Pare che Robbert De Groot, responsabile tecnico del Visma Lease a Bike Development Team abbia detto chiaramente che se i suoi voti a scuola non saranno sufficienti, Segatta potrà fare a meno di presentarsi al ritiro di dicembre. E così il trentino, che con i libri ha un rapporto faticoso e niente affatto amichevole, dovrà mettersi sotto anche a scuola, rinunciando al suo proposito di abbandonarla.
Un altro italiano finisce all’estero e questa volta senza che sia uno del giro della nazionale. Il reclutamento sta diventando sempre più capillare e profondo e va da sé che quando ti convocano in quel quartier generale così importante, serva tanta follia per dire di no. Segatta è trentino come Moser e un’intervista pubblicata ieri sul Corriere della Sera ha raccontato benissimo quale fosse la molla che in quegli anni spingeva i ragazzi a cercare altre strade. Da quello che diventava prete per non faticare in vigna, a Francesco che riusciva a soffrire sulla bicicletta perché abituato alla ben più dura fatica dei campi. Qual è oggi la molla che spinge i ragazzi a cercare la fortuna su una bici?
Francesco Moser, qui nel suo Maso Villa Warth, è passato dalla fatica dei campi a quella del ciclismoFrancesco Moser, qui nel suo Maso Villa Warth, è passato dalla fatica dei campi a quella del ciclismo
Tutto troppo facile
Ci sono i valori fisici pazzeschi, che fanno dire ai fisiologi che hai un futuro già scritto. C’è l’esuberanza. Ma quando il gioco diventa veramente duro e intorno hai soltanto ragazzi con valori fisici altrettanto pazzeschi, a cosa attingi se dietro non ci sono fame, rabbia, amore, cultura? Immaginare di lasciare la scuola per dedicarsi allo sport, sia pure con il supporto di doti atletiche non indifferenti, è tipico degli adolescenti che scansano gli impegni noiosi per dedicarsi a quelli più eccitanti. Eppure la chiave della maturazione sta anche nella capacità di gestire gli impegni meno stimolanti. Prima il dovere, poi il piacere.
Forse il problema di tanti ragazzi italiani che negli ultimi anni si sono affacciati al professionismo sta proprio nella base che manca, nelle motivazioni e nel fatto che paradossalmente sia diventato tutto troppo facile. Ti misurano il cuore e i polmoni, il trasporto d’ossigeno e la qualità muscolare e decidono che sei pronto. Se madre natura ti ha dato tanto, vai avanti e poi si vedrà. Se madre natura ti ha fatto normale, però magari hai il carattere di un leone, non ti guardano neppure.
Sin dal primo anno da U23, Pellizzari è passato alla VF Group, approdando poi nel WorldTour (foto Filippo Mazzullo)Sin dal primo anno da U23, Pellizzari è passato alla VF Group, approdando poi nel WorldTour (foto Filippo Mazzullo)
Le scelte e la fretta
Segatta ha accanto dei manager capaci di stilare il giusto elenco delle priorità. E pure la nuova squadra ha fatto capire che dell’istruzione non si possa fare a meno. Altri invece hanno rinunciato agli studi, puntando sul ciclismo senza considerare che un giorno saranno grandi e non avranno necessariamente messo da parte una fortuna. In qualche modo si sta tornando indietro a quando i ragazzi non andavano a scuola per aiutare le famiglie e vedevano nel ciclismo un modo più redditizio di farsi strada, rispetto ai mestieri più umili cui erano dediti.
Oggi la società è ovviamente diversa e pur essendoci tutti i presupposti per finire gli studi e poi dedicarsi allo sport, nel nome della fretta, dei consigli sbagliati e della paura che qualcuno prenda il tuo posto, ci sono ragazzi che mettono da parte il resto. In alcuni casi lo sport resta emancipazione rispetto a un quadro sociale difficile e in quel caso la scelta di investire sull’attività più redditizia resta ingiustificata, ma se non altro è più comprensibile.
Garofoli è stato uno dei primi a battere la via olandese, ma dopo un anno di vita all’estero, ha preferito tornare in ItaliaGarofoli è stato uno dei primi a battere la via olandese, ma dopo un anno di vita all’estero, ha preferito tornare in Italia
La contabilità da tenere
Tuttavia quale sarebbe l’alternativa al partire? Quali squadre italiane si erano accorte di Segatta, ad esempio, proponendogli di correre in Italia per il 2026? Quante hanno accolto la proposta di valutarlo? Nella stessa scuderia ci sono stati due casi precedenti di grandi talenti fatti passare per piccole squadre e che poi hanno ottenuto i risultati migliori. Uno è Bernal, passato con Savio. L’altro è Pellizzari, che prima di arrivare nel WorldTour ha fatto un importante… scalo tecnico con Reverberi.
Forse tra le valutazioni da fare dovrebbe essercene una sul quadro d’insieme, che tenga conto della maturità dell’atleta, per scongiurare il rischio che un domani torni indietro, e delle sue necessità di vita. Non tutti sono pronti per partire. E anche se nei fatti non si tratta di vivere all’estero, ma di restare a casa, studiare, allenarsi e raggiungere il team per le gare, quel che si perde è la familiarità con i compagni e la possibilità di allenarsi quotidianamente con loro. La tovaglia è corta. Nel frattempo sarà opportuno tenere la contabilità di quelli che partono e di quelli che tornano, affinché la loro esperienza possa guidare nelle scelte future.
PINEROLO – Il migliore degli italiani al Giro Next Gen è stato Filippo Turconi, a testimoniare i progressi visti fare al giovane della Vf Group-Bardiani CSF-Faizanè. Vestire la “maglia tricolore” alla corsa rosa under 23 è un simbolo che dona certezze a lui e alla sua squadra. Le qualità ci sono ed è ora di lavorarci su al fine di farle uscire. Se poi ci mettiamo che la posizione finale in classifica generale di Turconi è un ottimo quinto posto alle spalle di corridori forti e davanti a nomi altrettanto importanti, tutto prende maggiormente forma (in apertura foto La Presse).
In cima a Prato Nevoso, il secondo arrivo in salita del Giro Next Gen, ha trovato una sesta posizione solida e frutto di grande determinazione. Lui al momento si gode il tutto con la leggerezza dei suoi diciannove anni anche se è consapevole di cosa significano certi passaggi.
«Sono molto felice di portare a casa questa maglia tricolore – dice al margine della premiazione finale – alla fine ho provato anche a conquistare delle posizioni in classifica ma non sono riuscito. Volevo tentare di tornare sul podio (la mattina della settima tappa era terzo alle spalle di Tuckwell e Omrzel, maglia rosa finale, ndr) ma non ho rimpianti».
Filippo Turconi, quinto nella classifica finale di questo Giro Next Gen è stato anche il miglior italiano (foto La Presse)Filippo Turconi, quinto nella classifica finale di questo Giro Next Gen è stato anche il miglior italiano (foto La Presse)
Con quali obiettivi eri venuto a questo Giro Next Gen?
Non nascondo (dice con un sorriso appena accennato, ndr) che l’obiettivo all’inizio era quello di provare a entrare nei primi dieci. Avevo dei dubbi visto che non avevo mai provato a fare classifica e non sapevo come avrei reagito. Inoltre c’è da considerare che è stata una corsa dura, di altissimo livello.
Quanto è stato importante portare la maglia tricolore fino alla fine?
Tanto perché è un simbolo bello e importante visto che è riservata al miglior corridore italiano, ma alla fine l’idea era di spingere per trovare il miglior piazzamento in classifica. Diciamo che è arrivata di conseguenza al mio andare forte.
