Balsamo contro Wiebes? Guarischi non ha dubbi

18.09.2023
5 min
Salva

Abbiamo parlato con Giorgia Bronzini del duello fra Wiebes e Balsamo e di come questo rappresenti il confronto fra la scuola olandese e quella italiana. Poi abbiamo sentito da Ilaria Sanguineti sui ragionamenti della Lidl-Trek prima delle corse in cui si finirà in volata contro Wiebes. Non resta a questo punto che ascoltare la campana della Sd Worx, interpellando l’azzurra che da quest’anno è diventata il pilota della campionessa europea nelle sue volate: Barbara Guarischi.

Lo scorso anno Guarischi ha vinto i Giochi del Mediterraneo, con la volata tirata da Sanguineti (foto Coni)
Lo scorso anno Guarischi ha vinto i Giochi del Mediterraneo, con la volata tirata da Sanguineti (foto Coni)

Fra Balsamo e Kool

Anche lei reduce dal Simac Ladies Tour, dietro quasi tutte le vittorie dell’olandese ci sono le sue traiettorie e le sue intuizioni. Come si ragiona quando si prospetta un finale contro Elisa Balsamo e il treno della Lidl-Trek? E soprattutto, la piemontese è considerata un’avversaria particolarmente pericolosa?

«Il punto è questo – dice subito Guarischi – al momento per certi arrivi consideriamo molto di più Charlotte Kool, anche per un fatto di costituzione. Elisa ha vinto al Simac, ha fatto una volata lineare, però secondo me Kool è molto più pericolosa quando si fa uno sprint davvero veloce».

Con il cittì Sangalli: Guarischi ha partecipato ai mondiali di Glasgow ed è nella rosa per gli europei
Con il cittì Sangalli: Guarischi ha partecipato ai mondiali di Glasgow ed è nella rosa per gli europei
Invece sui percorsi più impegnativi?

Secondo me Lorena è ancora molto più veloce. Inoltre sta facendo anche un salto di qualità atletico, lavorando di più per le salite più lunghe, perché ha l’obiettivo delle Olimpiadi.

Qual è il limite? In quali arrivi, magari quelli più tecnici, Balsamo vi può dare qualche grattacapo?

Gli arrivi tecnici sono difficili per tutti, possono andarti bene come possono andarti male. Sul terzo traguardo del Simac, Lorena ha fatto seconda, ma è rimasta chiusa dal treno della Jayco. E lì è una frazione di secondo. O vai a destra o vai a sinistra. Quindi penso che negli arrivi così caotici, il limite c’è per tutti e anche per nessuno, perché comunque i treni sono molto ben forniti in tutte e tre le squadre di cui parliamo (Sd Worx, DSM Firmenich, Lidl-Trek, ndr).

Wiebes rimetterà in palio la maglia di campionessa europea il prossimo fine settimana a Drenthe, in Olanda
Wiebes rimetterà in palio la maglia di campionessa europea il prossimo fine settimana a Drenthe, in Olanda
E qui entrano in gioco i leadout. Secondo Giorgia Bronzini, l’80 per cento del successo di una volata è sulle vostre spalle…

Sì, questo posso dire che è vero. Nella volata dove Lorena è stata chiusa, il mio lavoro è stato fondamentale, nel senso che avevo dietro di me la Kopecky e se non ci fossi stata io in quel chilometro, non sarebbero arrivate davanti per fare la volata.

Lorena ha bisogno sempre dello stesso lavoro oppure il tuo ruolo cambia in base ai finali?

Si interpreta in base al finale e al tipo di volata, se è tecnica, se è lunga, se è caotica…

Preferite gestire voi la volata o appoggiarvi al treno di un’avversaria?

Preferiamo fare da noi, perché in qualche modo hai sempre una via d’uscita, a meno che non sei veramente lungo da far saltare tutto il treno. In quel caso però significa che hai sbagliato qualcosa. Andare sulle ruote di altri è sempre una confusione e un rischio, perché ci sono 180 persone che fanno le volate anche quando non dovrebbero. Per cui il lavoro è portarla almeno agli ultimi 400-500 metri, poi si vede se siamo lunghe e se conviene prendere la ruota di qualcuno o meno.

Nel 2022 Guarischi ha partecipato al mondiale gravel, quest’anno sarà agli europei di specialità del 1° ottobre in Belgio
Nel 2022 Guarischi ha partecipato al mondiale gravel, quest’anno sarà agli europei di specialità del 1° ottobre in Belgio
Fra voi leadout c’è comunicazione durante la corsa oppure ognuno è chiuso nel suo gruppo?

In genere ci si parla solo se bisogna andare a chiudere una fuga o se si ha l’interesse comune di arrivare in volata. Se magari la corsa parte e già dal chilometro zero ci sono scatti e controscatti, allora si parla subito e si uniscono le forze. Nei finali invece è diverso, perché ognuno fa il suo lavoro.

Quanto tempo hai impiegato per trovare l’intesa giusta con Lorena?

Molto poco. Siamo andati al UAE Tour e c’era già un buon feeling. Si è fidata ciecamente di me. Praticamente quando ho dietro lei, non mi devo quasi mai girare, perché so che ce l’ho a ruota, qualsiasi cosa io faccia. E questa è una gran fortuna, vuol dire che c’è fiducia reciproca.

Nella terza tappa del Thuringen, Guarischi ha battuto “capitan” Wiebes allo sprint
Nella terza tappa del Thuringen, Guarischi ha battuto “capitan” Wiebes allo sprint
Insomma, sembra di capire che sei soddisfatta del passaggio in SD Works.

Decisamente. Tra l’altro, rispetto all’inizio dell’anno le cose stanno andando anche molto meglio in termini di allenamenti. Sono riuscita ad assimilare bene i lavori che la squadra mi sta dando, mentre all’inizio dell’anno ho faticato molto perché i carichi sono aumentati notevolmente. Adesso invece ho finito in crescendo, quindi sono molto contenta. Anche perché questa cosa mi dà morale per l’inverno.

E’ una squadra in cui si lavora più che nelle altre?

Si lavora veramente tanto. Penso che in tutti gli sport di alto livello, se vuoi fare davvero la differenza, si debba lavorare tanto. Devi fare sacrifici e in questa squadra se ne fanno veramente tanti. Poche volte ho visto tanta dedizione. A volte guardo gli ordini d’arrivo e se prima potevo pensare che in qualcuno potevo esserci anche io, ora capisco che sto lavorando per la campionessa del mondo o la campionessa europea, per gente che veramente va forte. Perciò, quando fai la corsa e tutte le ragazze lavorano bene e si vince o si fa prima e seconda, è una soddisfazione immensa. 

EDITORIALE / Il popolo di IBF 2023 ha richieste precise

18.09.2023
6 min
Salva

MISANO ADRIATICO – Ciascuno dei 53 mila visitatori di IBF 2023 (Italian Bike Festival) ha portato con sé occhi sgranati, competenza e voglia di conoscere. E quando poi ciascuno ha ripreso la via di casa, aveva con sé gadget e un’idea precisa di quale sarà la prossima bici, il completo, il casco e ogni accessorio. La fiera che per il secondo anno si è svolta attorno all’autodromo dedicato a Marco Simoncelli ha chiamato a raccolta un pubblico pazzesco, che soprattutto il sabato e la domenica ha portato con sé un entusiasmo traboccante.

