Ganna riparte con la Vuelta, dopo tre settimane complicate

03.08.2025
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Nel breve reel pubblicato su Instagram il 6 luglio, all’indomani della caduta nella prima tappa del Tour, Filippo Ganna appariva deluso ma soprattutto frastornato. Il piemontese della Ineos Grenadiers ha provato a ripartire, ma quando a 79 chilometri dall’arrivo di Lille si è reso conto di non tenere le ruote del gruppo, ha capito anche che l’unica cosa da fare fosse fermarsi. Da quel momento, fatto salvo quel video, Filippo è sparito.

Nel secondo giorno di riposo del Tour a Montpellier, chiacchierando con lo staff del team britannico, alcuni sprazzi di frasi ci hanno fatto capire che la ripresa dall’infortunio non è stata indolore. Le conseguenze della concussion – la commozione cerebrale per la quale l’UCI ha previsto un protocollo specifico – si sono manifestate con vari dolori e la difficoltà nel prendere sonno. La ripresa degli allenamenti è stata ritardata più di una volta, così l’atleta che vedremo alla partenza della Vuelta sarà il miglior Ganna possibile, ma non il migliore di sempre.

In tutto questo, si fa largo la sensazione che aver saltato il Giro per il Tour non sia stata la scelta più condivisa (come pure aver limitato la presenza al Nord ad Harelbeke, Fiandre e Roubaix). Per capire come stiano le cose e soprattutto come stia Ganna, ci rivolgiamo a Dario Cioni, suo preparatore per le cronometro. Lo intercettiamo durante una giornata di lavoro in campagna, in cui ha lavorato sodo per piazzare le reti che dovrebbero impedire l’accesso ai cinghiali.

Torniamo indietro al Tour, che cosa è successo quel giorno?

Appena è rimontato in bici, dopo qualche chilometro è stato chiaro che avesse i sintomi della concussion e a quel punto il ritiro dalla corsa è stato automatico. Dopo un po’, ci si è resi conto che non c’era solo il discorso della commozione cerebrale, ma anche qualcosa di molto simile al colpo della strega. Aveva male al collo e sono servite quasi tre settimane per riavere una situazione normale.

In pratica è rimasto fermo per tutto il tempo del Tour?

Più o meno è così. Ha ripreso da poco a lavorare a pieno ritmo, quando abbiamo avuto la certezza che i problemi fossero ormai superati.

Cioni ha spiegato che il primo piano di rientro per Ganna prevedesse il Polonia, ma la lenta ripresa degli allenamenti lo ha sconsigliato
Cioni ha spiegato che il primo piano di rientro per Ganna prevedesse il Polonia, ma la lenta ripresa degli allenamenti lo ha sconsigliato
In che modo avete riprogrammato la stagione?

La Vuelta era già nei programmi. C’è stato un momento in cui si era pensato di fare il Polonia, ma alla fine, con quei sintomi che non si risolvevano, la scelta è stata obbligata. Non c’erano le condizioni e nemmeno il tempo per rientrare prima alle corse. Non puoi mandare un corridore appena rimontato in sella a fare una corsa di alto livello.

Uno stop così lungo ha fatto sì che la condizione costruita per il Tour sia andata a farsi benedire?

Difficile da valutare quanto abbia perso, però c’è di buono che stava bene. Se avesse fatto 4-5 tappe, sarebbe stato meglio perché avrebbe lavorato e avrebbe avuto modo di smaltire meglio la caduta. Fermarsi invece subito, dopo alcuni giorni in cui non aveva lavorato tanto, è stato negativo. In ogni caso, se ti fermi che stai bene, perdi meno rispetto a una sosta forzata quando sei finito.

Si va alla Vuelta con quali certezze?

Sapendo che di non averla preparata al 100 per cento. Però è la soluzione migliore, perché in caso contrario sarebbe uscito dal 2025 senza aver fatto un Grande Giro.

Si era detto che il mondiale crono sia troppo duro: cambia qualcosa a questo punto?

No, nel senso che comunque il mondiale resta troppo duro. Penso che l’europeo sia più alla sua portata, ma prima di fare certi ragionamenti è meglio correre la Vuelta e fare poi il punto della situazione.

Prima di partire per il Tour, Ganna aveva vinto il tricolore crono, battendo Baroncini di 46″ e Cattaneo di 57″
Prima di partire per il Tour, Ganna aveva vinto il tricolore crono, battendo Baroncini di 46″ e Cattaneo di 57″
Dal punto di vista della motivazione, è stato difficile gestire la situazione?

Non è stato ideale, perché Filippo aveva messo tanto lavoro verso il Tour e andarsene senza aver corso sicuramente dispiace. Però fa parte del gioco e bisogna guardare avanti.

L’avvicinamento alla Vuelta prevede il ritorno in quota a Macugnaga?

Sì, per cui lo seguirò io per una parte e poi andrà su anche Dajo (Sanders, l’head coach del Team Ineos Grenadiers, ndr). Poi sarò con Filippo alla Vuelta per la cronosquadre del quinto giorno e per la crono individuale di Valladolid del diciottesimo. Vedremo come andrà e poi si potrà parlare eventualmente con Villa per la partecipazione agli europei.

Si può vincere la crono di Valladolid?

Dipende dagli avversari. Dipende se c’è Remco Evenepoel oppure no. Però intanto pensiamo a lavorare, di avversari e futuro ci sarà il tempo giusto per parlare.

Ferrand Prevot spiana la Madeleine con un’ora e mezza da biker

02.08.2025
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Magra da far paura, veloce in salita più delle scalatrici più forti, emozionata fino alle lacrime, Pauline Ferrand Prevot ha riavvolto il nastro fino alle parole che aveva pronunciato dopo la vittoria di Roubaix. Quel giorno, con un sorriso scaramantico che sotto sotto nascondeva delle certezze ben più solide, annunciò che il suo prossimo obiettivo sarebbe diventato il Tour de France Femmes. Per questo quando oggi l’abbiamo vista rimanere da sola nella scalata della Madeleine, che appena una settimana fa aveva salutato il passaggio degli uomini, abbiamo capito che la francese stava scrivendo il capitolo che mancava.

«E’ il sogno di una bambina – dice – sono molto emozionata. Credo che piangerò perché significa molto per me. La maglia gialla è per tutta la mia famiglia, mamma e papà che mi hanno dato l’ultima borraccia a cinque chilometri dal traguardo. Quando l’ho presa, ho cercato di non guardarli, altrimenti sapevo che avrei iniziato a piangere. E’ stato un momento molto forte, la famiglia è tutto per me, quindi oggi è anche per loro».

Un elicottereo in alto, il fruscio delle auto, qualche tifoso e il ritmo del cuore: Ferrand Prevot sola sulla Madeleine
Un elicottereo in alto, il fruscio delle auto, qualche tifoso e il ritmo del cuore: Ferrand Prevot sola sulla Madeleine

Un posto nella storia

Con la stessa sicurezza che un anno fa a Parigi 2024 le aveva permesso di centrare l’oro olimpico della mountain bike, l’atleta di Reims ha gestito la scalata in totale controllo. Incollata alla sella, pedalando ad alta cadenza, facendo saltare una dopo l’altra le sue avversarie. Campionessa del mondo su strada, ciclocross, mountain bike e gravel, ora indossa la maglia gialla, che solo con un ribaltone degno del miglior Simon Yates domani potrebbe esserle strappata.

«Mi sentivo ancora bene – ha detto dopo aver riordinato le idee – ho pedalato il più veloce possibile ed era importante gestire bene lo sforzo fino alla fine. E’ incredibile. Le mie compagne hanno lavorato duramente tutta la settimana per tenermi davanti con quanta più energia possibile. Questo è davvero il segno che ho fatto la scelta giusta e che questa squadra è incredibile. Sono molto contenta».

