Realini: cambio di programma, ora l’obiettivo è il Tour

02.07.2025
4 min
Salva

DARFO BOARIO TERME – Il sorriso non manca mai sul volto di Gaia Realini, nemmeno in questo momento difficile che l’ha vista restare lontana dalle corse e dalle posizioni di testa per diversi mesi. Una frattura al gomito in allenamento le ha portato tanti problemi e qualche complicazione in più del previsto, tornare in bici non è stato affatto semplice. I passaggi per tornare ad essere l’atleta che l’anno scorso  tanto aveva stupito prima al Giro d’Italia Women e poi al Tour de France Femmes sono lunghi ma non impossibili. Serve pazienza e Gaia Realini ha imparato ad armarsi anche di questa e non solo della sua instancabile energia. L’abruzzese sabato non sarà al via del Giro d’Italia Women che partirà da Bergamo. Un’assenza difficile da digerire ma giusta, con l’obiettivo di tornare presto ad alti livelli.

«Piano piano mi sto riprendendo – ci racconta poche ore prima del campionato italiano donne – ma non mi metto fretta. Vediamo giorno per giorno come procede il tutto. L’infortunio al gomito si è rivelato più complicato del previsto e molto lungo da curare. Mi sono trovata a dover rallentare di parecchio gli allenamenti e i carichi di lavoro, è come se avessi perso tutta la preparazione invernale. Ora mi ritrovo con le altre atlete che sono a giugno, mentre per me è come se fosse febbraio

Gaia Realini ha subito una frattura al gomito in allenamento a gennaio
Gaia Realini ha subito una frattura al gomito in allenamento a gennaio
Sei tornata a competere ad alti livelli al Tour de Suisse Women, com’è andata?

E’ stato un primo banco di prova come a dire: «Ributtiamoci nella mischia». Mi sono messa a disposizione della squadra, credo si sia visto. Ero spesso davanti a tirare quando partiva la fuga, oppure andavo all’ammiraglia a prendere le borracce per tutte nei giorni più caldi. Per il momento è quello che posso fare e in vista di una ripresa totale mi diverto a fare anche questo

Cosa vuol dire fermarsi e ripartire praticamente da zero?

Che quando le altre si stavano allenando, io ero a casa e non potevo fare nulla. Ho dovuto lavorare molto sulla testa, diciamo che è stato un allenamento per la mente. Spesso mi dicevo: «Okay, ora è successo a te però con calma puoi riprenderti senza problemi». Ho imparato a gestire tutto con la giusta serenità.

Gaia Realini ha ripreso a correre gradualmente, qui alla Freccia del Brabante a metà aprile
Gaia Realini ha ripreso a correre gradualmente, qui alla Freccia del Brabante a metà aprile
La parte più difficile quando è arrivata?

Quando mi hanno dato il via libera per ripartire, ma a causa dei dolori e di alcune complicazioni mi sono dovuta fermare ancora. Però grazie allo staff medico e a tutta la squadra ho trovato il modo giusto di affrontare la situazione e continueremo per questa strada. 

Risalire in bici è stato così complicato?

All’inizio si pensava fosse più semplice come infortunio, una pensa: «Il braccio che vuoi che sia? Tanto pedali con le gambe». Però poi capisci che in tante cose serve forza e mobilità nel braccio e ripartire non è facile soprattutto quando ti devi alzare sui pedali o fai dei piccoli movimenti che pensi siano banali. Invece nel ciclismo la parte superiore (il cosiddetto core, ndr) è estremamente importante

Realini dopo aver corso il Tour de Suisse senza terminarlo si è presentata all’italiano (in foto) al servizio di Elisa Balsamo
Realini dopo aver corso il Tour de Suisse senza terminarlo si è presentata all’italiano (in foto) al servizio di Elisa Balsamo
In questa stagione saresti felice se?

Se riuscissi a ritrovarmi e a trovare una buona condizione, anche se sto rincorrendo. Spero di arrivare tra qualche mese e di essere ancora più vicina alle migliori, diciamo di essere all’80 per cento. 

Si può pensare di arrivare a quell’80 per cento già al Tour?

Secondo me sì perché comunque sono un’atleta che con il caldo riesce a dare il meglio. Quindi perché no?

Per le tappe o per la classifica?

Tappe, senza dubbio. 

Giro d’Italia, prospettive azzurre con l’occhio della “Bastia”

02.07.2025
6 min
Salva

Dice Marta Bastianelli di trovarsi molto bene con Marco Velo nei panni di tecnico delle donne. A suo dire è colui che più meritava l’incarico: presente da oggi anche in pista, prima di partire per il Giro d’Italia Women, e curioso delle juniores. Le conosceva per le convocazioni nelle crono e quel che gli manca è proprio lei a raccontarglielo. La seconda maternità è avviata sulla strada giusta. E la romana, che da anni fa base in Abruzzo, ha ricominciato a girare per il mondo del ciclismo, senza aver mai interrotto i contatti con le atlete. Per questo, a pochi giorni dal via della corsa rosa, le abbiamo chiesto di fare il punto sulle azzurre che vedremo in azione da domenica.

«E comincerei – sorride Bastianelli – con la ragazza che ha vinto il Giro d’Italia lo scorso anno, vale a dire Elisa Longo Borghini (nella foto di apertura dopo la vittoria del sesto tricolore, ndr). Nella nuova squadra direi che si sia inserita benissimo, lo dimostrano le vittorie. Penso che sia molto motivata per questo Giro d’Italia, come lo sarà anche per il Tour. Sarà ovviamente una delle favorite per la classifica generale».

Marta Cavalli arriva al Giro d’Italia Women dopo il Giro di Svizzera e il campionato italiano
Marta Cavalli arriva al Giro d’Italia Women dopo il Giro di Svizzera e il campionato italiano

La nuova Cavalli

Come accade da tempo per gli uomini, anche nel gruppo delle donne la suddivisione fra Giro e Tour si sta trasformando in un solco piuttosto profondo . Questo fa sì che le atlete al via della sfida rosa abbiano un alto profilo, ma manchino le top rider che si sfideranno per la maglia gialla. Ugualmente non mancano le figure di riferimento. Torna ad esempio Anna Van der Breggen, che chiuse il conto col Giro vincendo quello del 2021 prima di ritirarsi. Sempre lei l’anno prima aveva vinto il mondiale sulle strade di Imola che saranno il teatro dell’ultima tappa. Al suo fianco ci sarà anche Lotte Kopecky, seconda per un soffio lo scorso anno. La belga è forse solleticata da un percorso che nel finale appare simile a quello che si concluse con il Block Haus e poi la tappa dell’Aquila?

«Fra le nostre – prosegue Bastianelli – ci sarà anche Monica Trinca Colonel, che ho visto bene al campionato italiano (seconda alle spalle di Longo Borghini, ndr). E poi c’è Marta Cavalli che già da qualche tempo ha ripreso a dare dei buoni segnali. Ho parlato con lei e ho parlato con il papà. Marta si era presa un momento di pausa dopo gli infortuni e qualche contrattempo, ma ora la vedono tutti molto serena. Ha voglia di riprendersi quel che ha lasciato lungo la strada. Si è preparata bene in altura, magari avrà bisogno di un po’ per adattarsi ai ritmi di gara, ma confido che per il Giro sarà in forma».

Silvia Persico sarà angelo custode e semmai alternativa per Longo Borghini al Giro d’Italia Women
Silvia Persico sarà angelo custode e semmai alternativa per Longo Borghini al Giro d’Italia Women

La doppia opzione

L’occhio torna per un momento in casa UAE Adq, la sua ultima squadra da atleta che con l’arrivo di Elisa Longo Borghini ha cambiato pelle e caratura. La sovrapposizione di nomi, che fa della SD Worx-Protime una delle corazzate da cui guardarsi, trova nella squadra emiratina la risposta più efficace nella presenza accanto alla piemontese di compagne di livello come Silvia Persico, Erica Magnaldi ed Eleonora Gasparrini. Atlete che potrebbero correre da leader e saranno alternativa e supporto per la campionessa italiana.

