Sulle Alpi un altro Tour. E Vingegaard troverà la crepa nel muro?

19.07.2025
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Tre corse nella stessa. E mentre Thymen Arensman corona la sua con la vittoria e stramazza sull’asfalto, alle sue spalle si svolgono le altre due: la corsa di Vingegaard contro Pogacar e quella di Lipowitz verso la maglia bianca. Mesto su un’ammiraglia in qualche posto imprecisato della tappa, Remco Evenepoel ha avuto il tempo per riflettere sul ritiro dal Tour. In attesa di avere notizie su eventuali problemi di salute, annotiamo le osservazioni del suo allenatore sul poco lavoro d’intensità fatto dopo il Delfinato, ma anche la facilità con cui il belga ha scelto di mollare. Si cresce anche lottando per un piazzamento, non esiste soltanto il podio.

«Sono stato male preparando il Tour – dice Arensman – ma penso che nonostante la malattia, mi sia preparato bene. Sono venuto per mettermi alla prova e ho dovuto essere molto paziente nella prima settimana, aspettando fino alle montagne. Alla prima occasione che ho avuto, sono arrivato secondo nella tappa di Le Mont Dore e già mi era parsa un’esperienza incredibile. Ma questa è di più. Penso di avere avuto gambe fantastiche e la forma migliore della mia vita. Ho avuto paura che tre minuti non bastassero per resistere a Tadej e Jonas, non riesco a credere di essere riuscito a tenerli a bada. Tutti gli spettatori mi hanno dato qualche watt in più. Sono venuto in Francia solo per vivere l’esperienza del Tour, vincere una tappa è pazzesco».

Il muro di Pogacar

Vedere Vingegaard che si scaglia contro Pogacar strappa il sorriso. Ma siccome è opinione diffusa che la terza settimana potrebbe capovolgere tutto l’acquisito, vedere Jonas scattare per due volte sulla salita finale fa dire che ne servirebbe di più, ma ben venga la buona volontà. Il Tour ha sempre vissuto dei duelli tra il leader imbattibile e i suoi sfidanti, ma solo uno prima di Pogacar aveva dato il senso dell’inscalfibilità: Lance Armstrong. Tutti, da Ullrich a Basso, contro di lui hanno perso il sonno e le sfide. Hanno continuato a provarci, ma di base come fai a crederci se quello là davanti neppure barcolla e, quando sei convinto di andare molto forte, ti scatta in faccia?

«Io credo che innanzitutto dipenda dallo spirito – dice Ivan Basso, chiamato in causa per la sua esperienza – dal temperamento del corridore. Se sei un attaccante, hai lo spirito di provarci sempre, perché non si sa mai cosa possa succedere. Ovviamente se non ci provi, non puoi sapere se l’altro sia in difficoltà o meno. E se lui ha la giornata storta e tu ne hai una di grazia, non c’è niente di impossibile. Io credo che Vingegaard non abbia nulla da perdere, nel senso che fare secondo non gli cambia nulla, mentre vincere il Tour con un’impresa sarebbe un’altra cosa. E’ chiaro che Tadej ha preparato questa gara come appuntamento clou dopo le classiche, quindi è fortissimo».

Basso ha lottato per anni contro Armstrong, senza riuscire mai a scalfirne l’armatura
Basso ha lottato per anni contro Armstrong, senza riuscire mai a scalfirne l’armatura

I numeri e l’istinto

Vingegaard appare deciso a non mollare e da martedì sul Mont Ventoux, potrebbe farsi nuovamente sotto.

«A questo punto – spiega Basso – ci sono due modi per provare ad attaccare Tadej. Il primo è legato all’analisi dei dati. Nelle squadre c’è qualcuno incaricato di studiarli, studiando se c’è una crepa in cui infilarsi. E poi ovviamente ci sono le doti dell’atleta, l’istinto e il colpo d’occhio. Quindi se l’istinto ti dice di andare in quel momento, tu ci provi e non sai mai quello che succede. Avere i dati è fondamentale. Servono per crescere, anche per andare indietro e vedere perché non vai o perché non vai come ti aspetti.

«Ma oltre a questo c’è quella cosa in più, che solo i campioni hanno e tirano fuori quando ritengono che sia giunto il momento. Infine c’è quello che ti viene dall’ammiraglia. Dall’immagine dell’elicottero si vede molto. Vedi dov’è posizionato l’avversario e se ha perso un metro oppure se ti segue come un’ombra. Io le ho provate in tutti i modi, ma Armstrong mi ha sempre ripreso. Però non avrei saputo correre in modo diverso».

Lipowitz ha tagliato il traguardo con 1’25” di ritardo da Arensman, ma nella scia di Pogacar
Lipowitz ha tagliato il traguardo con 1’25” di ritardo da Arensman, ma nella scia di Pogacar

La nuova maglia bianca

Mentre i primi due della classe se le davano di santa ragione, alle loro spalle Lipowitz ha conquistato il quinto posto a 1’25” da Arensman, ma ad appena 17 secondi da Pogacar. Questo gli ha reso la maglia bianca, che detiene ora con 1’25” su Oscar Onley. La classifica della Red Bull-Bora-Hansgrohe vede a questo punto il tedesco sul terzo gradino del podio, mentre Roglic viaggia in sesta posizione. Scendendo dal traguardo verso l’hotel, il primo direttore sportivo Enrico Gasparotto traccia un bilancio che, sottolinea, non può che essere provvisorio.

«Abbiamo vissuto tre buone giornate – dice il friulano – ma la tenuta alla distanza credo che la misureremo dopo la ventesima tappa. Quello che è venuto fuori in questi giorni è il fatto di aver approcciato la prima parte di Tour con un po’ più di serenità e tranquillità, invece di lottare per ogni secondo. E’ stato il nostro approccio e al momento ha fatto sì che Florian e Primoz abbiano avuto le gambe più fresche di altri. Però credo che si possa tirare una somma solo dopo le Alpi. Credo che a Lipowitz, abbia dato molta fiducia il terzo posto al Delfinato. Per lui è il primo Tour, ma per la seconda volta nell’anno si ritrova a lottare contro gli stessi protagonisti che sono l’apice del ciclismo mondiale.

«La stiamo vivendo serenamente, restando fedeli all’obiettivo del team, che prima di partire per il Tour era centrare il podio. Credo che siamo abbastanza in linea, però preferisco essere molto cauto perché la settimana prossima è molto difficile. Se ne vedranno ancora delle belle. Magari non sul Mont Ventoux, perché è una salita sola, anche se viene dopo il riposo e andrà gestito. Ma ci saranno due giornate da 5.500 e 4.500 metri di dislivello, che messe nell’ultima settimana, faranno male».

Primoz Roglic, terzo nella crono di ieri, viaggia al sesto posto della classifica
Primoz Roglic, terzo nella crono di ieri, viaggia al sesto posto della classifica

Il ruolo di Roglic

Prima di lasciarlo al suo viaggio verso l’hotel, l’ultima annotazione scappa quasi da sé. Roglic che al Giro, fino al ritiro, si è ritrovato a fare da esempio per Pellizzari, ora svolge lo stesso ruolo con Lipowitz. E’ un ruolo che gli piace?

«Primoz è molto partecipe ai discorsi – risponde Gasparotto – sia alle cose più goliardiche che i ragazzi si raccontano, sia agli aspetti più seri riguardanti la corsa. Il suo bagaglio di esperienza è enorme, ce ne sono pochi come lui. Ed è vincente il fatto che ne parliamo assieme sul bus, che discutiamo su tattiche e strategie, su quello che fanno gli altri e quello che dovremmo fare noi. Discutiamo sempre tutti insieme quando partiamo dall’hotel verso la partenza, è una cosa che abbiamo voluto noi direttori qui al Tour de France. Creare una sorta di ambiente rilassato, dove ognuno può dire quello che pensa. Credo che aiuti, no?

