La caduta di ieri in allenamento davvero non ci volva. Alberto Dainese aspettava le gare di Murcia e Almeria per riallacciare il filo col suo treno e la volata, invece sarà costretto a rinunciare. Il colpo al volto e alla mandibola, pur in assenza di fratture, lo costringono a uno stop che rallenterà certamente la sua primavera e speriamo non complichi troppo il suo avvicinamento al Giro d’Italia. Abbiamo fatto il punto con il tecnico britannico che lo ha voluto alla Tudor Pro Cycling, anche cercando di ricostruire il perché della scelta. Lui si chiama Kurt Bergin-Taylor, è britannico e sta per compiere 34 anni. Nell’organigramma della squadra non è messo fra gli allenatori, bensì fra i manager, con la qualifica di Head of Innovation (la foto Tudor Pro Cyling in apertura lo ritrae sullo scooter accanto a Dainese e il suo gruppo).
Perché a un certo punto hai cercato Dainese?
Ho avuto modo di lavorare con lui per un anno alla DSM, quando ha vinto la prima tappa al Giro. Ho visto il suo potenziale come velocista, ma anche come uomo. E’ un ragazzo onesto. Quando lavori con Alberto, vedi che è una persona molto positiva con cui stare ed è davvero un bel personaggio e un grande lavoratore. Quando abbiamo iniziato a valutare chi inserire, è stato chiaro che ci servisse un secondo sprinter. Essendo un team appena nato, sapevamo che avremmo dovuto sfruttare le conoscenze personali. Non volevamo cambiare la nostra filosofia di considerare cioè l’aspetto umano accanto a quello sportivo. Qualcosa in cui sapevo che Alberto si sarebbe trovato bene. Sono certo che avesse anche altre possibilità, ma alla fine si è fidato di me, di quello che ha visto nella squadra e di Fabian. E so che adesso è super orgoglioso di vestire la maglia Tudor e di trovarsi in una squadra in cui può crescere ancora tanto.
Di certo è contento di poter arrivare al Giro con la giusta programmazione…
Abbiamo una lunga lista di corridori per il Giro e ovviamente Alberto ne fa parte, poi bisognerà valutare tutta una serie di fattori, dalla condizione alla salute. Rispetto alla squadra in cui si trovava prima, è chiaro che stiamo facendo una programmazione diversa. Sin dall’inizio abbiamo guardato alla costruzione della sua periodizzazione, dei ritiri in quota e di tutto quello che serve. Per la squadra l’obiettivo numero uno dell’anno è quello di fare bene nel primo grande Giro.
Pensi che sia al livello dei velocisti più forti?
Non lo avremmo preso se non pensassimo che potrebbe essere uno dei migliori. Alberto è molto veloce. Ha una potenza elevata. Ed è molto aerodinamico. Penso che finora non sia stato in grado di mostrare il suo potenziale, perché non ha avuto l’opportunità di sprintare. La possibilità di ritrovarsi con la linea di fronte senza essere intrappolato e restare chiuso. Questo è esattamente quello che vogliamo fare in Tudor, consentire ad Alberto di fare le sue volate. Non si può giudicare un velocista se non ha l’opportunità di fare la volata con la strada libera davanti a sé. La prima necessità è avere un treno per lui – conclude Kurt – che lo protegga e gli dia l’opportunità di sprintare. Da lì costruisci fiducia e la sintonia con i compagni e le capacità migliorano.
Una delle sfide più grandi per i velocisti è trovare il giusto equilibrio tra la salita e la volata. Qual è la ricetta di Kurt?
Penso che questo sia il vero obiettivo dei velocisti e una delle sfide che entusiasma di più. Negli ultimi anni mi sono dedicato tanto al lavoro con gli sprinter e al tentativo di comprendere veramente questa esigenza. E’ davvero complicato. La prima cosa che faccio di solito è parlare con loro, perché gli atleti sanno valutare se stessi. Quando mi è capitato di chiedergli se siano in forma, qualcuno ha risposto: «Sto bene, quando vado in salita mi sembra di non fare fatica». E allora la risposta classica che gli do è chiedergli se abbiano per questo vinto qualche corsa.
A cosa serve a un velocista andare forte in salita?
Appunto. Quello su cui viene valutato un velocista è quanto sia veloce alla fine di un Giro. Per cui credo che per i velocisti sia necessario un livello aerobico minimo. Sono elite, atleti di resistenza, devono fare 21 tappe e superare le montagne: sicuramente la fatica fa parte del corredo. Però in realtà la cosa su cui dovremmo giudicarli è quale wattaggio sappiano ancora esprimere in relazione alla loro resistenza, perché anche questo è molto importante. Non ha senso erogare 2.000 watt se comprometti la tua resistenza. E non ha senso avere tanta resistenza se non esprimi la potenza. E’ sicuramente un equilibrio costante, che cambia nel corso della carriera.
