GRASSOBBIO – La singolare coincidenza dello stesso hotel alla vigilia del Lombardia ha fatto sì che l’ufficio stampa della Soudal-Quick Step abbia incontrato Gianmarco Garofoli per realizzare il contenuto pubblicato stamattina alle 11. Dopo la Vuelta le trattative hanno avuto una rapida accelerazione. Nei giorni del mondiale avevamo saputo dell’interessamento della squadra belga, l’accordo è arrivato subito dopo. Dal prossimo anno, Garofoli correrà alla corte di Lefevere, guidato da Davide Bramati. Se c’è qualcosa da tirare fuori, questa potrebbe essere la squadra giusta.
«Sono veramente molto emozionato per questa possibilità – dice Garofoli – perché vado in una squadra che ha anche una grande storia. Le emozioni contano veramente tanto. Mi sembra di vivere il mio sogno di quando ero bambino. Far parte di queste grandi squadre, avere l’opportunità di correre e anche a buon livello».
A San Sebastian dopo il 7° posto di Ordizia, sulla via della VueltaA San Sebastian dopo il 7° posto di Ordizia, sulla via della Vuelta
Che cosa è cambiato quest’anno?
E’ stato molto importante. Venivo da annate difficili, soprattutto dopo il periodo del Covid e il mio problema di salute, la miocardite. Questo invece è stato un anno chiave. Ero partito dall’inverno per fare una bella preparazione e mettere tutte le cose in fila. Ho ritrovato me stesso e durante la Vuelta ho avuto delle belle sensazioni. Essere lì e lottare con i grandi nomi mi ha fatto venire i brividi. Dopo tanto tempo ho realizzato che riesco ad andare davvero forte. Ho ricominciato a vivere emozioni che avevo perso da parecchio tempo.
Temevi di averle perse?
No, dentro di me ho sempre creduto in me stesso, anche se sono stati anni difficili. Non nascondo che qualche volta non mi sono sentito all’altezza. Però sono stato forte, ho perseverato e sono riuscito ritrovare queste belle emozioni. Ritrovarmi accanto a Pogacar all’Emilia quando ha attaccato, in qualche modo è stato importante.
La Vuelta è stato il tuo primo grande Giro, fosse stato per te lo avresti fatto prima?
A inizio anno non era previsto che facessi un Grande Giro. Magari non ero ancora pronto, non avevo fatto gli step che servivano. Poi, per diverse situazioni, già durante la seconda parte di stagione si vociferava di questa mia partecipazione alla Vuelta. E verso fine luglio ho avuto la notizia che sarei partito e sono stato molto contento.
Tricolore crono juniores del 2020: 1° Milesi, 2° Garofoli, 3° Piganzoli. Il ciclismo italiano può ripartire da quiTricolore crono juniores del 2020: 1° Milesi, 2° Garofoli, 3° Piganzoli. Il ciclismo italiano può ripartire da qui
Come è andata?
Mi ha cambiato. Il Grande Giro di tre settimane ti cambia il motore, ma soprattutto per ora mi ha dato tanta sicurezza in me stesso e consapevolezza dei miei mezzi. Il fatto che non ci abbia provato prima probabilmente è dipeso dai problemi di salute delle ultime due stagioni. Sono rimasto un po’ indietro rispetto alla mia generazione, rispetto a Piganzoli e Milesi, per esempio. Sto facendo i passi che loro magari hanno fatto prima, però sono contento di essere ormai sulla strada giusta.
Le emozioni di stare davanti con i grossi nomi alla Vuelta somigliano alle emozioni di quella prima sfida con Scarponi a Sirolo, tu ragazzino e lui vincitore del Giro?
Emozioni differenti (si commuove, ndr). Quella volta a Sirolo, vedevo Michele come un campione, un sogno, la realizzazione di un mio sogno. Michele era una guida. Invece le emozioni che ho provato alla Vuelta erano legate alla sicurezza in me stesso, alla fiducia che avevo un po’ perso. Emozioni simili, ma diverse.
Che cosa ti avrebbe detto Michele dopo la Vuelta?
Che sono andato forte!
All’Emilia, Garofoli è stato in testa fino all’attacco di Pogacar, poi ha lavorato per VelascoAll’Emilia, Garofoli è stato in testa fino all’attacco di Pogacar, poi ha lavorato per Velasco
Dal prossimo anno sarai con Bramati: che cosa pensi della figura del direttore sportivo?
Secondo me è una figura molto importante, qualcuno di cui potersi fidare. Che ti aiuta e magari fa da mediatore fra te e la squadra. Secondo me il direttore sportivo è anche colui che riesce a indirizzarti e a guidarti verso la strada giusta. Sono uomini che hanno già fatto queste esperienze molto prima. Per il momento ho parlato con Bramati. Prima avevo fatto una videochiamata con Jurgen Foré, il direttore operativo, ed è stato un bel dialogo. Mi è piaciuto come mi ha descritto la squadra, sono contento che siamo riusciti a concludere il tutto.
Ti hanno chiesto qualcosa in particolare?
Per il momento non ancora, è presto. Vado nella squadra di un grande leader: quando c’è Remco, si lavora per lui, come è giusto che sia. E’ quello che cercavo. Secondo me una figura che mi è mancata in queste due stagioni da professionista è stato un leader, una figura a cui potevo ispirarmi e da cui potevo prendere qualcosa. Sono veramente emozionato di poter correre con lui e farò tanta esperienza con la possibilità di vedere una gara differente.
Rimani in una grande squadra: hai mai avuto la sensazione che saresti dovuto andare in una squadra più piccola?
Sono sincero, prima della Vuelta avevo un po’ d’ansia e mi sentivo un po’ sconfortato. Non ero tranquillo. Dopo la Vuelta, parlando anche con i ragazzi, i miei genitori che sanno tutto, ho ritrovato la serenità.
Alla Agostoni, Garofoli ha chiuso al 21° posto a 1’10” da HirschiAlla Agostoni, Garofoli ha chiuso al 21° posto a 1’10” da Hirschi
Che cosa è cambiato?
Quello che cercavo erano risposte da me stesso, non dagli altri. E’ importantissimo trovare la squadra e l’ambiente giusto, però dovevo soprattutto ritrovare me stesso e tornare a fare delle belle prestazioni. Perché al di là dei risultati, che magari per un motivo o per un altro non arrivano, in Spagna ho fatto delle belle prestazioni. Perciò dopo la Vuelta, anche se non avevo ancora una squadra, ero sereno per quello che sarebbe stato il mio futuro.
Secondo te tuo padre ha seguito tutta la Vuelta perché ti aveva visto così poco sereno?
Mio padre ha sempre creduto in me, forse più di quanto ci creda io. Ha sempre cercato di starmi vicino e di non farmi dimenticare chi sono. Per me è stato importante averlo vicino. Tante persone mi dicono che per me è una pressione averlo sempre accanto, invece no. Per me è un valore aggiunto.
E’ successo tutto molto velocemente. Massimiliano Mori aveva parlato con Gianetti e sembrava che per il rinnovo del contratto di Ulissi non ci fosse alcun problema. La UAE Emirates in ogni caso, con l’argomento dell’età, aveva proposto un ritocco al ribasso quasi dando per scontato che Diego avrebbe accettato. Invece di colpo sul tavolo è arrivata l’offerta superiore dell’Astana e sarebbe stato da pazzi non valutarla.
«Eppure Diego per il carattere che ha – racconta Mori – ci ha pensato per tre giorni. Abbiamo parlato. Ha sentito la sua famiglia. Siamo stati a cena insieme. L’offerta lo ha fatto barcollare. Eppure secondo me, pur molto importanti nella scelta, non sono stati i soldi in più a farlo decidere. Adesso è convinto, ma in quei tre giorni sa lui i pensieri che ha avuto…».
Massimiliano Mori è stato un pro’ dal 1996 al 2009. Qui con Ulissi, suo atleta dagli anni in LampreMassimiliano Mori è stato un pro’ dal 1996 al 2009. Qui con Ulissi, suo atleta dagli anni in Lampre
Mori conosce Ulissi da una vita. E’ il suo procuratore dagli anni della Lampre ed è fratello di quel Manuele che per il livornese è ben più di un amico. Alla Lampre si sono anche sfiorati: Massimiliano smetteva nel 2009, Diego arrivava nel 2010. Le parole nell’ultima intervista ci hanno fatto pensare. Il suo essere rimasto fedele per tutta la carriera alla stessa società non è dipeso dall’assenza di offerte, quanto piuttosto dalle attenzioni che la squadra manifestava nei suoi confronti. E noi con Mori siamo partiti proprio da questo, per capire che cosa (oltre ai soldi) abbia spinto Ulissi a cambiare squadra dopo 15 stagioni.
Massimiliano, che cosa significa che alla Lampre non gli hanno mai dato lo spunto per andare via?
L’hanno sempre trattato bene economicamente. Ma soprattutto sapeva e sentiva di essere il fulcro del progetto. E’ sempre stato vincente, ha sempre fatto un sacco di punti. Poi la Lampre è diventata UAE e si è trasformata in una corazzata. Probabilmente in altre squadre, Diego sarebbe stato ugualmente capitano, ma qui con Pogacar e altri campioni, è stato intelligente e si è adattato.
