Secondo Grande Giro? Per Bartoli conta più la testa che i numeri

18.08.2025
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Si avvicina la Vuelta e sempre più corridori di conseguenza si apprestano ad affrontare il secondo Grande Giro stagionale. Per la maggior parte si tratta di Giro d’Italia e Vuelta, ma per alcuni anche di Tour de France e Vuelta. C’è chi si è mostrato già in buona condizione, come Giulio Pellizzari, e chi invece sta cercando di recuperare al meglio, come Jonas Vingegaard.

Recuperare, stare al meglio: quali sono i parametri fisici che variano tra il primo e il secondo Grande Giro? Che differenze ci sono tra chi ha corso prima in Italia e poi in Spagna e chi in Francia e poi in Spagna? Ne abbiamo parlato con il coach Michele Bartoli.

Michele Bartoli, pro’ dal 1992 al 2004, oggi è un preparatore di primo ordine e ama tenersi in forma (immagine Instagram)
Michele Bartoli, pro’ dal 1992 al 2004, oggi è un preparatore di primo ordine e ama tenersi in forma (immagine Instagram)
Quali parametri, variano tra i due Grandi Giri, Michele? E cosa guarda il preparatore?

In primis contano le qualità dell’atleta. Puoi essere un bravo allenatore, ma se il corridore non è capace di recuperare e di riallenarsi, nel mese che passa fra un Grande Giro e l’altro, il castello crolla. Se invece hai un atleta reattivo, che in una settimana-dieci giorni recupera fisicamente, allora può ripartire subito con i lavori aerobici, magari un po’ di interval training VO2 Max appena prima del secondo Grande Giro, per riattivare tutti gli aspetti metabolici.

E se invece all’atleta servono più di 10 giorni di recupero?

In quel caso i tempi di ripresa sono più stretti e tutto diventa più difficile. Questo vale soprattutto se parliamo di Tour e Vuelta. Invece se parliamo di Giro e Vuelta, alla fine la preparazione rimane simile a quella del Giro. Dopo il Giro d’Italia c’è più tempo per scaricare e riprendere: la differenza non è fisica, semmai mentale, perché affrontare due Giri nello stesso anno pesa soprattutto sulla testa.

Dal punto di vista fisico, cosa può cambiare nel secondo Grande Giro? Magari si arriva un filo più magri? O al contrario svuotati dal caldo?

No, oggi più che mai i valori sono quelli. Semmai parliamo di differenze minime in più o in meno. Ho atleti che fanno Giro e Vuelta e si presentano allo stesso livello di peso e condizione. Nel secondo Grande Giro subentra soprattutto il fattore mentale, la capacità di sopportare la fatica. Perché è sempre il secondo Grande Giro in un anno, e questo pesa.

Antonio Tiberi e Damiano Caruso: dopo il Giro ecco la Vuelta. Il primo ci arriva dal Polonia, il secondo da Burgos
Antonio Tiberi e Damiano Caruso: dopo il Giro ecco la Vuelta. Il primo ci arriva dal Polonia, il secondo da Burgos
E a livello strettamente fisiologico?

Oggi praticamente nulla. Lavoro molto a stretto contatto con il nutrizionista e da quel punto di vista gli equilibri cambiano poco. Una volta sì, perché non c’erano tutte queste informazioni, metodi di misurazione, software. Oggi invece si gioca a carte scoperte, con tanti strumenti che permettono di monitorare bene l’atleta. Certo, ci vuole la bravura di allenatore e nutrizionista, non è semplice, ma se conosci bene i tuoi corridori, due Grandi Giri a grande distanza non sono un problema.

Quindi il problema principale è tra Tour e Vuelta?

Esatto. In quel caso le tempistiche sono molto ridotte e il margine di errore è minimo: un imprevisto si paga. Per questo chi esce male dal primo, se ha in programma il secondo, spesso conviene che tiri una riga e si concentri direttamente sulla seconda corsa. Finire un Grande Giro non sempre è utile, se il rendimento è compromesso: meglio fermarsi prima, se si può, e ripartire.

C’è differenza tra un atleta giovane e uno esperto nel fare il secondo Grande Giro?

Preferisco l’esperto, perché sa dare feedback migliori e riduce il rischio di errori. Ma oggi, con il supporto dei dati, anche un giovane può gestirsi bene. L’importante è che sia motivato. Se invece manca la voglia di fare sacrifici, la testa diventa un problema serio.

Senza di fatto aver corso il Tour (si è ritirato dopo appena 100 km), Ganna sarà alla Vuelta per correre almeno un Grande Giro
Senza di fatto aver corso il Tour (si è ritirato dopo appena 100 km), Ganna sarà alla Vuelta per correre almeno un Grande Giro
E per chi non fa alcun Grande Giro?

Per un giovane il danno è maggiore, perché un Grande Giro aiuta a raggiungere un equilibrio atletico solido. Non farlo è un’occasione persa di crescita. Diverso per un atleta esperto come Damiano Caruso, che ha già un fisico assodato: un anno senza Grande Giro non gli cambia molto, anzi può guadagnare freschezza. Per il giovane invece pesa di più, anche se comunque si lavora tanto in allenamento e non è un disastro.

Dopo una Vuelta, la preparazione invernale riparte da una base migliore?

Sì, sicuramente la base di partenza è più alta e più solida. Su questo sono d’accordo: è un vantaggio.

E’ più difficile preparare Giro e Tour o Tour e Vuelta?

Credo sia più difficile Giro e Tour, perché il Tour è il più duro e viene come secondo Grande Giro. La Vuelta, pur essendo esigente, ha tappe più regolari, meno stress e strade più ampie.

EDITORIALE / La grande famiglia del ciclismo, il delirio dell’UCI

18.08.2025
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La grande famiglia del ciclismo. Per fare digerire ai team WorldTour la sperimentazione improvvisata dei gps di sicurezza e giustificarne poi la squalifica, l’UCI ha attinto a questa raffigurazione retorica che negli anni ha assunto svariate connotazioni.

I politici di Losanna hanno infarcito il ciclismo di così tanta burocrazia e regole, che sentire un appello alla famiglia suona davvero insolito. In base a quale logica, nel ciclismo dei millimetri e delle sanzioni fiscalissime, si possono sperimentare i segnalatori GPS senza un protocollo approvato? Si sbandiera il rigore scientifico e poi si chiede una sperimentazione fatta a pane e salame? Dov’e l’oggettività se devono essere le squadre a scegliere il campione? E in base a quale regolamento si possono squalificare le atlete della squadra che si sia rifiutata di indicarne una?

Milan vince, Consonni dietro festeggia: da quest’anno l’esultanza per il compagno che vince è punita
Milan vince, Consonni dietro festeggia: da quest’anno l’esultanza per il compagno che vince è punita

La grande famiglia

La grande famiglia del ciclismo è un un luogo di cui l’UCI non fa parte ormai da tanti anni. Era una delle espressioni favorite di José Miguel Echavarri, lo storico mentore di Indurain e della grande Banesto da cui oggi è nato il Team Movistar. E anche lui ne ammise la fine nei giorni dello scandalo doping al Tour del 1998. Anche in quel caso tuttavia il ricorso alla famiglia ebbe uno strano suono. Quasi fosse stata negli anni il tacito accordo per tenere al sicuro i segreti inconfessabili.

