C’era aria di fuga stamattina, spiega Lorenzo Fortunato, terzo sul traguardo di Andorra dopo un’azione lunga 162 chilometri. Una vita. C’è appena il tempo che la bandierina si abbassi e dalla testa del gruppo schizzano via i dieci che, ancora ignari, andranno a giocarsi la tappa.
La partenza è in salita sul Coll de Sentigosa (11,4 chilometri al 4,1 per cento) e ad avvantaggiarsi sono Vine, Castrillo, Vervaeke, Garofoli, Debruyne, Ryan, Shaw, Armirail, Traen e Fortunato. Traen, che indossa la maglia della Bahrain Victorious è quello messo meglio in classifica generale (58’’ dietro Vingegaard), poi Armirail, Vervaeke e appunto Fortunato (a 1’43’’).
«Era una giornata brutta, di pioggia – racconta il bolognese della XDS Astana – perfetta per le fughe, anche perché Vingegaard voleva lasciare la maglia. A lui interessa averla a Madrid. Vine ha attaccato in discesa e non sono riuscito a seguirlo. Se proprio vogliamo dire, poteva starci un secondo posto. Era il primo arrivo in salita, volevo arrivare nei dieci e l’ho fatto, quindi sono soddisfatto. Bicchiere mezzo pieno, va bene così!».
Vine ha approfittato della buona conoscenza delle strade e ha conquistato Andorra, dove viveLa sua dimestichiezza con le curve in discesa, anche se bagnate, gli ha permesso di fare il vuotoVine ha approfittato della buona conoscenza delle strade e ha conquistato Andorra, dove viveLa sua dimestichiezza con le curve in discesa, anche se bagnate, gli ha permesso di fare il vuoto
La salita preferita di Vine
Fortunato dice bene: Vingegaard ha deciso di lasciar andare la maglia e così il vantaggio dei primi lievita fino ai 6’30”, quando la corsa entra ad Andorra e mancano 35 chilometri all’arrivo. E proprio mentre si scala l’Alto de la Comella e in testa al gruppo alcune squadre iniziano a forzare i tempi, Jay Vine decide di non voler rischiare e attacca prima dello scollinamento. Poi si butta in discesa come una furia. Quando si presenta ai piedi della salita finale, che è lunga 9,6 chilometri e ha pendenza media del 6,3 per cento, ha un minuto di vantaggio sugli inseguitori.
«Conosco queste strade abbastanza bene – spiega l’australiano del UAE Team Emirates – vivo appena sotto la collina e la Comella è la mia salita preferita in tutta Andorra. Normalmente mi sarebbe piaciuto rendere la corsa più dura, ma con il vento contrario è stato difficile convincere i ragazzi a fare di più. Così ho deciso di andare in cima e sfruttare la discesa bagnata. Ho pensato che fosse l’occasione per tentare ed è andata bene».
Il tempo che la tappa partisse e la fuga ha preso il largo. Dentro anche Garofoli e FortunatoIl tempo che la tappa partisse e la fuga ha preso il largo. Dentro anche Garofoli e Fortunato
L’ombra dell’Angliru
Fortunato ci riproverà. Venerdì prossimo c’è una salita che lo chiama: l’Alto de Angliru. Per il corridore diventato celebre nel 2021 per la vittoria dello Zoncolan è un richiamo (quasi) irresistibile.
«Non ci ho mai corso – dice Fortunato – ho fatto altre gare nelle Asturie, però mai lassù. E’ una salita simile allo Zoncolan, però in un contesto di corsa totalmente differente. La gamba è simile a quella del Giro, anche se dopo Burgos non sono stato tanto bene. Però oggi andavo, ero lì davanti, quindi un po’ alla volta torno su. Oggi puntavo alla tappa però ho cercato di fare gli sprint per la maglia a pois risparmiando la gamba e ho preso un po’ di punti. Cerco di tenere il piede in più scarpe per il momento, poi vediamo con l’andare dei giorni come andrà».
Dopo 162 chilometri di fuga, la maglia rossa va a Traen Torstein, norvegese di 30 anni, della Bahrain VictoriousVingegaard ha deciso di lasciar andare il primato e la fuga è decollataDopo 162 chilometri di fuga, la maglia rossa va a Traen Torstein, norvegese di 30 anni, della Bahrain VictoriousVingegaard ha deciso di lasciar andare il primato e la fuga è decollata
Il sogno del mondiale
Andorra ha spiegato chi comanda: Almeida e Ayuso hanno già diviso il loro cammino. Ayuso viene staccato ai meno 6 dall’arrivo e scivola indietro a quasi 12 minuti, mentre Almeida resta davanti con Vingegaard e gli altri uomini della classifica che da stasera è rivoluzionata e chissà per quanto. Traen ha la maglia rossa con 31″ su Armirail e 1’01” su Fortunato, che guarda la Vuelta e intanto immagina anche scenari futuri. Anche perché le parole di Marco Villa sulle prossime nazionali lasciano più di uno spiraglio aperto.
«Intanto pensiamo alla Vuelta – dice infatti – poi spero di essere convocato al mondiale, vediamo come esco di qua. Adesso ho mal di gambe, ma dopo la tappa è normale: sono convinto di recuperare e fare la corsa anche domani. Sarà un’altra giornata dura e vediamo come andrà. Sarà difficile andare in fuga. Oggi sono riuscito perché avevo abbastanza distacco, domani parto da terzo il classifica e vediamo come andrà. Prendere la maglia rossa? Perché no… (sorride: alla Vuelta anche i sogni a volte si avverano, ndr)».
Mikel Landa riparte e punta sulla Vuelta. Cercherà di dimenticare la sfortuna del Giro e di salire sul podio. Nessun dichiarazione però e i piedi per terra
L’ultima volta che lo abbiamo incontrato, Roma intorno celebrava le maglie del Giro e Ciccone si era avvicinato per un saluto mentre insieme a sua moglie Annabruna stava cercando di raggiungere il pullman della Lidl-Trek. La corsa del team americano era stata così travolgente, che anche l’abruzzese, ritirato sul più bello per la caduta di Gorizia, aveva voluto essere presente per festeggiare con i compagni (in apertura la sua esultanza dopo aver propiziato la vittoria di Pedersen a Durazzo, ndr). Sorrideva, ma era anche mogio. Poi, sorridendo, aveva raccontato di aver trascorso gli ultimi due giorni a casa di Michele Bartoli (il suo allenatore, ndr) che lo aveva rimpinzato di buon cibo toscano per impedirgli di pensare all’occasione sfumata. Non sapeva se sarebbe andato a Parigi per assistere alla finale del Roland Garros fra il suo amico Sinner e Alcaraz (speriamo non sia andato: l’umore sarebbe peggiorato ulteriormente). Poi “Cicco” è scomparso, dietro alla rieducazione e alla ripresa della preparazione.
Quando finalmente si è riconnesso col mondo, al netto di qualche apparizione sui social per tifare il Sinner (questa volta vittorioso a Wimbledon), lo abbiamo intercettato ad Andorra. Mentre il Tour entra nel vivo, la sua estate ha la forma della ricostruzione della condizione e della fiducia, in attesa del rientro a San Sebastian e poi della Vuelta che partirà da Torino.
Dopo la caduta di Gorizia, che ha provocato la ferita al quadricipite destro, Ciccone ha dovuto lasciare il GiroDopo la caduta di Gorizia, che ha provocato la ferita al quadricipite destro, Ciccone ha dovuto lasciare il Giro
Torniamo per un istante al Giro: quanto è stato doloroso doverlo lasciare?