Non ci sono mai state offerte che lo abbiano spinto a valutare il cambio?
Squadre ci sono state, ma non c’era motivo di andare via. Invece si è capito che quest’ultima trattativa sarebbe stata influenzata dall’età di Diego, che ha 35 anni. Un’offerta UAE c’era, si poteva andare avanti, ma era più bassa. Ci sono squadre che non fanno caso all’età, la UAE Emirates invece cerca sempre giovani talenti. E pur sempre rispettato e tenuto da conto, Diego si è trovato sempre un po’ più in disparte o con un ruolo non più centrale. Mi sono trovato a parlare con altre squadre e lo avrebbero preso ben volentieri, nonostante gli anni. L’arrivo dell’Astana ha fatto incontrare la loro necessità di un corridore vincente che facesse punti e la sua ricerca di un ruolo meno secondario. Intendiamoci, quando hai davanti Pogacar non puoi dire nulla e infatti Diego non ha detto nulla.
Nella Lampre di Galbusera (nella foto, il capostipite Mario) e Saronni, Ulissi era al centro del progettoNella Lampre di Galbusera (nella foto, il capostipite Mario) e Saronni, Ulissi era al centro del progetto
Quando a dicembre annunciarono che non avrebbe fatto il Giro, non vedemmo salti di gioia…
Diego non lo dice, perché è un ragazzo intelligente. Però noi del suo entourage sappiamo le cose e lui avrebbe preferito fare il Giro. E’ sempre stato il suo pallino, ma ha condiviso la scelta della squadra. Non crediate però che ci sia stato quello alla base del cambiamento.
E che cosa allora?
La vera svolta c’è stata quando ha parlato con Vinokourov. E oltre alla cifra certamente importante, quel che lo ha convinto è stato essere di nuovo al centro del progetto. Sentirsi di nuovo considerato e desiderato dal capo della squadra ha fatto scattare qualcosa. Certamente ne ha parlato con Ballerini e Fortunato, che incontra spesso. E’ arrivato Bettiol, che vive anche lui a Lugano. Vinokourov gli ha spiegato la sua voglia di far tornare la squadra in alto e questo lo ha convinto. Un tipo ci considerazione che alla UAE non c’era più.
La presenza di Pogacar ha persuaso Ulissi a cambiare obiettivi, in modo intelligente ma non per questo entusiastaLa presenza di Pogacar ha persuaso Ulissi a cambiare obiettivi, in modo intelligente ma non per questo entusiasta
E’ possibile che il ritocco al ribasso fosse il modo di fargli capire che se avesse trovato un’alternativa, loro non lo avrebbero certo ostacolato?
Credo proprio sia stato questo. Oppure pensavano che sarebbe rimasto a qualunque condizione. Ripeto: un’offerta come quella di Vinokourov andava considerata per forza, eppure Diego sarebbe rimasto di là. Era pronto ad accettare. Quando ha sentito del progetto, allora è cambiato tutto. Adesso è convinto di aver fatto bene e il corridore lo conoscete. Ha sempre vinto e fatto punti, penso che non smetterà di farlo.
E’ stato un agosto particolare quello di Aaron Gate. Prima le Olimpiadi a Parigi, poi l’inedita e vittoriosa trasferta alla Trans Himalaya, seguita da un’altra vittoria al Tour of Hainan, nel frattempo l’annuncio del suo passaggio nel 2025 all’Astana, approdando nel WorldTour a 33 anni suonati. Ci sta quindi che, appena tornato a casa, la moglie lo abbia “requisito” per qualche giorno: «Non si parla di ciclismo quando siamo insieme, questo è il patto. Ci sentiamo fra qualche giorno».
Alla Trans Himalaya Gate ha preceduto di 4″ Rinukov (RUS) e di 26″ Chia (COL)Alla Trans Himalaya Gate ha preceduto di 4″ Rinukov (RUS) e di 26″ Chia (COL)
Trascorso il periodo di “embargo”, il neozelandese è pronto a raccontarsi ma soprattutto a descrivere quello che ha vissuto in una gara così particolare come quella himalayana.
«Inizialmente – racconta – non era nel mio programma. Il mio diesse mi ha chiamato un paio di settimane prima delle Olimpiadi e mi ha detto che avevano questa opportunità di fare quest’altra gara appena prima di Hainan. Pensava che sarebbe stata una buona idea per me. Con le sue tappe più brevi era in un certo senso più adatta per riabituarmi alla strada. Poi, s’intende, c’era il fascino del luogo. Non è una cosa che capita molto spesso nella vita. Quindi ho pensato che potesse essere una bella esperienza e una bella avventura, ho accettato di andarci invece di fare altre gare in Francia».
Gate è rimasto colpito dalla qualità dei percorsi e soprattutto dell’asfalto, senza buche e avvallamentiGate è rimasto colpito dalla qualità dei percorsi e soprattutto dell’asfalto, senza buche e avvallamenti
Come sei arrivato alla vittoria?
La prima tappa è stata un po’ complicata con numerose fughe. In queste gare i bonus dei traguardi volanti sono sempre molto, molto importanti. Quindi ho puntato ad agguantarne subito uno. Sono riuscito a staccarmi dalla fuga e sono partito da solo per prendere il primo sprint intermedio. Più avanti nella gara c’era una fuga con due nostri davanti. Su una piccola salita, ho visto un’opportunità per attaccare e con un altro corridore siamo riusciti a colmare il divario di un minuto e mezzo con il gruppo di testa.
La corsa si è decisa lì?
Diciamo che ho creato le condizioni per la classifica generale. Il giorno dopo, il mio compagno di squadra George Jackson e io abbiamo attaccato con due membri di una squadra molto forte, composta principalmente da russi, così abbiamo consolidato la testa della classifica. E poi ho dovuto solo assicurarmi di non perdere troppo tempo sui secondi bonus nella tappa finale per assicurarmi la vittoria generale.
La Trans Himalaya ha sempre grande seguito. Gate era molto ricercato da media e tifosi localiLa Trans Himalaya ha sempre grande seguito. Gate era molto ricercato da media e tifosi locali
Com’erano i percorsi e come ti sei trovato con l’altitudine?
L’altitudine è stata sicuramente la componente più interessante della gara. In realtà non abbiamo fatto molta salita in termini di altitudine, tutte le strade erano in realtà una specie di pendenza graduale. Non avevamo niente di più di una media del 3 o 4 per cento. Davvero bello. Una corsa sicura, con bei percorsi, anche bel terreno di gara. E’ stato in realtà molto piacevole in tal senso. Non c’era nessuna buca sulla strada o superfici ruvide con cui fare i conti. L’altitudine però ha contribuito a determinare la gara perché sforzi a quel tipo di altitudine si sentono, ci vuole molto a recuperare. Praticamente l’intera gara era tra 3 e 4 mila metri di altitudine. Quindi è diverso da quello che incontri in Europa o da quello che ho incontrato prima.
Gareggiando è difficile vedere i paesaggi, ma che cosa ti è rimasto impresso di questo Paese?
Abbiamo avuto alcuni lunghi trasferimenti in pullman tra le tappe, quindi abbiamo avuto un sacco di tempo per guardare fuori dal finestrino e osservare il panorama e penso che la cosa folle fosse quella. Trascorrevamo molto tempo nelle valli, che erano già a questa altitudine di 3.000-4.000 metri e poi sopra di te, avevi ancora queste enormi, torreggianti montagne. La vastità dei paesaggi era qualcosa di molto particolare. Guardi in alto e c’è una montagna di oltre 5.000 metri sopra di te e anche molti degli edifici storici dei Dalai Lama erano piuttosto belli. Si sono impegnati per realizzare l’inizio e la fine delle tappe in luoghi significativi nella storia del Tibet, quindi è stato bello poterne vedere alcuni.
I trasferimenti in pullman erano occasione per conoscere il territorioI trasferimenti in pullman erano occasione per conoscere il territorio
Hai vinto la Trans Himalaya e poi hai vinto il Tour of Hainan. Ti ritieni più uno specialista di corse in linea o di corse a tappe?
Mi piacciono molto le corse a tappe perché hai più di un’opportunità per provare qualcosa. E’ un po’ come la corsa a punti in pista rispetto a una corsa scratch, puoi provare qualcosa e se non funziona puoi modificare la tua strategia e provare qualcos’altro. Hai lo stress che tutto deve andare bene ogni giorno, infatti è stata una sensazione di sollievo quando abbiamo superato lo striscione dei tre chilometri all’arrivo nella tappa finale perché dopo quello sapevo di essere al sicuro.
Eri partito per vincere?
Vincere non è qualcosa che mi aspettavo di fare, la mia ambizione era di aiutare e supportare i miei compagni di squadra, ma è successo che la mia forma dopo le Olimpiadi era molto migliore di quanto mi aspettassi sulla bici da strada. Quindi ho dovuto sfruttarla al meglio. Non è stato facile fare entrambe le cose. Finita la corsa sull’Himalaya abbiamo dovuto viaggiare per tutto il giorno e la notte per andare a letto fino all’isola di Hainan, e siamo arrivati solo alle 2,30 del mattino prima di iniziare la prima tappa di Hainan alle 10. È stata sicuramente una sfida, quella prima tappa, ma fortunatamente ci siamo comportati bene come squadra e siamo stati in grado di sostenere le prestazioni.