«Da qualche stagione – analizza Bastianelli – le squadre vanno al via delle grandi corse con un piano A e insieme il piano B. Facendo tutti gli scongiuri, può succedere che un capitano abbia qualche contrattempo, quindi è logico che ci siano pronte delle alternative, soprattutto nei team più forti. Se riesci a portare alla partenza due atlete con la stessa forma e con lo stesso profilo, che magari si intendono anche tra di loro, è proprio il massimo. Detto questo, avere una Longo Borghini in forma è una bella sicurezza. Lei secondo me è forte di testa e già questo è un buon punto di partenza. Ovviamente aver vinto il Giro dello scorso anno le dà la consapevolezza di poterci riprovare ed è un punto a suo favore. Però non credo che se non l’avesse vinto, quest’anno non ci avrebbe provato lo stesso».

Consonni, Guazzini e il tricolore. Purtroppo per la toscana la corsa è finita con una brutta caduta
Consonni, Guazzini e il tricolore. Purtroppo per la toscana la corsa è finita con una brutta caduta

Consonni e gli sprint

Tolta dal mazzo Vittoria Guazzini, nuovamente con un braccio al collo dopo la caduta dei tricolori, e con Elisa Balsamo che correrà soltanto il Tour de France, il fronte delle velociste azzurre che dovranno vedersela con Lorena Wiebes è animato da Chiara Consonni. La Canyon//Sram zondacrypto ha infatti scelto di schierare la leader Niewiadoma soltanto al Tour, dando spazio a Cecile Uttrup Ludwig e dedicando attenzione alla velocista bergamasca che avrà il supporto di Soraya Paladin.

«Con Chiara – spiega Bastianelli che di Consonni è stata a lungo l’ispiratrice – ho parlato proprio al campionato italiano. E’ molto contenta, direi serena. La squadra le piace, vanno d’accordo. Sono state da poco in Austria a fare altura, mi ha parlato di un bellissimo training camp in cui si è creata un’atmosfera veramente serena e tranquilla. La vedo molto bene, in una squadra molto forte che la può aiutare nelle tappe adatte a lei. Sicuramente anche loro punteranno a fare classifica, per cui sapranno loro come gestire la corsa. Sarà un Giro con facce diverse, che permetterà anche a noi della nazionale di osservare le ragazze che potrebbero diventare interessanti per il mondiale, che sarà certamente molto duro».

Monica Trinca Colonel è arrivata seconda ai tricolori di Darfo Boario Terme, nel primo anno di WorldTour
Monica Trinca Colonel è arrivata seconda ai tricolori di Darfo Boario Terme, nel primo anno di WorldTour

Lo spazio delle continental

E qui i nomi da segnare saranno anche quelli di Barale e Ciabocco, oltre a quelli delle tante italiane che prenderanno il via nelle continental che costituiscono il serbatoio dei talenti e rischiano dal prossimo anno di avere vita più difficile a causa della riforma del ciclismo femminile e la volontà di spingere sulle squadre professional.

«Sarebbe davvero un danno se dovessero sparire – piega Bastianelli – perché una buona parte delle ragazze che oggi vediamo nelle WorldTour vengono tutte dalle continental. Ricordiamoci che Monica Trinca era una cicloturista, che poi è passata con Zini e adesso la vediamo esordire in una squadra del massimo livello. Quindi io do molta fiducia a queste piccole squadre, perché possano mettersi in luce loro per i loro sponsor e perché diano la possibilità alle ragazze di distinguersi e puntare al salto di categoria. Quindi, anche se il Giro sarà certamente impegnativo, nulla toglie che possano dire la loro. In attesa di capire se sarà una corsa da giocare sul filo dei secondi o se ci saranno distacchi più ampi. L’anno scorso credevamo tutti che con il Block Haus in finale sarebbe successo il finimondo, ma non fu così. Quest’anno le ultime due tappe sono veramente dure, ma il livello si è alzato tantissimo e le atlete sono arrivate ad una forma strepitosa. Sarà dura decifrarlo da subito, credo che sarà un bel Giro e porterà un bello spettacolo».

Orgoglio e lucidità: assieme a Conca, tre giorni dopo il trionfo

02.07.2025
9 min
Salva

La porta in faccia ha un suono terribile. Filippo Conca lo conosce bene, anche se alcuni di quelli che l’hanno rifiutato alla fine del 2024 domenica a Gorizia gli hanno stretto la mano dopo la vittoria inattesa nel campionato italiano.

Filippo è del 1998 come Pogacar e l’abbiamo incontrato per la prima volta nel 2019, quando chiuse al quinto posto il Giro d’Italia U23 alle spalle del vincitore colombiano Andres Camilo Ardila. Appena davanti, al quarto posto, chiuse Alessandro Covi, che domenica lo ha seguito sul podio di Gorizia. Il suo percorso da quei giorni è stato pieno di segnali e sfortune. Doveva passare con Savio all’Androni, preferì la Lotto. Poi prese il Covid nella forma peggiore, ebbe tendiniti, cadute e problemi al soprassella che gli hanno impedito di avere continuità. La grinta mostrata domenica per vincere il tricolore, in tempi non troppo lontani gli è servita per rialzarsi.

Filippo Conca, Giro del Belvedere, 2020
Filippo Conca, classe 1998, ha iniziato a mettersi in luce fra 2019 e 2020 con la maglia della Biesse
Filippo Conca, Giro del Belvedere, 2020
Filippo Conca, classe 1998, ha iniziato a mettersi in luce fra 2019 e 2020 con la maglia della Biesse
Ti sei finalmente tolto la maglia tricolore di dosso?

L’ho tolta, l’ho tolta (sorride, ndr). Aspettavo da quattro anni che girasse un po’ di fortuna. Ne sono successe davvero tante. Il 2024 è stata la stagione in cui ho raccolto di meno, perché da gregario aiuti sempre la squadra. Alla Q36.5 hanno deciso di non rinnovarmi il contratto dopo che praticamente ho fatto tutta la stagione a tappar buchi a destra e sinistra, senza mai conoscere il calendario. Il giorno prima della corsa, mi dicevano che avevo un volo da prendere. Così non riesci mai ad essere al 100 per cento. Ero sempre là, ma senza risultati veri e propri.

Hai mai pensato di smettere?

Non mi è mai passato per l’anticamera del cervello, se non nell’ultimo periodo. Da quando a dicembre ho deciso che avrei corso con lo Swatt Club, mi sono messo in mente solo il campionato italiano. Ci credevo. Sono partito per vincere, anche se era quasi impossibile. Però gli amici più stretti, le uniche persone che ci sono state davvero, ci credevano con me. Questo mi ha dato ancora più forza. Sono andato per vincere, non avrei firmato per nulla meno della vittoria.

Quanto è stato difficile aspettare questi sei mesi?

Non ero tanto preoccupato. Sapevo che sicuramente mi sarebbe mancato un po’ di ritmo, però all’italiano, col caldo e altri fattori, si va sempre più piano rispetto alle altre corse. Non ci sono corridori che fanno ritmi assurdi, quindi sapevo che avrei sofferto un po’ meno. Due anni fa sono arrivato ottavo dietro Velasco ed ero lì a giocarmi un bel risultato. Mi mancarono 50 metri per agganciare i primi e giocarmi il podio, ma sapevo di essere all’altezza di una sfida così. E domenica per la prima volta negli ultimi quattro anni, le cose hanno girato nel verso giusto. Anche se non alla perfezione…

Ottavo al campionato italiano del 2023 alle spalle di Velasco: i piazzamenti a Conca non sono mai mancati
Ottavo al campionato italiano del 2023 alle spalle di Velasco: i piazzamenti a Conca non sono mai mancati
In che senso?

Ho bucato a 40 chilometri dall’arrivo e sono rientrato solo all’inizio della penultima salita. Secondo me quella è stata la chiave della corsa, perché riuscire a tener duro dopo uno sforzo del genere non è stato un momento banale. Prima sono stato nella scia delle ammiraglie. Poi ho trovato un gruppetto con Mosca, Oldani, Milesi e Lonardi. Forse non ci credevano già più, invece li ho motivati e abbiamo collaborato. Avevamo circa 40 secondi e io stavo già inseguendo da 10-15 minuti. E’ stato fondamentale non essere da solo, altrimenti la corsa si sarebbe chiusa lì.

Covi ha detto che hai vinto con ampio merito.

