Nella mente di Pogacar: stress, emozioni e voglia di fermarsi

01.08.2025
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Senza dubbio l’ultimo Tour de France di Tadej Pogacar ha lasciato qualche punto di domanda sul suo comportamento, sul suo approccio mentale. Se da un punto di vista tecnico-sportivo l’asso sloveno ha sbaragliato il campo e ha dimostrato ancora una volta di essere il numero uno a mani basse, dall’altra parte per la prima volta ha mostrato un suo lato umano, se così possiamo dire. E tante sue dichiarazioni lo confermano.
Ricordiamone alcune: «Non so cosa ci faccio qui in questo momento». «Non vedo l’ora che finisca questo Tour. Conto i chilometri che mancano a Parigi». «Non so per quanto tempo correrò ancora. Ho l’obiettivo delle Olimpiadi poi vedrò». E via discorrendo.

Questa situazione nuova in qualche modo, per tutti coloro che considerano Tadej invincibile contro ogni avversario e avversità, ha stimolato la nostra curiosità e abbiamo posto alcune domande a Paola Pagani, mental coach che lavora con molti atleti e in particolar modo con tanti ciclisti. E’ quindi una figura che conosce bene il nostro ambiente.

Paola Pagani è mental coach formata alla scuola di Anthony Robbins
Paola Pagani è mental coach formata alla scuola di Anthony Robbins
Dottoressa Pagani, abbiamo visto questo comportamento di Pogacar variare un po’ durante il Tour de France. Molto attivo e brillante nella prima parte, un po’ meno nella seconda. Di fatto si è trovato a battagliare con Van der Poel all’inizio. Ha distrutto la concorrenza sui Pirenei. Dopodiché cosa è successo?

Partiamo dal fatto che è un ragazzo di 27 anni che da tanti anni è nel WorldTour ad un livello altissimo. Corre sempre con gioia ed entusiasmo, e magari un po’ di stress ci sta anche per lui. In più siamo al Tour e il soggetto in questione è Tadej Pogacar: quando si tratta di lui le cose vengono ingigantite. Ripeto, non dimentichiamo che è un ragazzo, nonostante sia un atleta di altissimo livello e per certi aspetti più maturo dei suoi coetanei. Ma semplicemente può essere stato stanco anche lui.

In effetti è sembrato più un aspetto mentale di approccio che non di stanchezza. Perché di fatto in crisi in bicicletta non lo abbiamo mai visto…

Il ciclismo a quel livello è qualcosa di difficilissimo. Io seguo molti atleti e sono entusiasta in particolar modo dei ciclisti, della fatica che riescono a fare. Questi ragazzi, che ci sia pioggia, caldo, vento o tempesta, escono e si allenano o corrono. Se poi spostiamo tutto sul palcoscenico del Tour, in cui ogni cosa è stressante ed è dura perché è sempre una gara, capiamo che diventa tutto ancora più complicato. E se hai una maglia, i tempi di recupero si accorciano ancora, perché sei più sottoposto a interviste e protocolli post-gara. E si riducono le ore di riposo. Questo non ha fatto altro che aumentare il suo stress.

Quello che abbiamo visto noi è che di fatto dopo i Pirenei lui raggiunge l’obiettivo e in qualche modo si ferma, non va oltre. O quantomeno non è il solito Tadej che siamo abituati a vedere. Si ferma…

Si ferma è esagerato. Lui l’obiettivo l’ha raggiunto, sui Pirenei. Poi magari, come avete detto voi, era anche un po’ raffreddato e ci sta che l’insieme delle due cose abbia inciso sul suo entusiasmo. Ma succede, vuol dire che è un essere umano anche lui. Io non conosco Pogacar, ma come essere umano anche lui è “fallibile”. Può essere preso dallo stress, può stancarsi. E poi c’è un’altra cosa molto importante che secondo me va sottolineata.

Qual è?

Lui ha detto spesso cose sul momento, sull’emozione del momento e non a seguito di un ragionamento. Parlo delle conferenze stampa: parlare in quelle situazioni è diverso che farlo dopo aver recuperato un po’, dopo averci riflettuto. Sono parole immediate, dirette.

Una cosa che ci ha colpito in particolare è stata la tappa di La Plagne. Pogacar fa lavorare la squadra e di solito quando fa così lui va a dama. Quando arriva alla salita fa uno scatto, ma forse perché non era troppo convinto o forse perché la salita era troppo veloce, non stacca Vingegaard. A quel punto non insiste. Perché?

Forse il suo rivale non era l’ultimo arrivato. Parliamo di Jonas Vingegaard, un ragazzo che ha vinto anche lui due Tour de France e in altre edizioni è arrivato sul podio. Guardiamola anche da questo punto di vista: Pogacar non corre da solo. Diamo onore agli avversari.

Poi ci ritroviamo un Pogacar che invece a Parigi sorride e torna a dare spettacolo. Cosa vuol dire quel sorriso?

Ha detto che contava i chilometri che mancavano a Parigi. Probabilmente, essendoci arrivato, era a conclusione del suo percorso. Ma a Parigi trova un nuovo obiettivo: quello di vincere la tappa.

E Parigi, ritrova la sua carica tipica. Attacca e dà spettacolo
E Parigi, ritrova la sua carica tipica. Attacca e dà spettacolo
Insomma, dottoressa, l’entusiasmo è una componente importante?

Per lui sicuramente è importante. Quel giorno a Parigi Pogacar lo vive come l’ultimo giorno di un percorso. Dice: «Ci sono arrivato. Ho fatto quel che dovevo». E in qualche modo si riprende. Poi consideriamo anche che fare la vita dell’atleta, soprattutto a quel livello, è una bella vita, però sei sempre sotto i riflettori. Soprattutto lui. E ogni cosa che fa Pogacar è amplificata. Questo alla lunga può diventare stressante. E lo stress può arrivare da un momento all’altro.

Chiaro…

Pogacar ha tutta la mia comprensione possibile. Io lavoro con tanti sportivi, soprattutto ciclisti. Ci sta che ogni tanto possano esserci delle defaillance in mezzo alla loro vita così difficile.

E’ notizia di un paio di giorni fa che Pogacar rinuncia alla Vuelta. E’ la naturale conseguenza di quanto ci siamo detti, dottoressa?

Lui sta dicendo di cosa ha bisogno. E’ semplicemente stanco. E non è una cosa semplice, al suo livello, nella posizione in cui si trova. Questa scelta è prendersi una responsabilità. Magari si sarà anche messo contro alcune persone. Di certo non penso che la UAE Team Emirates abbia delle ricadute negative. Anzi, sicuramente la squadra vorrà preservare il suo diamante. Quindi lo appoggerà. L’importante è non cercare sempre qualcosa di negativo. Spesso in queste situazioni ci sono elementi positivi, o quantomeno vanno visti con prospettive diverse.

Pogacar rientrerà in gara a settembre. In questo periodo di stacco potrà vivere nel modo semplice che tanto gli piace con la sua compagna Urska Zigart (foto Instagram)
Pogacar rientrerà in gara a settembre. In questo periodo di stacco potrà vivere nel modo semplice che tanto gli piace con la sua compagna Urska Zigart (foto Instagram)
Cioè, dottoressa, può spiegarci meglio?

Anch’io sono un essere umano. Anch’io non sono invincibile. Ho bisogno dei miei tempi, ho bisogno di riposarmi. Non è una cosa negativa. Magari in questo fase di recupero, di lontananza dai riflettori potrà valutare altre cose della sua vita che prima non poteva.

Alcuni media inglesi hanno parlato persino di burnout. Sinceramente questo burnout, questo andare in tilt, sembra un po’ esagerato anche a noi. Lei che cosa ne pensa?

Dico che burnout è una parola che adesso va molto di moda. E la si usa dappertutto. Direi semplicemente che Pogacar è stanco. Quante stagioni ha corso a quel livello? Questo ragazzo ha vinto quattro Tour e in altri due è arrivato secondo. Ci sta che ora sia un po’ stanco. Ci sta che improvvisamente si sia ritrovato a corto di energie mentali. Quando dico che non sempre le cose sono negative, intendo che ora potrà riposarsi. Rigenerarsi. Ricalibrare la mente. E se dovesse aver bisogno di un aiuto, di certo la sua squadra glielo metterà a disposizione. E sarà pronto per i prossimi obiettivi.