Per Turconi un Giro corso con costanza con quattro top 10 di tappa, miglior risultato il secondo posto a Gavi (photors.it)Per Turconi un Giro corso con costanza con quattro top 10 di tappa, miglior risultato il secondo posto a Gavi (photors.it)
E’ una stagione di conferme…
Sì, ho vinto la mia prima gara internazionale, è arrivata la convocazione in nazionale. Non me lo sarei mai aspettato e sono contentissimo per come sta andando. Le sensazioni sono buone, sono arrivato a non mettermi troppa pressione addosso visto che comunque non mi ero mai messo alla prova in corse a tappe.
Questa è la tua seconda esperienza al Giro Next Gen, cosa hai portato dallo scorso anno?
Tanta esperienza. Nel 2024 ero un primo anno e il mio compito era quello di dare supporto a compagni molto forti. Mentre quest’anno sono arrivato con intorno a me una bella squadra insieme a Scalco, Paletti, Conforti e Biagini. I primi due sono due terzi anno e sono anche molto forti in salita, quindi io arrivavo senza pressioni.
Turconi in questa stagione sta crescendo tanto sia fisicamente ma soprattutto mentalmente, un passaggio importante per il futuro Turconi in questa stagione sta crescendo tanto sia fisicamente ma soprattutto mentalmente, un passaggio importante per il futuro
Qual è il progresso più grande che senti di aver fatto?
Sono uno che si mette tante pressioni da solo e sto cercando di imparare a gestire meglio questo aspetto. Dal punto di vista fisico sono felice di aver avuto delle ottime conferme. Ogni giorno mi sentivo pieno di energie anche in un Giro Next Gen senza mai una giornata di riposo o di relax in gruppo.
Che tipo di pressioni ti mettevi?
Il giorno prima di una gara pensavo tutto il tempo a come si sarebbe svolta e ai vari scenari. Mentalmente diventava difficile perché comunque mi stancavo e non riuscivo a riposare bene. Ora invece sto provando a non pensare giorno per giorno.
Cioè?
Mi concentro sulla tappa dalla mattina a colazione fino alla sera sul pullman quando parliamo con i diesse, poi però una volta a casa o in hotel voglio staccare. Durante questi otto giorni i compagni e lo staff mi hanno dato una grande mano, abbiamo un bel gruppo con il quale è bello andare alle corse e passare del tempo insieme.
Alla fine ce l’ha fatta. Joao Almeida ha vinto il Tour de Suisse. Con tenacia, con costanza, come una formichina, il portoghese della UAE Emirates si è messo sotto dopo il pasticcio della tappa iniziale e, negli ultimi 10 chilometri contro il tempo della corsa elvetica, ha ribaltato la situazione.
Kevin Vauquelin però è stato un avversario fiero. Inaspettato, ma altrettanto tenace. Finché ha potuto, ha lottato e, diciamolo pure, ha anche fatto tremare Almeida… e non solo lui. «Alla fine sì, sono deluso, ma la UAE ha mezzi più potenti dei nostri», ha sentenziato il giovane francese.
Almeida in azione nella crono di Stockhutte, dove ha rifilato 24″ a Felix Gall e 1’10” ad Oscar OnleyAlmeida in azione nella crono di Stockhutte, dove ha rifilato 24″ a Felix Gall e 1’10” ad Oscar Onley
Non mollare mai
Chi invece è stato davvero uno squalo – e lui stesso ci aveva detto di essere venuto qui per vincere – è stato proprio Almeida. Ha iniziato la rimonta quasi senza pensarci, ma con l’intento di riscattarsi conquistando le tappe. E così eccolo: l’assolo dello Spluga, la volata di Santa Maria in Calanca e la vittoria di Emmetten prima dell’epilogo di ieri. Ogni giorno tra distacchi e abbuoni rosicchiava qualcosa al leader. Tanto da presentarsi con 33″ di ritardo da Vauquelin. Non male per come si era messa: 3’22” di ritardo dopo la prima frazione.
«E’ stata una lunga strada, nella quale un errore poteva costarci caro – racconta Almeida – Per fortuna non ne abbiamo fatti più dopo l’inizio e siamo riusciti ad arrivare fino in fondo. Ma anche quando ho perso tre minuti, non credo che avessimo sbagliato tanto. «La squadra è stata incredibile, abbiamo fatto un lavoro perfetto, abbiamo lottato per la vittoria, non ci siamo mai arresi, ci abbiamo sempre creduto. Alla fine è stata una vera lezione: non bisogna mai arrendersi. A volte le cose vanno male, niente è mai perfetto. Bisogna solo continuare a provare. Noi abbiamo continuato a farlo e ci siamo riusciti.
«E adesso? Mi godrò questa vittoria al massimo. E poi sarò pronto per il Tour de France e per supportare Tadej Pogacar. Spero che avremo altri successi».
Simone Pedrazzini è nel gruppo UAE dal 2014 (quando era ancora Lampre)Simone Pedrazzini è nel gruppo UAE dal 2014 (quando era ancora Lampre)
Pedrazzini racconta
Tra i fautori di questa bella rimonta c’è Simone Pedrazzini, il direttore sportivo della UAE Team Emirates in questo Tour de Suisse.
«L’abbiamo ripresa per i capelli – racconta Simone – Siamo partiti così, con quella tappa in cui abbiamo perso terreno. Può succedere. Il problema è che non eravamo sicuri di recuperare, il percorso non era particolarmente selettivo. Di arrivi con salite lunghe, esclusa la crono di oggi (ieri per chi legge, ndr), non ce n’erano. E invece Joao, un giorno qua e uno là, è riuscito a recuperare tutto».
Eppure Pedrazzini ammette che loro ci hanno sempre creduto, Almeida soprattutto. Ma rimontare oltre tre minuti e passa non era affatto scontato. Anche prima della cronoscalata la certezza non era assoluta.
«Sì, ci credevamo, ma non eravamo sicuri al 100 per cento. Vauquelin è un buon cronoman, basta vedere i suoi risultati. Ma si trattava di una cronoscalata e questo ci poteva favorire. Ipotizzavamo di potergli rifilare un minuto, alla fine è stato 1’40”».
Lo aveva detto Vauquelin prima della crono: voglio svenire, voglio dare tutto. Ha chiuso 4° a 1’40” da AlmeidaLo aveva detto Vauquelin prima della crono: voglio svenire, voglio dare tutto. Ha chiuso 4° a 1’40” da Almeida
Niente recon
L’approccio di Almeida alla crono è stato quantomeno insolito. In un ciclismo in cui si studia tutto, Pedrazzini racconta che il portoghese non ha fatto la ricognizione. E anche per il pacing si è scelta un’altra strada.
«E’ stata una mattina abbastanza tranquilla – dice il tecnico – Joao non ha voluto neanche vedere il percorso. Ha preferito riposare. I primi 4,6 chilometri li aveva già visti con l’arrivo di ieri. Per quanto riguarda il pacing e l’impostazione della crono, noi abbiamo David Herrero. E’ lui l’addetto che analizza tutto, che dà le indicazioni ai corridori anche sui materiali, che spiega il percorso…».
E proprio riguardo alla gestione dello sforzo e al passo sono curiose le parole di Almeida: «Non ho regolato bene il mio sforzo all’inizio e alla fine, non avevo più benzina per dare il massimo nell’ultimo chilometro ma è stato sufficiente. Ho fatto una salita davvero bella, mi sentivo davvero bene. In alcuni punti, ho pensato che il mio misuratore di potenza fosse mal calibrato, perché mostrava valori più alti del solito. Quindi sì, sono davvero super contento».
«Joao – riprende Pedrazzini – ci ha messo del suo. Il mix delle due cose, le indicazioni di Herrero e le sue gambe, ha portato alla crono che abbiamo visto. Sapete, nel ciclismo moderno non è più tanto il diesse che influisce sulla crono, ma altri. Il diesse gestisce la giornata, fa sì che tutto funzioni bene».