E’ stato molto difficile. In generale lasciare una corsa è sempre difficile, specialmente quando le cose stanno andando bene. Lo è stato ancora di più soprattutto per il clima più che ottimo che c’era nella squadra. E’ stata proprio una bella mazzata. Sono i casi in cui fa più male l’anima del corpo. Alla fine il corpo è abituato a prendere botte, mentre il dolore mentale è un’altra cosa. Tu sei lì che ti fermi e il Giro va avanti. Il dolore di testa non va via tanto facilmente.
Tanto più che le cose stavano andando bene, giusto?
Stavano andando super bene. Avevo passato gli esami più difficili, vale a dire le cronometro e lo sterrato. Secondo me ero in un ottimo stato di forma e dovevano ancora arrivare le tappe più adatte a me. Avrei fatto bene, questa è la mia sensazione. E poi è vero, sono stato da Bartoli nei giorni dopo la caduta: diciamo che è stata una sorta di mini vacanza. Abbiamo cercato di non concentrarci sul Giro, su quello che era andato perso, ma di risollevarci un po’ il morale. Di pensare agli obiettivi più grandi che devono arrivare. Di farci forza pensando a quanto di buono è stato fatto e prenderlo come spunto per i prossimi obiettivi.
Ciccone era arrivato al Giro come meglio non poteva e infatti era nel vivo della corsaCiccone era arrivato al Giro come meglio non poteva e infatti era nel vivo della corsa
Quanto tempo sei rimasto fermo?
Completamente fermo per 10 giorni, senza bici. Poi ho iniziato a muovermi, a fare qualche allenamento, ma molto tranquillo, per un’altra decina di giorni. Quindi in totale direi che sono stato fermo una ventina di giorni: 10 senza bici, 10 molto molto easy. Il dolore è sparito del tutto, però comunque c’era una lesione sul quadricipite, quindi sul muscolo principale della gamba. Ancora adesso è rimasta la cicatrice sul tessuto e stiamo continuando a lavorare per recuperare la piena efficienza, ma il dolore nel frattempo è sparito.
Stai lavorando per un obiettivo specifico? Pensi al mondiale?
Per ora obiettivi ne ho tanti, perché mi piace rientrare competitivo, quindi sto lavorando bene in quota qui ad Andorra. Preferisco non pensare a una gara precisa, voglio rientrare forte. Voglio tornare a stare bene come al Giro d’Italia e voglio lasciare il segno da qui a fine anno. Il mondiale è nei radar, ne ho parlato con Marco Villa. Ci siamo sentiti, però dobbiamo ancora definire tutto. Io da parte mia sono disponibile per fare bene, a patto che riesca ad essere competitivo. Non mi andrebbe di fare solo presenza, quello non lo non lo vorrei mai e soprattutto la nazionale non lo meriterebbe.
Lo scorso anno a Zurigo, Ciccone ha corso il primo mondiale da pro’Lo scorso anno a Zurigo, Ciccone ha corso il primo mondiale da pro’
Quindi il programma sarebbe?
Ora sono ad Andorra con i miei compagni di squadra. Il rientro è previsto a San Sebastian, poi Vuelta Burgos e la Vuelta di Spagna. Poi c’è da capire il discorso del mondiale e le gare di fine anno fino al Lombardia.
Lo spirito è quello giusto. La seccatura di essersi fermato sulla porta del grande risultato ha lasciato una cicatrice sull’anima al pari di quella che la caduta di Gorizia ha lasciato sulla gamba. Il Lombardia dello scorso anno lo vide sul podio dietro Pogacar ed Evenepoel: quella è la sua dimensione. La sensazione che voglia riprendersela si fa parola dopo parola più forte.
Il funerale di Vittorio Adorni celebrato in forma strettamente privata. A salutarlo non solo la famiglia ma alcuni dei suoi amici più cari del ciclismo
Una videocamera nella hall dell’hotel ad Andorra, posto scelto per i ragazzi del team Red Bull-BORA-Hansgrohe Rookies per il ritiro in preparazione al Giro Next Gen (in apertura foto Twila Federica Muzzi). Al centro Lorenzo Finn che con questi colori lo abbiamo visto correre lo scorso anno e vincere il mondiale juniores a Zurigo. A sinistra John Wakefield responsabile della parte di sviluppo della squadra, a destra Werner Muller-Schell responsabile della comunicazione e addetto stampa. Nonostante la presenza di cinque giornalisti italiani, compreso chi scrive, le domande vengono poste in inglese. E’ il ciclismo dei devo team e che piaccia o meno la piega è internazionale.
Intorno al campione iridato juniores del 2024 c’è tanta curiosità. Le sue qualità alzano le aspettative ma la giovane età invita a restare calmi e avere pazienza. Quando si ha tra le mani un talento come quello di Lorenzo Finn serve programmare tutto con i giusti passi. Il lavoro dei tecnici Red Bull-BORA-Hansgrohe è volto a questo anche se l’inizio del Giro Next Gen porterà sicuramente un primo banco di prova.
Lorenzo Finn ha lavorato ad Andorra per prepararsi al suo primo Giro Next Gen (foto Twila Federica Muzzi)Insieme ai suoi compagni del team Red Bull-BORA-hansgrohe Rookies ha svolto un ritiro di tre settimane (foto Twila Federica Muzzi)Lorenzo Finn ha lavorato ad Andorra per prepararsi al suo primo Giro Next Gen (foto Twila Federica Muzzi)Insieme ai suoi compagni del team Red Bull-BORA-hansgrohe Rookies ha svolto un ritiro di tre settimane (foto Twila Federica Muzzi)
Pressioni? Poche
Il ragazzo nato e cresciuto in Liguria sfoggia la sua solita calma e risponde alle domande. Ogni tanto si lascia andare a qualche battuta ma la concertazione verso questo primo grande obiettivo di stagione è massima.
«Non vedevo l’ora che arrivasse questa gara – racconta subito – sarebbe stato bello conoscere il percorso un po’ prima. Correrò vicino a casa (le ultime tre tappe non saranno lontane dalla sua Genova, ndr) e verranno parenti e amici a vedermi. Il Giro Next Gen è un grande obiettivo fin dall’inizio della stagione. Sono al primo anno da under 23 e accanto a me avrò compagni più esperti. Mi limiterò a fare del mio meglio senza troppa pressione».
Finn è al primo anno da U23, nonostante ciò a inizio stagione ha esordito con la formazione WorldTour (foto Getty Sport)L’atleta ligure ha vinto il Giro del Belvedere quest’anno firmando una delle due vittorie del team U23 (photors.it)Finn è al primo anno da U23, nonostante ciò a inizio stagione ha esordito con la formazione WorldTour (foto Getty Sport)L’atleta ligure ha vinto il Giro del Belvedere quest’anno firmando una delle due vittorie del team U23 (photors.it)
Arrivare alla gara di casa forte del titolo di campione del mondo juniores come ti fa sentire?
Sereno. Si tratta di un bellissimo risultato ma ottenuto in un’altra categoria. Sono molto orgoglioso di quanto fatto ma si parla dello scorso anno, ora sto lavorando per fare altri step. Il Giro Next Gen sarà la corsa a tappe a cui ho preso parte, saranno otto tappe impegnative.
Come avete lavorato in questi giorni di ritiro ad Andorra?
