La velocità azzurra vola, ora Quaranta pensa a Glasgow

28.07.2023
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Nello straricco bilancio degli europei juniores e under 23 di Anadia il settore velocità ha dato un contributo davvero di prim’ordine, basti pensare che nella categoria più grande i ragazzi di Ivan Quaranta hanno fatto bottino pieno, con l’aggiunta dell’oro di Davide Stella nel chilometro da fermo junior e, ciliegina sulla torta, un oro e un bronzo con le pari età.

La partenza del keirin: Beatrice Bertolini andrà a cogliere un oro storico
La partenza del keirin: Beatrice Bertolini andrà a cogliere un oro storico

E’ proprio da questo dato che l’analisi di Quaranta, proiettata anche sui prossimi mondiali, parte perché è qualcosa che solo un anno fa era impensabile.

«In campo femminile il problema del reclutamento è atavico e ben lungi dall’essere risolto – dice – ma proprio per questo risultati del genere non potevano neanche essere sognati quando ho preso in mano il settore. Ho notato però che i risultati conseguiti dai ragazzi lo scorso anno hanno favorito una sorta di passaparola, un po’ di ragazze si sono interessate, si sono avvicinate e cominciamo ad avere un pochino di quantità e anche, come si è visto di qualità».

Come si possono accrescere questi numeri?

E’ difficile, sappiamo bene ad esempio che, se in campo maschile la bmx può essere uno strumento di affiancamento, questa possibilità fra le ragazze non c’è: i numeri in quella specialità sono troppo esigui. Continuiamo a coinvolgere giovanissime stradiste, ma non è semplice perché la rapidissima evoluzione del WorldTour sta portando le ragazze a guardare con interesse alla strada sapendo che può garantire stipendi importanti. Una volta il ciclismo femminile era quasi amatoriale, l’unico modo per guadagnarci era entrare in un corpo militare e la pista era la via per riuscirci. Ora ci sono altre sirene…

Per il team sprint junior donne un bronzo significativo, ma c’è ancora molto da fare
Per il team sprint junior donne un bronzo significativo, ma c’è ancora molto da fare
I risultati di Anadia sono davvero sorprendenti…

C’è uno spirito di emulazione e quei podi serviranno. Abbiamo ad esempio Carola Ratti che ha sposato il progetto, allo stesso modo la Bertolini che ha vinto il keirin e non ricordo sinceramente un’italiana vincere una prova simile da junior, poi la Grassi che ancora è combattuta fra la pista e la strada, ma intanto ci siamo e già a buon livello.

A tal proposito, verrebbe da pensare che tanti risultati così importanti siano frutto anche della concorrenza.

Non è così. Qualitativamente sono stati europei superiori a quelli dello scorso anno e lo dicono i tempi: nella velocità a squadra il tempo dei ragazzi (43”990, nuovo primato italiano assoluto, ndr) è ben 3 decimi inferiore a quello valso l’oro nel 2022. Nella velocità femminile dove siamo arrivate terze, c’erano 5 squadre, lo scorso anno erano 4. Poi ogni anno dipende da chi si presenta, ma il livello era molto buono.

Matteo Bianchi ha dominato sulla pista di Anadia, con 3 titoli fra gli Under 23
Matteo Bianchi ha dominato sulla pista di Anadia, con 3 titoli fra gli Under 23
Venendo ai maschi, la sensazione è che si stia sviluppando anche una certa rivalità fra i nostri ragazzi.

Sì e questo non può fare che bene al movimento. Io ho un gruppo di 6 titolari fra i quali devo scegliere ogni volta 3 o 4 convocati, quindi anche gli allenamenti diventano un terreno di confronto. E da questo derivano i progressi: Minuta ad esempio che pur non era nel terzetto di Anadia ha fatto passi da gigante, ha tolto 3 decimi in un anno che è tantissimo. Predomo nei 200 lanciati viaggia ormai a 9”8, Bianchi ha portato a casa ben 3 medaglie d’oro. Ma più che le medaglie, sono i tempi a dirmi che il nostro gruppo è progredito tantissimo. I ragazzi non erano mai scesi sotto i 44 secondi e lo hanno fatto su una pista che non è di per sé velocissima.

Ora vi aspettano i mondiali…

E’ come andare con una squadra di under 23 a fare il Tour de France dei grandi… Noi partiamo con due obiettivi di base: il primo è far fare ai ragazzi un’esperienza fondamentale, contro i migliori del mondo che hanno anche dieci anni in più. Il secondo è migliorare i nostri tempi, puntare ad esempio nello sprint a squadra a fare il record italiano che potrebbe anche portarci nella top 10 e considerando che a Parigi andranno 8 squadre, significherebbe che non siamo poi così lontani.

Continua imperiosa la crescita di Predomo: nella velocità battuto il forte olandese Van Loon
Continua imperiosa la crescita di Predomo: nella velocità battuto il forte olandese Van Loon
Hai toccato un argomento delicato: le Olimpiadi…

Abbiamo sempre detto che il progetto deve essere orientato verso Los Angeles 2028, queste sono tutte tappe di passaggio, ma ad esempio a Glasgow avremo Predomo nel torneo della velocità ed era dai tempi di Chiappa che non partecipavamo. Ai mondiali saranno in 30, a Parigi in 32, se tanto mi dà tanto… Poi c’è Miriam Vece che al 90% sarà qualificata per i Giochi e da lei mi aspetto anche risultati di qualità. Noi andiamo in Scozia per imparare e dimostrare che ora ci siamo anche noi…

Si rivede Schachmann, alla ricerca del tempo perduto

28.07.2023
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Al Tour non c’era e la cosa per certi versi poteva risultare sorprendente. D’altronde la stagione di Maximilian Schachmann procede un po’ così, a sobbalzi, lontana da quei picchi a cui il tedesco della Bora Hansgrohe aveva abituato. Non dimentichiamo che parliamo di un corridore protagonista assoluto nelle classiche e nelle brevi corse a tappe, due volte primo alla Parigi-Nizza, capace di lottare alla pari con i “mammasantissima” come Pogacar e Van Aert.

Il suo nome è rispuntato fuori proprio mentre si correva sulle strade francesi. Schachmann ha dovuto ripiegare sulla Romania, sul Sibiu Cycling Tour dove è tornato a svettare, cogliendo la vittoria che gli sfuggiva ormai da un paio d’anni. E che certamente influiva sul suo umore, sulla sua voglia di ripresa.

La vittoria solitaria nella terza tappa della corsa di Sibiu. Un successo atteso due anni (foto organizzatori)
La vittoria solitaria nella terza tappa della corsa di Sibiu. Un successo atteso due anni (foto organizzatori)

«Ovviamente – ammette il corridore di Berlino – non sono contento della mia stagione. A inizio primavera ho preso un virus che mi ha fatto stare fermo 6 settimane: ero in procinto di esordire e ho visto tutto cancellato. Davvero un pessimo inizio. Così sto ancora cercando di tornare al mio vecchio livello, ma non è facile viste le premesse».

Quanto è stata importante, soprattutto dal punto di vista morale, la vittoria di Sibiu?

E’ sempre bello vincere di nuovo una gara ciclistica. Non era certamente la più grande corsa dell’anno, ma tagliare il traguardo per primo non è mai facile. E’ stato bello per la sensazione, ma c’è ancora molto lavoro da fare, per tornare quello che voglio essere.

