Stage femminile, una rarità. BePink prima a farlo

06.10.2023
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Lo stage è sempre un momento importante nel quale l’atleta può scoprire il ciclismo del piano superiore e il diesse può verificare la sua opera di scouting. Tra gli uomini è ormai una consuetudine, con i “dilettanti” che possono provare tra i pro’, tra le donne invece è una novità, quantomeno per il ciclismo italiano. A sdoganare questa prassi è stata recentemente la BePink-Gold, che ha reclutato le junior Martina Testa e Vittoria Grassi per le gare di fine stagione.

L’impatto per le ragazze può anche essere più traumatico di quello dei colleghi maschi. Giovani di 18 anni abituate al massimo a gare open (miste tra elite e juniores) e di colpo catapultate in corse internazionali per capire cosa le attenderà l’anno successivo. Per capire meglio com’è andato questo periodo di apprendistato, abbiamo voluto sentire sia Testa (in apertura foto BePink) sia Walter Zini, team manager del team continental lombardo.

Novità. Zini ha sperimentato con piacere lo stage e propone di promuoverlo maggiormente (foto BePink)
Novità. Zini ha sperimentato con piacere lo stage e propone di promuoverlo maggiormente (foto BePink)

Investimento per il futuro

«La nostra iniziativa – spiega il tecnico della BePink-Gold – è stata una novità per il ciclismo italiano. All’estero so che qualche squadra lo ha già fatto, ma qui siamo stati i primi. Dopo i campionati italiani di fine giugno ho iniziato a pensarci, visto che qualche contatto lo avevo già. I regolamenti consentono di provare un massimo di due atlete maggiorenni che corrono tra le juniores e quindi ho chiamato queste due ragazze. Onestamente devo dire che siamo contenti di aver sfruttato la possibilità e un pochino mi pento di non averlo fatto prima, anche se non tutti gli anni o le circostanze sono uguali. La Federazione non promuove molto questa situazione, ma dovrebbe incentivarla di più, magari anche per più di due ragazze. Per noi team è un piccolo investimento per il futuro.

Due atlete diverse

«Martina e Vittoria – prosegue Zini – sono due atlete agli antipodi non solo nelle caratteristiche fisiche ma anche in quelle caratteriali. Martina nasce passista scalatrice, però deve ancora capire quali siano le sue vere doti, visto che quest’anno si è buttata spesso e volentieri in volata. E’ piuttosto riservata, ma ha tanta grinta e del fondo. Ha debuttato al Gp Reynders in Belgio, corsa di oltre 130 chilometri che ha finito bene. E sapete bene come siano le gare in Belgio. Ha avuto un assaggio di quello che farà l’anno prossimo. Vittoria invece è una velocista ed è una vera agonista. E’ più abituata a certi contesti visto che è nel giro azzurro di strada e pista. Col suo team (la BFT Burzoni, ndr) aveva già corso all’estero. Entrambe hanno fatto buone gare, dandosi da fare, ed entrambe nel 2024 dovrebbero correre con noi anche se manca ancora l’ufficialità».

Testa e Grassi (seconda e terza da sx) dopo le gare da stagiste saranno compagne di squadra nel 2024 (foto Facebook)
Testa e Grassi dopo le gare da stagiste saranno compagne di squadra nel 2024 (foto Facebook)

Il tirocinio di Martina

Sette gare da stagista non sono poche, anzi sono proprio un bel banco di prova, soprattutto se le corri tra Belgio e nord della Francia. Martina Testa corre per il Canturino ed in stagione ha conquistato due terzi posti oltre ad una lunga serie di piazzamenti nelle top 10. Con la BePink-Gold però ha forse ottenuto qualcosa di meglio rispetto a quei risultati. Benché abbia un carattere abbastanza timido, la determinazione in bici è una risorsa che le ha consentito di farsi notare.

«So che Walter – racconta la bergamasca di Cene – stava controllando i miei risultati e il primo contatto con lui c’è stato a maggio. Mi ha chiesto se fossi disposta a fare lo stage dal primo di agosto in poi, ma che mi avrebbe voluto riparlare solo dopo il mio diciottesimo compleanno (17 luglio, ndr) per capire se nel frattempo fosse cambiato qualcosa. Queste gare da stagiste sono state dure, tutte di alto livello e con percorsi impegnativi. Tuttavia è stata un’esperienza incredibile, specialmente con la prima trasferta in Belgio dove c’è tanto pubblico e tanto tifo. Quell’atmosfera ti dà molta carica».

Assaggio di futuro

«E’ stato un anticipo di quello che troverò la prossima stagione – riflette – e ringrazio il Canturino, Walter e la BePink per avermi permesso di fare queste corse» Conoscevo le ragazze della BePink – continua Testa – solo di nome, non avevo mai parlato con nessuna nemmeno alle gare open. Mi hanno accolto molto bene, ho legato subito con tutte. Silvia Zanardi ha fatto gli onori di casa presentandomi tutte le compagne e lo staff. Sono stata spesso in camera con lei per ricevere tanti consigli visto che lei è la ragazza più esperta. Sinceramente mi sono tolta un bel po’ di ansia con questa sua introduzione, così l’anno prossimo posso arrivare più preparata».

Differenze e insegnamenti

Correre una gara internazionale tra le elite quando sei ancora una junior del secondo anno è un bel salto nel buio. Non ci sono solo il chilometraggio o il ritmo di diverso, ma anche tutti i momenti che non vengono mai indicati in un ordine d’arrivo.

«Ovviamente ho corso con la mia bici – va avanti Martina – usando il mio casco e le mie scarpe, ma l’abbigliamento, tra divisa estiva e qualche capo più pesante, era tutto preparato in modo impeccabile con le mie taglie. La prima differenza che ho notato è stato lo staff. Il Canturino è una squadra ottima per le junior, ma siamo abituate ad andare alle corse col nostro allenatore, che fa quasi tutto lui, e con altre poche persone. Alla BePink naturalmente c’erano più figure ed ognuna di loro con un ruolo ben definito. L’altra grande differenza è l’ammiraglia in appoggio, che per me è stato più mentale che pratico. In ogni caso in queste corse volevo rendermi utile per le compagne e un po’ di volte sono andata io dall’ammiraglia per prendere da bere e mangiare per loro. Ho avuto qualche problema a prendere le borracce, ma sto imparando come si fa.

Testa ha disputato il Giro di Lunigiana col Canturino vincendo la maglia a pois di miglior scalatrice (foto facebook)
Testa ha disputato il Giro di Lunigiana col Canturino vincendo la maglia a pois di miglior scalatrice (foto facebook)

I rifornimenti

«Sono rimasta sorpresa dai rifornimenti – va avanti – prima della partenza lo staff della BePink allestisce un tavolo su cui mettono gel, barrette energetiche o proteiche o ancora paninetti. Oppure le borracce con sola acqua o sali minerali o maltodestrine. In pratica è come se tu componessi il tuo sacchetto da prendere durante la corsa. Naturalmente tra le juniores non siamo abituate così. D’altronde prima del debutto in Belgio Walter mi aveva detto che sarebbe stato come il mio primo giorno di scuola. Tutto nuovo e diverso, dovevo scordare quello che avevo visto o fatto fino a quel momento. In generale mi ha detto che devo continuare ad essere determinata sempre, in ogni gara. Ho capito subito che Walter è un tecnico severo e che pretende molto dalle sue atlete, però è stato anche molto comprensivo con me, visto che stavo disputando le mie primissime gare internazionali tra le elite».

Obiettivi futuri

Martina Testa ha sicuramente tratto delle indicazioni per l’anno prossimo, oltre ad un bel ritmo nelle ultime uscite. Per il 2024 però dovrà fare i conti con una stagione che si dividerà per forza di cose tra maturità e bici. La sua determinazione si palesa anche su questi argomenti.

«Le gare all’estero fanno la differenza – spiega – e ho sentito che avevo un altro passo nelle corse juniores e open che ho disputato nel mezzo. Rispetto all’anno scorso, ho fatto una bella crescita. Da quando corro, questo è stato il primo anno in cui sono andata forte, facendo risultati. E’ stato un bel crescendo. A settembre, ad esempio, ho notato quanto fossi migliorata sotto tanti punti di vista, a cominciare dalle tattiche di gara. Devo ancora imparare molto, ma sono pronta a farlo».