Covi era davvero in forma, era il più forte e gliel’ho detto. Ci conosciamo da quando abbiamo sei anni. I suoi familiari conoscono bene i miei, infatti dopo l’arrivo sua mamma è venuta ad abbracciarmi tutta contenta.

Ti ha dato fastidio che la tua vittoria sia stata definita la sconfitta del ciclismo italiano?

Diamo merito al vincitore, però a me piace anche essere oggettivo ed era un campionato italiano con tanti assenti, da Albanese a Frigo, come pure Bagioli. Però i problemi fisici fanno parte del ciclismo, io lo so bene. Se in Italia ci fosse davvero un top rider per corse dure, non ci sarebbe stata storia. Covi e Baroncini in salita erano nettamente i più forti, sono dei gran bei corridori, ma rispetto ai top rider mondiali, sono un’altra cosa. In più mettiamoci il caldo e il fatto che tutte le squadre sono sempre a tutta per i punti. Soprattutto in questo ultimo anno, sono a tutta da inizio stagione. Ci pensavo e mi dicevo: «Secondo me tanta gente arriva morta». Ed effettivamente tanti sono parsi sfiancati. Una volta si usciva dal Giro con la gamba per l’italiano, ma se oggi al Giro ti finisci e poi ti mandano allo Slovenia, al Giro di Svizzera, a Gippingen e all’Appennino, è chiaro che all’italiano ci arrivi sulle ginocchia.

Zoccarato all’attacco, seguito da Ginestra e Carollo dello Swatt Club: una prestazione di squadra che ha stupito Conca
Zoccarato all’attacco, seguito da Ginestra e Carollo dello Swatt Club: una prestazione di squadra che ha stupito Conca
Lettura acuta: la superiorità numerica di alcune squadre non si è tradotta automaticamente in superiorità atletica.

Alla fine solo Zoccarato ha fatto una grande gara. Ci avevo parlato ad aprile e mi aveva detto che non andava e che era stanco. Probabilmente proprio il fatto di aver corso poco a primavera gli ha permesso di arrivare bene all’italiano.

Come è stato correre un campionato italiano con una squadra di amatori e riuscire a vincere?

Sono rimasto sorpreso anch’io dalla prestazione di squadra. Ho letto articoli sull’Heat Training, di allenamenti al chiuso sui rulli, ma io non ho fatto nulla di tutto questo: non mi piace. Sono solo sceso da Livigno venti giorni prima e ho continuato ad allenarmi nelle ore più calde per migliorare l’adattamento. Sapevo che sarebbe stato fondamentale per fare la differenza rispetto ad altri che avevano corso da destra a sinistra, senza poter curare questo aspetto.

Hai visto la differenza in gara?

Col caldo la cosa fondamentale è non esplodere. Per cui vedevi tanti corridori pedalare molto bene e da un momento all’altro si piantavano in mezzo alla strada. E quello è il caldo, non è mancanza di gambe.

Domanda cattiva: se avessi avuto ogni giorno negli ultimi quattro anni questa determinazione, la storia sarebbe stata un po’ diversa?

Ne ho passate talmente tante che se non avessi avuto motivazione, avrei già mollato da un pezzo. E’ sempre servita una carica incredibile per riemergere dagli infortuni e ritrovare prestazioni buone. Nel 2022 ai Paesi Baschi ho preso un bruttissimo Covid e sono rimasto completamente a terra fino a metà maggio. Avrei dovuto correre il primo Giro d’Italia, mi è caduto il mondo addosso. Sono andato a Livigno e dopo 15 giorni di allenamento sono andato al Delfinato. Magari mi staccavo da 50-60 corridori però fare il Delfinato con meno di un mese di preparazione e dopo quattro settimane fermo significa che la determinazione c’era. Se uno davvero fosse esperto e guardasse certe dinamiche, anche se ormai si guarda solo a chi vince, avrebbe visto che i segnali di un buon potenziale si sono visti. So benissimo che sono un corridore normale, buono ma normale. Però neanche un corridore da buttare in discarica, come è successo l’anno scorso. E come me in Italia ce ne sono tantissimi, perché qui non abbiamo il paracadute di squadre che ti aiutano.

Tutto l’inverno pensando solo al tricolore: l’assalto di Conca ha dato frutti sperati e a loro modo storici
Tutto l’inverno pensando solo al tricolore: l’assalto di Conca ha dato frutti sperati e a loro modo storici
Cosa intendi?

Tante prendono gli juniores e non c’è più spazio per noi di 25, 26 anni. Chiaramente ognuno fa come vuole, ma è un peccato. Tutto lo sport è lanciato sui giovani, per far uscire il campione. Ma cosa succede se il campione non lo trovi? Intanto ci sono corridori come me, che fino a 26 anni continuano a crescere e nessuno li vuole. Abbiamo il misuratore di potenza e ogni anno vedo dei passi in avanti. Probabilmente, come caratteristiche fisiche, sono più adatto per aiutare, ma nelle gare secondarie posso anche raccogliere. Peso tanto, ma in salita non vado per niente piano.

Quest’anno meno gare e meno problemi?

Sono riuscito ammalarmi molto meno. Ho avuto qualche infortunio per cadute. A febbraio mi sono lesionato i legamenti alari del ginocchio in una caduta durante una gara di gravel, però alla fine son riuscito a essere più costante. A maggio ho investito una marmotta a Livigno. Ho preso un colpo forte in faccia, infatti ho ancora i segni, e ho fatto una settimana a non toccare la bici. Mi esplodeva la testa. Ho fatto due o tre TAC perché bisognava controllare che non si formasse liquido in testa, perché davvero faceva male. E lì ho ricominciato. Ho fatto quattro giorni di allenamento e ho deciso di andare a correre in Austria, perché mi sarebbe servita per l’italiano. Non sono andato pianissimo, però non ho potuto fare neanche una bella figura come ci si aspetterebbe da un professionista in una gara 2.2. Ho fatto nono nell’ultima tappa e undicesimo in generale.

Ti è servito per l’italiano?

Molto, visto il periodo, ero contento di quanto fatto. Sono ritornato a Livigno per 9-10 giorni. Ho avuto ancora tempo per fare dei bei blocchi di allenamenti e arrivare all’italiano, forse non al 100%, ma quasi.

Essere in una piccola squadra ti ha permesso di metterti a posto al meglio?

Un conto è se ti fermi per una o due settimane a causa di cadute. Magari il corpo ha tempo di recuperare e supercompensare. Altra storia se ti fermi una o due settimane per un virus con le squadre che ti mettono pressione per rientrare il prima possibile. Lo fai anche, ma sei comunque debellato ed entri in un circolo vizioso per cui ti porti dietro quella stanchezza per un mese e mezzo. Io questa volta ho avuto la possibilità di fermarmi e guarire.

Milano-Sanremo 2022, al secondo anno da pro’ arriva per Conca la Classicissima
Milano-Sanremo 2022, al secondo anno da pro’ arriva per Conca la Classicissima
Beretta ci ha detto che il tuo posto è in una grande squadra e sarà contento di vederti andare via.

Nella settimana dell’Agostoni, a ottobre, si sono tirate indietro la professional spagnola e l’italiana da cui attendevamo risposte. A quel punto mi sono trovato senza chance di trovare una sistemazione. Ho corso l’Agostoni sulle strade di casa con tutti gli amici sulle strade, con una rabbia incredibile. Ho attaccato da solo, una corsa pazza chiusa al nono posto (migliore della Q36.5, ndr). A quel punto Carlo Beretta mi ha proposto di parlare. Se entro dicembre non mi fosse arrivato nulla, avrei potuto correre con loro su strada, puntando tutto sul campionato italiano. Negli ultimi mesi ho cercato anche varie continental per correre da luglio, ma avevo deciso che l’italiano lo avrei vinto in maglia Swatt e a modo nostro abbiamo fatto la storia.

Se arrivasse la chiamata di una squadra più grande, come saresti messo con il passaporto biologico?

Ne parlavo ieri con il mio procuratore. Possono arrivarmi a fare i controlli quando vogliono, però probabilmente stano andando al risparmio e non vedo nessuno da parecchio tempo. In teoria quindi potrei fare delle corse professional, ma non WorldTour. Per quelle dovrei aspettare un periodo o che vengano a farmi dei controlli.