Siamo stati qui per tre settimane (il team è tornato a casa domenica 8 giugno, ndr). All’inizio abbiamo lavorato in maniera tranquilla per abituarci alla quota perché ci trovavamo a 2.400 metri. Per il resto, una volta trovato il ritmo giusto, ci siamo concentrati su blocchi di due giorni con sforzi sulla media distanza e uno incentrato sulla resistenza.
Durante le otto tappe del Giro Next Gen Finn si metterà alla prova e avrà il supporto di tutta la squadra (foto Flavio Moretti)Durante le otto tappe del Giro Next Gen Finn si metterà alla prova e avrà il supporto di tutta la squadra (foto Flavio Moretti)
Quanto ti sei concentrato nel curare la cronometro? Visto che il Giro Next Gen partirà con una prova contro il tempo?
Ci siamo concentrati abbastanza su questo aspetto, in primavera una caduta mi ha causato la frattura della clavicola e non è stato facile allenarsi sulla bici da cronometro. Fino ad ora non abbiamo mai fatto gare contro il tempo ma non credo sia un problema, alla fine la cronometro di Rho misura otto chilometri. Non credo risulterà decisiva per la vittoria finale.
Guardando il percorso che idea ti sei fatto?
Penso che la terza tappa sia più una scalata sola e darà già delle buone indicazioni. Ai fini della classifica finale le ultime due frazioni, quella di Prato Nevoso e di Pinerolo, saranno realmente decisive. La settima è un continuo sali e scendi con degli strappi che possono fare male. Personalmente credo di preferire un percorso del genere piuttosto che avere una sola salita nel finale.
Non solo le corse a tappe nel suo futuro, Finn non ha nascosto la passione per le corse di un giorno (foto Flavio Moretti)Tanto che alla sua prima Liegi U23 ha colto un ottimo quinto posto (foto Flavio Moretti)Non solo le corse a tappe nel suo futuro, Finn non ha nascosto la passione per le corse di un giorno (foto Flavio Moretti)Tanto che alla sua prima Liegi U23 ha colto un ottimo quinto posto (foto Flavio Moretti)
Hai detto che questo è il tuo primo obiettivo di stagione, come mai?
Perché da bambino ho iniziato a guardare il ciclismo con il Tour de France, quindi il sogno che ho coltivato è quello delle corse a tappe. Crescendo però ho scoperto che mi piacciono molto anche le corse di un giorno, la squadra sta lavorando molto per farmi diventare un corridore da corse a tappe viste le mie qualità però vedremo. Sto crescendo e vedremo cosa ci riserverà il futuro.
Ultima domanda: sarai contento se a fine Giro?
Penso che sarò felice comunque perché la mia ragazza verrà a vedermi. A essere totalmente onesti mi piacerebbe vincere una tappa, sarebbe bello ma ci sono tanti corridori forti. Però direi che voglio dare il meglio senza subire infortuni e lavorando bene con la squadra.
La prima stagione tra i professionisti di Davide De Pretto sta procedendo secondo il piano stabilito dal suo team, la Jayco-AlUla. Il veneto classe 2002, rientrato pochi giorni fa dal Giro del Delfinato, sta mettendo insieme tante esperienze differenti. Il suo calendario fino ad ora recita: 36 giorni di corsa, di cui l’esatta metà, 18, nel WorldTour.
De Pretto ha collezionato presenze a gare importanti, come Strade Bianche, Milano-Sanremo, Liegi e Delfinato. A queste ha alternato corse minori dove però ha avuto modo di mettersi alla prova, collezionando qualche piazzamento e il suo primo podio tra i professionisti, al Tour of Oman. A cui sono seguiti un secondo e un terzo posto di tappa alla Coppi e Bartali.
De Pretto è alla sua prima stagione tra i pro’ in maglia Jayco-AlUlaDe Pretto è alla sua prima stagione tra i pro’ in maglia Jayco-AlUla
Le fatiche francesi
Al Giro del Delfinato De Pretto ha avuto modo di toccare con mano i ritmi che si respirano in una corsa a tappe di alto livello. Tutti i giorni si sfiorano ritmi altissimi, la fatica nelle gambe e tanta esperienza da mettere in cascina.
«Sto bene, ho finito da poco di allenarmi – racconta – in palestra per la precisione. Sto continuando a farla, anche durante la stagione, soprattutto per la parte alta, il cosiddetto core. Con il Delfinato ho messo alle spalle un po’ di fatica, ora recupero in vista del campionato italiano del 23 giugno. In Francia la cosa che ho notato è come i primi vadano davvero forte. Arrivavo da un periodo di altura nel quale non ero stato bene, quindi la condizione non era quella desiderata. Avevo nel mirino le tappe due, tre e cinque, ma senza una gamba adeguata era impossibile anche pensare di tener duro».
De Pretto ha già corso molte gare importanti, tra cui la Strade BiancheDe Pretto ha già corso molte gare importanti, tra cui la Strade Bianche
Una bella esperienza comunque?
Assolutamente, ho visto qual è il ritmo al Tour de France. I miei compagni più esperti mi hanno detto che i ritmi sono gli stessi. In salita tutti tenevano duro, era difficile vedere gente che si staccava subito (questo dettaglio lo ha notato anche Fancellu, ndr).
Stagione piena fino ad ora…
Sono contento di ciò, ho iniziato a correre il 21 gennaio in Spagna alla Ruta de la Ceràmica e praticamente non mi sono mai fermato. Ho avuto il mio spazio nelle gare minori, come le 2.Pro o le 2.1 come la Coppi e Bartali. Nel WorldTour, invece, ho fatto parecchia fatica. Anche se al Giro dei Paesi Baschi ho conquistato la mia prima top 5 nella massima categoria. Quel giorno, devo ammettere, ero parecchio felice.
Il primo podio è arrivato al Tour of Oman, terzo nella quarta tappaIl primo podio è arrivato al Tour of Oman, terzo nella quarta tappa
La condizione era al livello previsto?
Stavo bene, forse un po’ stanco, tanto che dopo i Baschi mi sarei fermato volentieri, ma la squadra ha voluto portarmi in Belgio per fare Freccia e Liegi. Ci tenevo anche io, così ho stretto i denti e sono andato.
Tra gli U23 alla Liegi hai fatto terzo, com’è stato correre quella dei professionisti?
Sono molto diverse, anche solo per la distanza. Correre 80 chilometri in più non è semplice, poi i metri di dislivello tra i pro’ sono 4.500. E’ una corsa per gente leggera. Per il futuro penso possa diventare una gara adatta a me, con salite brevi ed esplosive. Penso sia una questione di maturazione, perché dopo 220 chilometri devi avere le gambe per attaccare sulla Redoute e reggere il ritmo dei migliori.
Durante l’inverno ha fatto un carico di lavoro quasi doppio rispetto a quando era U23 (foto Instagram)Durante l’inverno ha fatto un carico di lavoro quasi doppio rispetto a quando era U23 (foto Instagram)
Crescita e fondo. A proposito in inverno come hai lavorato?
Durante la preparazione le ore sono raddoppiate rispetto a quelle che facevo tra gli under 23. Ho messo alle spalle tanto fondo, poi con l’avvicinamento alle gare abbiamo fatto sempre più intensità. Anche nel ritiro appena concluso ad Andorral’ultima settimana ho messo nelle gambe allenamenti più intensi. Rispetto allo scorso anno faccio più lavori di forza in palestra piuttosto che in bici.
Se si guarda al calendario si nota come tu stia facendo molte più gare a tappe rispetto a quando eri U23.