«Florian è una bravissima persona, un ragazzo d’oro, molto semplice. Quindi il fatto che Primoz sia così tranquillo, molto più dello scorso anno, per il gruppo è davvero un enorme vantaggio. E il terzo posto di ieri nella crono ha dato morale a tutti. Ora però dobbiamo riposare. Siamo passati dal caldo al freddo. Sono state giornate brevi, perché dopo le tappe, fra cena e massaggi si va a letto a mezzanotte e la mattina alle 9 sei già in giro. Abbiamo bisogno che lunedì sia un vero giorno di riposo, perché dal giorno dopo inizierà un altro Tour».

Omrzel: una lezione di vita dalla famiglia del ciclismo

19.07.2025
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VALSAVARENCHE – Jarno Widar firma la doppietta con la vittoria della quarta tappa del Giro Ciclistico della Valle d’Aosta. Il giovane belga della Lotto Development rafforza la sua leadership controllando da solo l’ultima parte di corsa. Un successo arrivato con uno scatto secco ai 500 metri dall’arrivo, con il quale si è tolto di ruota gli ultimi corridori rimasti con lui: Jakob Omrzel e Liam O’Brien. Lo sloveno della Bahrain Victorious, vincitore del Giro Next Gen qualche settimana fa, è tornato a correre davanti dopo che ieri ha passato una giornata difficile.

I fantasmi del passato

Tanti sono stati i pensieri che hanno riempito la testa di Omrzel, ce lo aveva detto anche il diesse della Bahrain Victorious Development Alessio Mattiussi ieri alla partenza. Lo sloveno, al primo anno tra gli under 23, è stato protagonista di un brutto incidente al Giro della Lunigiana dello scorso anno. Lo spavento, passato in secondo piano dopo che durante l’inverno era tornato a pedalare e allenarsi, è riemerso

«Più che parlare di una buona giornata a livello di prestazione – ci dice mentre fa girare le gambe sui rulli per il defaticamento – sono felice di essere in sella. Negli ultimi giorni ho avuto tanti pensieri negativi, ieri quando siamo ripartiti ho faticato a trovare il ritmo e onestamente non sono riuscito a fare il mio dovere. Oggi è stato un altro passo verso il ritorno alla normalità e ho fatto il possibile per vincere». 

Scalco, migliore degli italiani al traguardo, sale al quinto posto in classifica generale
Scalco, migliore degli italiani al traguardo, sale al quinto posto in classifica generale
Sono stati giorni complicati per tutti…

Sì, personalmente dico che è stato doloroso. Non conoscevo personalmente Samuele Privitera, ma nove mesi fa sono stato coinvolto anche io in un brutto incidente (al Giro della Lunigiana, ndr) e sono fortunato a essere vivo. Quello che è successo mercoledì mi ha scosso molto e stavo lottando con la mia testa. Volevo tornare a casa, ma ho trovato la forza di rimanere. 

Avete parlato in squadra?

Ci siamo confrontati tutti insieme, anche con il nostro diesse Alessio Mattiussi. Ho trovato la giusta motivazione per superare la giornata di ieri e grazie ho ricollegato la testa e le gambe

Omrzel ieri prima della partenza da Pré-Saint-Didier era ancora molto scosso e pensieroso
Omrzel ieri prima della partenza da Pré-Saint-Didier era ancora molto scosso e pensieroso
Ieri sei uscito di classifica.

Non ero in grado di prendere parte alla lotta per vincere, è stato complicato solamente arrivare alla fine della tappa. Ho parlato con Alessio (Mattiussi, ndr) ed è stato bello, mi ha aiutato a trovare una prospettiva di vita.

Cosa ti ha detto?

Niente di così speciale, ma ci siamo detti che la vita purtroppo è anche questo. Il ciclismo fa parte delle nostre vite e succedono anche delle cose brutte e spiacevoli. Tutto il gruppo, alla fine, è una grande famiglia. Quando capitano situazioni come queste si deve cercare di trovare la forza di proseguire, non possiamo farci nulla. 

Lo sloveno della Bahrain Victorious Development, oggi secondo, è tornato a correre con in testa la vittoria
Lo sloveno della Bahrain Victorious Development, oggi secondo, è tornato a correre con in testa la vittoria
Sei tornato a correre per vincere…

Ho capito che devo stare qui per Privitera e voglio provare a onorare la sua memoria con una vittoria. Jarno (Widar, ndr) è stato più forte, quindi onore a lui. 

Eri vicino alle tue prestazioni al Giro?

No, non sono ancora allo stesso livello, ma ci sto arrivando. Dopo il picco di forma del Giro Next Gen ho bisogno di ricostruire il tutto. Il mio prossimo obiettivo sarà il Tour de l’Avenir, c’è tutto il tempo per migliorare. Andrò in altura e poi mi allenerò a casa. 

Qualcosa è cambiato nel tuo modo di vedere le gare?

Credo di aver imparato più qui al Giro della Valle d’Aosta che al Giro Next Gen. Un mese fa ogni cosa si è svolta alla perfezione, mentre qui tutt’altro. E’ necessario prendere momenti come questi e imparare qualcosa per il futuro.

In quota con Scinto: il ritiro del Team Ballerini sul Maniva

19.07.2025
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Non è consuetudine per le squadre juniores italiane organizzare un ritiro in altura. E’ successo invece al Team Franco Ballerini, che guidato da Luca Scinto ha scelto il Passo Maniva, spartiacque tra la Val Trompia e la Val Sabbia, per un periodo di lavoro intenso ma anche di crescita. La località, a quota 1.800 metri, ha garantito tranquillità e concentrazione.

Con la consueta schiettezza, Scinto spiega perché questo training camp in quota è stato un passaggio necessario per affrontare un ciclismo che viaggia ormai a ritmi alti fin dalla categoria juniores. Anche la squadra toscana pertanto si è (e si sta) evolvendo.

Luca Scinto (classe 1968) con i suoi ragazzi. Da ormai quattro stagioni ha preso in mano il team juniores Franco Ballerini
Luca Scinto (classe 1968) con i suoi ragazzi. Da ormai quattro stagioni ha preso in mano il team juniores Franco Ballerini
Luca, avete portato i ragazzi in ritiro in montagna. E’ la prima volta che lo fate?

Sì, dobbiamo fare un salto di qualità in termini di organizzazione e di squadra, perché volenti o nolenti la categoria juniores ormai va veloce e bisogna essere pronti. Bisogna adeguarsi e credo che il Team Franco Ballerini abbia risposto bene. In Italia ci sono una decina di squadre, tra cui la nostra, che non sono inferiori ad alcune blasonate formazioni straniere.

Come mai avete scelto il Passo Maniva?

Perché ha buone caratteristiche geografiche, siamo sul filo dei 1.900 metri e uno dei nostri sponsor, Lucchini, ha un hotel lì. Per me è il ritiro ideale: non c’è niente. Solo l’albergo. Niente distrazioni. Perfetto anche per rilassarsi. Aria buona e tanta natura.

Rilassarsi…

E’ stata una stagione tirata: abbiamo fatto tre corse a tappe e corso sempre con i soliti sei o sette. Due hanno smesso per via della scuola. In Italia purtroppo studiare e correre ad alti livelli è ancora molto difficile. Io dico sempre che gli studi vengono prima. Ma servirebbero tre anni per questa categoria, aiuterebbe parecchio. Intanto ho rivisto anche il calendario.

In che senso?

Era logico: dopo il Val d’Era erano stanchi. Ho cancellato in pratica tutto il mese di luglio: a partire dalle gare in Toscana nonostante i nostri sponsor, ma anche corse nazionali come l’Arno, la Tre Valli Varesine, il Monte Grappa. Era giusto così.

I ragazzi di Scinto, di stanza sul Passo Maniva, hanno alloggiato presso l’hotel Bonardi di Imerio Lucchini, sponsor del team e grande appassionato di ciclismo
I ragazzi di Scinto, di stanza sul Passo Maniva, hanno alloggiato presso l’hotel Bonardi di Imerio Lucchini, sponsor del team e grande appassionato di ciclismo
Una scelta moderna: periodi di lavoro, corse, recupero…

Il salto di qualità passa anche da questo. Ho deciso: un mese senza gare. Gli sponsor mi hanno seguito. Non è facile farlo in Italia, ma bisogna iniziare.