Ad esempio?
Ricordo che Alberto da giovane era molto esplosivo, ma non aveva il livello aerobico per andare alle gare più grandi. Perciò nei suoi primi anni di professionismo ha dovuto dare priorità all’aspetto della resistenza, sacrificando un po’ il suo sprint. Ora ha un aspetto aerobico molto migliore rispetto a qualche anno fa, avendo fatto 4 grandi Giri e avendo fatto le 1.000 ore all’anno per quattro o cinque anni. Ora il suo livello aerobico è sufficiente e abbastanza buono da non dovergli dare la priorità. Così possiamo concentrarci maggiormente sulla vera essenza di renderlo il velocista più veloce possibile.
Per cui è cambiato qualcosa nel suo allenamento durante l’inverno?
Sì, ci siamo concentrati maggiormente sul ripristinare la potenza massima. Come abbiamo già detto, Alberto è sempre stato naturalmente piuttosto esplosivo. Tuttavia negli ultimi anni, concentrandoci sul costruire quel lato aerobico, ci sono stati alcuni cambiamenti. Quest’anno invece abbiamo cercato di migliorare l’esplosività massima e le capacità di sprint, sia sulla bici sia in palestra. Abbiamo davvero spinto molto per migliorare la relazione tra forza e velocità, in modo da arrivare a produrre forze più elevate alle alte velocità necessarie per lo sprint.
Cosa gli serve per essere vincente tutto l’anno?
Penso che questo sia davvero un buon punto e sia legato alla coerenza con la squadra che lo circonda. Penso che in passato questa per lui sia stata una delle difficoltà maggiori, non avendo mai avuto un treno dedicato. Con noi il programma e tutto ciò che riguarda Alberto è davvero chiaro. Abbiamo individuato un gruppo di cinque corridori, in modo che in quasi tutte le gare almeno tre di loro siano con lui. Deve essere chiaro che lo supportiamo con una squadra costruita in base al programma di gara. Quindi avrà più opportunità di fare sprint nelle gare a lui più adatte.
Ha già ottenuto un podio, ma ora questa caduta cosa provocherà?
Lo sprint è davvero un fatto di fiducia e siamo davvero entusiasti di aver iniziato a costruirla. Finora avevamo avuto due opportunità e non siamo ancora stati in grado di realizzarlo. Nella prima gara abbiamo fatto un buon lavoro, ma non perfetto. Nella seconda, ovviamente, abbiamo lottato per la posizione e non abbiamo avuto la possibilità di fare uno sprint. Ora si dovranno valutare i tempi di recupero e poi potremo dire qualcosa. Ovviamente un incidente non è mai l’ideale, ma è sempre uno dei pericoli/realtà nel ciclismo. Siamo fiduciosi che con il supporto della squadra Alberto tornerà più forte per le prossime gare.
Prima di finire, chi è Kurt Bergin Taylor?
Ho un background accademico. Ho conseguito un Master e un dottorato di ricerca in Fisiologia dell’Esercizio Fisico presso l’Università di Loughborough. Mentre studiavo, lavoravo nel velodromo, osservando l’interazione tra il corridore, la sua attrezzatura e la parte scientifica del lavoro. Poi mi sono trasferito in Canada e ho lavorato per la federazione canadese della pista in vista di Tokyo 2020. Ci sono stato per tre anni ed è stata un’esperienza davvero positiva. Hanno partecipato alle Olimpiadi di Tokyo e hanno vinto una medaglia d’oro e una di bronzo e fatto un quarto posto, risultato enorme per una piccola Nazione su pista. E’ stata davvero una bella esperienza, poi però è successo il COVID e il mondo è cambiato.
E tu?
Io sono tornato in Europa e visto che volevo rimanere nel ciclismo, ho colto l’opportunità di lavorare per la DSM come allenatore. Ci sono stato per due anni e mi piaceva, ma non avevo alcuna interazione nello sviluppo dei materiali in relazione agli atleti. Questa possibilità mi è venuta grazie a Fabian. Conoscevo Sebastian Deckert come capo allenatore della DSM e lui mi ha parlato di questa opportunità. Così abbiamo parlato e mi hanno accolto a braccia aperte. Sento di avere un bel ruolo, posso incidere su molti aspetti come pure il reclutamento dei corridori. Non vedo l’ora che la squadra cresca fino a diventare, nel prossimo futuro, una delle più grandi del mondo.