Questo mi sta dando una grande mano nel crescere e migliorare. Già dalla seconda corsa a tappe di quest’anno, il Tour of Oman, mi sentivo sempre meglio. Da under 23 fare una gara a tappa mi stancava molto, arrivavo gli ultimi giorni finito, non vedevo l’ora che finisse. Ora arrivo fresco, con ancora energia in corpo, ho un recupero migliore.
Fino ad ora De Pretto ha preso parte a tante corse a tappe, ben cinque da febbraio a giugnoFino ad ora De Pretto ha preso parte a tante corse a tappe, ben cinque da febbraio a giugno
Altura alle spalle, come stai?
La condizione sta crescendo, sono uno che ha bisogno di correre per metabolizzare i lavori fatti in altura. Il Delfinato ne è stata la prova, ma sono contento di come l’ho finito. Ora punto agli italiani e subito dopo il Giro d’Austria dal 2 al 7 luglio. Alla fine vedremo come starò, potrei fare Castilla y Leon a luglio, poi Arctic Race e infine San Sebastian. Ma prima, durante il Tour de France, noi che non corriamo faremo un ritiro a Livigno.
Ieri la squadra lo ha raggiunto ad Andorra. Così Santiago Buitrago ha lasciato casa ed è salito a quota 2.300, ancora 200 metri sotto il suo paese in Colombia, ma abbastanza per rifinire la preparazione in vista del primo Tour. Quando era bambino, il colombiano fece un disegno con il podio del Tour 2022: è ancora sopra all’armadio nella sua cameretta. Era il grande sogno, cui arriva con due anni di ritardo. La sua non è una famiglia colombiana come altre, in cui si corre per rabbia o per fame. Santiago corre per amore della bici, con i piedi per terra e la lucidità che serve per essere professionista in ogni ambito. Nel frattempo ha vinto due tappe al Giro e al recente Delfinato si è mosso vicino ai più forti. Cosa si prova quando un sogno sta per realizzarsi?
«E’ una cosa speciale – dice – ho lasciato il mio Paese con la voglia di fare bene una cosa grande, il mio sogno. Vedi la tua famiglia e le persone vicine a te che si emozionano nel sapere che vai a fare il primo Tour, sapendo tutto quello che hai fatto per arrivare fino a quell’obiettivo. Sono partito veramente motivato. Normalmente a casa può essere difficile stare concentrato su un solo obiettivo, però avendo davanti agli occhi il Tour de France, ti svegli ogni mattina per fare il meglio possibile».
Ultima tappa del Delfinato, Buitrago arriva 5° dietro De Plus a 35″ da RodriguezUltima tappa del Delfinato, Buitrago arriva 5° dietro De Plus a 35″ da Rodriguez
La condizione c’è, al Delfinato sei stato spesso insieme ai più forti…
E’ andato abbastanza bene. Peccato per un giorno, il primo di montagna, che mi sono bloccato. Invece sono contento delle ultime due tappe e della crono in cui sono migliorato tanto. Avevo qualche dubbio…
Perché?
Non correvo dalla Liegi e in Colombia mi era venuto male a un ginocchio. Sono stato a casa a lungo e dopo tanto tempo in altura, nella prima gara rischi di non trovarti bene. Non si può mai sapere. Però sapevo che i numeri erano buoni e che la preparazione era quella giusta. Sono andato in Francia pensando di entrare nei primi cinque. Speravo di non perdere tanto nella crono e lottare per la vittoria. Invece sono saltato in un giorno di montagna e questo un po’ mi disturba…
Hai chiuso undicesimo, come pure al Giro dei Paesi Baschi: che differenze ci sono?
Al Delfinato è andata meglio, perché in salita sono rimasto con i migliori. Ero più convinto di andare bene, mentre ai Paese Baschi venivo della caduta alla Parigi-Nizza. Con tutte le scivolate che si sono viste, avevo paura di andare in gruppo e di fare le discese. Poi c’è stata la tappa in cui sono caduti Vingegaard e gli altri e la corsa di colpo è stata tutta aperta. Non si sapeva chi potesse vincerla…
Parigi-Nizza, vince in solitaria a Mont Brouilly e diventa 2° nella generaleLa corsa francese ha due facce: nella sesta tappa, una caduta e per Buitrago addio sogni di classificaParigi-Nizza, vince in solitaria a Mont Brouilly e diventa 2° nella generaleLa corsa francese ha due facce: nella sesta tappa, una caduta e per Buitrago addio sogni di classifica
Il primo Tour: che effetto fa?
Per me questo è un sogno, lo è già solo essere nella lista della squadra. Sarà il primo Tour, per cui l’obiettivo è farlo al meglio possibile. Farlo nella maniera più corretta e professionale, con la convinzione di arrivarci al 100 per cento. Farlo bene vuol dire che sei fra i migliori al mondo. Riuscire a vincere in mezzo a tanti uomini forti sarebbe importantissimo e solo pensarci mi fa emozionare tanto.
Alcuni dei più forti li hai visti da vicino al Delfinato, almeno Roglic, Evenepoel, Rodriguez…
In realtà non ho sentito una differenza così abissale, di uno che attaccava e poi non lo vedevi fino all’arrivo. Mi è piaciuta come gara perché eravamo tutti lì, nelle stesse condizioni, con pochi secondi di differenza. Per vincere partivano all’ultimo chilometro. L’ultimo giorno, Roglic e Ciccone sono saltati. Jorgenson è andato fortissimo, però non è ho visto tanta differenza. Okay, nella crono Remco è stato inavvicinabile. Non sono partito con l’idea di poter prendere due minuti, però poi ho visto che in montagna ha sofferto. Va bene, mancavano Pogacar e Vingegaard, ma voglio pensare che non siano troppo lontani…
In gruppo cosa si dice di Vingegaard?
Se ne parla, si ragiona di come potrebbe arrivare al Tour. Ce ne sono tanti che dicono che arriverà al 100 per cento, altri secondo cui salterà nel primo giorno di montagna. Io penso che lui arriverà a un livello top, non lo so se al 100 per cento, però arriverà bene. Magari non sarà il miglior Vingegaard di sempre, ma sarà forte abbastanza per dare battaglia.
Grande lavoro di Buitrago e la Bahrain Victorious nella crono, ma al Delfinato Evenepoel è stato inavvicinabileLe salite francesi hanno mostrato un Buitrago in crescita e sempre nella scia dei miglioriGrande lavoro di Buitrago e la Bahrain Victorious nella crono, ma al Delfinato Evenepoel è stato inavvicinabileLe salite francesi hanno mostrato un Buitrago in crescita e sempre nella scia dei migliori
Hai parlato della crono, è qualcosa su cui avete lavorato tanto?
La squadra si impegna tanto a migliorare nella crono. Si lavora tanto con Alé per l’abbigliamento e con Rudy Project per i caschi. Con Merida e Vision per bici e ruote. Quest’anno tutti gli sponsor hanno fatto tanti investimenti per migliorare e abbiamo lavorato davvero bene. C’è stato davvero un salto di qualità. Penso che si possa ancora crescere, però fino ad ora sono contento per il miglioramento che abbiamo avuto.
Però Santiago resta un scalatore…
Sì, la natura è la natura, anche il cuore è il cuore. Santiago Buitrago non sarà mai un cronoman, sono e resto uno scalatore. Quello mi piace tanto di più.
Il ginocchio sta bene?
Adesso sì, in Colombia ho lavorato tanto con il fisioterapista e sono venuto in Europa guarito al 100 per cento.
