Invece Bettiol non crede che Remco fosse alla nostra portata

25.09.2022
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Le cose dopo la corsa sono diverse da come appaiono dopo che se ne è parlato con la squadra. E sono diverse anche da come te le raccontano da casa basandosi su letture frettolose. Alberto Bettiol al momento sta passando più o meno su questo sentiero, senza rendersi conto che nella continua ricerca del miglior risultato, ipotizzare la sua presenza nella fuga di Evenepoel è il modo di riconoscergli una superiorità oggi lampante. Era il solo per l’Italia in grado di fronteggiare il fenomeno belga.

In salita Bettiol ha dimostrato di essere al livello di tutti i più forti
In salita Bettiol ha dimostrato di essere al livello di tutti i più forti

E’ chiaro che nessuno poteva saperlo prima, ma il Bettiol visto scattare in faccia a Van Aert avrebbe potuto reggere anche l’azione di Evenepoel. E a quel punto il belga avrebbe fatto come a Trento lo scorso anno davanti a Colbrelli. Avrebbe smesso di chiedere cambi e avrebbe rischiato di tirare a testa bassa verso il suicidio.

Sedici corridori

Ottavo all’arrivo, da chiedersi se sia poco oppure tanto. Senza sapere che cosa si sono detti gli azzurri nella riunione, è facile considerare che quando sei leader, si alzano le aspettative. E se poi viene fuori che gli altri chiamati a condividere con te il peso della responsabilità non hanno le gambe, come probabilmente è stato oggi per Bagioli, il peso aumenta. Al leader si chiedono i risultati. E quando Evenepoel è andato via non da solo, ma in quel gruppo di sedici corridori tirato fuori dai francesi, sarebbe bastato (forse) trovarsi in testa al gruppo per agganciarsi.

Nella volata per l’argento, Bettiol è stato 7° subito dietro Sagan
Nella volata per l’argento, Bettiol è stato 7° subito dietro Sagan

«E’ stato un mondiale strano – le parole di Bettiol dopo l’arrivo – tutti aspettavano la salita e un corridore come Remco ne ha approfittato. Noi non abbiamo un Remco in squadra, quindi non potevamo fare altro che essere presenti in ogni fuga ed evitare di ritrovarci a tirare e non abbiamo mai tirato. Nell’ultimo giro ho provato ad attaccare insieme a Van Aert e l’ho quasi staccato, anzi l’ho staccato. Siamo andati via con lui e Honoré, ma il percorso è molto veloce, da dietro rientravano.

L’attacco di Remco

Alberto è arrivato al mondiale con i gradi sulle spalle. Sappiamo tutti che nella giornata giusta avrebbe potuto tenere testa anche ai più forti e probabilmente quello di Wollongong è stato uno di quei giorni. Il fatto che Bennati abbia immaginato la sua presenza a ruota di Evenepoel deriva dalla stima che nutre nei suoi confronti, avendo capito che oggi il solo a poter far svoltare il mondiale azzurro fosse proprio lui.

Tornati al camper della FCI, ci pensa Federico Morini a dare a tutti una rinfrescata
Tornati al camper, ci pensa Federico Morini a dare a tutti una rinfrescata

«Purtroppo quando Remco è partito – ha ammesso Alberto a fine corsa – noi dietro ci siamo un po’ riposati e lui ha preso subito tanti minuti e poi il percorso è venuto più facile del previsto. Non avevamo nessuna marcatura a uomo. Solo non ci dovevamo ridurre a tirare, mentre a 100 dall’arrivo si doveva muovere Lorenzo Rota. Il suo attacco è stato più che giusto e poi non ha tirato un metro. Io e “Bagiolino” invece dovevamo farci trovar pronti negli ultimi due giri, mentre Matteo (Trentin, ndr) in caso di volata. Quindi questo è stato, ma purtroppo di Evenepoel ce n’è uno ed è stato più bravo».

La domanda resta e non avrà mai una risposta. Che cosa sarebbe successo se uno dei corridori della nazionale preposti a fare la corsa avesse seguito il belga anziché lasciare che a farlo fossero solo Conci e Rota?

Punti, Covid, Tramadol e… confini: il ciclismo di Lappartient

25.09.2022
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Mentre le ragazze della gara elite erano pronte per partire da Helensburgh, a circa 30 chilometri da Wollongong, il presidente dell’UCI Lappartient ha tenuto la rituale conferenza stampa di ogni mondiale. Avrebbe potuto farlo appena due ore dopo e in sala stampa ci sarebbero stati tutti, ma in questa edizione del mondiale sembra che gli orari siano un problema solo per chi lavora.

Seduto al tavolo dei campioni, Lappartient si è sottoposto a una serie di domande, spesso slegate fra loro, alle quali ha risposto a mano libera, omettendo di soffermarsi su quelle che avrebbero potuto creare imbarazzo. In politica si fa così.

Quintana è stato cancellato dalla classifica del Tour dopo il ritrovamento di Tramadol. Ha fatto ricorso al Tas
Quintana è stato cancellato dalla classifica del Tour dopo il ritrovamento di Tramadol. Ha fatto ricorso al Tas
Cosa pensa del ricorso di Quintana contro la squalifica per uso del Tramadol?

Noi rimaniamo convinti della nostra linea, ma è corretto che si sia appellato. Abbiamo trovato il Tramadol in due diverse tappe e dato che il prodotto degrada molto rapidamente, abbiamo pensato che lo abbia usato più volte. Non si prevede una squalifica dell’atleta, almeno per ora. Ma viene tolto dalla classifica della corsa in cui si verifica la positività. Di certo non si tratta di una sostanza che l’organismo produce da solo. Speriamo che il TAS riconosca la nostra posizione.

Oggi si sono svolte due corse in una: quella delle under 23 e quella delle elite. Quando verranno divise?