Zanardi ha fatto gli onori di casa con Testa, presentandole staff e compagne (foto uff. stampa BePink)
Zanardi ha fatto gli onori di casa con Testa, presentandole staff e compagne (foto uff. stampa BePink)

Diploma e bici

«Nella prossima stagione – conclude Testa – vorrei diplomarmi senza problemi a scuola (frequenta a Bergamo un istituto tecnico con indirizzo ambientale, ndr) e fare bene nelle gare di inizio stagione. Tengo molto alla scuola, ma altrettanto al ciclismo. La mia intenzione è quella di portare avanti gli impegni da subito senza dover aspettare per forza la fine della maturità per dedicare più tempo alla bici. Di questo sono convinta, così come mi piacerebbe iniziare a lavorare sulle crono. Non ne ho fatte tante però mi piacciono e vorrei capire se ne sono portata o meno».

Oss: «Vi racconto la mia amicizia con Sagan»

06.10.2023
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Una carriera vissuta insieme. Non solo per le strade del mondo, pedalando, perché quando condividi un lavoro che è anche una passione, si sviluppano connessioni strette, quasi inaspettate che vanno al di là e allora condividi confidenze, speranze, illusioni, gioie alternate a delusioni. Peter Sagan ha deciso di lasciare il ciclismo professionistico (non l’agonismo perché il suo sogno olimpico lo ha riportato verso le radici della mountain bike) e Daniel Oss è un po’ orfano. Il trentino continua, va avanti per la sua strada portando con sé un grande bagaglio di ricordi.

La loro amicizia è di lunga data: «Ci siamo conosciuti in Liquigas, lui è arrivato nel 2010, io ero già lì da un anno. Poi ci perdemmo quando io passai alla Bmc mentre lui continuò nel team che era diventato Cannondale, ma le strade che frequentavamo erano le stesse, alle partenze non mancava mai qualche parola, poi ci siamo ritrovati insieme nel 2018 e abbiamo continuato. Non capita spesso che due carriere procedano spedite di pari passo con l’amicizia, è qualche cosa che il ciclismo ha saputo regalarci».

Lo slovacco ai mondiali di Mtb 2023. Ora si dedicherà alla mountain bike puntando ai Giochi di Parigi
Lo slovacco ai mondiali di Mtb 2023. Ora si dedicherà alla mountain bike puntando ai Giochi di Parigi
Che cosa vi unisce?

Tanto. Diciamo che siamo ciclisticamente compatibili: ci piacevano le classiche prima di tutto, poi avevamo le stesse idee sulla gestione delle gare, anche fisicamente essendo entrambi abbastanza possenti ci trovavamo bene a collaborare, io potevo tirarlo nelle volate evitandogli di prendere aria, potevo risolvere alcune situazioni in gruppo per fargli trovare la posizione più favorevole.

Ma ciclismo a parte?

Siamo simili anche nella vita, abbiamo una mentalità da velocisti. Io dico sempre che un velocista e uno scalatore sono molto diversi non solo in gara, ma anche come approccio alla stessa quotidianità. A me e Peter piace la stessa musica, cii troviamo d’accordo su molte cose. Non su tutto, abbiamo avuto anche noi i nostri confronti, ma in un’amicizia ci stanno. Un amico è anche chi al momento che serve ti mette davanti alla realtà nuda e cruda e noi l’abbiamo sempre fatto. Ma c’è anche altro…

Lo slovacco con Oss, suo compagno per tanti anni, cementando un’amicizia profonda
Lo slovacco con Oss, suo compagno per tanti anni, cementando un’amicizia profonda
Che cosa?

Abbiamo sempre cercato di sdrammatizzare. Il ciclismo è importante, è il nostro lavoro, ma in fin dei conti è una gara, finita quella ce ne sarà un’altra, quindi diamo il giusto valore a vittorie e sconfitte. Questo non significa non essere professionali, anzi. C’era il momento per scherzare e il momento per applicarsi con tutto se stesso, su questo Peter è sempre stato molto intransigente, ma cercavamo di affrontare tutto col sorriso, non per niente il suo motto è sempre stato “why so serious?”.

La sensazione è che il suo modo di essere, forse anche guascone in certi frangenti, sia servito a cambiare il ciclismo, che oggi è profondamente diverso da quello dei vostri inizi…

La sua filosofia positiva è sicuramente servita. Prima si parlava solo di ciclismo eroico, con stereotipi vecchi e che non erano più legati così strettamente all’attualità. Noi abbiamo dato un segno di cambiamento. Sagan ha capito che si poteva essere al top dando un’immagine diversa, d’altro canto ha subito intuito di essere un personaggio che faceva breccia, sia esteticamente che con il suo fare. Questo ha contribuito a dare una svolta, a mostrare l’immagine di gente che non solo fatica, ma si diverte anche.

Sagan è stato iridato junior di mtb, disciplina nella quale meglio esprime la sua estrosità
Sagan è stato iridato junior di mtb, disciplina nella quale meglio esprime la sua estrosità
Quanto hanno contribuito i social in tutto ciò?

Enormemente, sono stati lo strumento, ma è stato bravo lui a saperli usare nel modo giusto. La gente vedeva gli spot, i suoi passaggi in tv mai banali, magari sempre con qualche battuta. E’ sempre stato una star, ma Sagan ha anche saputo usare i social per dare risalto a chi era con lui: sponsor, collaboratori, compagni, anche particolari vicende. Poi però il ciclismo ha preso una via sua, diversa da quella che intendiamo noi.

In che senso?

Molti uniscono Sagan alle generazioni attuali, ma non è così. Oggi c’è una concentrazione massima, una pressione enorme, quel disincanto è andato un po’ perdendosi nei campioni di oggi, quasi meccanici nel loro agire. E’ una metodica portata allo stremo a scapito di quella goliardia che faceva bene a questo sport. Forse Pogacar con la sua leggerezza nell’affrontare ogni gara, magari anche col proposito di vincere sempre è quello più vicino al suo e nostro modo di essere.

L’ultimo dei mondiali vinti da Sagan, nel 2017 battendo in volata Kristoff
L’ultimo dei mondiali vinti da Sagan, nel 2017 battendo in volata Kristoff
C’è però da chiedersi se questi suoi ultimi anni, soprattutto il periodo alla TotalEnegies, li abbia vissuti con la consapevolezza di un lento tramonto agonistico…

Tutti sappiamo che prima o poi si va verso la fine di questa bellissima parentesi che però è sempre tale. Sagan è stato per almeno una dozzina d’anni sulla cresta dell’onda, i campioni di oggi, i Van Aert e Van Der Poel li ha battuti. E’ attraverso di lui che il ciclismo ha vissuto un cambio generazionale. E’ un decorso naturale, che porta il fisico a non dare più le risposte di prima ma anche al venir meno delle motivazioni. Peter non si è mai tirato indietro, non ha mai smesso di onorare i contratti che firmava, l’impegno è sempre stato massimo, ma certamente non poteva più garantire i risultati di prima.

Fa un certo effetto vedere che nella sua ultima gara, il Tour de Vendée, abbia tirato la volata a Dujardin…

Io ci vedo qualcosa di romantico, è una bella immagine. Sagan si è sempre fatto in quattro per gli altri, il suo gesto è un po’ un passaggio di consegne verso le nuove generazioni, ma fa parte del suo essere. Non potrò mai dimenticare il mondiale del 2018, quando si presentò sul palco davanti a Valverde che aveva vinto per stringergli la mano: «Te la presto – riferendosi alla maglia – ricordati che la rivoglio indietro». E’ un personaggio sempre, che sa anche darsi alla gente. Non ricordo un posto dove siamo stati, nel mondo intero, dove qualcuno non sia venuto per un autografo, un selfie, un semplice saluto e lui non dice mai di no.

L’immagine del bellissimo post che l’Uci ha pubblicato per riassumere la lunga carriera di Sagan
L’immagine del bellissimo post che l’Uci ha pubblicato per riassumere la lunga carriera di Sagan
La vostra è un’amicizia che va al di là del ciclismo?

Sicuramente, conosco tutti i suoi fratelli, la famiglia. Abitiamo molto lontani, lui si divide fra Montecarlo e Zilina, la sua città. Poi sinceramente quando condividi una stagione intera, stesse strade, stesse camere d’hotel, quando stacchi vuoi stare con la tua famiglia. Ora magari avremo occasione per vederci fuori corsa, magari condividere qualche vacanza con le nostre famiglie. La nostra amicizia rimarrà al di fuori del ciclismo e magari neanche ne parleremo più.

Pro’ e amatori, da Santini si lavora alle divise del 2024

06.10.2023
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Il mercato dei corridori è ancora nel vivo e mai come quest’anno si attendono novità roboanti. E’ la fase della stagione in cui le aziende iniziano a lavorare su tutto ciò che deve essere personalizzato, dalle bici alle scarpe, passando per l’abbigliamento. Di solito il primo fitting per il vestiario si far proprio nei giorni successivi al Lombardia, quando gli atleti sono ancora in buona forma e non portano con sé i (pochi) chili di troppo che di solito arrivano con le vacanze. Ma se questo è un momento ad alta intensità nel mondo dei professionisti, è chiaro che i fatturati si fanno con gli amatori. Ed è così che parlando con Stefano Devicenzi di Santini viene fuori che in questi stessi giorni i team di persone… comuni si fanno avanti per creare il kit della prossima stagione. Loro sono quelli che traggono i benefici maggiori dal grande lavoro dell’azienda bergamasca con i professionisti, potendo scegliere fra le soluzioni che sono state sviluppate con i campioni.