Il podio finale del Tour de Suisse 2025: 1° Joao Almeida, 2° Kevin Vauquelin e 3° Oscar OnleyIl podio finale del Tour de Suisse 2025: 1° Joao Almeida, 2° Kevin Vauquelin e 3° Oscar Onley
Quei due intermedi…
Una giornata ben organizzata parte anche da dettagli apparentemente banali: come il bus parcheggiato correttamente per esempio, viste le difficoltà logistiche, e tutto predisposto nel modo giusto. La riunione con Herrero è stata fondamentale, ma anche il supporto degli altri ragazzi della squadra.
«Un altro aspetto da non sottovalutare – continua Pedrazzini – è che una crono così, a fine giro, in pochi la fanno a tutta. Per noi era importante motivare tutti. Saper fare bene una crono è qualcosa che serve anche in futuro e devo dire che i ragazzi sono stati bravi nonostante il giorno prima avessero preso aria per 160 chilometri. E comunque averla fatta con impegno ha permesso che nei primi chilometri ci fossero piccole indicazioni utili per Joao, tipo una doppia curva, il ciglio del marciapiede più alto nei primi 700 metri che erano veloci. E questo è uno stimolo. Sanno che possono aiutare il capitano».
La UAE Emirates non ha lasciato nulla al caso. La corazzata ha predisposto tutto al meglio lungo il percorso.
«Per radio – conclude Pedrazzini – parlava Herrero. Come detto, è lui che fa i calcoli ed è giusto che fosse lui a dare le indicazioni. Indicazioni che servono a non arrivare in croce nei momenti topici. Almeida sapeva sempre i distacchi, non solo all’intermedio ufficiale. Avevamo organizzato per conto nostro altri due punti di cronometraggio: uno ai due chilometri e uno ai sette, oltre a quello dei 4,6 chilometri. Ecco, questo fa parte delle mansioni del diesse.
«Tornando ai distacchi, già dopo due chilometri – i più favorevoli a Vauquelin – Almeida aveva 11″ di vantaggio. Questo ha significato molto. Così come l’aver preso Alaphilippe… per carità, lui non è uno specialista, ma in una cronoscalata averlo a vista per oltre un chilometro è stato un riferimento in più. Anche per il morale».
PINEROLO – Jakob Omrzel si siede sul marciapiede, coperto dall’ombra di foglie verdi illuminate dal sole e aspetta. Aspetta ancora. Poi una voce gli dice che ha vinto il Giro Next Gen e scoppia in una festa che travolge tutti. Ilario Contessa, massaggiatore del Team Bahrain Victorious Development non trattiene le emozioni e lo abbraccia. Anzi, quasi lo stritola vista la differenza di corporatura tra i due. Gli addetti al podio fanno fatica ad aprire la strada tra le due ali di folla che si erano radunate intorno a Jakob Omrzel. Alessio Mattiussi arriva di corsa e lo sloveno si fionda tra le sue braccia (i due sono insieme nella foto di apertura). Quando si separano ci guarda e dice: «E’ merito di quest’uomo qui, è lui che ha progettato tutto».
Continuano a camminare verso il piazzale del podio, rovente come una lastra di ferro, mentre piano piano gli altri quattro ragazzi del devo team guidato da Roberto Bressan e Renzo Boscolo arrivano e parte la festa.
Jakob Omrzel vince il Giro Next Gen all’ultima tappa (foto La Presse)Jakob Omrzel vince il Giro Next Gen all’ultima tappa (foto La Presse)
I cinque moschettieri
Questa mattina, più o meno intorno alle 11, Alessio Mattiussi ci aveva detto di come la giornata fosse imprevedibile. Ieri a Prato Nevoso avevano un piano e la corsa è andata per un verso completamente opposto.
«Ieri sera abbiamo fatto mille ipotesi – ci dice il diesse Mattiussi mentre si lascia andare dopo la tensione di questi giorni – e stamattina a colazione altre mille. Roberto Bressan, Renzo Boscolo al telefono e io. Un continuo scambio di idee, dettagli, pareri. Alla fine sul camper prima della tappa ho detto loro di non lasciare andare una fuga troppo numerosa o di entrarci, il nome da mettere in appoggio era quello di Borgo. Così non è stato perché il margine con i fuggitivi è sempre rimasto al di sotto del minuto. Poi gli altri ragazzi sono stati bravi a tenere Omrzel fuori da ogni pericolo e a metterlo nelle prime posizioni sulla salita. E’ stato un accumularsi di tensione fino al termine della discesa, lì abbiamo capito di avercela fatta».
Dopo il traguardo qualche istante di attesa, qui il sorriso di Omrzel che ha appena realizzato di aver preso la maglia rosaDopo il traguardo qualche istante di attesa, qui il sorriso di Omrzel che ha appena realizzato di aver preso la maglia rosa
Nove mesi dopo
Jakob Omrzel arriva illuminato dal rosa della maglia di leader di questo Giro Next Gen e con un sorriso simpatico. Lo sloveno, che lo scorso anno da junior aveva stupito per le sue qualità, ora si consacra con la vittoria nella corsa a tappe più importante al suo primo anno nella categoria under 23. Il cammino non è stato semplice perché oltre alla fatica e agli allenamenti ci sono state le difficoltà dovute a un incidente gravissimo che ha visto protagonista lo stesso Omrzel al Giro della Lunigiana.
«Sono passati nove mesi difficili – racconta tornando serio per un attimo – nei quali mi sono trovato a ripartire da zero. Nella mia testa è passata anche la domanda se sarei mai tornato a essere quello che ero. Si è trattato di un momento complicato, ma non ho mai smesso di crederci. Quando ero in ospedale (è rimasto per un mese ricoverato a La Spezia, ndr) ho avuto la possibilità di essere curato sia fisicamente che mentalmente».
Sullo strappo di Pinerolo il vantaggio di Nordhagen e Omrzel era ancora risicato (foto La Presse)La tappa è andata al norvegese della Visma Lease a Bike (foto La Presse)Sullo strappo di Pinerolo il vantaggio di Nordhagen e Omrzel era ancora risicato (foto La Presse)La tappa è andata al norvegese della Visma Lease a Bike (foto La Presse)
Mattiussi ha detto di aver realizzato che avevate vinto il Giro alla fine dell’ultima discesa, tu?
Dopo l’arrivo. Ieri mi sentivo forte ed ero convinto che avremmo potuto prendere la maglia ma oggi l’ho fatto. Ho capito di aver vinto solamente quando non ho visto arrivare Tuckwell (il leader fino a stamattina, ndr) subito dopo di me sul traguardo. Sapevo che il distacco fosse breve ma anche in gara siamo sempre stati vicini.
Cosa vuol dire indossare questa maglia per te?
Al momento non me ne rendo conto, ho bisogno di alcuni giorni per capirlo ma abbiamo fatto tutti qualcosa di grande.
Il podio Giro Next Gen 2025: Omrzel, secondo Turckwell e terzo Novak (foto La Presse)Il podio Giro Next Gen 2025: Omrzel, secondo Turckwell e terzo Novak (foto La Presse)
Quando sei tornato in bici questo inverno qual era il tuo obiettivo?
Il Giro Next Gen. Siamo andati in altura, poi sono tornato in Slovenia ad allenarmi e ho corso il Giro di Slovenia con i professionisti.
Proprio nella gara di casa ti sei reso conto di essere pronto?
Sì. Lì ho fatto un grande passo in avanti dal punto di vista mentale, credo sia il motivo grazie al quale sono venuto al Giro con tanta fiducia e tante nuove consapevolezze. Ho corso con il WorldTour e sinceramente mi hanno insegnato tanto, ho visto un’altra prospettiva di corsa e l’ho usata in questi giorni.