Mi sembra già una decisione importante aver creato il titolo per le più giovani. L’idea di far disputare una corsa a sé c’è e verrà messa in pratica nel 2025. Prima non è stato possibile. Prima perché non tutte le nazioni hanno ragazze giovani a sufficienza e poi perché non tutte le città, ad esempio Zurigo 2024, sono disponibili a chiudere il centro per una gara di più.

A Wollongong hanno debuttato le gare per U23 donne (Guazzini ha vinto la crono) dal 2025, dice Lappartient, ci saranno gare autonome
A Wollongong hanno debuttato le gare per U23 donne. Guazzini ha vinto la crono
Che cosa le sembra di questo mondiale così lontano dalla culla del ciclismo?

L’Europa è probabilmente il cuore del nostro sport, ma voglio spingere per una visione più internazionale. Per cui andremo in Africa, poi in Canada ed entro il 2030 in Asia. Qui ci stiamo trovando molto bene. L’organizzazione è piccola, ma il mio telefono non squilla tutti i giorni per segnalare dei problemi e questo significa che ognuno sa cosa fare. I negozi e i ristoranti sono tutti griffati con il logo della corsa, gli atleti sono contenti e di riflesso siamo contenti anche noi.

Come si spiega che qui, nella corsa dell’UCI, non ci sono protocolli Covid e si vive a contatto con gli atleti, mentre in Europa ci sono corse che tengono ancora tutto chiuso?

C’è un dibattito in corso fra i nostri medici e quelli delle squadre. Nonostante sia cambiato l’atteggiamento nei confronti del virus, per cui la positività non porta direttamente alla messa fuori corsa, sono loro i primi a volere un certo rigore. Non è un caso che la maggior parte dei corridori mandati a casa di recente sia risultata positiva a controlli interni.

Ieri il Guardian ha scritto un articolo su un giornalista di Cyclingtips – Iain Treloar – cui è stato rifiutato l’accredito per i mondiali. Lui sostiene che sia avvenuto per le sue critiche all’UCI.

Noi non limitiamo la libertà di stampa, qui ogni testata è gradita (Iain Treloar aveva scritto una serie di pezzi sulle presunte influenze di Igor Makarov nelle politiche dell’Uci e sulla vicinanza della stessa al vecchio presidente del Turkmenistan, accusato per violazione dei diritti umani, ndr). Il regolamento UCI per gli accrediti stampa ne prevede 3 per ogni media e Cyclingtips ha avuto 3 accrediti. Non vedo problemi.

Il sistema dei punti non piace, cambierete qualcosa?

Ci sono discussioni. Non so se esista il sistema perfetto, ma cercheremo di trovare un equilibrio migliore. Ha ragione Hinault: «Per fare punti bisogna vincere le corse». Faremo degli aggiustamenti, se necessario, ma non ci saranno stravolgimenti. E comunque saranno variazioni da introdurre entro il prossimo inverno. Poi inizierà un altro triennio e non si possono cambiare le regole durante il gioco.

Dopo la conferenza, Lappartient si è fermato a parlare con le tivù
Dopo la conferenza, Lappartient si è fermato a parlare con le tivù
Sorpreso delle critiche da parte delle squadre?

Sorpreso che si siano accorte di non essere d’accordo soltanto nel terzo dei tre anni, visto che il sistema è in vigore dal 2020. L’obiettivo è che ogni anno ci siano retrocessioni e promozioni. Gli organizzatori volevano che avvenisse tutto automaticamente, i gruppi sportivi no. Ma una cosa la dico: non si retrocede per un anno nero. Per questo si fa la somma dei tre precedenti. E se sei stato ultimo per tre anni, allora forse c’è un problema. Non vogliamo che il ciclismo sia chiuso come la NBA, lo sport vive di vittorie e sconfitte e noi dobbiamo accettarne le regole.

Non sarebbe il caso di considerare che fra 2020 e 2021 il Covid ha condizionato l’attività?

Se prendiamo il numero delle corse, vediamo che se ne è svolto il 90 per cento. Quindi il Covid ha sicuramente dato fastidio, ma non ha falsato la possibilità di fare punti. Se avessimo spostato di un anno l’entrata in vigore della regola, cosa avremmo potuto dire ad esempio alla Alpecin-Deceuninck che in questi anni si è guadagnata il WorldTour? Poteva fare ricorso e avrebbe vinto.

Questa foto è l’emblema di come la stessa squadra (Movistar Team) sprinti con tre uomini per accumulare punti
Questa foto è l’emblema di come la stessa squadra (Movistar Team) sprinti con tre uomini per accumulare punti
Trova normale che una squadra preferisca mettere tre corridori nei primi 10 piuttosto che provare a vincere?

Ripeto le parole di Hinault, dovrebbero provare a vincere. Non si fanno i punti negli ultimi mesi di tre anni, anche se le distanze sono davvero minime.

Non trova che ci sia squilibrio fra le gare?

Potrebbe sembrare. Ma credo sia giusto che chi non partecipa al Tour de France e vince una corsa di classe 1 abbia un punteggio importante. Perché magari correrà la successiva dopo una settimana, mentre chi è al Tour può fare punti per tre settimane consecutive.

Quando l’addetto stampa Christophe Marchadier ha dichiarato chiuse le domande, Lappartient ha ringraziato, si è alzato e ha risposto alle domande di alcune televisioni, fra cui la RAI con Stefano Rizzato. Poi si è infilato nel sottopasso dello stadio che accoglie il Centro Stampa, tornando alle relazioni e agli incontri di cui è indubbiamente pieno un campionato del mondo.

Van der Poel: arresto, denuncia, ritiro. Una storia assurda

25.09.2022
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Mathieu van der Poel si era allenato alla perfezione per questi mondiali, ma il sogno o il progetto si è fermato nella notte di vigilia. L’olandese infatti è stato arrestato dalla polizia locale a seguito di un incidente nel suo hotel. La notizia arriva dall’emittente belga Sporza, secondo cui Van der Poel avrebbe avuto un alterco con dei bambini che avevano bussato con insistenza alla sua porta.