Per il tedesco due anni di grandi sofferenze, che hanno incrinato il suo sorriso
Per il tedesco due anni di grandi sofferenze, che hanno incrinato il suo sorriso
Nel 2019 avevi vinto 7 corse ed eri stato grande protagonista nelle classiche. Al di là dei tuoi risultati successivi, pensi che gli anni del Covid abbiano un po’ frenato la tua crescita?

Sì, questo è certo. Nel 2021 non ero certamente andato male, anche nelle classiche avevo fatto belle corse come il terzo posto all’Amstel. Poi nel 2022, in primavera ho avuto il Covid e poi ho avuto un altro virus e in estate di nuovo il Covid e quest’anno in primavera ancora un virus. Insomma, non è la maniera migliore per affrontare una carriera. Mi dispiace perché d’inverno sembrava che pian piano le cose stessero tornando a posto e prima della Parigi-Nizza mi sentivo bene, ma tutto è andato in fumo e stavo davvero molto male. E’ vero che sono incerti del nostro mestiere, ma mi pare di aver un po’ ecceduto nella sfortuna…

A proposito di Parigi-Nizza, qual è la tua dimensione ideale, nelle corse d’un giorno o nelle corse a tappe come quella transalpina?

E’ difficile da dire. Ovviamente ho vinto due volte la corsa francese, quindi è stato davvero bello, ma anche nelle classiche sono andato spesso bene e mi trovo a mio agio. Non saprei dare una risposta netta. Mi ritengo un corridore versatile.

La Parigi-Nizza era quasi diventata il suo regno: due vittorie di fila, nel 2020 e 2021
La Parigi-Nizza era quasi diventata il suo regno: due vittorie di fila, nel 2020 e 2021
Ti dispiace non essere stato al Tour de France? Visto il percorso pensi che avresti potuto essere protagonista al fianco di Hindley?

Non è mai bello perdere la più grande gara ciclistica del mondo, ma penso che sia stata la decisione giusta quest’anno. Penso che rimanere a casa sia stato importante, fare un passo indietro e provare ad essere più cauti e prudenti durante questa stagione per ritrovare la stabilità. Per certi versi, mi vedo già proiettato verso il 2024, anche se non mancheranno occasioni da qui a fine stagione, ma vorrei finalmente affrontare una stagione dall’inizio senza intoppi.

Tu hai 29 anni e sei nel WorldTour dal 2017, con un contratto già firmato per il prossimo anno. Pensi che questo ciclismo logori e sarà sempre più difficile superare i trent’anni ai massimi livelli?

Penso che prima di tutto quello che conta sia riuscire a fare grandi prestazioni in ogni gara, perché il ciclismo attuale non perdona nulla. Devi essere sempre al massimo e non puoi pensare di affrontare una corsa solo in preparazione, con una forma non brillante. Corridori che oltre i trent’anni sono ancora ai massimi livelli ci sono, Roglic tanto per fare un nome. Se i giovani di oggi, la generazione dei Pogacar e quella dei Rodriguez riusciranno a fare altrettanto è difficile da dire, forse sì o forse no. Penso che questo sia qualcosa che potremo capirlo solo con il tempo.

Nelle Ardenne, Schachmann è molto popolare, per le sue prestazioni a Freccia e Liegi
Nelle Ardenne, Schachmann è molto popolare, per le sue prestazioni a Freccia e Liegi
Tu sarai al mondiale di Glasgow: quel percorso ti piace?

Io resto dell’opinione che sia una gara nella quale emergeranno ruote veloci e resistenti: io ho buon fondo, ma la velocità non è una mia caratteristica. E’ comunque una gara lunga e difficile e penso che il clima possa giocare un ruolo importante. Sarà fondamentale vedere il percorso, poi potremo farci un’idea della strategia e dei ruoli di ognuno.

Tu hai avuto finora una carriera molto importante e vincente, ma c’è un sogno che vorresti ancora raggiungere?

Onestamente, a questo punto della mia carriera e visto quel che è successo, la cosa più importante per me è tornare al successo, a un successo di valore ossia in una categoria importante. Solo poi penserò ai grandi obiettivi. Ma in questo momento, per me, quel che conta è tornare a un livello molto alto e costante.

Quando Sky fece alzare l’asticella. Pogacar come Nibali?

28.07.2023
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Jonas Vinegaard e la Jumbo-Visma in questo Tour hanno curato ogni aspetto al millimetro, andando oltre il dettaglio. Il danese è un fenomeno, ma se alle prestazioni super si aggiunge la maniacalità, allora le performance assumono dimensioni enormi. L’esempio migliore è stata la crono di Combloux. E chi si è ritrovato a lottare con lui, Tadej Pogacar, ha avuto dei bei grattacapi.

Questa situazione ricorda quella che si verificò quando il Team Sky si rivelò al mondo con i suoi metodi più scientifici, i sopralluoghi ripetuti delle tappe più importanti, l’alimentazione futuristica, aprendo l’era dei marginal gains. Una situazione che ci ricorda anche Vincenzo Nibali. Lo Squalo doveva lottare con queste “macchine”: da Wiggins a Froome, passando per Thomas.

Qualche giorno fa chiamando in causa Sky nell’editoriale avevamo scritto: «Vincenzo si trasformò in una vera macchina da guerra. Non rinunciò alla sua imprevedibilità, ma è certo che si presentò al via tirato e allenato come mai fino a quel punto...». Partendo da questa frase abbiamo coinvolto proprio Nibali.

L’università di Messina ha insignito Nibali della laurea ad honorem in “Scienze e Tecniche delle Attività Motorie Preventive e Adattate”
L’università di Messina ha insignito Nibali della laurea ad honorem in “Scienze e Tecniche delle Attività Motorie Preventive e Adattate”
Vincenzo, quindi Sky ti fece alzare l’asticella? La situazione di Pogacar e della UAE Emirates ricorda la tua e quella del tuo team?

Io non farei dei paragoni con il passato, anche se non è troppo lontano. Quel che ho visto in questo Tour de France è che è stato dominato da due team, la Jumbo-Visma e la UAE Emirates chiaramente. E in molte occasioni ho visto la UAE più forte della Jumbo.

Più forte la UAE…

Sì, alla fine hanno fatto secondo e terzo. Adam Yates nonostante si sia messo a disposizione, è salito sul podio e questo non può che parlarci di un team che è andato forte e che ha lavorato bene. Mentre dall’altra parte non avevano un Van Aert al livello dell’anno scorso che dominava in ogni tappa. Sì, Wout è andato forte in diverse occasioni, ma l’anno scorso vinceva le volate e quando tirava in salita staccava Pogacar! E poi c’era Vingegaard che si è ripetuto. Rispetto alla passata edizione, Jonas ha avuto più sicurezza. Ha corso con grande intelligenza e con la consapevolezza delle proprie energie.

Consapevolezza delle proprie energie: cosa intendi?

Ogni volta che Pogacar attaccava, lui gli faceva di no con la testa: non gli dava cambi. Gli lasciava appena qualche secondo e gli abbuoni senza sfinirsi troppo, consapevole appunto che con un’azione decisa gli avrebbe rifilato un minuto. Che poi è la stessa cosa che dicevamo con Martinelli quando facevamo i nostri grandi Giri. Oltre alla crono, individuavamo quel paio di tappe chiave… Se poi veniva qualcosa di più, tanto meglio. Ma ci si concentrava su determinate tappe. Sapendo di essere meno esplosivo di Tadej, penso che Vingegaard si sia fatto questo conto: Pogacar in dieci scatti (tra abbuoni e secondi) gli guadagnava un minuto, lui lo faceva con un solo attacco in salita. Io ero come lui, poco esplosivo. E quando lottavo con Contador, Purito, Valverde, il mio obiettivo era arrivare con loro ai 200 metri. A quel punto anche se perdevo erano pochi secondi.