Non pago del successo sull’Himalaya, il neozelandese ha vinto anche il Tour of HainanNon pago del successo sull’Himalaya, il neozelandese ha vinto anche il Tour of Hainan
Tu hai lavorato su pista per 3 mesi concentrandoti sui giochi olimpici, ti ha aiutato tornando alla strada?
Penso che senza rendermene conto ci fossero elementi della preparazione della pista che avrebbero aiutato sulla strada. Per cominciare, con la Burgos Bh abbiamo fatto un blocco di allenamento in quota ad Andorra, anche se solo a 2.000 metri, ma penso che aiuti solo con parte dell’acclimatamento richiesto per il Tibet e penso anche per la natura dell’allenamento che facciamo per la pista. E’ molto anaerobico. Sai che hai la potenza breve su cui ti concentri di più usando i muscoli piuttosto che i polmoni a causa dello stile della pista. Essere in grado di spingere le grandi marce dalla linea di partenza è tutto per l’inseguimento a squadre. Quindi penso che probabilmente aiuti senza rendersene conto. La mancanza di ossigeno significava che dovevi usare i muscoli per spingere la bici, quindi è stato un bel bonus averlo.
Qual è il tuo bilancio dei giochi olimpici?
Sicuramente deludente per me. Me ne sono andato con un quarto posto e due quinti che non erano i risultati che volevo o per cui sentivo di allenarmi o di essere capace. Ma alle Olimpiadi tutti si presentano al massimo, con la migliore attrezzatura e il meglio di tutto. Io sono ancora orgoglioso di come ho corso. Ma ovviamente volevo di più per finire la mia carriera su pista. Ora mi sono riconcentrato sulla strada per il resto della mia carriera, ma forse dovrò aprire una porticina per un altro tentativo a Los Angeles. Vedremo.
Gate a Parigi è stato 4° nella madison, 5° nell’omnium e con il quartettoGate a Parigi è stato 4° nella madison, 5° nell’omnium e con il quartetto
L’anno prossimo sarai all’Astana, entri così nel WorldTour e cresce il livello delle tue gare: che speranze hai per il nuovo anno?
Spero di poter continuare a migliorare tutti gli aspetti della mia carriera finora. E’ una bella opportunità per fare gare più grandi che non ho mai fatto prima e anche per rivisitare alcune gare che non ho fatto da quando ero con Aqua Blue Sport molti anni fa. Non vedo l’ora di affrontare la sfida di lavorare con il nuovo team e a un livello più alto, e spero di poter contribuire ai loro punti molto importanti, per mantenere il team storico nel World Tour.
Che cosa significa per te entrare nel WorldTour a 33 anni?
Significa molto e sfrutterò al meglio l’opportunità di sicuro e spero che non sia l’unico anno in cui io sarò nel World Tour.
Manzoni guida l'Astana all'Adriatica Ionica. Sono l'unico team WorldTour e tutti li guardano. Hanno solo da perdere, ma la corsa va onorata. Ecco perché
Al momento sono 174.165,7 chilometri divisi per 1.061 giorni di gara. Poi ci sono 49 vittorie e un’infinità di piazzamenti che ne fanno uno dei corridori al mondo più forti degli ultimi 20 anni. La stagione è ancora lunga e il conteggio crescerà, in ogni caso il bilancio di Diego Ulissi nella società in cui passò professionista nel 2010 e che lascerà alla fine del 2024 per passare alla Astana ha questi numeri. Una vita (simbolicamente) con la stessa maglia che porta con sé ricordi e incontri, che abbiamo chiesto al toscano di approfondire con noi. Perché nel cambiare di nome e sponsor c’è l’evoluzione del ciclismo, che nel caso dell’attuale UAE Team Emirates è passato dalla dimensione familiare della Lampre a bandiera degli Emirati Arabi Uniti.
Abbiamo sentito Ulissi alla vigilia del Giro della Toscana (in apertura, il passaggio sul traguardo all’ottavo posto), l’occasione perfetta per fare il pieno di lettere aspirate e battute livornesi. Sono anni ormai che Diego risiede a Lugano e difficilmente se ne andrà, ma tornare sulle strade in cui è cresciuto è sempre un riconnettersi con le origini, da cui nel 2010 spiccò il volo per diventare un ciclista professionista.
Questa immagine rappresenta il commiato su Instagram, pieno di gratitudine, di Ulissi verso il UAE Team EmiratesQuesta immagine rappresenta il commiato su Instagram, pieno di gratitudine, di Ulissi verso il UAE Team Emirates
Che effetto fa pensare che dal prossimo anno non sarai più qui?
Sicuramente sarà una novità anche per me. Sono sempre stato nella stessa società con persone che conosco da tantissimi anni e quindi sicuramente sarà diverso. Di quelli dei primi tempi siamo rimasti in pochi. C’è Andrea Appiani, che prima era l’addetto stampa e ora lavora in ufficio. C’è Napolitano, che fa ancora il massaggiatore. Una segretaria che si chiama Rosita e c’è anche Carlo Saronni. E poi ci sono Manuele Mori e Marco Marzano, che nel frattempo da corridori sono diventati direttori sportivi.
Se pensi a questa squadra e ai 15 anni che ci hai passato, quali sono stati gli incontri che hanno più segnato la tua carriera?
Sicuramente per i primi tempi la figura che ha caratterizzato la mia carriera è stato Giuseppe Saronni. Per me è stato una persona fondamentale. E’ stato il primo che ha creduto in me e ha fatto sì che, almeno fino a che c’è stata la Lampre, io non mi muovessi da lì. Quando ero più giovane erano arrivate offerte da squadre che allora erano al top del ciclismo mondiale, però ero nell’ambiente ideale e chi mi era accanto ha fatto in modo e maniera che non me ne andassi. Quindi la prima persona che devo ringraziare è lui. E poi nel corso degli anni c’è stato Orlando Maini, grande direttore e grande amico. Mi ha saputo consigliare a 360 gradi. Orlando è una persona con cui puoi parlare di tutto e per me è stato importantissimo. Poi ci sono gli anni più recenti della UAE con Gianetti, Matxin e Agostini che sono persone molto importanti per la mia storia.
Quelle con Saronni e Maini sono amicizie che restano oppure, come quando si cambia lavoro, alla lunga si perdono i contatti?
No, no, no. Con loro sono ancora in contatto. Sono persone con cui parlo e cui chiedo consiglio ancora oggi. Negli anni ho sempre mantenuto i rapporti con chi ho imparato ad apprezzare. E quando ci sentiamo, mi fa piacere sentire che stanno bene e anche le loro famiglie.
Saronni ha accolto Ulissi tra i pro’ alla Lampre e lo ha seguito alla UAEGiro della Provincia di Reggio Calabria del 2011, Ulissi e il suo diesse Orlando MainiAl Giro del 2011, con Napolitano, uno dei pochi ex Lampre ancora presenti nella UAEManuele Mori è come un fratello per Ulissi. Qui al Polonia del 2019, con ConsonniSaronni ha accolto Ulissi tra i pro’ alla Lampre e lo ha seguito alla UAEGiro della Provincia di Reggio Calabria del 2011, Ulissi e il suo diesse Orlando MainiAl Giro del 2011, con Napolitano, uno dei pochi ex Lampre ancora presenti nella UAEManuele Mori è come un fratello per Ulissi. Qui al Polonia del 2019, con Consonni
Se ti facciamo il nome di Michele Scarponi?
Bè, finora abbiamo parlato di esponenti della società. Se ci spostiamo ai compagni, ce ne sono molti che mi sono rimasti nel cuore e sicuramente “Scarpa” è uno dei primissimi della lista. Il primo Giro d’Italia l’abbiamo fatto insieme nel 2011 perché mi ha voluto lui. Mi apprezzava sia come persona sia come corridore. Nella prima gara che vinsi, il Gran Premio di Prato del 2010, battei lui. L’anno dopo passò in Lampre e mi disse: «Ti voglio accanto, perché se mi hai battuto, devi essere per forza uno buono». Poi dovrei parlare di Alessandro Petacchi ed Emanuele Mori, che per me è come un fratello. Come pure Righi, Spezialetti e Matteo Bono: insomma sono tutti i ragazzi con cui continuo a sentirmi.
Ragazzi che quando sei passato professionista erano tutti più esperti di te, in che modo riuscivi a convivere con loro?
Quando ero giovane e passai professionista, li vedevo come un punto di riferimento fondamentale per la mia crescita. Cercavo di stare il più possibile vicino a loro, sia in gara che fuori. Ero convinto che quella fosse la strada migliore per imparare, perché loro avevano già tanti anni di professionismo. Quindi cercavo di rendermi disponibile e loro vedevano che avevo voglia di imparare e di capire. Per questo credo che nacque un rapporto di stima professionale che poi è trasformato in amicizia.
E’ cambiato tanto l’ambiente nel passaggio da Lampre a UAE?