Le conferme al via

Stamattina al via da Helensburgh, Van der Poel ha confermato brevemente la vicenda, eliminando ogni forma di condizionale.

«E’ vero – ha detto – c’è stata una piccola lite con dei vicini rumorosi, ma qui sono piuttosto severi. Dopo tutte le procedure, sono tornato nella mia stanza alle 4 in punto. Non è certo l’ideale. E’ un disastro, ma non posso farci nulla. Farò il meglio possibile. Non ho riposato, correrò con l’adrenalina. Non è stato certo divertente, ma è successo e devo farci i conti».

Nel Team Relay, proprio Van der Poel aveva parlato della sfortuna del team olandese
Nel Team Relay, proprio Van der Poel aveva parlato della sfortuna del team olandese

La dinamica

Quanto alla dinamica dell’incidente, la vicenda ha i tratti dell’incredibile e coinvolge un atleta di punta che la notte prima di un campionato del mondo avrebbe diritto e bisogno di dormire. Sia benedetto l’isolamento degli azzurri nel loro hotel fuori dal mondo.

«Ieri sera – ha raccontato Mathieu – sono andato a letto presto e dei bambini nel corridoio hanno ritenuto necessario bussare continuamente alla mia porta. Dopo alcune volte ho finito la pazienza. E’ possibile che non gli abbia chiesto molto gentilmente di fermarsi. Per questo qualcuno ha chiamato la polizia».

Van der Poel era pronto per il mondiale. Nell’avvicinamento aveva vinto tre corse: qui il Gp de Wallonie
Van der Poel era pronto per il mondiale. Nell’avvicinamento aveva vinto tre corse: qui il Gp de Wallonie

La polizia

La polizia del New South Wales conferma che un uomo di 27 anni è stato arrestato sabato sera nell’hotel di Sydney dove si trova la squadra olandese. La denuncia vede due capi di imputazione per aggressione. L’uomo è stato poi rilasciato e ha avuto la libertà su cauzione a condizione di comparire in tribunale martedì. A Van der Poel sarebbe stato anche sequestrato il passaporto.

«Intorno alle 22,40 (sabato 24 settembre 2022) – recita il comunicato della polizia – un uomo era in un hotel della Grand Parade, Brighton-Le-Sands, quando sarebbe stato coinvolto in un alterco verbale con due ragazzine di 13 e 14 anni. L’uomo le avrebbe spinte entrambe: una è caduto la a terra, mentre l’altra è finita contro un muro riportando un lieve sfregamento al gomito. La direzione dell’hotel ha chiamato la polizia. Gli ufficiali del comando dell’area di polizia di St George sono intervenuti e hanno arrestato un uomo di 27 anni».

Van der Poel si è presentato alla partenza, ma la sua testa era altrove
Van der Poel si è presentato alla partenza, ma la sua testa era altrove

Impossibile correre

Mathieu stamattina era alla partenza da Helensburg, ma si è ritirato al rifornimento a 230 chilometri dall’arrivo. Era impossibile che oggi potesse correre. Impossibile che trovasse le serenità e la concentrazione necessarie. Il suo mondiale è finito nel momento dell’arresto, solo che ancora non lo sapeva. O ha sperato che non fosse vero.

Un vero peccato. Per Mathieu e per la corsa, che ha perso un sicuro protagonista. L’episodio sarà certamente sviscerato e raccontato meglio nelle prossime ore, ma pone in evidenza quanto sia delicato l’equilibrio psicologico di un atleta di alto livello che si prepara per una sfida altissima e ha bisogno attorno a sé dell’ambiente ideale per mantenere la concentrazione e spingerla al limite.

Van der Poel avrebbe potuto chiamare i tecnici della nazionale o il personale dell’hotel. Ha commesso la leggerezza di comportarsi come avrebbe fatto ciascuno di noi, cadendo nel tranello di portare la sua tensione nella conversazione improvvisata in quel corridoio. La polizia ha applicato la legge con severità inflessibile.

Il bronzo di Silvia è un anticipo di futuro

24.09.2022
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Alla fine fu più sorprendente il podio di Fayetteville, ai mondiali di cross dello scorso gennaio. Silvia Persico si infilò di forza nel dominio olandese, arrendendosi solo a Marianne Vos e Lucinda Brand. Oggi a Wollongong, sotto il diluvio australiano che ha portato freddo e sporco sulla corsa, la sensazione che la bergamasca potesse fare qualcosa di buono in fondo c’era. La tappa vinta alla Vuelta e prima ancora il quinto posto del Tour facevano pensare a una svolta imminente. Solo sensazioni, insomma, che lei con il suo fare schivo non sempre autorizzava.

«Le vittorie danno fiducia – diceva l’altra mattina in albergo mentre fuori pioveva – l’ultima alla Vuelta me ne ha data tanta e sono qua. Sono tranquilla, molto tranquilla e vediamo come va. Sicuramente supporterò Elisa Longo Borghini e Balsamo. Poi andrà come deve».

Alla partenza Persico sapeva di essere l’alternativa di Balsamo allo sprint
Alla partenza Persico sapeva di essere l’alternativa di Balsamo allo sprint

Il treno Kopecky

Oggi in quel finale pazzesco incendiato dalla Van Vleuten e dal suo scatto, si è avuta la sensazione che Silvia non sia riuscita a parlare con Elisa Longo Borghini che, in testa alla corsa dall’ultima salita, pensava a come fare la sua volata e poi la dedica giusta. Senza radioline, per parlare bisogna affiancarsi. E proprio mentre Persico si accodava al gruppo di testa e non aveva ancora cominciato a risalirlo, l’olandese col gomito fasciato ha sferrato l’attacco. E per le altre, che cullavano volate e tattiche, si è spenta la luce.