Una forma di famiglia esiste a livello nazionale. Per questo in Italia ci si preoccupa delle società di base. Della difficoltà di trovare squadra per gli allievi e per gli U23. Del criterio con cui i ragazzi arrivano al professionismo e di quelli che a 18 anni partono verso squadre juniores all’estero. E’ il motivo per cui si chiede alla Federazione di studiare contromosse che tutelino il movimento nazionale. I connotati della famiglia ci sono ancora, ma essa rischia di trasformarsi in un far west per difendersi dalle tante spinte centrifughe. Ed è il motivo per cui, al momento della rielezione, dedicammo un Editoriale al presidente Dagnoni. Sottolineammo come avesse davanti quattro anni decisivi per guidare il movimento sulla giusta strada. Se vuole, su questa strada saremo al suo fianco.

Josè Miguel Echavarri è stato il maestro di Unzue, il fondatore della grande Banesto di Indurain (foto Cadena Ser)
Josè Miguel Echavarri è stato il maestro di Unzue, il fondatore della grande Banesto di Indurain (foto Cadena Ser)

Tutti contro tutti

Che cosa c’entra oggi il richiamo dell’UCI alla grande famiglia del ciclismo se il ciclismo stesso è stato trasformato in una lotta di tutti contro tutti? Di squadre contro le altre, per paura della retrocessione e per scovare budget maggiori (impossibile non notare il rifiuto di introdurre la divisione dei profitti di tutti gli attori sulla scena). Cosa volete che gliene importi a una squadra WorldTour se la professional di turno non trova i soldi per andare avanti? Di atleti contro gli atleti, con gli sconfitti che puntano il dito contro la forma fisica di chi ha vinto. Di agenti contro gli agenti, per piazzare il maggior numero di corridori. Dei media contro i media, per scrivere le notizie più ad effetto. Dell’UCI contro le federazioni nazionali: come definire altrimenti l’imposizione di calendari sempre più costosi? E da ultimo dell’UCI contro gli atleti. Prima pretende di ingabbiarne i gesti e poi decide di squalificare 30 lavoratrici dipendenti (le 30 atlete del Romandie) per punire le loro squadre.

Dopo l’esclusione di 5 squadre senza un regolamento UCI che la prevedesse, il Romandie Feminin è partito con 30 atlete in meno
Dopo l’esclusione di 5 squadre senza un regolamento UCI che la prevedesse, il Romandie Feminin è partito con 30 atlete in meno

E’ ancora ciclismo?

Caro David Lappartient (il presidente dell’UCI è in apertura con Ferrand Prevot), la sua gestione sta trasformando il ciclismo in qualcosa che non è mai stato. Migliore o peggiore? Non è un fatto di gusti, ma di cose che non funzionano. Se mai fosse esistita la grande famiglia del ciclismo e avesse avuto dei padri con i piedi nella storia e il cervello nel futuro, il suo posto dalla tavola sarebbe stato già tolto da un pezzo. Questa non è più una famiglia e forse non lo è mai stata. Questo non è più il ciclismo che ha fatto la storia e siamo certi che prima lo fosse davvero.

Matteo, non più “l’altro Turconi”. Arriva un nuovo scalatore

18.08.2025
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Mai considerarlo “l’altro Turconi” non è più il caso. Perché Matteo Turconi si sta costruendo la propria strada e al suo secondo anno junior è ormai un riferimento per la categoria, se si considera che ha portato a casa nella stagione 5 vittorie, tutte inserite nel calendario nazionale. A queste si aggiungano 12 Top 10 con presenze sul podio anche in gare a tappe come la classifica finale del Giro d’Abruzzo. Un corridore completo, con l’instinct killer giusto per emergere anche nelle categorie superiori.

L’impressione è quella di un ragazzo che non solo vuole affrancarsi dall’ombra del fratello Filippo e non solo (sua madre Moira Tarraran ha fatto il Giro d’Italia nel 1999, suo zio è Stefano Zanini che non ha certo bisogno di presentazioni) ma che abbia dentro qualcosa in più, una straordinaria voglia di emergere.

Matteo insieme a suo zio Stefano Zanini, vincitore dell’Amstel nel ’96 e oggi diesse alla XDS Astana
Matteo insieme a suo zio Stefano Zanini, vincitore dell’Amstel nel ’96 e oggi diesse alla XDS Astana

«Forse viene da come sono andate le cose nell’anno scorso, il mio primo da junior – racconta il corridore della Bustese Olonia – la stagione non era andata come speravo, avevo ottenuto poco. Anch’io sono stupito positivamente da come sta andando, perché 5 vittorie non le avevo mai fatte neanche nelle categorie precedenti ma io guardo anche al fatto di fare tante gare di alto livello come quella di domenica scorsa. Ho anche ottenuto altri piazzamenti, quindi devo dire che sono veramente contento di come sta andando».

La tua vittoria principale, quella che ti ha dato più soddisfazione e ha fatto salire di livello la tua stagione?

Per me è stato importante il campionato regionale, anche se magari tra tutte era quello col livello più basso, ma è comunque un titolo che dà importanza. Anche se quella che magari mi è piaciuta di più è quella di sabato scorso, il Memorial Salvatico perché c’era tanta salita e mi sono potuto esprimere al meglio. Poi devo dire anche quella al Pistolesi, perché comunque è su una salita che faccio spesso in allenamento perché vicino a casa mia.

Per Turconi già 5 vittorie in stagione, tutte in gare nazionali. Ora punta alla convocazione azzurra (foto Instagram)
Per Turconi già 5 vittorie in stagione, tutte in gare nazionali. Ora punta alla convocazione azzurra (foto Instagram)
Che differenze ci sono con tuo fratello dal punto di vista tecnico?

Secondo me anche come caratteristiche siamo più o meno simili. Forse lui è più scattoso e io un po’ più regolarista, salgo sul passo. Abbiamo due stili diversi ma entrambi possiamo considerarci degli scalatori.

E quanto conta avere Filippo come riferimento attuale nel ciclismo, cioè un fratello che gareggia nella categoria superiore?

Non nascondo che è un vantaggio, sicuramente conta tanto cioè avere uno che può darti consigli perché c’è già passato da poco e comunque sta dimostrando anche nelle categorie superiori che sa dire la sua. Diciamo che mi ritengo fortunato anche perché con lui ho un ottimo rapporto, molto amicale.

Foto di gruppo con la Bustese Olonia dopo la conquista del titolo lombardo a Manerba del Garda
Foto di gruppo con la Bustese Olonia dopo la conquista del titolo lombardo a Manerba del Garda
Tu hai avuto occasione di vedere gareggiare tua madre e tuo zio?

No, perché mia mamma si è ritirata prima della nostra nascita, mentre mio zio forse ha fatto qualche gara quando ero nato, ma ero così piccolo che neanche posso ricordarmi. Però ho sentito un po’ di racconti delle sue imprese, ho visto qualcosa sui social di quando correva.

E che cosa pensi quando senti quei racconti, quel loro ciclismo che dicono tutti essere così diverso da quello che viviamo adesso e che vivete voi ragazzi?