Come hanno reagito invece i ragazzi?

Loro correrebbero anche mattina e sera, però sono contenti. Stanno insieme, fanno gruppo, imparano a gestirsi da soli, senza genitori. Crescono, diventano uomini.

Come gestisci il lavoro se ognuno ha un preparatore?

Ho cambiato il mio approccio da due anni. Quando un ragazzo arriva, ha già il suo preparatore. Chi va da Michele Bartoli, chi da Pino Toni, chi da Massimiliano Gentili. Quest’anno è entrato anche Matteo Urgu, che correva ai miei tempi e allena da un paio d’anni. E’ preparato, moderno… Lui segue Cerami per ora.

E gli altri?

Pascarella, Sciarra e Proietti sono preparati da Gentili. Fino all’anno scorso li seguivo io, ma quest’anno ho preferito delegare. Rimango in contatto, guardo gli allenamenti, mi interfaccio con i preparatori. Così riesco anche a stare più tranquillo.

Da sinistra: Iacchi, Buti, Proietti, Pascarella e Cerame. Assenti Sciarra e Battistelli per motivi scolastici
Da sinistra: Iacchi Buti, Proietti, Pascarella e Cerame. Assenti Sciarra e Battistelli per motivi scolastici
E in ritiro come li coordini?

Ognuno parte con il suo lavoro: chi deve fare quattro ore, chi deve fare lavori specifici in salita. Poi si ritrovano tutti in cima e ripartono. Il ritiro funziona anche così.

Quante ore di lavoro fanno a settimana?

Circa 20 ore.

Come hanno affrontato l’altura?

I primi quattro-cinque giorni sono serviti per l’ambientamento, da 1.880 a 2.050 metri. Dal Maniva parte una strada che rimane in quota verso il Passo Crocedomini, lunga 12-13 chilometri. Facevano avanti e indietro per due-tre ore. Ci vuole testa, sono stati bravi. Ma era ideale per adattarsi.

Poi il lavoro è aumentato?

Sì, poi sono scesi in basso. E lì abbiamo iniziato con quattro ore, cinque ore, tre ore e mezza. Hanno lavorato parecchio in Z2, sulla forza. In salita hanno fatto anche lavori a intervalli, tipo due minuti in soglia. Alla fine sono i lavori che fanno tutti.

A che quota svolgevano i lavori più intensi?

Fino agli 800-1.000 metri. Il resto anche fino ai 1.700.

Dopo i primi giorni di adattamento per i giovani del Ballerini sono iniziati anche i lavori specifici
Dopo i primi giorni di adattamento per i giovani del Ballerini sono iniziati anche i lavori specifici
E nel pomeriggio?

Lì arriva il bello: facevano palestra con le bottiglie d’acqua! Ne ho portate tante, e con quelle facevano squat ed altri esercizi di potenziamento. Davvero un bello spirito d’adattamento e d’impegno.

Che impressione ti hanno fatto i ragazzi?

Sono contenti. Prima di tutto stanno al fresco. L’appartamento è a 20 metri dall’hotel. Quando arrivano tardi, cucinano loro, oppure cucino io. Comunque hanno un po’ di spesa che gli ho fatto io. Se tornano tardi in bici e il ristorante dell’hotel è chiuso, si fanno la pasta. E’ un po’ come da noi a San Baronto.

Parlano di ciclismo, ti fanno domande?

Mi prendono in giro! Quando racconto di Museeuw, mi chiedono chi era. Non conoscono Tafi, Richard, Sorensen. Al massimo sanno chi è Bugno. Quando mostro un video, mi mandano a Mai Dire Gol… Però hanno ragione: oggi si va più forte. E’ cambiato tutto.

Ma devono ancora mangiarne di pagnotte, come si dice a Roma…

Assolutamente. Io glielo dico sempre: «Non vi sgrido, ma vi faccio capire dove sbagliate». Perché un domani, se diventeranno professionisti, nessuno gli spiegherà più le cose: gli manderanno una mail e li lascieranno a casa. Il ciclismo non è più umano come ai nostri tempi. L’ho detto tante volte.

Velo cittì felice. Ecco cosa gli ha detto il Giro Women

19.07.2025
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L’ultima gara l’ha vissuta con il duplice ruolo con cui aveva visto le altre classiche femminili di RCS Sport, ma il cittì Marco Velo ha potuto prendere maggiori indicazioni dal Giro d’Italia Women, in cui era uno dei direttori di corsa. D’altronde lo aveva detto fin dal primo giorno del nuovo incarico che in quella settimana avrebbe guardato ancora più a fondo situazioni e atlete.

Nella stagione in cui ci sono un mondiale particolarmente esigente ed un europeo adatto a tante azzurre, la vittoria “rosa” di Longo Borghini e le valide prestazioni di altre italiane sono tanta manna per Velo. Il suo taccuino è pieno di nomi, appunti e considerazioni. A distanza di quasi una settimana dalla fine del Giro Women, abbiamo voluto sentire ciò che si è segnato il tecnico bresciano.

Il blocco italiano della UAE potrebbe essere utile in nazionale, ma Velo è convinto che qualsiasi altra atleta farà un grande lavoro
Il blocco italiano della UAE potrebbe essere utile in nazionale, ma Velo è convinto che qualsiasi altra atleta farà un grande lavoro
Marco qual è la prima analisi che ti sei fatto?

Sono uscito dalle 8 tappe con la consapevolezza di avere a che fare con grandi ragazze. Non che avessi dei dubbi prima, però durante il Giro Women, per quello che ho visto, ho avuto una ulteriore conferma. Ho atlete che possono correre qualsiasi tipo di gara da protagoniste e poi ho apprezzato anche il loro approccio, così come l’atteggiamento delle squadre.

Ti sei appuntato qualche nome in particolare?

Le prove delle atlete sono quelle che abbiamo visto tutti e di cui si è parlato tanto oltre a ciò che sa sempre fare Longo Borghini. Il lavoro di Persico in suo favore non si può dimenticare e per un cittì è sempre bello vedere azioni e dedizioni del genere. Malcotti ha fatto un grande Giro, in crescendo. Ciabocco tra le giovani mi è piaciuta e mi ha dato ottimi segnali. Ma penso anche a Magnaldi e Gasparrini che hanno contribuito tanto per la vittoria di Elisa, oppure Paladin per la Niedermaier giusto per fare degli esempi. Insomma, la lista è lunga e sono contento che sia così, meglio avere problemi di abbondanza.

C’è qualche atleta da cui ti aspettavi qualcosa di più invece?

Chi mi conosce sa che a me non piace citare chi non è andato bene, perché so che dietro ci possono essere delle motivazioni. Posso dirvi che non ho avuto impressioni negative e questo, se mi permettete il gioco di parole, è positivo. Ad esempio ho visto preoccupata Trinca Colonel che non è andata come si aspettava e ha sofferto più del dovuto. Le ho detto che non mi deve dimostrare nulla perché è andata forte durante il resto della stagione e so quello che può fare o dare. Vale quasi lo stesso discorso per Cavalli. Mi è spiaciuto vedere Marta non poter esprimere il suo vero valore, però cercherò di parlare con lei e con chi la gestisce per capire cosa è successo e cosa si può fare di diverso.

Nonostante abbia chiuso il Giro Women sotto tono, Trinca Colonel resta sul taccuino del cittì Velo
Nonostante abbia chiuso il Giro Women sotto tono, Trinca Colonel resta sul taccuino del cittì Velo
Durante il Giro Women si è fatto più di una volta un certo ragionamento. Per la tua nazionale è meglio avere un blocco di una formazione oppure chiamare atlete di tante squadre?