«Non ero il capitano – dice Silvia – ma quando ho visto che Elisa (Balsamo, ndr) si staccava, ho capito che avrei dovuto fare io la volata. Dire che ci sarei riuscita poi era un’altra cosa. Per fortuna mi sono resa conto che nel mio gruppetto c’era Lotte Kopecky e ho avuto la certezza che saremmo rientrate. Quest’anno è cominciato con un bronzo nel cross e finisce con un bronzo su strada. E’ stato decisamente un buon anno».

Accanto a Balsamo fino al penultimo giro, quando Elisa ha ceduto
Accanto a Balsamo fino al penultimo giro, quando Elisa ha ceduto

Decide Van Vleuten

Aveva visto giusto l’altro giorno, individuando nell’Olanda il faro della corsa e nella Van Vleuten l’ago della bilancia nonostante il brutto incidente. Anche sulla necessità di stare unite aveva visto bene. Oggi infatti il ruolo compatto l’abbiamo svolto noi, ma alla fine sono state le arancioni a portarsi via tutto.

«Mi piace questo percorso – diceva Silvia – molto duro e molto veloce. La gara dipenderà anche dall’Olanda e da come faremo la prima salita. Si continua a dire che non andrà via nessuno sullo strappo, ma la penso come Elisa Balsamo. Una Van Vleuten in forma, quando vuole va. Sarebbe capace anche di farsi 100 chilometri da sola, quindi alla fine dipenderà tutto da lei. Da come ha recuperato dalla caduta. L’importante per noi sarà stare tutti insieme».

In cima alla penultima salita con Annemiek Van Vleuten: hanno fatto corsa parallela fino al podio
In cima alla penultima salita con Annemiek Van Vleuten: hanno fatto corsa parallela fino al podio

Da un bronzo all’altro

Si apre con un bronzo e con un bronzo si chiude, perché poi non ci saranno altre corse. Quattro settimane di meritata vacanza e il primo training camp con la nuova squadra che si sussurra sarà la UAE Team Adq.

«In questi mesi sono cambiate tante cose – ammette Silvia venendosi a sedere accanto dopo la conferenza stampa – e secondo me questo bronzo vale più di quello, perché c’è dietro un grande lavoro di squadra. Ringrazio le compagne, perché nonostante non fossi leader della squadra, mi hanno supportato. Quanto allo sprint, credo che semplicemente non ci siamo organizzate con Elisa perché non abbiamo fatto in tempo a capire. La Van Vleuten ci ha beccate mentre pensavamo a cosa fare. Per cui mi prendo questo terzo posto e diciamo che mi aspettavo di fare bene. Sono venuta qua con l’idea di un podio. Magari mi sarebbe piaciuto il bersaglio pieno, ma per chiudere l’anno anche questo bronzo va davvero benissimo».

Capolavoro Van Vleuten: 1.300 metri per prendersi il mondo

24.09.2022
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Una settimana schifosa, una corsa anche peggio. Piove. S’è messo pure a far freddo e il gomito rotto le fa un male cane quando si alza sui pedali e prova a saltare lo strappo. Annemiek Van Vleuten non è una che si piange addosso, ma quando l’altro giorno è caduta al via della cronosquadre e si è rotta il gomito, ha sentito attorno un alone di negatività.

Doveva correre da gregaria per Marianne Vos, invece ne riceve i complimenti
Doveva correre da gregaria per Marianne Vos, invece ne riceve i complimenti

Gregaria di Marianne

Ha trovato la via d’uscita convertendosi in gregaria per Marianne Vos. La figuraccia dello scorso anno andava lavata con una superba prestazione di squadra. Così l’ha riportata sotto al penultimo giro quando l’altra s’è staccata. E poi l’ha vista sparire alle spalle nell’ultimo giro, quando ha capito di non poterci fare più niente. La corsa sta finendo e l’olandese sa che in volata non potrà sorreggere con quel braccio malconcio la potenza delle gambe. E allora fa la sola cosa che le passa per la testa: attacca!

«Non ho avuto un solo secondo da mercoledì – racconta – per pensare o sognare a un mondiale diverso da quello da gregaria. Era tutto andato. Le seguivo in salita, avrei voluto accelerare come sempre, ma non potevo. Degli amici mi hanno detto di godermi la corsa, ma non c’è niente di divertente nel dolore che sentivo. Ci sono stati anni in cui ero la più forte della squadra, ma non era questo il giorno…».

Non c’era niente di divertente, ha detto Van Vleuten, nel dolore al gomito quando si alzava sui pedali
Non c’era niente di divertente, ha detto Van Vleuten, nel dolore al gomito quando si alzava sui pedali

Gruppo compatto

Mancano 1.300 metri e finalmente l’inseguimento fra i due gruppi di testa è finito. C’è voluta una vita, perché nessuna davanti si sentiva sicura di come sarebbe finita rimescolando le carte. Per noi ci sono due azzurre, Persico e la Longo. E mentre siamo lì a chiederci se siano riuscite a parlarsi, un’ombra bianca schizza a doppia velocità sulla destra. Mette la freccia e se ne va. Come Saronni a Goodwood. Come un folletto o un missile.

«Non pensavo a niente – racconta Van Vleuten e fissa il vuoto con i suoi occhi azzurri – se non a spingere a tutta, pensando che mi avrebbero ripresa con lo sprint. Non ci credevo neanche io. Avevo corso per tutto il giorno da gregario, pensando che stasera avrei detto ciao a Wollongong. Invece me ne vado con la maglia iridata e all’arrivo c’è voluto un po’ di tempo per capirlo. E’ la più bella di tutte. Non ho parole. E’ stato un flash, un’ispirazione. Non sentivo più dolore, non sentivo niente…».