Che Vingegaard avesse ben preparato la crono si vedeva anche da come guidava in curva e in discesa
Che Vingegaard avesse ben preparato la crono si vedeva anche da come guidava in curva e in discesa
Cosa dovrà fare Pogacar per invertire questa rotta? Più sopralluoghi, peso più al limite…

Più che questo, deve iniziare a rivedere la sua esuberanza, che però fa parte di lui. Ma deve cambiare in gara. Si sapeva che il vero rivale sarebbe stato Vingegaard, che forse è anche più forte in quel tipo di gara, quindi io avrei lasciato a lui la prima mossa. L’avrei aspettato, studiato… Insomma mi sarei dato un ruolo diverso. Poi è anche vero che la caduta della Liegi lo ha rallentato.

Lo sloveno è stato anche altalenante nelle prestazioni…

E questo mi ha lasciato perplesso, soprattutto nel giorno in cui ha pagato tantissimo (sul Col de La Loze, ndr), poi è andato di nuovo forte. Non è mica scontato che dopo certe crisi torni ad andare bene. Lui invece ha persino vinto una tappa. Magari nel giorno della crisi ha pagato anche l’aspetto mentale dopo la crono. E comunque non era la prima volta che Vingegaard andava fortissimo a crono, anche l’anno scorso fu strepitoso.

Il modo di correre di Pogacar è fantastico, ma forse almeno contro certi avversari va rivisto
Il modo di correre di Pogacar è fantastico, ma forse almeno contro certi avversari va rivisto
Quel giorno Pogacar non stava bene, ma anche la testa ha influito. In effetti qualche informazione sul morale basso dopo la crono è trapelato dal suo staff…

Pogacar sa che ha di fronte un avversario molto forte. Per me Tadej è più completo e se vogliamo mi piace anche di più, ma Vingegaard in salita è leggermente più forte, anche in virtù delle sue caratteristiche fisiche, è più piccolo. Jonas è più “killer”, è meno espansivo, anche sui social. Un po’ come me. Io pubblicavo poco, anche per non far sapere come stavo, non amavo magari mettere un sorriso di circostanza. Non si trattava di essere scontrosi o meno: Vingegaard è così. Così come non significa che Pogacar non si sappia focalizzare su un obiettivo perché è espansivo.

Van Dongen, diesse della Jumbo, ha detto che una crono così si prepara mesi prima, che bisogna arrivarci con le idee chiare e le scelte già fatte. Il tecnico aveva visto gli UAE fare le prove dei cambi bici durante le ricognizione del mattino. Anche da parte di Pogacar servirà lo stesso approccio?

Ogni team, specie a quel livello, ha del personale qualificato che sa quali scelte fare. Le uniche condizioni per cambiare sul momento, nel caso della crono, sono quelle meteo e del vento in particolare. Ognuno ha un suo protocollo. Per me il discorso non è tanto questo, quanto il fatto che sin qui Pogacar ha vinto con spensieratezza, mentre ora questo Vingegaard gli mette confusione mentale. Ma a lui e alla sua squadra non mancano le qualità e le dotazioni tecniche per vincere anche questa sfida.

Il Team Sky ha dominato la scena schierando formazioni monster tra il 2012 e il 2019. Solo Nibali nel 2014 ha rotto il loro dominio
Il Team Sky ha dominato la scena schierando formazioni monster tra il 2012 e il 2019. Solo Nibali nel 2014 ha rotto il loro dominio
Quindi questa situazione non ti ricorda un po’ la tua con Sky? Loro indirettamente non avevano fatto alzare l’asticella anche a te?

Io direi di no… Sapete qual era la vera differenza di Sky e perché era il riferimento? Il budget. Noi avevamo un budget alto, loro di almeno 10 milioni di euro in più. E questo comportava che avevano dieci corridori più forti. Corridori che ti sostengono e con i quali potevi interpretare la corsa in un certo modo: prendevano la testa del gruppo e tiravano per te e ti tenevano fuori da ogni rischio su ogni terreno. Sei più tranquillo. E quando hai dei compagni così forti, anche in allenamento cambiano le cose. E’ lì che semmai alzi l’asticella.

Insomma tu avevi dei gregari e loro erano nove capitani…

Sia chiaro, non dico che non avevo compagni all’altezza. Ho avuto gente come Scarponi, Agnoli, Vanotti… Ma quando hai dieci top rider, dieci corridori che vincono una Parigi-Nizza, una Liegi, una Tirreno che tirano per te, le cose cambiano. Loro avevano il miglior Boasson Hagen, Kwiatkowski, Poels… (Froome e Thomas che all’inizio tiravano per Wiggins, ndr). Noi, prima in Liquigas e poi in Astana, non eravamo a quel livello. Sì, c’era gente che poi è diventata fortissima, penso a Sagan o a Colbrelli quando ero in Bahrain, ma non erano i corridori che sono diventati poi. Quindi se parliamo di dettagli, dei sopralluoghi come dicevamo, è chiaro che contano, ma prima ci sono altre cose. E poi fare un sopralluogo a febbraio o a dicembre è anche rischioso per me. Non hai la stessa condizione che avrai poi a luglio e rischi di farti un’idea sbagliata.

La resa di Courchevel: l’analisi del dottor Magni

27.07.2023
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“I’m gone” (sono andato/finito) così Tadej Pogacar ha alzato bandiera bianca contro Jonas Vingegaard, mentre la strada saliva sotto le sue ruote in direzione Courchevel. Una frase semplice, ma che dentro di sé racchiude tante sfumature. Lo sloveno ha tirato troppo la corda in questo Tour de France. I primi scricchiolii sono arrivati nella cronometro di Combloux, mentre il suo vaso di Pandora è stato scoperchiato definitivamente poche ore dopo

La crisi che ha colpito il due volte vincitore della Grande Boucle ci ha fatto scaturire tante domande. Abbiamo così interpellato il dottor Emilio Magni, così da avere un parere autorevole in merito. 

Con Emilio Magni, dottore dell’Astana, abbiamo analizzato la crisi di Pogacar a Courchevel
Con Emilio Magni, dottore dell’Astana, abbiamo analizzato la crisi di Pogacar a Courchevel
Dottore, cosa succede in una crisi del genere?

Questi momenti di crisi sono multifattoriali, Pogacar ha detto di aver sentito maggiormente il problema dell’alimentazione. Mangiava ma non riusciva ad integrare, ritrovandosi con le gambe vuote. Ma questo è solo un aspetto di una crisi più o meno improvvisa. 

In che senso più o meno?

Queste situazioni derivano da uno stato di affaticamento acuto. Si tratta di una risposta adattiva dell’organismo, il quale prende provvedimenti per salvaguardarsi. E’ un allarme per far sì che la situazione non peggiori ulteriormente. 

Cosa succede?

La prestazione si abbassa, il corpo riduce le prestazioni, in medicina si chiama meccanismo omeostatico. E’ la tendenza dell’organismo a mantenere le condizioni di partenza. 

Nonostante la grande prova, i primi segnali di cedimento sono arrivati nella cronometro di Combloux, lo sloveno ha pagato 1’38”
Nonostante la grande prova, i primi segnali di cedimento sono arrivati nella cronometro di Combloux, lo sloveno ha pagato 1’38”
Una causa potrebbe essere la preparazione non adeguata?

