TSA, ha recentemente avuto modo di accogliere presso il proprio quartier generale il sette volte vincitore di Grandi Giri Chris Froome. Il motivo della visita? La presentazione al ciclista britannico della nuova colorazione in edizione speciale della sua O2 VAM: una livrea originalissima che accompagnerà Froome nel corso della prossima stagione 2024.

Nel corso della propria visita in Factor Bikes, Froome ha avuto modo di incontrare l’intero team di progettazione e ingegneria Factor per discutere dello sviluppo dei prodotti del marchio fino al 2024 e oltre. Nell’ambito di un’intera giornata di vera e propria “immersione” nel mondo Factor, trascorrendo molto tempo a strettissimo contatto con tutto lo staff, Froome ha avuto modo di offrire diversi spunti relativamente gli ultimi prodotti del brand, fornendo input importanti sull’indirizzo e sulla direzione tecnica dei progetti futuri. Non da ultimo, il campione britannico ha anche avuto modo di pedalare con appassionati ciclisti e suoi tifosi locali.

Oltre a pedalare Factor, Chris Froome è un investitore sia del marchio – fa anche parte del CdA – quanto di Black Inc. la company che produce componenti per biciclette da corsa ad altissime prestazioni.

Nella visita al quartier generale di Factor, Froome ha potuto curiosare nei “retroscena” della progettazione di una bici
Nella visita al quartier generale di Factor, Froome ha potuto curiosare nei “retroscena” della progettazione di una bici

Personalizzazione unica

Nata dalla collaborazione tra l’illustratore Karl Kopinski e il direttore creativo di Factor, Jay Gundzik, la colorazione unica dell’edizione speciale O2 VAM per Chris Froome rappresenta una vera e propria celebrazione della partnership intercorrente tra Factor e il prolifico vincitore di Giro, Vuelta e Tour. Caratterizzata da una colorazione ispirata al paesaggio del Kenya e ispirata dallo “spirito animale” di Froome (il rinoceronte), l’insieme della grafica è molto ben integrata al telaio, che garantisce una bici veloce, leggera e aerodinamica. 

Questa specifica colorazione è la terza creazione personalizzata per Factor dall’artista Karl Kopinski, dopo l’esemplare unico Factor Ostro VAM dipinto a farfalla per Bradley Wiggins e l’OSTRO VAM personalizzato di Andre Greipel con l’identificativo gorilla disegnato a mano proprio da Kopinski.

Froome ha avuto modo di scoprire e analizzare la O2 VAM che lo accompagnerà nel 2024
Froome ha avuto modo di scoprire e analizzare la O2 VAM che lo accompagnerà nel 2024

Un design identificativo

«Trascorrere del tempo con il team Factor a Taichung – ha dichiarato Froome – ha costituito per me un vero e proprio privilegio. E’ stato illuminante vedere la tecnologia e l’insieme di dati e variabili che stanno entrando nel settore della progettazione delle biciclette. Abbiamo potuto discutere di alcuni nuovi ed entusiasmanti design, di prodotti che arriveranno sul mercato nei prossimi due anni… La O2 VAM personalizzata che Jay e Karl hanno creato per me è stata una sorpresa davvero fantastica: e sono sinceramente stupito che siano riusciti a mantenere il segreto!».

«Sin dall’inizio del processo di sviluppo di O2 VAM – ha ribattuto Rob Gitelis, il CEO di Factor Bikes – abbiamo deciso che volevamo creare un design speciale per Chris. La bici è fatta su misura per il suo stile di guida: potente, precisa, ma anche un po’ selvaggia… La nostra volontà è stata quella di impiegare questo telaio come una vera e propria tela per raccontare la storia e lo spirito di Chris Froome».

Factor Bikes è stata creata appena nel 2007 come ramo d’azienda di bf1systems, una realtà che lavora per marchi leader come Ferrari, Aston Martin, Lamborghini, Maserati e molti team di F1, MotoGP e WRC. La prima bici in carbonio di Factor è stata presentata nel 2009: la rivoluzionaria FACTOR001 in grado di marcare il DNA di tutti i futuri modelli. Oggi Factor Bikes possiede e gestisce un proprio impianto di produzione di carbonio per così poter supervisionare e controllare ciascuna fase della produzione, dall’ideazione fino all’assemblaggio finale.