Quando si costruisce una squadra per un evento internazionale devi pensare all’economia e all’equilibrio della stessa. Con una come Longo Borghini devi pensare in funzione sua. Quindi è vero che può essere un vantaggio avere ragazze dello stesso club perché sai già come lavorerebbero per la loro capitana, però è altrettanto vero che chiunque chiamassi si comporterebbe in modo impeccabile. Su questo non ho il minimo dubbio.

Il cittì Marco Velo ha già in mente una sorta di formazione per mondiale ed europeo?

No, al momento è prematuro fare dei nomi. O meglio, abbiamo le ragazze giuste per il mondiale, che è un obiettivo assoluto con la Longo Borghini vista al Giro. Non dico che per lei sia l’occasione della vita perché le auguro di averne altre, ma in Rwanda con un percorso simile si parte per fare risultato. Poi le gare si possono vincere o perdere, però Elisa è una garanzia e sappiamo perfettamente che darà battaglia come sempre. In ogni caso c’è ancora tempo per questi due eventi.

Quindi Longo Borghini capitana unica in entrambe le manifestazioni?

Da corridore sono stato abituato che il leader è sempre e soltanto uno. Era così quando ero con Pantani e poi con Petacchi. E mi è rimasta questa convinzione anche da tecnico. Tuttavia sono consapevole che è meglio avere più alternative, specie in una gara sempre aperta come l’europeo. Si correrà in Ardeche ed è adatto a tante nostre atlete. Bisognerà vedere però come si rientrerà dal Rwanda e come si recupererà dagli sforzi e dal viaggio. C’è solo una settimana di differenza tra mondiale ed europeo (rispettivamente 27 settembre e 4 ottobre, ndr).

Quest’anno l’Avenir Femmes avrà sette tappe dal 23 al 29 agosto. Il cittì Velo pensa a Ciabocco come leader
Quest’anno l’Avenir Femmes avrà sette tappe dal 23 al 29 agosto. Il cittì Velo pensa a Ciabocco come leader
Buttando un occhio alle U23, dal Giro Women hai preso appunti per l’Avenir Femmes?

Sì, certo. Anzichè le quattro del 2024, quest’anno saranno sette tappe in sei giorni (in programma dal 23 al 29 agosto, ndr). Ciabocco sarà la leader come lo scorso anno. Devo ancora sciogliere le riserve su alcune altre ragazze, ma direi che buona parte della squadra è fatta.

Invece in Rwanda si riusciranno a portare le U23?

La situazione del mondiale per loro è ancora in forse, dobbiamo capire bene. La speranza sarebbe quella di portare almeno una giovane, soprattutto se andrà forte e schierarla visto che quest’anno le U23 correranno da sole. Oppure, tenendo conto del nostro contingente, valutare se farla correre con le elite. Come dicevo prima, manca ancora del tempo per alcune decisioni.

Longo Borghini, raccontaci la Colnago della maglia rosa

19.07.2025
3 min
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Elisa Longo Borghini riconferma il gradino più alto del podio al Giro d’Italia Women, dopo la vittoria del 2024. Grinta e forza, ma team differente e bici diversa, con una serie di cambiamenti (non banali) anche per quanto concerne la componentistica.

Abbiamo chiesto alla nostra campionessa Italiana di raccontare la sua Colnago V5Rs, qualche chicca adottata durante la corsa rosa e se ha “patito” il cambio della dotazione tecnica. E’ interessante sottolineare, come succede anche in ambito maschile, il fatto che gli atleti di oggi cambino raramente le scelte durante la stagione: le eventuali variazioni sono (più che altro) relative ad un adeguamento della scala rapporti, in base al tracciato.

Longo Borghini, tanto appassionata della bici e tecnicamente molto preparata
Longo Borghini, tanto appassionata della bici e tecnicamente molto preparata
Ti abbiamo visto sempre con la V5Rs, c’è un motivo dietro questa scelta?

E’ il modello con il quale mi trovo più a mio agio ed a pieno su ogni tipologia di terreno. Veloce quando deve essere veloce, agile e perfetta per la salita.

Ci puoi descrivere le configurazioni che utilizzi?

La scala posteriore dei pignoni resta sempre 11/34, mentre chiedo di apportare delle variazioni sul plateau anteriore, in base alle caratteristiche del percorso. Ad esempio: ho utilizzato la combinazione 54/36 per la maggior parte delle tappe del Giro e solo per la frazione del Monte Nerone ho chiesto il binomio 52/36. Diciamo per avere un margine di sicurezza più ampio e non rischiare di scendere troppo con il numero delle pedalate.

Manubrio Enve integrato, il medesimo in dotazione alle Colnago della compagine maschile
Manubrio Enve integrato, il medesimo in dotazione alle Colnago della compagine maschile
Pedivelle sempre da 170 millimetri?

Rimango fedele alle 170.

Per quanto riguarda ruote e tubeless?

Le ruote che preferisco sono le 4.5, abbiamo le Enve, difficile che vada su un altro modello. Solitamente sono con i tubeless da 30, ma anche in questo caso ho chiesto una variazione in vista della tappa del Monte Nerone. Ho utilizzato la sezione da 28.

Manubrio stretto?

Non troppo, direi giusto per le mie caratteristiche, un Enve integrato largo 37 sopra e 39 sotto.

Una posizione perfettamente centrata sul piantone anche in salita in fase di spinta
Una posizione perfettamente centrata sul piantone anche in salita in fase di spinta
Rispetto all’anno passato, restando in ambito tecnico, è tutto diverso. Hai avuto difficoltà ad adattarti?

Decisamente no ed è un vantaggio non da poco. Salire in bici e trovarsi immediatamente a proprio agio permette di accorciare i naturali tempi di assestamento. Anche per quanto concerne le trasmissioni, da Sram a Shimano, il cambiamento è stato semplice.

Anche per il bike fitting?

Ne ho fatti solo un paio e anche questo aspetto la dice lunga su quanto mi trovi a mio agio con la geometria delle bici.

Vingegaard si mangia Remco. E intanto Tadej continua…

18.07.2025
8 min
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«Devo dire che sono stato sorpreso da chi ha utilizzato la bici da crono», ha detto Domenico Pozzovivo. E’ con lo scalatore lucano che abbiamo sviscerato la cronoscalata di Peyragudes. Una cronometro che ha visto protagonista ancora lui, sempre lui: Tadej Pogacar.

Lo sloveno si porta a casa la frazione, rafforza la sua maglia gialla, mette in cassaforte la quarta vittoria di tappa e si riprende anche la maglia a pois. Ma forse la vera notizia, o meglio, l’immagine del giorno è Jonas Vingegaard che riprende Remco Evenepoel.

Il momento topico della crono di Peyragudes: Vingegaard riprende e sorpassa Evenepoel partito 2′ prima di lui
Il momento topico della crono di Peyragudes: Vingegaard riprende e sorpassa Evenepoel partito 2′ prima di lui

Jonas e Remco: il sorpasso

Eppure Vingegaard non è parso poi così stupito. «Ieri – ha detto il danese – non ero al mio solito livello. Sì, è stata la mia seconda brutta giornata al Tour. Non so come sia possibile. Di solito non mi capitano queste cose. Oggi sono tornato al mio livello di prima. Credo ancora in me stesso e continuerò a provarci. La squadra è incredibilmente forte e dobbiamo dimostrarlo ora; il Tour non è ancora finito».

Mentre Remco, stremato e deluso, non ha risposto a chi gli chiedeva del sorpasso da parte di Vingegaard. Una domanda (legittima sia chiaro), ma che forse in quel momento di frustrazione poteva essere percepita come una provocazione.

«E’ stata una brutta giornata – ha detto il belga – di tutto il resto non mi importa». Come biasimarlo. Questi due giorni sono stati durissimi per lui e stasera andrà a dormire con più preoccupazioni che certezze.