E’ sotto gli occhi di tutti, soprattutto perché c’è stato un cambiamento di budget e la squadra è diventata molto più internazionale. Già da tempo si ambiva a diventare la squadra più forte e per questo è sempre cresciuta in tutti gli aspetti. E’ stato il cambiamento del ciclismo da 15 anni a questa parte. A un certo punto si è iniziato guardare il millimetro per migliorarsi sotto ogni aspetto, dalla ricerca della bicicletta più performante alla nutrizione. Tutti aspetti che ci hanno portato a diventare davvero la squadra numero uno al mondo. Però la Lampre era un ottimo ambiente. Non ci mancava niente e penso che con le risorse che c’erano si sono fatti ottimi risultati. Alla base c’era la famiglia Galbusera che, oltre ad essere grandi appassionati, erano grandissime persone. Riuscivano a trasmettere alla squadra la loro anima.
Giro dell’Emilia 2013, vince Ulissi e riceve l’abbraccio di Scarponi, un gran modello accanto a cui crescereGiro dell’Emilia 2013, vince Ulissi e riceve l’abbraccio di Scarponi, un gran modello accanto a cui crescere
Hai vinto tutti gli anni, quanto è stato difficile continuare a farlo visti i tanti progressi?
Per rimanere a grandi livelli, quelli che servono per vincere le gare, devi stare al passo con i tempi, ti devi adeguare. A volte penso a quanto siano cambiati gli allenamenti e mi viene da dire che faccio un altro sport rispetto a quando sono passato professionista. E’ una battuta però la preparazione è l’aspetto che più è cambiato. E comunque se con la testa non riesci ad adeguarti alle nuove condizioni, rimani un passo indietro. Con il livellamento che c’è, ottenere risultati ed essere competitivo diventa difficile.
Tu hai visto arrivare in squadra Fabio Aru. Secondo te perché non è riuscito a esprimersi come tutti pensavano?
Questa è una bella domanda. Fabio l’ho vissuto a pieno, perché vivendo vicino mi confrontavo con lui quotidianamente, anche nei giorni di allenamento oltre che in gara. Sicuramente lui in primis si aspettava di mantenere quello che aveva fatto all’Astana. In quel periodo però non stava bene fisicamente. E se uno non è al 100 per cento nel fisico, emergere diventa veramente dura. Secondo me questo ha inciso anche sulla sua convinzione e alla fine ha ceduto di testa. Però Fabio era veramente il primo a tenerci, l’ho visto che si allenava davvero tantissimo. Si impegnava quotidianamente, sotto quell’aspetto è uno dei professionisti migliori che io abbia mai visto. Ha dato l’anima. Però a mio avviso ognuno ha il suo percorso di vita e reagisce a modo suo.
Nel frattempo la squadra si è riempita di tantissimi giovani molto forti, come si convive con loro?
La loro presenza non è mai stata un motivo per tirarmi indietro, tutt’altro. L’ho sempre visto come qualcosa per cercare di rimanere ad alti livelli. E’ normale vedere questi ragazzi con tanta voglia di emergere e pensare che se voglio rimanere ad alti livelli, devo migliorarmi quotidianamente e cercare di essere ancora performante in gara. Il passaggio a un’altra squadra non è legato a questo. Mi hanno offerto un rinnovo contrattuale, però questa volta ho preferito fare altre scelte.
Al Gp Lugano del 2019, Ulissi vince, Aru lo aiuta. Diego ha vissuto da vicino il periodo del sardo alla UAEAl Gp Lugano del 2019, Ulissi vince, Aru lo aiuta. Diego ha vissuto da vicino il periodo del sardo alla UAE
Che differenza c’è tra Diego che oggi ha fatto altre scelte e Diego che non se ne sarebbe mai andato dal gruppo Lampre?
Non ho detto che non me ne sarei mai andato, ho detto che non ci sono mai state le circostanze per andare, è diverso. E’ naturale che quando ti trovi bene in un ambiente, prima di andartene valuti bene le altre situazioni cui andrai incontro. Non mi sono mai posto tanti problemi, perché ho valutato sempre la situazione. Alla fine è un lavoro. Facciamo tanti discorsi, però la carriera dura quello che dura e non ci sono certezze. Ogni due o tre stagioni, ho sempre valutato le varie situazioni e in tutti questi anni ho avuto la bravura e la fortuna di ricavarmi sempre le condizioni ideale. Quest’anno è arrivato il momento di prendere una decisione, che è stata difficile. Mi sono confrontato con le persone giuste, poi ho fatto questa scelta. Sono uno razionale, non faccio passare il tempo. Cerco di captare i momenti giusti e faccio le mie valutazioni.
Hai pubblicato una foto su Instagram di te sotto a una parete piena di maglie. C’è un anno che ricordi più volentieri?
Sono due. Il primo è il 2017 perché è il primo anno UAE. Era tutto nuovo, c’erano già grandi ambizioni, ma la squadra non era partita benissimo. Invece in fondo all’anno riuscii a vincere due gare WorldTour, Montreal e il Giro di Turchia. Sentii di aver dato una piccola spinta in quegli anni che erano ancora di transizione per arrivare al punto in cui siamo. Poi il 2020…
Come mai?
Fu un anno particolare per via del Covid e lì si è vista la forza del team, perché ci sono stati accanto e non ci hanno fatto mancare nulla. Eravamo rimasti bloccati ad Abu Dhabi e in quella situazione si vide veramente la grandezza del team. Poi infatti ripartimmo bene. Mi ricordo che quell’anno ho vinto 5 gare, due tappe al Giro, tre in Lussemburgo e Tadej vinse il primo Tour. Il 2020 è stato un anno di cui non mi scorderò. La tappa di Agrigento al Giro, per come è arrivata e per come è stata preparata dalla squadra, è una delle mie preferite.
Giro d’Italia 2020, Ulissi vince ad Agrigento, battendo SaganGP de Montreal 2017, Diego regala alla neonata UAE Emirates un’altra vittoria WorldTourUn vincente da 49 vittorie; capace di esultare per la vittoria di un compagno. Qui a Larciano; dietro HirschiGiro d’Italia 2020, Ulissi vince ad Agrigento, battendo SaganGP de Montreal 2017, Ulissi regala alla neonata UAE Emirates un’altra vittoria WorldTourUn vincente da 49 vittorie; capace di esultare per la vittoria di un compagno. Qui a Larciano; dietro Hirschi
Che cosa o chi ti dispiacerà lasciare?
Tutto e tutti. Alla fine siamo tanti giorni insieme, a parte il giorno di gara e i ritiri. E’ inevitabile che ti leghi alle persone con cui vivi quotidianamente. Si parla di tutto, anche della famiglia. Ci sono ragazzi molto più giovani di me come Alessandro Covi, che cerco di consigliare a 360 gradi. Dispiacerà lasciare le persone, i compagni di squadra, i massaggiatori, tutti! Ma tanto so che continueremo a vederci alle corse, ci saluteremo ancora.
Cosa speri o pensi di trovare alla Astana?
Conosco quasi tutti, a partire dai corridori. Hanno voglia di fare le cose in grande, il progetto è importante e quindi mi aspetto di ambientarmi molto bene. Il fatto che ci siano tanti italiani mi aiuterà molto e questo farà sì che io cerchi di dare il meglio di me stesso. Anche perché qua di italiani siamo rimasti in pochi. Ora siamo in tre, l’anno prossimo saranno in due. Ma ci sono ancora corse da fare e possibilmente da fare bene. La gamba è quella giusta, ma alla fine vince sempre uno solo…
Quanto è difficile gestire le interviste di Pogacar? Lo abbiamo chiesto ad Andrea Agostini, diventato anche presidente della Fausto Coppi di Cesenatico
Lorenzo Fortunato ha chiuso la Vuelta al 16° posto, primo degli italiani, a 40’43” da “padron” Roglic. Questi dati non bastano però per definire la sua corsa, molto più complessa nella sua definizione attraverso le tre settimane di gara. Lo stesso portacolori dell’Astana Qazaqstan team fa un po’ fatica a darsi un voto, fra un piazzamento di livello ma non pari alle sue aspettative e un andamento nelle tappe difficile da gestire.
Su un aspetto però il bolognese tiene subito a mettere l’accento: il livello generale della corsa. «Ho sentito dire in giro che la Vuelta era di livello inferiore rispetto agli altri due Grandi Giri ma io, che ho corso anche il Giro d’Italia, posso dire che non era assolutamente così. Nel complesso si è andati davvero forte, non si stava tranquilli mai, neanche nelle tappe che finivano allo sprint, si andava sempre a tutta tanto è vero che anche le fughe nascevano con difficoltà».
Il bolognese nella tappa di Moncalvillo, con Rodriguez e Vlasov, chiusa al 14° postoIl bolognese nella tappa di Moncalvillo, con Rodriguez e Vlasov, chiusa al 14° posto
Perché allora la corsa spagnola è stata giudicata con un po’ di sufficienza?
E’ un errore che si verifica sempre più spesso: se non ci sono i fenomeni come Pogacar, Vingegaard, Evenepoel allora si pensa che vale di meno. Non è così: guardate l’ordine di arrivo finale, togliendo quei tre, gli altri big c’erano tutti e in corsa si vedeva. Ma io vado anche oltre: ne parlavo con gli altri e tutti, ma dico tutti, mi hanno detto che i valori erano più alti, in salita ma non solo. E proprio in salita si vedeva che si andava più forte.
Secondo te la fuga di O’Connor, in lizza per la vittoria fin quasi alla conclusione, ha cambiato un po’ l’evoluzione della corsa?