Factor

Beltrami TSA

Froome, addio Grande Boucle. Viaggio fra le sue ombre

30.06.2023
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Mancano poche ore al Tour de France numero 110 e quando a Bilbao si abbasserà la bandierina dello start non ci sarà Chris Froome. La Israel-Premier Tech infatti lo ha tagliato fuori dalla corsa che il britannico ha vinto quattro volte.

In questi giorni, la notizia non è freschissima, siamo stati alla finestra per vedere come evolveva la situazione, ma tutto è rimasto avvolto in un grande silenzio. Nessuna dichiarazione forte né da parte di Froome, né del team.

Froome sulle strade di Sierra Nevada: professionalità massima per il classe 1985 (foto Instagram)
Froome sulle strade di Sierra Nevada: professionalità massima per il classe 1985 (foto Instagram)

Delusione Froome

«Sono ovviamente deluso – aveva detto a caldo Froome a Gcn- anche perché il Tour de France occupa un posto incredibilmente speciale nel mio cuore. Mi spiace perché fisicamente ero pronto, ma purtroppo non sono riuscito a dimostrare la mia condizione nelle gare che mi sono state assegnate, a causa di problemi meccanici».

E ancora: «Rispetto la decisione della squadra e mi prenderò del tempo prima di concentrarmi nuovamente sui prossimi obiettivi della stagione. Voglio tornare al Tour de France nel 2024».

Partiamo da queste parole. Froome, al netto di qualche fiammata lo scorso anno proprio sulle strade del Tour de France, non si è più visto molto. 

In questa stagione ha infilato 29 giorni di corsa e il miglior risultato è un 12° posto in una piccola gara australiana. Questi 29 giorni di corsa sono stati divisi in due blocchi: uno fino a febbraio chiusosi al Tour du Rwanda, e uno da maggio in poi. L’unica corsa WorldTour a cui ha preso parte è stato il Romandia.

E’ anche vero che la Israel-Premier Tech non è più nella massima serie e ci sta che faccia qualche gara di altissimo livello in meno, ma nell’insieme non è certo un segnale positivo per Chris. 

Nelle ultime tre stagioni, Froome è entrato solo una volta nei primi 10: 3° lo scorso anno sull’Alpe d’Huez
Nelle ultime tre stagioni, Froome è entrato solo una volta nei primi 10: 3° lo scorso anno sull’Alpe d’Huez

Si fanno i conti

Froome in quei due mesi si è allenato con la solita grinta e la professionalità di sempre. In primavera era stato a lungo sulle alture di Sierra Nevada e poi, prima del Tour, si era spostato ad Andorra, ancora in altura.

Stavolta tutto questo lavoro non è bastato per il re del Giro 2018. Neanche il suo blasone. Va considerato che in casa Israel-Premier Tech deve tirare un’aria un po’ tesa. Dopo l’uscita dal WT dello scorso anno, non si “guarda più in faccia” nessuno. Un bel colpo di spugna. 

E’ finito fuori dalla lista del Tour anche l’altro atleta di spicco: Jakob Fuglsang. Servono punti per risalire la china, per cui corre chi dà più certezze. Il triennio è appena iniziato e per adesso la squadra di Sylvain Adam è 15ª nel ranking UCI.

Per quel che riguarda il danese, che invece sembra averla presa meno bene, oggettivamente era davvero difficile che potesse partire per il Tour. Ha avuto enormi problemi al soprassella ad inizio stagione, tanto da dover lasciare con una certa fretta il UAE Tour. Fuglsang non si è allenato per due mesi interi. Il Tour de Suisse era la sua ultima chance, ma si è fermato prima della crono finale.

Froome (a destra) e Fuglsang sono i grandi esclusi della Israel dal Tour. Eccoli al Romandia 2022

Polemiche e considerazioni

E’ inevitabile che tutto ciò inneschi delle polemiche. Froome ha parlato di problemi meccanici che nella corsa del Mont Ventoux e a alla Route d’Occitaine non gli hanno permesso di rendere al meglio (per onor di cronaca, va detto che i suoi compagni vincevano o salivano sul podio in quelle stesse corse e con quelle bici). 

In particolare sembra che Chris si riferisse ai freni. E non era la prima volta che il britannico si lamentava di questo aspetto tecnico.