A me devo dire che tutti i racconti di mio zio mi affascinano. Mi ritengo anche fortunato ad avere uno zio come lui, che ha fatto corse e soprattutto vinto corse di altissimo livello, che può darmi consigli. I suggerimenti di un familiare magari sono diversi dai consigli che può darti uno dello stesso settore, che non ha un legame, perché lo fa con il cuore. Parliamo di una persona che anche oggi è nel vivo dell’attività, che sa come si vive in quell’ambiente, è un riferimento a prescindere dal team dove lavora lui e dove posso militare io.

Lo scalatore lombardo è pronto al passaggio di categoria, puntando a traguardi importanti nelle prove più impegnative
Lo scalatore lombardo è pronto al passaggio di categoria, puntando a traguardi importanti nelle prove più impegnative
Con una madre che ha fatto il Giro d’Italia e con uno zio come Zanini, la vostra strada era un po’ obbligata verso il ciclismo?

Sicuramente quello ha contribuito, ma è stata una passione che è cresciuta dentro di noi, non ci siamo mai sentiti costretti. Diciamo che in casa si è sempre respirato ciclismo, anche mio padre ha corso fino ai dilettanti. L’ambiente era quello, ci ha coinvolto, ma poi abbiamo continuato esclusivamente per nostra volontà e seguiamo la nostra strada, prendendo sì i consigli ma decidendo noi.

Adesso cosa ti aspetta nella seconda parte di stagione?

Arrivano 5 settimane di fuoco, dalla corsa di Sestriere e poi due classiche internazionali come Vertova e Paganessi, che non so se farò entrambe. Spero in una convocazione per il Lunigiana e il Trofeo Buffoni per riuscire a essere convocato al campionato europeo, che mi dicono essere molto duro e quindi adatto alle mie caratteristiche.

Matteo e Filippo Turconi si ritroveranno insieme dal prossimo anno alla VF Group Bardiani
Matteo e Filippo Turconi si ritroveranno insieme dal prossimo anno alla VF Group Bardiani
E l’anno prossimo?

Raggiungerò mio fratello alla VF Group Bardiani. Il fatto che lui era già lì ha pesato nella mia scelta, vedo come si sta trovando, la squadra mi ha fatto veramente una buona impressione. E poi correre con mio fratello è una cosa che io ho sempre voluto, ma con due anni di differenza non era mai stato possibile fare. Già questo è un sogno che si realizza…

Mollema, parole mai scontate e qualche consiglio ai giovani

18.08.2025
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RYBNIK (Polonia) – Ci sono sempre curiosità per raccontare ed amare un corridore a tratti anticonformista come Bauke Mollema nel ciclismo di oggi. Facciamo un salto indietro di due settimane tornando alla prima tappa del Tour de Pologne con un simpatico retroscena.

«Quando è stata ripresa la fuga, forse troppo presto – ci aveva confidato Jacopo Mosca – abbiamo spinto moralmente Bauke a tentare un’azione smuovendo nuovamente le acque in vista del primo e unico “gpm” della giornata. Lui è stato al gioco, scollinando per primo e andando a prendersi la maglia a pois azzurri. Solo dopo la cerimonia delle premiazioni, abbiamo scoperto con sorpresa che era la prima volta che indossava una maglia da miglior scalatore. Se pensate a tutto quello che ha vinto e che è uno scalatore, è davvero strano che non gli fosse mai successo in passato».

Nelle frazioni successive l’olandese della Lidl-Trek non è riuscito a conservare la leadership nella speciale classifica, ma in Polonia, malgrado abbia dovuto abbandonare per motivi di forza maggiore, stava cercando di trovare la migliore condizione per la parte finale della stagione. Mollema il prossimo 26 novembre compirà 39 anni e sente che ha ancora voglia di restare in gruppo. Con lui è stata l’occasione di parlare anche di altro e come sempre le sue risposte non sono state scontate.

Com’è stata la tua stagione finora?

E’ stata abbastanza corta, non ho corso molto, facendo pochissime gare tra giugno e luglio. Diciamo pure che più o meno la mia stagione è iniziata proprio in Polonia. Per la verità sia l’anno scorso che quest’anno non ho fatto alcuna grande gara a tappe. A maggio avrei dovuto correre il Giro, ho cercato di arrivare con una forma buona, ma la squadra ha deciso di portare altri compagni. Non è stato un problema. Ora sono pronto e fresco per questa ultima parte di stagione.

Cosa prevede il tuo calendario agonistico?

Il mio grande obiettivo sarà il mondiale in Rwanda. Con ogni probabilità dovrei correrlo, ne avevo parlato col cittì. Come avvicinamento farò il Tour of Britain (ad inizio settembre, ndr) e poi vedremo come sarà il mio programma. Vado alle prossime gare molto motivato.

Il tuo contratto scade a fine 2026 e si dice che ti ritirerai a fine della prossima stagione. Puoi dirci qualcosa di più preciso?

Sì, è vero. O meglio, non è ufficiale, ma molto probabile. Al momento non ho ancora pensato a cosa farò dopo il ritiro. Per il momento mi piace ancora pedalare e correre ed è normale che per andare avanti ci vogliano degli obiettivi da perseguire. Anzi, mi sono mancati negli ultimi due anni questi obiettivi. Mi è mancato allenarmi e soffrire in allenamento per raggiungerli. Credo che penserò a cosa farò dopo col passare dei prossimi mesi. Di sicuro fino a quando correrò, lo farò senza stress come ho sempre fatto.

Secondo Mollema i giovani di adesso sono troppo concentrati sul ciclismo. Dovrebbero viverlo con più distanza e relax
Secondo Mollema i giovani di adesso sono troppo concentrati sul ciclismo. Dovrebbero viverlo con più distanza e relax
Ti vedi come diesse in ammiraglia?

Onestamente no (dice sorridendo, ndr), ma neanche in altri ruoli nel ciclismo. Quando smetterò, starò a casa a trascorrere del tempo con la mia famiglia, visto che in tutti questi anni non l’ho potuto fare. Poi mai dire mai, però sono convinto di questa mia scelta.

Hai vinto tante gare importanti in carriera e ottenuto molti risultati di prestigio, ma Bauke Mollema che tipo di corridore è stato veramente?

Ho iniziato la mia carriera focalizzandomi principalmente sulle classifiche generali delle gare a tappe e sulle frazioni di salita. Quando ero veramente in forma potevo puntare a questi obiettivi e qualcosa sono riuscito a fare. Col passare delle stagioni, sono diventato un corridore da classiche o da singole tappe. Ho seguito il mio corpo che cambiava e che mi dava dei segnali, quanto meno dal punto di vista degli sforzi. Vedevo che ero più competitivo ad esempio su salite di massimo 10/15 minuti anziché in quelle da 30/40 minuti o più. E questo lo capivo anche all’inizio di una stagione. Ripeto, quando stai bene sei capace di fare tutto, però in generale io sono stato un corridore da gare di un giorno o per le tappe di un Grande Giro.

Invece ti senti di dare dei consigli ai giovani corridori?