Io penso di sì. Ha soprattutto stravolto la meccanica di corsa perché la Decathlon, che pure si è dimostrata squadra molto forte, non controllava il gruppo, non imponeva la sua legge. La Red Bull però non ne approfittava più di tanto, forse perché Roglic voleva aspettare la parte finale della Vuelta come poi è avvenuto. Inoltre va considerato il fatto che 21 giorni sono lunghi da gestire, quindi hanno preferito lasciare mano libera e questo ha un po’ stravolto le tattiche.
L’emiliano in salita ha avuto valori più alti di quelli del Giro, ma non è bastato per emergereL’emiliano in salita ha avuto valori più alti di quelli del Giro, ma non è bastato per emergere
Ciò ha coinvolto anche te?
Per certi versi. Alla vigilia si era partiti con l’idea di fare classifica e siamo andati avanti su quella linea. Se avessi preso mezz’ora nelle prime tappe, avrei avuto mano maggiormente libera per entrare in una fuga, così invece ero marcato stretto perché la Top 10 è qualcosa che fa gola a molti. La corsa ha poi dimostrato che con quel livello riuscire a entrare nei primi 10 era praticamente impossibile. Io non posso nascondere che buona parte di quelli che mi sono finiti davanti erano più forti di me, io comunque non rinnego la scelta che abbiamo fatto.
Facendo il paragone con il Giro finito al 12° posto, pensi di essere andato più forte?
Io dico di sì, me lo dicono i valori in gara ma anche il mio rendimento. Andavo più forte, anche in base agli ordini d’arrivo. Torno al discorso di prima: se fuori dai 10 trovi gente come Yates o Kuss, significa che il livello era davvero alto e chiaramente facevo più fatica, anche Dunbar che pure ha vinto due tappe è rimasto fuori.
Al Giro d’Italia Fortunato aveva chiuso 12°, finendo 4° nella tappa di OropaAl Giro d’Italia Fortunato aveva chiuso 12°, finendo 4° nella tappa di Oropa
Dicevi però che hai mantenuto il punto: ti senti sempre più un corridore da Grandi Giri, ossia da classifica?
Da questo punto di vista sono convinto della scelta, pur tenendo presente che vado bene in salita ma non sono uno dei top. Cerco però di essere a quel livello, l’unica cosa che mi dispiace e che influisce un po’ sul giudizio generale sulla mia Vuelta è che avrei voluto almeno emergere in una tappa, ma i piazzamenti a Pico Villuercas e Alto de Molcalvillo sono un po’ lo specchio del mio valore in quella corsa paragonato agli altri. Ribadisco, andavano più forte, niente da dire.
Questo rientra anche in un discorso più generale di ristrutturazione dell’Astana, molto attiva sul mercato e che ha preso gente proprio dedita alle corse a tappe, soprattutto per quelle medio-brevi…
Sì, è un po’ la chiave per il futuro del team nella quale io mi rispecchio, considerando che ho il contratto per il prossimo anno. Oltretutto sarà un anno decisivo per la permanenza nel WorldTour e faremo di tutto per confermarci, lavorando soprattutto nelle prove di più giorni. La squadra si sta rinforzando proprio in questi termini.
Riconfermato per il 2025, Fortunato conta di aiutare l’Astana a rimanere nel World TourRiconfermato per il 2025, Fortunato conta di aiutare l’Astana a rimanere nel World Tour
In definitiva dai un giudizio positivo sulle tue tre settimane?
Lo dico un po’ a denti stretti ma sì, anche se sono convinto che valevo di più proprio facendo il paragone con il Giro. Ho finito comunque rispecchiando la mia dimensione, anche se è chiaro che alla vigilia mi aspettavo e proponevo di più. Ma alla fine bisogna anche saper accettare il verdetto della strada.
Una foto su Instagram. Garofoli è piegato sulla bicicletta, sfatto dalla fatica sull’arrivo di Villablino alla Vuelta. Alle sue spalle c’è il padre, che gli poggia appena la mano sulla schiena, quasi con la paura di fargli male. Il commento accanto recita: «Sempre al mio fianco. Daddy».
Che cosa spinge un padre a seguire il figlio in un posto così lontano? Perché Gianluca Garofoli ha sentito il bisogno di raggiungere il Nord della Spagna per stare accanto a suo figlio? Glielo abbiamo chiesto. Perché la carriera di Gianmarco di colpo si è fermata e di colpo lo sguardo guascone di quel ragazzino tutto scatti e nervi ha cambiato sfumature. Lo vedi che si è fatto uomo, ma capisci anche che manca qualcosa. La fiducia. La continuità. E anche un contratto per il prossimo anno. Perché un padre parte dall’Italia e suo figlio gli riconosce a questo modo la presenza?
«Da due mesi a questa parte – racconta – lo vediamo veramente in sofferenza per il discorso della squadra. Si sente in crescendo, sente che non ha avuto fiducia. Si sente in un vicolo stretto e vuole liberarsi, ma ancora non ce la fa. Purtroppo negli ultimi due anni ha avuto parecchia sfortuna e per questo ha perso quasi un anno di allenamenti. Di fatto sta un anno indietro con la preparazione. Si è visto qui alla Vuelta che più corre e più le sue prestazioni migliorano. Avrebbe potuto farlo prima un Grande Giro. Penso che quella foto l’abbia messa per ringraziarmi».
Alla partenza della tappa di ieri, con l’idea di andare in fuga: la Vuelta di Garofoli è stata finalmente positivaAlla partenza della tappa di ieri, con l’idea di andare in fuga: la Vuelta di Garofoli è stata finalmente positiva
Il cuore e la paura
Ripilogando, Gianmarco Garofoli fa parte dell’infornata di Milesi, Germani, Piganzoli, Moro e tutti i 2002 che nelle categorie giovanili si dividevano le vittorie. Trascorre il primo anno alla DSM Development. Vince al Val d’Aosta, ma non si trova bene e nel secondo anno da under 23 approda alla Astana Development, guidato da Orlando Maini e fortemente voluto da Giuseppe Martinelli cui lo aveva consigliato Michele Scarponi in tempi non sospetti. E’ il 2022 e il marchigiano fa appena in tempo a partire, quando gli viene diagnosticata una miocardite, per la quale deve stare fermo a lungo. E’ l’inizio dei problemi.
«Fu un periodo di grande apprensione – racconta Gianluca – e quando di recente con mia moglie abbiamo sentito la notizia della morte del povero Roganti, ci siamo guardati con le lacrime agli occhi. E’ stato come smuovere una cosa molto dura, perché noi quella situazione l’abbiamo vissuta da vicino. La miocardite fu un grandissimo spavento. Fortunatamente il malore che ebbe fu preso per tempo. Il giorno dopo andammo all’ospedale e trovarono un principio di infarto. Fu preso in tempo e trattato. Da lì è stato tutto un buio, fino alla ripresa. Abbiamo vissuto con lui tutte le sue paure e le ansie. Anche se da papà, devo ammetterlo, per certi versi fu pure bello. In quel periodo era fermo con la bici, quindi non sapeva cosa fare e si dedicò a starmi dietro. Venne al lavoro in azienda, andammo in fiera, venne in giro per clienti. Fu pure bello, perché sennò questo spazio con il suo lavoro non sarebbe stato possibile…».
Primavera 2022. Un malore, la corsa in ospedale, la miocardite. Garofoli si ferma. Conseguenza del Covid? (foto Instagram)Primavera 2022. Un malore, la corsa in ospedale, la miocardite. Garofoli si ferma. Conseguenza del Covid? (foto Instagram)
Dopo il cuore, tutto ha ripreso il giusto corso?
Neanche per sogno, sono continuate ad accadere una dietro l’altra. Anche quest’anno ha avuto la bronchite prima del Giro Italia e ha fatto due settimane di antibiotici. Alla prima corsa, ha iniziato ad avere i crampi allo stomaco. Fatti gli accertamenti, si è scoperto che c’era l’helicobacter in corso, quindi altre due settimane di antibiotico. E insomma alla fine ha perso un sacco di tempo per cause di questo tipo.
Adesso le cose sembrano andare meglio, perché allora la sua presenza alla Vuelta?
Ho seguito la corsa nei weekend, avevo piacere che mi sentisse vicino. Certo il pensiero della squadra non aiuta. Non c’è niente di ufficiale, ma da quando è entrato lo sponsor cinese, vogliono fare giustamente lo squadrone e gli hanno fatto capire che per lui non c’è più posto.
Giro di Valle d’Aosta 2021, Gianmarco Garofoli con il fratello Gabriele: suo primo tifosoGiro di Valle d’Aosta 2021, Gianmarco Garofoli con il fratello Gabriele: suo primo tifoso
Suo figlio ha sempre avuto l’atteggiamento da guascone, forse le botte prese lo hanno cambiato, perché sembra molto più riflessivo…
In realtà, vivendolo da vicino e seguendolo alle corse anche con sua madre, lo studiamo. Gianmarco è sempre stato molto autonomo e indipendente, infatti noi molto spesso stiamo in disparte. Mi ricordo che da allievo di primo anno vinse il campionato regionale e ordinò da sé la maglia con la scritta della sua squadra. Tanto è vero che l’azienda da cui l’aveva ordinata mi chiamò per farmi complimenti. Non gli capitava spesso che un ragazzino di 15 anni fosse in grado di cavarsela da sé. Addirittura in quel periodo ebbe un incidente e si ruppe la clavicola e il titolare di quell’azienda, venne all’ospedale per conoscerlo. Non era guasconeria, era gioia esplosiva per i risultati che aveva. Però per contro è stato sempre molto altruista.