Sai già dove indosserai la maglia tricolore?

La verità: no. Lo Swatt Club non è stato accettato in tutta una serie di gare, dal Città di Brescia al Medio Brenta, passando per la Pessano-Roncola, ma non so neppure se con la maglia tricolore da pro’, potrei correrle. Perciò vediamo se in queste settimane arriva una squadra importante per finire la stagione dei professionisti. Alla fine era questo il mio obiettivo. Mi sarei accontentato anche di una continental e di non prendere lo stipendio, ma non mi hanno voluto.

Poche gare su strada e anche gravel: per Conca è arrivato un buon terzo posto a The Traka (foto Swatt Club)
Poche gare su strada e anche gravel: per Conca è arrivato un buon terzo posto a The Traka (foto Swatt Club)
Del resto finora hai sempre corso gratis, no?

Non ho contratto, prendo qualche rimborso. Per fortuna non ho sperperato negli anni da pro’. Mi sono comprato una casa che ho iniziato ad affittare ai turisti su Airbnb e Booking, in modo che con le entrate vado pari col mutuo. Però a 26 anni devi pure avere i soldi per campare e per fortuna avevo qualcosa da parte. Ho trovato assurdo non essere valutato da una continental neppure a costo zero. Eppure hanno tutti i nostri dati, hanno Strava e alcuni anche l’accesso su Training Peaks. Questo davvero è ciò che non riesco a spiegarmi.

La prima di Copenhagen nel WorldTour. Guarischi, dicci tutto

01.07.2025
5 min
Salva

Da sabato 21 giugno, il WorldTour ha una nuova classica al suo interno. La Copenhagen Sprint ha portato il meglio del ciclismo mondiale sulle strade della capitale danese, una città a misura di bici dove l’utilizzo delle due ruote è quasi privilegiato rispetto a quello delle auto. Dove c’è una disciplina rigorosa in fatto di circolazione stradale e un rispetto enorme per chi va in bici. La città si è dedicata per due giorni alla corsa ciclistica (al sabato le donne, alla domenica la prova maschile) e non c’è stata alcuna lamentela da parte degli automobilisti per una Copenhagen senz’auto, anzi…

Barbara Guarischi ha vissuto la Copenhagen Sprint lanciando la volata vincente della Wiebes
Barbara Guarischi ha vissuto la Copenhagen Sprint lanciando la volata vincente della Wiebes

Barbara Guarischi, in gara con la SD Worx è stata testimone diretta di come la città ha reagito al nuovo evento, per il quale si è preparata per un anno: «E’ stata una bellissima esperienza, posso dire che ci vorrebbero altre prove in grandi metropoli come questa, perché credo che criterium simili siano uno splendido messaggio promozionale per il ciclismo. Una prova ben organizzata, soprattutto nella parte del circuito finale, con tutto il centro città coinvolto. In Danimarca ho gareggiato spesso, per due anni ho fatto parte del Virtu Cycling Team, la squadra gestita da Bjarne Rijs, andavo lì anche per i ritiri e mi è sempre piaciuta parecchio».

Com’era il percorso?

Si partiva da Roskilde, fuori dalla città e la prima parte era tutta in campagna. Lì secondo me qualcosa va rivisto, alcune rotonde e alcune segnalazioni non sono state gestite al meglio, si passava in stradine un po’ strette dove infatti ci sono state parecchie cadute. Abbiamo avuto vento a favore fino a entrare in città e infatti la media è stata sempre molto alta.

La prima parte, da Roskilde, andrebbe rivista, soprattutto nel gestire l’avvicinamento alla città
La prima parte, da Roskilde, andrebbe rivista, soprattutto nel gestire l’avvicinamento alla città
E in città?

Si è andati davvero forte e non era facile gestire la corsa. Noi ci siamo messe davanti per tenere Lorena Wiebes fuori dai guai, ma è stata una gara dall’alto stress. Le cadute ci sono state anche nel gruppo, che si è spezzato e davanti sono rimaste abbastanza poche. Due ragazze del nostro team sono cadute e questo ci ha messo in difficoltà, ma siamo riuscite ugualmente a gestire il finale.

Infatti si è visto che a giocarsi la corsa era un gruppo molto ristretto…

Infatti nel penultimo giro c’è stata un’altra caduta e il gruppo si è sfilacciato, davanti siamo rimaste una ventina e per noi è stato oro, perché avevamo meno avversarie da controllare. A quel punto abbiamo potuto gestire lo sprint anche senza che ci fosse il treno perché ero rimasta solo io con Lorena. Ci siamo un po’ arrangiate, io sono dovuta partire un po’ presto rispetto alo solito e anche lei si è trovata a lanciare la sua volata molto da lontano, ma ha guadagnato metri importanti, vincendo in maniera netta.

C’è stato qualche momento di difficoltà? Le immagini televisive mostravano che la campionessa europea, nel giro conclusivo, era spesso intruppata nel gruppo…

Siamo sempre rimaste in contatto salvo in un frangente dove me l’ero persa in una curva, poi l’ho riportata davanti. Con lei è molto facile correre, mi segue con piena fiducia, posso gestire la corsa sapendo che lei c’è, per questo quando non l’ho vista alla mia ruota mi sono un po’ preoccupata, non capivo che cosa potesse esserle successo.

Tornando all’accoglienza della città, come ti è sembrato che abbia risposto?

Chiaramente nel corso delle fasi finali della corsa siamo molto concentrate e ci si accorge poco di quel che c’è attorno a noi, ma devo dire che si sentiva il calore della gente, lungo le strade ce n’era tantissima. L’organizzazione è stata molto buona per essere una prima edizione, se dovessi dire consiglierei solo di impiegare più gente nella gestione della parte iniziale, di avvicinamento a Copenhagen e nel circuito finale di renderlo un po’ più semplice, con qualche tratto dritto sulle lunghe strade di cui la città è piena. Nel complesso mi sono sentita abbastanza sicura, ma qualche accortezza in più sarebbe utile, ridurrebbe di molto anche il rischio di cadute.

Tantissima gente per le strade di Copenhagen, lungo un circuito altamente spettacolare
Tantissima gente per le strade di Copenhagen, lungo un circuito altamente spettacolare
E’ una corsa per velocisti?

Sicuramente, anche se nella prima parte il vento può avere un effetto sulla corsa. Ma a 100 chilometri dalla conclusione è difficile che cerchi di creare un ventaglio, avrebbe poche possibilità di portare a qualcosa di buono…

Mattio, il cammino continua: dal 2026 passerà nel WorldTour

01.07.2025
5 min
Salva

Pietro Mattio è pronto a fare il salto definitivo, quello che può dare il via alla sua carriera da professionista, il cuneese dal 2026 entrerà nella formazione WorldTour della Visma Lease a Bike. Alla fine di tre anni nel devo team è arrivato il momento di cogliere i frutti del lavoro fatto. Una bella soddisfazione per uno dei primi ragazzi junior andato a correre in formazioni estere. Infatti nel 2023, quando fu annunciato il suo approdo nella squadra dei giovani calabroni, la curiosità intorno al suo percorso di crescita era molta. 

«E ora andrò a correre con i professionisti – ci racconta ai margini di una tappa del Giro Next Gen, in apertura foto DirectVelo/Xavier Pereyron – la musica cambierà ancora. Però se la squadra pensa che sono pronto mi fa sentire onorato e molto felice. Anche io penso sia arrivato il momento di fare questo step, in questi tre anni sono cresciuto molto grazie al lavoro fatto insieme al team. Non c’era prospettiva migliore che passare nel WorldTour con la formazione che mi ha fatto maturare sia atleticamente che umanamente».

Mattio aveva iniziato la stagione correndo con i professionisti. Qui al Tour of Oman
Mattio aveva iniziato la stagione correndo con i professionisti. Qui al Tour of Oman
In cosa senti di essere cresciuto?

Sotto tutti i punti di vista, sono arrivato che ero un ragazzino e mi hanno insegnato cosa volesse dire correre in una delle squadre più forti al mondo. In questi anni non abbiamo mai lasciato nulla al caso e sono riusciti a farmi sviluppare bene. L’obiettivo che ci eravamo posti è stato raggiunto e quindi proseguiamo verso altri

Qual era il vostro obiettivo?