Sarah Gigante ha attaccato, ma non aveva fatto i conti con la Ferrand Prevot stellare di questa tappa
Sarah Gigante ha attaccato, ma non aveva fatto i conti con la Ferrand Prevot stellare di questa tappa

Una bandiera per i francesi

Quella maglia con i colori della Visma Lease a Bike, che Vingegaard non è riuscito a far salire sul gradino più alto del podio, va a occupare due caselle molto importanti. Quella di una vittoria al Tour sempre più vicina per la squadra olandese e il ritorno in giallo di un’atleta francese dopo il 1985 di Hinault. Il rapporto dei tifosi francesi con la corsa di casa negli anni è cambiato, sono diventati tifosi dello sport e non di idoli locali. L’impresa di Pauline Ferrand Prevot restituisce loro una bandiera da sventolare.

«Quando sono arrivata qui – dice lei – l’obiettivo era partecipare al Tour e magari vincere una tappa. Sapevo di essere forte, ma non sapevo a che livello fossi rispetto alle altre. Gli ultimi chilometri sono stati molto difficili. Volevo creare il massimo distacco possibile per domani. Ho cercato di godermela un po’, ma volevo raggiungere il traguardo il più velocemente possibile. Grazie alla Francia che mi segue da una settimana, sono felice di aver vinto oggi per tutti».

Stamattina alla partenza fra Vollering e FerrandPrevot c’erano 5″: ora sono diventati 3’18”.
Stamattina alla partenza fra Vollering e FerrandPrevot c’erano 5″: ora sono diventati 3’18”.

Tutte in un minuto

Eppure non c’era niente di scontato. Stamattina alla partenza le più forti erano tutte in un minuto e la tappa che si annunciava non era particolarmente lunga. Meno di 112 chilometri, con l’interminabile salita finale che però è bastata per scavare un solco molto profondo.

«E’ incredibile – dice – non sapevo come me la sarei cavata rispetto a Vollering, Niewiadoma e Sarah Gigante… Quando l’ho vista partire, mi sono detta: “Mi sento ancora bene, cercherò di starle dietro”. E poi ho capito che dovevo gestire uno sforzo di quasi un’ora e mezza ed è stato come una gara in mountain bike, dove devi entrare nella zona rossa e non superarla. So di saper gestire questo tipo di sforzo piuttosto bene».

Ferrand Prevot ha tagliato il traguardo con 1’45” di vantaggio su Sarah Gigante
Ferrand Prevot ha tagliato il traguardo con 1’45” di vantaggio su Sarah Gigante

Sulla cima del mondo

Non solo di gambe, fa capire. In effetti la Visma-Lease a Bike ha giocato anche la carta Bunel, mandando all’attacco la giovanissima e talentuosa vincitrice dell’ultimo Tour de l’Avenir. Una ragazzina di vent’anni che sarebbe dovuta restare nella bambagia ed è stata invece gettata subito nella mischia.

«Avevamo mandato Marion in fuga – spiega Ferrand Prevot – ed è diventata il trampolino di lancio per ripartire da sola più avanti nella tappa. Non c’è niente di scontato, c’è ancora domani e sarà una tappa difficile. Un anno dopo i Giochi, tornare in gara e vincere su questa salita leggendaria è davvero incredibile. Riesco a pormi delle sfide e a motivarmi per cercare di avere successo. E’ questo che amo del mio sport: dare tutto per arrivare al grande giorno. Essere pronta e sapere di essermi data i mezzi per riuscirci».

Era il 21 luglio del 1985 quando Bernard Hinault conquistò la quinta maglia gialla. Sono passati giusto quarant’anni e nel mezzo (nel 1989) c’è stato anche il Tour de France di Jeannie Longo. Eppure l’aria che si respira in questi giorni sulle strade francesi è di quelle importanti. Il suono della marsigliese è pronto a innalzarsi sul podio finale di domani a Chatel Le Portes du Soleil.

Ciccone show a San Sebastian: UAE battuta e Vuelta in vista

02.08.2025
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Lo avevamo lasciato quel 25 maggio a Nova Gorica, quando arrivò in parata scortato dalla squadra con il quadricipite destro gonfio come un pallone. Da allora Giulio Ciccone non aveva più gareggiato. Lo abbiamo ritrovato a San Sebastian, con la sua solita grinta e delle curve tirate al limite, forse anche di più.

La Clàsica San Sebastian si è mostrata in tutto il suo splendore, con un finale thrilling come non si vedeva da un po’. E per noi italiani è stata ancora più bella, grazie al successo dell’abruzzese. Una vittoria in una classica che mancava da anni. Se facciamo riferimento al WorldTour, bisogna riavvolgere il nastro fino alla Roubaix di Colbrelli.

L’arrivo di Ciccone a San Sebastian, per l’abruzzese è la 12ª vittoria in carriera
L’arrivo di Ciccone a San Sebastian, per l’abruzzese è la 12ª vittoria in carriera

Larrazabal gongola

La classica basca si rivela quel crocevia tra atleti che escono dal Tour e quelli che rientrano in vista della Vuelta. E’ un mix di tante incognite. Come si sta? Questa è la domanda generale.

E questa è la domanda che si è fatto anche Josu Larrazabal, capo dei preparatori della Lidl-Trek. Ciccone è seguito da Michele Bartoli, ma il tecnico spagnolo osserva da vicino tutti i suoi atleti e, tanto più che oggi si correva a casa sua, era emozionatissimo. A fine corsa si è fermato subito in un bar per un caffè, per riprendersi dal (bello) shock.

«Questo è il Ciccone top. Questo ragazzo ha fatto un altro step – attacca subito Larrazabal – secondo all’UAE Tour, secondo alla Liegi, e quando non c’è Pogacar riesce a vincere anche lui, battendo tra l’altro i corridori più forti del momento. Se era pronto subito? Penso che quando si arriva a un certo livello certe cose le capisci. Mi spiego…

«Molti atleti, dopo un lungo stop, devono ricostruire la fiducia tramite i numeri in allenamento. Arrivati a quel punto, cercano conferme in corsa e solo dopo si sentono pronti. Ciccone non ha bisogno di questa seconda fase e questa è una dote dei grandi. E lui lo è. Vi racconto questo: siamo stati in ritiro ad Andorra e lì aveva detto ai ragazzi che stava bene. Ha stabilito anche due KOM. Piccole cose, ma che danno morale».

Per i baschi, tra cui coach Larrazabal, questa gara è magnetica. Quanto tifo lungo le strade
Per i baschi, tra cui coach Larrazabal, questa gara è magnetica. Quanto tifo lungo le strade

La fiducia di Ciccone

Ciccone ha guidato benissimo e in generale possiamo dire che ha condotto la sua corsa alla perfezione. Ha gestito bene la squadra, ha rintuzzato senza esagerare gli attacchi di Roglic e Del Toro sulla penultima salita e ha contenuto e poi rilanciato sull’attacco di Jan Christen nello strappo finale.

«Era tanto che non gareggiavo e qualche dubbio poteva esserci – ha detto Ciccone – sono contento di aver recuperato bene dall’infortunio al Giro. Abbiamo fatto un ottimo lavoro con tutta la squadra, ma sapete due mesi lontano dalle gare sono tanti, quindi è sempre difficile aspettarsi un risultato all’esordio. Però devo dire che oggi le gambe erano buone e abbiamo corso veramente bene.

«E’ stato difficile capire cosa fare quando eravamo in due, perché mancava ancora tanto all’arrivo. Ma quando sei in fuga con un corridore come Isaac Del Toro non hai tante scelte: devi continuare. Il momento decisivo c’è stato quando è rientrato Christen. Lui è arrivato veramente fortissimo da dietro. Pensavo preparasse un attacco di Del Toro, invece poi lui si è staccato».