Il supporto dei compagni è stato fondamentale per la vittoria di Omrzel, una vittoria di squadra (foto La Presse)Il supporto dei compagni è stato fondamentale per la vittoria di Omrzel, una vittoria di squadra (foto La Presse)
Questa mattina, a colazione, cosa hai detto ai tuoi compagni di squadra?
Andiamo a vincere il Giro.
Mattiussi, il tuo diesse, ieri ha detto che avresti potuto vincere, sentivi questa sensazione anche tu?
E’ il team che mi ha dato la fiducia giusta nei miei mezzi. Onestamente mi hanno aiutato molto. Non li ringrazierò mai abbastanza, non so davvero come fare ma mi piacerebbe perché senza di loro non sarei mai arrivato qui. Sono loro i responsabili di tutto, ma anche chi lavora a casa, la mia famiglia e i miei amici.
In vista dell’ultima tappa è arrivato anche Roberto Bressan, storico presidente del CTF ora diventato Bahrain Development In vista dell’ultima tappa è arrivato anche Roberto Bressan, storico presidente del CTF ora diventato Bahrain Development
Sei al primo anno da under 23, te lo saresti aspettato un inizio così?
Sì e no, come si dice: 50 e 50. Speravo di fare una corsa del genere ma non pensavo di poter vincere. Ho lavorato sodo senza mai smettere di crederci.
Ora, che farai?
Ho tanti altri obiettivi ma prima un po’ di pausa e di festa. Ce lo siamo meritati.
Durante l’ultimo Giro d’Italia abbiamo visto in quasi ogni tappa manifestazioni in favore della Palestina. Scritte sull’asfalto, bandiere, striscioni. Questo ci ha ricordato che lo sport non è una bolla chiusa in se stessa, ma qualcosa che è sempre legato alle vicende storiche e politiche (in apertura foto Tim de Waele/Getty Images).
Il ciclismo in particolare, col suo passare per le strade del mondo, è sempre stato anche veicolo di istanze e che andavano oltre i suoi stretti confini. Per approfondire questo aspetto abbiamo raggiunto al telefono Claudio Gregori, forse il più grande cantore ed esperto italiano della storia del ciclismo.
Gregori ha seguito dodici Olimpiadi, ventotto Giri d’Italia e tre Tour de France: una delle voci più autorevoli del giornalismo sportivo italianoGregori ha seguito dodici Olimpiadi, ventotto Giri d’Italia e tre Tour de France: una delle voci più autorevoli del giornalismo sportivo italiano
Claudio, cosa ne pensi delle manifestazioni contro la guerra a Gaza che abbiamo visto durante il Giro?
Lo sport fa parte della vita. Viviamo in una democrazia, una bella parola che significa che il popolo può esprimere le sue opinioni. Il popolo del Giro che si esprime contro il massacro che sta avvenendo in quella parte di mondo non solo è una cosa lecita, ma secondo me anche giusta. E’ qualcosa in linea con i principi democratici ma anche del cattolicesimo, basti pensare le prese di posizione di Papa Francesco, e anche del Pontefice attuale, a riguardo. La lotta per la pace è un dovere.
Il ciclismo è più attento a quello che accade oltre la sua bolla?
La bici vive nel mondo, lo attraversa, vede le facce del mondo. Nella mia carriera ho seguito 28 giri d’Italia e credo di poter dire che il ciclista è più aperto al mondo perché lo conosce. La coscienza civica, che si manifesta anche attraverso lo sciopero, fa parte da sempre di questo sport. Il primo sciopero nella storia del Giro c’è stato già nel 1911, nella tappa Pescara-Roma, quando per colpa degli organizzatori la carovana sbagliò percorso e i corridori si rifiutarono di fare dei chilometri in più. Scioperarono e per arrivare a Roma presero il treno. Ma gli esempi di come la politica e la storia si sono incrociati con il Giro sono moltissimi. Basti pensare a quello del 1919, appena finita la Prima Guerra Mondiale, quando fu organizzata la tappa da Trento a Trieste, le due città irredente. Non era solo ciclismo, era un messaggio che l’Italia dava al mondo.
A proposito di Trieste è famosa anche la tappa del ‘46…
Certamente, anche quello fu un segnale fortissimo, arrivato soprattutto dai corridori. La tappa fu bloccata a Pierisda alcuni manifestanti che rivendicavano Trieste come città jugoslava e fu decisa la neutralizzazione. Ma in 17 vollero continuare ad ogni costo e così a Trieste arrivarono primo Cottur e secondo Bevilacqua, che non a caso correvano con la Wilier. Che è l’acronimo di W l’Italia Libera e Redenta.
Giordano Cottur portato in trionfo al termine della tappa Rovigo-Trieste, uno dei più celebri esempi di come il ciclismo si è intrecciato con la storia politica del Paese (foto FB Giordano Cottur)Giordano Cottur portato in trionfo al termine della tappa Rovigo-Trieste, uno dei più celebri esempi di come il ciclismo si è intrecciato con la storia politica del Paese (foto FB Giordano Cottur)
Quindi lo sport ha sempre suscitato interesse da parte della politica?
Assolutamente. Nel 1923 quando Ottavio Bottecchia era maglia gialla al Tour la Gazzetta dello Sport istituì una sottoscrizione in suo favore. Il primo firmatario fu nientemeno che Mussolini, seguito da alti gerarchi come Balbo e Ciano. Il Duce ci teneva a ricevere sempre i grandi campioni, ma Bottecchia non ci andò mai, non si iscrisse nemmeno mai al partito. La politica ha sempre voluto mettere le mani sullo sport, perché è un formidabile strumento di propaganda.
Viene in mente anche la storia secondo cui la vittoria di Bartali al Tour del ‘48 scongiurò una possibile guerra civile.
Questa è un po’ una leggenda, ma qualcosa di vero c’è. Gino Bartali era amico personale di De Gasperi, erano amici veri. Quando ci fu l’attentato a Togliatti, De Gasperi chiamò Bartali durante il giorno di riposo e gli chiese di provare a fare qualcosa. Il giorno dopo vinse il tappone alpino, quello dopo vinse ancora e indossò la maglia gialla che portò fino a Parigi. Questo ebbe un po’ un effetto-camomilla su quell’Italia in ebollizione, ma dire che quella vittoria abbia evitato la rivoluzione è esagerato. Anche perché anche Togliatti tifava Bartali. Appena si svegliò dall’operazione la prima cosa che chiese fu cosa avesse fatto Bartali al Tour.
Bennati alla Tirreno Adriatico del 2010, l’anno in cui visitò il campo di Auschwitz assieme a Claudio Gregori e Dario CataldoBennati alla Tirreno Adriatico del 2010, l’anno in cui visitò il campo di Auschwitz assieme a Claudio Gregori e Dario Cataldo
Erano gli anni in cui il Giro aveva una forte impronta nazionale…
Nel ‘50 lo svizzero Koblet aveva la maglia rosa in mano e i giornali cercarono di mettere in piedi una coalizione contro di lui. Gianni Brera, in quel momento il più giovane direttore nella storia della Gazzetta, scrisse un fondo bellissimo dicendo che “Nello sport non ci sono stranieri”. Una lezione bellissima che vale ancora oggi, anche se alcuni politici attuali forse non l’hanno ancora capita.
C’è qualche aneddoto che hai vissuto in prima persona di incrocio tra sport e politica?
Nel 2010 il Giro partiva da Amsterdam, io ero lì come inviato della Gazzetta per scrivere i pezzi di colore. Ho chiamato Pozzato, volevo andare con lui alla casa di Anna Frank. Ha accettato e abbiamo visitato assieme la casa dove era nascosta con la famiglia. Il giorno dopo la Gazzetta ha fatto una pagina intera sulla storia di Anna Frank. Poche settimane dopo ero al Giro Polonia e una tappa partiva da Auschwitz alle 12,30. Ho convinto Bennati e Cataldo a venire con me a visitare il campo la mattina prima del foglio firma. E’ stata un’esperienza drammatica, ma bellissima.