Intendiamoci, il momento va gestito. Dopo il boom di vendite durante e dopo il Covid, sarebbe stato incauto aspettarsi che la bolla continuasse a gonfiarsi. Eppure l’interesse e la passione del pubblico rappresentano un capitale su cui le aziende produttrici dovrebbero ragionare con attenzione. Vale la pena tagliare fuori così tanta gente attuando una politica dei prezzi sempre e comunque al rialzo, oppure si può ragionare di normalizzare la situazione, autorizzando un ricambio più continuo e meno traumatico? L’alta gamma tira, come ogni bene di lusso che si rispetti, da quando però la bicicletta va considerata tale?

La nostra squadra a IBF: Alberto, Emiliano, Luciano, Gabriele, Enzo, Stefano e accosciati Matteo e Federica
La nostra squadra a IBF: Alberto, Emiliano, Luciano, Gabriele, Enzo, Stefano e accosciati Matteo e Federica

A casa di bici.PRO

Il pullman di bici.PRO e l’hospitality allestita con Leonilde Tresca e la Marina Romoli Onlus sono diventati n punto di passaggio, in cui incontrarsi per scambiare idee e sensazioni. Preziosi il conforto del Caffè Gabelò, le bottiglie ghiacciate di Gran Cuvée di Vini Fantini e i ravioli cucinati durante l’aperitivo del sabato. Ci sono diversi modo per fare il nostro mestiere. Quando si riesce a svolgerlo con rigore (stando alla larga dai pettegolezzi) e insieme divertendosi, non ci sono limiti che non si possano raggiungere e superare.

Il bello di un evento come IBF è infatti che ha concesso nuovamente spazio agli incontri. E proprio dal parlare continuo con i lettori, con i corridori e coloro che gestiscono aziende e territori, è emerso ciò che già lo scorso anno si era manifestato, ma non aveva ancora delimitato la sua vera dimensione. Il ciclismo sta cambiando.

Una filosofia nuova

Il ciclismo sta cambiando. I corridori e quelli che cercano di emularli ci saranno sempre, ma si sta facendo largo un’utenza che vuole prendersela più comoda, pur non rinunciando a contenuti tecnologici importanti. In quasi tutte le aziende che producono biciclette, accanto ai modelli superleggeri e rigidi, si affermano le versioni endurance: appena più pesanti e molto più comode. In questo caso nessuno storce il naso se al posto del Dura Ace si propone di montare il 105, anzi. Il fatto che Shimano (sorprendentemente assente) abbia puntato sul rilancio di questo gruppo fa pensare sia stata accolta la necessità di andare incontro alle esigenze del pubblico, senza rinunciare all’affidabilità.

Novizi e bambini

Non è un caso che il gravel sia uscito dalla nicchia e si confermi ancora di più il veicolo per conquiste non più scandite dal cronometro. Non è un caso che l’abbigliamento stia diventando sempre più tecnico, ma anche… stiloso. Forse dipende anche dalla ventata di nuovi ciclisti nati durante il Covid: donne e uomini che probabilmente ignorano la storia del Giro d’Italia, ma hanno capito alla grande il valore del ciclismo e del suo benessere.

Quel che più è piaciuto di IBF è stata anche la presenza importante di bambini, ben contenti di misurarsi negli spazi loro riservati. Nel momento in cui si fa così tanta fatica a trovare uno spazio sicuro per loro (chiedere a Elisa Balsamo), sapere che la bicicletta sia per loro il veicolo dei sogni rende anche più urgente la necessità di fare qualcosa per trovare quegli spazi.

Ciclomercato e sponsor

E poi sapendo leggere fra le righe e nelle frasi a mezza bocca, Italian Bike Festival ha aperto le porte sul mercato della bicicletta fra i team dei pro’. Così è parso di cogliere la traccia di importanti avvicendamenti sia sul fronte dei mezzi meccanici, sia su quello dell’abbigliamento. Il team Ineos Grenadiers parrebbe molto vicino alla spagnola Gobik. Invece il cambio nella proprietà di Lapierre potrebbe allontanare le bici di Digione dalla Groupama-Fdj, dopo anni di sviluppo concertato e proficuo. Radio gruppo parla di un ipotetico interessamento da parte di Wilier Triestina, ma il condizionale è d’obbligo: ci si muove nel campo delle ipotesi e per sapere come andrà a finire basterà aspettare poche settimane.

Accanto all’Area Food di IBF il palco delle premiazioni e delle interviste con i campioni
Accanto all’Area Food di IBF il palco delle premiazioni e delle interviste con i campioni

Il nostro impegno per domani

I 53 mila visitatori di IBF 2023 sono un esercito su cui vale la pena ragionare, che potrebbe spingere il ciclismo verso pratiche già in uso nel mondo delle auto e delle moto. A fronte di prezzi così elevati, che ormai hanno aperto la porta all’acquisto mediante finanziamento, perché non ragionare sugli affitti a lungo termine? Le bici usate dopo uno o due anni potrebbero poi infoltire il mercato dell’usato.

C’è una geografia economica da ridisegnare, ma la certezza che salta agli occhi è che la bici piace: lo abbiamo letto negli occhi di ciascuno di loro. Sarà nostra cura immaginare un mondo che possa andargli incontro e permettergli di vivere al meglio il loro sogno.

Battuto Pedersen, a Isbergues si rivede un grande Moschetti

18.09.2023
5 min
Salva

A Fourmies si era rivisto ai vertici Matteo Moschetti, terzo nella classica francese vinta da Merlier. Non una gara qualsiasi, considerando la storia della corsa che un tempo era anche nella Coppa del Mondo e ora è categorizzata 1.Pro, direttamente al di sotto di quelle WorldTour. Una settimana dopo, ieri, è arrivato il successo pieno, sempre in Francia, nel GP d’Isbergues, ma quella vittoria è figlia di quanto avvenuto prima.

«Sono davvero felice di aver ottenuto questa vittoria – ha detto a caldo – abbiamo fatto una grande gara come squadra, con Tom (Devriendt, ndr) in testa, mentre il resto di noi ha potuto rimanere coperto nel gruppo. Molte squadre hanno sprecato energie nell’inseguimento, noi invece eravamo semplicemente seduti lì ad aspettare. Abbiamo raggiunto Tom molto vicino al traguardo e i ragazzi sono stati davvero bravi a mettere me e Parisini in una buona posizione, a due chilometri dall’arrivo».

A Isbergues, Moschetti ha battuto Pedersen e Demare: verdetto al fotofinish
A Isbergues, Moschetti ha battuto Pedersen e Demare: verdetto al fotofinish
La vittoria era nell’aria? Nella volata di Fourmies si era visto qualche lampo di un grande Moschetti…

Ho sofferto tanto in quella domenica, non lo nascondo. Avevo un caldo terribile, neanche il ghiaccio mi dava sollievo. All’inizio ho sentito subito che non avevo buonissime sensazioni, così quando mancavano una quarantina di chilometri ho detto ai compagni di non contare su di me. Poi pian piano ho sentito che riprendevo vigore e ho trovato qualche buon treno per risalire. Ai meno 1,5 chilometri ho trovato un varco per posizionarmi davanti e a quel punto ho fatto la volata, cogliendo un podio del tutto inaspettato.