Stefano Devicenzi, a destra. Si può arrivare con una propria idea di grafica o affidarsi ai designer di Santini
Stefano Devicenzi, a destra. Si può arrivare con una propria idea di grafica o affidarsi ai designer di Santini
Insomma Stefano, par di capire che realizzate il meglio per le squadre professionistiche, ma il grosso del pubblico è quello che poi acquista i capi nei negozi oppure online?

E’ proprio così. Realizziamo maglie e kit su misura per i più grandi nomi del professionismo, sia nel triathlon sia nel ciclismo. Però la nostra produzione, sia la collezione sia quella custom, è rivolta anche ad altri utilizzatori della bicicletta. L’appassionato che partecipa a una gran fondo o semplicemente pedala per passione e magari ha piacere anche di avere una divisa specifica da usare con i propri amici. Quindi è vero: realizziamo le divise delle squadre amatoriali, che in realtà sono anche gruppi di amici orgogliosi di avere un’immagine che li identifichi quando sono insieme a pedalare.

E’ la clientela vera che gode delle soluzioni messe a punto per i professionisti?

Tutto quello che realizziamo per i team è a disposizione degli utenti finali. Di solito il professionista utilizza in anteprima materiali che non sono ancora disponibili, proprio perché è un banco di prova. Però il passo successivo è offrire il meglio a livello di tecnicità al cliente finale, che a quel punto, dopo i test delle corse, può usufruire delle stesse performance.

Qual è la prassi per un team amatoriale o un gruppo di amici? Si viene qui da Santini, oppure ci si può rivolgere a un rivenditore?

Possono andare da un rivenditore, che li metterà in contatto con l’agente di riferimento. Però nella stragrande maggioranza dei casi, si rivolgono direttamente a noi, spesso scrivendoci, e dal primo contatto si inizia a sviluppare il progetto. Non ci sono altri intermediari. Ci arriva la richiesta e iniziamo a lavorare con i referenti della squadra, in modo da capire quali siano le loro esigenze, sia tecniche sia di design. Abbiamo la possibilità di realizzare internamente il disegno senza rivolgersi a esternamente. Il processo di realizzazione inizia così.

E’ questo il momento in cui tutto comincia?

La progettazione della divisa della stagione successiva, considerando l’anno solare, parte alla fine dell’anno in corso, quindi indicativamente tra fine ottobre e dicembre. Questo però non preclude il fatto di poter entrare in contatto e realizzare anche numeri ridotti di prodotti già all’interno della stagione. Potrebbe essere benissimo che tra gennaio e febbraio si abbiano i primi contatti e si possono realizzare i prodotti. Chiaramente la tempistica produttiva è più breve se si lavora durante l’inverno. Nella bella stagione la nostra produzione passa a 60-90 giorni, dipende dai volumi che abbiamo in quel momento.

L’amatore può scegliere anche i capi usati dai pro’?

C’è a disposizione tutta la gamma, cioè le maglie che utilizzano le squadre professionistiche come la Lidl-Trek e la Colpack-Ballan. Sono maglie disponibili anche per l’utente finale. Poi può esserci qualche accorgimento diverso per la squadra WorldTour, ma sono delle attenzioni riservate a loro. Spesso hanno necessità di un prodotto che copra le esigenze di una stagione agonistica, di un calendario molto impegnativo. Però di base tutti i prodotti sono a disposizione per l’acquisto.

Esiste un numero minimo di corridori da servire per poter fare la divisa sociale con voi?

Sono 15 pezzi, non è un numero grande. La nostra politica è quella di permettere anche a gruppi ristretti, non necessariamente società sportive, di avere la loro divisa. Magari sono in 8 e hanno bisogno di qualche divisa in più per esigenze o cambi taglia, ed ecco che con 15 pezzi possono avere la divisa coordinata.

Il team Colpak-Ballan veste Santini e così anche gli amatori che a gennaio erano in ritiro a Calpe con il team
Il team Colpak-Ballan veste Santini e così anche gli amatori che a gennaio erano in ritiro a Calpe con il team
Quando vi contattano, chiedono il materiale visto nel catalogo o vogliono i capi che hanno visto indossare ai pro’?

Non chiedono tanto il materiale visto ai professionisti, ma guardano il disegno delle maglie delle squadre, per provare a replicarlo. Per quanto riguarda invece il materiale, a prescindere dal disegno, lo valutano di persona. Nel momento del primo approccio, se è possibile vengono qui per vedere e toccare con mano le basi da cui partire, quali sono i prodotti su cui lavorare. Altrimenti vengono inviati dei kit perché siano consapevoli veramente della scelta. Altri ancora vengono anche con la grafica o con un’idea che noi, avendo un reparto design dedicato, adattiamo ai nostri modelli e ai nostri impianti.

Vi capita di fare lavorazioni su misura?

Abbiamo una scala taglie e per i non professionisti ci atteniamo a quella, rispettando gli aspetti tecnici dovuti al posizionamento dei loghi. Diciamo però che la customizzazione che può avere una squadra di professionisti non è possibile per tutti. Può capitare che magari si facciano piccoli interventi su maniche e gambe, ma è estremamente difficile da immaginare per una squadra amatoriale, soprattutto calcolando le tante richieste che ci arrivano ogni anno. Sarebbe impensabile farlo per tutti.

Una delle fasi più delicate è apporre i loghi sulle varie pezze di cui si compone la nuova maglia
Una delle fasi più delicate è apporre i loghi sulle varie pezze di cui si compone la nuova maglia
Il fondello è motivo di attenzione?

Il fondello è molto importante, ma non è sempre facile capirne la performance senza provarlo. Quindi spesso e volentieri, le squadre scelgono partendo dal prezzo. Poi a volte succede che cambiano idea e puntano al fondello migliore, perché nella fase in cui i prodotti vengono inviati per essere provati in bici e toccati con mano, ci si rende conto davvero se un fondello è sufficiente per le proprie necessità o serve qualcosa di diverso. I corridori sono corridori, a qualunque categoria appartengano. Giusto avere per tutti le stesse attenzioni.

Lombardia: avvicinamento e preparazione ideale con Bartoli

06.10.2023
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Era il 18 ottobre 2003 e Michele Bartoli conquistava il suo secondo Giro di Lombardia. Quell’anno si andava da Como a Bergamo, esattamente come sabato prossimo. I chilometri allora erano 249, stavolta saranno 238, ma i connotati di quel tracciato erano davvero simili a quello che sta per arrivare. Specie nella parte iniziale e in quella finale con lo strappo di Bergamo Alta.

Oggi Bartoli è un preparatore affermato e ci aiuta ad entrare nei segreti del tracciato del prossimo Giro di Lombardia anche da un punto di vista della prestazione.

Ottobre 2003 Bartoli (classe 1970) fa doppietta e dopo un anno rivince il Lombardia (immagine da video)
Ottobre 2003 Bartoli (classe 1970) fa doppietta e dopo un anno rivince il Lombardia (immagine da video)

Finali a confronto

Da Como Bergamo, dicevamo: 239 chilometri, 4.400 metri di dislivello. Si va da un ramo del Lago di Como all’altro. Si sale sul Ghisallo in avvio, ci si tiene sul filo dell’Alta Brianza e ci si sposta verso est superando nell’ordine le alture di: Roncola, Berbenno, Passo della Crocetta Dossena, Zambla Alta, Passo di Ganda (zona Selvino) e infine Bergamo Alta, prima di planare sulla città in pianura.

Il finale di Como dello scorso anno era più impegnativo, con due salite a ridosso dell’arrivo. Per contro, ed è la teoria di Giulio Ciccone (che purtroppo non vedremo al via), arrivando a Bergamo ci sono da affrontare salite più lunghe e regolari.

«Il percorso del Lombardia – dice Bartoli viene sempre selettivo. Io credo che vinceranno gli stessi che potevano vincere anche a Como. E lo dico non solo per le caratteristiche del percorso, ma perché gli atleti che possono vincere sono tutti veloci. Pogacar, Roglic… sono loro i favoriti numero uno».

«Salite più lunghe dice Ciccone: questa analisi ci sta benissimo, è vera, ma le cose non cambiano. Il Lombardia resta quello. Ci sono il Ghisallo, il Selvino, la Roncola. Forse quando vinsi io il Berbenno era più vicino al traguardo e il fatto che non ci sia potrebbe togliere una difficoltà. Ma come ripeto, cambia poco. L’ultima vera differenza si farà su Bergamo Alta e dopo 240 chilometri farà male».