E quindi rivedremo il Pogacar che tanto ci fa divertire ed entusiasma la gente e probabilmente anche se stesso…

Ogni volta che parliamo di questi ragazzi ci dimentichiamo che sono giovani. Molto spesso non hanno neanche 25 anni. Proviamo a immaginare noi a 40, 50 anni a rivederci a quell’età: ci riconosceremmo in maniera del tutto diversa. Faremmo cose che non avremmo fatto prima. Abbiamo un’altra esperienza. Ripeto: qui dobbiamo pensare che c’è un ragazzo che è stato sotto stress. Che si è sentito stanco. E tutto ciò è emerso su un palcoscenico come il Tour de France e da un personaggio qual è Tadej Pogacar. Quelle cose che ha detto nell’immediato dopo gara, magari dopo qualche ora sarebbero state diverse. E forse tutto ciò avrebbe avuto un’eco molto più piccola.

Dall’Ecuador arriva Mateo Ramirez: lo manda l’amico Narvaez

01.08.2025
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Al Giro Ciclistico della Valle d’Aosta si è affacciato il talento di Mateo Pablo Ramirez, corridore che arriva dall’Ecuador con il volto da bambino ma gambe forti. Sulle montagne si trova bene e al primo anno tra gli under 23 ha già fatto vedere di trovarsi a suo agio. Il primo squillo importante è arrivato a inizio anno, nel suo Ecuador, quando ha conquistato il terzo posto nella prova in linea del campionato nazionale riservata agli elite, alle spalle Jhonatan Narvaez e Jefferson Cepeda. Uno squillo che non è passato in secondo piano e che ha acceso i riflettori sul suo talento.

Di lui si era già accorta la UAE Emirates che lo aveva messo nell’orbita del devo team. Una volta capito che il talento era pronto a sbocciare e trovato lo spazio per farlo correre, Joxean Matxin non ci ha pensato due volte a inserirlo nel programma di sviluppo della formazione numero uno al mondo.  

Mateo Pablo Ramirez ha esordito in Italia al Giro del Medio Brenta ottenendo il quarto posto (foto Instagram)
Mateo Pablo Ramirez ha esordito in Italia al Giro del Medio Brenta ottenendo il quarto posto (foto Instagram)

L’esordio in Italia

Il talento ciclistico di Mateo Pablo Ramirez è maturato in Spagna, terra che lo ha accolto e dove ha corso nei due anni da juniores e in questi primi mesi da under 23. Nelle varie corse a tappe nelle quali ha preso parte si era messo in mostra dando filo da torcere anche a corridori come Adrià Pericas, suo compagno di squadra ora nel UAE Team Emirates Gen Z

«Il Giro della Valle d’Aosta – ci ha raccontato il giovane ecuadoriano – è stata la mia prima corsa a tappe in Italia. Avevo già corso in altre gare (Giro del Medio Brenta, terminato al quarto posto e Giro dell’Appennino, ndr) e sono andato bene. Sono state esperienze difficili, soprattutto in Valle d’Aosta dove le tante salite mi hanno lasciato senza energie nel finale. Una corsa dura ma mi è piaciuta molto».

Al Giro della Valle d’Aosta sono emerse le sue qualità di scalatore
Al Giro della Valle d’Aosta sono emerse le sue qualità di scalatore
Qual è stata la parte più difficile?

Il ritmo in gara e il livello degli avversari. Per un ragazzo che arriva dal Sud America non è mai facile adattarsi al ciclismo europeo. Da questo punto di vista i due anni in Spagna mi hanno dato una grande mano. 

Quali sono le principali differenze?

Si va più forte e il gruppo è numeroso, quindi servono grandi abilità di guida per riuscire a competere ad alti livelli, non basta solamente pedalare forte. 

Sei entrato nel UAE Team Emirates Gen Z dall’1 giugno, ti sei trovato bene?

Sì, mi seguivano già dal campionato nazionale di inizio febbraio. Già quando ero juniores ho avuto modo di vedere le mie qualità ma quest’anno sento di aver fatto un passo in avanti. 

Mateo Pablo Ramirez in Ecuador ha subito fatto capire di essere pronto per correre a un livello superiore (foto Instagram)
Mateo Pablo Ramirez in Ecuador ha subito fatto capire di essere pronto per correre a un livello superiore (foto Instagram)
Chi è il tuo idolo, il corridore a cui ti ispiri?

Sono due: uno è Tadej Pogacar e l’altro Jhonatan Narvaez, veniamo entrambi dall’Ecuador e siamo molto amici ed è una bravissima persona. Ho avuto modo di allenarmi con lui a gennaio, durante la preparazione, è impressionante perché va davvero forte ma ci siamo divertiti. 

Come hai iniziato ad andare in bici?

Durante la pandemia, nel 2020, insieme a mio papà. E’ un appassionato di mountain bike e mi ha portato con lui. Sono passato poi a correre su strada grazie al mio allenatore Ernesto Valdez. A me piace molto di più il ciclismo su strada perché in Ecuador abbiamo tante salite ed è divertente pedalare.

Il secondo posto finale al Giro del Valle d’Aosta dietro a Jarno Widar gli è valso la maglia bianca di miglior giovane
Il secondo posto finale al Giro del Valle d’Aosta dietro a Jarno Widar gli è valso la maglia bianca di miglior giovane

L’occhio del preparatore

Il talento di Mateo Pablo Ramirez è passato sotto lo sguardo attento di Giacomo Notari, suo preparatore ora che è arrivato nel UAE Team Emirates Gen Z. 

«Avevamo già avuto modo di conoscerlo nei mesi passati – ci dice – e si erano subito notati dei valori molto interessanti. Chiaramente il dubbio era sull’adattamento al ciclismo europeo ma Ramirez ha fatto vedere di riuscire a entrare subito in questi meccanismi. C’era stata anche la possibilità di vederlo al Giro Next Gen ma non abbiamo voluto accelerare il processo di adattamento.

«E’ un corridore forte ma con ampi margini di miglioramento, soprattutto negli sforzi brevi e intensi. Quando siamo stati in ritiro con la squadra abbiamo avuto modo di vedere certe doti atletiche che gli permettono di fare la differenza, come il fatto di non soffrire certe altitudini. Siamo curiosi di vederlo al Tour de l’Avenir e di poterci lavorare insieme il prossimo anno per capire quali sono i margini di crescita che sembrano davvero promettenti».

Affini, gigante buono: i lavori forzati e la famiglia in arrivo

01.08.2025
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Le classiche. Il Giro. Il Tour. E ora Edoardo Affini si sta godendo un paio di giorni in un b&b in Olanda, per avere la sensazione di essere in vacanza, ma senza allontanarsi troppo da casa. La sua compagna Lisa sta per mettere al mondo il loro primo figlio e tutto sommato, dopo tanto viaggiare, anche passare del buon tempo in due è un ottimo modo per ricaricare le batterie. Edoardo è una brava persona, ligio al dovere, serio e insieme spiritoso di quell’umorismo di poche parole cui è difficile resistere.

«La prima parte di stagione era ben definita – dice in questo primo pomeriggio di fine luglio – ma a un certo punto è venuto fuori che probabilmente Laporte non sarebbe riuscito a rientrare per il Tour e hanno cominciato a prospettarmi l’idea di fare la doppietta. E’ stato bello impegnativo, questo è fuori discussione. Infatti sono abbastanza contento che adesso ci sia un momento di relax, perché ne avevo bisogno, sia a livello di gambe sia di testa. Mi serviva staccare, perché è stata lunga…».

A metà ottobre, Edoardo e Lisa avranno il primo figlio (foto Bram Berkien)
A metà ottobre, Edoardo e Lisa avranno il primo figlio (foto Bram Berkien)
Ci siamo sentiti una settimana dopo il Giro ed eri già in altura: quando hai saputo effettivamente che saresti andato al Tour?

Era nell’aria, ma ho detto chiaramente che avrei voluto sapere definitivamente se fossi nella rosa per il Tour prima che il Giro partisse. Poi ovviamente sarebbe dipeso da come ne fossi uscito, perché se fossi stato finito, sarei stato il primo a dire di lasciar stare. Invece quando durante la corsa e poi alla fine ci siamo confrontati, è bastato un paio di telefonate per capire che stessi bene e abbiamo deciso il da farsi tra Giro e Tour. Quindi sono andato in altura a Tignes, abbiamo pianificato tutto abbastanza bene e penso di aver reso come ci si aspettava.