Possiamo immaginare…
Mi ricorderò sempre che quando siamo arrivati alle camere a gas Bennati, un ragazzone grande e grosso, si è commosso moltissimo, e poi mi ha ringraziato per quel momento. Durante la tappa poi era prevista una sosta all’ingresso del campo, io naturalmente ero lì. Pensavo sarebbe stata una cerimonia poco sentita, invece no. C’erano corridori di 34 Nazioni diverse ed uno per ogni nazione ha portato una rosa davanti al cancello, c’era una tensione che non mi sarei immaginato. Un momento catartico. Il ciclismo è straordinario proprio per questo. Il calcio invece è diverso, anche solo per il fatto che si gioca dentro una scatola chiusa, isolata dal mondo.
Il primo traguardo volante di Oggi è fissato a Peonis, il luogo in cui il 3 giugno 1927 fu trovato agonizzante Ottavio Bottecchia. Conoscete la sua storia?
Con la conclusione del Giro d’Italia Next Gen, lo sguardo si sposta sul prossimo grande appuntamento della categoria Under 23: il Giro della Valle d’Aosta, in programma dal 16 al 20 luglio prossimo. Una corsa che negli anni ha rappresentato un passaggio fondamentale per molti corridori che oggi brillano tra i professionisti (in apertura foto Giro Valle d’Aosta).
Eppure, anche questo settore vive un momento di transizione, tra l’evoluzione dei calendari, i passaggi diretti tra juniores e WorldTour e il tentativo costante di mantenere alto il valore tecnico delle competizioni. Ne abbiamo parlato con Riccardo Moret, patron della corsa valdostana, che a pochi giorni dalla presentazione ufficiale dell’edizione numero 61 ci ha raccontato come sta evolvendo il lavoro della sua squadra.
Il presidente Moret (camicia bianca) lo scorso anno al via di una delle tappe, con la maglia gialla Crescioli (foto Giro VdA)Il presidente Moret (camicia bianca) lo scorso anno al via di una delle tappe, con la maglia gialla Crescioli (foto Giro VdA)
Presidente Moret, come procedono i lavori verso questa edizione numero 61?
Abbiamo terminato alla grande queste nozze di diamante tra l’organizzazione del Giro della Valle d’Aosta e il mondo della bicicletta. E’ andato tutto bene, ora cominciamo con il sessantunesimo. La presentazione avverrà nei prossimi giorni al Palazzo Regionale di Aosta e siamo in linea con il programma di lavoro che ci eravamo prefissati.
Le sedi di tappa erano state rese note. Verrà trasmesso tutto in streaming?
Ci sarà unaa diretta streaming, ma non so ancora con precisione su quale canale. Ma al momento opportuno sarà tutto disponibile sul sito del Giro della Valle d’Aosta.
Il mondo degli Under 23 sta cambiando. Come vivete questa evoluzione? State valutando anche la categoria juniores?
Vediamo come si evolve la situazione. Oggi ci sono juniores che passano direttamente tra i pro’ senza passare dagli Under 23. Però a naso mi sembra che un periodo di transizione serva ancora. Chi passa da under 23 ha spesso qualcosa in più. Magari non tutti fanno tutti gli anni della categoria, ma a 21 anni sono già “di là”. Per ora, comunque, restiamo fedeli alla nostra categoria.
Negli ultimi anni tanto caldo, anche se non sono mancati degli scrosci di pioggia che hanno creato caos, come nella partenza della tappa finale dell’anno scorso (foto Giro VdA)Negli ultimi anni tanto caldo, anche se non sono mancati degli scrosci di pioggia che hanno creato caos, come nella partenza della tappa finale dell’anno scorso (foto Giro VdA)
Quindi nessun progetto per una corsa juniores?
No, almeno per ora. Quando facciamo le nostre riunioni siamo più concentrati sulle tappe che su questi discorsi. I direttori sportivi e il movimento in generale ci spingono a rimanere legati alla nostra tradizione. Chi esce bene dal Giro della Valle d’Aosta non dico che ha la strada spianata verso il professionismo, ma quasi. L’ultimo esempio è Isaac Del Toro, che ha lottato per la maglia rosa fino all’ultima tappa del Giro dei grandi.
Negli ultimi anni il tuo gruppo di lavoro è cambiato parecchio: c’è chi se ne è andato, chi sta tornando. Come riesci a mantenerlo attivo e motivato?
Io penso che chi resta, resta volentieri e lo faccia per passione. Chi invece è stanco o ha motivi personali che non gli consentono di essere sereno è giusto che si faccia da parte. E’ già faticoso mettere in piedi una corsa come la nostra, se manca la serenità è ancora più difficile. Se manca la passione, manca tutto. Non deve essere solo un divertimento, ma la passione è la base. Quando anche a me dovesse mancare, potrei anche farmi da parte: mai dire mai. E se qualcuno volesse tornare ben venga, non abbiamo mai chiuso le porte a nessuno, anzi siamo sempre dispiaciuti quando qualcuno se ne va.
Il Giro della Valle d’Aosta è un’organizzazione non professionistica, ma con standard altissimi…
Esatto. Non siamo professionisti, ma offriamo una corsa di livello professionistico. Ce lo riconosce anche la UCI, che ci valuta con dei report, delle pagelline, molto positive ogni anno. Cambiano i giudici, ma i voti restano alti: questo ci gratifica.
Che tipo di corsa vedremo quest’anno?
Come sempre sarà dura. Avremo tre arrivi in quota e tante salite. Sarà una corsa da scalatori puri, come da nostra tradizione.
L’arrivo di Pont in Valsavaranche si annuncia davvero impegnativo. La scalata finale misura circa 25 km (al 5,1 %)L’arrivo di Pont in Valsavaranche si annuncia davvero impegnativo. La scalata finale misura circa 25 km (al 5,1 %)
Qualche anticipazione sulle tappe?
Posso dire poco. Si inizierà con una tappa “pianeggiante”, la Aosta-Aosta, che potrebbe favorire i passisti veloci, non dico i velocisti perché non credo che i velocisti puri ci saranno. Poi ci sarà una cronoscalata di 13 chilometri sulle strade del Tour de France, a Passy Plaine-Joux: ci saranno più di 1.000 metri di dislivello. Infine ci saranno tre tappe da vertigine, con arrivi sul filo o oltre i 2.000 metri. Parlo del Colle del Gran San Bernardo, di Pont a Valsavarenche nel cuore del Parco del Gran Paradiso, a 1.950 metri, e il classico finale a Cervinia.
Quest’ultima tappa ormai è una classica: verrà confermata la doppietta finale con il Col Saint-Pantaléon prima di Cervinia?
Quest’anno cambieremo un po’ il tracciato. Non sarà completamente uguale agli anni scorsi. Potremmo non fare il Saint-Pantaléon, ma non voglio sbilanciarmi oltre.
Chi disegna il percorso?
Lavoriamo in gruppo, ci confrontiamo. Le strade della Valle d’Aosta sono quelle e tutto sommato non è difficile realizzare belle tappe o scovare salite interessanti. Abbiamo una fortuna enorme nel territorio che ci ospita.