Come diceva Pozzovivo, Tadej ha limato sul peso. Sulla Y1Rs non c’era neanche il nastro. I rapporti: 55-38 all’anteriore e 11-34 al posteriore. Pedivelle da 165 mm (dati UAe Emirates)
Come diceva Pozzovivo, Tadej ha limato sul peso. Sulla Y1Rs non c’era neanche il nastro. I rapporti: 55-38 all’anteriore e 11-34 al posteriore. Pedivelle da 165 mm (dati UAe Emirates)

Tadej senza dubbi

Quanti spunti ha regalato questa frazione contro il tempo sul colle pirenaico. Con il Pozzo si è parlato delle scelte tecniche e delle prestazioni. Ma anche della media oraria stellare. Si ipotizzava una media tra i 26,5 e i 27 all’ora: Tadej ha abbattuto il muro dei 28.

Pogacar stesso si è espresso sulla scelta tecnica fatta in concerto con la sua UAE Team Emirates: «La scelta della bici è stata la decisione più importante di oggi. Gareggiamo quasi sempre con questa bici; la usiamo il 99 per cento delle volte. Abbiamo fatto i nostri calcoli e se su quella da crono non riesci a sfruttare tutta la tua potenza, finisci con lo stesso tempo finale. Mi sento più a mio agio con questa bici, anche in salita. Per me ha funzionato bene. Comunque ho faticato tantissimo anche io. Nel finale pensavo di esplodere, per fortuna che ho visto il cronometro sul tabellone e capendo che avrei vinto mi sono motivato».

Mettete bene da parte le parole di Pogacar, perché vi torneranno molto utili quando adesso leggerete quelle di Pozzovivo.

Per ovvie caratteristiche fisiche Pozzovivo non era un grande cronoman, ma in più di qualche occasione si è ben difeso
Per ovvie caratteristiche fisiche Pozzovivo non era un grande cronoman, ma in più di qualche occasione si è ben difeso
Domenico, una gran bella cronometro con una marea di spunti tecnici, a partire dalla scelta dei materiali. Cosa ti è sembrato in merito?

Devo dire che sono stato abbastanza sorpreso dalla scelta di chi ha utilizzato le bici da crono, però alla fine vista la media oraria era davvero una scelta che ci poteva anche stare. Erano veramente due strategie al limite: poteva andare bene sia una che l’altra.

Ed è quello che ci diceva Pinotti un po’ di tempo fa: bici da crono sì o bici da crono no? Si era al limite…

Se si fosse restati sul classico Peyresourde, avrei detto assolutamente bici da crono. Mentre salendo all’aeroporto, quel finale così ripido metteva un po’ di dubbi dal punto di vista dell’efficacia della bici da crono. Pogacar è stato veramente sicuro di sé, non ha avuto nessun problema a scegliere la sua bici (la Colnago Y1Rs, ndr).

Una cosa che abbiamo notato è che chi aveva la bici da crono non sempre è stato in posizione, a parte Roglic… Forse questo ci dice che era meglio la bici da strada?

Considerando la bici aero che hanno in Visma-Lease a Bike (la Cervélo S5, ndr), per me era meglio. Poi è anche vero che Vingegaard è uno che sulla bici da crono ha la critical power migliore rispetto a quella da strada. Ricordiamoci di quando ha fatto la cronometro devastante a Combloux nel 2023: penso che quelle potenze relative al peso non le abbia mai fatte sulla bici da strada. Però secondo me, forse una decina di secondi li guadagnava con la bici da strada.

Vingegaard è andato molto forte. Quanto ha inciso vedere prima la macchina ferma della Soudal e poi Remco davanti?

In quei casi fa tanto vedere il corridore davanti a te, perché nel finale hai l’acido lattico fin sopra le orecchie. Ogni piccola motivazione, anche per distrarti, ogni appiglio può aiutarti ad andare più a fondo nello sforzo, specie su un muro del genere. Io credo che gli abbia fatto guadagnare tranquillamente 5-10 secondi rispetto a Tadej.

Tobias Foss: ruota anteriore ad alto profilo e posteriore bassa sulla sua Pinarello da strada
Tobias Foss: ruota anteriore ad alto profilo e posteriore bassa sulla sua Pinarello da strada
Restiamo sul setup dei Visma: bici da crono, casco aero e ruote basse. Perché? Questione di peso?

Sì, la coperta era corta: l’hanno tirata da una parte e hanno lasciato scoperto l’aspetto ruote. Io avrei sacrificato il casco aero a vantaggio di quello normale. Piuttosto avrei messo una ruota altissima o comunque una un po’ più alta.

Qualche bel “mischione” in termini di setup c’è stato. Lenny Martinez con bici da strada e lenticolare dietro, Tobias Foss con ruota alta davanti e bassa dietro… Questo fa capire che c’è stato tanto studio?

Ognuno ha cercato a suo modo la prestazione. Sono situazioni in cui magari qualcuno usa la fantasia, però a volte forse bisognerebbe essere più razionali. In soldoni: io la lenticolare non l’avrei messa mai.

E quale sarebbe stato l’assetto di Domenico Pozzovivo?

Avrei assolutamente utilizzato una bici da strada aero, limando su tutte le parti possibili. In questo modo la porti tranquillamente a 7 chili e per me avrebbe fatto la differenza.

Quello che ha fatto Pogacar, sostanzialmente…

Anche perché ultimamente sto usando una bici aero e in salita dice tranquillamente la sua, almeno se non è troppo pesante. Poi conta anche lo stile dei corridori. A me, per esempio, piace una bici molto rigida, e di solito le bici aero lo sono, quindi avrei avuto una risposta elastica molto reattiva.

Che fatica per Remco oggi. Ha pagato ben 2’39” a Tadej Pogacar
Che fatica per Remco oggi. Ha pagato ben 2’39” a Tadej Pogacar
Secondo te si sono fatti interventi piccoli sui manubri, magari allungare l’attacco per stare più bassi, oppure nel mezzo del Tour non si tocca niente?

Sulla bici da strada no, su quella da crono sì. Remco era chiaramente meno aero del solito. Ha alzato le appendici di un bel po’ (si vocifera 2 centimetri, ndr). Il problema della bici da crono è che ti perdona meno quando sei in crisi, come successo proprio a Remco. Era una scelta molto più rischiosa. Se stai bene come Primoz Roglic, che ha vissuto la sua giornata migliore in questo Tour, la sfrutti bene.

Poi devi avere determinate caratteristiche, devi essere abituato a quella bici. Come dicevi prima, Vingegaard ha la critical power più alta sulla crono…

E anche Roglic ci si esprime bene. E pure Florian Lipowitz è uno che ha un core, la parte centrale del corpo, incredibile. Anche quando è sulla bici da strada sembra che stia su quella da crono per come tira il manubrio e per il suo stile così disteso. Ecco, nel suo caso non avrei avuto dubbi a usare la bici da crono. Si vede che ci è a suo agio e riesce ad esprimersi.

Invece a livello di prestazioni cosa ti è sembrato?

Alla luce della prestazione di ieri, oggi mi aspettavo un altro show di Tadej Pogacar. Il tempo che ha sancito la vittoria è veramente incredibile. La media è fuori dal comune. Già andare sopra i 27 all’ora sarebbe stato straordinario, lui ha fatto più di 28 (28,435 km/h, ndr). E’ su un altro pianeta. Già uno fortissimo come Vingegaard, rispetto agli altri campioni, ha fatto una differenza abissale.

Quindi questi 36 secondi sono una differenza abissale o qualcuno si poteva aspettare anche di più?

No, non ci si poteva attendere certi distacchi. Un conto è una tappa lunga e un conto uno sforzo breve. Il discorso è diverso. Bisogna anche capire nella testa come è stata approcciata. Ieri Tadej l’ho visto spingere fino in fondo perché secondo me aveva in testa il best time della salita. Oggi per me non aveva quel doppio fine, quindi quando ha capito che aveva vinto ha spinto, sì, ma senza distruggersi. E’ arrivato molto meno a tutta rispetto a Vingegaard.