Ma qualcosa dev’essere accaduto proprio a pochi giorni, se non ore, dalla comunicazione del team per la Francia. Fin lì infatti – ed è storia 8 o 9 giorni fa – Froome era convinto di farlo: «Sto migliorando poco a poco – aveva detto prima alla Cic Ventoux – le ultime sei, sette settimane sono andate bene in allenamento. Ho lavorato senza problemi. Le cose sembrano andare nella giusta direzione.

«Ovviamente non andrò al Tour per lottare per la classifica generale, ma per provare a vincere una tappa: sarebbe fantastico».

«Non sono dove immaginavo di essere adesso, ma mi sto divertendo», così ha commentato Chris sulle sue pagine social dopo l’esclusione
«Non sono dove immaginavo di essere adesso, ma mi sto divertendo», così ha commentato Chris sulle sue pagine social dopo l’esclusione

Tour 2024: un’utopia?

Un altra querelle è quella che riguarda il contratto di Froome. Ufficialmente è fino al 2023, ma c’è chi dice che si sarebbe dovuto chiudere lo scorso 31 dicembre con la retrocessione del team a professional e chi invece che durerà fino al 2025.

«Preferisco non parlare di alcun elemento del contratto di Froome – ha detto patron Adam – abbiamo un accordo con Chris che la sua ultima squadra sarà proprio questa». Volendo fare le pulci alle sue parole, Adam non menziona le date e parla di accordo, non di contratto. Ma questo cambia poco.

Ci auguriamo che Froome, ma anche Fuglsang, possano tornare ad esprimersi al meglio. Se poi il livello sarà quello per competere al top, questo ce lo potranno dire solo le gare. Ma gli anni passano e il livello si alza: non sarà semplice questa sfida.

EKOI e Israel Premier Tech: accordo fino al 2025

20.12.2022
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Dall’avvio della prossima e attesa stagione 2023, il team Israel Premier Tech inizierà a collaborare con EKOI per quanto riguarda la fornitura tecnica di abbigliamento, caschi ed occhiali. Questo importante accordo – di durata triennale e dunque valido fino alla fine della stagione agonistica 2025 – consentirà al brand francese produttore di abbigliamento ed accessori per il ciclismo di continuare a proporre importanti innovazioni sempre al servizio della performance dei propri clienti. 

Nel corso dei recenti ritiri di inizio stagione, diversi membri dello staff tecnico EKOI hanno avuto modo di viaggiare in Spagna per permettere ai corridori di provare individualmente abbigliamento, caschi e occhiali. Non a caso, proprio questo servizio “su misura”, oltre alla disponibilità EKOI nei confronti dei propri atleti, rappresentano entrambe due qualità ben definite nel Dna dell’azienda. E in occasione di questi primi meeting tecnici, campioni del calibro di Chris Froome, Jakob Fuglsang e Michael Woods hanno avuto modo di trasferire immediatamente il proprio feedback sia al responsabile della sponsorizzazione EKOI Pietro Cicoria quanto ai tecnici, con l’obiettivo di perfezionare tutti i dettagli. 

L’accordo tra Ekoi e Israel Premier Tech sottolineato dalla stretta di mano fra il manager Carlstrom (a sinistra) e Pietro Cicoria di Ekoi
L’accordo tra Ekoi e Israel Premier Tech nella stretta di mano fra Kjell Carlstrom (a sinistra) e Pietro Cicoria di Ekoi

Tecnica e performance

«Come squadra, eravamo alla ricerca di un marchio in grado di offrirci attrezzature di alta qualità – ha dichiarato Kjell Carlstrom, il General Manager della Israel Premier Tech – e con EKOI abbiamo trovato molto di più. Siamo stati conquistati dalla loro reattività e dalla loro volontà di offrirci il miglior materiale possibile per l’ottimizzazione delle prestazioni. Inoltre, abbiamo anche potuto visitare la loro sede e comprendere meglio la bellissima etica del marchio».

«Sin dalla propria creazione – ha ribattuto Jean-Christophe Rattel, il fondatore di EKOI – il brand è sempre stato molto attento all’attività dei professionisti e dei loro team. Essere i fornitori tecnici di alcuni dei grandi campioni che hanno segnato la storia del ciclismo rappresenta per noi un vero e proprio onore… e siamo orgogliosi di poter da loro essere riconosciuti per il nostro lavoro e per il nostro know-how». 

Il marchio francese è produttore di abbigliamento ed accessori per il ciclismo
Il marchio francese è produttore di abbigliamento ed accessori per il ciclismo

Disponibile sono online

Anche Chris Froome ha avuto importanti parole di apprezzamento nei confronti di EKOI in occasione di questi primi incontri tecnici.