Come detto è una situazione multifattoriale, la preparazione non adeguata potrebbe essere una causa. Un altro fattore importante è il carico di prestazione che nel caso di Pogacar, magari, è stato eccessivo. Lo sloveno potrebbe averne risentito dal punto di vista muscolare, metabolico ed energetico. 

O ancora?

Un’altra causa si può trovare nell’insufficiente tempo di recupero. Quest’ultima causa in particolare impedisce al muscolo di ristabilire il livello di glicogeno, che è la sua benzina principale. A volte non bastano 24 ore, i ciclisti non hanno nemmeno quelle, visto che finiscono la tappa alle 18 e ripartono alle 12 del giorno dopo. 

Quindi la mancanza di una gara di avvicinamento, come il Delfinato, è un fattore?

Ci vuole una base di preparazione così che l’organismo si possa abituare ed incrementare la performance. Ci sono anche altri “campanelli” d’allarme. 

La maglia gialla se ne va, Pogacar arranca: il vaso di Pandora è stato scoperchiato
La maglia gialla se ne va, Pogacar arranca: il vaso di Pandora è stato scoperchiato
Quali?

Dal punto di vista sintomatologico vi sono dei segnali soggettivi come: la perdita di forza, di resistenza, il mal di gambe e dolori muscolari. Sono tutte cose che l’atleta avverte e che possono portare anche a dei sintomi mentali: difficoltà di concentrazione, mancanza di appetito e condizioni di sonno peggiori. 

Anche se poi nella tappa di Le Markstein Pogacar ha vinto, come lo spiega?

Si tratta di un corridore di qualità assoluta. Anche in una situazione di crisi mantiene delle prestazioni alte, anche più elevate di altri atleti che in realtà sono in forma. Pogacar ha fatto uno sforzo di testa, a mio modo di vedere. Le Markstein era l’ultima tappa, ha dato tutto, considerando che Vingegaard aveva un vantaggio rassicurante. 

Ci sono anche dei dati oggettivi che possono anticipare queste crisi?

Assolutamente. Uno di questi è la frequenza cardiaca a riposo, la quale quando si è stanchi tende ad essere più alta. Un esempio: se un atleta a riposo, appena sveglio, ha 40 battiti, magari passa a 48. La cosa si trasferisce anche una volta in sella, ma al contrario. Si riscontra una difficoltà ad aumentare la frequenza cardiaca sotto sforzo. Questo perché il muscolo rende di meno, dando meno forza, di conseguenza il cuore non sale di frequenza. C’è anche da considerare la variabilità cardiaca.

Pogacar si è allenato molto in altura, sono mancati i giorni di corsa persi a causa dell’infortunio? (foto Matteo Secci)
Pogacar si è allenato in altura, sono mancati i giorni di corsa persi a causa dell’infortunio? (foto Matteo Secci)
Ovvero?

La variabilità cardiaca offre ottimi riscontri dal punto di vista del recupero. Praticamente si controlla la variabilità tra un battito e l’altro. Dovete sapere che i battiti non sono ugualmente distanti a livello di tempo l’uno dall’altro, il tempo cambia. Ad esempio: una volta passano 1,2 secondi, quello dopo 0,8 e così via. Se la variabilità è alta vuol dire che il cuore è reattivo e “brillante”. 

Lo staff della UAE Emirates, con grande probabilità, era a conoscenza di questi dati…

Penso proprio di sì. Però a volte i dati si prendono ed analizzano, senza parlarne al corridore, per non condizionarlo psicologicamente.

L’Ora di Bussi, per abbattere i 50 chilometri e i pregiudizi

27.07.2023
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FIORENZUOLA – Ad oggi l’unica certezza è che Vittoria Bussi si sta preparando forte per il suo secondo assalto al record dell’Ora femminile. Un appuntamento che vuole significare qualcosa in più del mero sforzo fisico o della relativa campagna di crowdfunding. La prima volta ce l’aveva fatta ad Aguascalientes il 13 settembre del 2018 al terzo tentativo facendo registrare 48,007 chilometri.

Da allora la nuova misura da battere è diventata quella di Ellen Van Dijk della Lidl-Trek – attualmente ai box per la maternità – che a maggio 2022 a Grenchen aveva fermato la distanza a 49,254 chilometri. Cinque anni fa Bussi era stata la seconda italiana della storia, dopo la pionieristica Mary Cressari, a centrare questo primato. Adesso però la 36enne romana vuole alzare l’asticella e possibilmente sdoganare qualche pregiudizio sulla specialità femminile. Avvicinare o meglio ancora superare la soglia dei 50 chilometri è l’intenzione principale, considerando tutto quello che c’è dietro ad un’atleta piuttosto anacronistica. E’ per questo motivo che una chiacchierata con Vittoria non è mai banale.

Per quattro volte Bussi è salita sul podio agli italiani a crono. Quest’anno ha disputato la prova senza una preparazione specifica
Per quattro volte Bussi è salita sul podio agli italiani a crono. Quest’anno ha disputato la prova senza una preparazione specifica
Una buona prestazione nella crono tricolore su strada, poi seconda nell’inseguimento individuale agli italiani in pista. Queste corse facevano parte dell’avvicinamento al record dell’Ora?

No, per una serie di ragioni. Il mio staff ed io a giugno saremmo dovuti essere in un altro posto in un altro continente per fare delle prove per il record in un impianto candidato e molto interessante. Purtroppo quella trasferta è saltata per lavori sulla pista e così all’ultimo momento abbiamo rimontato la bici da crono facendo qualche lavoro specifico. In pista ci passo molto tempo, ma anche l’inseguimento individuale lo avevo accantonato. A quel punto il mio allenatore ha ritenuto che dovessi fare entrambe queste prove. Il percorso della crono non era adatto alle mie caratteristiche e l’inseguimento non l’avevamo preparato. Tuttavia io non gareggiando mai, dovevo correre per vivere più l’adrenalina di gara che altro. Arrivare al record senza nessuna gara poteva essere pesante a livello mentale.

La crono aveva una durata che potrebbe tornarti utile…

Sì certo. Era una prova lunga quasi 26 chilometri con un dislivello di 400 metri, ma soprattutto erano quaranta minuti di sforzo psicofisico intenso. Solitamente faccio allenamenti molto duri in un velodromo, lontana dalle distrazioni e restando concentrata sull’obiettivo. Quaranta minuti a crono però volano rispetto a girare in pista. Su strada mantieni sempre alto il livello dell’attenzione. Ci sono rotonde, curve, discese, salite. In un velodromo invece c’è il rischio che la noia prenda il sopravvento.

Agli ultimi tricolori in pista, Bussi ha conquistato l’argento nell’inseguimento individuale dietro Paternoster e davanti ad Alzini (foto fiorenzuolatrack)
Agli ultimi tricolori in pista, Bussi ha conquistato l’argento nell’inseguimento individuale dietro Paternoster e davanti ad Alzini (foto fiorenzuolatrack)
C’è un modo per combattere quella noia?

Diciamo di sì. Programmo dei lavori a bassa intensità per abituarmi alla concentrazione. Non bisogna avere paura della noia in pista. Bisogna farci amicizia ed imparare ad usarla. Prendo quei sessanta minuti come tempo per me, visto che la vita di adesso è sempre frenetica. Dipende dalla giornata ma penso sempre a tante cose, ad esempio cosa mangiare a cena o il programma del weekend (sorride, ndr).