Ci sono veramente tantissimi giovani e forti atleti, non solo tra i pro’. Li vedo però un po’ troppo concentrati su ogni gara. Vogliono fare il massimo in ogni corsa e se non ci riescono per loro diventa un problema. Naturalmente questi ragazzi sono professionali in tutto, tra allenamento e nutrizione, ma forse troppo. Secondo me sono anche troppo dentro al ciclismo. E questo non ti permette di vivere con tranquillità quello che stai facendo.

Dopo il ritiro Mollema non si vede su una ammiraglia come diesse. Più importante trascorrere il tempo con la famiglia
Dopo il ritiro Mollema non si vede su una ammiraglia come diesse. Più importante trascorrere il tempo con la famiglia
C’è una ricetta per questo problema?

Dovrebbero prendere il ciclismo con più… relax o prendere un po’ più di distanza da questo tipo di ciclismo. Anche perché c’è il rischio che la carriera diventi più corta del previsto se non trovi il tempo di divertirti o goderti la vita con più serenità. Ho visto ragazzi che hanno avuto e fatto capricci o gesti pazzi per la bici. Attenzione, è bellissimo il lavoro che facciamo, ma non bisogna esagerare. I giovani di oggi dovrebbero concentrarsi sugli obiettivi veramente più importanti per non finirsi e correre più tempo possibile.

Gigante Omrzel a Capodarco, ma gli italiani se la sono giocata

17.08.2025
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Nessuno ha potuto opporsi alla legge di Omrzel: quello del Giro Next Gen, che quando va forte parla la stessa lingua di Pogacar. Alle spalle del corridore del Bahrain Victorious Development Team che ha dominato il Gran Premio Capodarco è finito Pavel Novak. Poi è toccato agli italiani. Terzo Cesare Chesini, con maglia MBH Bank Ballan come Novak. Quarto Matteo Scalco della VF Group Bardiani, il vincitore di Poggiana. Quinto Bracalente, un altro della MBH Bank Ballan. Due stranieri e tre italiani, a capo di una corsa dura e decisa da giochi di squadra che giro dopo giro si sono intrecciati e sovrapposti sino alla scalata finale.

C’erano tre atleti della Bahrain Victorious, tre della MBH Bank Ballan e due della VF Group Bardiani. L’azione che ha deciso la corsa se l’è inventata da furbo il giovane Elia Andreaus. Il trentino prima è stato in fuga per tutto il giorno e poi ha allungato prima dell’ultima scalata, portando con sé Novak, il vincitore di Prato Nevoso al Giro Next Gen. Per la MBH Bank Ballan era l’occasione per anticipare Omrzel, parso a tutti il più pericoloso. Ma Novak non aveva le gambe dei giorni migliori e quando Omrzel è tornato in scia e ha allungato, il ceco lo ha tenuto fino all’ultimo muro e poi ha dovuto inchinarsi.

Ciao “Gaetà”

Gran Premio Capodarco: la corsa di Gaetano Gazzoli e Adriano Spinozzi, che mai avrebbe pensato di doverla organizzare senza di lui e in così breve tempo. Le scritte sull’asfalto celebravano il vecchio mentore sparito alla fine di maggio. Un murales all’inizio della salita farà per sempre di questa strada il cammino verso il mondo di Gaetano.

In questa stagione così faticosa e stimolante, il campo dei partenti è stato di gran lunga il migliore degli ultimi anni. La lontananza del Tour de l’Avenir e il fatto che le squadre abbiano organizzato in autonomia le loro alture ha fatto sì che un bel lotto di azzurri, compreso il tricolore Borgo, abbia raggiunto Capodarco. Un appuntamento che è certo competizione, ma anche spettacolo e festa. In questo quadro che affonda le radici nel ciclismo più bello, i tre italiani alle spalle dei primi due sono ripartiti verso casa con il mal di gambe e sensazioni diverse, ma tutto sommato positive.

Borgo indossa per la prima volta il tricolore U23 a Capodarco: finora aveva corso solo tra i pro’ (photors.it)
Borgo indossa per la prima volta il tricolore U23 a Capodarco: finora aveva corso solo tra i pro’ (photors.it)

Chesini lancia Novak

Cesare Chesini è arrivato terzo. Considerato che secondo è arrivato il compagno Novak, appena 3” davanti a lui, potrebbe avere anche un timido rimpianto. Ma quando il finale è così ripido, quel piccolo margine diventa un muro insormontabile.

«Sapevamo che Omrzel andava forte in salita – dice il veronese di Negrar, 21 anni – per questo a un certo punto ho detto a Pavel (Novak, ndr) di provare ad anticipare. Alla fine, io sono rimasto a ruota, ma quando Omrzel ha accelerato in salita, nessuno è riuscito a stargli dietro. Pavel ha detto che ha avuto i crampi e io sul muro mi sono un po’ avvicinato, però ormai era tardi. La corsa è stata dura, ma diversa dagli altri anni. Non è arrivata la fuga e anche se eravamo in superiorità numerica, nel finale ha fatto la differenza chi ne aveva di più. Però ce la siamo giocata. Io penso di aver corso bene, non ho anticipato perché volevo giocarmi tutto sul finale. Stavo bene, ma non abbastanza per vincere».

L’estate di Scalco

Matteo Scalco è arrivato quarto. E’ rientrato a ruota di Omrzel, dopo aver condiviso il finale con il compagno Turconi. Avendo nelle gambe e negli occhi la vittoria di domenica scorsa a Poggiana, forse sperava di ripetersi e per un po’ ci ha anche creduto.

«Il percorso è duro – dice il vicentino di 21 anni – ma si riesce a recuperare bene. In salita si fa la selezione, poi nella discesa rientrano sempre parecchi e fai fatica a liberarti del gruppo. Siamo rientrati sulla fuga dei dieci, ma dopo un po’ è arrivato anche il gruppo, perché davanti non c’era collaborazione. Sapevo che Omrzel andava forte e per questo ho provato più volte ad andare via. Forse però non avevo le stesse gambe di Poggiana, anche se in settimana non sono stato male. Il percorso di domenica era più adatto a me, perché il tratto collinare permette più selezione. Comunque questo è il mio periodo, vengo fuori con l’estate e devo dire che dopo la primavera con i pro’ e lo stacco di maggio, ho la sensazione di aver fatto un bel passo in avanti. Magari ho assimilato le gare e gli allenamenti e le due alture mi hanno dato qualcosa in più».

Novak e Bracalente avevano già fatto corsa di testa nella Bassano-Montegrappa: primo e terzo (photors.it)
Novak e Bracalente avevano già fatto corsa di testa nella Bassano-Montegrappa: primo e terzo (photors.it)

Il cuore di Bracalente

Diego Bracalente è arrivato quinto. Da Capodarco alla sua Casette d’Ete ci sono 22 chilometri, facile capire perché alla partenza abbia definito la corsa come il mondiale dei marchigiani. Il suo futuro è già tracciato col passaggio della MBH Bank Ballan tra i professionisti, ma visto che lui non può dirlo, ne abbiamo chiesto conferma ad Antonio Bevilacqua che oggi l’ha seguito in corsa.