Chiaramente ambire ad entrare nella formazione WorldTour. La Visma cerca di prendere ragazzi giovani da inserire nella formazione di sviluppo (quella under 23, ndr) e di portarli alla maturazione necessaria per poi entrare nel massimo livello del ciclismo. Non si parla tanto di risultati ma di crescita.

Uno dei primi obiettivi di Mattio per questa stagione era la Paris-Roubaix Espoirs chiusa al quinto posto (foto Visma Lease a Bike)
Uno dei primi obiettivi di Mattio per questa stagione era la Paris-Roubaix Espoirs chiusa al quinto posto (foto Visma Lease a Bike)
Vero, però gli atleti guardano anche al risultato, da questo punto di vista ti aspettavi qualcosa in più?

A essere sincero no. Mi aspettavo di raccogliere esattamente quello che avete visto. Il 2025 mi lascia soddisfatto, ho corso una bella Paris-Roubaix Espoirs che era l’obiettivo della prima parte di stagione e abbiamo fatto un buon Giro Next Gen (nel quale Mattio ha colto anche un terzo posto nella sesta tappa, ndr).

Con quali ambizioni e quale umore si entra nell’ultima parte del tuo cammino nel devo team?

Forse più rilassato perché non ho più la pressione addosso di dover dimostrare qualcosa. Era un fattore personale, la squadra non mi ha mai messo alcun tipo di fretta. Questa “rilassatezza” magari mi permetterà di correre più leggero e di provare a vincere una gara o qualcosa di più importante.

Al Giro Next Gen l’azzurro della Visma Lease a Bike Development ha ottenuto un ottimo terzo posto nella sesta tappa (foto La Presse)
Al Giro Next Gen l’azzurro della Visma Lease a Bike Development ha ottenuto un ottimo terzo posto nella sesta tappa (foto La Presse)
Magari chiudere il cerchio con una vittoria?

Questa sarebbe la cosa più bella ma vedremo come si svilupperà il resto della stagione. 

E con quali ambizioni inizi a pensare al prossimo futuro?

Sicuramente la stagione inizierà molto presto, di solito i primi anni partono dal Tour Down Under a gennaio. Non si sanno ancora i programmi ovviamente ma lavoreremo per arrivare pronti e dare subito supporto ai capitani. 

Mattio porterà con i professionisti tutto ciò che ha imparato in questi anni nel devo team, un percorso che gli ha fatto imparare tanto
Mattio porterà con i professionisti tutto ciò che ha imparato in questi anni nel devo team, un percorso che gli ha fatto imparare tanto
Che forse è una delle caratteristiche che ti ha contraddistinto maggiormente anche in questi anni da under 23?

Sì, mettermi al servizio dei miei compagni è la qualità che mi rispecchia maggiormente. L’ho fatto spesso e così come a questo Giro Next Gen lavorando per Nordhagen. 

Arrivi nella formazione WorldTour dove corre un altro italiano che ha caratteristiche simili alle tue, Affini. 

E’ uno degli uomini squadra più importanti della Visma, lo ha dimostrato in passato e al Giro accanto a Yates. Ora lo porteranno anche al Tour con Vingegaard. Ho già avuto modo di conoscere Affini lo scorso inverno in ritiro, abbiamo fatto un allenamento insieme. Sicuramente è un ragazzo dal quale posso imparare davvero molto. 

Guardando al Pietro che è entrato nel devo team giovanissimo e senza questi baffi qual è l’aspetto in cui ti senti maggiormente migliorato?

Il fisico (dice con un sorriso velato proprio sotto ai baffi, ndr). Sono cambiato molto con gli allenamenti, la squadra punta tanto sulla preparazione e mi hanno sempre permesso di arrivare al mio meglio negli appuntamenti più importanti. Mi hanno insegnato cosa vuol dire essere una squadra e questa cosa la porterò con me anche il prossimo anno.

Nuove regole UCI: manubri, ruote, rapporti… non tutto è chiaro

01.07.2025
6 min
Salva

E’ in arrivo una svolta regolamentare nel ciclismo professionistico. A partire dal 1° gennaio 2026 entrerà in vigore una serie di regole UCI riguardanti manubri, rapporti, ruote e gomme, tutte pensate per aumentare la sicurezza e l’equità delle competizioni.

Le nuove norme sono frutto di un lavoro condotto da SafeR, l’organizzazione per la sicurezza nel ciclismo professionistico, in collaborazione con squadre e corridori. Tuttavia, il recepimento da parte degli atleti non è stato affatto unanime né così convinto. Abbiamo analizzato i tre principali cambiamenti in arrivo e raccolto il punto di vista di Cristian Salvato, presidente dell’Accpi, la rappresentanza italiana dei corridori. E non solo…

Vediamo prima nel dettaglio le regole su strada (perché alcuni cambiamenti riguardano anche pista e cross) e poi aggiungiamo le considerazioni degli interessati.

La larghezza interna minima delle leve deve essere di 32 centimetri (misurata tra i bordi interni delle leve stesse)
La larghezza interna minima delle leve deve essere di 32 centimetri (misurata tra i bordi interni delle leve stesse)

I manubri

Le bici da strada dovranno avere una larghezza minima del manubrio di 400 millimetri misurata tra i bordi esterni, con almeno 320 millimetri tra le leve freno (bordi interni) e 380 millimetri centro-centro.
Oltre al minimo, l’UCI ha fissato una distanza massima di 50 millimetri tra l’estremità interna e quella esterna del manubrio sullo stesso lato, per limitare geometrie estreme. In pratica profili troppo alari.

Questa regola mira a impedire l’adozione di manubri troppo stretti che, pur migliorando l’aerodinamica, compromettono la stabilità e la sicurezza in gruppo.
Secondo l’UCI, si tratta di uno standard condiviso dalla maggior parte dei produttori. Tuttavia, il tema ha acceso un dibattito, specie tra le atlete più minute che spesso preferiscono misure più compatte. L’approccio, secondo l’UCI, è stato condiviso con le parti in causa, ma nel gruppo c’è chi ha percepito una comunicazione a senso unico.

Parlando con i team, emerge che il questionario da compilare non sia stato particolarmente capillare. Dario David Cioni, per esempio, ci ha detto che non ha ricevuto nulla e che, se qualcosa è arrivato, è arrivato al team. Roberto Reverberi ci ha riferito che effettivamente è giunto, ma pochissimi giorni prima dell’annuncio ufficiale: come a dire “ve lo chiediamo, ma abbiamo già deciso”.

Sparirà il pignone da 10 denti di Sram? Probabilmente sì, a patto di non usare corone da 50 denti per restare entro i 10,46 m di sviluppo massimo
Sparirà il pignone da 10 denti di Sram? Probabilmente sì, a patto di non usare corone da 50 denti per restare entro i 10,46 m di sviluppo massimo

I rapporti

Un’altra grande novità riguarda la limitazione del rapporto massimo: nella seconda metà del 2025, in alcune corse a tappe ancora da definire, verrà testato il limite di 54×11 (10,46 metri di sviluppo a pedalata).
«La misura – spiega l’UCI – è volta a contenere la velocità e, quindi, il rischio di cadute e incidenti. Si tratta di una sperimentazione, ma potrebbe preludere a una regola definitiva a partire dal 2026».

Il provvedimento, però, non ha trovato il consenso degli atleti, che lo considerano inutile se non dannoso. Secondo Cristian Salvato e altri corridori interpellati, le alte velocità si raggiungono in discesa, dove i rapporti lunghi servono per non perdere terreno e non sono in sé causa di pericolo. Inoltre, la variabilità delle sezioni degli pneumatici rende complicata anche la misurazione reale dello sviluppo metrico stesso. Per molti, l’efficacia di questa regola è tutta da dimostrare.

Abbiamo chiesto anche a un meccanico, Francesco Giardiniere della Red Bull-Bora: «Queste regole ci costringeranno a fare un bel lavoro: dovremo rivedere molte misure. Per quanto riguarda le cassette, noi in SRAM abbiamo anche quella che termina con l’11, ma poi dovremo montare corone diverse. Vedremo cosa ci forniranno».
Il nuovo limite metrico è di 10,46 metri, quello del 54×11. Anche con un 52×10 si sarebbe oltre, visto che equivale a circa 11,18 metri.