Ed i dati non vuoi saperli mentre giri?

I valori sono importanti, ma il computerino ho imparato a non guardarlo perché contano altre cose. Quell’allenamento è un atto ad ascoltare il proprio corpo. Il record dell’Ora è una specialità a sé, non paragonabile ad una crono o un inseguimento. So che forse è un po’ utopistico, ma sarebbe bello vederla inserita ogni tanto in qualche manifestazione importante. Magari ad un campionato italiano dare possibilità ad un uomo e ad una donna di misurarsi con l’Ora, anche se è una prova che deve essere preparata tantissimo.

E tu come stai procedendo con i tuoi programmi?

Mi sto allenando tanto. Ho iniziato la preparazione ad inizio anno ad Aguascalientes, in Messico. Mentre la prima volta ho fatto il record dell’Ora perché volevo farlo, stavolta la faccio per portarmi al limite. Mi piace superarlo. Potrebbe essere un modo per chiudere la mia carriera dicendo: «Ho fatto davvero tutto quello che potevo fare». Voglio sorprendermi.

Quando e dove lo farai questo tentativo?

Non possiamo dire nulla sulla data così come sul posto. Ci sono continue novità. Fra poco saprete tutto, ma posso dirvi che ho valutato varie cose tra cui il farlo in altura piuttosto che a livello del mare. Ho fatto tanti test. A giugno vi dicevo che ho avuto alcuni intoppi per le trasferte nei velodromi. Purtroppo contano ancora i nomi ed io, non avendo gareggiato tanto, non ho la fama necessaria che ti permette di essere accettata anche solo per fare allenamenti in questi velodromi. Ho fatto tante domande e ho ricevuto tante risposte negative. Però non ho mai mollato o demorso.

Perché Vittoria Bussi vuole riprovare a battere il record dell’Ora?

E’ una prova inusuale per il ciclismo femminile, però attraverso il mio tentativo vorrei raccontare una storia, a prescindere che io riesca o meno a batterlo. La storia di una donna che viaggia un po’ a rilento rispetto agli uomini. Una donna che non ha un nome, ma che vuole fare qualcosa di grande portando un messaggio. Ovvero, ognuno di noi se si impunta può fare qualcosa di importante. Sono fuori dal grande ciclismo, dove i team maschili e femminili arrivano con grandi bus. Vorrei tornare appena indietro, a quel ciclismo essenziale dove bastano una bici, buone gambe, sacrificio e organizzazione per realizzare imprese. Sono romana e, scusate, ma mi piace farmi il mazzo (sorride, ndr). Sono sempre stata abituata così.

Bussi in pista si concentra, combatte la noia e si prepara ad andare oltre i propri limiti (foto Edoardo Frezet)
Bussi in pista si concentra, combatte la noia e si prepara ad andare oltre i propri limiti (foto Edoardo Frezet)
Da una Vittoria all’altra. Tra le stradiste, secondo te Guazzini potrebbe essere l’equivalente di Ganna nel femminile?

Il record dell’Ora è massacrante, lo abbiamo visto proprio con Filippo. Negli uomini però molti cronoman ci hanno provato e vorrei che anche tante ragazze che fanno doppia attività potessero farlo. Magari lei, e non solo, potrebbe riuscirci. Ovvio che devi avere il supporto del proprio team altrimenti direi di non farlo perché lo sto vivendo sulla mia pelle. Io non ho una squadra e ho passato molto tempo a fare test aerodinamici o lavorare sullo sviluppo dei materiali. Ho dovuto studiare tante cose o fare tanti calcoli alla scrivania sfruttando anche il mio dottorato in matematica pura. Ganna è un fenomeno però ha avuto il supporto della squadra e di Bigham che aveva fatto tanti test, oltre che il record prima di lui. Per me era impossibile preparare a dovere un tricolore a crono, un inseguimento individuale ed un record dell’Ora. Mi mancava il tempo perché ho seguito personalmente tutta la burocrazia che c’è dietro. Ma questo lo sapevo già e per me rende tutto più stimolante per centrare il bersaglio.

Bagioli, un altro lampo d’azzurro dal Tour de Wallonie

27.07.2023
4 min
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Nell’Hetias Tour de Wallonie vinto da Ganna c’è stato posto anche per Andrea Bagioli. Proprio nella crono vinta da Pippo, il valtellinese aveva sentito che le gambe erano giuste e così ieri, nella tappa di Aubel che sembrava una piccola Liegi e ne proponeva alcune còte, Andrea ha fatto quello che gli si chiede da tempo: quando non c’è Remco, prendi in mano la corsa e vinci. Più facile a dirsi che a farsi, ovviamente, ma è così che ci si scava spazio negli squadroni stranieri o si attira l’attenzione di altri per spiccare il volo.

«Sono appena arrivato all’aeroporto – dice – sto andando in Spagna. E poi da lì dovrei raggiungere il ritiro della nazionale. A San Sebastian ritrovo Evenepoel, ci sarà da lavorare per lui. E’ un fuoriclasse, è giusto così».

Lo hanno lasciato a casa dal Tour, l’abbiamo raccontato, per portare una squadra a misura di Jakobsen, che però si è ritirato e alla fine la Soudal-Quick Step ha dovuto accendere un cero al ritrovato Asgreen. Visti i percorsi e la condizione, anche Bagioli avrebbe avuto il suo spazio. E come Sobrero, che è stato escluso e poi ha vinto al Giro d’Austria, anche Andrea al Tour de Wallonie ha voluto mettere il puntino sulla “i”.

La vittoria di Aubel è la prima del 2023: l’attacco sull’ultimo strappo l’aveva programmato così
La vittoria di Aubel è la prima del 2023: l’attacco sull’ultimo strappo l’aveva programmato così
Sapevi di stare bene oppure è venuto fuori tutto ieri durante la tappa?

Già dal giorno prima avevo capito qualcosa. Avevo fatto la crono e non mi aspettavo di andare così forte. In teoria dovevo farla tranquillo, però durante il riscaldamento ho sentito che stavo bene. Sono partito. Mi sono detto di provare a seguire un tot di watt e ho visto che riuscivo a tenerli facilmente. Allora ho cambiato idea e mi sono detto di andare a tutta e vedere dove sarei arrivato. L’undicesimo posto in una crono così piatta e così lunga non mi era mai successo.

Il Wallonie è stato il tuo rientro alle corse dopo il campionato italiano e l’esclusione del Tour.

All’italiano sono caduto all’ultimo giro. Poi l’esclusione dal Tour, per la quale un po’ di delusione c’è stata. Così ho staccato 3-4 giorni, più mentalmente che fisicamente, perché fisicamente ero pronto. Ero stato quattro mesi in altura a prepararmi per niente, non è bello essere esclusi. Poi invece ho ripreso bene, ma restando a casa, senza andare chissà dove.

Sobrero in Austria, tu in Belgio: punti in comune?

Un po’ sì, un po’ ti viene dentro la voglia di dimostrare che quel posto l’avevi meritato…

Bagioli e Ballerini nel mirino di Bennati dall’inizio dell’anno. Purtroppo Ballerini non sarà a. Glasgow per un problema al ginocchio
Bagioli e Ballerini nel mirino di Bennati dall’inizio dell’anno. Purtroppo Ballerini non sarà a. Glasgow per un problema al ginocchio
Senza fare voli pindarici, è una condizione che può durare a lungo?