La vittoria più bella

Dietro si organizzano, perché manca tanto ed è impossibile che arrivi da sola con tante ragazze veloci alle spalle. Eppure lei non si volta e spinge, mettendo nelle gambe l’amarezza di questi giorni. Massimo rapporto, il braccio rotto che tira e poi si vedrà. Basterebbe che si girasse e forse la prenderebbero, ma lei guarda fisso e la riga è sotto le ruote.

«Questa è la mia vittoria più bella – dice – un’altra maglia iridata dopo che il Covid mi ha rovinato quella del 2019. Questa volta conto di godermela in ogni corsa. Dire come faccia a resistere alla sfortuna che ho spesso in maglia arancione (quella della nazionale, ndr) è un bel viaggio nella mia testa. Provo a non essere negativa. Quando ho rotto il gomito, ho pensato che avrei comunque potuto correre in aiuto della squadra. Mi piace lo spirito che abbiamo costruito questa volta. Cerco di non sprofondare. In tutti i brutti momenti della mia carriera, ho sempre guardato avanti. E’ una abilità che evidentemente ho messo a punto…».

Un anno pazzesco

Quando si allontana verso il controllo medico, ha ancora la stessa espressione incredula che aveva sotto il traguardo. Molto più che alla Liegi, al Giro d’Italia, al Tour de France o alla Vuelta. Ha vinto il mondiale e il suo attacco nel finale è stato un vero capolavoro, un colpo di genio mentre tutte le altre si concentravano sulla volata. Le ha svegliate come le dita nella presa, ma prima che reagissero lei era già lontana. Da italiani avevamo altre ambizioni e il bronzo di Silvia Persico è un’altra storia da raccontare. Ma davanti a una vittoria come questa e anche se piove, siamo tutti qui a toglierci il cappello.

Un lampo azzurro alle spalle del podio. E poi la solita Zoe

24.09.2022
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La tattica dell’Italia era abbastanza semplice. Aspettare che partisse Zoe Backstedt e poi stare con le francesi. Qui non si tratta di sviscerare l’attività delle ragazze, chiedendosi se sia poco come ad esempio si va ragionando con gli uomini. Qui c’era davanti la più forte degli ultimi due anni, era certo che sarebbe partita e l’unica speranza erano appunto le francesi, possibile veicolo fino a una medaglia.

«Non solo perché avevano Rayer – spiega il cittì Sangalli – ma perché era la squadra più attrezzata. Ci abbiamo provato. Abbiamo pagato un po’ la giornata no di Ciabocco. Comunque abbiamo fatto un quarto posto onorevole per un mondiale».

Pronti via e Zoe Backstedt ha preso il largo, arrivando solissima e commossa
Pronti via e Zoe Backstedt ha preso il largo, arrivando solissima e commossa

Salute e fortuna

Ciabocco l’abbiamo incontrata che tornava verso i box assieme a Gaia Segato e con lo sguardo contrariato ha raccontato che stamattina le è arrivato il ciclo e certo restare competitiva a certi livelli è diventato un’ipotesi remota. Le azzurre hanno iniziato a passare, mentre iniziava a piovere e il cittì azzurro si preparava per raggiungere le elite alla partenza.

«Sapevamo – continua il suo racconto – che su un percorso così l’ago della bilancia era lo strappo, quindi anche se si rimaneva indietro, bastava stare con le francesi che si rientrava. Le ragazze hanno fatto il massimo, prendiamoci questo quarto posto e speriamo in futuro di avere più fortuna. Se Venturelli non fosse caduta in allenamento, avrebbe fatto un altro tipo di gara. Sarebbe stata davanti sicuramente a giocarsela o a provarci. Se ci mettete che anche la Segato aveva un problemino al ginocchio, si può dire che non siamo arrivati in condizioni ottimali a livello di salute, però la Pellegrini ha fatto una bella azione d’orgoglio e ha preso un quarto posto che comunque è onorevole».

Vietato muoversi

Pellegrini si chiama Francesca, corre nella Valcar-Travel&Service e quest’anno ha aperto la stagione vincendo il Piccolo Trofeo Binda. E’ bionda ed esce dalla mixed zone con la bici spinta a mano. La rincorsa a Sangalli ci ha fatto tardare, ma lei si accosta ugualmente alla transenna. La provochiamo, chiediamo se il quarto posto bruci perché puntava al podio. Lei cambia sguardo e sorride.

«Al podio si poteva puntare – ammette – però alla fine le tre che sono arrivate davanti erano le tre più forti e anche le tre che dovevamo tenere d’occhio. Dalle indicazioni di Paolo e di Rossella Callovi, dovevamo guardare in particolare la Francia, ma anche l’Olanda, cercando di sprecare il meno possibile stando a ruota loro. Quindi non dovevamo fare nulla in prima persona, essendo comunque in due rispetto alla Francia che invece erano in quattro e all’Olanda. E’ un quarto posto molto soddisfacente, considerando che siamo ad un mondiale. Se me lo avessero detto prima, non ci avrei creduto. Sono molto soddisfatta, devo ancora realizzarlo. Una medaglia sarebbe stata ancora più soddisfacente, però non ci si lamenta».

Happy birthday

E poi c’è Zoe Backstedt, che si è regalata il secondo oro di questo mondiale nel giorno del suo 18esimo compleanno. La sua facilità di azione è disarmante. Sicuramente sfrontata: se non fosse certa di avere un livello enormemente superiore, non azzarderebbe certi attacchi. Probabilmente precoce, ma con enormi margini atletici per cui pensare che, una volta passata fra le più grandi, potrebbe crescere ulteriormente.

«Non credevo di partire così presto – dice – ma dopo la prima discesa ho visto che il gruppo era rotto, ho visto la velocità e data la mia capacità nelle curve, ho mollato e sono andata dritta. Il piano era di andare da sola, ma non così presto. Di sicuro avrei anticipato per non subire il ritmo delle scalatrici più forti. Non ho mai avuto momenti di cedimento, se non a un certo punto quando il vantaggio ha iniziato a scendere. Solo che mancava un giro, avevo ancora 2 minuti e ho capito che ce l’avrei fatta al 100 per cento».