E lì davvero Ciccone è stato bravo. Un gatto. Appena lo svizzero della UAE Emirates è partito, ci ha messo mezzo secondo a piombargli addosso, dando ai due compagni della UAE dimostrazione di forza e presenza tattica. Insomma, non si è fatto mettere in mezzo.

«In quel momento – riprende Ciccone – ho dato il mio 100 per cento e poi da lì all’arrivo è stata tutta una lunga apnea. Sì, fino a due chilometri dall’arrivo ho avuto paura, perché non riuscivo a capire bene la situazione. Poi, negli ultimi 500 metri, quando ho visto che non arrivava più nessuno, me la sono goduta tanto».

Il momento decisivo della gara. Del Toro non spinge più, mentre da dietro spunta Christen

Il lavoro ad Andorra

Non troppi giorni fa avevamo parlato proprio con Ciccone del suo rientro e del lavoro ad Andorra. E visto come era stato improntato quel lavoro, questo successo assume ancora più valore. Cicco era stato fermo fino a metà giugno. Aveva ripreso con gradualità e, prima del ritorno in quota, aveva ripreso i carichi di lavoro abituali. Ma poi il vero step, il grande blocco, lo aveva fatto proprio sulle alture pirenaiche.

«Non abbiamo lavorato in modo specifico per San Sebastian – spiega Larrazabal – ma in ottica Vuelta. Il fatto è che oggi tutto è stato perfetto. Lui era fresco perché non correva da molto tempo e magari il cuore poteva essere troppo alto, faceva caldo, la corsa era superiore ai 200 chilometri… insomma tante incognite. Quindi almeno fino alla salita decisiva, Erlaitz fino a 50 chilometri dall’arrivo, si restava un po’ sul chi va là. Poi però, se vedi che stai bene, puoi andare. Lì capisci chi c’è e chi no. Quelli del Tour magari avevano gambe ma non più la testa per tenere duro, altri al contrario non avevano abbastanza gambe. Giulio aveva tutto».

E qui Larrazabal aggiunge un tema non da poco, che più di una volta è stato toccato parlando di Ciccone. «E’ stato tutto perfetto perché Giulio, in queste condizioni, è un vero killer. Ha spunto, tiene in salita, sa guidare bene, ha grinta e poi ha una cosa che non s’impara, né si allena: l’istinto della gara. A lui la pressione non lo intimorisce, ma lo esalta. E quando ci sono corse così riesce a fare quello step che magari nei grandi Giri, spesso anche per sfortuna, non gli riesce. Nei grandi Giri ci sono tante più incognite: le cadute, le crono, il meteo… Per questo dico che per le classiche, per le corse di un giorno, Giulio è un corridore fortissimo. Sono anni che glielo diciamo, con Luca Guercilena e gli altri tecnici».

Ciccone e la classica foto con la chapeza, il tipico cappello basco…
Ciccone e la classica foto con la chapeza, il tipico cappello basco…

Tra festa… e foto

Ora la Lidl-Trek farà festa di nuovo. Dopo la maglia verde al Tour e le due vittorie di Jonathan Milan, ecco un altro successo di peso. La squadra di Guercilena c’è sempre.

Ancora Ciccone: «Che dire? Sono contento. Oggi ho trovato delle ottime gambe e vincere qui è davvero bellissimo, perché la Clàsica San Sebastian è una delle mie gare preferite. Era da tanto tempo che provavo a fare bene qui e questa è stata l’occasione giusta».

Finita? Non del tutto. Sentite di nuovo Larrazabal: «Un mio amico strettissimo, Josè – prosegue il tecnico basco – è tifoso di Cicco e mi ha detto che voleva fare una foto con lui. Allora stamattina l’ho portato da Giulio e ha fatta questa foto. Prima di andare via proprio Cicco gli ha detto: “Dopo l’arrivo ne facciamo un’altra con la chapeza”. La chapeza è il nostro cappello tipico che va al vincitore. Josè mi ha chiesto se secondo me veramente Giulio rifarà la foto. Gli ho detto che può starne certo. Andremo in hotel, avrà la foto prima e dopo la corsa… con la chapeza! Una giornata così è indimenticabile».

Un tuffo con Bennati nello spirito della Alpecin-Deceuninck

02.08.2025
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Con gli occhi ancora pieni della magia del concerto di Jovanotti ai Laghi di Fusine, Daniele Bennati si presta volentieri a parlare di una squadra che se ne è andata dal Tour con tre tappe vinte e la maglia gialla (con due corridori diversi).

La Alpecin-Decenunick dei fratelli Roodhooft non è la squadra più ricca del WorldTour e da quelle vette resta suo malgrado lontana. Eppure nonostante ciò, il suo campione di riferimento e il morale che sa trasmettere ai compagni ne fanno un approdo molto ambito. Vedere Mathieu Van der Poel mettersi al servizio di Philipsen per vincere una tappa al Tour o la Milano-Sanremo fa pensare a ciascun atleta che tutto sia possibile.

«Hanno vinto tre tappe – dice Bennati, l’ex tecnico della nazionale – con Philipsen che si è ritirato dopo tre giorni, sennò magari erano anche di più. Un bottino importante, ma poteva essere sicuramente superiore, anche se poi di volate vere e proprie non ce ne sono state tante».

Secondo Bennati, Philipsen dovrebbe dedicare un monumento a Van der Poel per ogni vittoria che ha propiziato
Secondo Bennati, Philipsen dovrebbe dedicare un monumento a Van der Poel per ogni vittoria che ha propiziato
Da corridore, a Bennati sarebbe piaciuto correre in una squadra così?

Mi è sempre piaciuta, fin dai loro inizi. Nonostante non avessero e non abbiano tutt’ora un budget esagerato, in corsa io li ho sempre visti muoversi molto bene. Se avessi una squadra mia, li prenderei sicuramente come esempio. Chi li dirige è molto bravo, perché sanno cavarsela sempre bene, soprattutto nelle volate. Se guardiamo i singoli e togliamo dal mazzo VdP e Philipsen, non è che ci siano nomi altisonanti, però nel loro caso è l’atteggiamento che fa la differenza.

Il fatto che Van der Poel si metta a disposizione dei compagni può essere un esempio anche per gli altri?

Non è che si limiti a tirare le volate, in certe occasioni lui diventa proprio determinante. Se ripenso alla Sanremo dello scorso anno, alcune tappe al Tour e alle gare più importanti, Philipsen dovrebbe fare un monumento a Van der Poel. E’ chiaro che quando un corridore così ha questa attitudine e si mette a disposizione di un capitano, fa la grande differenza. Chi non vorrebbe un ultimo uomo così? Eppure secondo me fa tutto parte della linea della squadra. Sicuramente però Mathieu è generoso, non pensa solo a se stesso, ma al bene di tutti.

Il fatto che lui abbia firmato a vita forse lo rende ancora più partecipe dei destini della squadra?

Questo sicuramente è un altro aspetto da tenere in considerazione. In qualche modo Van der Poel si sente riconoscente nei confronti della squadra, però anche prima di estendere così tanto il suo contratto non si è mai tirato indietro. A me personalmente piace non solo perché vince, ma perché si mette a disposizione.

Tappa di Chateauroux, Van der Poel e Rickaert in fuga per 173 km tra vento e pianura: azione eroica, ma folle secondo Bennati
Tappa di Chateauroux, Van der Poel e Rickaert in fuga per 173 km tra vento e pianura: azione eroica, ma folle secondo Bennati
Può dipendere da una mentalità di squadra che altrove non hanno?

Chi è in macchina è sicuramente bravo, ma per arrivare a vincere una tappa in fuga come ha fatto Groves, sicuramente alla base c’è proprio una mentalità di squadra. Non ti svegli la mattina e trovi un direttore che ti motiva, c’è un modo di andare in corsa che è tutto loro e che gli permette di cercare una fuga a due per 173 chilometri, a 49,6 di media, arrivando quasi a vincere la tappa.