Sì, certo, la condizione non la perdi in una o due settimane, quindi si riesce a tenere sicuramente. Anzi, magari correndo anche dopo il Tour de Wallonie e facendo ancora ritmo gara, potrà addirittura crescere ancora.

Convocazioni ancora non ufficiali, ma dovresti essere nella rosa del mondiale: è importante?

Sarebbe il quarto, da quando son professionista li ho fatti tutti. Mi piace il mondiale e il clima della nazionale, ci tengo sempre a far bene. Poi anche il percorso di quest’anno è tecnico e penso sia molto adatto a me. Ci sono strappi veramente corti e posso dire la mia. Ci sarà da limare, quindi siamo pronti.

Ieri hai vinto che due scatti giusti nel finale: nessuno spreco. Sembrava tutto ragionato…

Sapevo che la prima parte di tappa era la più dura, poi invece diventava più facile. Quindi, anche se partivi presto, poi era ancora lunga andare all’arrivo. In più avevo due compagni in fuga, quindi dietro non potevamo attaccare o fare tanto: per questo siamo rimasti coperti. Sapevo anche che c’era quello strappo alla fine, come due giorni prima quando ho provato ad andar via e poi mi hanno ripreso. Solo che stavolta c’erano solo 2 chilometri dalla cima all’arrivo ed era più fattibile. Era già in programma di partire lì ed è andata bene.

Fra gli azzurri visti al Wallonie, Bagioli dice che Lorenzo Rota gli è parso in ottima condizione
Fra gli azzurri visti al Wallonie, Bagioli dice che Lorenzo Rota gli è parso in ottima condizione
Bennati ha detto che dal Wallonie si aspettava indicazioni dagli azzurri che non hanno fatto il Tour. Chi hai visto, a parte te?

Secondo me Baroncini e anche Rota, che si è mosso bene anche ieri. Magari non si è visto in televisione, perché non c’era ancora la diretta, però ha fatto un paio di attacchi forti (purtroppo il Wallonie non è andato bene per Davide Ballerini, che a causa di un problema al ginocchio non è partito nella quarta tappa e dovrà rimanere a riposo alla vigilia di un periodo per cui aveva tanto lavorato, ndr). Adesso San Sebastian con Remco, sapendo di stare bene e poi apriremo il bellissimo libro dei mondiali.  

Dal Belgio a Montichiari, un Ganna in forma mondiale

27.07.2023
5 min
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Ganna che vince, in volata e poi a cronometro. Con i mondiali alle porte e con Bagioli che si prende l’ultima tappa, la notizia riempie di buon umore e semmai suscita qualche rammarico. Alla luce del percorso (ma non del calendario), anche il piemontese avrebbe potuto fare la sua figura nella prova su strada. Ma non si può. Il 5 agosto, ci sono le finali del quartetto. Il 6 la prova su strada, che Pippo non farà. L’8 agosto c’è il Team Mixed Relay, che non farà. Mentre l’11 ci sarà la cronometro individuale, che proverà a vincere. In questo ingarbugliato calendario scozzese, in cui Ganna sarà affidato allo staff azzurro, la sua ombra sempre a disposizione sarà Dario Cioni, con lui in questi giorni valloni.

In un’intervista rilasciata ieri alla Gazzetta dello Sport, Ganna ha commentato la vittoria della crono al Wallonie parlando di numeri ottimali e qualche problema tecnico che proprio Cioni starebbe cercando di risolvere.

La crono del Wallonie è servita a Cioni anche per capire il settaggio della bici (foto Ineos Grenadiers)
La crono del Wallonie è servita a Cioni anche per capire il settaggio della bici (foto Ineos Grenadiers)
Come procede l’avvicinamento al mondiale? 

Bene, è arrivata subito la vittoria nella prima tappa, che comunque è un buon segno. Nella crono è andato forte su un percorso non super adatto a lui, quindi anche per questo ha vinto con un margine un po’ limitato. Però a livello numerico ha fatto la potenza che ci aspettavamo.

A cosa si riferiva nell’intervista?

Abbiamo un paio di problemini, che però possiamo risolvere. Fattori esterni a noi, legati ai materiali, di cui però è meglio non parlare.

Ganna è tornato alle corse un mese dopo i campionati italiani, cosa ha fatto nel frattempo?

Uno stage in altura e due blocchi di lavoro in pista, uno però già prima dei campionati italiani. Siamo diversi dal programma che avevamo fatto quest’inverno, che abbiamo dovuto cambiare dopo il ritiro dal Giro. Chiaro che qualcosa sia mancato, perché avrebbe potuto fare un’altra crono, però questa è la vita dell’atleta, a volte ci sono inconvenienti e bisogna trovare le alternative. Diciamo che comunque siamo nella piena fase di avvicinamento.

Nella prima tappa di Hamoir, Ganna doveva tirare la volata a Viviani e ha finito col vincerla lui
Nella prima tappa di Hamoir, Ganna doveva tirare la volata a Viviani e ha finito col vincerla lui
Come si conciliano le date del quartetto con la crono?

Alla fine non sono malissimo, ma se ci fosse stato un paio di giorni in meno da aspettare fra le due prove, sarebbe stato più facile gestire. Nel senso che, fatta la fase di recupero fra una prova e l’altra, poi sarebbe stato ottimale correre subito. Invece resterà su cinque giorni prima della crono.

Correre su strada all’indomani dell’inseguimento sarebbe stato davvero improponibile?

Il problema è che non avrebbe il tempo per recuperare. Hanno voluto far gareggiare tutti insieme e così hanno reso la vita difficile a chi fa la multidisciplina. Così la strada è troppo ravvicinata e la crono è lontana. In quel periodo si dovrà vedere cosa fare, si deciderà in base alle sensazioni e come va con il quartetto. E poi c’è anche il meteo di lassù da prendere in considerazione e le esigenze della nazionale.

La crono è lunga 47,8 chilometri, ha appena tre strappetti e l’arrivo al castello su una salitella in pavé. Cosa te ne pare?

Bisognerà stare attenti alla gestione dell’energia prima dello strappo. E’ breve, quindi Pippo finisce forte e per lui non dovrebbe essere un problema. Però prima di dire altro, bisognerà andarci sopra con la bici, perché valutarlo da remoto è difficile. Comunque alla fine si tratta di un pezzo molto breve, quindi l’influenza non sarà grandissima.

La crono del Wallonie vinta con la maglia tricolore riconquistata nella crono di Ponte Arche in Trentino
La crono del Wallonie vinta con la maglia tricolore riconquistata nella crono di Ponte Arche in Trentino
Il percorso dello scorso anno non andò giù a Pippo dall’inizio, questo sembra più adatto?

Molto di più, confermo. Quello di Wollongong, già a vederlo sulla carta, non l’aveva mai ispirato.

I risultati del Wallonie stupiscono o sono in linea con gli obiettivi che vi eravate posti?

La condizione è buona, si sapeva. Eravamo venuti per vincere la crono, mentre la tappa è arrivata un po’ di sorpresa. Il piano era di tirare la volata a Elia (Viviani, ndr), ne avevamo parlato nella riunione, però poi si è presentata un’altra opportunità e l’ha colta. Non è la prima volta che Pippo fa vedere di avere uno spunto veloce. L’idea comunque era di usare questa corsa per fare fatica, perché comunque non faceva una corsa a tappe dal 18 giugno con l’Occitanie e un percorso con tanti saliscendi era l’ideale. 

Dal Belgio a Montichiari e poi in Scozia: cosa resta da fare?