Ad esempio?
Noi abbiamo un altro figlio che ha la sindrome di down. E questo ha fatto sì che Gianmarco sia sempre stato con i piedi per terra e aiuti le persone più deboli vicine a lui o all’interno delle varie squadre in cui è cresciuto. La svolta ce l’ha avuta quando è andato alla DSM, lì è cresciuto moltissimo sotto tutti i punti di vista. La lontananza da casa e dagli amici. Fu uno dei primi a partire per una devo team straniera. Rimase su per sei mesi, tornando una sola volta e lassù maturò molto in tutti i sensi.
Due top 10 nel suo primo Grande Giro: Garofoli ha iniziato a mettere fuori la testa. Ha solo 21 anniDue top 10 nel suo primo Grande Giro: Garofoli ha iniziato a mettere fuori la testa. Ha solo 21 anni
Con la DSM vinse delle belle corse: come la prendeste quando decise di cambiare squadra?
Anche sul piano delle squadre, ha sempre fatto da sé le sue scelte. L’ambiente DSM era particolare, ma non mi chiese consiglio, semplicemente a un certo punto disse che sarebbe andato via. C’ero anche io in Olanda quando ruppe il contratto. Loro dissero di non volere più un corridore che non riusciva a osservare pedissequamente le loro regole e che ogni volta che qualcosa non lo convinceva chiedeva spiegazioni. Lui rispose in inglese di non voler stare un solo giorno di più nella squadra che lo aveva inserito nel gruppo del Giro di Sicilia e poi lo aveva tolto dalla lista senza chiamarlo o dargli una spiegazione.
Non ha chiesto consiglio?
Credo che abbia preso una buona decisione. Mia moglie è stata bravissima sin da piccolino a renderlo indipendente nelle sue decisioni, per cui di solito va che lo assecondiamo, cercando però di stargli vicino nei momenti più difficili.
Si è sempre saputo che il nome suo alla Astana lo fece Michele Scarponi, che per Gianmarco è sempre stato un riferimento…
Michele era venuto alla sua comunione e alla cresima. Veniva a prenderlo a casa per portarlo ad allenarsi. Due giorni prima del suo incidente, si erano allenati insieme. Eppure la conoscenza venne per caso.
Ieri, salendo verso Picon Blanco, con Aleotti nella tappa regina della VueltaIeri, salendo verso Picon Blanco, con Aleotti nella tappa regina della Vuelta
In che modo?
Mi pare che Gianmarco fosse ancora nei giovanissimi quando andammoallo Scarponi Day, che Michele organizzava a fine anno, con un pranzo e prima una pedalata da Filottrano a Sirolo, facendo la salita da Numana. Quella volta Gianmarco prese e scattò davanti al gruppo, avrà avuto 12 anni. Michele lo seguì e fecero insieme tutta la salita da Numana a Sirolo. Si conobbero così. Quando durante il pranzo venne il momento della lotteria per vincere le maglie che aveva messo in palio, Michele prese il microfono e disse che il body da gara non sarebbe stato estratto, perché lo avrebbe regalato al migliore di giornata. Chiamò Gianmarco e lo regalò a lui e fu così che nacque l’amicizia. Dopo un po’ che Michele era morto, Gianmarco ebbe un incidente e si ruppe una clavicola. Martinelli chiamò e ci invitò su, perché ci avrebbe pensato lui.
Lo conoscevate bene?
Non ci avevo mai parlato, ma ci raccontò che Michele gli parlava sempre di lui e diceva che avrebbero dovuto prenderlo. E anzi gli aveva detto che quando avesse smesso, si sarebbe dedicato a coltivare le sue grosse potenzialità. Era il lavoro che Michele si era prefissato per il dopo carriera.
Ci sono consigli che gli date in questo momento difficile oppure, visto che è così autonomo, lo osservate e non dite niente?
Il consiglio che gli diamo è di stare tranquillo, perché se c’è valore, viene fuori da solo. Secondo me la tranquillità paga sempre su tutto. Se uno deve andare, andrà di certo. Altrimenti vorrà dire che farà altro. E lui ogni cosa ha dovuto meritarsela. Mi ricordo dei mondiali del 2019, quando era campione italiano juniores e non volevano portarlo perché era troppo piccolino. Finché mio figlio andò ad affrontare il cittì e gli diede un ultimatum: «Dimmi cosa devo fare perché mi porti al mondiale».
Garofoli corre dal 2023 nell’Astana WorldTour. Approdò nel team kazako su indicazione di ScarponiGarofoli corre dal 2023 nell’Astana WorldTour. Approdò nel team kazako su indicazione di Scarponi
Che cosa gli rispose?
Che lo avrebbe portato se avesse vinto il Trofeo Buffoni.
E lui?
Venne a casa e disse che lo avrebbe fatto. Infatti vinse il Buffoni, andò ai mondiali di Harrogate e si piazzò quinto. Stessa cosa al tricolore juniores. Prima di partire mi disse: «Papà, oggi vinco». E’ partito e ha vinto. Due sole volte mi ha parlato così e in entrambe ha vinto. Quindi sono convinto che la sua tranquillità porterà ai risultati. Sembra in crescita, capace di stare accanto a quelli più forti. Se avesse potuto fare prima un Grande Giro, forse oggi staremmo parlando di un altro corridore. Ha 21 anni, mi sembra strano che si ragioni di lui come di un vecchio. I procuratori gli dicono che deve fare punti sennò è difficile trovare squadra, ma io spero che la squadra venga fuori ugualmente. Stasera torniamo a casa insieme, sperando che i manager guardino i corridori non solo per i punti che portano.
Gianmarco Garofoli ripescato in extremis al posto di Hayter, parte per il Giro U23 e passa il primo giorno a tirare. Ha 10 giorni per dimostrare quanto vale
Abbiamo incontrato Vanotti per farci dire come sarà secondo lui il 2022 dell'amico Nibali. Le idee chiare: è un capitano! Punti su Giri e certe classiche
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Più che il cambio della bici, racconta Bettiol, la parte più originale è stato il cambio delle tacchette. Alla Ef Education usava le Speedplay, alla Astana le Shimano. Non è semplice dopo sei anni passare fra due sistemi così diversi.
«E a quel punto – sorride Alberto – ho chiesto un intervento di emergenza ad Alessandro Mariano, che era in barca a vela all’isola d’Elba. Così ho dato le scarpe a Gabriele Balducci, che era venuto a trovarmi a Livigno per qualche giorno. Le ha portate in Toscana. E’ andato a Piombino. Ha chiamato un suo amico col gommone e le hanno portate all’Isola d’Elba: ho la foto che lo testimonia, ho anche il video. Alessandro ha montato le scarpe sulla barca a vela mentre gli altri due facevano un bagno. Gliele ha ridate. E a quel punto poi, Gabrielele ha date al mio amico Andrea che veniva a Livigno a fare cinque giorni di vacanza. Lui me le ha portate e io le ho provate».
Se non è un film, poco ci manca. Bettiol è per qualche giorno in Toscana e se i giorni in bici non gli sembrano troppo diversi è solo perché i colori della maglia tutto sommato sono rimasti gli stessi. Era tricolore quella della EF Education che ha indossato fino al 14 agosto ed è tricolore quella di adesso, su cui tuttavia c’è scritto Astana. Che qualcosa bollisse in pentola ce lo aveva fatto capire l’8 agosto proprio Gabriele Balducci, da sempre suo mentore e amico comune. In partenza per Livigno con la Mastromarco, si era sentito dire da Alberto di grosse novità in arrivo, ma nessuno avrebbe immaginato che avrebbe cambiato squadra nel bel mezzo dell’estate.
Sembra passato un secolo, sono appena due mesi. Bettiol vittorioso al tricolore con la sua SuperSix Evo LAB71Sembra passato un secolo, sono appena due mesi. Bettiol vittorioso al tricolore con la sua SuperSix Evo LAB71
Che cosa è successo nell’estate?
Così alla svelta, neanche noi ce l’aspettavamo. E’ andato tutto molto veloce. Io ero in vacanza quando abbiamo preso questa decisione, quindi anche Gabriele non sapeva niente. Avevamo parlato un po’, è da un annetto buono che parliamo. Però si ragionava comunque sempre del 2025, finché Vinokourov ha chiesto la possibilità di avermi subito e Giuseppe (Acquadro, il suo manager, ndr) ha trovato subito le porte aperte da parte di Vaughters, perché comunque non è facile soprattutto dal punto di vista burocratico. C’è da fare un sacco di richieste in modo molto rapido, perché l’UCI ti dà dei tempi molto stretti e se non li rispetti, non puoi fare niente. Quindi devo ringraziare la EF, perché avrebbero avuto tutto il diritto di aspettare. E poi l’Astana ha fatto un grande lavoro. Insomma, io ero in vacanza: hanno fatto tutto loro.