Azioni belle, magari prive di grande logica, ma splendide…

Un’azione che forse con un finale diverso sarebbe potuta andare in porto. Ci fosse stata qualche curva in più, dietro avrebbero faticato a chiudere. Si sono sciroppati talmente tanti chilometri e hanno accumulato talmente tanta fatica, che forse quel giorno la generosità di Van der Poel è stata anche esagerata. La cosa bella è che Mathieu è un trascinatore per tutto il resto della squadra.

Sembra di capire che tu quella fuga non l’avresti fatta…

Esatto, avrei risparmiato l’energia per vincere qualche altra tappa. Secondo me quel giorno ha raschiato il fondo del barile e poi infatti si è ammalato. Però l’appassionato apprezza queste cose e l’ho apprezzato anch’io. Ha portato con sé Rickaert e voleva regalargli la soddisfazione di un podio, che sportivamente è molto bello.

Groves vince a Pontarlier e diventa uno dei 114 corridori di sempre ad aver vinto almeno una tappa nei tre i Grandi Giri
Groves vince a Pontarlier e diventa uno dei 114 corridori di sempre ad aver vinto almeno una tappa nei tre i Grandi Giri
Anche lui dà la sensazione di cercare sfide che lo divertano, come il suo amico e grande rivale Pogacar. Ogni volta che si scontrano, se ne vedono davvero delle belle…

Soprattutto grazie a Tadej, il ciclismo degli ultimi anni sta diventando più spettacolare. Non penseresti di trovare uno come lui in certe gare del Nord, invece si è buttato prima sul Fiandre e poi sulla Roubaix, scommettendo su se stesso e rendendo quelle gare più spettacolari.

Ci fosse stato Van der Poel nella tappa di Parigi, oltre a Van Aert, Ballerini e Pogacar, ci avrebbero fatto ballare…

Forse sarebbe arrivato da solo. Ma lui non c’era e sono contento che abbia vinto Van Aert, perché aveva un credito con la cattiva sorte e credo che il suo successo sia piaciuto a tutti. Obiettivamente il maltempo ha un po’ falsato l’ultima tappa, la neutralizzazione ha cambiato il finale. Al primo scatto sono rimasti in cinque e se la sono giocata loro.

Ma davvero pedalando con Jovanotti ogni giorno seguivate il Tour?

Assolutamente! E quando facevamo tardi, io piazzavo il telefono sul manubrio e ascoltavamo la cronaca, perché guardare non si poteva. La tappa che ha vinto Milan, la seconda, siamo arrivati che mancavano 4 chilometri all’arrivo e siamo andati davanti alla TV dell’hotel a guardare.

Fra Bennati e Jovanotti l’amicizia è di vecchia data: c’era anche lui nel viaggio dell’artista ai Laghi di Fusine (immagine Instagram)
Fra Bennati e Jovanotti l’amicizia è di vecchia data: c’era anche lui nel viaggio dell’artista ai Laghi di Fusine (immagine Instagram)
Hai scritto belle cose su Lorenzo e la bici.

Ho scritto che la bici non è solo un mezzo di trasporto. E’ un modo di vedere il mondo. E questo viaggio con Lorenzo ne è stata la dimostrazione più bella. E se i ragazzi vogliono fidarsi e lo ascoltano, lui che è un influencer potentissimo, forse davvero qualcosa si può iniziare a cambiare.

Un salto a Skopje per le Olimpiadi Giovanili, che viaggio è stato?

02.08.2025
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L’Italia è reduce da una spedizione olimpica un po’ particolare ma che merita di essere raccontata, sia per i risultati ottenuti ma anche per l’esperienza che ha regalato ai suoi atleti. Stiamo parlando dei Giochi Olimpici della Gioventù Europea (European Youth Olympic Festival, EYOF) che si sono tenuti a Skopje, in Macedonia del Nord. Una competizione riservata ai ragazzi con età compresa tra i 14 e i 18 anni. La spedizione azzurra ha conquistato il primo posto nel medagliere con 50 medaglie conquistate (19 d’oro, 19 d’argento e 12 di bronzo). 

Ai Giochi Olimpici della Gioventù Europea di Skopje l’Italia ha partecipato con i ragazzi della categoria allievi (foto Instagram)

Sulle strade macedoni

C’è stato spazio anche per il ciclismo, disciplina che ha portato due medaglie al team azzurro: una d’oro nella prova a cronometro femminile con Anna Bonassi e l’altra di bronzo nella prova a cronometro maschile con Tommaso Cingolani. Il commissario tecnico alla guida del settore strada era Silvia Epis che ha accompagnato i giovani azzurri in un viaggio dal sapore speciale. 

«Si è trattata di una vera e propria Olimpiade – ci racconta appena tornata dal viaggio – che aveva come centro Skopje, anche se noi del ciclismo, sia strada che mountain bike, eravamo a una quarantina di chilometri di distanza, a Kumanovo

La prima delle due medaglie, di bronzo, arrivate dal ciclismo l’ha conquistata Tommaso Cingolani nella prova a cronometro
La prima delle due medaglie, di bronzo, arrivate dal ciclismo l’ha conquistata Tommaso Cingolani nella prova a cronometro
Dove si sono svolte le gare di ciclismo?

Le prove su strada erano tutte nell’area di Kumanovo, i percorsi delle prove in linea erano un’andata e un ritorno su una strada che portava comunque a fare parecchio dislivello. Le distanze in sé non erano eccessive, 50 chilometri per le ragazze e 60 chilometri per i ragazzi. Mentre la cronometro misurava una decina di chilometri. 

Che clima avete trovato?

A livello ambientale davvero torrido. Le temperature superavano mediamente i 40 gradi centigradi, infatti l’organizzazione ha anticipato gli orari delle partenze per evitare di correre nei momenti più caldi. 

Anna Bonassi, invece, ha dominato la prova contro il tempo femminile vincendo la medaglia d’oro
Anna Bonassi, invece, ha dominato la prova contro il tempo femminile vincendo la medaglia d’oro
Invece che atmosfera si respirava?

Era una vera e propria Olimpiade, con tutte le nazionali europee rappresentate. Non c’era un vero e proprio villaggio olimpico, ma eravamo suddivisi in hotel. Noi come ciclismo condividevamo la struttura con Grecia e Lussemburgo.

Cosa intendi con vera e propria Olimpiade?

Che i ragazzi erano con la divisa che utilizza solitamente la nazionale in questi eventi e soprattutto durante le gare non si potevano indossare kit sponsorizzati. Siamo partiti da Malpensa con un volo charter dedicato e una volta arrivati a Skopje abbiamo partecipato alla cerimonia di apertura dei Giochi che sono iniziati il 20 luglio e sono terminati il 26. 

I Giochi Olimpici della Gioventù Europea si sono svolti a Skopje in un paesaggio e un clima desertico con temperature superiori ai 40 gradi (foto Instagram)
I Giochi Olimpici della Gioventù Europea si sono svolti a Skopje in un paesaggio e un clima desertico con temperature superiori ai 40 gradi (foto Instagram)
Una bellissima esperienza per dei ragazzi che difficilmente hanno modo di correre fuori dall’Italia, soprattutto nel ciclismo. 

Per molti di loro è stato il primo momento di confronto con atleti di altri Paesi. Si è creato un bellissimo spirito di gruppo e sarà un’esperienza che si ricorderanno sicuramente. Non era solo sport però, perché una volta finite le gare c’era la parte di divertimento. 

Raccontaci…

C’erano feste, incontri, abbiamo avuto anche modo di esplorare e conoscere il territorio. Noi che eravamo a Kumanovo abbiamo girato la cittadina, visto come vivono e quali sono le tradizioni del luogo. I ragazzi hanno voluto assaggiare il cibo locale e siamo andati a mangiare fuori tutti insieme, principalmente erano tutti piatti a base di carne. 