In pista farà i lavori di velocizzazione, visto che si vedranno da oggi e staranno per sei giorni, fino al primo agosto. Hanno questi giorni di avvicinamento alla pista, anche se il grosso ormai è stato fatto. Ci può essere qualche rifinitura, con cui però non riesci a incidere sulla condizione. Invece bisognerà essere attenti a gestire il passaggio dalla pista alla strada in quei giorni intermedi.

La vittoria nella crono è arrivata, ma con appena 8″ sul compagno Tarling. L’attesa è stata… tirata
La vittoria nella crono è arrivata, ma con appena 8″ sul compagno Tarling. L’attesa è stata… tirata
Cosa si farà?

Non penso che servirà fare grossi lavori di volume, però qualche lavoro intermedio sì, anche perché non può fare intensità tutti i giorni.

Ci sarai anche tu a Glasgow?

A partire dal 6 e fino al 12 agosto. Ganna sarà con la nazionale, io avrò anche altre cose da fare, ma sono comunque là e all’occorrenza potrà esserci il solito buon dialogo. Saranno giorni utili anche per scegliere ruote e rapporti, anche se il test di due giorni fa ha dato delle utili indicazioni.

Il piano segreto di Vingegaard? Vanotti l’aveva capito

27.07.2023
6 min
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Questo scambio di idee con Alessandro Vanotti è iniziato a metà Tour, dopo l’attacco di Pogacar sul Grand Colombier, ed è andato avanti tappa dopo tappa. Ogni giorno un pezzetto, dalla condotta dello sloveno a quella del danese.

«Avete fatto caso – chiese il bergamasco, al Tour con Santini di cui è testimonial – che quando Pogacar scatta, l’altro arriva a un certo punto di watt e poi non lo segue? Si mette al suo ritmo, non lo molla, ma evita il fuorigiri di tornargli sotto…».

Il giorno dopo, Pogacar attaccò sul Col de Joux Plane e Vingegaard fece proprio questo. Lo tenne davanti a 50 metri e sulla cima, complice il fattaccio delle moto, gli prese anche l’abbuono al GPM.

Vanotti ha scortato Nibali alla magia gialla del 2014. Qui alla partenza con Miguel Indurain, 5 Tour vinti
Vanotti ha scortato Nibali alla magia gialla del 2014. Qui alla partenza con Miguel Indurain, 5 Tour vinti
Alessandro, il Tour si costruisce un pezzetto per volta. Non puoi lasciare indietro niente…

Il Tour è la corsa più importante e difficile al mondo. Partecipano i corridori più forti, non lo dico io, ma le statistiche. Le tattiche diventano più complicate. Ci sono squadre forti che riescono a tenere la corsa e impostare il ritmo per renderla dura e gestire le fughe. Hanno uomini per ogni situazione. Tra loro si innesca una competizione, in cui qualcuno si espone troppo e qualcuno sta nascosto e non sai mai se sta soffrendo oppure non vuole mostrare le carte.

Pogacar non si è certo nascosto…

E quando lui attaccava, io guardavo Vingegaard. Non riuscivo a capire se fosse al limite, perché lui maschera bene la fatica. E’ sempre lì, con quel mezzo sorrisino. Quando scattava Pogacar, Jonas correva sulle ruote e per me quella è la tattica che hanno impostato dall’inizio. Ha cominciato a farlo dopo il minuto di vantaggio che ha preso sul Marie Blanque.

Perché?

Perché quel vantaggio gli ha permesso di avere un approccio differente alla corsa e di esporsi il meno possibile. Ha sempre fatto degli sforzi gestiti, senza andare al limite. Pogacar è un fuoriclasse e ha delle accelerazioni che nessuno ha. Ti porta completamente fuori giri, ti distrugge. Se rispondi alle sue 20 accelerazioni, sei finito. Con quel margine in tasca, Vingegaard ha potuto gestirsi: ha ammortizzato i suoi piccoli ritardi in quel minuto ed è arrivato alla crono con più forze rispetto a Pogacar.

Il piano di Vingegaard? Secondo Vanotti non rispondere a tutti gli attacchi di Pogacar, evitando pericolosi fuori giri
Il piano di Vingegaard? Secondo Vanotti non rispondere a tutti gli attacchi di Pogacar, evitando pericolosi fuori giri
Non sarà che il famoso piano mai spiegato era proprio questo?

Esatto, è stato intelligente e freddo. Non è facile, perché ogni giorno la stampa ti chiede perché non lo segui. Come mai non sei in condizione, invece era una tattica prestabilita. A maggior ragione la sua crono è stata così superiore. A mio avviso, Pogacar ha avuto quelle 2-3 giornate no, causate da tutto quello che ha speso, altrimenti il divario alla fine non sarebbe stato così ampio.

Sulla crono sono stati avanzati dei sospetti…

Io non so se la storia dirà cose diverse, ma penso che questo sia un altro ciclismo e loro sono campioni fuori categoria. Perché per forza pensare male? E mi chiedo anche perché a tirare fuori certi sospetti siano sempre degli ex corridori, cui piace così tanto farsi del male. Fino a poco tempo prima sospettavano di Pogacar. E allora? Vingegaard è andato forte, ma se poi sentiamo tutto il lavoro che hanno fatto e il modo in cui ci sono arrivati, dico che vorrei altri dieci Pogacar per il modo in cui corre, ma l’altro non ha sbagliato nulla, nonostante quest’anno avesse anche una squadra meno forte.

Perché meno forte?

Forse non meno forte, ma certo più bilanciata. Non hanno fatto gli errori dell’anno scorso, dove pure avevano Roglic, Kruijswijk e un Van Aert più incisivo. Noto intanto che la UAE Emirates è cresciuta come squadra, come gruppo di lavoro, quindi nei prossimi anni sicuramente avrà ottime possibilità.

Vingegaard è arrivato alla crono spendendo molto meno rispetto al rivale: Vanotti non ha dubbi
Vingegaard è arrivato alla crono spendendo molto meno rispetto al rivale: Vanotti non ha dubbi
Pogacar si trova in una posizione simile a quella di Nibali, che per contrastare Sky, nel 2014 fu costretto a sacrificare molto per il Tour.

Il Tour va preparato nei dettagli, ma Pogacar è un fenomeno e questo piace. Come detto, magari averne altri… Tadej avvicina i giovani al ciclismo, quindi benvenga uno che ha questa mentalità. Battaglia dalla Strade Bianche alla Sanremo, dal Fiandre alla Liegi. Vincenzo il Fiandre l’ha fatto a fine carriera, però anche lui correva le classiche e come Pogacar ci metteva la faccia. Tadej è uno che si espone, affronta tutto subito col sorriso e ti dice quello che pensa. «Sono morto, non stavo bene, ho dato tutto». E’ uno che si espone con i suoi scatti, si fa vedere, ma questa volta ha trovato un rivale vero. Quindi, dopo il secondo Tour andato storto, forse dovrà analizzare qualche dettaglio.

Di che tipo?

Dovranno chiedersi come fare per vincere. Deve diventare più meticoloso, fare un programma strutturato, nascondersi di più. Quando ci ritrovammo davanti al Team Sky, prima con Wiggins e poi con Froome, a un certo punto ci guardammo in faccia. «Invece di lamentarci – dicemmo – dobbiamo metterci sotto e lavorare nel modo giusto». Quando devi battere un avversario così forte, non devi lasciare nulla al caso. E Nibali in quel Tour fu perfetto, lo fummo tutti. Così forse anche Pogacar dovrà rivedere qualcosa nell’avvicinamento, perché ha trovato Vingegaard e la Jumbo-Visma.