«Non sapevo come stessi – dice il fermano di vent’anni – perché non correvo da 15 giorni. Avevo fatto l’ultima corsa alla Bassano-Montegrappa (terzo dietro Novak e Biehl, ndr), poi ho riposato. Ho preso un po’ di raffreddore e non mi sentivo al massimo, però l’ho gestita bene. Abbiamo trovato un grande corridore e non possiamo che inchinarci, perché oggi Omrzel era il più forte. E’ stata una giornata particolare. Gaetano Gazzoli viveva per il ciclismo e per noi marchigiani la sua scomparsa è stata un duro colpo. Vedere tutte quelle scritte, tutta quella passione impressa sui muri e in terra mi ha dato tanta forza e tanta grinta. Potrei aver attaccato presto per questo? Secondo me il fatto di attaccare con i tempi giusti viene con l’esperienza. Ci sono le persone più sicure di sé, che riescono a ragionare di più e gestiscono meglio le situazioni. Io sto facendo esperienza e miglioro anno dopo anno. Sono di quelli che quando sente la gamba ci prova, ma col tempo e salendo di livello imparerò a centellinare le energie per arrivare in finale con la forza giusta».

Capolavoro Bahrain Victorious

A Capodarco ha vinto Jakob Omrzel, sloveno, quello del Giro Next Gen che al Valle d’Aosta si scoprì fragile nei giorni del dramma di Privitera. Alessio Mattiussi che l’ha guidato racconta con orgoglio la dimostrazione di compattezza della squadra e la gestione praticamente perfetta malgrado non avessero le radio. Nei devo team si deve imparare a correre e ragionare e a Capodarco è riuscito tutto alla perfezione.

Ora Omrzel fa rotta verso il Tour de l’Avenir con la consapevolezza di aver ritrovato la condizione del Giro. Mentre sulla sua moto gialla, da qualche parte fra queste colline, Gaetano Gazzoli si sarà goduto lo spettacolo con la certezza di aver lasciato la sua corsa in buone mani. Suo figlio Simone e Adriano Spinozzi hanno messo in strada un bel capolavoro: decisamente di questo si sono accorti tutti.

Thomas è pronto a dire basta. Storia di un’icona del Galles

17.08.2025
5 min
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«Non so che cosa farò, dal prossimo inverno – afferma Geraint Thomas – potrei restare alla Ineos Grenardiers, mi hanno già illustrato alcuni ruoli che potrei ricoprire, oppure potrei trovare spazio fra i media, ma ci penserò a tempo debito. Quel che conta è non perdermi più compleanni, matrimoni, feste… Voglio esserci per la mia famiglia, ho perso troppo in questi anni».

Il campione gallese ha le idee chiare a proposito della sua intenzione di ritirarsi a fine stagione. Lo aveva preannunciato all’inizio, anzi già nel 2023 aveva fissato l’appuntamento per quest’anno, in fin dei conti quasi 20 anni in sella nel mondo del ciclismo sono sufficienti. Anni passati fra grandi vittorie e numerose avventure: due volte campione olimpico e tre volte campione del mondo con il quartetto dell’inseguimento e soprattutto il Tour de France conquistato nel 2018: «Fin da bambino sognavo di partecipare al Tour e alle Olimpiadi e di vincere. Ma averlo fatto è stata una follia».

Thomas inizialmente era gregario di Froome e nel finale di carriera è tornato a fare il luogotenente
Thomas inizialmente era gregario di Froome e nel finale di carriera è tornato a fare il luogotenente

Lasciare o non lasciare?

E’ anche questo che rende il suo addio dalle due facce. E’ chiaro, la voglia di staccare ci sia e Geraint non lo ha mai negato, ma sotto sotto quella scintilla ancora arde: «Lasciare è bello e brutto allo stesso tempo. Ci pensi, dici di sì, non vedi l’ora che arrivi quel fatidico ultimo metro. Ma poi quel metro diventa sempre più vicino e ti chiedi se non potevi tirare ancora un pochino avanti. Io mi trovo su quest’altalena da inizio stagione, passano nella mia testa infinite sensazioni, ma non cambio idea…».

Non è solamente una questione di età (Thomas ha 39 anni), ma influiscono anche altri fattori. Innanzitutto gli equilibri familiari e uno sport che giorno dopo giorno diventa più pericoloso. Poco tempo fa, in un programma televisivo nel suo Galles, Geraint raccontava proprio insieme a Sara Elen un episodio risalente al Tour 2015: «Tappa numero 16. In discesa dal Col de Mause Barguil sterza all’improvviso e m’investe. Io vado contro un palo del telegrafo, sterzo e finisco oltre la ringhiera, sparendo dalla vista sul ciglio della strada».

Geraint con sua moglie Sara Elen, giornalista. I due hanno un figlio, Macsen (foto Wales Online)
Geraint con sua moglie Sara Elen, giornalista. I due hanno un figlio, Macsen (foto Wales Online)

La paura di un grave incidente

«Io all’epoca lavoravo per S4C, un’emittente locale in lingua celtica. Ero in diretta, ma avevo visto quelle immagini, ero sconvolta. Ho iniziato a piangere in diretta perché nessuno sapeva dirmi che cosa gli fosse successo. Sinceramente non voglio vivere più nella paura di simili incidenti».

E’ tutto? No, probabilmente c’è anche la cruda analisi di un ciclismo che si evolve sempre più e che per Thomas è diventato ormai troppo pesante. A tal proposito è curioso un episodio, sempre raccontato dal campione gallese, che risale all’ultima Liegi-Bastogne-Liegi.

Due ori olimpici per Thomas nel quartetto, a Pechino 2008 e Londra 2012 (foto Getty Images)
Due ori olimpici per Thomas nel quartetto, a Pechino 2008 e Londra 2012 (foto Getty Images)

«Ma deve parlarmene proprio ora?…»

«Andavamo già fortissimo, leggevo 400 watt di media quando da dietro sento: “Ciao G.Thomas”. Mi volto ed era Pogacar. Si mette al mio fianco e inizia a parlarmi, a raccontarmi di un orologio che ha visto e che vuole assolutamente comprarsi il giorno dopo. Io lo guardo e poi guardo il computerino: andavamo a 420 watt! Ho pensato: “Ma vuoi parlarne proprio ora? Io devo rimanere concentrato sulla respirazione se non voglio perdere il ritmo e farmi staccare…”. Ecco perché Tadej è proprio di un’altra categoria».

Di incidenti Geraint ne ha vissuti tanti, sin dal febbraio 2005 quando durante un allenamento su pista a Sydney, per la Coppa del Mondo, vide un pezzo di metallo della bici di chi gli era davanti staccarsi, farlo cadere e penetrare nel suo addome, causandogli un’emorragia interna e la rottura della milza, poi asportatagli. Oppure come al Tour del 2013, quando nella prima tappa una caduta gli costa la frattura del bacino, eppure Geraint tira avanti e quel Tour lo porta a termine. Chiude 140°, nella squadra che scorta Froome alla maglia gialla, ma tutti lo festeggiano come se avesse vinto lui.