Com’è stato andare a dormire con una squadra e risvegliarsi il giorno dopo con l’altra?
E’ una cosa che adesso, a questa età e in questo periodo della mia vita, in cui insomma sono un po’ più consapevole di quello che voglio, non mi ha creato grossi problemi. Se mi fosse successo qualche anno fa, in cui ancora avevo da assestarmi bene, magari l’avrei patito. Da un punto di vista di atteggiamento mentale, non mi ha smosso per niente. E’ anche vero che l’Astana è una squadra kazaka, ma ci sono tantissimi italiani e tanti che conoscevo già. Quindi alla fine il passaggio non è stato brusco, come magari andare in una squadra dove non conoscevo nessuno. Per il resto, mi è cambiato poco. Avevo già programmato di andare a Livigno per tre settimane e sarei stato da solo. L’idea di andare al Renewi Tour è venuta fuori durante questo ritiro, non era programmata e voi sapete quanto mi dessero fastidio un tempo le cose non programmate…
Bettiol accanto a Van der Poel: entrambi in rotta sui mondiali di ZurigoBettiol accanto a Van der Poel: entrambi in rotta sui mondiali di Zurigo
Quindi hai tenuto lo stesso calendario?
Ho fatto una settimana in meno a Livigno, che forse è stato anche meglio. Ero andato su dopo le Olimpiadi perché comunque sarei andato alle gare in Canada e poi eventualmente al mondiale, quindi io avevo bisogno di recuperare e allenarmi. Insomma sembra un cambio radicale e in parte lo è stato, però è stato facile da gestire, mettiamola così.
Delle scarpe ci hai detto, per la bici e l’abbigliamento?
Anche questo è stato tutto improvvisato e devo ringraziare l’Astana per l’impegno che ci hanno messo. Per l’abbigliamento il loro referente è Bruno Cenghialta e ci siamo trovati a metà strada tra la Toscana e Livigno, perché io tornavo dalle vacanze e stavo andando su. Abbiamo provato l’abbigliamento e abbiamo fatto anche due foto per il comunicato stampa. Quanto alla bici, Michele Pallini che era a Parigi con noi aveva tenuto a casa quella con cui avevo corso le Olimpiadi, per cui ha preso le misure in videochiamata con il meccanico Tosello. Lui ha sistemato la Wilier e alla fine l’ha data a Panseri, altro meccanico italiano che me l’ha portata a Livigno.
Decimo nella crono di Tessenderlo al Renewi Tour, Bettiol deve trovare confidenza con i nuovi materialiDecimo nella crono di Tessenderlo al Renewi Tour, Bettiol deve trovare confidenza con i nuovi materiali
In tempi non sospetti, forse proprio al mondiale di Wollongong, dicesti che ti trovi bene in nazionale perché ti ricorda l’ambiente della Liquigas. L’Astana non è la Liquigas, però ci sono davvero tanti italiani. Può essere un fattore importante?
Sì, è un ambiente familiare. C’è Michele Pallini, c’è il dottor Magni, tante figure che già conoscevoproprio dalla Liquigas. Ci sono i meccanici Borselli e Panseri. Poi gli atleti, che conosco benissimo. Velasco e Ballerini. Con Ballero siamo vicini di casa a Lugano e ci alleniamo spesso insieme, quindi cambia veramente poco. E’ un ambiente in cui mi sono trovato bene, almeno in questa settimana e scommetto ancora di più l’anno prossimo. Adesso è un po’ tutto improvvisato, anche come metodologie. Quelle loro sono un po’ diverse dalla EF, per cui per ora si tratta di adattarsi l’uno agli altri. La bicicletta, le tacchette, ma anche la nutrizione, l’integrazione, le barrette. Ci sono tante cose diverse. Però l’ambiente è bello, c’è tanta voglia di migliorare e quindi l’anno prossimo sono ottimista che faremo belle cose.
Perché cambiare?
Io avevo ancora due anni di contratto e sarei stato anche lì, non ho cambiato perché stavo male alla EF o perché mi mancassero gli stimoli. E’ solo che mi si è presentata questa occasione, mentre prima erano solo parole. Quando sono passati ai fatti, ho fatto le mie valutazioni. E se un corridore come Diego Ulissi, che ha fatto più anni di me nella stessa squadra, ha deciso di cambiare, allora poteva andare bene anche a me. Avevo visto che c’è tanto potenziale ed erano un po’ di anni che anch’io riflettevo sul fatto di rimanere nella stessa squadra e sui pro e i contro di cambiare. Rischi di rimanere seduto, di veder attutire gli stimoli. Ho il mio piccolo staff che mi supporta sempre, indipendentemente dal colore della maglia, però anche trovare un ambiente nuovo può essere uno stimolo. Ma non volevo cambiare perché stavo male.
Fianco a fianco con Evenepoel, reduci dal Tour e dalle Olimpiadi, ovviamente con esiti diversiFianco a fianco con Evenepoel, reduci dal Tour e dalle Olimpiadi, maovviamente con esiti diversi
Come è stato il dopo Olimpiadi? Evenepoel ha raccontato di grosse difficoltà a recuperare…
Ho recuperato bene, semmai ho vissuto un periodo di spossatezza durante il Tour, soprattutto la seconda settimana quando ho avuto un calo di forma. A Parigi non ho stravinto l’Olimpiade come Remco, ma comunque ero lì davanti a giocarmi la top 10, non è che sono andato piano. Quando sono tornato a casa, ho staccato una settimana poi però a Livigno ho trovato subito delle belle sensazioni. Mi sono allenato veramente bene e infatti si è visto al Renewi Tour. Era una corsa a tappe che richiedeva degli sforzi opposti a quello che ho fatto a Livigno. Lassù si parlava di salite lunghe e tante ore in bici a bassa intensità. Invece il Renewi era tutto scatti e strappi corti su cui sono andato bene, quindi vuol dire che il mio fisico aveva recuperato e sono contento. E’ chiaro che non si possa fare il paragone con Remco. Lui è partito dal Delfinato, ha corso il Tour per fare la classifica, poi ha tirato dritto. Ero nel suo stesso hotel a fine aprile a Sierra Nevada, lo vedevo lavorare ed erano bello concentrati.
In Astana conosci i corridori, forse un po’ meno staff e tecnici?
Non è stato un salto nel vuoto, perché già in Belgio i compagni hanno lavorato per me. Mi sono scoperto ben allineato con Zanini in ammiraglia e anche per lui è stato un piccolo passettino per capire come andremo in Belgio il prossimo anno, anche per i materiali. I meccanici hanno cominciato a capire come mi piace fare le cose. Michele Pallini ormai mi conosce da tanto, con tutti i mondiali e le due Olimpiadi che ho fatto con lui. Poi quando veniva a Lugano, spesso Vincenzo (Nibali, ndr) mi chiamava per sapere se volevo fare anch’io un massaggio con lui. Ci si conosce da tanto. Invece meccanici e direttori no. Anche Bruno Cenghialta, Giuseppe Martinelli… Sono tutte facce che conoscevo, ma non ci avevo mai lavorato insieme. Però siamo un bel gruppo, anche a Lugano con Ulissi e Ballerini. La EF è stata un bel periodo della mia vita. Staremo a vedere, spero di aver fatto la scelta giusta. Per ora ne sono molto convinto.
«Come sto? Alla Vuelta Burgos ho trovato le risposte che cercavo». Lorenzo Fortunato ha da poco chiuso la sua corsa di antipasto alla Vuelta e da Madrid stava per tornare in Italia. Spesso gli aeroporti sono il luogo migliore per raccontare. L’attesa fa scorrere bene le parole. «Almeno – riprende Lorenzo – io torno a casa quattro giorni, c’è gente che da Burgos va a San Sebastian e poi diretta alla Vuelta».
Il corridore dell’Astana-Qazaqstan è soddisfatto: un secondo posto nell’unica tappa di salita, tra l’altro alle spalle del redivivo Sepp Kuss, e una gamba che risponde presente dopo un immenso lavoro fatto in estate.
Incontri all’aeroporto di Madrid! Fortunato è rientrato in compagnia di Davide Piganzoli. Entrambi erano a BurgosIncontri all’aeroporto di Madrid! Fortunato è rientrato in compagnia di Davide Piganzoli. Entrambi erano a Burgos
Lorenzo, dicevi di buone risposte…
Sì, sono stato un mese in altura a Livigno: dal primo luglio al primo agosto. I primi 15 giorni proprio a Livigno con altri undici ragazzi della squadra. Poi ho fatto tre giorni in basso a casa e successivamente sono risalito ancora più su, a Trepalle, con i soli compagni della Vuelta.
Caspita un mese: però i risultati si sono visti…
Alla fine a Burgos c’era un solo arrivo in salita e stavo bene. Poi a crono ho sofferto un po’, mi sono difeso. Ma già al secondo giorno avevo perso del tempo in seguito ad un caduta e addio classifica. Ma l’importante comunque era correre. Non mettevo il numero dal Delfinato e bisognava tornare in gruppo.
Fortunato (classe 1996) si è difeso a cronometro, anche se ha pagato un bel po’Fortunato (classe 1996) si è difeso a cronometro, anche se ha pagato un bel po’
Come hai lavorato in quel mese a Livigno?