Foto dalla Colombia su Instagram: una “arepita” (una focaccia) e poi si riparte (foto Pipe Cano)Foto dalla Colombia su Instagram: una “arepita” (una focaccia) e poi si riparte (foto Pipe Cano)
Come sei stato accolto in Colombia, sapendo che farai il Tour?
Ogni volta che torno a casa, vedo più gente che va in bici. Ci sono più tifosi, ma il momento è un po’ complicato. Il colombiano si era abituato a vedere Egan Bernal vincere il Tour, Nairo Quintana lottare per il podio, Uran e Chaves. Adesso non siamo a quei livelli, però abbiamo un numero più alto di corridori che fanno dei bei risultati, mentre prima erano solo due o tre. Siamo tanti e facciamo bene. A me è piaciuto come ha corso Rubio al Giro d’Italia e anche lo stesso Dani Martinez. Penso che piano piano ci stiamo riprendendo la strada. Ed è bello quando sei in Colombia, con tutti questi tifosi che urlano il tuo nome.
Qual è il primo Tour di cui hai memoria?
Forse quello del 2009, vinto da Contador. E’ il primo che ho visto in televisione, avevo 10 anni. Contador per me è stato per tanti anni un modello, per un bambino che sogna di diventare uno scalatore e di vincere il Tour, capisci? Perciò ci vediamo a Firenze fra un paio di settimane. Ormai il Tour arriva per davvero…
A Saint Amand Montrond Philipsen mette tutti in fila. Si toglie di dosso un peso che stava diventando ogni giorno più pesante. E mette nel mirino la maglia verde
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«Non vedo l’ora di tornare ad Andorra per sentire quella sensazione di poter pedalare in sicurezza». La frase, affatto banale, è da attribuire ad Andrea Pasqualon, che ormai da diverso tempo vive nel Principato pirenaico.
E’ lui che da esperto qual è ci presenta l’Andorra ciclistica. E come vedremo il discorso è ampio. Molto ampio. Strade ottime, temperature fresche, sport nel Dna…
Andrea Pasqualon ha scelto Andorra sia per una questione di quota che per le sue strade a misura di ciclistaAndrea Pasqualon ha scelto Andorra sia per una questione di quota che per le sue strade a misura di ciclista
Andrea, come reputi Andorra da un punto di vista ciclistico?
Andorra è un posto molto tranquillo per vivere in generale e ottimo per noi ciclisti. C’è una sicurezza molto elevata per noi corridori, per noi appassionati di bici. Ma direi per tutti gli sportivi amanti della natura e delle attività all’aperto. Per quanto riguarda il ciclismo posso dire che ci sono molte strade e tutte tenute bene. Ma soprattutto ci sono strade con una corsia ciclabile sulla destra, una banchina larga che ti lascia quel metro e mezzo, anche due. E non parlo di strade secondarie. Parlo di passi importanti come il Port d’Envalira per esempio: praticamente 20 chilometri in cui c’è la possibilità di stare nella corsia riservata alle bici.
Una corsia preferenziale per i ciclisti in ogni senso!
Questo è un gran vantaggio per noi pro’, perché alla fine c’è la possibilità di andare accoppiati stando in sicurezza e senza intralciare il traffico. La cultura iberica tutela il ciclista a tutti gli effetti. A volte è il ciclista che indica all’automobilista che può superarlo, altrimenti se ne starebbe dietro anche per 3-4 minuti senza nessun problema. Questo dipende anche dal fatto che la qualità della vita generale ad Andorra è buona, c’è meno stress… Per me questo aspetto si ripercuote tantissimo, in senso positivo, sulla sicurezza stradale.
Le strade sono ben tenute e molto spesso hanno una larga banchina che aumenta la sicurezza dei ciclisti. Qui la strada da La SeuLe strade sono ben tenute e molto spesso hanno una larga banchina che aumenta la sicurezza dei ciclisti. Qui la strada da La Seu
Andorra, Pirenei. A che quote siamo?
ll villaggio principale, Andorra la Vella, sorge intorno ai 1.000 metri. Ma poi ci sono varie zone più elevate, tra cui Ordino Arcalís, che è la località più nota per i ciclisti e che sorge a 1.940 metri. I pro’ che vivono qui scelgono appartamenti più in quota. Io ad esempio vivo a 2.000 metri.
Stando in montagna è tutto salire e scendere? Oppure si trovano anche un po’ di tracciati pianeggianti?
Un po’ di pianura c’è. Andando verso la Spagna e quindi verso La Seu di Urgell, o anche verso il confine francese, si può fare un anello di circa 120 chilometri, un percorso che noi chiamiamo il “giro delle tre Nazioni” perché si passano appunto tre Stati: il Principato di Andorra, la Francia e la Spagna. Come dicevo è abbastanza pianeggiante. Io lo sfrutto per utilizzare la bici da cronometro. E’ un altopiano che “balla” sul filo dei 1.000 metri. Per un qualsiasi ciclista c’è da divertirsi, perché c’è la possibilità non solo di fare tanta salita ma di fare anche pianura e determinati lavori.
Il Principato pirenaico offre molto in termini di sport. D’estate, trekking, bike (e motor) trial, mtb vanno per la maggioreIl Principato pirenaico offre molto in termini di sport. D’estate, trekking, bike (e motor) trial, mtb vanno per la maggiore
Quali sono invece le salite mitiche, quelle note per il Tour e per la Vuelta?
L’Envalira è stato spesso Souvenir Desgrange del Tour de France (il corrispondente della Cima Coppi al Giro d’Italia, ndr) con i suoi 2.408 metri di quota. Poi c’è la scalata stessa di Arcalís, diverse volte arrivo anche del Tour. Il Coll de la Gallina, altra salita tipica. E molte altre…
Quanto è grande il principato?
La diagonale massima è sui 50 chilometri, forse appena meno. Rispetto a Monaco o San Marino è un territorio ben più ampio. Si potrebbe restare anche dentro i confini e non ci si annoierebbe. Le strade interne sono ben tenute e ben collegate.
Ad Andorra anche la cartellonistica è pensata per i ciclistiAd Andorra anche la cartellonistica è pensata per i ciclisti
La cartellonistica stradale presenta le indicazioni su pendenze e chilometri progressivi come in molte zone del Trentino-Alto Adige?
Sì, assolutamente. E sono presenti su tutte le strade. Questi cartelli ti indicano quanto manca alla vetta. Il ciclista ad Andorra è ben considerato. E anche a terra ci sono scritte che indicano i pericoli, o cartelli che dicono: “strade frequentate da ciclisti”. Questo rispetto vale anche anche runners, biker… Ma in generale è il Principato stesso ad offrire molto in termini di sport e scuole sportive.
Andrea, vista questa attenzione verso il ciclismo, immaginiamo ci siano anche negozi di bici, dei punti di assistenza…
Certo, anche guide e accompagnatori. Io noto che stanno tanto puntando parecchio sui bimbi, anche a scuola, nell’istruzione. Ci sono diversi giorni della settimana in cui gente specializzata, a volte anche qualche ex pro’, presenzia queste giornate dedicate allo sport e insegna ai ragazzini la propria disciplina.
Solo tu, insieme alla famiglia o in compagnia di amici alla scoperta di una terra ricca e composta al 90 per cento di natura. Andorra è la meta ideale per le due ruote, con i suoi 21 passi di montagna, 80 laghi, centinaia di specie protette, sentieri magici, storie di tappe di Vuelta di Spagna e Tour de France. Il Principato è pronto ad accogliere gli esploratori in sella alle loro biciclette che vogliano immergersi in un vero e proprio paradiso per le biciclette e le avventure all’aria aperta.