A costo lasciar perdere gli altri obiettivi?

A quanto ho capito, lui non vuole snaturare il suo calendario e il modo di correre. Non vorrei che poi si andasse a toccare il suo modo di correre, com’era con Vincenzo che partiva, attaccava e spesso vinceva. Però anche lui piano piano si è aggiustato. Ha preso le misure e invece di fare 20 scatti, ne faceva 7-8 giusti. Per Pogacar non sarà facile, perché stiamo parlando di un fenomeno. Ha il suo istinto e il suo modo di correre. Visto come ha esultato quando ha vinto sabato? Immaginate cosa avesse dentro? Modificare questa cosa non è semplice, però forse limitatamente al Tour potrebbe essere necessario. Vingegaard non fa sconti, ma non dimentichiamo che aveva davanti un Pogacar reduce da infortunio.

Pogacar è arrivato al Tour senza aver corso per due mesi e ha sprecato molte energie con i suoi scatti
Pogacar è arrivato al Tour senza aver corso per due mesi e ha sprecato molte energie con i suoi scatti
Si è detto che potesse correre lo Slovenia per non arrivare al Tour digiuno dalle corse.

Però considerate che nell’incidente, oltre all’osso, si rompe anche qualche equilibrio. La paura di cadere non ti molla. Quando ho rotto il gomito, nelle prime gare niente era come prima. E allora forse, se hai davanti una gara, la salti volentieri perché non vuoi rischiare. E’ umano anche lui e per vincere il Tour, visti i mille dettagli di cui stiamo parlando, l’infortunio è un grosso guaio. Magari corri sulle scalinate, anch’io l’ho fatto. Ma intanto il corpo reagisce all’anestesia… Metti dentro tutto, ha fatto ugualmente un grande Tour. E’ arrivato secondo. Ma a mio avviso, se non avesse avuto quell’infortunio, lo sarebbe stato ancor di più. Magari non vinceva, ma se lo giocavano sino alla fine.

Artuso: «Al Tour abbiamo visto il miglior Hindley»

26.07.2023
4 min
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Uno dei corridori sui quali si era posta maggiore attenzione, per quanto riguarda l’ultimo Tour de France, era Jai Hindley. L’australiano della Bora-Hansgrohe, vincitore del Giro d’Italia 2022, era atteso a questo importante banco di prova. Con Paolo Artuso, preparatore del team tedesco, avevamo parlato del tema legato ai giorni di corsa. Così, guardando la classifica del Tour, che ha visto Hindley piazzarsi in settima posizione finale, abbiamo contato i giorni di corsa fatti. L’australiano ha messo in cascina, prima della Grande Boucle, 40 giorni di gara, rispetto a numeri più contenuti degli altri corridori. 

Nella tappa numero cinque Hindley ha centrato la fuga, ha vinto la tappa e preso la maglia gialla, persa il giorno dopo a Cambasque
Nella quinta tappa Hindley ha centrato la fuga, ha vinto la tappa e preso la maglia gialla, persa il giorno dopo a Cambasque

Partenza dall’Australia

Il calendario di Hindley si è aperto nel mese di gennaio, dall’Australia, casa sua. Debutto alla Schwalbe Classic e poi ritorno al Tour Down Under, dopo due anni di assenza. Fin dopo la conquista della maglia rosa, Hindley, si era lasciato andare dicendo che sentiva parecchio la mancanza di casa. Normale per un corridore che da anni non tornava in Australia, così a gennaio, appena è stato possibile, ha preso un aereo in direzione Perth. 

«Ci aveva manifestato questa volontà fin da subito – dice Artuso – d’altronde era da prima del Covid che non vedeva la sua famiglia. Abbiamo così deciso di improntare la stagione partendo proprio dall’Australia e “modificando” la sua preparazione».

Hindley ha iniziato la sua stagione al Tour Down Under dopo due anni di assenza
Hindley ha iniziato la sua stagione al Tour Down Under dopo due anni di assenza
In che modo?

Niente training camp con la squadra a gennaio, ma le cinque tappe del Tour Down Under (più la Schwalbe Classic e la Cadel Evans Great Ocean Road Race, ndr). A febbraio si è fermato, ha fatto tanti giorni di allenamento, ed è tornato in gara all’Algarve.

Partendo così presto però Hindley è arrivato al Tour de France con 40 giorni di corsa, il doppio rispetto a Vingegaard, Pogacar e Rodriguez…

Premetto che nella preparazione di Hidley non cambieremmo nulla. Era chiaro che la sua presenza al Tour non poteva essere legata ad un tentativo di vittoria, i primi due sono di un altro livello. Il primo in particolare (Vingegaard, ndr). L’obiettivo era quello di lottare per il podio e fino alla caduta era in gioco. 

Rodriguez, diretto rivale per il podio, è stato quello che ha corso di meno, 20 giorni.

Il suo caso è interessante, fino a giugno aveva messo insieme solo 11 giorni di corsa. Poi sul podio ci è finito Adam Yates, che ha corso più di Rodriguez. Se devo dire un nome che mi ha sorpreso, dico proprio lui. Ma da questo punto di vista a livello tecnico si è capita una cosa importante.

Il passaggio al Catalunya è stato ritenuto più adatto, per tipo di percorso e salite
Il passaggio al Catalunya è stato ritenuto più adatto, per tipo di percorso e salite
Quale?

Che per performare al meglio serve arrivare freschi sia a livello fisico sia a livello mentale. Il futuro va sempre più verso un corridore che corre meno e si allena molto, soprattutto in altura. In allenamento sei tu che gestisci i tuoi impegni, come e quanto spingere e tutte le altre variabili. In gara sei più preda degli eventi. 

Il fatto di aver iniziato così presto, quindi, non ha influenzato negativamente Hindley?

Secondo me no, anzi. L’essere tornato a casa gli ha fatto bene, sicuramente ha potuto smorzare lo stress e riposare. Dal punto di vista fisico nemmeno, perché i numeri di Jai erano gli stessi del Giro dello scorso anno. Il livello di gare che c’era in Australia non era di certo elevato, e lui non è arrivato al massimo. Abbiamo usato la corsa di casa proprio come un allenamento. 

Hindley al Tour ha replicato i numeri che gli hanno permesso di conquistare la maglia rosa nel 2022
Hindley al Tour ha replicato i numeri che gli hanno permesso di conquistare la maglia rosa nel 2022
Poi però è andato alla Vuelta Algarve, alla Tirreno e al Catalunya, mettendo più fatica nelle gambe rispetto agli avversari. 

L’unica cosa che si potrebbe fare, forse, è ricalibrare leggermente gli appuntamenti. Inizialmente doveva fare i Baschi, ma il percorso del Catalunya era più adatto e con lui abbiamo deciso di correre lì. 

Al Giro lo scorso anno arrivava con 26 giorni di corsa, sicuramente più fresco e riposato…

Giro e Tour sono totalmente diversi. I mesi che precedono la corsa rosa sono pochi ed il percorso di avvicinamento è pressoché unico. Al Tour no, nei primi dieci abbiamo visto altrettanti metodi di approccio. Hindley al Tour è arrivato pronto, i numeri lo dicono, tutto si corre al limite e gli imprevisti ci sono. La caduta lo ha sicuramente influenzato, anche Rodriguez ha subito una brutta caduta perdendo la possibilità di lottare per il podio.