Nelle prove di mountain bike gli azzurri si sono messi in evidenza con Walter Vaglio (qui in foto Instagram) e Mariachiara Signorelli
Nelle prove di mountain bike gli azzurri si sono messi in evidenza con Walter Vaglio (qui in foto Instagram) e Mariachiara Signorelli
Avete avuto modo di vedere Skopje? 

Solamente durante le cerimonie di apertura e chiusura dei Giochi. Però posso dire che sia io che i ragazzi siamo rimasti colpiti. E’ una capitale molto giovane, poi in quei giorni era coloratissima e molto viva dato che ai Giochi Olimpici della Gioventù Europea hanno partecipato un totale di 6.000 ragazzi. 

Com’è stato per i ragazzi vivere una settimana tutti insieme?

Sicuramente un’esperienza formativa nella quale hanno iniziato a prendere confidenza con altre realtà e a rapportarsi con regole e responsabilità. Veniva rispettata l’individualità, ma ognuno aveva il proprio ruolo. In hotel eravamo con tutta la spedizione del ciclismo, strada e fuoristrada, e abbiamo vissuto una settimana a stretto contatto. Gli atleti della mountain bike hanno fatto il rifornimento a quelli della strada durante le gare così come gli stradisti hanno dato il loro supporto a loro. 

Come sono andate le gare?

Le due medaglie le abbiamo conquistate nelle prove contro il tempo, sia quella di Anna Bonassi che quella di Tommaso Cingolani. Purtroppo lo stesso Cingolani nella gara in linea ha avuto un problema al cambio che gli ha impedito di correre al meglio. Ci siamo contraddistinti anche nelle gare di mountain bike con il sesto posto di Walter Vaglio e l’ottavo di Mariachiara Signorelli. 

Il livello tecnico era elevato?

Nelle prove di mountain bike il percorso era difficile e tutto da guidare e i vincitori sono emersi per superiorità netta nei confronti degli altri. Su strada, invece, il percorso era un avanti e indietro sulla stessa strada quindi tecnicamente non era difficile. C’era molto dislivello, quasi 900 metri per i ragazzi e 800 per le ragazze. 

Cosa ti hanno detto i ragazzi su questa esperienza?

Sono stati orgogliosi e felici di vestire la maglia azzurra in un evento di questo calibro, sicuramente porteranno a casa delle emozioni e un’esperienza che saranno difficili da replicare.

Vincere e chiudere bene la stagione: Dainese fa i conti del Tour

02.08.2025
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Le vacanze all’Isola d’Elba prima di ripartire ad allenarsi per Amburgo hanno dato modo ad Alberto Dainese di rileggere il suo Tour de France. Il padovano del Tudor Pro Cycling Team si è ritrovato sullo stesso ring di pesi massimi come Merlier, Milan e (finché c’è stato) anche Philipsen. Ha avuto buone sensazioni in salita, gli è mancato qualcosa nelle volate e ha maturato due certezze. La prima è che c’è da lavorare per raggiungere certi apici. La seconda è che di qui a fine anno vuole fortemente vincere di nuovo.

«Se c’è una cosa che mi dà fastidio – sorride – è sentirmi dire “good job” dopo un sesto posto. Il velocista deve vincere, se fa sesto di cosa può essere fiero? Quando ero alla Zalf, Luciano Rui ci faceva i complimenti se vincevamo, ma se eravamo secondi neanche se ne parlava. Voglio vincere. La squadra si aspettava di più e mi paga per quello, è il mio lavoro. Voglio vincere per capire dove sono e per la sensazione stessa di vincere. Sono un velocista, la mentalità deve essere quella».

A Tolosa, 11ª tappa, arriva la fuga e vince Abrahamsen: Dainese è secondo nella volata del gruppo
A Tolosa, 11ª tappa, arriva la fuga e vince Abrahamsen: Dainese è secondo nella volata del gruppo

Le salite e gli acciacchi

Avendo ricevuto l’invito per il Tour, la Tudor Pro Cycling ha dirottato Trentin, Alaphilippe e Dainese (le sue punte di diamante) sulla corsa francese. La preparazione mirata ha tenuto conto del livello pazzesco della sfida, così Alberto ha lavorato per arrivare in Francia con tutte le armi necessarie. Anche se nello spiegarlo, ricorre alla proverbiale ironia.

«Andavo forte, forse non abbastanza – ammette – quindi sono stato soddisfatto di come andavo in salita. In volata invece, c’è ancora da lavorare, però in generale è stato un Tour in cui ho sofferto poco. A parte quando sono stato un po’ male negli ultimi due giorni e la tappa di Valence, in cui ho fatto sesto, pur avendo dei seri problemi intestinali. In quei giorni ho sofferto, poi c’è da dire che di volate vere e proprie ne abbiamo fatte 4-5. A livello fisico c’ero, resistenza molto buona in salita, forse così forte sono andato poche volte. In volata però mi sarei aspettato di fare un risultato migliore, soprattutto a Valence, dove sono anche rimasto davanti alla caduta. Però quel giorno mi sono svegliato nella classica giornata in cui ho odiato dalla prima all’ultima pedalata…».

Merlier secondo Dainese è al momento il velocista più forte, capace di rimonte impensabili per gli altri
Merlier secondo Dainese è al momento il velocista più forte, capace di rimonte impensabili per gli altri

Fra Milan e Merlier

Il fatto di andare forte in salita serve al velocista per avere più resistenza e non lasciare sugli strappi la potenza di cui avrà bisogno in volata. Soprattutto se il confronto è così elevato che basta perdere mezza pedalata per ritrovarsi nei guai.

«Se devi competere con quelli là – sorride – basta che tocchi i freni una volta e devi fare un rilancio che ti costa. Il treno ce l’aveva solo la Lidl, ma Merlier è stato talmente devastante, che ha vinto da solo. Se Jonathan (Milan, ndr) è in seconda ruota, lui arriva da dietro e lo salta. E’ imbarazzante. Sembra che giochi, per batterlo servirebbe avere in tasca una pistola (ride, ndr). Le due volate che Milan ha fatto contro di lui, le ha perse nonostante Merlier arrivasse da dietro. Prende 500 metri di aria prima di fare la volata, perché non ha nessuno che lo porti al chilometro. Magari lo lasciano in decima posizione e lui comincia a risalire fino alla ruota di Jonathan e poi lo salta. Se lo facessi io, dovrei fare la volata prima della volata. Intendiamoci, Jonathan è fortissimo. Come lo fermi un corridore di 1,94 che si lancia a 70 all’ora? Invece Philipsen ha davanti Van der Poel e Groves che lo lasciano ai 150 metri a 75 all’ora, fa le volate di testa. Non voglio dire che sia facile, però sicuramente a Merlier gliela complicano perché lui non ha un treno».

Onley è stato una delle rivelazioni del Tour. Dainese lo conosce dal 2023 e il suo quarto posto non lo ha stupito (qui è a ruota di Pogacar sul Col de la Loze)
Onley è stato una delle rivelazioni del Tour. Dainese lo conosce dal 2023 e il suo quarto posto non lo ha stupito (qui è a ruota di Pogacar sul Col de la Loze)

Sulle strade con… Onley Fans

Prima di lasciarlo alla spiaggia e di ringraziarlo per aver risposto durante le meritate vacanze, gli chiediamo qualcosa su Oscar Onley, il quarto del Tour a 1’12” dal podio, con cui “Daino” ha diviso ritiri e chilometri nel 2023 quando correva anche lui con la DSM-Firmenich.