La tattica

Il percorso del prossimo Lombardia, con salite più lunghe e regolari, inciderà non solo sulle prestazioni degli atleti, ma anche sull’andamento tattico della corsa. Una corsa che in teoria potrebbe essere più facile da controllare.

«Su un tracciato così – prosegue Bartoli – le squadre riescono ad organizzarsi meglio. E’ un po’ più facile per loro controllare la corsa rispetto a quando c’è il Sormano o più salite nel finale. Poi bisogna considerare che siamo a fine stagione: le forze sono contate e non è detto che qualcuno non possa fare una sorpresa o che un attacco non possa andare più avanti e risultare più incisivo del previsto. Succede poche volte, ma succede».

Energie al lumicino, dunque, tuttavia viene da chiedersi se nel ciclismo attuale in cui ogni aspetto è calibrato si arrivi ancora con le energie contate. Anche in questo caso Bartoli fa delle precisioni importanti.

«Che in generale ci si arrivi meglio è vero – spiega il toscano – ma questo discorso vale ancora. Chi più e chi meno, tutti hanno a che fare con le ultime risorse. Il fisico è stanco e per me riesce a fare la differenza chi gestisce meglio questo avvicinamento. Chi riuscirà a conservare qualcosa in più. E se in questa fase vincono sempre gli stessi è anche perché sono più bravi anche a gestire le energie.

«In questa fase della stagione non esiste più una prestazione, ma la reazione ad un’azione. E non a caso le tabelle di allenamento variano. E’ importante comunicare bene con se stessi. Oggi bastano 3 ore fatte male che ti mancano energie».

Pogacar ha vinto sia con l’arrivo a Bergamo (qui con Masnada mentre scatta proprio su Bergamo Alta) che con l’arrivo a Como
Pogacar ha vinto sia con l’arrivo a Bergamo (qui con Masnada mentre scatta proprio su Bergamo Alta) che con l’arrivo a Como

Preparazione al dettaglio

La corsa durerà circa sei ore. E’ prevedibile una selezione importante sul Passo di Ganda e quindi uno scatto, una fiammata decisiva verso Bergamo Alta. Fiammata che potrebbe decidere il vincitore o chi si giocherà l’ultimo Monumento dell’anno allo sprint.

Se dunque le energie sono contate, se Bergamo Alta sarà decisiva ed è uno strappo breve che non va oltre i 3 minuti di sforzo, come si deve fare per essere al top in quel preciso momento? Si fa un avvicinamento mirato? Preparare il finale di Como con Civiglio e San Fermo in successione prevede delle differenze?

«E’ chiaro che si devono fare degli aggiustamenti – spiega Bartoli – ma partiamo dal presupposto che le squadre devono far correre chi ha ancora energie. E questo già incide. Si personalizza qualcosa, ma non c’è una differenza sostanziale nella preparazione come per un Fiandre o una Liegi, in cui hai la necessità di allenarti su percorsi molto simili e riprodurre sforzi e stimoli analoghi. Non fai una volata in più perché l’arrivo di Bergamo è, sulla carta, più facile di quello di Como. Quando dico di aggiustamenti intendo, come ho detto prima, della gestione dell’avvicinamento.

«Per esempio, per chi ha corso all’Emilia in questa settimana è importante il recupero, ma anche fare dei richiami di Vo2 Max. Non si può stare troppi giorni senza allenamento specie a fine stagione quando il fisico stanco tende a rallentare e a perdere con più facilità certi stimoli. Quindi si farà un po’ meno quantità, ma più qualità».

Argentin, la (sua) dura verità sull’AIR 2023 cancellata

05.10.2023
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ROMA – La verità di Argentin prende definitivamente forma attorno alle 13,30. Arriva dopo due ore di spiegazioni e ipotesi, nella conferenza stampa che si è svolta nell’Hotel Albergo Senato, affacciato sul Pantheon e un mare di turisti. Ha preso prima la parola l’avvocato Fiorenzo Alessi, che assiste Moreno nella spinosa vicenda della cancellazione della Adriatica Ionica Race a meno di 24 ore dal suo inizio. Poi è toccato al veneziano, che ha parlato con vigore e calore, a tratti ha tradito la commozione, ma non ha mai abbassato lo sguardo. Nella sala, c’erano Gianni Bugno, Silvio Martinello, Renato Di Rocco e Mario Valentini.

Le panetterie di Corropoli avevano raddoppiato la produzione, il Comune aveva organizzato una festa
Le panetterie di Corropoli avevano raddoppiato la produzione, il Comune aveva organizzato una festa

Sparita dai calendari

Quella che leggerete è chiaramente la versione dei fatti di Argentin, ricostruita secondo i suoi presupposti e raccontata con la consapevolezza delle responsabilità che ciò comporta. Il Commissario della Lega e il Presidente Dagnoni avranno diritto alla replica per fare luce su eventuali aspetti mancanti. In ogni caso, quello che abbiamo sentito e letto (sono tante le carte fornite a supporto delle parole) conferma la sensazione di quei giorni: è stata e resta una brutta storia.

«Ho scritto una mail a David Lappartient, presidente dell’UCI – dice Argentin – che mi ha risposto dopo due giorni. Gli chiedevo notizie sulla possibilità che la corsa torni nel 2024 e lui ha risposto che la Adriatica Ionica Race non è fra le corse che la Federazione Ciclistica Italiana e la Lega del Ciclismo Professionistico hanno inviato all’UCI. Certe cose si decidono nelle riunioni del CCP, che però non si è riunito a Glasgow, ma prima. Verrebbe da pensare che la corsa avesse già sopra un bollo rosso. E il membro italiano del CCP è Cordiano Dagnoni».

Il presidente Lappartient ha confermato ad Argentin che la Adriatica Ionica Race non si terrà nel 2024
Il presidente Lappartient ha confermato ad Argentin che la Adriatica Ionica Race non si terrà nel 2024

Scarsa collaborazione

L’avvocato parte raccontando di una mail arrivata proprio oggi a tutti gli associati della Lega. Non si tratta di una coincidenza: la data e l’orario della conferenza stampa erano noti da tempo. Vi si legge una ricostruzione preventiva dei fatti, quasi a voler tenere il punto in attesa di ascoltare le parole di Argentin, diffuse anche in streaming.

Malgrado quello che si dice nella lettera, l’avvocato Alessi racconta che nei giorni che hanno condotto alla cancellazione della gara non ha visto da parte della Lega alcuna collaborazione, mentre asserisce che dal suo punto di vista prende piede la sensazione che si sia voluto stroncare la manifestazione. Nel raccontare quelle ore convulse, racconta di aver avuto a che fare sempre con Marcel Vulpis, incaricato dalla Lega di verificare che la ASD Sportunion rispettasse tutti gli adempimenti.

La prima ricostruzione è venuta dall’avvocato, a seguire ha preso la parola Argentin
La prima ricostruzione è venuta dall’avvocato, a seguire ha preso la parola Argentin

La scorta tecnica

Uno dei motivi per cui la corsa non avrebbe potuto disputarsi era l’assenza della Scorta Tecnica. Non essendo stata pagata per il 2022, la Polizia non sarebbe stata presente. L’avvocato spiega che la richiesta del Commissario Eugenio Amorosa voleva la regolarizzazione del pregresso e la stipula di una garanzia assicurativa prima della partenza. L’assenza di Argentin nel giorno di Corropoli sarebbe stata dovuta proprio all’attesa della documentazione da parte di Generali, arrivata proprio il 21 settembre. Il pagamento delle spettanze 2022 della Scorta tecnica, stando alle carte fornite, è stato effettuato il 18 settembre.

«Moreno Argentin – dice l’avvocato Alessi – ha pagato nei tempi previsti. Nelle telefonate della tarda serata del 20 settembre, il dottor Vulpis diceva di voler salvare la corsa. Viene richiesto che Argentin si impegni a garantire in prima persona la copertura dei costi. Abbiamo redatto un comunicato, che è stato dettato dallo stesso Vulpis e poi condiviso da me, perché la manifestazione si svolgesse. Ci hanno sollecitato la sua diffusione. Perché perdere tempo a farlo e richiedere che venisse pubblicato, se l’annullamento della gara porta la data del 20 settembre alle 19?».

Questa la polizza delle Generali stipulata a tutela della scorta della Polizia Stradale
Questa la polizza delle Generali stipulata a tutela della scorta della Polizia Stradale

La sicurezza

Un altro dei motivi indicato dalla Lega come “criticità” è la mancanza delle condizioni di sicurezza, emerse da un incontro che si sarebbe tenuto alla Prefettura de L’Aquila (confermato ad Argentin dalla Capo Scorta della Polizia, convocata per l’occasione) su richiesta della Lega: in presenza del Commissario e di Vulpis, ma non di Argentin.