«Le mie prime impressioni quando ho avuto modo di indossare i capi e gli accessori EKOI – ha dichiarato il quattro volte vincitore del Tour – sono state estremamente positive. In primo luogo perché la qualità dei materiali è evidente e la finitura eccellente. In seconda battuta, perché questo marchio sa bene cosa i ciclisti professionisti si aspettano».

Chris Froome sarà ancora uno dei corridori di prim’ordine della Israel
Chris Froome sarà ancora uno dei corridori di prim’ordine della Israel

Creato nel 2001, EKOI si è rapidamente affermato come brand leader in Francia per quanto riguarda la produzione di abbigliamento e accessori per ciclisti. Pioniere della vendita diretta online fin dal 2008, EKOI ha così scelto di eliminare alcuni passaggi commerciali intermedi proponendo ai consumatori prodotti “premium” in grado di combinare design e tecnicità. La costante collaborazione con alcuni dei migliori ciclisti professionisti in circolazione permette ad EKOI di offrire prodotti estremamente innovativi, favorendo così le prestazioni e le… vittorie in molteplici e grandi competizioni sportive al mondo.

Ekoi

Froome, il futuro è un grosso interrogativo

09.12.2022
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Un video sul proprio canale YouTube al momento di riprendere la preparazione e così Chris Froome ha spiegato i suoi obiettivi per il 2023.

«Combattere la generazione più giovane – recita il britannico, che in apertura è ritratto nella fuga dell’Alpe d’Huez all’ultimo Tour – sta diventando sempre più difficile. Ho ancora molta motivazione e sento di poter ancora ottenere qualcosa. Potrebbe non bastare per arrivare al livello di Pogacar o Vingegaard, perché il ciclismo è cambiato e anche il modo di correre. Tuttavia, vedo anche come stanno i più grandi, come Geraint Thomas sia comunque arrivato terzo al Tour. E come Alejandro Valverde e Vincenzo Nibali siano stati ancora in grado di vincere delle gare».

Calendario incerto

Il guaio del fare programmi alla vigilia del 2023 è che la Israel-Premier Tech non sa ancora dove correrà. E se lo sa, fa finta di non averlo capito. In quell’insolita geografia dei team dopo le prime promozioni e retrocessioni, il quadro deve ancora comporsi. L’UCI di fatto non ha ancora ratificato un bel niente. Per cui si dà per scontato che la Alpecin-Decuninck e la Arkea-Samsic siano salite nel WorldTour, mentre la Lotto-Dstny e la Israel dovranno correre tra le professional. La prima avrà tutti gli inviti, compresi i grandi Giri. La seconda parteciperà di diritto alle gare WorldTour in linea. E per il resto dovrà sperare negli inviti. Così, come nei giorni scorsi Fuglsang ci aveva raccontato la sua voglia di Giro, Froome butta lo sguardo sul Tour.

«E’ fastidioso – dice – cerco di prepararmi nel miglior modo possibile, sperando nello scenario migliore e cioè che siamo invitati alle gare più grandi. Se ciò non accadrà, troveremo un piano B. In ogni caso inizierò con il Tour Down Under a gennaio e poi vorrei concentrarmi sul Tour de France».

Thomas e Froome a lungo compagni sin dagli anni al Team Sky
Thomas e Froome a lungo compagni sin dagli anni al Team Sky

Il Covid e il cuore

La Grande Boucle come filo conduttore o un’ossessione, Froome non si rassegna e rincorre l’ombra di quel corridore filiforme che, prima dell’infortunio, piegò i rivali dal 2013 al 2017, con la sola interruzione di Nibali nel 2014.

«Invece l’anno scorso – spiega – ho preso il Covid e semplicemente non sono stato in grado di rimettermi in forma. Non mi sono mai sentito come se avessi energie da spendere. Sono andato alla Vuelta per ricostruire la forma, ma in realtà non è migliorata. Il Covid ha un forte impatto sul cuore. Non è paragonabile all’influenza, come molti pensano, soprattutto per i ciclisti professionisti. Di quelli con cui ho parlato in gruppo, molti soffrono ancora per i postumi del virus. I corridori si sentono stanchi, non raggiungono gli stessi livelli di forza, hanno frequenze cardiache diverse. E’ importante che la squadra ci abbia sottoposto a tutti i controlli medici necessari, solo per assicurarci che tutto sia a posto».