Buona prestazione di Roglic. Lo sloveno chiude terzo e ora nella generale è 7° a 1’26” dal podio
Buona prestazione di Roglic. Lo sloveno chiude terzo e ora nella generale è 7° a 1’26” dal podio
Invece qualcuno che ti ha colpito, in positivo o in negativo?

Luke Plapp me lo aspettavo perché è uno che a livello di potenza assoluta sulla salita secca ha quei numeri. In negativo direi Remco: me lo sarei aspettato terzo, invece ha fatto più fatica di ieri. Da lui mi aspetto di tutto. Domani potrebbe anche riprendersi, oppure potrebbe arrivare la giornata che mette la parola fine alla sua classifica.

La tendenza non è a suo favore. Ieri secondo te si è salvato solo perché si sono staccati Matteo Jorgenson e Simon Yates?

Però attenzione, ieri è stata una tattica quella della Visma talmente tirata, talmente al limite per cercare una falla in Tadej, che non sono state delle controprestazioni quelle di Jorgenson o Remco. Loro erano talmente al limite che il rischio di far saltare i compagni c’era, ed è stato così. Jorgenson e Yates sono saltati perché si andava fortissimo. Remco si è difeso davvero bene se pensiamo che si era staccato sulla penultima salita. Insomma, andare più forte di così era impossibile. Ci sarebbe voluto un altro Tadej e un altro Vinge per tirare in quel momento.

La lotta per il podio come la vedi?

E’ aperta. Per l’esperienza e dopo la buona prestazione di oggi direi che se Roglic non ha i suoi soliti problemi, è quello più lanciato verso il podio di Parigi. Però il compagno di squadra Lipowitz è solido. Sono loro due i miei favoriti. Ma manca ancora tanto. La tappa di domani dirà parecchio, perché non è solo un trittico. Bisogna aggiungerci anche la tappa di mercoledì. Diventano quattro giorni molto impegnativi. E in quattro giorni del genere possono verificarsi situazioni impreviste.

Secondo te che rapporti erano montati sui monocorona dei Red Bull e dei Visma? Potrebbero essere stati dei 48?

Non saprei dire con precisione, ma ad occhio sì: potrebbe essere stato un 48. Però la monocorona per me era una scelta azzardata, molto al limite a prescindere dalla dentatura precisa (se fosse un 46, un 48 o un 51, ndr), perché si rischiava di non trovare il rapporto, specie con le scale posteriori di adesso che fanno grandi salti.

Un po’ quello che è successo a Remco?

Molto probabilmente sì, anche se non era in una buona giornata. Sai, quando stai bene riesci sempre a metterci una toppa, ma se stai male ogni problema diventa un calvario.

Il Valle d’Aosta riparte: Widar vince nel silenzio e nel dolore

18.07.2025
5 min
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GRAN SAN BERNARDO – Il Giro Ciclistico della Valle d’Aosta riprende dopo due giorni di dolore profondo, nel quale le parole sono state poche. In cima al Colle del Gran San Bernardo vince Jarno Widar, che come fatto ieri da Tadej Pogacar a Hautacam, indica il cielo (in apertura foto Giro della Valle d’Aosta). Si ferma e il massaggiatore del team Hagens Berman Jayco, presente dopo l’arrivo, gli stringe la mano. Al belga della Lotto Development tremano le labbra per il vento freddo e la commozione, poi parla: «Privitera e io abbiamo condiviso la stessa stanza due anni fa mentre eravamo in altura e siamo diventati amici. Era un ragazzo con un grande spirito da combattente. Volevo correre per lui e così ho fatto, questo successo è per Samuele».

La Hagens Berman Jayco è ripartita insieme a tutto il gruppo, nella mattina le squadre sono andate a fare un saluto e far sentire la loro vicinanza
La Hagens Berman Jayco è ripartita insieme a tutto il gruppo, nella mattina le squadre sono andate a fare un saluto e far sentire la loro vicinanza

Ripartire

Pré-Saint-Didier, sede di partenza della terza tappa, abbraccia il nome di Samuele Privitera e il suo ricordo. La Hagens Berman Jayco ha deciso, anche su richiesta della famiglia, di scendere in strada. Ai mezzi del team australiano si susseguono saluti e abbracci, per dare forza e supporto nel momento più difficile. Rimettere il numero sulla schiena rende ancora più reale il dolore e l’accaduto. La corsa riprende ed è giusto così, non perché si debba dimenticare ma per dare sostegno e ascoltare l’ultima richiesta di una famiglia che ha trovato la forza di non lasciare da soli i ragazzi e lo staff della Hagens.

Ieri la tappa annullata ha messo ognuno dei 125 corridori davanti a tante riflessioni. Le squadre, nel rimanere accanto ai propri ragazzi, si sono date da fare senza farli sentire soli davanti al dolore. C’è chi ha improvvisato una partita a bocce, chi ha pedalato in maniera blanda e chi invece sulla bici ha sfogato la frustrazione nell’aver perso un amico e un compagno di avventura. 

Prima della partenza, con corsa neutralizzata per 40 chilometri, c’è stato un minuto di silenzio in ricordo di Samuele Privitera
Prima della partenza, con corsa neutralizzata per 40 chilometri, c’è stato un minuto di silenzio in ricordo di Samuele Privitera

Il minuto per Samuele

La tappa inizia alle ore 12,25 con i primi 40 chilometri neutralizzati come scelto ieri tra organizzatori e team. Prima del via, in piazza a Pré-Saint-Didier, si è tenuto un minuto di silenzio in onore di Samuele Privitera. Sullo sfondo del palco alla presentazione delle squadre scorrevano le foto che ritraevano Privitera intento nel fare la cosa che più amava, pedalare. Oggi non è stata fatta una presentazione ufficiale ma gli atleti si sono recati liberamente al foglio firma. 

Poi tutti schierati, pronti per il via. I caschi si slacciano, gli occhiali da sole tolti e il silenzio che già regnava diventa ancora più profondo. Si parte, davanti c’è la macchina della giuria, dietro i quattro atleti della Hagens Berman Jayco e alle spalle il gruppo. 

Piede a terra

La corsa arriva, ad andatura controllata, al chilometro quaranta, ovvero il punto concordato tra i team e l’organizzazione nel quale il Giro della Valle d’Aosta avrebbe poi ripreso il suo corso. Negli attimi in cui la direzione corsa aspettava di dare l’inizio ufficiale della tappa, accorciata a 81,7 chilometri, dal gruppo arriva Filippo Agostinacchio. Il leader della corsa si è fatto portavoce degli animi e dei sentimenti dei corridori e sembra che non si voglia ripartire. Due minuti concitati nel quale l’organizzazione e la direzione di corsa mantengono il patto mantenuto: si corre. Se qualcuno non dovesse sentirsela rimane libero di fermarsi.

«Ho parlato con tutte le squadre – dice Agostinacchio ancora vestito di giallo sul traguardo – e c’erano tante voci diverse. Omrzel e Tuckwell volevano ritirarsi dopo il tratto neutralizzato, mentre non erano chiare le idee di altri. La decisione di non correre o di fare qualche richiesta diversa all’organizzazione andava presa ieri. L’organizzazione ha lavorato per mettere comunque in piedi il tutto e ripartire. Io ho deciso di farmi portavoce della maggioranza del gruppo, che alla fine ha voluto correre».

La decisione della Hagens

La notizia che la Hagens Berman Jayco sarebbe ripartita è arrivata nel pomeriggio di ieri. I genitori di Samuele Privitera hanno voluto fare al team quest’ultima richiesta.

«Ieri mattina – ci dice Koos Moerenhout, diesse del team – non abbiamo preso parte alla riunione dei diesse perché avevamo deciso di rispettare qualsiasi decisione presa dal gruppo. I diesse avevano trovato l’accordo per ripartire, insieme all’organizzazione, e per noi andava bene così. Dei nostri atleti solo Fergus Browning aveva deciso che si sarebbe fermato dopo i primi 40 chilometri. Degli altri tre corridori rimasti Rafferty e Moreira hanno poi avuto problemi e non hanno terminato la tappa di oggi».