Portabandiera ai Commonwealth Games, dove ha vinto nel 2014 l’oro in linea. Terzo invece nel 2018 a cronometro (foto Getty Images)
Portabandiera ai Commonwealth Games, dove ha vinto nel 2014 l’oro in linea. Terzo invece nel 2018 a cronometro (foto Getty Images)

Il trionfo giallo del 2018

D’altro canto la sua carriera resta legata strettamente al Tour, soprattutto a quell’edizione del 2018 dov’era partito come luogotenente di Froome, reduce dal trionfo al Giro d’Italia. Che il gallese fosse in forma si era ben capito con la vittoria al Delfinato e la conquista del titolo nazionale a cronometro, infatti lo staff del Team Sky vedeva in lui l’alternativa, il piano B. E la caduta di Froome nelle prime fasi costa a quest’ultimo un cospicuo distacco. Thomas a quel punto prende in mano le redini della squadra, nella tappa di La Rosiere va a prendere i fuggitivi e rivali Nieve e Dumoulin e si aggiudica la frazione vestendo la maglia gialla, ripetendosi il giorno dopo sull’Alpe d’Huez.

«Di quanto fosse importante quel che avevo fatto – raccontò in seguito Thomas – ne ho avuta l’esatta percezione qualche tempo dopo, quand’ero in vacanza in America ed ero andato con la famiglia a visitare il carcere di Alcatraz. Un tizio mi ha riconosciuto e lo ha detto agli altri, ho capito allora come quel simbolo della maglia gialla sia davvero iconico e riconosciuto a qualsiasi latitudine».

L’attacco a La Rosiere, che porterà il gallese del Team Sky a vestire la maglia gialla al Tour 2018
L’attacco a La Rosiere, che porterà il gallese del Team Sky a vestire la maglia gialla al Tour 2018

L’ultima pedalata nella sua Cardiff

Geraint è pronto. Resta da scrivere solo l’ultima pagina e il gallese sa anche dove farlo: al Tour of Britain, che si concluderà nella sua Cardiff: «Chiudere la mia carriera tornando a casa, davanti alla mia gente, sarà il più bello degli addii possibili. Vent’anni con gli occhi fissi davanti, guardando la strada, credo siano più che sufficienti. Ora voglio guardare il mondo da un’altra prospettiva».

Keisse e il ritorno di Landa: determinazione, disciplina, esperienza

17.08.2025
5 min
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Mikel Landa ci è riuscito ancora una volta. Il forte (e amatissimo) scalatore basco della Soudal-Quick-Step dopo l’ennesimo incidente (lo ricorderete nella prima tappa del Giro d’Italia), è riuscito ad alzarsi nuovamente. E dopo 88 giorni è ripartito con cuore e determinazione.

Il suo ritorno in gara ha avuto luogo alla Vuelta a Burgos, una corsa speciale per lui, dove ha conquistato la sua prima vittoria da professionista ed anche l’ultima finora: era il 2021. Nonostante le difficoltà, Landa ha scelto Burgos per testare il suo stato di forma in vista della Vuelta a Espana, dimostrando ancora una volta il suo carattere tenace e quella che oggi è nota come resilienza.

Giro d’Italia: finale della prima tappa. Landa cade e si frattura una vertebra toracica. Secondo Bramati, Mikel non era mai stato così forte
Giro d’Italia: finale della prima tappa. Landa cade e si frattura una vertebra toracica. Secondo Bramati, Mikel non era mai stato così forte

Landa: un passo alla volta

Prima della Vuelta a Burgos, Landa si è detto “un po’ nervoso” perché era passato molto tempo dall’ultima gara: «E’ passato tanto tempo da quando ho indossato un numero – aveva dichiarato il basco – sono già contento di tornare, ma non so cosa aspettarmi, la lesione è stata complicata. Questa gara è importante per vedere se posso tornare a competere». La risposta è stata positiva…

Landa è parso felice, ma anche molto realista e forse anche stanco. Stanco per il lavoro fatto per rientrare e per tutte le volte che in carriera si è trovato a vivere certe situazioni.

«Non mi faccio illusioni – ha detto Mikel a Diario AS – Voglio solo vedere dove sto, mettere il ritmo nelle gambe e dimenticare quello che è successo nella gara precedente. Se riesco ad essere alla partenza della Vuelta, mi riterrò soddisfatto. Ho ancora qualche dubbio su come risponderanno la schiena e le gambe, per questo ribadisco che vedrò giorno dopo giorno».

Iljo Keisse (classe 1982) è direttore sportivo della Soudal-Quick Step dal 2023

Parla Keisse

Il disse che ha diretto Landa a Burgos è stato Iljo Keisse. Il fiammingo è rimasto colpito dalla sua tenacia e il suo racconto parte da una telefonata proprio con Landa.

«Il mio è stato un incidente pesante – Keisse riferisce le parole Landa – le aspettative erano alte, ero concentrato per fare il meglio…», per dire che aveva trovato un Mikel profondamente colpito nell’animo.

Keisse è rimasto sorpreso per come Landa si è sentito durante la gara: «Il momento chiave è stato nella terza e quarta tappa a Burgos. Sono stati episodi che ci hanno detto molto. Mikel era stato molto solido nella prima parte e, pur soffrendo nell’ultima giornata, è riuscito a restare nei primi venti, in una tappa dura con tutti i migliori. Questo ci ha detto che siamo riusciti a rientrare dopo un infortunio. E non è una cosa scontata oggi, con giovani fortissimi che c’erano e con corridori come Caruso che spingono sempre forte. E non è facile né per il corridore soprattutto, né per chi gli sta vicino. Il corpo fatica a tornare a certi livelli. Mikel ancora costruendo la condizione, ma il lavoro fatto sin qui è stato ottimo. E questo mi dà fiducia».

Da ex atleta che ha corso per grandissimi leader, Keisse coglie un aspetto mentale fondamentale in Landa: «Mikel è un leader, un gentiluomo, facile da gestire, esigente e flessibile al tempo stesso: elementi che da un lato richiedono molto da se stessi, ma dall’altro facilitano la ripresa psicologica. La sua forza interiore, unita ad esperienza e disciplina, fa la differenza nel continuo ritorno al massimo livello».

Landa in fuga nella terza tappa: anche Keisse ha evidenziato questo aspetto
Landa in fuga nella terza tappa: anche Keisse ha evidenziato questo aspetto

Quanto lavoro…

Il recupero di Landa dopo la caduta al Giro d’Italia, dove si è fratturato la vertebra toracica T11 (e ha riportato tante altre botte), è stato lungo e paziente. Come riportano le fonti, Mikel ha affrontato un periodo di riposo e riabilitazione di circa otto-dieci settimane, durante le quali ha usato anche un corsetto, ha camminato e ha ripreso gradualmente l’allenamento, prima sui rulli e poi su strada. Insomma è ripartito da zero.

Tra riposo e riabilitazione, Mikel ha iniziato a rimettersi in sella a giugno. Il processo non è stato solo fisico: Landa ha dovuto convivere con dubbi e timori. Lui stesso, come detto, aveva dubbi circa la reazione di gambe e schiena.

«Durante la Vuelta a Burgos – va avanti Keisse – ho avuto modo di osservarlo da vicino. Mentalmente era concentrato, consapevole dei suoi limiti ma si vedeva che era anche disposto a misurarsi. Il modo in cui ha lottato verso dell’Alto de Las Campas, quando è andato all’attacco, ha mostrato un atleta tutt’altro che remissivo. Durante la scalata non è stato esplosivo, ma ha mantenuto lucidità, calma e determinazione, segnali di un recupero non solo fisico ma anche emotivo».