A 37 anni Froome è ancora lì. Con il sogno di sempre…

13.11.2022
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Chris Froome ha valicato la soglia dei 37 anni. Nel 2022 ha corso per 62 giorni e solo in uno di questi è sembrato essere, seppur lontanamente, quel corridore capace di entrare nella ristretta cerchia dei vincitori di tutti i grandi giri, portandone a casa ben 7 (4 Tour, 2 Vuelta, un Giro). Un campione la cui parabola ascendente si è bloccata quel maledetto 12 giugno 2019, con quella caduta al Giro del Delfinato proprio prima della cronometro, quando il suo fisico andò letteralmente in pezzi come un bicchiere di cristallo.

Riprendersi, anche solo per camminare e poi salire su una bici, fu uno sforzo sovrumano, ma ora Froome è lì, che anno dopo anno pedala in mezzo al gruppo, spesso anche in fondo. Tanti nel profondo pensano: «Ma chi glielo fa fare? Tanto ormai…». E’ proprio quell’ormai che dà al britannico la forza di insistere, che gli dice di non arrendersi perché la sua bella storia non può finire così.

Ai suoi interlocutori Froome è apparso più ottimista sul suo futuro, per nulla demoralizzato
Ai suoi interlocutori Froome è apparso più ottimista sul suo futuro, per nulla demoralizzato

Quel giorno all’Alpe d’Huez

Dicevamo di un giorno del 2022, un giorno speciale. Il giorno dell’Alpe d’Huez al Tour de France. Chi c’era dice che vedendolo passare sembrava che le lancette del tempo fossero tornate bruscamente indietro, a quando Froome dava spettacolo davanti a tutti. «Quello è stato il miglior giorno da tre anni a questa parte – afferma il britannico – perché mi sono sentito rinato, ero di nuovo io».

Quel giorno Froome raggiunse la fuga principale sulle rampe del Galibier, prese di petto la Croix de Fer e diede battaglia sull’Alpe d’Huez finendo dietro solo al vincitore Pidcock e a Meintjes. Era tornato il Froome dei bei tempi, per un attimo fuggente.

Ripensandoci, Froome, intervistato da Cyclingnews, tiene i piedi saldi per terra nel giudizio della stagione che non può certo dipendere da una sola giornata: «E’ stato un anno iniziato male e finito peggio. Un altro anno scivolato via, ma che mi ha lasciato un barlume di speranza e a quello mi aggrappo con tutte le forze. Avevo iniziato il Tour come preparazione per la Vuelta, il mio vero obiettivo dopo aver avuto tanti problemi fisici a inizio stagione. Ho iniziato a sentirmi di nuovo io, come non mi accadeva da tantissimo tempo. Poi, improvviso, ecco che arriva il Covid. Io sono asmatico e quella maledetta malattia mi ha lasciato strascichi che mi sono portato dietro per tutto il resto della stagione.

E’ la scalata dell’Alpe d’Huez e Froome sembra tornato a brillare
E’ la scalata dell’Alpe d’Huez e Froome sembra tornato a brillare

Tutto rovinato dal Covid

«L’Alpe d’Huez è stata un momento per me importante. Ho lottato, come non potevo fare da tempo. Le gambe rispondevano. Andavo meglio di quanto pensassi, considerando che per me era una preparazione per un altro grande giro».

Quel ritiro ha interrotto il sogno e Froome ne è cosciente: «Ho ricominciato ad arrivare in fondo al gruppo. La Vuelta stava andando al contrario di come speravo, ma proprio pensando all’Alpe d’Huez dicevo ogni giorno che dovevo arrivare al traguardo, accumulare chilometri e fatica perché mi sarebbero venuti utili in seguito. Guardavo già al 2023 e lo faccio ora consapevole che ci sono dei lati di quest’annata sfortunata che mi fanno ben sperare.

Il britannico ha chiuso la Vuelta al 114° posto, ma ha voluto concluderla pensando al 2023
Il britannico ha chiuso la Vuelta al 114° posto, ma ha voluto concluderla pensando al 2023

Mente già puntata al 2023

«Intanto è stato il primo anno dal 2019 nel quale non ho sentito alcun effetto della caduta di Roanne. Poi il fatto che prima del Covid avevo raggiunto una condizione che non toccavo da tre anni a questa parte. Io vorrei ripartire da lì, ma c’è tanto da fare».