Gli fa eco Stefano Zanatta, direttore sportivo della Polti-VisitMalta : «Questa cosa dei rapporti mi sembra una sciocchezza. Come si fa ad aprire ai rapporti liberi tra gli juniores e poi bloccarli tra i professionisti? E poi noi il materiale lo paghiamo: acquistare 40-50 cassette che costano 300 euro l’una è una spesa enorme. Ma chi decide queste cose non ci pensa». Anche Zanatta ha confermato che, se il questionario è arrivato, è rimasto chiuso in qualche mail di squadra senza essere diffuso.

Definiti i profili massimi delle ruote: 65 millimetri. Ma questo inciderà meno
Definiti i profili massimi delle ruote: 65 millimetri. Ma questo inciderà meno

Ruote e gomme

Terza e ultima area di intervento riguarda ruote e gomme. Dal 1° gennaio 2026 sarà vietato utilizzare cerchi con altezza superiore ai 65 millimetri nelle gare su strada. Anche in questo caso, lo scopo dichiarato è migliorare la stabilità e la maneggevolezza delle bici.

Questa misura sembra meno controversa, in quanto i profili da 60 millimetri sono già molto diffusi nel gruppo e le ruote più alte sono poco utilizzate.

Più dibattuta la questione delle gomme, che l’UCI vorrebbe rendere standard la sezione di 28 millimetri. La misura sarà oggetto di un test in una gara da individuare entro la fine del 2025.
Collegate alle sezioni delle gomme sono anche le misure interne delle forcelle e dei foderi posteriori: 115 millimetri all’anteriore e 145 millimetri al posteriore.

«Una ruota più larga – osserva Salvato – andrà anche più veloce, ma assicura anche una tenuta migliore».

Cristian Salvato, presidente ACCPI (associazione corridori ciclisti professionisti italiani)
Cristian Salvato, presidente ACCPI (associazione corridori ciclisti professionisti italiani)

Parola a Salvato

Il polverone si è alzato. Le donne si sono arrabbiate più degli uomini per quanto riguarda i manubri: tra loro, essendo più minute, è più diffuso l’uso di pieghe da 36 centimetri centro-centro. Alla fine, bisogna essere onesti: la misura di 40 centimetri esterno-esterno corrisponde spesso a pieghe da 38 centimetri, accettabili per la maggior parte degli uomini. Più delicato il posizionamento delle leve, che devono distare almeno 32 millimetri, ma questa è un’estensione della regola sulla rotazione interna di 5° introdotta tempo fa.

«Sui manubri – sottolinea Salvato – è giusto evitare estremismi come leve troppo piegate o pieghe da 35 centimetri. Ma bisogna considerare la conformazione fisica degli atleti, specie delle donne. Delle regole rigide possono creare problemi».

La sicurezza secondo Salvato non passa solo dalle regole, ma anche da arrivi con barriere più idonee e circuiti da poter mettere in sicurezza
La sicurezza secondo Salvato non passa solo dalle regole, ma anche da arrivi con barriere più idonee e circuiti da poter mettere in sicurezza

Quale sicurezza?

«Sono regole nate con intenti nobili – osserva Salvato – ma rischiano di diventare pura burocrazia. Capisco lo spirito di SafeR e dell’UCI di voler rallentare le corse per migliorare la sicurezza. Ma limitare i rapporti o la sezione delle gomme rischia di essere solo una forzatura senza benefici reali. Le vere priorità sono altre».

Più netta la sua posizione sulla limitazione dei rapporti: «E’ una misura insensata. In discesa la velocità non dipende certo dal 54×11. Inoltre si rischia di tornare ai metodi da giovanissimi, con le strisce a terra per misurare lo sviluppo. Siamo seri… La vera sicurezza è nelle barriere protettive, per dirne una, nei circuiti pensati con intelligenza. Se vogliamo proteggere i corridori, iniziamo da lì».

Salvato fa un paragone forte ma efficace: «Nel motociclismo, in 40 anni è cambiato tutto: tute, airbag, circuiti sicuri, vie di fuga. Nel ciclismo, rispetto ai tempi di Gimondi, abbiamo solo caschi più aerodinamici. Per il resto gli arrivi sono sempre gli stessi, con l’aggravante che le città moderne, piene di spartitraffico, rotonde, dossi e pali, sono pensate per le auto, non per le bici. Anche per questo insisto sui circuiti: si possono progettare e mettere in sicurezza molto meglio rispetto a una gara di 200 chilometri in linea».

Conca tricolore: la lettura (non banale) di Visconti

01.07.2025
4 min
Salva

Dopo la vittoria di Conca al campionato italiano, si sono lette le interpretazioni più variopinte e critiche. Qualcuno ha scritto che si sia trattato del punto più basso per il ciclismo italiano: la sua sconfitta. Qualsiasi cosa si dica, si corre il rischio di prendere una cantonata. Si possono bastonare i team che non hanno onorato la corsa. Si può esaltare il lavoro dello Swatt Club. Altrimenti si può rilevare che non tutte le squadre siano sottoposte agli stessi regolamenti. Alla fine la sola cosa che non si è fatta (abbastanza) è stata riconoscere merito al vincitore. Il campionato italiano è una corsa a parte, che si vince o si perde anche per un’intuizione. Per Giovanni Visconti, tre maglie tricolori in bacheca e attualmente talent scout per il Team Jayco-AlUla, qualcosa di insolito è successo, anche se la sua analisi della situazione non si allinea alle tante di cui ha letto.

«Che cosa significa – dice – che ha perso il ciclismo italiano? Mi sembra banale, non è da adesso che siamo in crisi nera. Manca una grande struttura che possa raccordare tutte le categorie. I pur volenterosi Reverberi e Basso fanno quello che possono per rimanere al passo con le grandi, ma non possono prendersi la responsabilità di questa disfatta. Anche se le loro squadre domenica sono state davvero al di sotto delle aspettative, a parte l’azione di Zoccarato. Hanno perso le squadre che non hanno confermato Conca? Ha perso la Lotto con cui è passato professionista? Ha perso la Q36.5? Purtroppo non si aspetta più e non è solo un problema italiano, ma del mondo dello sport in genere e di ogni altro ambito della vita…».

Giovanni Visconti, classe 1983, ha vinto per tre volte il tricolore pro’. Lavora alla Jayco-AlUla come talent scout
Giovanni Visconti, classe 1983, ha vinto per tre volte il tricolore pro’. Lavora alla Jayco-AlUla come talent scout
Resta il fatto che Filippo Conca, corridore disoccupato, è il nuovo campione italiano.

E’ una bellissima storia e sono contento che ce l’abbia fatta. Magari può essere stato un errore non aver dato fiducia a un ragazzo di cui si parlava bene e che ha avuto tanta sfortuna. Magari potevano prenderlo le nostre professional, invece di essere preda della frenesia di far passare i più giovani. Da un lato è vero che ha avuto quattro anni per dimostrare qualcosa e non ci è riuscito. Dall’altro prendiamo atto che questo ciclismo ormai valuta gli atleti soltanto in base agli ordini di arrivo.

Si perde una corsa come il campionato italiano anche perché non la si affronta nel modo giusto?

Bisogna affrontarlo tanto freschi mentalmente e probabilmente qualcuno non lo era. Alcuni fra i corridori più conosciuti secondo me sono arrivati troppo scarichi oppure l’hanno presa sotto gamba. Milan ha fatto una grande corsa, altri sono spariti. Bisogna essere al 100%, visto anche il caldo. Quando mi sono messo a guardare la diretta, non riuscivo a credere ai miei occhi. E alla fine leggendo l’ordine di arrivo, si è capito che qualcuno è andato alla partenza senza avere la testa o le gambe giuste. Oppure bisognerebbe dire che ha sbagliato anche chi li guidava.