Quanta curiosità circa le potenzialità di Mikel in salita in vista della Vuelta
Quanta curiosità circa le potenzialità di Mikel in salita in vista della Vuelta

Vuelta: niente classifica

A questo punto viene naturale chiedersi: che tipo di Vuelta potrà fare Landa? Da quanto ha dichiarato, il suo obiettivo attuale non è specifico, è importante soprattutto averlo al via e, come ha detto anche lui: «Vedere dove sto». Ci sta, giusto così. Nella sua situazione non è neanche giusto chiedergli di più.

«Per quanto riguarda che tipo di Vuelta possa fare – conclude Keisse rispondendo alla nostra domanda – penso sia chiaro: Landa non punterà alla classifica generale, perché sarebbe irrealistico. Quello che ci aspettiamo è che provi a lottare per qualche tappa. Nei primi giorni sarà importante non perdere troppo tempo e non avere pressione. Dovrà provare a stare nelle prime dieci o venti posizioni, ma soprattutto a ritrovare le sensazioni e a non stressarsi.

«Il suo obiettivo sarà cercare di vincere una tappa. Questo è il sogno di ogni corridore: tagliare il traguardo per primo con le braccia alzate. Penso che sia molto bello e per lui sia anche realistico. Quindi cercheremo di selezionare alcune tappe. Vedremo cosa porterà questa Vuelta: è un approccio diverso per Mikel, ma con un corridore come lui può funzionare molto bene».

Il nuovo Uijtdebroeks: schiena a posto e grandi ambizioni

16.08.2025
5 min
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C’era chi lo aveva dato per disperso, se non addirittura finito. E parliamo di un corridore che ha solamente 22 anni. Ma Cian Uijtdebroeks è tornato, dopo essersi preso oltre tre mesi di sosta per risolvere i suoi problemi alla schiena che lo affliggevano sin dal suo approdo nel ciclismo che conta. Con la vittoria al Tour de l’Ain ha messo la sua prima firma fra i professionisti. La prima di quelle che spera saranno tante e sempre più importanti.

La gioia del giovane belga accolto dal suo staff, per una vittoria davvero speciale
La gioia del giovane belga accolto dal suo staff, per una vittoria davvero speciale

Un’impresa pensata per tutta la vigilia

Per farlo, il belga della Visma-Lease a Bike ha scelto la via più difficile, il giocare tutte le sue carte in maniera spavalda. Dopo la seconda tappa era al secondo posto a un paio di secondi dal leader, il francese Nicolas Prodhomme (Decathlon AG2R La Mondiale). Sarebbe bastato giocarsi il successo nelle ultime fasi della frazione, provare a staccarlo con un colpo di mano o puntare anche a qualche abbuono. No, Cian ha puntato all’impresa, andando via a 50 chilometri dal traguardo. Perché la vittoria non bastava, lui voleva risposte su di sé, sul suo rendimento, sulla sua capacità di soffrire, solo così avrebbe davvero potuto mettere alle spalle settimane di dolore e di dubbi.

«Sapevo che era un rischio partire così da lontano – ha raccontato a fine corsa a DirectVelo – ma era quello il mio piano ed era studiato fin dalla vigilia, infatti a colazione ho mangiato molto per riempire il serbatoio di energie. Non era una tappa facile, la salita era lontana dal traguardo, tatticamente era una frazione difficile da gestire nella mia situazione. Ho attaccato in salita per staccare Prodhomme e arrivare in cima col massimo vantaggio possibile, poi c’erano ancora 40 chilometri, di cui la metà pianeggianti. La discesa l’ho fatta al massimo, rischiando, alla fine avevo 3 minuti di vantaggio. In pianura ho controllato, anche perché con il caldo il rischio di crampi è dietro l’angolo, infatti sono arrivato al traguardo ancora in forze».

Dalla 2ª tappa perduta contro Prodhomme, il belga ha tratto ispirazione per la sua impresa
Dalla 2ª tappa perduta contro Prodhomme, il belga ha tratto ispirazione per la sua impresa

La preparazione in altura

Le sue parole sono tutte orientate al ritorno, alle risposte che cercava. Al di là della vittoria, per Uijtdebroeks era importante sapere che può riprendere il discorso da dove l’aveva lasciato mesi fa: «Per preparare questa corsa sono stato a lungo in altura, ad Andorra. Al Passo di Arcalis ho fatto il KOM, con un esito di 440 watt in 30 minuti. E’ stato lì che ho capito che ero ritornato quello di prima, ho preso molta fiducia, anche perché non ho avvertito dolore e questo per me è stato il più bello dei regali».

Il problema alla schiena aveva minato quella stessa fiducia, anche perché si protraeva da tempo. «E’ stato un anno e mezzo non facile per me. Vedevo che il mio fisico non rispondeva, che le gambe erano sempre forti, che potevo lottare con i migliori, ma la schiena mi dava problemi e quindi i risultati non potevano arrivare. Io però ho cercato di non scoraggiarmi: se c’è un problema affrontiamolo, proviamo a trovare la soluzione anche se questo significa fare dolore rinunce».

In questi mesi Uijtdebroeks ha lavorato molto sulla posizione in bici, ritenuta un problema
La gioia del giovane belga accolto dal suo staff, per una vittoria davvero speciale

Nuovo allenatore, nuovo assetto

Una soluzione che sembra essere finalmente stata trovata anche grazie al suo nuovo allenatore Espen Aareskjold: «Abbiamo cambiato molte cose, è stato necessario resettare tutto. Innanzitutto ho lavorato molto sulla mia posizione in bici e ci sto lavorando ancora, poi abbiamo cambiato molte cose nel mio allenamento. Ora posso dire di sentirmi come prima del sopravvenire del mal di schiena, anzi ancora più forte. Ma devo dire che molto mi aiuta anche il rapporto che abbiamo instaurato con Espen: mi ascolta, valuta le mie opinioni, abbiamo un obiettivo comune che è quello di arrivare al massimo livello».

Uijtdebroeks era già andato piuttosto bene a San Sebastian, anche se l’azione di Ciccone lo aveva colto in contropiede ed era finito poi 9° a 1’10”. Ora è in corsa al Czech Tour (ieri terzo alle spalle di Lecerf Junior e Fancellu), ma i suoi obiettivi sono più avanti: «Voglio guadagnarmi una maglia per il campionato europeo, è quella la mia meta, da raggiungere senza passare per la Vuelta. Con la squadra abbiamo valutato che vista la situazione, quest’anno è prematuro tornare in un Grande Giro, meglio mettermi alla prova in corse in linea e brevi prove a tappe. E’ un anno di passaggio, diciamo che lo prendo così».