«Onley Fans – ride – era bellissimo. C’erano i cartelli degli Onley Fans, che si pronuncia allo stesso modo di OnlyFans. Lui è forte davvero. Abbiamo corso insieme e si parlava di quali numeri devastanti avesse. L’anno prima mi pare che avesse fatto secondo in un una tappa della CRO Race, arrivando a due con Vingegaard che poi vinse la tappa. E già quello aveva colpito. Nella Vuelta che abbiamo fatto insieme, è caduto in uno delle prime tappe, però era uno che già allora menava. Al Tour poteva giocarsi anche lui il podio, mentre i primi due fanno un altro sport. Lui era il migliore degli altri e anche quando acceleravano Pogacar e Vingegaard, in qualche occasione è successo che lui sia rimasto con loro. E’ un ragazzo a modo, sa dove vuole arrivare, però è tranquillo, non è montato. E’ un bravo ragazzo».

Neppure Alberto Dainese è tanto male, non si accontenta e corre perché vuole vincere. Ci sono tanti corridori che in cambio di uno stipendio migliore si adattano a ruoli di rincalzo. Con 27 anni compiuti a marzo, aver corso un Tour senza piazzamenti si sta trasformando giorno dopo giorno in benzina pronta per il fuoco. Che le vacanze portino finalmente la freschezza necessaria.

Roma e il Giro, sarà la volta buona per nozze durature?

01.08.2025
5 min
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Il Tour de France si è chiuso da una settimana, ma ci sono alcune considerazioni che tengono alta l’attenzione anche sul Giro d’Italia, che si è chiuso esattamente due mesi fa a Roma. Già, Roma, la capitale, che con la corsa rosa ha sempre avuto un rapporto molto stretto ma certamente diverso da quello di Parigi con il Tour.

L’ultima tappa della corsa rosa è stata un viaggio fra i monumenti iconici della città, Colosseo in testa
L’ultima tappa della corsa rosa è stata un viaggio fra i monumenti iconici della città, Colosseo in testa

Roma come Parigi?

Lo scorso anno, quando Parigi era alle porte della sua terza edizione olimpica, gli organizzatori furono costretti ad emigrare dalla consueta conclusione sugli Champs Elysées e nel mondo delle due ruote si alzarono alti i peana di chi parlava di attentato alla tradizione. Perché la conclusione del Tour “è” a Parigi, c’è poco da fare. Roma non vive lo stesso rapporto con il Giro d’Italia: la Capitale è stata per ben 112 volte sede di arrivo di tappa (solo Milano le è superiore con 144), ma la corsa rosa si è conclusa sulle strade capitoline appena 7 volte, di cui le ultime tre consecutivamente.

E’ ancora presto per parlare della prossima edizione, anche se alla RCS Sport i contatti per le varie sedi di tappa sono già iniziati da tempo. Quel che è certo è che Roma tiene fortemente a continuare su questa strada e l’Assessore allo Sport del Comune di Roma, Alessandro Onorato, non ne ha mai fatto mistero: «Lo splendido epilogo del Giro d’Italia a Roma è stato un successo, anche grazie a qualcosa che solo Roma  può offrire: il passaggio in Vaticano, con tutte le emozioni profonde che ne conseguono. Cosa che non avviene tutti i giorni, considerando che siamo in un altro territorio, in un altro Stato. La bellezza della capitale, dal centro storico allo spettacolo di Ostia, è il degno traguardo di una delle competizioni sportive più importanti a livello italiano e internazionale».

Alessandro Onorato, Assessore allo Sport del Comune di Roma, fortemente propenso ad avere il Giro nella Capitale
Alessandro Onorato, Assessore allo Sport del Comune di Roma, fortemente propenso ad avere il Giro nella Capitale

Un successo contro chi era scettico

Come detto, Roma ha ospitato la conclusione del Giro, con l’incredibile scenario delle premiazioni finali con lo sfondo dei Fori Imperiali, per la terza volta consecutiva ma l’intenzione ferma del Comune di Roma è che questa serie non vada interrompendosi, anche per smentire coloro che avevano salutato con poca soddisfazione la scelta degli organizzatori di porre Roma come approdo del lungo viaggio della carovana rosa.

«Tre anni fa c’era molto scetticismo intorno a questa possibilità – sottolinea Onorato – ma noi abbiamo dimostrato che questa era una scommessa che si poteva vincere e così è stato. Abbiamo dimostrato che Roma può essere un modello organizzativo e gestionale anche nel mondo delle due ruote. Una metropoli internazionale efficiente, dove i grandi eventi sono un valore aggiunto per il territorio. Il Giro d’Italia non è una manifestazione come le altre, non può essere confinato nel solo ambito sportivo perché fa parte del tessuto sociale, della cultura, della tradizione del nostro Paese. Noi abbiamo sempre considerato il Giro d’Italia come una grande festa popolare che si tramanda di generazione in generazione».

La tappa conclusiva del Giro ha attirato tantissime persone sul percorso ad applaudire i protagonisti
La tappa conclusiva del Giro ha attirato tantissime persone sul percorso ad applaudire i protagonisti

E se arrivassero altri grandi eventi?

Sarebbe importante che, oltre al Giro, Roma rimanesse legata a doppio filo con il ciclismo anche attraverso altri eventi. Il Gran Premio Liberazione, grazie all’impegno e all’abnegazione di Claudio Terenzi e del suo staff è diventato un riferimento per la primavera che abbraccia la città per un lungo weekend, coinvolgendo quasi tutte le categorie e con un interesse intorno ad esso che sta tornando internazionale, ma se si parla di professionisti è innegabile che molti, soprattutto coloro che hanno qualche anno in più sulle spalle rimpiangono il Giro del Lazio, che era una delle grandi classiche dell’autunno e un appuntamento fra i più prestigiosi all’infuori delle classiche Monumento.

Chissà se, sulla spinta del Giro, anche la corsa autunnale tornerà. Intanto però tutti gli sforzi sono concentrati sulla corsa rosa con l’auspicio che si continui su questa strada e che magari Roma possa pian piano avvicinarsi a quel sentimento di “abitudine” che circonda Parigi e il Tour.

L’edizione del 2004 del Giro del Lazio, vinta dall’iberico Flecha su Simoni e Ullrich. L’ultima edizione è del 2014
L’edizione del 2004 del Giro del Lazio, vinta dall’iberico Flecha su Simoni e Ullrich. L’ultima edizione è del 2014

Uno scenario che nessuno può vantare

«Come nelle due edizioni precedenti, quando oltre un milione e mezzo tra residenti e turisti hanno assistito al passaggio dei campioni, anche questa volta le strade di Roma si sono riempite di persone in festa e dobbiamo replicare, anzi fare ancora meglio perché ci sono le possibilità e abbiamo a disposizione qualcosa che nessuno obiettivamente ha. E’ stata un’occasione straordinaria di promozione turistica con le immagini più suggestive trasmesse in oltre 200 Paesi e con tutta la città che si è potuta giovare, anche economicamente, della presenza di tantissima gente di tutto il mondo arrivata per applaudire Yates e gli altri protagonisti. Roma lo merita».

Provate le Zipp 303 SW: ruote con il sensore per la pressione

01.08.2025
7 min
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Non si tratta solo delle nuove ruote Zipp 303 SW e di ruote che integrano un sensore. Questa è di fatto la nuovissima generazione dei cerchi hookless. Spessori delle pareti completamente rivisti, sensore AXS che comunica con la app Sram e con il computerino. Il futuro del reparto ruote (e degli pneumatici) passa anche da qui.

Come vanno queste nuove Zipp? Come ed in che modo si possono sfruttare le potenzialità di queste ruote che, a nostro parere, hanno un ottimo rapporto tra la qualità, le performance ed il prezzo? 1.900 euro non sono un prezzo super ridotto, anche se è più accessibile rispetto alla categoria NSW. E’ pur necessario sottolineare il fatto che è un set di ruote assolutamente race oriented, tanto sfruttabile ad ampio spettro.