Resta il fatto che una squadra di amatori ha messo nel sacco le nostre professional, al via con 10-11 corridori…

Dal punto di vista tattico è stata una gara pessima, ma mi sembra banale dire che abbia perso l’Italia. L’Italia perde da anni, come dicevamo, perché non ha una struttura che riesca a stare al passo con quelle che comandano nel ciclismo attuale. Hanno perso tutti, anche i singoli. Mi è parso che ci sia stata poca voglia di onorare una gara del genere, mi soffermerei più su quello. E’ normale che quando uno ha l’acqua alla gola e ha una sola occasione per dimostrare qualcosa, sia al massimo e abbia grandi motivazioni. Invece sembra quasi che gli altri siano arrivati all’italiano tanto per farlo e a me fa ancora più tristezza.

La maglia tricolore senza sponsor: un podio diverso dalle attese. Dietro Conca, Covi e Pesenti
La maglia tricolore senza sponsor: un podio diverso dalle attese. Dietro Conca, Covi e Pesenti
Ne hai vinti tre, l’italiano è veramente una gara a sé?

Al campionato italiano ci sono i favoriti che partono in 2-3 e quindi si trovano a rincorrere. Ci sono squadre che partono in 10 e riescono a fare la differenza. Poi ci sono gli outsider, i corridori elite come quelli dello Swatt Club, che danno il tutto per tutto sapendo che è una gara stranissima, dove anche andare in fuga in partenza spesso si rivela decisiva. Guardate Zoccarato in fuga anni fa con Colbrelli… Quando salta il controllo, anche se hai il favorito numero uno, non riesci a tenere la corsa. E’ davvero una gara a parte.

Una squadra di amatori in mezzo ai professionisti: resta una stranezza.

Una volta parlando di Gaffuri, si sarebbe riso: cosa faccio, prendo un amatore? Oggi non bisogna più escluderlo, bisogna adeguarsi. Forse domenica è stata la sconfitta definitiva di chi pensa che il ciclismo sia sempre quello di trent’anni fa. Ci sono ragazzi che crescono in modo diverso. Benvengano le Zwift Academy o i nuovi metodi di scoperta dei talenti. Non sto facendo le lodi dello Swatt Club, perché costruire una squadra è un’altra cosa. Va fatto un lavoro diverso, completo e profondo, basato non solo sui numeri ma su tante altre sfaccettature che possono far pensare che un corridore possa avere futuro. Il mio lavoro attuale, ad esempio. Ma la vittoria di Conca ci dice una cosa molto chiara.

Quale?

Accettiamo di vivere in una diversa epoca dello sport, ma prendiamo coscienza che non abbiamo più così tanto tempo per riprendere la strada.

Con Amadori ragionando di U23 e della nuova regola UCI

01.07.2025
6 min
Salva

BRA – L’UCI ha ufficializzato che dalla prossima stagione i corridori professionisti, quindi coloro che già militano in squadre professional e WorldTour, non potranno partecipare alle prove di Nations Cup riservate agli under 23. Già a fine 2024, dopo i mondiali di Zurigo, l’Unione Ciclistica Internazionale aveva deciso di escludere gli atleti U23 tesserati come professionisti da europei e mondiali. 

La notizia riportata a inizio articolo, arrivata durante il Giro Next Gen, porta con sé delle novità importanti in termine di gestione dei giovani che passano nel WorldTour o in formazioni professional

Turconi è l’unico U23 che corre tra i pro’ a rientrare nei piani di Amadori per il 2025, con obiettivo Avenir (foto Tomasz Smietana)
Turconi è l’unico U23 che corre tra i pro’ a rientrare nei piani di Amadori per il 2025, con obiettivo Avenir (foto Tomasz Smietana)

Rimandato

Di questa nuova regola UCI si è parlato anche riguardo ai piani di crescita di Paul Seixas, che sta sorprendendo tutti al suo primo anno da professionista con la Decathlon AG2R La Mondiale. Il francesino potrebbe avere nel mirino il prossimo Tour de l’Avenir, visto che dal 2026 non potrà correrlo, ma la federazione francese deve capire come gestire i programmi. Lo stesso discorso vale per la nostra nazionale, infatti tra i prospetti più interessanti di quest’anno c’è Filippo Turconi. Il corridore della Vf Group-Bardiani è stato il migliore degli italiani al Giro Next Gen. Per lui però questo sarà l’ultimo anno in cui potrà contare sull’appoggio della nazionale under 23 nel suo cammino di crescita. 

«Penso che l’UCI – dice Marino Amadori, cittì della nazionale italiana U23 – stia mettendo ordine in questa categoria. Per quanto riguarda i professionisti abbiamo messo nell’orbita della nazionale under 23 solamente Filippo Turconi (i due sono insieme nella foto di apertura). Sarebbe un secondo anno, l’ho visto crescere tanto nel 2024 e con lui avevamo fatto un progetto che mi piacerebbe terminare con il Tour de l’Avenir. So che non potrà essere dei nostri all’europeo e al mondiale, ma questo è un discorso inerente solo a lui. Infatti gli altri ragazzi con i quali ho lavorato e con cui lavorerò saranno tutti presi da devo team o formazioni continental e di club».

La regola a proposito di mondiali ed europei aveva già cambiato i piani?

Sicuramente sì, il fatto che poi dal prossimo anno la regola si allargherà anche alle prove di Nations Cup è un fattore che ho dovuto tenere in considerazione. Mi spiace per quei ragazzi che saranno tagliati fuori, ma devo lavorare con corridori ai quali proporre un cammino di crescita strutturato

Turconi chiuderebbe un po’ il cerchio in questo senso?

Con lui avevamo iniziato un percorso lo scorso anno, il suo primo da under 23 e da professionista, e voglio farglielo concludere. A inizio 2025 ci eravamo detti di fare dei passi con l’obiettivo dell’Avenir. Siamo partiti dalla Polonia proprio con l’intento di testare il ragazzo, il riscontro è stato più che positivo quindi andremo avanti. Per gli altri purtroppo non si potrà fare anche perché comunque il lavoro deve essere fatto anche in ottica europeo e mondiale, senza dimenticare che l’Avenir è un banco di prova anche per atleti dei devo team e delle continental.

Come si lavorerà in ottica mondiali ed europei?

Considerando che saranno dopo l’Avenir dovrò sicuramente portare dei ragazzi che potranno essere protagonisti in quelle prove. Sarà un passaggio obbligato ma fondamentale, senza dimenticare che al mondiale per il momento avrò con me solamente quattro corridori. 

La nuova regola UCI dal 2026 metterà tanti giovani che prima lavoravano con te nelle mani di Villa, avete parlato di come gestirete la cosa?

Avete pienamente ragione. Con il fatto di avere le gare di Nations Cup aperte anche ai professionisti avevo modo di far girare tanti ragazzi e di tenerli attivi anche nell’ottica di essere convocati in nazionale. Gli under 23 professionisti dal 2026 dovranno aspettare le decisioni di Marco Villa, non so se dal prossimo anno farà qualche gara convocando i giovani o ragazzi di secondo piano.  

Il lavoro che hai sempre fatto tu come cittì dell’U23 ora va traslato sulla nazionale maggiore?

Se Villa stesso vorrà lavorare su una base di ragazzi giovani in prospettiva di Los Angeles 2028, e degli impegni futuri, dovrà fare un calendario che permetta loro di crescere e a lui di conoscerli. Questi ragazzi devono entrare nel giro della nazionale, indossare la maglia azzurra e sentirne la responsabilità. Che era il senso di fare tante prove di Nations Cup con la nazionale U23 e avere diversi ragazzi nel giro azzurro. 

Amadori, qui con Lorenzo Mark Finn al Giro Next Gen, crede molto nel lavoro dei devo team e delle squadre continental
Amadori, qui con Lorenzo Mark Finn al Giro Next Gen, crede molto nel lavoro dei devo team e delle squadre continental
In un certo senso questo limite non è troppo grande? 

Penso che chi ha in gestione gli juniores e gli under 23 deve avere un occhio di riguardo e capire, per il bene del loro assistito, quale percorso fargli fare. Ora sanno che se li portano nel mondo dei professionisti non hanno più il supporto di quella che sarebbe la nazionale di categoria. Quindi ci sarà da capire cosa fare, le alternative valide a livello under 23 ci sono perché oltre ai devo team ci sono anche formazioni continental italiane che lavorano bene. 

L’UCI ha messo un limite che in qualche modo obbliga a ragionare su una crescita graduale?