«Non si è mai visto – dice l’avvocato – che due alti dirigenti si mettano in macchina e vadano in Prefettura a discutere di un tema così importante senza neppure avvisare l’organizzatore. Noi nel frattempo eravamo alle prese con il comunicato e la richiesta di farne uscire un altro in cui si comunicava alle squadre che la corsa si sarebbe fatta, per arginare la loro voglia di tornare a casa. Invece lo stesso Vulpis ci ha impedito di farlo, dicendo di non procedere con iniziative differenti da quelle concordate».

Martinello, presente a Corropoli, ha lodato la gestione dell’emergenza da parte dello staff di Argentin
Martinello, presente a Corropoli, ha lodato la gestione dell’emergenza da parte dello staff di Argentin

La Prefettura dell’Aquila

A questo punto, la domanda arriva spontanea: perché mai il commissario della Lega dovrebbe avercela con Argentin, al punto di boicottare la sua corsa?

«Da febbraio 2023 – spiega l’avvocato Alessi – Argentin è stato visto come un dissidente rispetto alla cessione dei diritti televisivi della sua gara e come lui un altro ex corridore veneto. A dicembre avevano dato disponibilità a lasciare che la Lega trattasse a nome loro, ma quando il 28 febbraio Argentin ha visto che non si facevano passi avanti, ha preferito sganciarsi e andare avanti da sé. E’ seguito un contraddittorio fra lui e il Commissario, sfociato in due segnalazioni a censura di Argentin davanti alla Procura Federale. La prima per aver definito Dagnoni “il gran burattinaio”, la seconda per atteggiamenti minacciosi durante un incontro con l’avvocato Di Cintio. La prima è stata archiviata, la seconda è ancora aperta. Moreno non è immune da difetti di intempestività nel suo agire. Si è fidato di persone che dichiaravano di voler tutelare l’attività ciclistica, invece è finita malamente. Per il ciclismo e per lui, che si troverà a fronteggiare le rivendicazioni di chi da questa storia ha avuto dei danni».

A Corropoli i direttori sportivi hanno atteso sino alla fine una decisione sulla corsa
A Corropoli i direttori sportivi hanno atteso sino alla fine una decisione sulla corsa

Pagamenti e ritardi

Argentin ha ascoltato e scalpitato e quando prende la parola, fa fatica a trattenersi. E se l’avvocato ha mostrato con il riscontro delle carte che i pagamenti sono stati fatti e che le condizioni richieste dalla Lega sono state esaudite, Moreno allarga lo spettro del dibattito.

«Non mi sono presentato a Corropoli – dice – perché ero a casa ad aspettare la fideiussione, con la valigia chiusa e l’auto pronta. Nel frattempo qualcuno ha messo in giro la voce che non si sarebbe corso, era stato già tutto deciso? Non avevamo problemi economici, come dimostra la comunicazione del rendiconto gestionale inviata il 25 agosto alla Lega. Non nascondo che nei primi tre anni di questa corsa, Lega e FCI hanno concesso delle proroghe. Ci sono stati ritardi, ma queste sono attività che vivono su fondi pubblici, per cui a garanzia finora era bastata l’erogazione del contributo, nell’attesa che i soldi arrivassero davvero.

«Quest’anno avevamo trovato un equilibrio economico, invece ci hanno tolto la soddisfazione di andare avanti e l’hanno negata ai territori. Mi sento di chiedere scusa a loro, alle persone che ci aspettavano. E mi sento anche di chiedere le dimissioni oltre che del Commissario Di Cintio, anche del presidente Dagnoni. Probabilmente avrà qualcuno che gli suggerisce di stare in disparte perché questo non lo riguarda, invece è lui che ha dato mandato alla Lega».

Bugno, critico a suo tempo su alcuni passaggi della gestione federale, si è detto d’accordo con Argentin
Bugno, critico a suo tempo su alcuni passaggi della gestione federale, si è detto d’accordo con Argentin

Vivo e lucido

Moreno si commuove, neppure dopo le vittorie più belle lo abbiamo visto così scosso. Parla di suo figlio che ha vissuto il tutto con attacchi di panico e di chi ha cancellato la corsa infischiandosene delle conseguenze.

«Forse qualcuno avrà voluto distruggere Argentin – dice – perché continuava a mettere tutto in discussione. Oltre ad avermi cancellato la corsa, ho perso anche la qualifica di associato alla Lega, non esisto più. Questo Commissario doveva riscrivere lo Statuto, non lavorare sull’attività, che invece compete al Consiglio Federale. Il fattore veramente decisivo sono stati i diritti televisivi. Hanno accompagnato alla porta PMG, che tutti noi dobbiamo ringraziare, e hanno venduto il Giro Donne a RCS, scrivendo un bando su misura. A quel punto sono spariti gli articoli sulle sponsorizzazioni irlandesi e le famose 5 domande a Dagnoni. Con altri organizzatori di cui conservo le deleghe e alcuni operatori della comunicazione, avevamo in ballo un pacchetto con 46 giorni di diretta, ma senza il Giro Donne è crollato tutto. La causa civile è stata comunicata alla Federazione e alla Lega, ci sono avvocati che studiano. Volevano che firmassi un contratto in bianco, ma piuttosto dovrebbero uccidermi. Mi hanno solo ferito. Sono vivo e lucido di mente e voglio proprio che lo sappiano».

Un voto per il 2023 di Aleotti? «Non classificabile»

05.10.2023
5 min
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Gli abbiamo chiesto di dare un voto alla sua stagione. Giovanni Aleotti ci ha risposto con un “non classificabile”. Non per demeriti, ma per una serie di continui e singhiozzanti eventi sfortunati. Da inizio anno infatti, il classe ’99 emiliano ha dovuto fermarsi molteplici volte. Infortuni e intoppi sempre più o meno brevi, ma che hanno condizionato e obbligato a una rincorsa continua del risultato. 

Sabato è sfrecciato davanti ai nostri occhi sulle ripide pendenze del San Luca con convinzione e un ottimo colpo di pedale. Azione provata ai meno 20 chilometri dall’arrivo, neanche a dirlo neutralizzata da una foratura subita proprio sul punto più duro delle Orfanelle. Il suo triennale scade quest’anno, ma seppur non in maniera ufficiale Aleotti sa che potrà proseguire il suo cammino in Bora-Hansgrohe anche in futuro. Una squadra che lo sostiene e quando la condizione glielo permette dove riesce a trovare spazio per sfamare le proprie ambizioni.

Giovanni Aleotti quest’anno ha dovuto fare i conti con piccoli infortuni e Covid
Giovanni Aleotti quest’anno ha dovuto fare i conti con piccoli infortuni e Covid
Ti abbiamo visto sfrecciare prima nella discesa e poi nella salita del San Luca. Sembri aver trovato un buon colpo di pedale in questo finale di stagione?

Sto bene, la condizione è molto buona. Diciamo che manca il risultato che lo dimostra. Il Giro dell’Emilia per me è una corsa si può dire di casa. Conosco benissimo le strade, quindi mi sentivo bene e alla fine con un livello così alto la mia idea era quella di cercare di anticipare. All’entrata del pezzo più duro nelle due curve delle Orfanelle ho forato e ho cambiato la ruota, poi ho cambiato la bici nella discesa. Ho forato di nuovo sulla bici di scorta e sono anche caduto. Per fortuna senza farmi particolarmente male. 

Tripla sfortuna…

Sì, diciamo che questa corsa è stata l’emblema della stagione.

Che voto dai a questo tuo 2023?

E’ difficile dargli un voto. So di aver fatto tutto quello che potevo e più che altro ho passato tutto l’anno a combattere con la sfortuna. A partire da inizio stagione, da quando mi sono preso una bronchite in Oman a febbraio. Poi dovevo rientrare alla Coppi e Bartali e sono caduto in allenamento e mi sono aperto una mano e quindi sono stato fermo ancora. Sono tornato, ho fatto le Ardenne dove mi sono messo al servizio degli altri. Ho avuto un’infezione all’occhio. Poi sono andato al Giro, dopo cinque giorni ho preso il Covid. 

Aleotti ha dovuto abbandonare la Coppi e Bartali e cambiare i programmi per la ferita alla mano
Aleotti ha dovuto abbandonare la Coppi e Bartali e cambiare i programmi per la ferita alla mano
Il Covid ti ha lasciato un qualche strascico nella stagione?