Come sei arrivato alla vittoria di ieri?

E’ un periodo che sto abbastanza bene, la condizione c’è, ma anni di esperienza mi hanno insegnato che spesso la forma non basta, se non c’è anche la giusta reazione psicologica per ottenere qualcosa. Domenica a Fourmies quel terzo posto è venuto tutto dalla testa… I frutti si sono visti proprio ieri, quando la squadra ha lavorato nella maniera giusta. Una volta arrivati nel finale, Parisini è stato strepitoso nel portami ai 200 metri all’altezza di Démare e Pedersen, poi è stata battaglia, vinta al fotofinish.

La volata di Fourmies con Merlier 1° e Moschetti sul podio, pronto a graffiare (foto Getty Images)
La volata di Fourmies con Merlier 1° e Moschetti sul podio, pronto a graffiare (foto Getty Images)
Ryder Douglas a inizio anno parlava molto di te come di uno di quelli chiamato a portare più punti alla causa del team e il tuo l’hai fatto, con ben 13 Top 10 nella stagione, ma di vittorie solo una, alla Clasica de Almeria a febbraio…

Capisco il punto di vista di Ryder che deve giustamente guardare agli interessi del team, per lui contano i punti, ma io guardo ai risultati, alle vittorie. E’ stata finora una stagione nella quale sono stato costante nel rendimento, ma finora non ero mai stato al 100 per cento, quello stato per cui qualche piazzamento si può trasformare in una vittoria. Mi era sempre mancato il colpo finale, d’altronde per vincere serve che tutto vada nella maniera giusta come è successo a Isbergues.

Questo era il tuo primo anno nella Q36.5, un team che ha radici profonde e grandi ambizioni.

Quando un team nasce quasi dal nulla serve tempo, oltretutto è una squadra che è stata costruita pressoché dal nulla e in pochissimo tempo. Trovare il giusto feeling fra tutte le sue componenti non è facile. Il nostro è ancora un work in progress, spero che da qui a fine stagione ci sia ancora modo e occasione per fare ancora meglio e magari cogliere altri successi. Io comunque non pensavo che dopo meno di una stagione si arrivasse già a questo punto, c’è di che essere soddisfatti perché il livello delle prestazioni è già molto alto e sono convinto che il prossimo anno tutti potremo fare molto meglio con un anno di esperienze e di amalgama in più.

Moschetti con Puppio e Parisini: il gruppo si sta creando, il 2024 potrebbe vedere una crescita generale
Moschetti con Puppio: il gruppo si sta creando, il 2024 potrebbe vedere una crescita generale
Come funziona il tuo treno in volata?

Non ho un treno definito, dipende molto da chi è chiamato a correre con me. Nel tempo ho acquisito però una certa affinità con Nicolò Parisini: è un giovane forse poco conosciuto, ma ha tanto potenziale. Come caratteristiche per me sarebbe stato ideale lavorare con Devriendt, ma quest’anno ha potuto correre pochissimo.

Parisini è forte in salita, ma anche veloce: gli stai insegnando il mestiere di sprinter?

Abbiamo caratteristiche molto diverse. Nicolò è un corridore molto giovane, un millennial, rispetto a me è meno veloce ma più resistente, può emergere in quelle corse piuttosto aspre, con dislivelli. Io credo che si può ritagliare i suoi spazi, soprattutto in quelle volate a ranghi ridotti dove emerge chi ha conservato più energie.

L’unico successo del lombardo nel 2023 fino a Isbergues era stata la Clasica de Almeria a febbraio
L’unico successo del lombardo nel 2023 fino a Isbergues era stata la Clasica de Almeria a febbraio
Come vedi la prossima stagione?

Come detto siamo già a un grande livello di competitività, ma so che l’asticella si alzerà. Spero che saremo invitati a un grande Giro, quello rappresenterebbe un ulteriore salto di qualità, ma già ora il nostro calendario è davvero qualificato, visto che ad esempio saremo al Lombardia. Le occasioni per emergere ci sono e ci saranno, è chiaro che gli inviti dobbiamo anche saperceli guadagnare…

La necessità di vincere mette pressione?

Le responsabilità fanno parte del nostro lavoro. Di pressione me ne metto già abbastanza io perché voglio sempre il meglio possibile. Ci tengo a far bene, so che il team ha tante aspettative, ma sono io il primo ad averle e per questo sono più affamato che mai.

L’addio di Van Vleuten, un gigante nonostante tutto

18.09.2023
6 min
Salva

Verrà il momento che Annemiek Van Vleuten si siederà davanti a un bel paesaggio e inizierà a pensare, a ripercorrere quella lunga strada che l’ha portata fino a lì, magari vedendo passare una ragazzina in bici. Quella bici che le ha regalato delusioni e soprattutto gioie, considerando la messe di vittorie portate a casa dal 2007 a oggi.

Forse penserà che quella bambina ha più diritto di lei di pedalare, correre, sognare. Lei alla bici non ci aveva proprio pensato fino a quando aveva 24 anni. Prima si era dedicata a tutt’altro: calcio, equitazione, ma soprattutto lo studio.

La laurea all’università, il master in epidemiologia, un lavoro già trovato ed avviato. La bici le serviva solo per spostarsi in città, andare a lezione, ma poi, dopo aver subìto due operazioni al menisco, le suggerirono di usarla anche per la ripresa, magari facendo anche un po’ di sport. Approdò al WV Ede, il suo primo team. E lì fece una scoperta che le avrebbe cambiato la vita.

L’ultima vittoria di Annemiek, al Giro di Scandinavia. Chiude con 104 successi tra cui 4 Giri e un Tour
L’ultima vittoria di Annemiek, al Giro di Scandinavia. Chiude con 104 successi tra cui 4 Giri e un Tour

Valori sconcertanti, è nata per pedalare

«Andai a fare dei test a Papendal – ha raccontato – e lì mi dissero che i miei valori di VO2max e di potenza erano inusuali per una ragazza. Non avevo un gran rapporto watt per chilo, ma ci si poteva lavorare. Insomma, mi convinsero a prendere quella cosa più seriamente».

Nel 2007 Annemiek inizia così a competere e si vede subito che ci sa fare. Il fatto che sia così grande d’età per essere una principiante non è inusuale al tempo, ma certo capitano occasioni dove paga dazio: cadute, errori… La gavetta è dura e lunga, anche perché al contempo continua a lavorare e così sarà fino al 2010, quando decide d’investire con tutta se stessa nel ciclismo.

Il suo primo contratto da ciclista le vale 800 euro al mese, molto meno di quel che guadagnava in ufficio, ma va bene così.

La vittoria al Fiandre 2011 che rivincerà 10 anni dopo. Per lei anche 2 Liegi e 4 ori mondiali (foto Getty Images)
La vittoria al Fiandre 2011 che rivincerà 10 anni dopo. Per lei anche 2 Liegi e 4 ori mondiali (foto Getty Images)

Il sogno (e il tarlo) dei Giochi

I risultati si vedono subito: prima vittoria (a fine anno saranno 5) e l’anno successivo porta a casa una classica come il Fiandre. La sua storia di “quasi amatore” fa subito strada fra gli addetti ai lavori, ma Jeroen Blijlevens, il suo diesse è categorico: «Questa è solo la prima, vincerai altre gare». A fine anno conquista tre gare di Coppa del mondo su nove. Il trofeo è suo.