Pellegrini (assieme a Ciabocco) ha corso nel finale sulla ruota delle francesi
Pellegrini (assieme a Ciabocco) ha corso nel finale sulla ruota delle francesi

Bici e divertimento

Crono, strada, ciclocross e pista, come Federica Venturelli, che ha un anno meno e di sicuro oggi l’avrà vista andar via, dovendo a sua volta sopportare ancora gli acciacchi della caduta.

«Mi piace andare sulla mia bicicletta – sorride la festeggiata – e non è per me una gran pressione dare del mio meglio. Perciò, che sia cross o strada, crono oppure pista, per me è come giocare. Certo la pista è più schematica, ma anche quello a suo modo mi piace».

Intanto se ne torna a casa con la doppietta che l’anno scorso le sfuggì a causa di Alena Ivanchenko che la batté nella crono. Ma quest’anno i russi non ci sono. La guerra fa schifo, su questo siamo tutti d’accordo. Forse però quest’anno Zoe le avrebbe battute tutte lo stesso.

Belgio, la santa alleanza è una bella gatta da pelare

23.09.2022
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In Belgio hanno promesso di non farsi la guerra. E se sarà davvero così, per tutti gli altri sarà un bel guaio. Stiamo parlando di Wout Van Aert e Remco Evenepoel, che nella conferenza stampa hanno ricostruito il post gara di Leuven 2021, ammettendo di aver rilasciato entrambi qualche dichiarazione di troppo. Hanno giurato di averne parlato fra loro e che quest’anno le cose andranno diversamente. Il botta e risposta che hanno inscenato ha avuto effettivamente il sapore di un’alleanza stretta col sangue.

Van Aert Evenepoel 2021
I sorrisi dello scorso anno a Leuven fra i leader del Belgio nascondevano una tensione reciproca che poi fu pagata in gara
Van Aert Evenepoel 2021
I sorrisi di Leuven fra i leader del Belgio nascondevano una tensione che poi fu pagata in gara

La santa alleanza

«Vogliamo vincere come Belgio – ha spiegato Evenepoel – conosco le capacità di Wout, lui conosce le mie. Possiamo lavorare insieme perfettamente nel finale».

«Se corriamo insieme – ha fatto eco Van Aert – abbiamo solo maggiori possibilità di vincere. Normalmente ho uno sprint migliore di Remco, così lui potrà anticipare. Ma non troppo presto. Entrambi dovremo sfruttare la possibilità di arrivare in due nel finale. Dobbiamo tenerci entrambe le opzioni».

«Sono d’accordo con Wout – ha sottolineato Evenepoel – meglio restare insieme il più a lungo possibile e non sprecare le forze in modo stupido. Il percorso non è facile, sarà un continuo girare in cui la fatica sarà decisiva. Molti occhi saranno puntati su di noi, ma dobbiamo mantenere la calma e lavorare insieme come una squadra. Anche perché Italia, Olanda e Francia non faranno sconti. Dobbiamo evitare situazioni come l’anno scorso. Lo scenario ideale? Arrivare in finale con un gruppo di 7-8 corridori, con dentro due di noi».

Nella conferenza stampa di ieri nell’hotel del Belgio, Van Aert ed Evenepoel hanno siglato la santa alleanza (@Belga)
Nella conferenza stampa nell’hotel del Belgio, Van Aert ed Evenepoel hanno siglato la santa alleanza (@Belga)

«L’importante è non attaccare troppo presto – ha chiosato Van Aert – questo è un percorso su cui non bisogna sprecare energie. Ti svuota e ti ritrovi senza gambe quando la corsa si decide».

Due settimane insieme

Quel che più li ha segnati nella gara dello scorso anno furono l’affiatamento e la tattica dei francesi, che impressero alla corsa un ritmo subito elevatissimo. I belgi rimasero colpiti dall’unita degli uomini di Alaphilippe, che si contrappose alle tensioni fra loro che pure correvano in casa. Finì così che Van Aert, reduce dalla crono, si ritrovò con le gambe in croce a sostenere il ritmo che lo tagliò fuori nel finale. Per questo ha raccontato di aver lavorato sulle fasi di partenza già dall’inverno.

L’unità del blocco francese (qui tirato da Alaphilippe) è diventato il modello per il Belgio
L’unità del blocco francese (qui tirato da Alaphilippe) è diventato il modello per il Belgio

«Siamo arrivati in Australia – dice Van Aert – con largo anticipo e questo non è irrilevante per l’atmosfera in squadra. E’ diverso dallo stare insieme pochi giorni prima di una corsa. Quando fai gruppo per due settimane, riesci a recuperare bene dal jet-lag e a trovare il modo per andare d’accordo con tutti. Il viaggio dal Canada è stato duro, ma ora mi sento bene. Non rimpiango il fatto di non aver corso la crono. Lo avevo scelto in primavera, ne resto convinto e non si può dire che l’avrei vinta io. Mercoledì è stato il primo giorno di maltempo, prima mi sono sempre allenato bene. Mi sento pronto, la preparazione è andata come previsto».

Tre chili in meno

Evenepoel regge il gioco e si dice sicuro che, nonostante la Vuelta e il fuso da recuperare, nelle gambe ci sia ancora la benzina giusta per l’ultimo colpo.

«Mi sento meglio di una settimana fa – dice – ho più energia in corpo. Oggi è stato il primo giorno in cui mi sono svegliato dopo le 6,30 e questa è una buona notizia. Il corpo finalmente si è adattato. Difficile dire se ho le stesse gambe della Liegi. Siamo in una fase diversa della stagione, peso tre chili in meno. Quindi non ha senso fare paragoni. Quello che so è che Mount Pleasant potrà anche non essere la salita più dura del mondo, ma dopo una corsa così lunga e probabilmente tirata, per stare davanti bisognerà essere molto forti».