In realtà non in modo particolare. Sono andato a casa che stavo malissimo. Sono partito nella tappa di Napoli che non lo avevo ancora, ma sentivo che c’era qualcosa che non andava. Ho sofferto tantissimo. Facevo fatica a stare attaccato al gruppetto, tanto che appena sono arrivato ancora prima di entrare sul bus mi sono isolato dalla squadra e il dottore mi ha fatto prendere precauzioni perché comunque erano sensazioni troppo brutte. La sera avevo la febbre a 40 ed ero distrutto, però nel giro di cinque o sei giorni mi sono ripreso.

Hai dovuto fare qualche riabilitazione, visita medica particolare prima di ripartire?

Noi abbiamo un protocollo interno della squadra, con lo staff medico che ci segue costantemente. Mi sono affidato a loro, mi hanno detto quali esami fare, dopo essere risultato negativo. Ho fatto quindi esami del sangue, visita medica, controlli al cuore e tutto quanto per ripartire con le precauzioni giuste.

Al Giro della Slovenia è riuscito a trovare una buona condizione chiudendo al quarto posto nella generale
Al Giro della Slovenia è riuscito a trovare una buona condizione chiudendo al quarto posto nella generale
Dopo il Giro sei riuscito a trovare un po’ di continuità?

Sì, sono andato allo Slovenia dove ho chiuso quarto in generale e ho centrato due top 10. In questo finale di stagione sto vedendo una buona forma. Anche in Canada comunque, specialmente a Montreal, sono riuscito sempre a stare davanti nonostante sia venuta fuori una corsa durissima. Mi manca sempre quella conferma del risultato che citavo prima.

Nonostante questi continui “stop and go” sei riuscito a non rimanere troppo indietro?

Sì e di questo sono contento. Non ho mai trovato difficoltà a ritornare in buona forma. L’aspetto più difficile è stato quello mentale. Fa male vedere tutti i sacrifici continuamente buttati non per colpa tua e non è facile ripartire ogni volta.

Ora però puoi dire la tua in questo finale di stagione…

Faccio ancora due corse qua in Italia, il Piemonte e il Lombardia. Dopodiché probabilmente andrò in Cina, quindi ancora qualche opportunità c’è.

Per il 2024 ci sono tutti i presupposti per vedere Aleotti in maglia Bora
Per il 2024 ci sono tutti i presupposti per vedere Aleotti in maglia Bora
Analizzando invece questo tuo terzo anno in Bora ti sei sempre sentito in fiducia?

Sì, specialmente nella prima parte di stagione, avendo avuto così tanti problemi. Ad esempio, sono andato per le corse nei Paesi Baschi con una condizione non all’altezza e chiaramente mi sono messo a disposizione della squadra. Così come alle Ardenne. Dallo Slovenia in avanti, passato il periodo del Tour de France dove non c’erano corse, ho sempre avuto il via libera per giocarmi le mie carte. Penso che alla fine ci siano anche delle dinamiche interne per le quali uno pian piano guadagna spazio quando inizia a dimostrare corsa, dopo corsa di stare bene. 

Le tue ambizioni per il futuro si sposano con quelle della Bora? 

E’ un momento in cui ci sono alcuni fenomeni che passano e sono competitivi subito a vent’anni. Però sì, io guardo me stesso e vedendo questi ultimi due mesi ho avuto la conferma di saper lavorare bene. Vedo una crescita nelle mie prestazioni e riesco ad essere consistente quando mi prefisso degli obiettivi. 

Per il 2024 il tuo cammino prosegue nella formazione tedesca?

Non è ufficiale, posso dire che io mi trovo bene e che da entrambi i lati c’è voglia di continuare insieme. 

Stuyven, Trek e il gravel: prove generali di integrazione

05.10.2023
4 min
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Jasper Stuyven, belga della Lidl-Trek che in carriera ha vinto una Sanremo, la Omloop Het Nieuwsblad e anche un Deutschland Tour, è il nuovo campione europeo gravel. Lo ha conquistato domenica scorsa in Belgio, battendo Merlier (11 vittorie su strada nel 2023) e Paul Voss, che da quando si è ritirato corre solo nella nuova disciplina.

Nella settimana che porta da un lato al Lombardia, dall’altro alla Parigi-Tours e al mondiale sugli sterrati, è palese che il gruppo dei professionisti si sia diviso. Gli scalatori si sono dati appuntamento al raduno di partenza di Como, i velocisti (fra cui Stuyven) a Chartes. A Pieve di Soligo si troveranno invece gli specialisti degli sterrati e facce note come Wout Van Aert, Alejandro Valverde e Peter Sagan. Le convocazioni azzurre non lasciano spazio a dubbi. Fra gli altri, troveremo Oss, Velasco e Alessandro De Marchi, mentre fra le donne Realini, Persico, Paladin e Bertizzolo.

Daniel Oss al centro fra i cittì Celestino e Pontoni. Lo scorso anno il trentino fu bronzo al mondiale
Daniel Oss al centro fra i cittì Celestino e Pontoni. Lo scorso anno il trentino fu bronzo al mondiale

Il punto con Trek

Quando lo scorso anno la rassegna iridata debuttò sulle strade del Vicentino, la considerazione di molti fu immediata. Non appena le aziende produttrici di bici si fossero accorte dell’impatto sul mercato, avrebbero spinto affinché i professionisti delle squadre che sponsorizzano venissero dirottati sulla nuova disciplina.

E’ stato così ad esempio che il Movistar Team, con il favore di Canyon, ha creato al suo interno un team gravel, per far correre l’impensionabile Valverde e Ivan Cortina. E allora ci siamo chiesti: che cosa ha rappresentato per Trek la vittoria di Stuyven agli europei di Oud-Heverlee? Ci ha risposto Jordan Roessingh, Direttore globale – Bici da strada e Project One.

Stuyven ha conquistato a Oud-Heverlee il primo europeo gravel. Domenica si corre il 2° mondiale
Stuyven ha conquistato a Oud-Heverlee il primo europeo gravel. Domenica si corre il 2° mondiale
Le vendite di biciclette gravel rappresentano una parte importante del mercato di Trek?

Sì, il gravel è diventato una parte molto significativa della nostra attività ed è cresciuto ogni anno da quando abbiamo lanciato il nostro primo modello, la Checkpoint.

Le competizioni gravel sono di interesse commerciale per Trek come azienda?

SÌ. Abbiamo sponsorizzato atleti che gareggiano in molte delle principali gare e sosteniamo anche diversi eventi gravel. Ad oggi, tuttavia, Trek non ha ancora organizzato dei propri eventi.

L’organizzazione dei campionati europei e mondiali è un’opportunità per Trek?

Certamente, la globalizzazione e l’aumento della professionalità nelle corse gravel sono cambiate radicalmente negli ultimi anni. Le gare gravel europee e UCI sono molto diverse dai più tradizionali eventi del Nord America, ma offrono comunque un’esperienza unica, che si abbina ad alcuni degli eventi più popolari che hanno dato il via al gravel. Non penso che questa sia un’opportunità soltanto per Trek, ma per i ciclisti e l’industria nel suo complesso, per far crescere una nuova disciplina nel ciclismo.

Questo il Trek Driftless Team in un video di inizio stagione
Le squadre sponsorizzate da Trek sono state sollecitate affinché agevolino la partecipazione degli atleti alle gare gravel?

Abbiamo uno specifico team di corse gravel, il Trek Driftless Team, che gareggia nei principali eventi gravel principalmente in Nord America. Occasionalmente abbiamo ciclisti di Lidl-Trek che partecipano a eventi in Europa. Jasper Stuyven, appunto, ha recentemente vinto i campionati europei, ma è principalmente una scelta che dipende da loro, senza molta, se non nessuna spinta da parte del team o di Trek.

Il Movistar Team ha formato una squadra per il gravel, potrebbe esserci la stessa intenzione per Trek?

Del Trek Driftless Team abbiamo già detto, mentre Lidl-Trek non ha un programma o piani specifici per il gravel. Questo significa che gli atleti gareggeranno occasionalmente negli eventi. Però sembrano divertirsi e riescono anche bene.

Sul podio dell’europeo, con Stuyven sono saliti Merlier e Paul Voss, che fino al 2016 correva nella Bora
Sul podio dell’europeo, con Stuyven sono saliti Merlier e Paul Voss, che fino al 2016 correva nella Bora
La vittoria di Stuyven agli Europei può diventare un’occasione di marketing? 

Sì, è stata certamente una grande vittoria e qualcosa che sfrutteremo per mostrare il coinvolgimento e il successo di Trek e per spingere le nostre piattaforme per bici gravel race come Checkpoint e Domane.

Il mercato del gravel interessa anche alle ragazze?