L’anno dopo vince il suo primo titolo nazionale in linea, nel 2014 a cronometro, una specialità che le piace sempre di più e dove fa ancora più la differenza. Inizia a covare un sogno: vincere le Olimpiadi, il massimo traguardo per uno sportivo.

Al tempo l’Olanda non è ancora la sportiva macchina da guerra attuale, uno dei Paesi con il maggior numero di pretendenti all’oro dei Giochi, le reali carte da podio erano limitate e una di esse era questa ragazza di 33 anni, molto più giovane però di tante coetanee cicliste.

Si prepara pensando a “quella” gara. Il giorno prima, guardando la prova maschile rimane impressionata dalla caduta di Nibali lanciato verso una medaglia. Resta colpita dalla sua sfortuna, senza sapere quel che accadrà di lì a poco.

L’attacco decisivo a Rio 2016. L’oro era ormai suo, ma una caduta ha infranto il sogno (foto Getty Images)
L’attacco decisivo a Rio 2016. L’oro era ormai suo, ma una caduta ha infranto il sogno (foto Getty Images)

La paura e l’insegnamento

A Rio de Janeiro, su un percorso che esalta le sue capacità in salita, Van Vleuten fa la differenza, va in fuga e sembra inarrestabile. Sembra. Una curva particolarmente scivolosa, una caduta rovinosa di quel che ti fanno salire il cuore in gola. Sbatte la testa contro il cordolo della strada.

La ricoverano in ospedale, i primi responsi sono drammatici: grave commozione cerebrale e tre fratture spinali. Più approfonditi esami limiteranno poi la portata degli infortuni, dopo tre giorni Annemiek può già ripartire verso casa: «Col tempo – racconterà poi la campionessa olandese – ho imparato a guardare, più che alla caduta, a quel che era successo prima, al fatto che in salita avevo fatto la differenza. Non posso negare che quella giornata abbia comunque segnato la mia carriera, non necessariamente in negativo».

Dal 2017 infatti Van Vleuten inizia a collezionare vittorie e a Bergen, in Norvegia, coglie il suo primo titolo iridato, nella prova a cronometro, iniziando una collezione di medaglie e maglie portata avanti fino a quest’anno (ed è molto probabile che la mancata conquista di un podio abbia contribuito a rafforzare la sua scelta d’inizio stagione).

Si pone altri obiettivi: competere ad ogni occasione con Anna Van Der Breggen, l’altro grande nome arancione e mondiale, con la quale condivide una fiera rivalità, senza amicizia ma con rispetto reciproco. Ha un appuntamento con quell’oro sfuggitole nel 2016, ma il Covid la fa aspettare ancora e un po’ incrina la sua superiorità, almeno psicologicamente.

A Tokyo, Van Vleuten conquista finalmente l’oro che cercava, nella cronometro
A Tokyo, Van Vleuten conquista finalmente l’oro che cercava, nella cronometro

Quanto è amaro l’oro altrui…

A Tokyo nel 2021 anche lei commette l’errore di sottovalutare la fuga dell’austriaca Kiesenhofer, quando parte è ormai tardi e non può che accontentarsi di un argento amarissimo, parzialmente mitigato dal successivo oro nella gara a cronometro. Ma intanto si profila un’altra possibilità per imprimere il suo marchio nella storia del ciclismo.

Nel 2022 viene lanciato in grande stile il Tour de France Femmes e Van Vleuten, approdata alla Movistar, si mette in testa un progetto ambizioso: vincere tutti e tre i grandi Giri. E’ vero, la Vuelta è solo una prova in tre giorni come ce ne sono tante, Giro e Tour sono solo lontani parenti di quelli maschili, ma non è certo colpa sua: «Noi saremmo in grado anche di correre gare di tre settimane» afferma interrogata al riguardo e le sue dichiarazioni fanno scalpore.

In gara però la sua superiorità è evidente: quando la strada si rizza sotto le ruote, Annemiek saluta tutte e se ne va. Domina al Giro e al Tour neanche il mal di stomaco che la mette in crisi all’inizio riesce a fiaccarla, rimonta tutte e va a vincere tappe a ripetizione, soprattutto quella a La Planche des Belles Filles in maglia gialla, come si era ripromessa.

Con l’impresa a La Super Planche des Belles Filles, il sigillo definitivo di Van Vleuten sul Tour 2022
Con l’impresa a La Super Planche des Belles Filles, il sigillo definitivo di Van Vleuten sul Tour 2022

La libertà di fare altro

Il resto è storia di questi giorni: un 2023 ricco di soddisfazioni ma nel quale si è vista qualche increspatura nel suo dominio, soprattutto al Tour: «Ma non sono le sconfitte che mi hanno portato a questo – ha spiegato in un’intervista a Velo Outsideonline – è il fatto che sento essere venuta meno la voglia di spingermi oltre i miei limiti, ogni giorno.

«Mi sono sposata con la bici per tanti anni, ora voglio la mia libertà di fare altre cose. Voglio rimanere a casa se fuori il tempo fa schifo o concedermi qualche peccato di gola senza l’ansia di perdere la forma.

«Non so che cosa farò, d’altro canto ho la fortuna di avere sempre coltivato altri interessi oltre al ciclismo. Nel 2024 mi prenderò un anno sabbatico, dedicandomi magari a qualche piccolo progetto in attesa di capire che cosa voglio fare da grande. Parteciperò ai corsi del Comitato Olimpico per chi chiude con lo sport agonistico, per capire che cosa ho imparato e come trasmetterlo, perché non mi dispiacerebbe lavorare con le cicliste del futuro. Insegnando loro a non stressarsi sempre con misuratori di potenza e simili, ma imparando a valutare le proprie sensazioni, che contano sempre di più dei freddi numeri. Se una pesante come me ha domato così tante salite, dipende tutto dalla testa e dal cuore, siatene certi…».

Madrid: Kuss per la favola, Groves e la Jumbo per il tris

17.09.2023
5 min
Salva

Spettacolo, emozioni, favola. C’è tutto questo nel gran finale di Madrid della 78ª Vuelta a Espana. L’americano Sepp Kuss, vince il terzo grande Giro della stagione. E lo fa un po’ – parecchio a dire il vero – a sorpresa.

E mentre la Jumbo-Visma si unisce di nuovo in parata attorno al suo gregario/capitano, ammesso sia ancora giusto chiamarlo così, in testa al gruppo vince Kaden Groves. Sul podio è andata poi in scena la seconda tripletta del team olandese, con Roglic e Vingegaard ai lati di Kuss.

Spettacolo

Ma andiamo con ordine. Lo spettacolo è quello della tappa di oggi. Altro che passerella! Se le sono date eccome.

Ad un certo punto attacca Remco Evenepoel. Quasi si pensa ad uno scherzo, tipo Pogacar al Tour verso Parigi… invece il suo affondo è vero. E forse qualcuno lo sa. Poco dopo gli piombano addosso anche Filippo Ganna e lo stesso Groves.