Milesi, Buratti, De Pretto: le luci spente e la Vuelta che manca

23.09.2022
6 min
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«E’ stata veramente una gara durissima – dice Buratti con la faccia scurita come dopo una Roubaix – corsa veramente forte per tutto il giorno. La pioggia sicuramente ha contribuito a renderla ancora più impegnativa. Sono entrato in una buona azione con Milesi negli ultimi due giri e abbiamo anticipato lo strappo. Poi ci hanno ripreso e alla fine eravamo più o meno una ventina. Invece proprio sull’ultimo strappo, negli ultimi 300 metri, mi sono mancate le gambe per tenere il ritmo dei primi ed è un peccato. Perché insomma essere liì e staccarsi proprio alla fine…».

Proprio in questo momento, Fedorov si dirige verso il palco delle premiazioni per indossare la maglia iridata under 23, dieci anni dopo il connazionale Lutsenko, che sbancò Valkenburg. Dietro di lui Vacek e lo stesso Soren Wærenskjold che in settimana ha vinto la crono.

300 metri da capire

Negli ultimi chilometri ci siamo messi a spulciare il curriculum di Fedorov e quello di Vacek. E se quest’ultimo stava facendo un miracolo, dopo l’anno balordo alla Gazprom e le corse con la nazionale riprese solo a giugno, il compagno di fuga kazako è arrivato al mondiale per una via più solida. Tralasciando il fatto che ha corso Parigi-Nizza, Roubaix, Freccia Vallone, Giro di Ungheria e il Tour de Pologne, nelle ultime settimane ha fatto la Vuelta. Quante possibilità aveva Buratti di resistere in quegli ultimi 300 metri di salita? Quel distacco è l’esatta differenza fra un anno nel WorldTour e uno in continental.

«Ho avuto anche una foratura più o meno a metà gara – dice l’azzurro – quindi ho sprecato un po’ di energia per rientrare fra le auto, che era meglio risparmiare. Però, insomma, va benissimo lo stesso. Sono contento della mia prestazione. I momenti per mangiare erano veramente pochi, c’era soltanto il pezzo prima dell’arrivo con lo stradone in cui si rifiatava un po’. Perché tra la pioggia, l’asfalto bagnato, le curva e i rilanci, era veramente durissimo».

Di poche parole

“Eugenio” Fedorov è passato all’Astana nel 2021, è alto 193 per 80 chili di peso. Sta seduto sul tavolo delle interviste con vicina l’interprete. Lui parla solo kazako, lei sintetizza le sue risposte stringate. E in questo connubio di poche parole, quel che richiama davvero l’attenzione è lo squillare dei colori dell’iride, che anche per questa volta si mostrerà poco, dato che il ragazzo non corre fra gli U23 ormai da due anni.

«Non riesco a credere – dice – di averlo fatto! Insieme al team abbiamo lavorato sodo per questa gara e tre settimane alla Vuelta mi hanno dato molto. Sapevo che non sarebbe stato affatto facile. Le aspettative erano alte e mi sono anche caricato di pressione.

«E’ stata una giornata difficile e sotto la pioggia. Il ritmo della gara è stato alto e io ho continuato a provare costantemente durante la parte finale: prima a 4 giri dalla fine, poi di nuovo ai meno 2. Non ha mai funzionato. Negli ultimi cinque chilometri siamo rimasti solo in due con Mathias Vacek e abbiamo lavorato sodo. Sono partito a circa 300 metri dall’arrivo e ho lanciato il mio sprint. Ho dato tutto quello che avevo».

La luce sul podio

Molto più soddisfatto e accorto nel parlare è Mathias Vacek, che si trova a fare festa nella casa dell’UCI che a inizio stagione gli ha cancellato la squadra (la Gazprom RusVelo) senza prospettare, valutare e nemmeno ritenere utile una via d’uscita. Chissà cosa c’è in quello sguardo quando gli facciamo la domanda?

«Ho avuto una stagione dura – racconta – perché mi sono trovato senza più un programma. Così mi sono messo a lavorare sodo fino alle corse fatte con la nazionale e ho visto che l’impegno viene sempre ripagato. Andrà meglio nei prossimi tre anni, grazie al contratto con la Trek-Segafredo. Non vedo l’ora di correre con loro alle prossime classiche italiane. 

«Quanto alla corsa – prosegue – è stata dura per tutti. Fedorov è stato super forte e io più di così non ho potuto fare. Ma su questo percorso entrare nella fuga giusta è la vera salvezza. Il gruppo non riesce ad andare tanto più veloce. Magari questo tornerà utile ai pro’».

Crampi sullo strappo

Anche Milesi dopo l’arrivo aveva la faccia sudicia e gli occhi rossi. Quando si è mosso sul muro e con l’aiuto di De Pretto ha guadagnato 45 secondi ai sei della prima fuga, abbiamo pensato che fosse avviato al sacrificio. Invece il bergamasco si è ritrovato davanti con Buratti anche nella fase decisiva della corsa.

«Serve fortuna – dice – per beccare l’attacco giusto. Peccato che nel finale, sull’ultimo strappo, mi siano venuti i crampi e le energie non fossero più al top. Mi dispiace perché stavo bene. Avevo dovuto ricucire dopo una caduta intorno al sesto-settimo giro. Mi sono fermato e subito è arrivata la prima fitta. Il percorso è così veloce che aiuta quelli davanti. Metteteci che nella fuga c’era gente comunque che spingeva e si capisce perché sia stato difficile prenderli. Non ho pagato la crono, stavo davvero bene. Ma non è bastato…».