Strade ideali per le bici da corsa Momenti di relax presso le strutture bike friendly Andorra è composta al 90% dalla natura, ideale per rilassarsi e distaccarsi dalla frenesia cittadinaStrade ideali per le bici da corsa Momenti di relax presso le strutture bike friendly Andorra è composta al 90% dalla natura, ideale per rilassarsi e distaccarsi dalla frenesia cittadina
Perché Andorra?
Andorra è tra le mete preferite dagli appassionati del pedale, essendo considerata una delle vere e proprie “mecche” di questo sport. Dispone di un’infrastruttura perfettamente adattata alla pratica del ciclismo. Si trova tutto ciò che si può desiderare per la bici, qualunque sia il periodo dell’anno che si sceglie.
Ciò che rende speciale il ciclismo questo Principato situato tra Spagna e Francia è tutto ciò che lo accompagna. Dalle strutture specializzate nelle due ruote agli alloggi, ma anche per i negozi principali sparsi nella capitale, Andorra la Vella, ma anche a Escaldes-Engordany, La Massana e Sant Julià de Lòria. Lì si troveranno i principali modelli e marchi internazionali di bici da strada e mountain bike e le ultime innovazioni in fatto di e-bike, oltre a ogni tipo di parti meccaniche, abbigliamento e altri accessori. Il tutto con servizio di officina meccanica e noleggio di biciclette di tutti i tipi e livelli. Un altro elemento distintivo che consolida Andorra come un vero territorio ciclistico sono i moltissimi percorsi accessibili a tutti, studiati per ciclisti di ogni livello, per forma fisica ed esperienza.
Su e giù per le montagne del PrincipatoSu e giù per le montagne del Principato
Dove andare su strada?
468 chilometri quadrati tutti da scoprire che offrono ai ciclisti su strada la possibilità di tracciare percorsi unici direttamente dalla porta del loro alloggio. La carta dei percorsi ciclabili del Principato aiuta in questo compito, con la descrizione dettagliata di oltre 20 itinerari di diversa durata e difficoltà. Uno dei tratti distintivi di Andorra come regione ciclistica sono le spettacolari salite verso i passi di montagna. Queste ascese hanno segnato diverse edizioni della Vuelta e del Tour, con arrivi di tappa che fanno parte della storia del ciclismo professionistico.
La Coma d’Arcalís occupa un posto di rilievo, come tappa finale del Tour negli anni 1997, 2009 e 2016. Non meno importanti sono il Coll de la Gallina, la Rabassa, la Collada de Beixalis, i Cortals d’Encamp e Colle d’Ordino. Ben conosciuti dagli appassionati, hanno preso parte o sono stati nelle tappe finali della Vuelta e del Tour, tra gli altri eventi ciclistici. Merita una menzione anche Port d’Envalira, il classico punto di riferimento per eccellenza del ciclismo su strada in Andorra. Un ulteriore vantaggio delle caratteristiche già menzionate è che Andorra offre un calendario annuale ricco di gare e sfide come La Purito e la Volta als Ports.
C’è la possibilità di noleggiare le e-bike e scoprire agevolmente il territorio Le MTB trovano il loro habitat naturaleC’è la possibilità di noleggiare le e-bike e scoprire agevolmente il territorio Le MTB trovano il loro habitat naturale
Dove andare offroad?
E’ facile immaginare che Andorra sia l’habitat naturale per la mountain bike. Le località di Grandvalira e Pal Arinsal offrono numerosi percorsi per gli appassionati di mountain bike. Il Camí del Gall è un ottimo esempio di circuito o percorso di montagna. Oppure il Camí de les Pardines o la Rabassa, che nella sua versione MTB offre uno spettacolo per l’offroad.
Per chiunque vada alla ricerca di un percorso più tecnico, il tracciato della Coppa del Mondo XCWC nel Bike Park de Pal Arinsal è perfetto. Nel Bike Park si trovano le principali piste da sci adatte alla pratica della mountain bike in estate. Esso comprende 30 circuiti a diversi livelli: 21 di discesa, 2 di enduro, 1 per four-cross e 1 per e-bike. Per chi vuole mettere alla prova la propria tecnica nell’area di allenamento o sul Pump Track c’è pane per i suoi denti.
Da aggiungere anche che a disposizione dei cicloturisti c’è un bike park naturale: il Naturland Bike Center, mentre Grandvalira offre più di 90 chilometri di sentieri per MTB, suddivisi in 12 circuiti. Infine i ciclisti più giovani possono cimentarsi nel downhill con il Kids Bike Park.
Una meta adatta anche alle famiglie Esperienze a misura anche dei più piccoliUna meta adatta anche alle famiglie Esperienze a misura anche dei più piccoli
Percorsi guidati
Se si preferisce concentrarsi sul divertimento pedalando e non preoccupandosi della logistica, si possono prenotare esperienze organizzate da guide ciclistiche esperte che conoscono Andorra come le loro tasche. Leaziende di turismo attivo offrono un’ampia gamma di servizi che vanno da un pedalare rilassante a itinerari organizzati attraverso l’intero Principato. Offrono anche la possibilità di noleggiare l’attrezzatura, con l’ampia scelta a disposizione, dalle bici base a quelle ad alte prestazioni e alle e-bike. Prendere nota di: Andorra 3000, piste ciclabili di Andorra, Esports Elit, Isard Wildland, MTB Aventures, Naturland, Bike Park de Pal Arinsal e VSL Sport.
Una miscela perfetta di turismo e sport. Si tratta di itinerari disseminati tra Sant Julià de Lòria, con le tappe Rabassa, Coll de la Gallina e Peguera. Oppure a La Massana, c’è il Port del Cabús, sormontato da una maestosa scultura di Dennis Oppenheim. Oppure Canillo che vanta alcuni dei passi di montagna più leggendari, come ad esempio come il Coll d’Ordino. Questa è solo una breve selezione di percorsi e ce ne sono molti altro nei dintorni di Andorra la Vella, Encamp, e molti altri. Ogni curva su queste strade offre viste panoramiche sulle vette e valli, con paesi e piccole città a perdita d’occhio.
La gastronomia è un altro aspetto che arricchisce la propria vacanza nel PrincipatoIl Museo offre esperienze immersive e virtualiLa gastronomia è un altro aspetto che arricchisce la propria vacanza nel PrincipatoIl Museo offre esperienze immersive e virtuali
Cibo e cultura
Pedalare su e giù per il territorio di Andorra è un piacere impagabile che però necessita di soste per ricaricare le “pile”. Sotto questo punto di vista il Principato è pronto per deliziare il palato con i prodottitipici. Si potranno degustare carni pregiate, salumi, piante aromatiche e officinali erbe aromatiche, marmellate e miele biologici, formaggi. E ancora, pasta, caffè, cioccolato, Nectum (sciroppo naturale a base di pigne), Ratassia de la Carmeta (un liquore fatto in casa a base di erbe medicinali e noci) e l’idromele Asgard, una bevanda ancestrale venerata dagli antichi culture.
Oltre a questo è bene ritagliarsi momenti per conoscere la cultura locale, vedere i siti UNESCO e visitare musei come il Bici Lab Andorra: un centro che spiega l’importanza del ciclismo come parte della sostenibilità mobile e uno stile di vita sano, oltre a trainare l’economia locale. Un interessante centro interattivo che riporta indietro nel tempo, con le biciclettea fare da guida, ma che consente anche di provare cosa vuol dire pedalare su un passo di montagna o sfrecciare in discesa utilizzando la modalità virtuale la realtà.