Penso che un attributo del gravel, che gli consentirà di crescere ancora, è quanto sia aperto per ciclisti di tutti i tipi. Non importa chi tu sia, negli eventi gravel c’è un posto anche per te

Il giro del mondo di Zanoncello, con una marea di punti

05.10.2023
5 min
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Quattro vittorie e 30 piazzamenti nelle prime 10 posizioni in 66 giorni di gara, per un totale di 325 punti Uci. Questi sono i numeri che riassumono la stagione di Enrico Zanoncello, dimostratosi un vero patrimonio per la Green Project-Bardiani-Csf-Faizané. Una stagione che per molti versi è diventata un giro del mondo, fra America, Europa, Asia.

Il corridore di Isola della Scala (stessa città di suo cugino Elia Viviani e della dinastia Minali, evidentemente da quelle parti le fibre muscolari sono veloci…) è appena tornato dal Tour de Langkawi e da una trasferta asiatica durata ben 23 giorni. Ancora un po’ frastornato ma nel complesso soddisfatto anche se la gara malese gli ha dato piazzamenti, anche la soddisfazione di indossare per un giorno la maglia di leader ma non l’agognata vittoria.

Al Tour de Langkawi i buoni piazzamenti gli sono valsi la testa della corsa
Al Tour de Langkawi i buoni piazzamenti gli sono valsi la testa della corsa

«E’ un po’ il segno di questa stagione – spiega – sicuramente molto positiva soprattutto se paragonata alla precedente, ma nella quale se mi guardo indietro scopro un bel po’ di occasioni perdute. Non posso certo lamentarmi, soprattutto pensando alle prospettive che avevo a inizio anno, accetto quel che è venuto e vado avanti».

Come ti sei trovato nella gara malese?

Una corsa lunga, ben 8 tappe, abbastanza adatta a noi velocisti, infatti ci sono state molte volate. La leadership in classifica il terzo giorno è stata abbastanza fortunosa, molti velocisti erano rimasti staccati e mi sono ritrovato in testa grazie alla costanza dei piazzamenti. Poi sono arrivate le tappe più dure, particolarmente la quinta che ha costruito la classifica finale, ma è chiaro che io puntavo alle tappe.

Lo sprint vincente di Jackson con Zanoncello evidentemente deluso
Lo sprint vincente di Jackson con Zanoncello evidentemente deluso
Proprio la terza tappa, quella della conquista della maglia di leader ti ha visto giungere secondo dietro il neozelandese George Jackson, ventitreenne del quale si dice un gran bene…

Avevo già visto su pista che era uno forte, ma forte davvero. Me lo sono ritrovato contro in Cina al Tour of Taihu Lake e poi anche in Malesia. Diciamo che mi ha un po’ rovinato la festa… E’ davvero un bel corridore, ha un grande picco di velocità che scaturisce proprio dalla sua esperienza nei velodromi. Io sono uno sprinter diverso, più esplosivo. Quel giorno ci siamo ritrovati a fare la volata in un gruppo di una quarantina di corridori, io probabilmente sono partito troppo presto.

I numeri sono lì a certificare il valore della tua stagione, ma tu sottolineavi come essa assuma ulteriori significati se paragonata alla precedente…

A dir la verità erano le ultime due ad avermi lasciato l’amaro in bocca. Non ero mai riuscito ad avere una stagione lineare, completa, sono incorso anche in due fratture della clavicola. Ogni volta che stavo per entrare in forma avveniva qualcosa. Quest’anno invece ho iniziato subito bene in Argentina: pur senza vincere sentivo che le gambe giravano, poi sono andato sempre migliorando. Certo, qualche sprint perso c’è stato, si poteva fare anche di più, ma sono soddisfatto.

A questo punto però non si sente la stanchezza di un’annata iniziata a gennaio e dall’altra parte dell’Atlantico?

Sicuramente, più di testa che fisicamente. Ho vissuto un’annata sempre in viaggio, mai più di 3-4 giorni consecutivi a casa, poi di nuovo valigia e bici in mano e via. In totale da allora avrò fatto 30 giorni a casa e ne sento davvero il bisogno. Anche l’ultima trasferta è stata lunga, ben 23 giorni fra Cina e Malesia, per fortuna con la squadra abbiamo formato un bel gruppo, nel quale c’è amicizia prima ancora che un rapporto di lavoro.

Oltretutto a 26 anni sei uno dei “vecchi” del gruppo…

Già sembra paradossale per me che due anni fa entravo in questo team in punta di piedi. Sono tutti davvero supergiovani, ma d’altro canto il progetto del team è quello, puntare molto sugli under 23.

Con il gruppo asiatico alla torre Petronas, da sinistra Zanoncello, Gabburo, Tarozzi, Scalco, Conforti , Covili
Con il gruppo asiatico alla torre Petronas, da sinistra Zanoncello, Gabburo, Tarozzi, Scalco, Conforti , Covili
Tu hai un treno specifico per pilotare le tue volate?

No, ci si regola in base alla corsa, alle sue caratteristiche, alla sua evoluzione, ma devo dire che tutti si sono sempre dati da fare per aiutarmi nelle volate. Anche per questo dico che c’è un bel clima in seno alla squadra.

Tu hai già la conferma per il prossimo anno?

Ne stiamo discutendo, nel contratto precedente avevo una clausola di riconferma. Io vorrei restare, almeno altri due anni per proseguire nel mio cammino di crescita. Ne parleremo a fine stagione, mi aspettano ancora le prove venete, con la chiusura alla Serenissima Gravel.

I successi lo stanno facendo conoscere anche al grande pubblico e agli addetti ai lavori stranieri
I successi lo stanno facendo conoscere anche al grande pubblico e agli addetti ai lavori stranieri
Il tuo calendario, dopo una stagione così importante, sarà dello stesso tipo, quindi incentrato sulle corse a tappe?

Quella era l’impostazione della quale avevo bisogno quest’anno, partendo praticamente da zero. Ora spero che il livello si alzi, che ci siano altri tipi di corse, anche con una concorrenza più qualificata, con qualche classica d’un giorno nella quale andare a caccia del bersaglio grosso.

Zanatta sicuro: Sagan fenomeno 10 anni prima di Remco

05.10.2023
9 min
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Come Evenepoel e forse anche meglio, ma dieci anni prima, Peter Sagan è stato l’esempio della carriera di un giovane fenomeno cresciuto con regole meno affrettate rispetto ad altri. Lo slovacco, che al Tour de Vendee di domenica scorsa ha disputato l’ultima gara da pro’, probabilmente non era consapevole di poter diventare così importante. Quando si è affacciato sul mondo del ciclismo professionistico, forse non sapeva neppure dove fosse.

Zanatta e Sagan, qui alla partenza del Tour 2013, hanno lavorato assieme sin dal passaggio di Peter nel 2010
Zanatta e Sagan, qui alla partenza del Tour 2013, hanno lavorato assieme sin dal passaggio di Peter nel 2010

Parola a Zanatta

Ciascuno di noi abbia avuto la fortuna di vivere Peter da vicino può raccontare aneddoti a non finire. Ma se c’è uno che l’ha visto arrivare e crescere e si è stupito per il portento, quello è Stefano Zanatta, che di giovani se ne intende e della Liquigas di allora era il direttore sportivo. Il trevigiano è a casa con una punta di influenza, ma non si sottrae al racconto.

«Peter arrivò come un fulmine a ciel sereno – racconta – lo prendemmo perché aveva fatto bene nel cross e poi nel 2008 aveva vinto i mondiali juniores di mountain bike in Val di Sole. Su strada sembrava quasi che non corresse, però cominciai a prendere informazioni. Venti giorni dopo quel mondiale, andò al Lunigiana e vinse l’ultima tappa. Allora chiesi se per tornare vero la Slovacchia sarebbe passato di qui. Mi dissero che sarebbe andato a una corsa in Istria e lì vinse due tappe e la classifica. La settimana dopo, ai mondiali di Varese, mi incontrai con il suo manager. Gli proposi di venire con noi, inizialmente fra i dilettanti, perché era un bel corridorino, ma non sembrava che avesse tutte queste potenzialità…».

In pista a Montichiari per lavorare sulla posizione. Sembra un bimbo al luna park
In pista a Montichiari per lavorare sulla posizione. Sembra un bimbo al luna park
Invece?

Arrivò al primo ritiro con gli under 23, eravamo a Cecina alla Buca del Gatto. Li seguiva Biagio Conte e Peter in teoria a casa non aveva la bici da strada. Gliela avevamo data tre giorni prima e dopo i primi due giorni andarono a fare distanza. C’erano Viviani e Cimolai, entrambi neoprofessionisti, che dovevano partire forte. Era gente che da noi vinceva le corse e tornarono dicendo che questo qui a un certo punto aveva accelerato e li aveva lasciati lì. Biagio era convinto che a casa si fosse allenato, così andai a chiederglielo, ma lui confermò di aver fatto solo un po’ di cross e di mountain bike e tante camminate in montagna. Così ci rendemmo conto che fosse uno fuori dal comune.