Ecco dunque prendere corpo una delle tappe più emozionanti dell’anno. E’ come se l’inseguimento su pista, tanto caro a Ganna, sia stato traslato su strada, con un sestetto a scappare e il gruppo ad inseguire. E sì che si era anche in circuito. Poi valli a riprendere Pippo e Remco: il primo e secondo della crono iridata.

Dietro tira chiunque. Eppure non li prendono. O meglio li prendono sull’arrivo, ma restano comunque davanti. L’epilogo lo conosciamo: primo Groves, secondo Ganna. 

Dainese ce lo aveva detto prima del via da Barcellona: «Groves sarà il velocista faro della Vuelta». E così è stato. E’ stato un gatto a seguire Evenepoel, anche perché c’era il rischio che il campione della Soudal-Quick Step gli portasse via la maglia a punti. Remco poteva prendersi sia il traguardo volante che l’arrivo. Era difficile, ma la matematica non lo condannava.

E poi c’è il corridore della Ineos-Grenadier. Ganna ha portato a casa tre secondi posti e una vittoria (a crono). Questo suo attaccare e gettarsi nelle volate è un bel segnale in vista del campionato europeo di domenica prossima.

Mentre Evenepoel quasi, quasi si è dimostrato più simpatico e amabile dopo la debacle del Tourmalet che nel resto della sua giovane carriera. Potente, divertente, coraggioso, imprevedibile. Tutti contenti.

Jumbo-Visma piglia tutto: tre grandi Giri nella stessa stagione, impresa mai riuscita a nessun team
Jumbo-Visma piglia tutto: tre grandi Giri nella stessa stagione, impresa mai riuscita a nessun team

Emozioni

Infine ci sono loro: i Jumbo-Visma. Discussi, sospettati, ammirati… forse anche invidiati. Con loro torniamo alle emozioni di 24 ore prima. All’abbraccio sull’arrivo di Gaudarrama. Vingegaard e Roglic, maglia gialla e maglia rosa, che onorano la maglia rossa, appunto Kuss. Quella maglia che spettava ad uno di loro due ma che simboleggia la vittoria di squadra. Perché Sepp Kuss rappresenta la squadra.

Per tutta la Vuelta hanno controllato. Padroni della situazione. Quasi dittatori, in senso sportivo s’intende, dopo il crollo di Evenepoel. Magari con l’ex iridato ancora in corsa per la generale avremmo scritto di un’altra storia. 

Kuss ha vinto la sesta tappa sull’Observatorio Astrofísico de Javalambre e ha preso la maglia roja due giorni dopo. Non l’ha più mollata. «La perderà a crono», si diceva. «Sul Tourmalet mollerà», si diceva. «Dopo Giro e Tour è troppo stanco per tenere anche nella terza settimana della Vuelta», si diceva.

A quel punto rideva il gran capo dei Jumbo, Richard Plugge, ridevano i diesse e ridevano i tifosi, che invocavano la vittoria del gregario a furor di popolo. Tutti contenti.

Il podio finale: primo Kuss, secondo Vigegaard a 17″, terzo Roglic a 1’08”. Chiaramente hanno vinto anche la classifica a squadre
Il podio finale: primo Kuss, secondo Vigegaard a 17″, terzo Roglic a 1’08”. Chiaramente hanno vinto anche la classifica a squadre

Favola

E per finire c’è la favola. Il gregario che diventa campione. Il gregario che ha contribuito alla vittoria di tutti i grandi Giri nella storia della Jumbo-Visma, che viene contraccambiato dalla squadra.

Durante questo viaggio da Barcellona a Madrid, Kuss si ritrova leader quasi per caso e con un bel vantaggio. Lascia fare i suoi due capitani, tra compleanni della figlia, vittorie per il compagno (Van Hooydonck) che ha subito l’incidente, gli arrivi prestigiosi… Sepp li lascia andare, ma nel finale accelera sempre, per ridurre il gap e salvare quella maglia rossa, ormai diventatagli cara.

Pensate che la moglie, che mai lo aveva visto con una maglia diversa da quella giallonera, non lo aveva riconosciuto a prima vista quando era andata a trovarlo!

«E’ stato incredibile in queste tre settimane – ha detto Kuss – è stato speciale ieri poter festeggiare insieme e di farlo con i miei due compagni, leader, di squadra. Ieri ho sofferto più che sull’Angliru (la tensione di chi non è abituato a lottare in prima persona per certi obiettivi, ndr) ma è stato bello».

«Io non cambio, resto me stesso. Per ora non riesco a realizzare ciò che ho fatto. Credo ci vorrà un po’ di tempo. Intanto stasera faremo una grande festa con i compagni e lo staff. Anche la mia famiglia e i miei amici sono qui».

Tutti contenti.

Con la stampa belga, il ritorno del venerato Van Aert

17.09.2023
5 min
Salva

Il grande ritorno di Wout Van Aert. Al Tour of Britain abbiamo rivisto il miglior Wout: quello che aiuta e gestisce la squadra, che vince e domina per potenza pura. Eppure la sua è stata una stagione strana. E per strana intendiamo costellata più che di alti e bassi, di una latente opacità. E’ mancato l’acuto sostanzialmente.

In questo quadro abbiamo voluto coinvolgere due dei maggiori giornalisti di ciclismo del Belgio, Guy Van Den Langenbergh e Renaat Schotte, per sapere cosa si pensa dell’asso della Jumbo-Visma nella loro Nazione.

Una tappa e la classifica generale del Tour of Britain per Van Aert. In questa stagione ha ottenuto 23 top 5 sin qui
Una tappa e la classifica generale del Tour of Britain per Van Aert. In questa stagione ha ottenuto 23 top 5 sin qui

Wout sempre presente

Partiamo con Van Den Langenbergh di Het Nieuwsblad. E partiamo proprio dall’estate di Van Aert e da quel ritiro al Tour de France. Un ritiro che forse ha colpito più noi che i belgi stessi.

«L’abbandono del Tour – spiega Van Den Langenbergh – è stato un po’ triste, ma anche abbastanza normale direi. La moglie era incinta e loro da tempo volevano il secondo genito. Semmai ha colpito più il fatto che se ne sia andato senza una vittoria. E le occasioni le aveva avute, una su tutte quella di San Sebastian».

Quel giorno la Jumbo-Visma non lavorò benissimo nel finale e nel dopogara c’era una certa tensione. Van Aert tornò in hotel da solo in macchina e non con i compagni sul bus. Forse proprio quel giorno è stato, l’emblema della sua stagione… per ora.

«Non possiamo dire – riprende Van Den Langenbergh – che Wout sia andato piano. E’ sempre stato lì davanti in tutte le gare che ha fatto, dalla primavera all’estate. Gli è mancata la ciliegina sulla torta. Poteva esserci alla Roubaix, ma è stato sfortunato.

«Okay, in Gran Bretagna è andato forte ma non è sufficiente. Da lui ci si aspetta una vittoria di peso, però come ripeto non si può dire che sia andato piano».

«Spesso ha lavorato per la squadra e come sempre è stato determinante. E’ stato così al Tour ma anche alla Gand-Wevelgem per esempio, quando ha lasciato vincere Laporte. Ma in Belgio nessuno lo critica proprio perché comunque è sempre stato presente. E dà sempre tutto».