Quali differenze hai trovato fra Giro e Tour?

A livello di esposizione mediatica, di gente, di… circus, la cassa di risonanza del Tour è parecchio più grande. Sarà il periodo, perché è luglio e sono tutti in vacanza. Oppure perché sono bravi a raccontarla. Sarà per quello che volete, però c’è più attenzione, da parte della stampa e degli addetti ai lavori. Se nelle corse normali ci sono testate che seguono sempre il ciclismo, al Tour ci sono anche quelle che durante l’anno il ciclismo non sanno neppure che cosa sia.

Forse per voi l’impatto è stato più pesante perché al Giro siete partiti per fare bene e lo avete vinto all’ultima tappa di montagna, mentre al Tour avevate lo sfidante principale a Pogacar?

E’ chiaro che siamo partiti in due maniere diverse. Al Giro avevamo l’idea di fare una bella classifica, però era un work in progress. Non sapevamo bene che cosa volesse dire fare una buona classifica e l’abbiamo costruita pian piano. E poi c’è stato il botto finale con Simon (Yates, ndr), che ha fatto quel tappone sul Finestre ed è andato a prendersi la rosa. Al Tour invece sapevamo dall’inizio che Tadej e Jonas se la sarebbero giocata. Erano loro due, potevi metterci in mezzo anche Remco e Roglic, però sapevi che bene o male i due più importanti erano loro.

Le classiche del Nord, poi il Giro e il Tour: per Affini il 2025 è stato finora a dir poco ricco
Le classiche del Nord, poi il Giro e il Tour: per Affini il 2025 è stato finora a dir poco ricco
Una pressione superiore?

Indubbiamente, ma anche con delle ricadute positive. Non è stato solo come stress, ma sapere di lavorare per uno che si gioca il Tour ti dà anche una certa spinta. Per questo sicuramente già in partenza c’era molta più attenzione a stare davanti e proteggere Vingegaard, tenendo gli occhi aperti.

E adesso ci spieghi per favore quale fosse il famoso piano della Visma?

E’ difficile da dire, non è che ci fosse un piano vero e proprio, però lo sapete come sono le interviste: quello che si dice è anche un gioco psicologico. Noi sicuramente abbiamo sempre cercato di fare la nostra corsa con le idee che avevamo e che discutevamo ogni giorno sul pullman. Abbiamo cercato di metterlo e metterli tutti in difficoltà il più possibile, sperando a un certo punto ci fosse un’apertura, che però alla fine non c’è mai stata. Sia Tadej sia la sua squadra sono stati molto solidi. A un certo punto, quando in certe tappe si ritrovavano l’uno contro l’altro, la squadra contava fino a un certo punto.

Lo scopo era fiaccare la UAE e portare Pogacar sempre più stanco al testa a testa?

Erano loro due che dovevano giocarsela e alla fine Jonas ci ha provato diverse volte, però non è mai riuscito a scalfirlo. Mentre al contrario, purtroppo, anche lui ha avuto un paio di giornate storte. Soprattutto la prima cronometro e poi Hautacam sono state le due tappe che hanno dato a Pogacar il suo vantaggio. Se sommate i due distacchi (1’28” persi nella crono di Caen e 2’10” persi ad Hautacam, ndr), arrivate quasi allo svantaggio di Vingegaard da Tadej.

Il Mont Ventoux ha rafforzato in Vingegaard la convinzione di poter attaccare Pogacar
Il Mont Ventoux ha rafforzato in Vingegaard la convinzione di poter attaccare Pogacar
Secondo te, Jonas ha mai avuto la sensazione di aver visto una crepa durante il Tour? Ad esempio nel giorno del Mont Ventoux, Pogacar non è parso imbattibile…

Quella è stata una giornata particolare. Mi ricordo che quando siamo tornati sul bus, ero abbastanza soddisfatto. Quel giorno Jonas ha visto che poteva attaccarlo, che poteva metterlo alle corde, se si può dire, perché alla fine alle corde non c’è mai stato. Però poteva dargli del filo da torcere e Tadej avrebbe dovuto spendere un po’ per rispondere. Quella è stata una giornata che gli ha dato un po’ di fiducia, specialmente pensando alle tappe alpine.

Anche se poi sulle Alpi non è successo molto…

Sul Col de la Loze, come squadra non si poteva fare di più. A La Plagne invece non è venuto fuori nulla di utile, ma è stato chiaro che non si siano giocati la tappa e che anzi il discorso sia stato: se non posso vincere io, non puoi vincere neanche tu. E allora ci sta bene che vinca un altro (Arensman, ndr).

La sensazione è che il piano fosse stancare Pogacar, ma forse ha stancato di più Vingegaard.

Alla fine erano tutti e due abbastanza al limite. Del resto, è stato il Tour più veloce della storia e penso che anche questo voglia dire qualcosa. Andavamo ogni giorno alla partenza e ci dicevamo: «Vabbè dai, oggi saranno tutti stanchi, non si partirà come ieri!». Invece ogni giorno si partiva più forte. Abbiamo coniugato il verbo “specorare” in ogni forma possibile: dalla prima all’ultima lettera, tutte maiuscole e in neretto (ride, ndr).

Nella crono di Caen, Affini ha centrato il terzo posto, a 33″ da Evenepoel
Nella crono di Caen, Affini ha centrato il terzo posto, a 33″ da Evenepoel
Che cosa prevede ora il tuo programma: non si fa più nulla sino a Natale?

No, no, dai, non così tanto. Non c’è ancora un programma ben definito, ma c’è da far quadrare la squadra fra chi è disponibile, chi è ammalato, chi è infortunato. Potrei fare il Renewi Tour o il Great Britain oppure entrambi. Poi magari un paio di corse di un giorno in Belgio, ma lì mi fermo. I mondiali sono troppo duri, gli europei magari sono più abbordabili, ma ho già detto al cittì Villa che non sarò disponibile. Un po’ mi dispiace, ma preferisco essere a casa con la mia compagna. Potrei essere ancora in tempo, perché il tempo finisce a metà ottobre, però metti il caso che nasca un po’ in anticipo? Certe esperienze è bello viverle di persona, non in videochiamata. Per cui in quei giorni sarò a casa. Mi sa tanto che se non ci incrociamo nelle poche corse che mancano, la prossima volta ci vedremo in Spagna nel ritiro di dicembre. A ottobre ho qualcosa di molto importante da fare.

Giro della Lunigiana 2025: parte da Genova e si decide in salita

31.07.2025
6 min
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Il Giro della Lunigiana numero 49 toglie il velo ed è pronto a stupire. La corsa a tappe che si snoda tra Toscana e Liguria, dedicata alla categoria juniores, è uno dei passaggi più ambiti per i campioni del futuro. Ormai il format organizzativo è ben rodato, quattro giorni, cinque tappe e tante salite, alcune che hanno fatto la storia di questa corsa. 

La grande novità riguarda la partenza, infatti la prima tappa prenderà il via dal centro di Genova, da Piazza de Ferrari. 

«Abbiamo voluto coinvolgere Genova – ci spiega Alessandro Colò, uno degli organizzatori del Giro della Lunigiana – in quanto la Liguria è Regione Europea dello Sport 2025. Questa edizione della Corsa dei Futuri Campioni vedrà al via ben 12 Rappresentative europee e quella giapponese che torna dopo vent’anni, e quale migliore occasione per celebrare la Liguria portando un evento di calibro internazionale».

Il Giro della Lunigiana ha parlato spesso francese nelle ultime edizioni, qui Leo Bisiaux vincitore nel 2023
Il Giro della Lunigiana ha parlato spesso francese nelle ultime edizioni, qui Leo Bisiaux vincitore nel 2023

La voce della Liguria

Come spesso accade negli ultimi anni il Giro della Lunigiana sconfina nella vicina Liguria, felice di aprire le porte a un evento ormai entrato nel cuore degli appassionati e capace di valorizzare un territorio sempre più vicino alla bicicletta. 