Penso di sì e sono d’accordo. Un percorso di due anni con un calendario adeguato permettono di maturare in maniera solida e di trovare la propria dimensione. Veder passare tanti junior direttamente nel professionismo è un grosso rischio perché se poi non va bene qualcosa tornano indietro e non li recuperi più.

La storia di Fuente, lo “spauracchio” di Merckx

30.06.2025
6 min
Salva

«Di avversari ne ho avuti tanti, ma quello che mi ha fatto davvero dannare in salita è stato uno: José Manuel Fuente». Un’attestazione di stima da parte di Eddy Merckx che arriva con molti anni di ritardo per “El Tarangu”. Così era chiamato, “lo smemorato”, com’era soprannominato l’asturiano, morto a soli 50 anni per una pancreatite acuta. Colpo di grazia da parte di un fisico che gli aveva sempre dato problemi, ostacolando il suo talento. Oddio, anche la testa ci metteva del suo, considerando alcuni attacchi scriteriati che gli sono costati più di un successo.

L’iberico era il prototipo dello scalatore puro, tutto scatti e rilanci, ma faticava a tenere velocità
L’iberico era il prototipo dello scalatore puro, tutto scatti e rilanci, ma faticava a tenere velocità

Uno scalatore tutto talento

Fuente però era uno scalatore sopraffino, purissimo. Forse il vero prototipo di colui che appena vede la strada rizzarsi sotto le ruote si scatena e stacca tutti. In questo senso era l’espressione di quel talento che, quando lo guardi, pensi sia un dono della natura, come una giocata di Maradona o una volée di Federer. José lo aveva capito subito, si era innamorato ben presto della bici. Sul finire degli anni Sessanta, aveva capito che attraverso di essa poteva affrancarsi dalla sua condizione di povertà contadina nella quale era nato. Non erano certo i tempi odierni, non giravano tanti soldi nel mondo delle due ruote, ma per lui significava comunque fare la differenza.

Il primo suo anno fra i grandi è il 1970: esordisce fra i grandi con una vittoria di tappa al Giro di Catalogna e si distingue alla Vuelta (allora antipasto del Giro d’Italia) finendo 16° ma conquistando la maglia di miglior giovane. L’anno dopo è già maturo per grandi traguardi. Visto che la Vuelta non è andata bene, si schiera al via sia al Giro che al Tour. La classifica è ancora qualcosa di troppo grande, ma intanto si fa vedere cogliendo la vittoria a Pian del Falco e, alla Grande Boucle, a Luchon e Superbagneres. Fuente ormai è pronto…

Lo spagnolo era alla Kas, che al tempo univa quasi tutti i migliori spagnoli del momento
Lo spagnolo era alla Kas, che al tempo univa quasi tutti i migliori spagnoli del momento

La storia di Fuente, la storia della Kas

Nel 1972 passa all’incasso. L’asturiano corre nella Kas, formazione che raggruppa molti dei migliori corridori iberici. Alla Vuelta è uno squadrone che lascia agli avversari le briciole e per i direttori sportivi c’è da lavorare per tenere in ordine le aspirazioni singole. Fuente parte come leader insieme a Miguel Maria Lasa che conquista subito la maglia amarilla, per poi passarla dopo due giorni a Domingo Perurena. Il giovane rampollo aspetta il suo turno e questo arriva a Formigal, dove bisogna decidere solo chi vince, perché fra i primi 8 di classifica ci sono 6 dello stesso team. Fuente fa il vuoto, guadagna quasi 7’, la maglia è sua. Ora però non c’è tempo per riposare: dopo una settimana parte il Giro e lo spagnolo sogna di staccare anche il Cannibale…

Al Giro è subito pronto a graffiare e lo fa non in una tappa semplice, ma sul Blockhaus, dove Merckx aveva già trionfato. Il belga non si aspetta che quello spagnolo vada così forte, invece gli scatta in faccia e al campionissimo non resta che lasciarlo andare e limitare i danni. Fuente va a prendersi la maglia rosa, ma certe malizie del ciclismo ancora non le conosce. Merckx si mette d’accordo con Gosta Pettersson, lo svedese campione uscente, e gli tende un tranello a Catanzaro, lo spagnolo ci casca e perde la rosa. Il fatto che sia il più forte in montagna è la sua delizia ma anche la sua croce: appena la strada si rizza lui prova, senza contare su alcuna tattica, senza strategie. E nella tappa dello Jafferau paga pegno: attacca troppo da lontano, finendo per spomparsi. Merckx ringrazia, sullo Stelvio lo tiene a bada lasciandogli la vittoria e alla fine vince con 5’30” di vantaggio.

L’asturiano insieme a Ocana, grande rivale “interno” che ebbe più fortuna

Galibier e Izoard, una sfida come sul ring

Nel ’73 Fuente sceglie un approccio più soft al Giro perché la corsa rosa gli piace, e tanto. Niente Vuelta, nella corsa rosa vince il tappone di Auronzo di Cadore e riconquista la maglia verde, ma in classifica è solo 8°. Il suo vero obiettivo però è il Tour, disertato dal Cannibale così sono in tanti ad ambire al successo. La sua partenza è ad handicap perché sul pavé proprio non va, rimbalza, finisce che perde oltre 7’. In salita prova a riprendersi e nella tappa di Galibier e Izoard regala un grande spettacolo con il compatriota Luis Ocana, si sfidano con scatti a ripetizione ma alla fine è quest’ultimo a spuntarla, staccandolo di 58”. Fuente finirà terzo in classifica, dietro lo stesso Ocana e Thevenet e pochi si accorgono che così è il primo iberico a salire sul podio dei tre grandi giri. Impresa per pochi…

L’anno dopo si prende la rivincita alla Vuelta, portando il francese al ritiro dopo la prima settimana e battendo lo stesso Ocana che non sale neanche sul podio. Ma nella cronometro finale un lungo brivido gli scorre lungo la schiena, con quel traguardo che non arriva mai mentre il portoghese Agostinho quei chilometri se li è mangiati. Alla fine la spunta per soli 11”: al traguardo non riesce neanche a esultare, tanta è stata la fatica.

Fuente in rosa. La sua grande occasione è stata nel ’74, quand’era reduce dal secondo successo alla Vuelta
Fuente in rosa. La sua grande occasione è stata nel ’74, quand’era reduce dal secondo successo alla Vuelta

L’attacco a Sanremo e la crisi sul Longan

Torna al Giro, alla terza tappa a Sorrento è già in rosa e inizia a colpire Merckx come farebbe un pugile sul ring, mettendo l’avversario alle corde e tempestandolo di colpi: sul Carpegna gli rifila 1’05”, al Ciocco 41” e nella cronometro di Forte dei Marmi i secondi gli sono ancora favorevoli, ne salva 18”. Merckx comincia a paventare la sconfitta, perché arrivano le Alpi ma ancora una volta Fuente non sa gestirsi. Nella tappa di Sanremo va all’attacco troppo presto e sul Longan va in crisi nera perdendo 8’.

Il seguito è un lento recupero: 2’21” sul Monte Generoso, 13” a Iseo, 1’47” sulle Tre Cime di Lavaredo. Tappe che non fanno che confermare che contro Merckx, contro “quel” Merckx avrebbe potuto vincere, con una condotta meno scriteriata perché il belga non lo teneva. E’ l’ultimo squillo della sua carriera, nel 1976 si ritira per problemi renali che lo porteranno anche a un trapianto, fino alla sua scomparsa.

Il corridore di Limanes, nel ’76 affiancò Gimondi alla Bianchi, ma i reni iniziavano a dare grandi problemi
Il corridore di Limanes, nel ’76 affiancò Gimondi alla Bianchi, ma i reni iniziavano a dare grandi problemi

Il problema dell’iperinsulinemia

Solo con il tempo si scoprirà che Fuente era affetto da iperinsulinemia, uno scompenso di glucosio che lo portava in date condizioni ad andare in crisi, senza un’alimentazione e un’idratazione adeguata. Oggi sarebbe uno scherzo risolvere il problema ma allora erano altri tempi e forse il fatto che a fronte dei suoi ripetuti scatti aveva difficoltà a tenere alti ritmi senza dover subito rilanciare si deve proprio a questo. Ma in salita faceva male, eccome…