Van Aert e la sfortunata foratura quando era davanti con Van der Poel all’ultima Roubaix
Van Aert e la sfortunata foratura quando era davanti con Van der Poel all’ultima Roubaix

Il Belgio lo ama

Quest’ultima affermazione si lega benissimo con quanto sostiene il collega Renaat Schotte, di Sporza. 

«Io – spiega Shotte – penso che il pubblico lo ami e anche più di Remco Evenepoel perché Van Aert è il campione del popolo. Lui è sempre disponibile, fuori dalle polemiche, mentre Remco ha una personalità più “battagliera”. Forse anche perché uno è più giovane e l’altro più esperto. E anche se come quest’anno non ha vinto, Wout è sempre molto rispettato. Il grande desiderio del popolo belga è che Van Aert vinca il mondiale, non c’è riuscito, non è facile, ma i tifosi sono sempre per lui».

Anche con Schotte si passa poi ad esaminare l’estate di Van Aert. Il corridore di Herentals è uscito dal Tour e dal mondiale soprattutto col “barometro in ribasso”: stanco, appannato e ancora una volta battuto dallo storico rivale Van der Poel a complicare le cose.

«Dopo il Tour – riprende Shotte – e la nascita del figlio indubbiamente Wout ha pagato qualcosa, non è stato facile per lui. Però poi ha staccato e ha ripreso per bene. E si è visto al Tout of Britain: ha svolto un lavoro favoloso per la squadra, ha vinto una tappa e la generale. Si è rimesso in linea per il suo principale obiettivo di questo finale di stagione che è il campionato europeo».

Dopo il riposo estivo Wout sembra aver ritrovato gli “occhi della tigre” (foto Instagram)
Dopo il riposo estivo Wout sembra aver ritrovato gli “occhi della tigre” (foto Instagram)

Verso il finale

Shotte mette sul piatto l’europeo. Questa gara, che assume sempre maggior importanza, sarà poi seguita dal mondiale gravel. Ecco come i due giornalisti belgi inquadrano i due obiettivi.

«L’europeo non è un mondiale chiaramente – dice Shotte – ma è importante. E’ una corsa giovane (tra i pro’, ndr) e conquistare quella maglia è prestigioso. Se dovesse andare a Van Aert, andrebbe sulle spalle di un corridore molto presente in gruppo, di un corridore in vista e di colpo anche la stessa maglia europea sarebbe più importante che in passato. Sarebbe una maglia che pesa. Tanto per fare un paragone non sarebbe come ai tempi di quando vinceva Sagan (lo sloveno di fatto non la indossò in quanto campione del mondo aveva quella iridata, ndr)».

Anche Van Den Langenbergh sottolinea l’importanza dell’europeo e non solo: «E’ comprensibile che ne voglia fare l’obiettivo principale di questa seconda parte di stagione. Tra l’altro l’europeo si corre in Olanda, Paese della sua squadra di club. Loro ci tengono. Sarà il leader del Belgio insieme a De Lie

«E poi a seguire c’è il mondiale gravel che arriva appunto quando la stagione su strada è ormai finita, quindi non crea alcun problema. A lui questa disciplina piace. Il gravel è una via di mezzo fra la strada e il cross e potrà sfruttare questa sua esperienza del cross appunto. In più anche Cervélo spinge in tal senso per sviluppare e promuovere le sue bici gravel. Di certo andrà per vincere… come sempre».

Balsamo all’AeroClub per insegnare la bici ai bambini

17.09.2023
6 min
Salva

ORIO AL SERIO – Elisa Balsamo ha gli occhi luminosi, bagnati di gioia e commozione, felicità e soddisfazione. Siamo all’AeroClub dove la campionessa del mondo 2021 ha organizzato un sabato pomeriggio di festa per centinaia di piccoli ciclisti che si sono dati battaglia nel format della ”gimcana”, dedicato ai giovannissimi, dalla G1 alla G6. Oltre 150 gli iscritti per quella che è stata sì una gara ma prima ancora, appunto, una festa. Perché Elisa Balsamo, ormai stabilmente di casa nella bergamasca, ha voluto affiancare ad una parte agonistica organizzata dalla Gsc Villongo, anche una amatoriale. Una maxi gimcana predisposta per bambini e adulti desiderosi di mettersi alla prova con la bicicletta, magari per la prima volta, e di passare un pomeriggio condividendo una passione comune: la bicicletta.

«L’idea – racconta una delle punte della Lidl-Trek – nasce dal fatto che gli aerei sono una grande passione del mio compagno Davide (Plebani, ndr). Lui possiede una licenza per pilotare aerei privati, conosce bene il posto e la gente che lo anima. Volevamo creare qualcosa di bello per i giovanissimi, perché quella è la fascia d’età più importante. Siamo rimasti colpiti, non ci aspettavamo un tale numero di iscrizioni».

Il tema sicurezza

In un’area così vasta, dove l’orizzonte quasi si perde e si ha una sensazione ambigua di disorientamento e pace, c’è un aspetto che ha convinto Elisa Balsamo che sì, quello era il posto ideale per avvicinare i bambini al ciclismo: «Oltre ad essere così suggestivo, l’Aeroclub è un posto sicuro, senza traffico né pericoli».

Già, la sicurezza e il traffico azzerato. Un sogno, un’utopia purtroppo, che sta rendendo sempre più complicato convincere le famiglie a portare i propri figli in una squadra ciclistica. Questo però dà ripercussioni poi anche sul mondo del professionismo, dove il ricambio generazionale non è sempre così immediato e di qualità.

Elisa Balsamo, con dispiacere, conferma: «Diventa sempre più difficile per le società lavorare e consentire a bambini e ragazzi di allenarsi in sicurezza. Se non si ha un circuito chiuso diventa davvero complicato prendersi la responsabilità di pedalare in strada, nel traffico. Noi professionisti però abbiamo un ruolo importante. Dobbiamo aiutare le società a crescere e i bambini ad appassionarsi all’andare in bicicletta, consapevoli che a quest’età c’è un solo imperativo. I bambini devono divertirsi. Poi arriva anche la competizione, ma solo poi».

Per gioco e per sport

E il format del pomeriggio all’Aeroclub funziona. Qualche piccolo corridore riconosce Elisa e le sue pulsazioni salgono come su un Gpm di 1ª categoria. Altri chiedono a genitori e direttori sportivi chi sia quella ragazza così normale eppure con l’aura di una che corre ai massimi livelli. Ci sono quelli che ammirano lo stand allestito da Santini con il kit firmato Elisa Balsamo, chiedendo a mamma e papà una maglietta, un cappellino iridato almeno.

Altri ancora non se ne occupano e continuano a giocare, a scherzare tra di loro, a parlare di bici, ma anche di figurine e di pallone, di aerei e di voli, di compagni di scuola, di verifiche svolte al mattino e di gare, di rapporti e rivalità, di sogni, desideri, merende e programmi per la domenica senza scuola.