Poco più di 4 millimetri di spessore, aumentato di molto rispetto alla vecchia generazione
Poco più di 4 millimetri di spessore, aumentato di molto rispetto alla vecchia generazione

Altezza ottimale, canale largo

Il sensore può essere rimosso, anche se non ne vediamo la necessità, perché pesa solo 12 grammi, è perfettamente integrato e soprattutto è un valore aggiunto non da poco. Sì perché una volta configurato in modo corretto con la app Sram e con il computerino Hammerhead, permette di tenere sotto controllo (con estrema precisione) la pressione degli pneumatici (anche quando si pedala).

Per quanto riguarda il cerchio, Zipp resta fedele alla tecnologia hookless. Tuttavia rispetto alle generazioni precedenti sono aumentati gli spessori delle pareti (si vede e si sente anche in fatto di rigidità) ed il canale interno è largo ben 25 millimetri, con un’altezza di 40. Significa che lo stesso cerchio è ottimizzato per le gomme con 30 millimetri di larghezza (compatibilità ISO), misura che ad oggi è del tutto sdoganata anche in ambito pro’. L’obiettivo è duplice, ovvero creare il perfetto match cerchio/pneumatico sfruttando al massimo l’aerodinamica, supportare a pieno il concetto hookless anche grazie ad uno pneumatico largo.

Come funziona il sensore?

Semplicissimo, fa tutto da solo, legge la pressione interna e usa una batteria rotonda 2032. Led verde che lampeggia, pressione ottimale che rispetta i parametri impostati tramite la app. Led rosso che lampeggia in modo lento, significa che la pressione interna al tubeless è scesa al di sotto dei parametri impostati. Luce rossa che lampeggia velocemente, la pressione interna è eccessiva.

Il nostro test

Le configurazioni dalle quali siamo partiti sono due, entrambe tubeless, ma su queste ruote Zipp è possibile montare una camera d’aria Zipp in TPU (con gomme che non scendono sotto i 30 millimetri di sezione) apposita. Sulla ruota posteriore sempre un tubeless da 30, sulla ruota anteriore prima uno pneumatico da 28 e poi da 30. Perché questa scelta? Perché arriviamo da diversi bike test dove sono state utilizzate le gomme da 28, quindi si è cercato di creare una sorta di step progressivo verso i tubeless da 30. Dopo la dovuta presa di confidenza, abbiamo usato costantemente dei tubeless da 30 per entrambe le ruote.

La costante legata al 30 posteriore è per sfruttare fin dalle prime pedalate le indicazioni base di Zipp e proprio la compatibilità ISO/TSS. Inoltre, abbiamo usato gli inserti (AirLiner Vittoria) con l’obiettivo di proteggere il cerchio in caso di foratura. Un inserto del genere ha un valore alla bilancia di 20 grammi circa e non influisce sulla scorrevolezza, ma in caso di gomma completamente a terra protegge il carbonio del cerchio.

L’impiego di un inserto può creare qualche difficoltà iniziale al sensore AXS, che tende a schiacciare la valvola. Dopo una fase di assestamento tutto entra nella normalità.

Quali sono i nostri riscontri?

A prescindere dalla configurazione legata ai tubeless, questa nuova generazione di hookless Zipp mostra una rigidità superiore, una super scorrevolezza ed il mozzo posteriore è un ottimo valore aggiunto. Ingaggio immediato, fattore non scontato su ruote che non si posizionano all’apice di un catalogo, supporto adeguato ad una raggiatura ben fatta, “non eccessivamente tirata”, per una ruota tanto prestazionale, quanto sfruttabile da molti.

Lo pneumatico posteriore da 30 gonfiato a 4,5 ed il nostro peso è di 66 chilogrammi, quello anteriore a 4,2. Le preferenze vanno nella direzione di sfruttare una certa immediatezza delle risposte degli pneumatici ed in seconda battuta il comfort (che resta comunque ad un ottimo livello). Da non far passare in secondo piano: con le gomme da 28 il bordo del cerchio è molto esposto, in termini di aerodinamica e di sicurezza non si crea un’interfaccia ottimale. Con gli pneumatici da 30, l’abbinamento è quello giusto, perché il cerchio è giustamente protetto, lo pneumatico mantiene il giusto volume e tutte le regole d’ingaggio sono rispettate (occhio alle pressioni interne).

Vogliamo argomentare la giusta configurazione del binomio ruote/pneumatici, ovvero con i tubeless da 30. Tanto comfort, più stabilità e una elevata qualità della scorrevolezza, anche in situazioni di asfalto ammalorato. Non di rado, a parità di contesto, la velocità è superiore con le gomme da 30 e di fatto sembra di essere più lenti, pur essendo molto più comodi. Si sfrutta di più la ruota Zipp nella sua totalità ed in differenti contesti, non è poca cosa.

In conclusione

Sono ruote veloci in pianura, non sono sprintose e super reattive, molto gestibili da differenti tipologie di utenza. Non sono ruote estreme, buona parte della rigidità arriva dal cerchio, mentre la raggiatura è un buon compromesso tra sostanza e capacità di smorzamento delle vibrazioni. Le Zipp 303 SW hanno una stabilità da primato abbinata ad una elevata capacità di mantenere la velocità.

Le nuove Zipp 303 SW con il sensore sono un set di ruote che merita considerazione. Noi le abbiamo utilizzate con i tubeless da strada, sulla bici road ed il profilo da 40 è adatto a diversi approcci, stili di guida, senza eccessi per chiunque. La realtà è che, se opportunamente configurate, le 303 SW sono perfette per l’utilizzo quotidiano, per le gare e anche in ottica gravel. Ci sono dei limiti? Relativamente all’utilizzo, riteniamo il binomio pneumatico/inserto la soluzione ottimale per l’utilizzatore che spende dei soldi per l’acquisto di un prodotto, una malizia che diventa anche una protezione, salvaguardia ed influisce poco o nulla sulla prestazione. Il fattore principale da tenere ben presente è relativo al saper adeguare/usare il range ottimale di pressioni di esercizio e rispettare i parametri ISO.

Per concludere, a nostro parere Zipp ha fatto un gran lavoro su questa nuova generazione di cerchi, evoluti parallelamente nella sicurezza e nelle prestazioni. Non dimenticano la tecnologia, il sensore AXS ne è l’esempio. 303 SW è una sorta di ruota totale.

Zipp

Nella mente di Pogacar: stress, emozioni e voglia di fermarsi

01.08.2025
7 min
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Senza dubbio l’ultimo Tour de France di Tadej Pogacar ha lasciato qualche punto di domanda sul suo comportamento, sul suo approccio mentale. Se da un punto di vista tecnico-sportivo l’asso sloveno ha sbaragliato il campo e ha dimostrato ancora una volta di essere il numero uno a mani basse, dall’altra parte per la prima volta ha mostrato un suo lato umano, se così possiamo dire. E tante sue dichiarazioni lo confermano.
Ricordiamone alcune: «Non so cosa ci faccio qui in questo momento». «Non vedo l’ora che finisca questo Tour. Conto i chilometri che mancano a Parigi». «Non so per quanto tempo correrò ancora. Ho l’obiettivo delle Olimpiadi poi vedrò». E via discorrendo.

Questa situazione nuova in qualche modo, per tutti coloro che considerano Tadej invincibile contro ogni avversario e avversità, ha stimolato la nostra curiosità e abbiamo posto alcune domande a Paola Pagani, mental coach che lavora con molti atleti e in particolar modo con tanti ciclisti. E’ quindi una figura che conosce bene il nostro ambiente.