Froome ha già ripreso la preparazione e guarda al 2023 con ottimismo, «a condizione però che tutta la prima parte sia un periodo ininterrotto di allenamenti e gare senza acciacchi, malattie, infortuni. Poi voglio inseguire obiettivi mirati, non grandi, legati a vittorie parziali in corse a tappe, lottare per qualche classifica, ripartire insomma da target che possono essere alla portata».

L’ultimo grande giro vinto da Froome: la corsa rosa del 2018. E’ anche l’ultima grande vittoria
L’ultimo grande giro vinto da Froome: la corsa rosa del 2018. E’ anche l’ultima grande vittoria

Entrare nel “club dei 4”

Considerando il suo passato, perché allora tirare diritto per obiettivi che nulla darebbero di più alla sua fantastica carriera? Intanto perché ogni risultato, ancor più una vittoria avrebbero il dolce sapore del riscatto contro il destino. Poi perché nel suo cuore alberga sempre il sogno di entrare a far parte del “Club dei 4”, coloro che hanno vinto per 5 volte il Tour de France (Anquetil, Merckx, Hinault, Indurain). Lui lo ha fatto quattro volte, l’ultima nel 2017. Ora è un altro ciclismo, quello dei ragazzi terribili, ma Froome è ancora convinto di potercela fare.

«Molti al posto mio avrebbero mollato, ne avrebbero avuto abbastanza, soddisfatti già per il fatto di essere tornati alla normalità. Ma io no, sono convinto di poterlo fare. Amo troppo questo mestiere, amo il viaggio che porta a una vittoria, fatto di allenamenti, l’attesa, la corsa, la sua evoluzione, quella gioia di un istante quando sai di aver vinto. Il cercare di ottenere sempre il meglio da me stesso. Mi sento come un neoprofessionista, ma con l’esperienza di 13 anni di carriera. Riparto da qui…».

Dan Martin, Pogacar e il ciclismo delle persone normali

08.11.2022
6 min
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Dopo un anno dal ritiro, Daniel Martin ha mandato alle stampe un libro dal titolo emblematico: “All’inseguimento del panda”. Il riferimento è alla Liegi del 2013, quando l’irlandese fu inseguito da un tifoso mascherato da Panda mentre era in fuga con “Purito” Rodriguez (foto di apertura).

«Vedere la parola panda nel titolo di un libro di ciclismo – ha raccontato a The Guardian al momento del lancio – se non conosci la storia, ti intriga e ti interroga. Questo trascrive lo spirito del libro, che vuole essere più leggero della maggior parte delle autobiografie che siamo abituati a vedere. Avrei voluto disegnare io un panda per la copertina, ma l’editore ha rifiutato. Temeva che sarebbe stato scambiato per un libro per bambini. Non so chi ci fosse sotto quel costume. Mi ha sempre sorpreso che nessuno mi abbia mai contattato».

Martin è nato nel 1986 ed è passato pro’ nel 2008. Ha corso con Garmin, Cannondale, Quick Step, UAE e Israel
Martin è nato nel 1986 ed è passato pro’ nel 2008. Ha corso con Garmin, Cannondale, Quick Step, UAE e Israel

Bisogno del cielo

Martin non è mai stato bellissimo in bici, ma era un grande attaccante. Ha vinto la Liegi, il Lombardia, tappe al Giro, al Tour e alla Vuelta. Suo zio è Stephen Roche, padre di suo cugino Nicholas. La sua carriera è stata anche una ripicca contro David Brailsford che non lo volle nell’allora Team Sky, quando Dan gli disse che non aveva alcuna intenzione di lasciare la strada per la pista, come ad esempio avevano accettato di fare il suo coetaneo Geraint Thomas e Wiggins prima di lui.

«Avevo bisogno del cielo – racconta – volevo sentire la pioggia e il sole sulla pelle. Volevo vedere le sagome degli alberi. Ho sempre corso per divertimento. Se ho bisogno di vivere come un monaco per essere un buon ciclista, non voglio farlo. Forse se fossi andato a Tenerife e avessi vissuto sul Teide per tre settimane prima del Tour, ogni anno sarei stato un po’ meglio. Oppure non sarei ancora innamorato del ciclismo».