«Ca va Bardet, Ca va Bardet», quel grido risuona nelle orecchie all’ultima edizione del Giro del Delfinato. E’ ancora più forte del solito, probabilmente perché forse non lo risentiremo. Perché Romain ha deciso di chiudere la sua carriera, a 34 anni dopo 13 stagioni da pro’. Ha voluto farlo nella corsa che ama di più, anche se nel mezzo della stagione: «E’ la mia preferita, quella dove sono andato più vicino alla vittoria e dove ho conquistato il mio primo successo importante, in una tappa nel 2015. Non potevo che chiudere qui». Con i più grandi del ciclismo odierno a fargli da contorno, da Pogacar a Vingegaard a Evenepoel, protagonisti di un ciclismo che forse non gli appartiene più.
Uno dei tanti cartelli dei tifosi all’ultimo Giro del Delfinato, dove gli hanno tributato una vera ovazioneUno dei tanti cartelli dei tifosi all’ultimo Giro del Delfinato, dove gli hanno tributato una vera ovazione
Un francese dalle mille sfumature
D’altro canto si dice sempre più spesso che il ciclismo cambia velocemente e quello dei suoi inizi, nel 2012 quando esordì all’AG2R la Mondiale, non era quello di oggi. E’ curioso il fatto che di vittorie Bardet ne ha collezionate poche ma buone, 11 in totale, di cui due in classifiche di corse a tappe (Tour de l’Ain 2013 e Tour of the Alps 2022) eppure passerà alla storia come uno specialista di grandi giri.
Non che se la sia cavata male, in fin dei conti vanta 4 tappe al Tour, una alla Vuelta, al Giro affrontato tardi in carriera si è pure distinto, ma la sua storia non è semplicissima da raccontare, soprattutto se lo si vuole identificare in uno stereotipo. Perché Bardet da Brioude (Alta Loira) è come un personaggio pirandelliano, pieno di sfaccettature. Proviamo allora a venirne a capo attraverso episodi.
Il francese in fuga all’Amstel del 2012. Il sogno vivrà fino a 10 chilometri dal traguardoIl francese in fuga all’Amstel del 2012. Il sogno vivrà fino a 10 chilometri dal traguardo
Amstel Gold Race 2012, il primo squillo
Romain, figlio di un maestro e un’infermiera, è appena passato di categoria, ma di recitare un ruolo di contorno proprio non gli va. D’altronde nelle categorie giovanili si è ben distinto, soprattutto come corridore di classiche (2° alla Liegi U23 dell’anno prima). All’Amstel dopo 40 chilometri si lancia all’attacco. E’ la fuga di giornata, figurati se va al traguardo. Sono in 7 (fra loro anche un giovanissimo Pello Bilbao), si aggiungono altri 2 e il vantaggio monta, monta fino a 13 minuti. Il gruppo si sveglia e inizia la rimonta, ma lui non molla. Mollano gli altri, lui no, tira dritto. Lo riprendono a 10 chilometri dal traguardo eppure ci crede ancora e quel 25° posto finale vale molto. Quel ragazzo ha un bel caratterino…
L’esordio al Tour 2013
L’anno dopo arriva l’esordio al Tour de France. Bardet non ha ancora vinto da pro’, ma nelle prove a tappe è sempre fra i migliori giovani e l’AG2R decide di dargli fiducia. Si parte dalla Corsica e Romain si distingue perché ha già capito che deve rimanere nelle prime posizioni, soprattutto nel finale delle tappe, poco importa che ci si scanni per la volata. Ma quando si tratta di salire, sa tenere il passo, anche se poi paga a cronometro. Alla fine è 15° in classifica, il migliore dei francesi. Poca cosa? Forse, ma intanto si capisce che quella è la “sua” dimensione.
L’attacco di Mende, dove con Pinot nasce una forte rivalità, che Bardet però ha sempre negatoL’attacco di Mende, dove con Pinot nasce una forte rivalità, che Bardet però ha sempre negato
Il Tour 2015 e “il pasticciaccio” di Mende
Ci si attende tanto da lui, la prima parte di stagione è stato tutto un lungo prologo al Tour. Ma in classifica non c’è, sui Pirenei accusa distacchi pesanti mentre Chris Froome mette subito le cose in chiaro. Il vantaggio di accusare minuti e minuti c’è, perché cominciano a controllarti di meno. Bardet inizia a pensare a riprendere vigore, è 3° a Plateau de Beille e si sente pronto per il primo centro nella Grande Boucle. Nella tappa di Mende però succede qualcosa. Va in fuga con un altro francese di belle speranze, Thibaut Pinot.
I due si studiano, si guardano, si fanno i dispetti: Steve Cummings, anziano britannico del Team MTN-Qhubeka ringrazia e li prende in contropiede. In casa sudafricana si festeggia, i due “galletti” continuano a beccarsi e la loro rivalità rimarrà a fare da contrappunto a un ciclismo francese che con loro riprende a crescere, anche se non come vorrebbe. Bardet però non si dà per vinto e alla diciottesima tappa, a Saint Jean de Maurienne coglierà la sua prima vittoria al Tour, riuscendo anche ad agguantare la Top 10 finale.
A Saint Gervais-Mont Blanc una delle sue quattro vittorie di tappa al TourA Saint Gervais-Mont Blanc una delle sue quattro vittorie di tappa al Tour
Il Tour 2016 e il podio finale
Il francese ci crede e il popolo è con lui. Che sia arrivato il momento di chiudere la lunga astinenza da maglia gialla, che risale all’epoca d’oro di Hinault? L’anno dopo Bardet si prepara pensando solo al Tour, questa volta i Pirenei non fanno male, la cronometro invece sì, accusa quasi 3 minuti da Froome. Ma d’altronde il britannico ha una corazzata, lui è un autodidatta. Sulle Alpi è un crescendo rossiniano: recupera sull’arrivo in salita di Finhaut-Emosson, va bene anche nella cronoscalata di Megève, a Saint Gervais-Mont Blanc si scatena e dà scacco matto a Mollema e Adam Yates. Sul Joux Plane controlla gli avversari, sa che Froome è troppo lontano e chiude secondo a 4’05”. I media francesi lo acclamano: «Abbiamo trovato il campione per il Tour».
Alla Grande Boucle del 2020 il ritiro dopo la caduta alla tredicesima tappa con esiti molto pesantiAlla Grande Boucle del 2020 il ritiro dopo la caduta alla tredicesima tappa con esiti molto pesanti
La terribile caduta del Tour 2020
L’anno dopo finisce ancora sul podio, ma quell’ultimo centesimo per completare l’euro non riesce proprio a trovarlo e man mano perde fiducia. Bardet ci prova, ci prova sempre. Anche nel 2020, nell’anno del folle calendario legato al covid, è lì a lottare. Alla tredicesima tappa è quarto in classifica: «Quella mattina mi sentivo alla grande – ha raccontato poco tempo fa all’Equipe – a un certo punto sono caduto e ho battuto la testa. In quel momento non ci ho neanche fatto caso, sono risalito in sella e ripartito, pensavo solo a riagganciarmi al gruppo. Ma iniziavo a non sentirmi bene, ero come in trance. Faticavo più del normale. Sono arrivato al traguardo, poi il buio più totale».
Bardet riporta una commozione cerebrale, viene naturalmente fermato: «Non facevo che vomitare con un forte mal di testa. Ci ho messo tantissimo per recuperare, fisicamente e come stress psicologico: se ti rompi un osso si riaggiusta, con il cervello è più difficile e qualcosa ti lascia». Molti dicono che qualcosa sia cambiato da allora, fatto sta che non è stato più uomo da classifica.
Il riscatto del transalpino alla Liegi 2024, dove solo lo scatenato Pogacar lo precedeIl riscatto del transalpino alla Liegi 2024, dove solo lo scatenato Pogacar lo precede
Il riscatto della Liegi del 2024
Fatto sta che l’anno dopo cambia team e lascia la Francia, approdando al Team DSM. Per molti appassionati francesi è un’onta: è come se Totti lasciasse la Roma o Del Piero la Juve (per chi crede ancora alle bandiere…). Ma lo fa con cognizione di causa: basta classifiche, meglio pensare ai traguardi singoli. Così comincia a raccogliere, vince una tappa alla Vuelta 2021, vince al TOTA 2022 e nel 2024 stupisce tutti con la piazza d’onore alla Liegi-Bastogne-Liegi. Non è che avesse ambito alla vittoria, davanti c’è Pogacar che… fa il Pogacar, ma gli altri li mette tutti in fila con un paio di attacchi vecchia maniera.