«Capisco che molti ragazzi – conclude – una volta saliti in bici non se la sentissero di proseguire, quando sei di nuovo in strada tante sensazioni cambiano ed è normale avere qualche dubbio o non sentirsela a livello morale. E’ un momento difficile per tutti».

Domani il Giro della Valle d’Aosta ripartirà con Jarno Widar in maglia gialla, con un vantaggio di 1’ 48” su Aaron Dockx della Alpecin Development e di 1’ 53” su Jean-Loup Fayolle della Arkea B&B Continental.

Virelli, il successo del Giro Women e le nuove date

18.07.2025
6 min
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IMOLA – L’area attorno al palco delle premiazioni che va svuotandosi di gente e attrezzatura è il segnale che il Giro d’Italia Women sta andando in archivio e la sua direttrice Giusy Virelli ha il volto rilassato e soddisfatto mentre esce dai saloni dell’autodromo Enzo e Dino Ferrari di Imola.

Il classico momento di abbracci e strette di mano per la buona riuscita del lavoro è assecondato da quello degli argomenti appuntati da trattare una volta tornati in ufficio in vista della prossima edizione. Ne approfittiamo per chiedere un bilancio sulla Corsa Rosa femminile che ha regalato tante emozioni.

Quest’anno abbiamo avuto la percezione di un Giro ancora migliore di quello passato. E’ cosi?

Per noi organizzatori è stata la seconda edizione, ma innanzitutto questo è stato il trentaseiesimo Giro d’Italia femminile, perché non vanno dimenticate le edizioni precedenti e perché è un evento di grande storia e grande tradizione. Lo si è capito dalla voglia delle atlete di fare risultato. E’ stato un Giro molto bello, aperto fino all’ultimo.

Come nel 2024.

Sì, ma con delle diversità più avvincenti. E’ vero che il distacco di quest’anno all’ultima tappa era maggiore (22” contro 1”, ndr), però secondo me la frazione conclusiva di Imola risultava più aperta. Per cui siamo veramente soddisfatti e dal punto di vista sportivo è stato un bellissimo evento.

C’è qualcosa che vi ha colpito in particolare?

Certamente la tantissima gente sulle strade per applaudire le ragazze, addirittura aspettando il loro passaggio per ore. E’ stato bello vedere le città piene di pubblico e di bambini. Tanto colore rosa per le vie. Le atlete si meritano queste coreografie. Questa è la dimostrazione che il movimento femminile sta crescendo e con esso anche l’interesse da parte della gente che segue le atlete allo stesso livello dei colleghi maschi.

Niedermaier che consola Reusser in cima a Monte Nerone è stato uno dei momenti più toccanti del Giro Women
Niedermaier che consola Reusser in cima a Monte Nerone è stato uno dei momenti più toccanti del Giro Women
Possiamo dire che il bis di Longo Borghini avvalora tutto quanto?

Devo dirvi che penso sempre a quello che dice sempre Mauro Vegni (il direttore del Giro d’Italia, ndr), che è il Giro a fare grandi gli atleti. Credo che sia uguale anche al femminile, però certo, noi siamo italiani e vedere un’italiana sul primo gradino del podio come Elisa è sicuramente motivo di orgoglio per noi. E poi c’è stato un altro aspetto più profondo da considerare.

Prego, spiegaci pure.

Il Giro Women è una gara che esiste da tanto tempo, da ben prima che il ciclismo femminile diventasse qualcosa di così importante per cui ora le atlete hanno voglia di portare a casa la maglia rosa. Quindi c’è stata una componente umana che ci ha emozionato oltre il gesto tecnico. Penso alle lacrime di Reusser a fine Giro che ha faticato per arrivare alla vittoria. Oppure penso alla bellissima scena di sorellanza di Antonia Niedermaier che va a consolare la stessa Reusser appena dopo il traguardo di Monte Nerone. Talvolta si guarda sempre ai vincitori, ma dietro in realtà c’è un lato umano che vale la pena di considerare.

Tra i tanti spunti per l’anno prossimo, ci sarà la nuova collocazione del Giro nel calendario. Cosa puoi dirci?

Vedremo cosa cambierà a livello di partecipazione. Con le nuove date (dal 30 maggio al 7 giugno 2026, ndr) il Giro Women si allontana dal Tour Femmes. Quindi cambieranno le preparazioni, però è anche vero che le squadre potranno guardare questa situazione in maniera diversa. Potranno puntare a correre e fare classifica con le loro leader ad entrambe le corse, perché ci sarà un lasso tempo tale da recuperare e prepararsi. E non credo nemmeno che la vicinanza con la Vuelta (che dovrebbe restare ad inizio maggio, ndr) darà problemi alla nostra gara.

Nel 2026 il Giro Women avrà nuove date: dal 30 maggio al 7 giugno
Nel 2026 il Giro Women avrà nuove date: dal 30 maggio al 7 giugno
Le nuove date le avete chieste voi o ve le hanno imposte?

Le abbiamo chieste noi, non solo per una questione organizzativa. Siamo andati in diretta televisiva prima del Tour de France, che chiaramente per noi è stato un grande traino. Tuttavia il Giro Women nasce nelle date immediatamente a ridosso del Giro maschile, quando non esisteva ancora il Tour Femmes, per cui il calendario bisognava rivederlo. Sarà sicuramente un esperimento perché non abbiamo uno storico su cui basarci. Vedremo come andrà, andando a vedere i numeri, che sono poi la cosa fondamentale nella valutazione del successo o meno di un evento.

L’anno prossimo avremo quindi un mese e mezzo di gare contando pure il Giro NextGen?

Non abbiamo ancora le date ufficiali degli U23, però tendenzialmente l’idea è quella. Avere sei weekend di Giri d’Italia e maglie rosa, tenendo conto della sovrapposizione delle ultime due tappe del Giro maschile con le prime due del femminile.

Possiamo dire che ormai il Giro Women ha trovato una sua identità?

Assolutamente sì. Siamo convinti che il ciclismo femminile in generale abbia il suo zoccolo duro di appassionati che lo vogliano seguire a prescindere dal Tour maschile che segue dopo in televisione. Con le nuove date vogliamo sfruttare il Giro maschile, cavalcando l’onda di quella fame di appassionati che appena finita la corsa vogliono ancora ciclismo. E potranno quindi seguire le imprese delle atlete la settimana successiva.

Ufficio stampa e digital-marketing hanno offerto una grande copertura del Giro Women attraverso le varie piattaforme
Ufficio stampa e digital-marketing hanno offerto una grande copertura del Giro Women attraverso le varie piattaforme
Di conseguenza ci saranno anche nuovi orari.

Nelle ultime due edizioni dovevamo arrivare alle 14,30 per esigenze di palinsesti televisivi. Quest’anno abbiamo avuto un clima leggermente più mite rispetto all’anno scorso, però diventa tutto più impegnativo col grande caldo. Poi va considerata che la finestra televisiva che avevamo riduceva l’attenzione su di noi, perché si riduceva ad esempio la presenza dei media sul posto. Ribadisco che il Giro Women sta diventando abbastanza solido per poter stare in piedi da solo e camminare sulle proprie gambe.

Legato a quest’ultimo discorso, conta anche il lavoro crescente dell’ufficio stampa e del comparto digital-marketing.

Sì è vero, i colleghi hanno lavorato davvero bene. Hanno prodotto tantissimi contenuti, offrendo una grande copertura del Giro Women. La gente che non aveva modo di seguire la diretta televisiva ha avuto comunque la possibilità di seguire la corsa dall’inizio alla fine attraverso le nostre tante piattaforme. Abbiamo mostrato i luoghi di partenza, i volti, la fatica, il sacrificio, la felicità delle ragazze e tantissimi altri momenti che hanno descritto la gara in modo completo, sotto ogni punto di vista.