Vuelta 2018, Martin con il cugino Roche. Dan ha corso alla UAE per due stagioni
Vuelta 2018, Martin con il cugino Roche. Dan ha corso alla UAE per due stagioni

Una cosa normale

Il primo colpo di martello sul cuneo che alla fine del viaggio aprirà una breccia sul ciclismo estenuante di questi tempi, ma senza puntare il dito. Si è liberi di stare al gioco o si può accettare di viverlo diversamente.

«Mio padre Neil – spiega – era un ciclista professionista. Mio zio Stephen l’ho visto più volte tagliare il tacchino che vincere corse. Quindi sono stato educato sul fatto che essere corridori non è sovrumano, è semplicemente normale. Anche se nel 2005 ero giovanissimo e lottavo per rimanere attaccato al gruppo, sapevo comunque che prima o poi sarei finito al Tour. Sin da quando ho iniziato a correre a 14 anni, mi fu detto che avevo qualcosa di speciale. Non fu facile vincere una tappa nel 2013, Sky sembrava inespugnabile. Ugualmente capii perché non ho mai voluto farne parte. Perché io amavo soprattutto lo stile offensivo delle corse».

Nel 2018, Froome vince il Giro e Thomas il Tour: il dominio del Team Sky appare inscalfibile
Nel 2018, Froome vince il Giro e Thomas il Tour: il dominio del Team Sky appare inscalfibile

Tattiche e vita

Un fatto di stile di corsa, ma anche di modello di vita. Tuttavia, ogni volta che ha parlato dei colleghi dello squadrone britannico, lo ha fatto con grande rispetto, pur rimarcando la distanza.

«Non sarei potuto diventare come loro – spiega – ugualmente penso che Thomas sia uno degli uomini più duri che abbia mai incontrato. Il sacrificio a cui si è sottoposto per sei mesi prima di vincere il Tour è incredibile. Io ero dotato fisicamente, ma avevo la capacità mentale di affrontare quel sacrificio? Non lo so. Geraint e anche Froome sono andati ben oltre le loro capacità fisiche, grazie alla capacità di essere incredibilmente concentrati».

Nel 2014, Martin ha vinto il Lombardia sul traguardo di Bergamo
Nel 2014, Martin ha vinto il Lombardia sul traguardo di Bergamo

Margini ristretti

Si può fare senza, ma dal momento che certe abitudini hanno invaso il gruppo e si sono estese a tutte le fasce di corridori, a un certo punto Martin si è sentito fuori posto.

«Ecco perché l’anno scorso ho smesso di correre – racconta – perché lo sport stava diventando troppo controllato. Avevo perso il vantaggio dell’imprevedibilità, perché ora a ogni ciclista viene detto esattamente cosa stanno facendo gli altri e le metodologie delle squadre si adeguano. Voglio essere in grado di decidere perché, quando e quale allenamento faccio e quali tattiche utilizzare. Il ciclismo che amo è anche libertà di espressione. Ora invece le corse sono piuttosto noiose da guardare, perché nessuno commette più errori. Tutti sono perfetti nell’alimentazione, l’allenamento è perfetto e manca però l’elemento umano. Le corse sono diventate prevedibili».

La crisi del Granon è stata a vantaggio di Vingegaard, ma è stata conseguenza della sfrontatezza di Pogacar
La crisi del Granon è stata a vantaggio di Vingegaard, ma è stata conseguenza della sfrontatezza di Pogacar

La crisi del Granon

Al punto che la crisi di Pogacar sul Granon è stata il vero momento forte del Tour 2022. Merito a Vingegaard, ma soprattutto a Tadej che in qualche modo… se l’è cercata.

«La gente dice che quella tappa è stata la migliore corsa di sempre – spiega – ma è ugualmente merito di Pogacar. E’ la mina vagante che attacca ogni volta che ne ha voglia, mentre il resto della corsa è programmato e controllato. Pogacar torna all’idea del ciclismo romantico, ma allo stesso tempo ha il peso della squadra. E la UAE Emirates si sta già preparando per il futuro, anche se Pogacar ha solo 24 anni. Quindi la questione di quanto potrà durare è già sul tavolo. Normalmente si sarebbe detto che ha davanti altri 10 anni, ma ci sono in arrivo giovani fortisssimi, pronti per sostituirlo alla prima difficoltà. Ho sentito storie di sedicenni che facevano 30 ore di allenamento a settimana. Stanno già lavorando come dei professionisti incalliti».