Un affare di famiglia

Il tutto in maniera che più democratica non si può. Figli che spiegano ai genitori come impugnare il manubrio al meglio, genitori che invitano alla concentrazione i figli affinché non si facciano male e poi loro, le piccole cicliste che con i denti stretti e la bocca spalancata cercano di pedalare più forte possibile, che con la treccia che svolazza fuori dal casco fanno vedere a tutti quanto sappiano andare forte e con una tecnica meticolosa quanto sappiano destreggiarsi nel percorso.

«E’ bellissimo – racconta Elisa Balsamo – vedere così tante ragazze in bicicletta negli ultimi anni. Noi professioniste stiamo consapevoli che dobbiamo portare avanti la lotta per far sì che il ciclismo femminile abbia sempre più spazio e arrivi ad essere contagioso anche solo a livello amatoriale. L’importante, alla fin dei conti, è riuscire a portare più persone in bicicletta».

L’amore per la bici

E mentre il fruscio delle ruote sibila sull’asfalto, mentre le melodie della bicicletta si mischiano con i toni squillanti delle voci dei giovanissimi, ecco che c’è spazio anche per gli aerei, con gli addetti dell’Aeroclub che portano a bordo dei velivoli i piccoli partecipanti alla giornata. L’entusiasmo monta, i sorrisi pure e i desideri di spiccare il volo un giorno – magari in sella ad una bicicletta – si scrivono sui volti dei passeggeri.

Elisa guarda da lontano e torna bambina, a quell’età: «E dire che per me non è stato amore a prima vista con la bicicletta – ammette – perché da piccola praticavo tanti sport. Poi però ho capito che la bicicletta aveva qualcosa in più, che il ciclismo aveva una caratteristica unica: sembra uno sport individuale e invece è uno sport dove la squadra è fondamentale, senza quella non si va da nessuna parte».

Dainese: la vittoria nata sui monti, tra App e tempo massimo

17.09.2023
6 min
Salva

Spalle abbassate come il Cavendish dei tempi migliori, potenza esplosiva e anche una grande lucidità tattica… C’era tutto questo nella volata vittoriosa di Alberto Dainese a Iscar, due giorni fa alla Vuelta (in apertura foto @cyclingimages).

Questa volta il treno della sua Dsm-firmenich ha funzionato benone e tutto è andato secondo programma. Per Dainese si tratta del terzo successo stagionale. Un successo nato non solo sul rettilineo finale, ma anche nei giorni precedenti. Ecco dunque la doppia analisi della sua volata: quella ad Iscar vera e propria e quella iniziata nei giorni prima e passata per le alture dell’Asturia.

Decentrato sulla destra, Dainese schiacciato e a testa bassa precede Ganna (sulla sinistra)
Dainese schiacciato conquista l’arrivo di Iscar
Alberto, un grande sprint, e una posizione che davvero ricordava Cav…

Eh – sorride – ma non ero poi neanche così aerodinamico. Mi sentivo bene e finalmente tutto è filato liscio, anche rispetto alle altre due volate precedenti.

Raccontaci come è andata.

Siamo rimasti compatti. I ragazzi hanno svolto un bel lavoro, non che nei due sprint precedenti non lo avessero fatto, ma come detto stavolta non ci sono stati problemi… almeno per noi. I corridori della Alpecin-Deceunick fanno sempre qualcosa di strano. A Iscar uno di loro si è voltato quando andavamo a 65 all’ora è finito in terra e con lui tanti altri. Ma dico io: certe cose te le insegnano da allievo, come si fa a commettere ancora certi errori. Ed è già la seconda volta.

E invece la volata vera e propria come è stata?

Tutto sommato è stata una tappa facile, ma non del tutto, almeno nel finale. Infatti c’era vento. Dalla tv non si vedeva, sembrava che stessimo passeggiando, ma in realtà nell’ultima ora siamo andati sempre a 60 all’ora. Noi questa volta abbiamo anche un po’ seguito i Jumbo-Visma e siamo riusciti a stare coperti. I ragazzi sono riusciti a fare quello che gli ho chiesto. E così siamo usciti forte per davvero dall’ultima curva. Io ero volutamente un pelo dietro perché c’era del vento contro. Volevo restare coperto fino alla fine. Quando sono uscito di ruota avevo una grande velocità.

Appena arriva il primo, Dainese grazie ad una App sul computerino sa quanto è il tempo massimo e si regola col passo
Appena arriva il primo Dainese grazie ad una App sul computerino sa quanto è il tempo massimo e si regola col passo
“I ragazzi hanno fatto quello che gli avevo chiesto”: parole importanti, da leader…

Quando le cose vanno bene sembra sempre che uno abbia la situazione sotto controllo su ogni cosa. Noi non siamo un team specializzato per le volate, ma siamo riusciti comunque a fare un buon lavoro. Qui in Spagna siamo due uomini veloci e sei scalatori in pratica. Non gli si può chiedere tantissimo. Ma il compito prefissato è stato fatto bene.

Abbiamo raccontato l’aspetto della volata vero e proprio, Alberto. Ma come ci sei arrivato dopo tutte quelle montagne? Immaginiamo che la gestione non sia stata banale in vista di quello sprint…

No, anzi… Io ho perso quell’orgoglio di tenere duro per fare cinquantesimo che c’era qualche tempo fa. Vedo gente più “finita” di me che tiene duro, spreca energie senza motivo… per arrivare 10′ prima al traguardo. Io provo a risparmiare più energie possibile in determinate tappe. Cerco il gruppetto.

Come fai a risparmiare più energie? Per esempio qualche giorno fa Cimolai ci ha detto cose interessanti in merito al velocista sulle salite di questa Vuelta…

Non appena ci dicono che il primo è arrivato, sul Wahoo (il computerino, ndr) spingo il bottoncino e la App mi dice quanto è il tempo massimo. In base a quello mi regolo. Se so che ho 30′, cerco di arrivare per i 28′. E questa tattica paga molto secondo me. Io e “Cimo” per esempio riusciamo a farla molto bene (non a caso sono terzultimo e penultimo nella generale, ndr). E magari siamo più pronti nei giorni che sono adatti a noi.

Il tempo massimo quindi è fondamentale, anche per il passo vero e proprio. Riesci a far scendere i watt?

Sì, solitamente scendono. In certi casi anche un bel po’. Prendiamo l’esempio di La Cruz de Linares dell’altro giorno. Quando sono arrivati eravamo ai 6 chilometri dal traguardo. Più o meno sappiamo quanto s’impiega su quelle pendenze per fare un chilometro e così mi sono regolato per arrivare entro i limiti. Ho rallentato sempre di più. Insomma non tengo duro più del previsto. Altri vedo che stanno nel gruppetto e poi fanno forte l’ultima.

Gettare un occhio sul computerino è dunque importante in queste tappe. La vittoria di una volata passa anche da qui
Gettare un occhio sul computerino è dunque importante in queste tappe. La vittoria di una volata passa anche da qui
In effetti con la App del tempo massimo, gestirsi è più “facile”…

A volte è più dura. Nella tappa del Tourmalet per esempio la Alpecin (la squadra di Groves, votata tutta per lui, ndr) aveva sbagliato i calcoli. Ha iniziato ad andare pianissimo un po’ troppo presto e così ci siamo ritrovati a fare gli ultimi 4 chilometri del Tourmalet a tutta per rientrare nel tempo massimo.