«Ho abbastanza esperienza per sfruttare le situazioni – racconterà al traguardo – è la dimostrazione che bisogna sempre crederci e che il karma sa ripagarti». Una frase che stupisce qualcuno, chi non ricorda l’episodio di due anni prima: caduta di Alaphilippe e lui che non ci pensa un attimo, butta la bici da una parte e va a prestargli soccorso. Alla faccia della rivalità…
Bardet in giallo, un sogno realizzato proprio a fine carriera in quel di RiminiBardet in giallo, un sogno realizzato proprio a fine carriera in quel di Rimini
Rimini, l’ultimo acuto al Tour 2024
Il podio alla Doyenne ha un valore, ma non è quello che davvero cerca. Come fare per mettere il sigillo alla sua carriera? A Bardet manca una cosa, colorata di giallo. Sarebbe bello conquistare la maglia di leader al Tour e se non si può fare in Francia, perché non farlo in Italia? Alla tappa inaugurale a Rimini sono tanti che la cercano ma lui ha in mente un piano e trova in Frank Van den Broek l’uomo giusto per attuarlo. Il francese attacca sulla salita di San Leo e va a prendere i fuggitivi, poi con il fidato gregario se ne va. Il gruppo è affamato al loro inseguimento, ma l’olandese è fenomenale sul lungomare scortandolo verso quel successo che gli regala il simbolo inseguito per tutta la carriera.
Il resto è un lungo, lunghissimo saluto, fino al Delfinato, sentendo sempre quel grido: «ça va Bardet». Ma chissà che non torneremo a sentirlo, perché Romain ha detto basta al ciclismo su strada, ma vuole ancora togliersi qualche sfizio sulla gravel e punta al mondiale di Nizza. E i suoi tifosi già si stanno organizzando…
Tornato al Team Ineos, Richie Porte ha vinto il Delfinato e ora fa rotta al Tour. Eppure ha scoperto il ciclismo vero in Toscana. Nel 2020 fu terzo a Parigi
Incontro con Hinault al Villaggio di Briancon. Si parla della tappa di ieri e dell'Alpe d'Huez. Pogacar, crisi inattesa. Ma in fondo resta lui il favorito
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PRATO NEVOSO – La tappa regina del Giro Next Gen va a Pavel Novak, lo scalatore della MBH Bank-Ballan-Csb che viene dalla Repubblica Ceca. Un ragazzo taciturno che sembra dare l’idea di tenersi per sé certi ragionamenti e riflessioni (in apertura foto Jacopo Perani-think bold). Una fuga lunga 140 chilometri, la seconda per distanza in questo Giro Next Gen dopo quella di Vervenne a Cantù. Questa però è stata dura, sofferta. Una frazione di 161 chilometri di cui quasi la metà con la strada che punta verso il cielo, le statistiche snocciolate durante la corsa parlano di un 20 per cento di pianura in totale. Era facile pensare alla vittoria di uno scalatore, ben più difficile che arrivasse dalla fuga partita al mattino.
Novak taglia il traguardo e indica il nome della squadra sulla maglia, prosegue fino alla fine delle transenne e si ferma. Intorno a lui c’è il silenzio, non parla e non esulta. Nemmeno un urlo o un cenno con la mano. Svuota una bottiglietta d’acqua in pochi secondi, metà in bocca e l’altra metà cade sul collo e prosegue sul petto.
Quella di Novak è stata la seconda vittoria per un team continental italiano in questo Giro Next Gen dopo quella di Agostinacchio (foto La Presse)Dopo l’arrivo lo sguardo fisso e il silenzio intorno, l’unico rumore era quello della macchine fotografiche che scattavanoLa vittoria di Novak è stata la seconda per una continental italiana in questo Giro Next Gen dopo quella di Agostinacchio (foto La Presse)Dopo l’arrivo lo sguardo fisso e il silenzio intorno, l’unico rumore era quello della macchine fotografiche che scattavano
Ribaltare tutto
Dal chilometro uno di gara esce un gruppetto di undici corridori in cui Pavel Novak non era presente. C’era però il suo compagno di squadra Lorenzo Masciarelli, pedina importante nella gestione delle energie. Una presenza che è valsa per due perché mentre l’abruzzese pedalava forte in testa alla corsa il ceco restava ben coperto alla sua ruota.
«Siamo contenti – il plurale difficilmente abbandonerà i discorsi di Novak – eravamo venuti al Giro Next Gen con la voglia di fare classifica. Alla fine della giornata di ieri ci trovavamo in undicesima posizione così oggi siamo partiti con l’idea di provare a ribaltare la situazione, o comunque di rientrare tra i primi cinque. Il grazie però va a tutta la squadra perché ogni compagno ha fatto qualcosa di importante per me. L’anno scorso avevo vinto il Trofeo Piva ma questa penso sia una vittoria di altro spessore, sia per difficoltà che per prestigio. Pensavo che la salita finale fosse più dura, stavo bene fin dal mattino. Domani sarà una tappa difficile, la speranza è di recuperare bene».
Novak dopo la premiazione si è fermato a parlare con i parenti e la fidanzata che sono venuti a sostenerloSopra al numero 41 della sua bici ci sono ancora incastrate le carte dei gel usati in gara come piccole bandiere colorateNovak dopo la premiazione si è fermato a parlare con i parenti e la fidanzata che sono venuti a sostenerloSopra al numero 41 della sua bici ci sono ancora incastrate le carte dei gel usati in gara come piccole bandiere colorate
Una portiera nuova
L’ammiraglia della MBH Bank-Ballan-Csb ha bisogno di una portiera nuova dopo tutte le volte che Gianluca Valoti l’ha suonata come un tamburo per spronare Novak. Per diversi momenti della tappa Pavel Novak è stato anche il leader virtuale del Giro Next Gen. Nel dopo tappa i ragazzi della Red Bull-BORA-hansgrohe Rookies hanno detto di non essere mai stati preoccupati dal distacco dello scalatore ceco, fatto sta che Novak sul traguardo ha ridotto il suo distacco dalla maglia rosa di Tuckwell a solamente ventisette secondi, rientrando prepotentemente in classifica.
«Stamattina – racconta il diesse Valoti – il programma era di anticipare i migliori e attaccare sullo strappo che anticipava la salita di Prato Nevoso. Anche il fatto di avere Masciarelli subito davanti era parte del piano, uscire subito con Novak ci avrebbe costretti a sprecare tante energie. E’ stata una tappa lunghissima, sembrava durare 300 chilometri. Il traguardo non arrivava mai. La vittoria è di tutti perché in questo Giro Next Gen eravamo venuti con l’obiettivo di fare bene in classifica con Novak e di provare a vincere una tappa. Siamo stati sempre in fuga e questa vittoria è anche per Masciarelli, Nespoli, Chesini e Tacaks che ci hanno provato nei giorni precedenti andando spesso in avanscoperta».