Alla Tirreno-Adriatico erano già emersi i problemi alla schiena che ad aprile l’hanno costretto a fermarsi
Alla Tirreno-Adriatico erano già emersi i problemi alla schiena che ad aprile l’hanno costretto a fermarsi

Un 2026 con grandi obiettivi

I Grandi Giri restano però il suo naturale approdo: «Il progetto rimane quello di diventare uno specialista. Io dico che una presenza nei primi 10 non basta più, io voglio quantomeno il podio e sogno una vittoria. So che è nelle mie corde. Ma per questo devo imparare a vincere. Il Tour de l’Ain è stato importante – ricorda Uijtdebroeks – ma è stata la prima vittoria. Ho ancora tanto da imparare, da crescere e corse simili mi aiutano in questo momento più di quanto potrebbe una Vuelta, dove realisticamente non sarei concorrenziale. L’anno prossimo tornerò in un Grande Giro, la Visma-Lease a Bike me lo ha già promesso».

Trentin a Komenda da Pogacar: «Una vera festa del ciclismo»

16.08.2025
5 min
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Tutti da Tadej Pogacar. O meglio pochi eletti e tanto pubblico… da Tadej Pogacar. A distanza di una settimana scarsa dal suo criterium, a Komenda non si è ancora spenta l’eco di una fantastica giornata di sport che ha visto l’abbraccio dei tifosi sloveni attorno al campione del mondo (in apertura (foto @alenmilavec).

Tra gli ospiti, nella cittadina slovena che ha dato i natali a Pogacar, c’era anche Matteo Trentin. Il corridore della Tudor Pro Cycling era uno degli otto grandi atleti presenti. Alla fine Trentin è un boss del gruppo, un veterano, vive a Montecarlo come Pogacar e i due, come altri corridori, sono molto amici. Ed è proprio Matteo che ci racconta come è andata.

Tanta gente a bordo strada e circuito divertente. In tutto tra categorie giovanili ed elite hanno preso il via 350 atleti (foto @alenmilavec)
Tanta gente a bordo strada e circuito divertente. In tutto tra categorie giovanili ed elite hanno preso il via 350 atleti (foto @alenmilavec)

Criterium Tadej Pogacar

E’ la settima volta che si tiene questo circuito, una vera festa cittadina a Komenda. Di solito si corre a giugno, ma Tadej era concentrato sul Tour de France e quindi lo ha spostato a dopo la corsa francese. Così l’evento si è trasformato anche in una festa per celebrare il suo quarto successo alla Grande Boucle.

«E’ stato bello – racconta Trentin – una gara piena di gente, c’erano anche i piccoli prima di noi elite e tanta, tanta gente alle transenne. Alla fine tanti sloveni, che abitano non lontano da Lubiana, ma anche turisti. C’erano italiani, tedeschi, francesi. Sapete, bastava che chi era al mare in Istria o in Croazia o sulle coste slovene si spostasse: con un’ora e mezza di auto era a Komenda. E se sei un appassionato di ciclismo, perché perdere l’occasione di vedere il campione del mondo e altri corridori gratis a un metro da te? Questa è l’essenza del ciclismo. Sì, davvero un bell’ambiente».

Trentin racconta che Pogacar ha fatto un giro di telefonate per portare qualche collega del WorldTour. Lui era disponibile e non ha avuto problemi a dire sì a un amico.
«Ma – spiega Trentin – non è poi così facile essere presenti. Quel weekend se non ricordo male si correva su quattro fronti».

Gli 8 atelti di prima fascia presenti a Komeda (foto @alenmilavec)
Gli 8 atelti di prima fascia presenti a Komeda (foto @alenmilavec)

Pancia a terra

La giornata è iniziata alle ore 15 con le prove degli esordienti, degli allievi, degli Under 15 e Under 17, maschili e femminili. Poi è stata la volta degli Under 19 e delle donne elite. Alle 19,30 hanno preso il via gli elite uomini. Oltre a Pogacar e Trentin c’erano altri tre sloveni di grido: Matej Mohoric, anche lui super acclamato, Luka Mezgec e Matevz Govekar. Con loro i compagni di squadra di Pogacar, Tim Wellens e Pavel Sivakov.

«Ed è stata gara vera – riprende Trentin – non potete capire come siamo andati. C’erano anche diversi atleti delle continental locali, come la Adria Mobil, e delle giovanili dei team WorldTour. Questi sono partiti a tutta: i primi 15 giri… pancia a terra! Una gara super caotica, poi nel finale hanno un po’ calato. Ma che ritmi!

«Tra l’altro il circuito si prestava: misurava un chilometro circa e abbiamo fatto 35 tornate. Era carino, tutto dentro al paese che è davvero piccolino. Si partiva da una piazza, poi ricordo qualche stradina, una chiesetta e nel finale per tornare all’arrivo c’era una salitella. Mi è rimasto in mente il fatto che partendo noi al tramonto, nei primi giri quando tornavamo verso l’arrivo avevamo il sole in faccia e non si vedeva nulla. Non era facile».

Sole contro e ritmi folli… (foto @alenmilavec)
Sole contro e ritmi folli… (foto @alenmilavec)

Komenda perla slovena

Komenda è il paese natale di Pogacar. Si trova più o meno nel centro della Slovenia, a circa 25 chilometri a nord della capitale Lubiana e a 120 da Gorizia. E’ una terra collinare, poco sopra i 300 metri di quota.

«Come dicevo – riprende Trentin – Komenda è un paesino molto piccolo, ma grazioso. Io l’ho vissuto poco perché sarei dovuto arrivare un giorno prima, ma qualche piccolo intoppo familiare ha ritardato il mio arrivo. Komenda è in un catino circondato da colline, ma poco fuori ci sono anche delle montagne. Nell’hotel in cui eravamo, ad esempio poco fuori Komenda, c’era un impianto che portava su una montagna a 1.650 metri dove d’inverno si scia».

«Il programma era di allenarci tutti insieme il giorno prima, ma io essendo arrivato tardi non ho potuto. Così mi sono allenato strada facendo. E per fortuna, visti i ritmi che ci sono stati».

Trentin ha parlato di un Pogacar sereno che si è prestato all’abbraccio della su gente (foto @alenmilavec)
Trentin ha parlato di un Pogacar sereno che si è prestato all’abbraccio della su gente (foto @alenmilavec)

Tadej e Matteo al rientro

Domani Matteo Trentin correrà ad Amburgo, alla Hamburg Cyclassics. La classica tedesca sarà il suo rientro ufficiale alle gare e lui sembra stare bene. Tadej invece rientrerà il 12 settembre in Canada. Come lo ha trovato dopo essere uscito stanco, almeno mentalmente, dal Tour?

«Tutto sommato bene – dice Trentin – lui è sempre tranquillo, sorridente. Alla fine ci ho anche parlato poco perché giustamente la serata era la sua. Avrà firmato 800.000 autografi e fatto 500.000 selfie. Ma è stato bello. Questa è un po’ l’essenza del ciclismo. In quale sport vedi il tuo campione preferito a un metro, gratis, e magari gli dai anche il cinque?

«Noi del WorldTour (tecnicamente io non sono in un team WT, ma è chiaro che appartengo alla categoria dei corridori di prima fascia presenti a Komenda) dopo la corsa siamo stati un po’ insieme, abbiamo mangiato, bevuto una birra e poi con le famiglie siamo tornati in hotel. E il giorno dopo siamo ripartiti con il ricordo di un bel “casino”».