Facciamo un’ipotesi di numeri: tu sali a 400 watt alla soglia (per dire), quanto scendono durante la gestione dello sforzo per arrivare al traguardo nel tempo limite?

Un numero preciso è difficile da dare, varia in base al tempo che manca, alla distanza, alla pendenza… Mediamente direi che si scende a 250 watt. Per fortuna oggi abbiamo il 36×34 che ti consente quasi di andare “a piedi” quando serve. Una volta sarebbe stato più complicato.

Come individui il momento di mollare?

Si tende a tenere duro nella prima salita. Poi è chiaro che se si mettono per mezz’ora a 6 watt/chilo li tengo. Ma generalmente si cerca di stare davanti il più possibile finché non si forma un gruppo numeroso. Fin quando la Jumbo, che fa un altro sport, non decide di aprire il gas!

Chiarissimo.

A quel punto se non si è fatta troppa fatica si cerca di rientrare nella discesa successiva, se non altro per fare velocità nelle valli. In quei tratti più veloci è importantissimo non stare da soli, altrimenti diventa dura per davvero.

Flynn (a sinistra) e Dainese (a destra) nel gruppetto. In certe frazioni non restare soli è fondamentale
Flynn (a sinistra) e Dainese (a destra) nel gruppetto. In certe frazioni non restare soli è fondamentale
Alberto, ci hai già illustrato molte piccolezze importanti, in questo aspetto conta anche l’alimentazione?

Dipende sempre dall’andamento della gara. La linea è quella di mantenersi sui 90 grammi di carboidrati l’ora. Se si riesce si mangia anche del solido: un paio di barrette e la borraccia di malto. Altrimenti solo malto e gel, come mi è già successo nel corso di questa Vuelta.

La tappa di ieri per esempio prevedeva un avvio in salita. Come si fai in quei casi?

Mi sono scaldato e ho cercato di tenere duro all’inizio (il collega velocista Groves aveva anche provato ad andare in fuga nella prima salita, ndr). Poi dipendeva dalla tattica. Cosa avrebbero fatto i Jumbo-Visma? Gli UAE Emirates avrebbero attaccato? Finché non è partita la fuga non è stato facile. Ma per fortuna la tappa era lunga e il tempo massimo ampio (e la fuga è partita abbastanza presto, ndr)

In questi casi resta un uomo vicino a te? Anche in previsione dello sprint di Madrid…

Come detto in questa Vuelta eravamo solo in un paio di uomini più veloci. Con me c’era
Sean Flynn, abbastanza veloce: va più forte di me in salita, ma non ne ha per restare davanti chiaramente.

Paternoster, la svolta c’è stata. Adesso si fa sul serio

16.09.2023
4 min
Salva

MISANO ADRIATICO – In una pausa tra autografi e foto, Letizia Paternoster tira un po’ il fiato e si racconta. L’Italian Bike Festival ci inonda con le note basse, lo scorrere delle bici e il luccicare degli occhi di tanti appassionati davanti a biciclette come gioielli. La trentina ha il sorriso giusto e gli occhi che guardano fissi. La stagione volge al termine e la sensazione, questa volta più di altre, è che il personaggio e l’atleta comincino di nuovo a coincidere. Non è facile convivere con un’etichetta appioppata da altri che trovano più semplice sentenziare che capire, ma forse quello che serviva per scrollarsela di dosso era risollevare il capo e scoprire i denti. Letizia adesso vuole vincere. Sa che la strada per battere le prime della classe è ancora lunga, ma adesso è sulla strada giusta. Per togliersi di dosso tutto quello che in qualche modo le impediva di farlo ha avuto bisogno di qualche mese. Ed è lei a spiegarlo.

«Bene – risponde – sto molto bene. In questa stagione sono cresciuta tanto, ho ritrovato veramente me stessa e sogno le Olimpiadi per il prossimo anno. Quindi continuo a lavorare a testa bassa. Il 2023 è stata una stagione dove veramente avevo bisogno di fare tanta strada, come ho fatto quest’anno. Ho lavorato molto e la mia squadra mi ha veramente supportato tanto. Sono andata al Simac Ladies Tour, ho finito con un quarto e un sesto posto. Comunque ho ritrovato i miei numeri, i miei livelli e so che ho ancora tanto da dare, lavorando con Dario Broccardo e con Marco Pinotti come supervisore».

Nel 2022 per Paternoster appena 21 giorni di corsa, quest’anno nel nuovo team è già a 32
Nel 2022 per Paternoster appena 21 giorni di corsa, quest’anno nel nuovo team è già a 32
Che cosa mancava a Letizia all’inizio dell’anno?

Per tanti anni ho messo la strada un po’ da parte, ma sicuramente mi mancava soprattutto la serenità giusta per poter affrontare la stagione. Cambiando squadra ho veramente ritrovato un team intorno a me, che mi ha supportato tanto. Ho iniziato a lavorare con Paola Pagani, una mental coach che mi ha fatto crescere e mi ha fatto fare una svolta. Sicuramente avere un team intorno mi ha aiutato ad uscire un po’ dalla gabbia. E’ stato fondamentale e ora ho finalmente la serenità e la cattiveria giusta.

La strada resta funzionale rispetto alla pista oppure è un terreno su cui vuoi fare bene?

No, la strada è un obiettivo fondamentale. Sicuramente in vista del prossimo anno e delle Olimpiadi, la pista è l’obiettivo più grande, poi però voglio continuare a crescere in questa squadra. E’ un posto in cui sto bene.

Foto e autografi, soprattutto sono state tante ieri le piccole cicliste che hanno cercato Paternoster
Foto e autografi, soprattutto sono state tante ieri le piccole cicliste che hanno cercato Paternoster
Hai parlato di gabbia, puoi descrivere cosa intendi?

Sicuramente non ero in un momento super felice, super sereno. Non avevo la tranquillità giusta. E sicuramente aver costruito un team intorno a me mi dà sicurezza, mi ha aiutato semplicemente per aver creduto in me. Sicuramente avere persone che credono in te ti dà la forza per risalire.

Bene le gambe, insomma, ma la testa fa la vera differenza?

La testa e l’ambiente, passa tutto per questo.

Che effetto fa stare in mezzo ai tifosi in questo mare di bici?

E’ sicuramente bello. Sono veramente felice di vedere tanti appassionati e la cosa che mi rende ancor più felice è vedere tante ragazze, tante donne appassionate della bici. Quello del ciclismo femminile è sicuramente un ambiente in crescita e questo è davvero bello.

Paternoster e Chiappucci sono testimonia rispettivamente fi Giant e LIV: due marchi dello s tesso gruppo
Paternoster e Chiappucci sono testimonia rispettivamente fi Giant e LIV: due marchi dello s tesso gruppo
Stagione finita o si corre ancora?

Ho ancora l’Emilia, la Tre Valli Varesine, poi la Cina. Forse la nota meno bella di questa bella annata sono stati i mondiali. Li ho chiusi con un po’ di amaro in bocca dopo l’omnium, ma non facevo una gara di gruppo così da due anni. E’ stato bello poter ripartire con la corsa a punti giocandomi una medaglia. Ci ho creduto fino alla fine, purtroppo c’è stata quella caduta nel momento più sbagliato. Ma sento di essere sulla strada giusta e questo finalmente mi dà tanta serenità.