Basso raccontò che la sua molla erano le difficoltà economiche della famiglia.

Lui era forte, ma sicuramente viveva in un paese dove la situazione familiare era un po’ incerta. Aveva quattro fratelli e questi ragazzini si divertivano ad andare fuori in bicicletta. Quel primo anno, ero al Giro di Polonia e un giorno me lo vidi arrivare in hotel. Era a casa e si presentò la sera alle sei avendo fatto 100 chilometri per arrivare e altri 100 ne avrebbe fatti per tornare. Era venuto con suo fratello e due amici per vedere la tappa. Non conosceva il ciclismo, quello era uno dei primi contatti.

Prima vittoria da pro’ nel 2010: 3ª tappa della Parigi-Nizza ad Aurillac. Batte Rodriguez e Roche
Prima vittoria da pro’ nel 2010: 3ª tappa della Parigi-Nizza ad Aurillac. Batte Rodriguez e Roche
In che senso non lo conosceva?

A parte il Tour e la Parigi-Roubaix, perché la nazionale l’aveva portato a fare la Roubaix juniores e lui era arrivato secondo, non sapeva nulla. Le altre corse gliele abbiamo insegnate noi. L’episodio al Tour Down Under del 2010 la dice lunga sul personaggio, anche se io non c’ero e il racconto di Dario Mariuzzo (uno dei tecnici della Liquigas, ndr) è da sbellicarsi dalle risate.

Cosa successe?

Il secondo giorno finì a terra e si fece male a un gomito, con un grosso taglio provocato da una corona, per cui gli misero 20 punti. Non era il Peter brillante di adesso, quando parlava alzava appena gli occhi. Il dottor Magni lo portò in ospedale e rimase con lui per tre ore. E quando ne uscirono, Peter gli disse: «Domani, io start». Magni cercava di farlo ragionare, dicendogli di dormirci sopra e il giorno dopo avrebbero valutato. Ma lui fu irremovibile: «Dottore, io domani start». E infatti ripartì e dopo tre giorni andò in fuga con Armstrong, Valverde e Cadel Evans. Tirò alla pari per tutto il tempo. E quando gli chiedemmo perché mai lo avesse fatto, visto il livello degli avversari, rispose: «Perché ero in fuga e chi va in fuga deve tirare». Era tutto da costruire, anche quando cominciammo a spiegargli che la Parigi-Nizza non era la Coppi e Bartali e ci sembrava strano dirglielo…

L’amicizia con Oss non si discute: qui dominano il Giro del Veneto 2010 e vince il trentino
L’amicizia con Oss non si discute: qui dominano il Giro del Veneto 2010 e vince il trentino
Però intanto alla Parigi-Nizza lo portaste e lui vinse la prima corsa da pro’…

In Francia ci andavamo tutti gli anni dal 2005 e avevamo vinto una sola tappa con Pellizotti, arriva questo e ne vince due: capite perché eravamo sorpresi? A quel punto cominciammo a tutelarci perché non ce lo portassero via e insieme pensammo a come fare per farlo crescere gradualmente. Ci eravamo resi conto che poteva veramente andare tanto in alto: la fortuna di avere una squadra forte alle spalle, gli avrebbe permesso di lavorare con calma. Altrimenti già quell’anno avremmo avuto la tentazione di portarlo alla Sanremo. Invece avevamo la squadra fatta per Bennati e a lui dicemmo che semmai l’avrebbe corsa l’anno dopo.

E’ stato difficile gestirlo così? Oggi si tende a buttarli subito dentro…

A noi sembrava logico fare così, perché la scuola che ho avuto era questa. Farli crescere un po’ alla volta, mentre adesso le teorie sono un po’ cambiate e quindi magari qualcuno preferisce avere tutto subito. Non so se sia meglio o peggio, dico che quella era la logica del momento: seguimmo lo stesso metodo di lavoro usato con Vincenzo (Nibali, ndr). Cioè portare i giovani a fare corse buone dove potessero esprimersi. Che senso aveva portarlo alla Sanremo perché tirasse per il Benna?

Nel 2010 aveva 20 anni tondi, ma non ha mai avuto le dichiarazioni altisonanti di Evenepoel…

Peter non ha mai avuto la mania, tra virgolette, di pensare di essere il più forte. Però ha sempre corso per vincere e il suo fisico gli permetteva di farlo, anche se gli allenamenti non erano perfetti e mangiava di tutto. Bastava che buttasse dentro, secondo lui il cibo era cibo. Poi ha cominciato a capire che ci sono delle regole, ma in quegli anni mi diceva che poteva vincere anche se mangiava solo una brioche. Era vero, ma non si potevano riscrivere le regole dell’allenamento perché lui era un’eccezione.

Si rendeva conto di essere così forte?

Secondo me nei primi anni no. Almeno fino al 2014, quando è andato via e ha cominciato a capire la gestione delle corse per spendere meno energie. Lui andava. Gli bastava salire in bici, pedalare, stare davanti e fare bagarre quando c’era da lottare. Non ti chiedeva mai quale fosse il punto giusto per attaccare, anche se ascoltava molto quello che gli consigliavamo.

Giocava anche nelle famose tappe del Tour vinte con un pizzico di… arroganza?

Quell’anno, era il 2012, si divertiva tanto. Andava veramente forte, ma è un fatto che dopo quella prima Parigi-Nizza ci dicemmo con gli altri tecnici che non avremmo più dovuto pensare di andare alle corse come facevamo prima. Bisognava cambiare modo di approccio alle gare e la disposizione in corsa. Perché Sagan ha portato la possibilità di fare nel ciclismo quello che nessuno aveva immaginato. Peter era avanti a tutti per il suo modo di pensare e di fare. Lo dicevamo nelle riunioni con Scirea, Volpi e Mariuzzo: «Ragazzi, non pensate di ragionare con Peter come per gli altri». Non aveva limiti. Per come andava in salita, avrebbe potuto vincere anche le corse a tappe più leggere, però mentalmente non riusciva a stare troppi giorni concentrato.

Peter ha sempre voluto attorno un gruppo solido di amici, da Oss a Viviani, Da Dalto e gli altri di quella Liquigas.

Quando è arrivato, non parlava tanto, magari per la lingua. Era più riservato, più cupo, ti guardava un po’ così. Invece dopo un po’ ha scoperto di far parte di un bel gruppo. Ha avuto un ottimo rapporto anche con Da Dalto, che nei primi anni lo andava a prendere, lo aiutava a fargli trovare i posti dove fare la spesa. L’ha fatto vivere come uno del posto. Poi con ragazzi come Oss e Viviani ha tirato fuori il suo spirito goliardico ed è nato il Peter che tutti conosciamo. Uno che in allenamento non stava mai fermo, era sempre fuori dalla sella anche quando facevamo 150 chilometri ed era sempre lì a fare scherzi e toccarli. Forse all’inizio si è sentito un po’ isolato in una squadra di italiani, quando poi è arrivato anche suo fratello, si è sciolto.

Ti è dispiaciuto che quel gruppo si sia sciolto?

Quando decise di andare via, mi aveva chiesto da gennaio se avessi piacere di andare con loro, seguendo il suo gruppo. Io però non me la sentii, perché comunque era la Liquigas e avevo un ottimo rapporto Roberto Amadio. Insomma, a gennaio non avrei mai pensato che ci lasciassero per strada, per cui ci siamo salutati come si fece con Vincenzo e con tanti altri. Peter ha fatto la sua strada e la mia indole non è mai stata quella di seguire un atleta, anche se a lui ero molto legato. E’ il corridore che sono andato a prendere quando aveva 18 anni e che è diventato grande davvero. Però è rimasto un ottimo rapporto. Se c’è qualcosa, risponde subito.

Quando ti sei accorto che la sua stella si stava offuscando, fermo restando che ha fatto 13 anni da pro’?

Non pensavo che avrebbe fatto una carriera così lunga. Uno che corre come lui anche per divertirsi, a un certo punto non trova più gli stimoli. Invece lui è stato bravo a tener ancora bene, a parte questi ultimi due anni. Il suo modo di correre è stato dispendioso, bisogna fare sempre più sacrifici e intanto arrivano i giovani. Dopo dieci anni di carriera, ti ritrovi in una situazione che non riconosci più. Secondo me, Peter ha smesso di divertirsi dopo il terzo mondiale consecutivo, quando arrivava uno e gli chiedeva una cosa, arrivava un altro e gliene chiedeva un’altra. E a quel punto ha un po’ mollato. Fisicamente ne aveva ancora far bene, però non era più Peter con la cattiveria di prima.