Paola Pagani è mental coach formata alla scuola di Anthony Robbins
Paola Pagani è mental coach formata alla scuola di Anthony Robbins
Dottoressa Pagani, abbiamo visto questo comportamento di Pogacar variare un po’ durante il Tour de France. Molto attivo e brillante nella prima parte, un po’ meno nella seconda. Di fatto si è trovato a battagliare con Van der Poel all’inizio. Ha distrutto la concorrenza sui Pirenei. Dopodiché cosa è successo?

Partiamo dal fatto che è un ragazzo di 27 anni che da tanti anni è nel WorldTour ad un livello altissimo. Corre sempre con gioia ed entusiasmo, e magari un po’ di stress ci sta anche per lui. In più siamo al Tour e il soggetto in questione è Tadej Pogacar: quando si tratta di lui le cose vengono ingigantite. Ripeto, non dimentichiamo che è un ragazzo, nonostante sia un atleta di altissimo livello e per certi aspetti più maturo dei suoi coetanei. Ma semplicemente può essere stato stanco anche lui.

In effetti è sembrato più un aspetto mentale di approccio che non di stanchezza. Perché di fatto in crisi in bicicletta non lo abbiamo mai visto…

Il ciclismo a quel livello è qualcosa di difficilissimo. Io seguo molti atleti e sono entusiasta in particolar modo dei ciclisti, della fatica che riescono a fare. Questi ragazzi, che ci sia pioggia, caldo, vento o tempesta, escono e si allenano o corrono. Se poi spostiamo tutto sul palcoscenico del Tour, in cui ogni cosa è stressante ed è dura perché è sempre una gara, capiamo che diventa tutto ancora più complicato. E se hai una maglia, i tempi di recupero si accorciano ancora, perché sei più sottoposto a interviste e protocolli post-gara. E si riducono le ore di riposo. Questo non ha fatto altro che aumentare il suo stress.

Quello che abbiamo visto noi è che di fatto dopo i Pirenei lui raggiunge l’obiettivo e in qualche modo si ferma, non va oltre. O quantomeno non è il solito Tadej che siamo abituati a vedere. Si ferma…

Si ferma è esagerato. Lui l’obiettivo l’ha raggiunto, sui Pirenei. Poi magari, come avete detto voi, era anche un po’ raffreddato e ci sta che l’insieme delle due cose abbia inciso sul suo entusiasmo. Ma succede, vuol dire che è un essere umano anche lui. Io non conosco Pogacar, ma come essere umano anche lui è “fallibile”. Può essere preso dallo stress, può stancarsi. E poi c’è un’altra cosa molto importante che secondo me va sottolineata.

Qual è?

Lui ha detto spesso cose sul momento, sull’emozione del momento e non a seguito di un ragionamento. Parlo delle conferenze stampa: parlare in quelle situazioni è diverso che farlo dopo aver recuperato un po’, dopo averci riflettuto. Sono parole immediate, dirette.

Una cosa che ci ha colpito in particolare è stata la tappa di La Plagne. Pogacar fa lavorare la squadra e di solito quando fa così lui va a dama. Quando arriva alla salita fa uno scatto, ma forse perché non era troppo convinto o forse perché la salita era troppo veloce, non stacca Vingegaard. A quel punto non insiste. Perché?

Forse il suo rivale non era l’ultimo arrivato. Parliamo di Jonas Vingegaard, un ragazzo che ha vinto anche lui due Tour de France e in altre edizioni è arrivato sul podio. Guardiamola anche da questo punto di vista: Pogacar non corre da solo. Diamo onore agli avversari.

Poi ci ritroviamo un Pogacar che invece a Parigi sorride e torna a dare spettacolo. Cosa vuol dire quel sorriso?

Ha detto che contava i chilometri che mancavano a Parigi. Probabilmente, essendoci arrivato, era a conclusione del suo percorso. Ma a Parigi trova un nuovo obiettivo: quello di vincere la tappa.

E Parigi, ritrova la sua carica tipica. Attacca e dà spettacolo
E Parigi, ritrova la sua carica tipica. Attacca e dà spettacolo
Insomma, dottoressa, l’entusiasmo è una componente importante?

Per lui sicuramente è importante. Quel giorno a Parigi Pogacar lo vive come l’ultimo giorno di un percorso. Dice: «Ci sono arrivato. Ho fatto quel che dovevo». E in qualche modo si riprende. Poi consideriamo anche che fare la vita dell’atleta, soprattutto a quel livello, è una bella vita, però sei sempre sotto i riflettori. Soprattutto lui. E ogni cosa che fa Pogacar è amplificata. Questo alla lunga può diventare stressante. E lo stress può arrivare da un momento all’altro.

Chiaro…

Pogacar ha tutta la mia comprensione possibile. Io lavoro con tanti sportivi, soprattutto ciclisti. Ci sta che ogni tanto possano esserci delle defaillance in mezzo alla loro vita così difficile.

E’ notizia di un paio di giorni fa che Pogacar rinuncia alla Vuelta. E’ la naturale conseguenza di quanto ci siamo detti, dottoressa?

Lui sta dicendo di cosa ha bisogno. E’ semplicemente stanco. E non è una cosa semplice, al suo livello, nella posizione in cui si trova. Questa scelta è prendersi una responsabilità. Magari si sarà anche messo contro alcune persone. Di certo non penso che la UAE Team Emirates abbia delle ricadute negative. Anzi, sicuramente la squadra vorrà preservare il suo diamante. Quindi lo appoggerà. L’importante è non cercare sempre qualcosa di negativo. Spesso in queste situazioni ci sono elementi positivi, o quantomeno vanno visti con prospettive diverse.

Pogacar rientrerà in gara a settembre. In questo periodo di stacco potrà vivere nel modo semplice che tanto gli piace con la sua compagna Urska Zigart (foto Instagram)
Pogacar rientrerà in gara a settembre. In questo periodo di stacco potrà vivere nel modo semplice che tanto gli piace con la sua compagna Urska Zigart (foto Instagram)
Cioè, dottoressa, può spiegarci meglio?

Anch’io sono un essere umano. Anch’io non sono invincibile. Ho bisogno dei miei tempi, ho bisogno di riposarmi. Non è una cosa negativa. Magari in questo fase di recupero, di lontananza dai riflettori potrà valutare altre cose della sua vita che prima non poteva.

Alcuni media inglesi hanno parlato persino di burnout. Sinceramente questo burnout, questo andare in tilt, sembra un po’ esagerato anche a noi. Lei che cosa ne pensa?

Dico che burnout è una parola che adesso va molto di moda. E la si usa dappertutto. Direi semplicemente che Pogacar è stanco. Quante stagioni ha corso a quel livello? Questo ragazzo ha vinto quattro Tour e in altri due è arrivato secondo. Ci sta che ora sia un po’ stanco. Ci sta che improvvisamente si sia ritrovato a corto di energie mentali. Quando dico che non sempre le cose sono negative, intendo che ora potrà riposarsi. Rigenerarsi. Ricalibrare la mente. E se dovesse aver bisogno di un aiuto, di certo la sua squadra glielo metterà a disposizione. E sarà pronto per i prossimi obiettivi.

E quindi rivedremo il Pogacar che tanto ci fa divertire ed entusiasma la gente e probabilmente anche se stesso…

Ogni volta che parliamo di questi ragazzi ci dimentichiamo che sono giovani. Molto spesso non hanno neanche 25 anni. Proviamo a immaginare noi a 40, 50 anni a rivederci a quell’età: ci riconosceremmo in maniera del tutto diversa. Faremmo cose che non avremmo fatto prima. Abbiamo un’altra esperienza. Ripeto: qui dobbiamo pensare che c’è un ragazzo che è stato sotto stress. Che si è sentito stanco. E tutto ciò è emerso su un palcoscenico come il Tour de France e da un personaggio qual è Tadej Pogacar. Quelle cose che ha detto nell’immediato dopo gara, magari dopo qualche ora sarebbero state diverse. E forse tutto ciò avrebbe avuto un’eco molto più piccola.