Il Giro Next Gen, con la settima tappa è arrivato nelle Langhe (foto La Presse)Dietro Novak Nordhagen e Omrzel hanno attaccato la maglia rosa che è rimasta sulle spalle di Torckwell per 11″ (foto La Presse)Il Giro Next Gen, con la settima tappa è arrivato nelle Langhe (foto La Presse)Dietro Novak Nordhagen si è mosso e ha conquistato il secondo posto di tappa (foto La Presse)Omrzel ha attaccato la maglia rosa che è rimasta sulle spalle di Torckwell per 11″ (foto La Presse) (foto La Presse)
Il cammino prosegue
Pavel Novak è arrivato alla MBH Bank-Ballan-Csb quando ancora si chiamava Colpack-Ballan nel 2022. Ha lasciato casa sua trasferendosi nell’appartamento di Almè, alle porte di Bergamo, per inseguire il suo sogno di diventare un ciclista professionista. Questo passo arriverà nel 2026 perché la storica formazione continental bergamasca diventerà professional. L’affiliazione sarà ungherese, come lo sponsor che ora dà il nome al progetto. La certezza è che sotto batterà ancora un cuore bergamasco, forte e silenzioso come le gambe di Novak e con lo spirito di sacrificio tipico dello staff guidato da Antonio Bevilacqua.
«In questo Giro – dice ancora Valoti – la squadra e lo sponsor hanno investito tanto. Hanno creduto in noi e penso che una vittoria nella tappa regina sia il massimo che avevamo da offrire in cambio. Novak sarà un pilastro anche del nostro futuro, ha già firmato con noi restando fedele al nostro progetto che continua. Avere un ragazzo come lui che per me è come un figlio sarà un’emozione unica (si ferma e respira con gli occhi lucidi, ndr). Per tutti questi anni Pavel ha vissuto al primo piano della nostra palazzina che usiamo come ritiro, mentre io sto al terzo. Averlo vicino tutti i giorni mi ha permesso di vederlo crescere, come tutti i giovani ha bisogno del suo spazio. E’ gentile e buono e oltre alle qualità che ha come ciclista è un ottimo ragazzo».
La squadra belga meritava un discorso a parte, visto che tra infortuni, assenze e una rosa meno profonda, Remco è rimasto spesso solo al Delfinato, denunciando una situazione poco entusiasmante. Anche in Belgio la “questione Soudal” ha tenuto banco sui media. Come farà Evenepoel, senza una vera squadra, a contrastare quei due?
Petacchi in ricognizione sulle strade francesi del Tour. Sarà lui la voce tecnica per la RaiPetacchi in ricognizione sulle strade francesi del Tour. Sarà lui la voce tecnica per la Rai
Alessandro, Remco e la sua Soudal-Quick Step escono dal Delfinato senza avere dato grandi impressioni. Tu cosa ne pensi?
Anche l’anno scorso lui era indietro al Delfinato e poi è andato bene. Quest’anno alla fine ha perso meno, ha un buon peso, nonostante abbia corso di meno per via dell’incidente dello scorso inverno. Direi dunque che ha incentrato tutta la sua stagione sul Tour de France. In salita paga qualcosa a Pogacar e Vingegaard, ma a crono è più forte e quella di Caen, che ho visto, è molto adatta alle sue caratteristiche.
Perché?
Perché è una crono molto veloce, da specialisti. Peccato per lui che la seconda crono sia una cronoscalata.
Passiamo all’analisi della sua squadra in salita. Data per certa l’assenza di Landa e con la perdita di Vervaeke, per la salita avrà solo Paret-Peintre e Cattaneo…
E’ scoperto, parecchio scoperto rispetto agli altri due. Però potrà correre sulla difensiva: questo sarà un po’ il suo leitmotiv. E tutto sommato, se corri su di loro puoi difenderti bene e hai la possibilità di sprecare il meno possibile durante le tappe. Non solo, ma se Remco dovesse fare quel piccolo step in più in salita, può restare con loro là davanti più facilmente. Poi quando esplode la corsa si tratterà soprattutto di gambe.
Al Tour con Evenepoel ci sarà anche Merlier, fresco vincitore della prima tappa al Baloise Belgium TourAl Tour con Evenepoel ci sarà anche Merlier, fresco vincitore della prima tappa al Baloise Belgium Tour
Uno dei compagni di Evenepoel al Tour sarà Merlier, uno dei più grandi velocisti. Vista la situazione del Delfinato, ci si è chiesti se fosse corretto portare uno sprinter in una situazione simile, se si vuole puntare al podio. Tu che sei stato velocista e che hai corso in quella squadra, cosa ne pensi?
Merlier al Tour per me ci sta bene e gli potrà anche essere d’aiuto, perché sa anche tirare, si muove bene in gruppo… E poi quale scalatore forte avrebbero potuto portare al suo posto? Le altre due squadre sarebbero comunque state più forti. Non dimentichiamo che per la salita hanno anche Van Wilder, che è un ragazzo giovane, ha già fatto un Giro e se l’è cavata bene.
Quindi velocista sì al Tour?
Sì, anche perché parliamo di un grande velocista e di un ottimo passista, uno che sa affrontare i ventagli, il caos… La squadra, la Soudal, è questa. Se Remco avesse voluto una squadra più forte, dove sarebbe potuto andare? Alla Visma o alla UAE… che hanno già i loro leader. Oppure alla Red Bull-Bora o alla Ineos Grenadiers.
Chiaro…
E infatti le voci che lo vogliono verso questi due team rinascono ad ogni sessione di ciclomercato. Della Ineos se ne parla spesso. Lì avrebbe molta gente forte, anche per la salita: Arensman, De Plus… Ma ripeto, al momento la sua squadra è questa. Gli avevano preso Landa, e non è poco, ma se poi si è fatto male nessuno può farci nulla. Metti Landa, Cattaneo, Van Wilder per la salita, due o tre passisti per la pianura e sei a posto… nonostante il velocista.
Van Wilder è uno dei fidatissimo di Evenepoel e sarà chiamato a un lavoro straordinarioVan Wilder è uno dei fidatissimo di Evenepoel e sarà chiamato a un lavoro straordinario
Lui è un gran bel corridore, poliedrico, completo, esperto. Sa andare forte in pianura e in salita. E sa esserci nei momenti decisivi. Dovrà stargli vicino in salita. Ripeto, la squadra, al netto dei nomi che hanno in rosa, è ottima: gli manca Landa. E’ una signora squadra. Io ci sono stato ed è vero che si stanno ancora trasformando, ma serve del tempo. E’ un po’ il discorso di prima: non vinci le classiche del pavé, ma se non hai Pedersen, Van Aert o Van der Poel con chi vai? A loro è capitato Remco, che va bene per certe classiche e per i grandi Giri e su questo, piano piano, stanno costruendo il team.
L’otto che molto probabilmente vedremo al Tour dunque sarà: Evenepoel, Merlier, Van Lerberghe, Eenkhoorn, Paret-Peintre, Van Wilder, Cattaneo e uno tra Schachmann e Casper Pedersen…
Mi sembra una squadra giusta, ognuno con un ruolo ben preciso. Poi di certo, come in tutti i team, dovranno sceglierne otto, ma avranno lavorato come minimo su una base di 10-12 corridori perché poi alcuni magari non rendono, c’è quello che ha un imprevisto.
Ruoli ben definiti: quello meno definito ci sembra Pascal Eenkhoorn. Lui che tipo di corridore è?
E’ un attaccante e non ha paura di prendere vento in faccia, sia per scappare sia per tirare. E’ quel che si dice un pedalatore. In più sa anche tirare le volate e ricordo che c’è Merlier, che non è un velocista qualunque, ma uno di quelli che danno garanzie. Eenkhoorn, un po’ come Cattaneo, va bene dappertutto, anche se è più forte per le tappe veloci.
Con Velo sui percorsi e il calendario delle crono iridate. Le sovrapposizioni. Problemi per vedere il tracciato della cronosquadre. Eppure si punta in alto
Sabato il Tour proporrà la 3ª volata: Milan fa meglio a giocarsi le tappe o a rincorrere la maglia verde? Petacchi non ha dubbi: punti tutto sulle tappe