Martin si è ritirato a fine 2021, ma quello stesso anno ha vinto la tappa di Sega di Ala al Giro
Martin si è ritirato a fine 2021, ma quello stesso anno ha vinto la tappa di Sega di Ala al Giro

Come Aru e Dumoulin

Quanto si può durare andando avanti così? Non esiste una regola assoluta. Probabilmente i caratteri meno fragili rischiano di cedere, altri tengono duro e sapremo solo col tempo se le carriere saranno più brevi.

«Dumoulin – dice – ha continuato a correre negli ultimi due anni, ma non era lo stesso. Si è sostanzialmente ritirato due anni fa a 29 anni. Anche Fabio Aru, un talento incredibile, si è ritirato a 30 anni. Questi ragazzi hanno sostenuto questo enorme impegno e sacrificio. Erano giovani corridori fenomenali, ma sono stati schiacciati. Va bene per chi in cambio di questa vita viene pagato con somme pazzesche, come Pogacar. Ma i gregari guadagnano potenzialmente meno di quanto avrebbero preso 10 anni fa, in cambio di sacrifici raddoppiati.

«Guardo le mie foto da neoprofessionista nel 2008. Avevo 22 anni, ne dimostravo 15. Nel ciclismo moderno mi sarebbe stato permesso il tempo per svilupparmi? Sono stato fortunato che una volta fosse possibile andare in bicicletta alle proprie condizioni e con il sorriso sulle labbra».

Factor Ostro Phoenix, il look che celebra il coraggio di Froome

24.08.2022
3 min
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“Se cadi osa rialzarti”. Un mantra che rispecchia l’indole di Chris Froome. Ed è proprio questa frase che infiamma il telaio utilizzato dal keniano nella Vuelta in corso. Una Factor Ostro VAM in edizione limitata che omaggia il campione della Israel-Premier Tech con i colori e il famoso concetto rappresentato dalla mitologica fenice. Non a caso il nome della bici è proprio Phoenix e sarà ordinabile per la durata della corsa spagnola fino all’11 settembre. 

I colori rosso, giallo e rosa vivacizzano anche la scritta Factor sul tubo obliquo
I colori rosso, giallo e rosa vivacizzano anche la scritta Factor sul tubo obliquo

Dalle ceneri

L’incidente drammatico di Froome nel 2019 è stato un capitolo decisivo della sua carriera. Dopo un periodo dove tutto sembrava perso, i problemi alla gamba e un’anca in frantumi, Chris ha saputo rimettersi in sesto. All’ultimo Tour de France lo abbiamo visto protagonista sull’Alpe d’Huez dove a 37 anni è riuscito a chiudere terzo in una tappa iconica. 

Ed è proprio per il suo percorso costellato di vittorie di grandi giri e imprese spettacolari che Factor ha voluto omaggiare il britannico nel 21° grande Giro della sua carriera.  

Sul tubo orizzontale la citazione di Froome è pennellata d’argento e ben visibile
Sul tubo orizzontale la citazione di Froome è pennellata d’argento e ben visibile

La fenice

Il nero della Ostro VAM viene acceso dalle pennellate di rosa, giallo e rosso. Una livrea unica in edizione limitata che esalta attraverso i colori le imprese del keniano. Le vittorie del Giro d’Italia, Tour de France e Vuelta a Espana sono ciò che è stato Froome nel ciclismo. La sua voglia di rivalsa dopo l’infortunio è ideologicamente impressa sul telaio nella frase “If you fall dare to rise again”. 

Questa bici è un messaggio che va oltre il suo interprete e può essere apprezzata e ambita da tutti. E’ infatti ordinabile per tutta la durata della corsa spagnola fino all’11 settembre. Il prezzo di questa colorazione particolare è il medesimo della colorazione “standard”. 

La Ostro VAM è la bici top di gamma Factor utilizzata dal team Israel Premier-Tech durante questa stagione
La Ostro VAM è la bici top di gamma Factor utilizzata dal team Israel Premier-Tech durante questa stagione

Il top di Factor

La Ostro VAM è la bici da corsa che incarna il meglio di Factor. La Israel-Premier Tech la utilizza con Shimano Dura Ace, ruote e cockpit Black Inc e pneumatici Maxxis High Road. Le pedivelle sono le Aldhlu di Rotor e il misuratore di potenza INspider. Un concentrato di prestazioni avvolte in un messaggio unico e motivante. 

Factor

Beltrami TSA