E’ inoltre presente una delle collezioni di biciclette classiche più caratteristiche al mondo, combinato con la tecnologia all’avanguardia per generare un risultato unico. Uno spazio di 1.700 metri quadrati nel centro di Andorra la Vella, dove si trova il museo mostre temporanee e permanenti che mettono la bicicletta al centro di una storia in evoluzione per analizzare il mondo e la cultura del ciclismo da diverse angolazioni.
La Ciclistica Rostese è tornata da pochissimi giorni dalla trasferta in Spagna, dove ha corso la Vuelta Hispania. In Italia c’è il Giro Next Gen, in Francia il Tour de l’Avenired ora anche in terra iberica c’è una corsa a tappe dedicata agli under 23. La Vuelta Hispania è al suo secondo anno di vita, è giovane come gara, ma molto apprezzata e in grande crescita. I ragazzi della Rostese sono finiti a correrla grazie alla lungimiranza dei propri tecnici (foto apertura El Peloton).
«In Spagna, ad agosto, avevamo già corso la Vuelta a Zamora e la Vuelta a la Comunidad de Madrid – racconta Beppe Damilano, diesse del team – ed erano state esperienze molto belle. Proprio durante una di queste corse è nato l’invito per la Vuelta Hispania, così abbiamo colto l’occasione al volo. E’ una corsa a tappe meno famosa di quelle presenti in altri Paesi ma non si scherza».
«L’organizzazione ci ha trovato gli hotel mentre noi ci siamo arrangiati per il viaggio. I ragazzi in aereo e noi del team con i mezzi. 1.600 chilometri in macchina sono davvero tanti, fortuna che in Spagna e Francia il traffico autostradale non è come da noi. Anche se hanno una passione per le foto (dice ridendo in riferimento agli autovelox, ndr) speriamo che non ce ne abbiano fatte».
La Vuelta Hispania, la gara U23 iberica, è alla sua seconda edizioneLa Ciclistica Rostese è stata invitata grazie alla partecipazione ad altre corse a tappe in SpagnaLa Vuelta Hispania, la gara U23 iberica, è alla sua seconda edizioneLa Ciclistica Rostese è stata invitata grazie alla partecipazione ad altre corse a tappe in Spagna
Corse a tappe
In Spagna di corse a tappe ce ne sono tantissime, il conto è davvero elevato, e se questo si paragona con quello delle gare a tappe italiane diventa tutto più estremizzato.
«Da questo punto di vista – dice Damilano – sono davvero tanto organizzati, in Spagna ci sono tre o quattro gare a tappe ogni mese. E le squadre che partecipano sono spesse volte diverse. A Zamora, per esempio, c’erano tanti team continental con corridori elite. Mentre a Madrid la gara era dedicata agli under 23, così come alla Vuelta Hispania».
Alla Vuelta Hispania – riprende – i partecipanti non erano tantissimi: 109, considerando che due squadre, una inglese e una americana, non sono partite. Il numero di corridori sarebbe stato 120, il giusto a loro modo di vedere. Si tratta di una corsa privata, nel 2024 probabilmente entrerà a far parte dell’organizzazione anche la Federazione spagnola. Frequentare queste corse fa bene alla nostra squadra, considerato che ho conosciuto un esponente della Vuelta Portogallo U23 e abbiamo parlato di un invito per il prossimo anno».
Durante le cinque tappe c’è stato poco spazio per la pianura (foto El Miron de Soria)La strada, invece, saliva spesso anche con pendenze importantiDurante le cinque tappe c’è stato poco spazio per la pianura (foto El Miron de Soria)La strada, invece, saliva spesso anche con pendenze importanti
Cinque tappe e tanto vento
La Vuelta Hispania conta cinque tappe, di cui una è una cronometro a squadre. Un numero ridotto di prove rispetto a Giro Next Gen o Avenir, ma anche da queste parti la strada si fa rispettare.
«L’unica tappa piatta – racconta Damilano – doveva essere l’ultima e invece sono venuti fuori 1.500 metri di dislivello con un vento fortissimo in ogni tratto. Doveva essere la frazione più corta, con soli 109 chilometri, ed è uscita comunque durissima. In Spagna poi hanno questa passione per le salite, sono ovunque e molte non le segnalano nemmeno nell’altimetria, ma si sentono. Durante la prova della crono a squadre vedevo che i miei ragazzi facevano 40 di media in un rettilineo e ho pensato: “Se andiamo così prendiamo tanti minuti”. Invece una volta fatta la riunione mi hanno spiegato che la strada tirava all’insù ed il vento era costantemente frontale. Infatti poi una volta in corsa siamo arrivati quinti».
Tanti arrivi in cima a brevi strappi, nessuna volata di gruppo (foto esCuellar)Tanti arrivi in cima a brevi strappi, nessuna volata di gruppo (foto esCuellar)
Poca pianura
La Vuelta Hispania ha attraversato la penisola iberica partendo da Andorra e spostandosi verso il centro. Poi ha virato verso nord in direzione di Santander, per terminare nella parte centrale: tra Valladolid e Madrid.
«Le tappe erano davvero impegnative – spiega ancora – nella terza frazione c’erano in 120 chilometri tre salite. Una breve di 5 chilometri, nemmeno segnata sull’altimetria, poi una seconda da 12 chilometri e dopo una breve discesa la scalata finale fino a Alto Campoo a quota 2000 metri: 19 chilometri. In generale anche nella zona centrale del Paese di pianura non ne abbiamo vista molta. Sono tutti continui sali e scendi che tolgono il fiato, con arrivi in cima a strappi o brevi salite».
Aimonetto è stato il migliore dei suoi con un quarto posto come miglior piazzamento di tappa (foto Inma Conesa)Aimonetto è stato il migliore dei suoi con un quarto posto come miglior piazzamento di tappa (foto Inma Conesa)
Buon livello
I nomi delle squadre non sono quelli che circolano nelle principali corse internazionali, ma il livello è alto. Proporzionato soprattutto al fatto che la Rostese ha molti ragazzi giovani, alcuni addirittura di primo anno.
«Si correva in sei atleti per squadra, uno in più rispetto al Giro Next Gen – racconta Damilano – non ci sono molte squadre internazionali, ma il livello in Spagna è alto. Di stranieri eravamo: la Uno-X Development, un team portoghese, uno francese e noi. Per i nostri ragazzi è stata una gran bella esperienza e si sono divertiti molto, imparando qualcosa. Non sarà stato il livello più alto che si poteva incontrare, ma per una squadra under 23 come la nostra è importante fare esperienze e fare in modo che i ragazzi crescano.
«Mi piacerebbe tornare qui a farli correre e allenare – conclude Damilano – ho visto i prezzi e fare la preparazione invernale in Spagna non è proibitivo. Poi a febbraio da quelle parti c’è una corsa a tappe di cinque giorni che si può sfruttare come rifinitura. Insomma, il materiale per divertirsi c’è eccome».
Lunedì (ieri), giorno di viaggio. Alberto Bettiol è in auto di ritorno da Andorra, dove ha partecipato assieme a Carapaz all’ultimo ritiro della Ef Education-Easypost prima del Tour. La strada come sottofondo per raccontare come sia passato il tempo fra il Giro d’Italia e la prossima sfida francese. Dal suo ragionare toscano e schietto tira fuori a volte osservazioni di una lucidità impressionante e in altre sembra perdersi lui per primo.