«Il Giro della Lunigiana – ha detto Simona Ferro, Assessore allo sport di Regione Liguria – rappresenta da anni un’eccellenza dello sport giovanile a livello internazionale, un autentico laboratorio di talenti under 18 che unisce competizione e passione, valorizzando al tempo stesso il territorio in cui si svolge. Siamo particolarmente orgogliosi che quest’anno la tappa d’apertura parta da Genova, in un 2025 che ci vede Regione Europea dello Sport: un’occasione simbolica e concreta per promuovere lo sport come leva educativa, turistica, culturale e di inclusione sociale. Manifestazioni come questa non portano solo ciclismo di alto livello, ma anche valori, consapevolezza e opportunità di crescita per tutta la comunità».

La prima tappa, come lo scorso anno, è studiata per far emergere subito i corridori più forti (Foto Duz Image / Michele Bertoloni)
La prima tappa, come lo scorso anno, è studiata per far emergere subito i corridori più forti (Foto Duz Image / Michele Bertoloni)

A cavallo tra due Regioni

Si parte quindi giovedì 4 settembre con la Genova-Chiavari. A seguire, il giorno successivo si rimarrà sempre in Liguria, avvicinandosi sensibilmente alla Toscana con la seconda tappa: Luni-Vezzano Ligure.

Quella di sabato sarà la giornata dedicata alle due semi tappe, al mattino una chance per i velocisti con la Equi Terme-Marina di Massa. Mentre il pomeriggio spazio agli attaccanti con la Pontremoli-Fivizzano. La frazione conclusiva anche quest’anno terminerà a Terre di Luni dopo 100 chilometri che vedranno il gruppo partire da La Spezia per poi passare dal Parco Nazionale delle Cinque Terre. 

Due giorni, tanta salita

Il 49° Giro della Lunigiana partirà con il botto, nelle prime due tappe sono previsti ben otto GPM in totale (tre nella prima e cinque nella seconda). I corridori più forti avranno modo di testare le gambe dei rivali già dai primi chilometri.

«Si parte subito con una tappa impegnativa con tre GPM – spiega Alessandro Colò – così come fatto lo scorso anno quando Lorenzo Finn e Paul Seixas dimostrarono subito di essere i più forti. Ci aspettiamo uno svolgimento simile. La prima salita, quella di Monte Fasce, arriverà appena usciti da Genova. Una breve discesa porterà il gruppo a imboccare il Passo della Scoffera, salita simbolo della Milano-Rapallo. Da lì una lunga discesa fino ai piedi della salita di Bocco, 3,5 chilometri all’8 per cento che saranno un bel trampolino per provare a fare subito la differenza».

«Il secondo giorno – prosegue Colò – vedremo la corsa tornare su una salita che è stata affrontata tante volte dal Giro della Lunigiana, quella di Vezzano Ligure. Questa volta sarà sede di arrivo di una frazione davvero impegnativa con cinque GPM. Dopo aver scalato Ortonovo e Montemarcello il gruppo si dirigerà verso Vezzano Ligure per una tripla scalata di 3,5 chilometri al 7 per cento medio. La strada è tortuosa e stretta, si apre a diversi colpi di mano».

Velocisti e attaccanti

Le ruote veloci, se saranno capaci di resistere a queste prime tappe, avranno la loro occasione nella prima delle due frazioni che si correranno nella giornata di sabato. 

«Le due semi tappe – prosegue Alessandro Colò – sono divise in maniera uguale, con 50 chilometri a testa. La prima delle due partirà da Equi Terme, nel comune di Fivizzano, dove è appena stata restaurata l’intera sede delle terme. La partenza del Giro della Lunigiana servirà a mostrare questa opera di ristrutturazione».

«Sul traguardo di Marina di Massa la volata sarà praticamente assicurata, le velocità saranno altissime e la strada ampia garantirà uno sprint di gruppo. Diverso sarà lo scenario nel pomeriggio. Dopo qualche anno il Lunigiana tornerà a Pontremoli per la partenza della seconda semitappa. L’arrivo di Fivizzano, invece, è lo stesso sul quale hanno vinto Jarno Widar, Lenny Martinez e Paul Magnier. Uno strappo di 2 chilometri al 5 per cento di pendenza media».

Sullo strappo di Fivizzano hanno vinto corridori importanti, l’ultimo in ordine cronologico è Jarno Widar
Sullo strappo di Fivizzano hanno vinto corridori importanti, l’ultimo in ordine cronologico è Jarno Widar

La resa dei conti

«L’ultima tappa partirà da La Spezia – conclude Alessandro Colò – esattamente dallo stadio dello Spezia Calcio, il Picco. Il gruppo uscirà in direzione Volastra e prenderà la Strada Provinciale 51 e attraverserà il Parco Nazionale delle Cinque Terre. Una frazione dal profilo mosso fin dai primi chilometri che dopo un primo passaggio sotto al traguardo di Terre di Luni scalerà la salita di Fosdinovo. Un’ascesa di 8 chilometri con pendenze, nell’ultimo chilometro, che arrivano anche al 18 per cento. Si scollinerà abbastanza lontani dal traguardo ma la discesa tecnica renderà difficile il rientro». 

«Una quinta tappa così potrà fare grandi danni nella classifica generale, non tutti i corridori sono abituati a correre cinque tappe in quattro giorni». 

L’appuntamento è per giovedì 4 settembre a Genova per scoprire chi erediterà il trofeo della Corsa dei Futuri Campioni, sarà ancora un atleta francese a trionfare? O dopo due secondi posti di fila con Lorenzo Finn sarà finalmente il turno di un corridore italiano?

Davvero è stato un Tour brutto? Dibattito aperto con Moser

31.07.2025
7 min
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Moreno Moser non è mai banale quando commenta e analizza il ciclismo. Né al microfono di Eurosport, né sulle proprie pagine social. Al termine del Tour de France, in modo quasi provocatorio, ma con la naturalezza che lo contraddistingue e che lui stesso ci tiene a sottolineare, Moser aveva lanciato una sorta di sondaggio dicendo che questa ultima Grande Boucle era stata brutta.

Il dibattito si è acceso subito. Anche perché, di fatto, era già in essere. Diciamoci la verità. E’ stato come vedere un film con due tempi decisamente diversi tra loro. Imprevedibile e scoppiettante nel primo, molto razionale e prevedibile nel secondo. Sulle Alpi l’attesa dello scontro fra Jonas Vingegaard e Tadej Pogacar è rimasta sospesa. Come un urlo strozzato in gola. E neanche Tadej ha fatto una delle sue imprese da leccarsi i baffi. Di fatto, il Tour de France è finito a Peyragudes, tappa numero 13.

Moreno Moser (a sinistra) con Luca Gregorio durante una diretta del Tour (immagine da Instagram)
Moreno Moser (a sinistra) con Luca Gregorio durante una diretta del Tour (immagine da Instagram)
Quindi, Moreno, ci è piaciuto questo Tour: sì o no?

In diretta su Eurosport, io e “Greg” (Luca Gregorio, ndr) l’abbiamo detto per tutta la prima settimana: «Godiamoci queste tappe, perché vedrete che alla fine saranno le più belle». E infatti poi è successo quello che ci si aspettava: che comunque questo dominio annullasse la suspence. La classifica di questo Tour de France potevano anche non farla. La paragono un po’ a una serie TV: episodi bellissimi, ma senza una vera trama. Tipo: The Big Bang Theory!

Come facciamo a capire se siamo soddisfatti?

Più che altro, per capire se siamo soddisfatti, dobbiamo chiederci cosa vogliamo da un Grande Giro. Perché ci sono state tante bellissime tappe, ma vissute come se fossero delle corse di un giorno. E sono state veramente tante. Fino a Carcassonne sono state entusiasmanti. Anche quella di Parigi è stata bellissima. Però viste come piccole classiche, una dopo l’altra. Mentre la classifica generale, come dire, se non ci fosse stata, non sarebbe cambiato molto.

Abbiamo visto i migliori corridori del mondo, ma la classifica era scritta. Al Giro d’Italia c’era meno qualità, ma più incertezza. E’ questo il punto?

Esatto, il Giro d’Italia a me è piaciuto molto di più, perché in un Grande Giro la prima cosa è la lotta per la generale. Se me lo chiedi, io ti rispondo che in una corsa di tre settimane voglio vedere la battaglia per la classifica. E quindi, per me, il Giro è stato molto più bello del Tour dove questa battaglia non c’è stata.