Parisini e Marcellusi hanno avuto una giornata storta e si sono trovati in una corsa troppo severa per loro
Parisini e Marcellusi hanno avuto una giornata storta e si sono trovati in una corsa troppo severa per loro

Anche quei crampi, come le forze sparite di Buratti, sono la spia della differenza di attività fra i corridori in gara. L’Italia non è andata male. Certo, per loro stessa ammissione Marcellusi e Parisini hanno detto di non aver avuto una grande giornata, ma De Pretto, Milesi e Buratti hanno fatto la loro parte a testa alta. Peccato solo che nelle settimane precedenti non avessero corso la Vuelta.

Juniores: Herzog stronca Morgado. Scalco primo dei nostri

23.09.2022
5 min
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Chissà per quanto tempo Herzog e Morgado parleranno ancora dell’arrivo del mondiale juniores di Wollongong. I due infatti dal prossimo anno correranno insieme alla Hagens Berman Axeon di Axel Merckx: si conoscevano e non si fidavano l’uno dell’altro.

«Sapevo di essere più veloce – ha sorriso Herzog su una sedia della sala stampa – ma non mi fidavo e ho provato a staccarlo per essere tranquillo. Avrei preferito vincere con più margine per esserne sicuro. Invece non ho mai fatto uno sprint tanto tirato e incerto. Ancora non ci credo».

Il tedesco tanto atteso

Avevamo definito Emil Herzog il talento che i tedeschi aspettano da 20 anni. Il suo ruolino di marcia 2022 è notevole. Su 5 corse a tappe, ne ha vinte 4. Corre alla Auto Eder, vivaio della Bora Hansgrohe e al bottino di stagione vanno aggiunti due bronzi a crono: agli europei e qui ai mondiali.

Antonio Morgado di corse a tappe ne ha fatte 6, ne ha vinte 2 e per 3 volte è arrivato secondo. Fra le vittorie, ricordiamo il recente Giro della Lunigiana. Per questo nessuno si è stupito quando il portoghese ha attaccato all’inizio dell’ultimo giro e il tedesco si è messo in caccia sulla scalata rimasta di Mount Pleasant.

«Il mondiale era un obiettivo – racconta Morgado – ma sapendo di non essere il più veloce, ho provato ad arrivare da solo. Solo che Herzog è stato più forte. Quando mi ha preso, ci siamo detti di collaborare per andare insieme all’arrivo. Invece ha provato a staccarmi all’ultimo chilometro. Nonostante ciò, su quell’arrivo in pianura restava più veloce lui. Per questo ho provato a partire lungo, ma non c’è stato niente da fare».

Morgado, vincitore del Lunigiana, ha provato a prendersi il mondiale con la forza
Morgado, vincitore del Lunigiana, ha provato a prendersi il mondiale con la forza

A suo agio nella pioggia

Dopo aver vinto, Herzog ha continuato a urlare con le braccia larghe come Hulk. Nonostante le tante vittorie, è davvero parso lui il più incredulo per il risultato.

«Quando ho visto che Morgado era andato via – racconta – ho capito di dover chiudere da solo il buco. Appena l’ho preso, mi ha detto che aveva un principio di crampi, ma che ugualmente avrebbe fatto lo sprint. E’ partito lungo e sono subito scattato anche io e l’ho passato ai 15 metri. Mi piace quando piove, perché tutto diventa più tecnico. Si conquista vantaggio nelle discese e nelle curve».

Dopo l’arrivo Herzog era felicissimo, ma anche incredulo
Dopo l’arrivo Herzog era felicissimo, ma anche incredulo

Pesante per il Tour?

Nonostante tante vittorie e tanto talento, ma forse sapendo che è meglio essere cauti con programmi, sogni e promesse, quando gli chiediamo dove voglia arrivare, Herzog va cauto.

«Il mio sogno è vincere grandi corse – sorride – ma di certo non il Tour de France, perché sono troppo pesante (alto 1,83, per 74 chili, ndr). Penso alla Tirreno e semmai allo Svizzera, corse che mi si addicono di più e in questa direzione darò il meglio di me…».

Salvoldi è al primo mondiale da tecnico degli junior: il suo incarico è iniziato da meno di un anno
Salvoldi è al primo mondiale da tecnico degli junior: il suo incarico è iniziato da meno di un anno

Nodo azzurro

E l’Italia? I nostri sono ripartiti da Dino Salvoldi, chiamato prima di tutto perché insegni il metodo di lavoro a una categoria che gira a velocità differenziate. Il nuovo cittì alla vigilia ragionava sul fatto che attaccare un’etichetta sia sbagliato. Non si può dire a priori se sia giusto o meno assecondare certi passaggi. Qualcuno è pronto per diventare professionista a 18 anni, qualcuno no. Impedirgli di farlo significa privarli di una importante chance di carriera. E per tutti gli altri, ci sono comunque le altre gare del calendario.

Idem dicasi per l’attività, da noi troppo centellinata. Perché facciano certe esperienze, se i club non si muovono perché agli sponsor locali non interessa correre all’estero, deve intervenire la nazionale, ma potrebbero farlo anche i Comitati regionali. Come accade in Francia.

Ritmo subito alto

Il migliore dei nostri è stato Matteo Scalco, quattordicesimo, che a due giri dalla fine era ancora nel gruppo di testa e dal 2023 sarà con Reverberi.

«Già dai primi giri – racconta dopo l’arrivo – il ritmo della gara è stato veramente alto. Il gruppo si è rotto in vari tronconi e dopo tre giri eravamo rimasti solo Belletta e io. Abbiamo cercato di tenere in salita, finché le gambe hanno ceduto. Ero venuto con grandi aspettative, ma non è una novità che gli altri vadano così forte, li avevamo già visti. Tra noi eravamo belli uniti, con l’obiettivo di correre insieme perché era l’unico modo per difendersi. Ma con la partenza così veloce ci siamo subito disuniti. Lo strappo è duro, anche perché se scollini con soli 10 metri dai primi, ti trovi in fondo alla discesa che hai 10 secondi e quindi devi andare a tutta per cercare di rientrare. Un percorso che non si riesce a respirare».