Al Giro ci sei arrivato dopo 40 giorni senza corse e ne sei uscito forte.
Sono andato con l’idea di far fatica, perché purtroppo non mi sono preparato nel migliore dei modi. Invece nella seconda e nella terza settimana mi sono ritagliato i miei spazi. Purtroppo ho saltato la prima parte di stagione e dovevo correre per arrivare al Tour nel migliore dei modi, però volevo cogliere anche l’opportunità del Giro d’Italia per fare bene. Non mi aspettavo di arrivare così vicino a vincere. E a quel punto, quando ci arrivi così vicino e non vinci, poi ti girano le scatole.
Bettiol è arrivato al Giro dopo 40 giorni senza correre, ma nella seconda e terza settimana ha trovato la gambaBettiol è arrivato al Giro dopo 40 giorni senza correre, ma nella seconda e terza settimana ha trovato la gamba
Cosa hai fatto nelle settimane successive?
Dopo il Giro sono tornato a casa due giorni, a Lugano, perché Greta doveva lavorare, poi il giovedì siamo andati a Livigno, a Trepalle. E’ stato un mix fra recupero mentale e fisico e allenamento. Poi però mi ha chiamato la squadra. Charlie (Wegelius, diesse del team americano, ndr) mi ha chiesto venire a questo ritiro, che non era in previsione per me, avendo fatto il Giro e dovendo poi andare al Tour. L’obiettivo era di stare tranquillo a Livigno, ma era giusto partecipare. Siamo andati tutti noi del gruppo Tour assieme a Carapaz. Ho preso la macchina e sono partito.
Livigno-Andorra, quasi 1.300 chilometri alla guida…
C’ero già stato l’anno scorso e per il tipo di viaggio, mi veniva meglio guidare. Sono circa 8 ore e l’ho voluto fare, perché comunque Richard, che sarà il nostro capitano, è un bravo ragazzo e un campione. Andiamo al Tour con delle buone prospettive, quindi era giusto dare anche il mio supporto, per quanto piccolo, un segnale. Ci siamo allenati molto bene in questa settimana e mezzo…
Si parla tanto dei 30 giorni fra Giro e Tour, se correre oppure no…
Fra una settimana esatta partiamo per la Francia, questo tempo mi è volato. Il fatto di correre o meno è una scelta abbastanza personale. Mettetevi nei miei panni, dopo il Giro praticamente ho ricominciato un altro Giro. Questo ciclismo va fatto così, altrimenti è meglio non farlo.
In questo ciclismo veloce, spiega Bettiol, è difficile venire fuori bene come Nibali dopo i 30 anniIn questo ciclismo veloce, spiega Bettiol, è difficile venire fuori bene come Nibali dopo i 30 anni
Così, come?
Ti devi completamente annullare e c’è poco tempo per fare altro. Devi dedicarti completamente a questa disciplina. Devi costruirti intorno un ambiente che te lo permette e che ti lasci stare tranquillo. Prima era diverso, il gruppo era come una famiglia. C’era più dialogo, più rispetto, si prendevano le decisioni insieme. Invece ora ci sono mille cose cui pensare, c’è anche più stress.
Perché?
Perché semplicemente ci sono più corridori di quando correva, per esempio Andrea Tafi (padre della sua compagna Greta, ndr), ma anche di quando correva la generazione successiva alla sua, quindi quella di Bartoli e Bettini. Ci sono più corridori, però sempre lo stesso numero di squadre. Ci sono sempre più giovani e giovanissimi che bussano alla porta. E una squadra ci pensa due volte prima di far rinnovare per esempio il contratto a un trentunenne. Io sono a posto fino al 2024, il tema mi riguarderà dal prossimo anno. Nibali ha dichiarato di aver avuto gli anni migliori dopo i trenta, adesso non è più così.
Come ci si difende?
Ho due gambe e due braccia e come tutti, sono umano e mi rendo conto che ho bisogno di stare un po’ a casa tranquillo per ricaricarmi e dare poi il meglio di me al Tour de France. Sono già due o tre anni che non faccio il campionato italiano, senza il ritiro di Andorra sarei andato. Sono il primo a esserne dispiaciuto, anche perché quest’anno sarebbe adatto a me e io sto andando discretamente, però ho preferito così.
Bettiol è professionista dal 2014. Eccolo con Marangoni ai tricolori di quell’anno vinti da Nibali su FormoloBettiol è pro’ dal 2014. Eccolo con Marangoni ai tricolori vinti da Nibali su Formolo
A ottobre compirai trent’anni, pensi davvero che cambierà qualcosa?
Come si diceva prima, a trent’anni si è abbastanza… vecchiotti. Mi sento che sono meno gli anni che ho davanti rispetto a quelli che ho passato e questa è una cosa nuova e innegabile, non credo di poter correre per altri 10 anni. Quindi ci si rammarica ancora di più quando si perdono delle occasioni. Ho il senso del tempo che sta per finire e ogni lasciata è persa, mentre prima non ci pensavo, non lo mettevo in conto. Insomma, pensavo di essere eterno. Pensavo che questo ciclismo fosse tutta la mia vita, invece si cresce, si diventa grandi, si ragiona. E adesso mi arrabbio con me stesso quando manco un’occasione.
A proposito di occasioni, l’anno scorso hai lasciato il Tour con il secondo posto di Mende. Tutto il giorno in fuga tirando per altri, invece eri tu il più forte…
Quella è stata una combinazione di fattori. Non mi aspettavo di andare così forte nel finale. Avevo anche un problema al ginocchio che alla fine è anche passato. E’ andata così. L’anno scorso era un Tour improntato sulla caccia alle tappe, cercavamo di fare punti per il ranking WorldTour. Quest’anno sarà un po’ diverso, almeno in partenza. Andiamo in Francia con l’obiettivo di supportare al 1.000 per mille Richard Carapaz e il discorso delle tappe verrà dopo, qualora lui non ci desse garanzie in classifica.
Quindi tutti allineati e coperti?
La priorità è questa, l’hanno detto da subito. Magnus Cort Nielsen vorrebbe vincere una tappa al Tour e provare a fare tripletta alla Vuelta, ma hanno detto anche a lui che quest’anno si lavora per la classifica. Se però mi daranno carta bianca per un giorno, cercherò come sempre di farmi trovare pronto.
E’ il 16 luglio 2022, 14ª tappa del Tour: a Mende il secondo posto che sa di beffa alle spalle di MatthewsE’ il 16 luglio 2022, 14ª tappa del Tour: a Mende il secondo posto beffardo alle spalle di Matthews
C’è entusiasmo anche nel partire sapendo di dover tirare, con le possibilità individuali così ridotte?
Mi entusiasmo tanto quando c’è da fare il Tour de France, perché ho già visto iI podio di Parigi con Uran nel 2017. Mi emoziono quando un mio compagno vince, è come se avessi vinto io e questo forse è anche un mio limite. Sono molto altruista e a me questa cosa di lottare per la vittoria del Tour o comunque per un podio mi gasa tanto.
Si può dire, parlando di te, che il Tour diventa poi un bel lancio sul mondiale?
Avevo degli obiettivi chiari quest’anno. Uno era la campagna del Nord, ma purtroppo è saltata perché mi sono ammalato pesantemente. A quel punto è venuto fuori il Giro, ma il Tour è rimasto perché è un obiettivo e anche l’avvicinamento migliore per il mondiale. Ne abbiamo sempre parlato con Daniele (Bennati, ndr), lui ovviamente è a conoscenza di questo ed è molto felice.