Secondo Moser in un GT conta la classifica generale: in tal senso il Giro d’Italia è stato più coinvolgente, risolvendosi sull’ultima grande salita
Secondo Moser in un GT conta la classifica generale: in tal senso il Giro d’Italia è stato più coinvolgente, risolvendosi sull’ultima grande salita
Suoi tuoi social hai scritto e chiesto in un sondaggio se fosse stato un Tour brutto, ebbene: i follower come hanno reagito a questa provocazione?

Premesso che mi ero già esposto dicendo che era uno dei Tour più brutti degli ultimi anni, direi che l’80 per cento era d’accordo con me. Mi sono arrivati così tanti messaggi che non ho ancora finito di leggerli. Qualcuno però era in disaccordo. Ma attenzione: non ho detto che il ciclismo fa schifo. Ho detto che questo Tour non mi è piaciuto. Se dico che l’ultimo film di Nolan è meno bello del penultimo, non vuol dire che sputo sul cinema.

Chiaro…

A me dire che è sempre tutto bello perché si “deve” dire, non frega niente. Io non ascolterei mai chi fa il mio lavoro e ogni volta è obbligato a dire che è tutto meraviglioso. Perché poi, quando una cosa è davvero bella, perde valore. Io al Tour mi sono divertito su molte tappe, in quanto corse di giornata, ma non per altro. E non è nemmeno una critica strutturale al ciclismo: semplicemente in questo momento Pogacar è troppo forte per avere una vera battaglia. Non è colpa sua, né di chi perde. Anche la Visma-Lease a Bike è stata criticata ingiustamente.

E questo te lo stavamo per chiedere: cosa avrebbe potuto fare di diverso la Visma-Lease a Bike?

Ognuno ha la sua opinione. Secondo me, niente sarebbe cambiato se la Visma si fosse comportata in altro modo. Alla fine il loro lavoro lo hanno fatto, hanno provato a stancarlo e ci sono riusciti. Solo che per stancare lui, si sono distrutti pure loro. Io l’ho apprezzato tantissimo. E anche per questo mi sono preso parecchie critiche sui social.

Per Moreno la Visma-Lease a Bike non ha corso male
Per Moreno la Visma-Lease a Bike non ha corso male
Tipo?

Per esempio, nel giorno del Ventoux ho detto: «Secondo me oggi la vincitrice è stata la Visma». Perché l’azione era riuscita. Se Pogacar fosse stato in giornata no, l’avrebbero staccato. Ma così non è stato, anzi: gli ha dato altri 2″. E mi sono arrivati una valanga di insulti. Qualcuno diceva che Pogacar aveva comunque stabilito il record di scalata. Okay, ma era rimasto tutto il tempo a ruota di Vingegaard. Per me quel record è del danese, in un certo senso.

Secondo te, paradossalmente, è mancato un po’ anche Pogacar?

L’ho notato proprio dal giorno del Ventoux. Quel giorno non ha fatto un metro all’aria. Quando ha provato ad attaccare, Jonas lo ha chiuso subito. Se una settimana prima gli dà due minuti e poi non riesce a staccarlo… qualcosa è successo. Quel gap chi l’ha colmato? E’ Vingegaard che è cresciuto o Pogacar che è calato?

Può esserci anche una componente mentale per Pogacar? All’inizio Tadej aveva un avversario come Van Der Poel, poi un obiettivo concreto come staccare Vingegaard. Una volta raggiunti è calato l’entusiasmo. Non lo abbiamo mai visto pedalare male. Sembrava quasi più svogliato che affaticato…

E’ questo il vero dibattito, dibattito che ho notato a dire il vero si fa molto di più sui social e sui media stranieri. Qualcuno ha parlato perfino di burnout. E’ sembrato che Tadej fosse più conservativo del solito, già dall’inizio. Anche con “Greg” e Magrini nelle prime tappe lo notavamo: non era lo stesso Pogacar del Giro o del Tour dell’anno scorso, era meno sprecone. Io ho un’idea: in UAE Emirates forse sapevano di essere arrivati troppo in forma. Forse hanno voluto rallentare per non saltare per aria nell’ultima settimana. Forse Tadej non era proprio al 100 per cento nell’ultima settimana, ed effettivamente anche me è venuto da chiedermi se non lo fosse perché era venuta a mancargli un po’ di competizione, lui che è un “animale da corsa”.

A proposito di spettacolo, con Moser si è lambito anche il discorso delle tappe in volata, il cui futuro è sempre più in bilico
A proposito di spettacolo, con Moser si è lambito anche il discorso delle tappe in volata, il cui futuro è sempre più in bilico
E infatti poi a Parigi è sembrato un altro corridore…

Nelle corse di un giorno riesce a divertirsi di più, si vede che lo stimolano. Sulle grandi salite, da un po’ di tempo a questa parte, non c’è mai stato vero confronto con nessuno. Quando ha perso, è stato perché ha voluto strafare. Ripenso alla tappa di Le Lioran del 2024. A La Plagne fa lavorare la squadra, poi ci prova ma senza convinzione. Era in controllo, forse saliva in Z3! A Parigi ha detto che quando si è trovato nel vivo della corsa gli è tornata voglia di correre in bici… e quanto aveva da perdere. Perché è vero la neutralizzazione, ma la bici al traguardo la doveva portare. C’è servito un Van Aert formato Van Aert vecchio stile per riaccenderlo.

Uscendo dal dualismo Pogacar-Vingegaard, può essere che anche il tipo di salite super pedalabili abbia influito su eventuali attacchi e differenze?

A me il percorso del Tour è piaciuto molto. L’ho trovato studiato bene. Anche il numero delle tappe in volata, sempre più messe di in discussione, non sono state molte. Il problema, e torniamo sempre lì, è il contesto attuale: un corridore va troppo forte rispetto a tutti gli altri. Quindi per me non è una questione del tipo di salite. Perché anche se erano pedalabili, quando “quei due” aprivano il gas, il distacco sugli altri c’era. Poi sì, anche io a volte mi chiedo se sia un problema di percorso o se stiamo semplicemente vivendo un periodo storico anomalo.

Cioè?

Abbiamo un atleta, Pogacar, che è superiore a tutti (quasi sempre, pensiamo alle classiche, ndr). Ma non è sempre stato così. Questo dominio solitario non ha precedenti nella storia recente. Cambiare qualcosa adesso potrebbe rivelarsi inutile più avanti nel post-Pogacar. Voglio dire: tirare conclusioni in un momento in cui non c’è un vero trend stabile è un rischio. Ma attenzione, nulla contro Pogacar: io sono del partito “meglio che ci sia Tadej piuttosto che non ci sia”. Questo Tour è andato così, ma se pensiamo alla stagione nel suo complesso, molto meglio avere dei Pogacar che non averli.

Il meraviglioso Tour di Ben Healy, raccontato da Wegelius 

31.07.2025
5 min
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Questa primavera, al termine della stagione delle classiche, avevamo parlato con Charly Wegelius per capire assieme a lui dove potesse arrivare il suo corridore più battagliero ed estroso, Ben Healy. Non sono passati nemmeno tre mesi e l’irlandese ha conquistato il nono posto al Tour, una vittoria di tappa (un’altra sfiorata), ha indossato la maglia gialla e a Parigi ha vinto il premio di super combattivo.

Non male, per uno che alla partenza doveva puntare solo a dei traguardi parziali. Ora che i – meritatissimi – festeggiamenti sono passati abbiamo contattato di nuovo Wegelius per tirare le somme di questo straordinario Tour de France.  

Charly Wegelius, DS della EF Education-EasyPost, è da anni in questo gruppo, quando ancora era Cannondale
Charly Wegelius, DS della EF Education-EasyPost, è da anni in questo gruppo, quando ancora era Cannondale
Charly, un Tour oltre ogni aspettativa?

Le aspettative erano quelle, perché è giusto che siano sempre alte. Ma poi nel ciclismo sono più le volte in cui non raggiungi gli obiettivi che quando li raggiungi. Se prendi le 23 squadre che erano al via tutte avevano l’obiettivo di vincere una tappa, ma il problema è che le tappe disponibili sono solo 21… Se non sbaglio alla fine 14 squadre sono rimaste senza una vittoria. Quindi siamo molto soddisfatti, anche se poi si diventa rapidamente viziati, e l’unica cosa che poteva andare meglio era vincere sul Ventoux. Ma appunto, non è il caso di lamentarsi troppo.