Dopo il Delfinato sono stato otto gironi senza toccare la bici. Quindi riposo assoluto. Ho fatto comunque il campionato italiano, ma in appoggio ai compagni e quindi sono salito in quota. Nei primi 15 giorni ho fatto soprattutto ore e bassa intensità. Cercavo di andare verso Saint Moritz, per fare meno salita possibile, cosa non facile da quelle parti, ma restando in quota, sempre sopra i 1.500 metri. Nelle altre due settimane invece è aumentata la parte d’intensità. Facevo due giorni di carico e uno di scarico. E quando facevo scarico non uscivo.
E cosa facevi in quei giorni di recupero?
Per la precisione era un riposo attivo: un giorno alternavo la palestra e nell’altro una piccola passeggiata in quota, ma roba di 40′-45′ giusto per far passare il tempo. In palestra facevo la pressa per la forza resistente e lo squat per quella esplosiva. Maurizio Mazzoleni, il mio preparatore, ci tiene molto a portare avanti la palestra anche durante la stagione.
Lorenzo, ti appresti a fare per la prima volta il secondo grande Giro nella stessa stagione. Cosa ti aspetti?
Avevo voglia finalmente di provare fare il secondo grande Giro in un anno e testarmi. E poi sarà anche la mia prima Vuelta. E’ da tanto ormai che corro in Spagna, mi piace e mi piacciono le salite. Magari sono un po’ più corte rispetto al Giro, all’Italia, ma sono belle dure.
Verso Lagunas de Neila il bolognese ha attaccato e solo Kuss (in giallo sullo sfondo) lo ha battuto (foto Instagram – @gettyimage)Verso Lagunas de Neila il bolognese ha attaccato e solo Kuss (in giallo sullo sfondo) lo ha battuto (foto Instagram – @gettyimage)
Con che obiettivi parti?
Non starò a stressarmi per la classifica, ma punterò alle tappe. O meglio, la vivrò giorno per giorno. La priorità comunque sono le tappe. Anche al Giro d’Italia ero partito così, solo che poi dopo la seconda frazione mi sono ritrovato quarto e da quel momento ho curato la classifica. Però credo che alla Vuelta senza Pogacar, Remco o Vingegaard ci saranno più possibilità. Più spazio.
Cosa intendi di preciso?
Senza un faro, un dominatore, ci sarà più spazio in generale: per le fughe, per la classifica, per attaccare. Tutto potrebbe essere un po’ più alla portata, senza uno o due dominatori che controllano la corsa costantemente. E un po’ si è visto al Delfinato come sono andate le cose senza di loro.
E’ la tua prima Vuelta, cosa ti hanno detto in merito a questa corsa compagni e colleghi?
C’è chi mi dice che sia più bella del Giro e del Tour. Che si vive con meno stress. Sicuramente si andrà forte e il percorso è più duro sia del Giro che del Tour. Già nella prima settimana c’è un arrivo in salita e altre due tappe toste. E dalla seconda in poi sono praticamente tutte frazioni dure.
Però ci arrivi bene dai. Come dicevamo a Burgos ci è voluto Kuss per toglierti il successo…
E questo mi dice che ho lavorato bene e che sono pronto per la Vuelta. In salita sto bene. A Burgos ho sofferto un po’ i cambi di ritmi, ma era normale dopo tanta altura. Anche se ho lavorato sull’intensità non puoi replicare certi ritmi. E poi erano mesi che non correvo. Quindi risposte buone. Ora ho quattro giorni di vero recupero. Oggi il viaggio, domani ancora niente, poi un paio di uscite tranquille e quindi si va diretti a Lisbona. Ne approfitterò per stare un po’ in famiglia e con Veronica, che a fine Vuelta diventerà mia moglie!
Si apre la pagina di Moscon all'Astana e il trentino rinasce. L'ambiente familiare gli dà fiducia, l'italiano lo fa sentire a casa. Nibali è un riferimento
Abbiamo incontrato Vanotti per farci dire come sarà secondo lui il 2022 dell'amico Nibali. Le idee chiare: è un capitano! Punti su Giri e certe classiche
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NIZZA (Francia) – Se questo pullman potesse parlare, sai quante ne racconterebbe? Il porto di Nizza accoglie la partenza della penultima tappa del Tour, quella che arriverà al Col de la Couillole. Nei clan degli scalatori c’è apprensione, in casa Astana Qazaqstan Team l’unica preoccupazione è quella di portare Cavendish all’arrivo anche oggi, perché domani (domenica) possa raccogliere il meritato applauso sul suo ultimo podio.
Dopo giorni di mascherine e mille attenzioni, questa volta c’è tutto il mondo. La gente si accalca come accadde a Firenze e più di un corridore è costretto a mettere piede a terra, andando e tornando dalla firma, per non cadere. Ma tutto sommato, chi l’ha detto che questo pullman non possa parlare?
Il progetto ha coinvolto tutta la squadra, che da cacciatrice di maglie, ha puntato tutto sul velocistaIl progetto ha coinvolto tutta la squadra, che da cacciatrice di maglie, ha puntato tutto sul velocista
A caccia del record
Il grosso mezzo celeste, un MAN Lion’s Coach, ha la voce di Federico Borselli, che lo guida e se ne prende cura da quando questa squadra è nata ed ha accolto l’anima italiana con Martinelli. Una sorta di filo che la tiene legata alla Saeco di Cipollini e Cunego e che ha poi visto passare Vincenzo Nibali e Fabio Aru. C’è stato a lungo anche Michele Scarponi, il cui nome viaggia sulla prua e apre la strada ai suoi fratelli. Ci sono stati anni in cui l’Astana è stata la squadra delle grandi corse a tappe. Dal 2013 al 2016 portò a casa infatti due Giri, un Tour e una Vuelta. Poi sono arrivati i nuovi giganti, il budget si è ristretto e i Giri sono diventati appannaggio di altri. E così quest’anno al Tour sono venuti per quell’unica vittoria che ha dato un senso al suo ultimo scorcio di carriera e alla loro spedizione.
«Quando porti una squadra di scalatori e lotti per vincere dei Grandi Giri – spiega il toscano, angelo custode del pullman e dei suoi racconti – sei tutti i giorni a lottare per tenere le posizioni, non perdere terreno, attaccare. Quando hai un velocista, ci sono giorni ad altissima tensione e altri in cui cerchi il modo per arrivare ugualmente al traguardo. Lottare tutti i giorni dà un altro morale, però quando si vince, la soddisfazione è uguale. Cavendish che ha vinto la 35ª tappa del Tour è stata una cosa bellissima…».
Con Gil e Tosello, Borselli è l’anima più esperta dell’Astana
Eppure era cominciato male, questo Tour. Il primo giorno si rischiava che Mark andasse a casa…
La prima settimana è stata dura, poi piano piano le cose si sono un po’ riequilibrate. I corridori hanno preso i loro ritmi e ci siamo risistemati.
Cosa si capisce portandoli avanti e indietro ogni giorno?
Riesci a capire il corridore. Come sta, il morale che ha. Lo vedi subito la mattina, quando arriva il bus. Ad esempio Mark è passato dalle tensioni del primo giorno a quell’atmosfera magica del giorno che ha vinto. C’era quella tensione buona, si percepiva che fossimo tutti lì per raggiungere questo risultato molto importante. Non so come spiegare, si sentiva che stesse per succedere qualcosa di importante.
Come ci sta Cavendish sul pullman che è stato di così grandi scalatori?
Essendo un anglosassone, è più chiuso rispetto a un Cipollini, un Simoni oppure Cunego, Scarponi e Nibali. Però alla fine è uno di noi. Uno che sta al gioco, è simpatico. Ride e scherza anche lui. E poi si è visto che dopo la vittoria è cambiato totalmente.
Raggiunta quota 35, Mark Cavendish ha mollato finalmente la tensione e festeggiato anche con la famigliaRaggiunta quota 35, Mark Cavendish ha mollato finalmente la tensione e festeggiato anche con la famiglia
Ogni giorno una lotta per raggiungere il traguardo: come lo vedevi quando arrivava dopo le tappe?
Ha avuto una grinta incredibile, perché arrivare fino qui a Nizza per lui non è stato facile. In questi giorni che stavano nel tempo massimo per pochi minuti, quando salivano sul pullman erano davvero finiti. Però dopo un’ora il corridore, l’atleta professionista recupera e torna nella normalità. Lui ha fatto fatica, ma ce l’ha fatta anche grazie agli altri ragazzi che gli sono stati vicini.
Ti ha mai chiesto perché ci sia quel grosso cartello col nome di Scarponi?
No, credo per discrezione. Però sa il motivo per cui c’è, in gruppo penso lo sappiano tutti.
P.S. Finito il Tour, mentre la squadra si è concessa la meritatissima festa, Borselli si è rimesso al volante ed è ripartito alla volta di Calenzano. C’erano dei lavori da fare sul pullman, che dopo un Tour mostra i suoi cedimenti. E visto che il programma di Federico prevede la ripartenza per Vuelta Burgos, San Sebastian, Circuit de Getxo e poi la Vuelta Espana, bisogna che il mezzo sia a posto. Non esserci gli è dispiaciuto, ma per essere dei grandi professionisti bisogna saper individuare le priorità. E questa era superiore.
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