La cura per il ciclismo. Vanotti parte dal suo progetto

18.07.2025
6 min
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L’analisi che ha messo a confronto ciclismo e atletica, le ricette che hanno portato la “regina degli sport” a svettare nel panorama sportivo italiano riapplicabili al mondo delle due ruote, hanno destato molto rumore nel sonnacchioso ambiente ciclistico. Nessuno nega più che il ciclismo italiano viva un momento buio, certamente non all’altezza della sua tradizione, ma l’establishment fatica ad aggiornarsi e vede le proposte di ”cura” come un fastidio, un disturbo al normale tran tran. Fra questi sicuramente non c’è Alessandro Vanotti.

Storico aiutante di Vincenzo Nibali in molte delle sue imprese, Vanotti oggi ha lanciato un proprio progetto dedicato al ciclismo giovanile che sembra rispecchiare abbastanza fedelmente quei dettami che nell’atletica sono stati seguiti riportandola in auge dopo molte stagioni di zero assoluto. Le sue idee, dopo aver letto l’articolo, prendono spunto proprio dalla “tesi”, il giudicare la vittoria tricolore di Filippo Conca come un momento negativo.

Alessandro Vanotti, storico gregario di Nibali, ha al suo attivo ben 19 grandi giri
Alessandro Vanotti, storico gregario di Nibali, ha al suo attivo ben 19 grandi giri

«Io non la penso così, credo anzi che sia stata una ventata di novità, il premio a un progetto, quello dello Swatt Club, che dovrebbe solo essere incoraggiato perché propone qualcosa di nuovo. E’ un ciclismo visto dai giovani, che fa i conti con un mondo che sta profondamente cambiando. In completa evoluzione, con una nuova mentalità, un diverso modo di vivere il ciclismo, mettendosi agonisticamente in gioco in maniera diversa. E’ preparazione applicata a un obiettivo e perché questo nuovo modello di vedere il ciclismo non va accettato? E’ vero, siamo a un punto basso, dobbiamo rimboccarci le maniche sapendo che per lunghe stagioni non vinceremo, ma dobbiamo investire sul futuro».

Importante è l’insegnamento del mestiere, di quel che il ciclismo significa al di là dei successi
Importante è l’insegnamento del mestiere, di quel che il ciclismo significa al di là dei successi
Perché allora c’è tanta ritrosia verso nuove idee?

Perché rimaniamo preda di idee vecchie e diatribe che non portano nulla, come quella tra Fci e Lega. Guardiamo avanti, guardiamo a noi, le istituzioni invece di litigare dovrebbero aiutare strutture innovative come quella dello Swatt Club e anche la mia. Perché c’è un tessuto culturale da ricostruire. Io con il mio progetto giovanile sono andato dagli sponsor, Santini in primis, facendo presente che da me non troveranno vittorie, non troveranno titoli sui media, ma troveranno serietà, dedizione, soprattutto un lavoro che porterà frutti. E questi frutti non saranno solo corridori professionisti perché in quest’ambiente emerge solo chi davvero ce la fa, uno su mille come diceva la canzone. Ma per il resto forgeremo tanti uomini che saranno poi i dirigenti delle aziende di domani perché lo sport è scuola di vita. Daremo un futuro, ciclistico e non solo.

Le aziende accettano, si adeguano?

Se sai che il progetto è valido, che porterà risultati ciclistici ma non solo, sì. Ma serve calma, soprattutto non correre dietro ai facili entusiasmi, serve soprattutto insegnare che cos’è il ciclismo, che cosa c’è dietro una vittoria. Io su un foglio bianco ho creato un progetto giovanile come quello dell’atletica, mi sono fatto la squadra da me come volevo io, senza interferenze. Ho creato lo staff con la gente che dico io, siamo in 15 e alla fine si decide collegialmente, non c’è un capo assoluto e soprattutto ci coinvolgiamo tutti ma giriamo tutti, non sono sempre gli stessi a seguire i ragazzi. Ma so già che è un progetto a lungo termine, ci vogliono minimo 10 anni per avere risultati.

I giovani che passano per il suo team acquisiscono anche competenze tecniche, utili per il loro futuro
I giovani che passano per il suo team acquisiscono anche competenze tecniche, utili per il loro futuro
Che cosa bisogna insegnare ai ragazzini?

Bisogna far capire a loro il senso di appartenenza alla squadra. Lo spirito di sacrificio. Soprattutto che ci sono tante cose da imparare prima di andare forte in bici. Fare una squadra significa lavorare 7 giorni su 7. Alzarti alle 5 del mattino per caricare il furgone per la gara.

L’errore che probabilmente molti fanno nel ciclismo giovanile è inseguire subito il risultato per appagare gli sponsor. Questo veniva fatto anche 10 anni fa nell’atletica e si scopriva che poi quei ragazzi che vincevano magari da junior o da under 23, poi sparivano. Come li si accompagna ai massimi livelli, non li si disperde?

E’ un problema di cultura. Di appoggio a un progetto umano prima ancora che sportivo. Quel famoso uno su mille non lo troverai se appunto non ci sono i “mille” che vengono messi in condizione di crescere, di diventare uomini. Ma se sai che fra loro ci sarà, forse, un campione, ci saranno altri che andranno a lavorare nella tua o in altre aziende perché avranno imparato qualcosa d’importante. Partiamo da questo. Dallo spirito, dall’obiettivo, l’abnegazione per la maglia, lo spirito di sacrificio, l’etica. Bisogna trovare il giusto equilibrio e noi formeremo questi ragazzi. Ci sarà un piano B per loro se non passeranno professionisti.

La struttura di Vanotti punta innanzitutto alla crescita valoriale dei ragazzi, per farne uomini, e poi, forse, campioni
La struttura di Vanotti punta innanzitutto alla crescita valoriale dei ragazzi, per farne uomini, e poi, forse, campioni
Ma nell’ambiente secondo te c’è abbastanza pazienza?

Non lo so, certamente siamo in un’epoca dove il ciclismo giovanile è alle soglie dell’abbandono, non lo sponsorizza più nessuno. Quindi a monte deve esserci un progetto. Sapendo di lavorare in un mondo in continua evoluzione. E poi liberiamoci dal troppo stress, ce n’è molto di più di quando correvo io. Sono ragazzini, basta con tutte queste pressioni, anche da parte dei genitori. E’ ovvio che i miei ragazzi li cresco per fare il risultato. La performance. Ma con calma, perché lavorando bene arriva. Bisogna essere più smart, integrare il ciclismo alla semplicità, rendersi conto (come ha fatto la nuova riforma dello sport che io approvo) che il mondo dello sport è una professione, non può più affidarsi al volontariato.

C’è anche un problema secondo te di aggiornamento dei tecnici rispetto a quello che emerge dall’estero?

Sì, per questo serve una nuova generazione, più pronta a raccogliere gli impulsi. Noi abbiamo un buco generazionale enorme anche a livello tecnico, per troppi anni si è andati avanti con gente di generazioni passate ma dietro non arrivava nessuno. Ora paghiamo dazio. Con me sono tutti giovani e tutti si aggiornano di continuo. Perché il ciclismo cambia a vista d’occhio. Anche la multidisciplina, ad esempio, è un bene se la si sa fare, ma far correre i ragazzi sempre, oggi nel ciclocross, domani in mtb, dopodomani su strada non va sempre bene, non si può correre sempre. Usiamo criterio. Bisogna rispettare la crescita muscolo-scheletrica, il suo sviluppo, parliamo di ragazzini.

Vanotti è convinto che per avere risultati servirà molto tempo, come per l’atletica…
Vanotti è convinto che per avere risultati servirà molto tempo, come per l’atletica…
Ci sarà da aspettare per rivivere i tuoi tempi?

Sicuramente, ma se sapremo farlo, il ciclismo italiano tornerà quello che era. Ma è tempo di agire, ora, lavorando in profondità. Oggi comandano i Pogacar e i Van der Poel, noi guardiamo. Facciamo in modo che siano loro a guardarci un domani, perché non possiamo aver dimenticato che cos’è il ciclismo, quel che ha dato al nostro Paese. Ma dobbiamo darci una mossa, ora…