Ad inizio maggio ci avevi detto che Healy avrebbe puntato a delle tappe e non alla classifica. Alla fine ha fatto questo e quello

Vista l’assenza di Richie (Carapaz, ndr) siamo partiti concentrati al 100 per cento sulle tappe. Poi Ben ha vinto la tappa con un distacco importante e si è trovato con la maglia gialla. Quando poi l’ha persa ci siamo accorti che c’erano delle scelte da fare. Se fosse rimasto troppo vicino in classifica non avrebbe più avuto  l’opportunità di muoversi per le tappe. Quindi abbiamo deciso che avrebbe fatto la cronoscalata piano, appunto per uscire di classifica.

Il corridore irlandese ha indossato la maglia gialla al termine della decima tappa, dopo una fuga eccezionale
Il corridore irlandese ha indossato la maglia gialla al termine della decima tappa, dopo una fuga eccezionale
Però poi non è andata esattamente così…

Perché Ben non ce l’ha fatta ad andare piano. Mentre pedalava si guardava in giro, si godeva il panorama e le montagne, ma aveva un gamba impressionante e quindi alla fine non ha perso tanto tempo. E il fatto è che al Tour anche se sei 12° o 13° è difficile che ti lascino libertà, perché lì conta ogni piazzamento. Nonostante tutto abbiamo gestito bene la situazione e poi è riuscito a muoversi come voleva.

Quella maglia gialla, così inaspettata, cos’ha voluto dire per la squadra? 

E’ sempre una gioia immensa, perché è il simbolo più potente che c’è nel ciclismo. Non voglio sottovalutare quello che ha fatto Carapaz a Torino (quando l’ecuadoregno ha indossato la gialla al termine della terza tappa, ndr), ma stavolta è stato diverso. L’ha presa dopo 10 giorni di gara e in un modo clamoroso, portando in giro i compagni di fuga per 40 chilometri, qualcosa di davvero straordinario. La nostra storia al Tour è una piccola storia, quella di una squadra che va contro il senso del ciclismo moderno che è sempre più robotico, iper calcolato. I commenti positivi della gente vanno in questa direzione, ci dicono che siamo una boccata d’aria, andiamo controcorrente, ci inventiamo delle cose. E questo smonta un po’ l’idea che in questo ciclismo non ci sia più spazio per qualcosa che definirei “artistico”.

Oltre alla tappa di Vire Normandie, Healy ha sfiorato la vittoria anche sul Mont Ventoux
Oltre alla tappa di Vire Normandie, Healy ha sfiorato la vittoria anche sul Mont Ventoux
Torniamo ad Healy. Cambia qualcosa nella testa di un corridore dopo un 9° posto al Tour?

Se Ben possa essere un corridore da classifica è una curiosità che sia che lui che noi abbiamo sempre avuto. L’idea era di sperimentare nelle gare più corte del WorldTour. In primavera volevamo provare ai Paesi Baschi e poi al Delfinato, ma entrambe le volte per diversi motivi ci sono stati dei problemi. Così ci siamo trovati direttamente al Tour. Però bisogna anche dire che occorre un po’ di precauzione, di realismo, perché un conto è essere costanti ogni giorno, un altro è entrare e uscire di classifica con le fughe. Io forse trovo un po’ trovo noioso stare tutto il Tour nella penombra, senza guizzi, a fare i calcoli per un piazzamento.

Infatti c’è il pericolo che se Healy pensasse solo alla classifica perderebbe quello spirito battagliero che lo fa amare tanto dai tifosi?

A livello sportivo e tecnico fare 6° o 7° è un risultato di assoluto valore, non c’è dubbio. Ma a livello di storia che si racconta, di una squadra o di un corridore, è la cosa più noiosa che ci sia. Anche gli addetti ai lavori dopo qualche tempo fanno fatica a ricordarsi chi è arrivato quarto. Penso che il ciclismo ci perda se la paura di essere sconfitti è più grande della voglia di provare a vincere. Il lusso che ho io è che il nostro capo vuole che ci proviamo sempre, anzi l’unica cosa che lo fa arrabbiare è se non ci tentiamo qualcosa. Anche allo sponsor non dispiace se poi perdiamo, l’importante è che facciamo di tutto per correre con cuore e con coraggio. Secondo me è questo è il bello del ciclismo.  

Grande soddisfazione fino alla fine, con il premio di super combattivo del Tour sul podio di Parigi
Grande soddisfazione fino alla fine, con il premio di super combattivo del Tour sul podio di Parigi
Quindi Ben rimane più un corridore da classiche secondo te?

Non lo vedo come una cosa o bianca o nera. Lui potrebbe puntare alla classifica, ma a modo suo. La realtà è che niente rimane mai fermo. Ha bisogno di essere stimolato, anche perché ogni mese e ogni anno diventa più marcato dagli altri e il suo modo di correre non può essere lo stesso. Noi vogliamo accompagnare Ben nella sua carriera, e non solo dirigerlo, cerchiamo di avere dei progetti che lo sfidino. Quindi magari sì, in futuro proverà a fare classifica, ma sempre a modo suo, senza impedirgli di essere quello che è.

Quali sono le prossime gare in cui lo vedremo, la Vuelta?

No, ora un po’ di riposo poi punterà al Mondiale e al Giro di Lombardia. Ora però ci godiamo questo momento, questo successo, e poi vedremo per il futuro. Che sarà comunque sempre all’attacco. 

Si riparla di Scaroni: nell’estremo Nord in cerca di vendette

31.07.2025
5 min
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Avevamo lasciato Christian Scaroni ancora ebbro di gioia per il successo di tappa al Giro d’Italia, ciliegina sulla torta di una prima parte di stagione che ha visto il bresciano sempre protagonista e fondamentale nella rincorsa del suo team, l’XDS Astana verso la salvezza nel WorldTour. Ma che cosa è successo da allora? E’ successo che il lombardo dopo un lungo periodo di assenza dalle gare è tornato a correre in Spagna, con tre classiche a fine luglio e ha ripreso esattamente come aveva lasciato: da protagonista.

In Spagna due podi per il bresciano. Qui è terzo alla Vuelta Castilla y Leon vinta da Etxeberria
In Spagna due podi per il bresciano. Qui è terzo alla Vuelta Castilla y Leon vinta da Etxeberria

Nel parlare con lui non si può non partire dalla grande giornata di San Valentino, che a mente fredda assume un sapore ancora più dolce rispetto alla stretta attualità: «Ho l’orgoglio di aver vinto una tappa al Giro che era un po’ l’obiettivo che mi ero prefissato a inizio stagione, non ne avevo fatto mistero che il mio lavoro era puntato su quel risultato. Io però sono rimasto il ragazzo che ero prima, con la stessa fame di vincere altre corse, con le stesse ambizioni. So però che una tappa al Giro resta un punto fermo in una carriera, che porterò sempre nel cuore, anche per come è arrivata insieme a Lorenzo Fortunato.

Cos’è successo dopo? Cosa hai fatto?

Dopo il Giro d’Italia avrei dovuto proseguire col programma facendo Gippingen, Appennino e il campionato italiano. Solo che dopo l’arrivo a Roma mi sono ammalato. O meglio già nella Capitale ero malato, come tantissimi corridori. Ho fatto subito un ciclo di antibiotici per provare a tornare competitivo nelle corse di giugno, tra cui anche il campionato italiano e ho ripreso a pedalare. Solo che dopo 5 giorni ho avuto una ricaduta e di conseguenza mi sono dovuto fermare completamente.

A Roma Scaroni aveva iniziato a sentirsi poco bene ed è stato costretto a fermarsi oltre 40 giorni
A Roma Scaroni aveva iniziato a sentirsi poco bene ed è stato costretto a fermarsi oltre 40 giorni
A che cosa pensi sia dovuto questo lungo stop? Sei rimasto fermo dalle gare oltre un mese e mezzo…

Io credo che molto abbia influito l’aver affrettato i tempi per arrivare ad una condizione buona per il Giro Italia dopo il mio infortunio di marzo, questo ha condizionato anche la mia salute. Pertanto insieme alla squadra abbiamo ritenuto fosse più utile ricaricare le batterie. Già da inizio luglio ero a Livigno per allenarmi in altura, per poi rientrare in queste tre corse di Spagna che erano un banco di prova per la seconda parte di stagione.

La cosa che colpisce molto è il fatto che sei uno dei corridori più costanti tra quelli del WorldTour, nel senso che dall’inizio stagione stai ottenendo sempre grandi risultati, non ci sono buchi nel corso della tua stagione…

Sì, questa sicuramente è una cosa che mi conforta, vuol dire che alla base c’è un lavoro fatto bene sia da parte mia che della squadra nella programmazione. Sono arrivato al Giro che non ero al massimo, ero lontano dalla condizione dei primi mesi, ma sono cresciuto nell’arco delle tre settimane. La costanza sicuramente nel ciclismo di oggi è fondamentale e premia il lavoro che viene fatto lontano dalle gare.

Scaroni insieme a Fortunato. La loro fuga vittoriosa alla corsa rosa ha lasciato il segno
Scaroni insieme a Fortunato. La loro fuga vittoriosa alla corsa rosa ha lasciato il segno
Tu nelle gare spagnole ti trovi particolarmente bene…

Sì, anche se nell’arco della mia carriera il caldo l’ho sempre un po’ sofferto, ma quest’anno ho fatto un bel lavoro cercando di adattarmi meglio. E quest’anno le prime tre corse, che erano un po’ più calde, sono riuscito a gestirle abbastanza bene. Comunque, a parte le corse in Spagna, anche in Francia non sono mai andato male, ho raccolto lì tre vittorie, quindi sì, la Spagna mi porta bene, ma anche la Francia. Speriamo di farci entrare anche l’Italia…

Resti in Spagna per le prossime corse?

Intanto sabato sono alla Clasica di San Sebastian, ma da lì ripartirò quasi subito, andrò a fare l’Arctic Race, con la quale ormai ho un conto aperto da due anni, da quel maledetto secondo del 2023. Mi piacerebbe chiudere quel cerchio, anche se troverò una squadra attrezzata come la Uno-X che corre in casa e porterà i pezzi migliori che ha. E poi anche Pidcock dovrebbe esserci. Ma io voglio provarci, e poi è una corsa fredda e come tutti sanno, a me piace correre al freddo.

Alla XDS Astana il clima è ora più sereno, grazie ai punti che tutti hanno portato. Qui Christian con Ulissi
Alla XDS Astana il clima è ora più sereno, grazie ai punti che tutti hanno portato. Qui Christian con Ulissi
Com’è l’atmosfera in squadra relativamente alla permanenza nel ranking del WorldTour?

Rispetto a inizio anno la situazione è più serena. Allora avevamo addosso la pressione del risultato, sembrava una missione quasi impossibile, ma la squadra ha programmato tutto per bene, abbiamo lavorato in maniera egregia e di conseguenza stiamo vedendo che bene o male tutti stanno rendendo.  Anche al Tour con Velasco, Ballerini. Siamo in tanti ad esserci distinti, di conseguenza è un’atmosfera molto serena. Ma la stagione è ancora lunga e come ci hanno detto ai piani alti della squadra, bisogna rimanere sul pezzo fino a ottobre.

Ballerini è convinto: «Al Tour ho capito che manca solo la vittoria»

31.07.2025
4 min
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La Grande Boucle, conclusa sull’inedito percorso di Montmartre, ha lasciato nelle gambe e nella testa di Davide Ballerini la consapevolezza di poter ambire a qualcosa di grande. Lo testimonia il fatto che tra una settimana correrà alle Arctic Race of Norway, che prenderà il via da Borkenes. I giorni dopo il Tour de France sono serviti per staccare un po’ a livello mentale, mentre le gambe girano ancora bene. Il momento va sfruttato, perché la consapevolezza e l’ambizione crescono. 

«Ci vorrà ancora qualche giorno per riprendermi totalmente dalle fatiche del Tour – dice Ballerini – sono ancora stanco. Più di testa, perché alla fine oggi sono uscito in bici per fare due orette tranquille e la condizione c’è. Lunedì sarà di nuovo tempo di chiudere le valigie e partire per la Norvegia, vediamo di sfruttare il momento positivo».

Wout Van Aert, Davide Ballerini e Tadej Pogacar sullo strappo di Montmartre, un assaggio di “classica” nella tappa finale del Tour

Dalla caduta agli Champs Elysées

Quel secondo posto di domenica sugli Champs Elysées ha lasciato un po’ di amaro in bocca all’atleta della XDS Astana, sensazione diventata più gradevole una volta raffreddati i pensieri e capito contro chi ci si è trovati contro. 

«La cosa migliore che porto a casa da questo Tour de France – prosegue – è la consapevolezza che se faccio tutto al meglio posso essere là insieme ai primi e giocarmi qualche gara. Anche perché la caduta durante la terza tappa mi ha fatto soffrire molto, ma la condizione c’era e questo mi ha aiutato a uscire dal momento difficile».

Il giorno dopo la caduta Ballerini presentava bendaggi evidenti ma ha saputo resistere e superare il momento difficile
Il giorno dopo la caduta Ballerini presentava bendaggi evidenti ma ha saputo resistere e superare il momento difficile
Il più difficile del tuo Tour?

Sicuramente, la mattina successiva alla caduta stavo davvero male. La vera risposta però l’ho avuta il giorno dopo, in quelle situazioni capisci subito se riuscirai a continuare o meno. Se quando sali in bici per andare al foglio firma senti dolori e acciacchi allora continuare diventa praticamente impossibile. Io appena sono salito in sella mi sono sentito relativamente bene, anche se devo dire che sono stato anche abbastanza fortunato.

In che senso?

Perché i giorni dopo non siamo andati davvero forte, le andature non sono state esagerate. Complice anche l’ottima condizione con la quale mi sono presentato al via da Lille. Arrivavo dalla caduta della Roubaix dove mi sono rotto lo scafoide, gli altri sono andati in altura mentre io avevo scelto di rimanere a casa per riuscire a fare tutta la riabilitazione necessaria. 

Nell’ultima settimana, riassorbite le botte, Ballerini ha provato a giocarsi la vittoria, qui a Valence dove ha chiuso quinto
Nell’ultima settimana, riassorbite le botte, Ballerini ha provato a giocarsi la vittoria, qui a Valence dove ha chiuso quinto
Cosa ti ha lasciato questo Tour?

Che non si deve mai mollare, prima o poi le gambe girano e lo faranno nel momento giusto. Ora ho visto che se mi preparo nel modo corretto posso andare forte, mi manca la vittoria e voglio raggiungerla. Nel ciclismo ne vince uno solo, quindi non è mai semplice.

Però a Parigi hai dimostrato di esserci…

Sì, per sensazioni mie e per l’entusiasmo del pubblico è stato il momento più bello. Sono consapevole che le forze in campo non erano esattamente pari, Pogacar non era al 100 per cento. Lui ha corso un Tour sempre davanti, tirato e al limite. Io ho avuto giorni nei quali mi sono staccato e ho preso il tutto con calma. Fare una, due o tre tappe in questo modo aiuta ad arrivare più freschi nel finale. Van Aert ha mostrato di essere superiore, non c’è nulla da dire. Ci ha lasciati lì con un’azione di forza impressionante. 

Nelle tappe di montagna ha potuto gestire lo sforzo e presentarsi in condizione all’ultima tappa di Parigi pronto a dare battaglia
Nelle tappe di montagna ha potuto gestire lo sforzo e presentarsi in condizione all’ultima tappa di Parigi pronto a dare battaglia
In generale cosa manca per agguantare la vittoria desiderata?

Non c’è un fattore da curare o qualcosa da fare in maniera differente. So che continuando a lavorare e preparandomi in questo modo la gamba c’è. Non si deve mai lasciare nulla al caso, prima o poi il momento arriva. 

Tutto pronto per il Tour de Pologne che si fa in 4 fino a metà agosto

30.07.2025
7 min
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Professionisti, ragazzini, amatori e donne. Quest’anno il LangTeam ha ben ponderato i suoi sforzi per offrire un certo tipo di intrattenimento agonistico in modo continuativo con diverse categorie. Il Tour de Pologne si fa in quattro nello spazio di undici giorni alzando ulteriormente sia l’impegno organizzativo che il livello partecipativo.

Nella gara maschile WorldTour, giunta alla 82a edizione, ci si batterà per succedere al trono di Jonas Vingegaard, vincitore uscente (su Ulissi e Kelderman). Si partirà il 4 agosto da Wroclaw (Breslavia) per concludersi il 10 con una cronometro nelle miniere di sale di Wieliczka. Dopo un giorno di relativo riposo, dal 12 al 14 agosto toccherà al terzo Tour de Pologne Women, tornato in calendario l’anno scorso dopo un’assenza di sette anni (anche se la prima volta si corse nel 2000), che quest’anno ha ottenuto la classificazione .1. Nel mezzo ci sarà spazio per una gara giovanile di tre giorni e una corsa amatoriale, entrambe diventate ormai delle “classiche” del panorama nazionale.

Prima di affrontare la trasferta polacca, abbiamo chiesto ad Agata Lang e John Lelangue, rispettivamente vicepresidente e general manager del LangTeam (nonché moglie e marito), un’introduzione di tutte le loro corse.

Da sinistra John Lelangue, Agata Lang e Czeslaw Lang, ovvero general manager, vicepresidente e presidente del Tour de Pologne (foto sito)
Da sinistra John Lelangue, Agata Lang e Czeslaw Lang, ovvero general manager, vicepresidente e presidente del Tour de Pologne (foto sito)
Agata Lang il vostro è un programma intenso. Rinfreschiamo la memoria partendo dalla gara dei più piccoli?

Il Tour de Pologne Junior è la tradizionale corsa dedicata ai ragazzini che vanno dagli 11 ai 14 anni e che è in calendario da tanto tempo. Correranno sugli ultimi chilometri delle prime tre frazioni dei pro’, vivendo lo spirito che c’è per i campioni, ricevendo lo stesso trofeo sullo stesso podio delle premiazioni del Tour de Pologne. Ci teniamo tanto a questa corsa. Mio padre Czeslaw l’ha corsa da giovane ed è intitolata alla memoria di mio nonno ex corridore, padre di mia madre Margherita.

Da questa gara passano praticamente tutti i talenti polacchi.

Per noi organizzatori è sempre motivo di grande orgoglio e soddisfazione. Pensate che l’anno scorso Norbert Banaszek (velocista ora al team continental ATT Investments, ndr) è salito sul podio finale per la prima volta vincendo la classifica del corridore più combattivo. Era emozionato perché si ricordava quando vinceva tutte le tappe del TdP Junior. Ci ha detto che aveva realizzato il suo sogno. Invece tra gli ultimi giovani che sono passati da noi, ve ne segnalo due in grande crescita che hanno centrato la top 10 alla Roubaix Junior di quest’anno. Sono Jan Michal Jackowiak, campione polacco in linea e a crono, e Mikolaj Legiec, un classe 2008 interessante (che ha vinto oggi il Trofee van Vlaanderen, ndr), entrambi del Cannibal-Victorious U19 Development Team.

Come si svolgerà la gara amatoriale?

Quella è in programma per sabato 9 agosto ed è forse l’appuntamento più importante per gli amatori polacchi. E’ molto simile ad una granfondo, misura 50 chilometri e prevede circa 3.000 partecipanti. Anche loro taglieranno il traguardo dei pro’ e quel giorno lo faranno nella tappa regina del Tour de Pologne con arrivo in salita a Bukowina Tatrzanska. Questa corsa è dedicata a Ryszard Szurkowski, un ex ciclista polacco degli anni ‘70.

Chiuderete le fatiche organizzative con la gara delle donne. Cosa puoi dirci?

Innanzitutto quest’anno abbiamo deciso di metterlo subito dopo gli uomini rispetto al 2024 in cui lo avevamo fatto a fine giugno. Il calendario femminile è sempre più fitto, ma abbiamo cercato di trovare la miglior soluzione sia per noi che per le atlete. Avendo alzato la classe della gara, potremo contare su sette formazioni WorldTour, quattro Professional, cinque Continental, due di club e due nazionali (Polonia e Danimarca, ndr). Vediamo come andrà, ma per il 2026 ci piacerebbe portare il Tour de Pologne Women alla classe ProSeries e successivamente puntare alla categoria WorldTour. Considerate che quest’anno avremo una importante copertura televisiva con due ore di diretta su Eurosport.

Sapete già chi sarà al via?

A parte Niewiadoma, avremo al via sia Skalniak-Sojka della Canyon//Sram zondacrypto che Wlodarczyk della UAE Team ADQ, che sono tra le migliori atlete polacche. Comunque sappiamo già di avere un’ottima lista di partenti che si contenderanno la vittoria finale. Le prime due tappe sono per velociste, mentre la terza ed ultima presenta un profilo mosso e sarà decisiva per la generale. Recentemente poi siamo molto contenti di aver stretto l’accordo con Alè che ci fornirà le maglie delle classifiche.

Nel 2024 Thibau Nys fu il grande protagonista conquistando tre tappe al Pologne
Nel 2024 Thibau Nys fu il grande protagonista conquistando tre tappe al Pologne
John Lelangue invece cosa ci racconta del Tour de Pologne maschile?

Abbiamo pensato al solito disegno equilibrato, adatto ad ogni tipologia di corridore. Lo abbiamo pensato soprattutto con la speranza di mantenere un po’ di suspence e lasciare aperta la gara fino all’ultimo giorno, dove c’è una crono non troppo lunga e con una partenza in salita. Ci saranno occasioni per tutti. I velocisti saranno chiamati in causa già nella tappa di apertura, poi forse ancora nella quarta. Invece ognuna delle altre quattro frazioni in linea possono influire sulla generale. Poi vanno considerati anche gli abbuoni intermedi, così come quelli del traguardo.

Dove si può decidere la gara?

Già alla seconda tappa con l’arrivo in salita a Karpacz si vedrà chi punta alla vittoria finale. In molti usciranno allo scoperto. Per me però il giorno successivo sarà quello più impegnativo. Il profilo di Walbrzych prevede 3.540 metri di dislivello in meno di 160 chilometri. Davanti arriveranno tutti i favoriti. Questa tappa fa il paio con la sesta. Al sabato ci saranno sei GPM di prima categoria e l’arrivo in quota a Bukowina Tatrzanska, dove vinse Evenepoel nel 2020 ipotecando il successo finale. In ogni caso non bisogna sottovalutare nemmeno la quinta tappa, quella che arriva a Zakopane, in cui Vingegaard trionfò nel 2019. Si va oltre i 200 chilometri e quasi a 3.000 metri di dislivello. Sembra fatta su misura per gli attaccanti, ma attenzione a qualche azione degli uomini di classifica.

A proposito di nomi, quali sono quelli principali?

L’ultima startlist, che andrà riconfermata come sempre all’ultimo istante, prevede corridori interessanti. Alcuni team vengono ben attrezzati per vincere. Penso alla Bahrain-Victorious che avrà Pello Bilbao, Haig e Tiberi. Oppure alla Ineos Grenadiers che schiererà Kwiatkowski, Jungels e Leonard o ancora la UAE Team Emirates-XRG che punta su Ayuso, Majka e McNulty. Ci sarà una bella concorrenza anche tra i velocisti. Kooij, Sam Bennett, Gaviria, Magnier, Zijlaard e Viviani sono solo alcuni che si daranno battaglia in volata. Poi tanti altri sparsi che mirano alla generale come Staune-Mittet, Ethan Hayter, Harper, Geoghegan-Hart o alle tappe come Busatto, Teuns, Cavagna o Hermans. So comunque che molti atleti arriveranno con un volo privato dopo aver corso la Clasica di San Sebastian questo sabato.

Cosa rappresenta il Tour de Pologne?

Credo che sia una corsa con una sua identità ben precisa. Non è una gara di preparazione alla Vuelta come dice qualcuno. Al Tour de Pologne si viene per vincere e fare punti. Poi certo, chi esce da qua con una condizione buona o in crescendo può ambire a fare bene anche in Spagna, così come le restanti gare. Possiamo dire sicuramente che in Polonia inizia la seconda parte di stagione. I corridori che vogliono sistemarla iniziando a fare risultato, da noi possono trovare il terreno giusto per impostare un bel finale.