Quando il nutrizionista cambia squadra. L’esempio di Garabello

30.11.2023
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Giacomo Garabello è uno dei nutrizionisti più giovani del circus, ma anche uno dei più preparati. Sino a quest’anno era in forza all’Astana-Qazaqstan, dalla prossima stagione invece passerà nella fila della Bora-Hansgrohe, una delle squadre che più si è rinforzata. Anche a livello di staff.

Il ruolo del nutrizionista ormai assume sempre maggiore importanza e in alcuni casi è davvero determinante. E proprio perché è un ruolo così delicato, viene da chiedersi in che modo si approcci al nuovo team e alle sue esigenze. In questo caso, è lo stesso Garabello a spiegarci cosa ha dovuto fare al passaggio fra il team kazako e quello tedesco.

Garabello (1996) al lavoro tra tabelle e schede alimentari
Garabello (1996) al lavoro tra tabelle e schede alimentari
Giacomo, come detto, rivesti un ruolo molto particolare ed importante e stai cambiando squadra. Come funziona: si entra “in punta di piedi” o si fa una rivoluzione?

Premesso che non posso parlare per tutti, ma per me, dico che la prima cosa che faccio quando cambio squadra o arrivo in un nuovo team è quella di raccogliere informazioni. Devo subito capire quali sono le variabili più importanti e conoscere l’ambiente della gestione performance. In Bora, per esempio, siamo tre nutrizionisti e in cinque dello staff performance, quindi prima di arrivare al singolo corridore devo capire nel suo insieme la gestione complessiva della performance.

Quindi nessuna rivoluzione…

Esatto, nessuna rivoluzione. Cerco di capire la filosofia e il metodo di lavoro del nuovo gruppo. Poi inizia la parte pratica. Cioè il lavoro con gli atleti e magari il confronto faccia a faccia con ognuno di loro.

Il primo contatto con i nuovi ragazzi avviene in occasione dei primi training camp?

Anche prima. Voglio scoprire le abitudini del corridore e anche del suo preparatore. In base a come lavorano, cerco d’individuare l’approccio più adeguato per il tipo di atleta.

Il monitoraggio del nutrizionista parte dalla colazione
Il monitoraggio del nutrizionista parte dalla colazione
Hai notato grosse differenze “filosofiche” con l’Astana-Qazaqstan?

Grosse differenze non ce ne sono, in quanto i concetti da applicare sono gli stessi, dalla Jumbo-Visma alla Ineos Grenadiers, dall’Astana alla Bora… Gli aggiornamenti scientifici di alimentazione e supplementazione sono alla portata di tutti, la differenza sta nel “team dietro al team” che mette in atto questi concetti. Bisogna pensare che tra noi nutrizionisti in gruppo parliamo molto, alla fine l’obiettivo è comune: lo sviluppo.

Giacomo abbiamo parlato degli approcci da un punto di vista più ”filosofico” e invece a livello pratico cosa cambia quando si va in un nuovo team? Non so, quante ore lavorate. Quali sono i passaggi del tuo mestiere…

Credo che sia impossibile quantificare le ore di lavoro. E questo sì che lo dico a nome di tutti i nutrizionisti! Non solo perché sono molte, ma perché si va avanti a seconda dei casi, delle situazioni, dell’arrivare ad una conclusione che soddisfi. Poi è necessario far arrivare ai corridori un messaggio comune, che arriva dall’intero staff della performance e puntare su quello. Traducendo tutto questo nella realtà, vuol dire che prima di arrivare ai colloqui faccia a faccia si deve avere chiaro un metodo, un piano di lavoro. Per questo il primo contatto con i ragazzi arriva prima dei ritiri. Dal momento che sono atleti che non conosco, sin da ora cerco di capire le loro abitudini. E in base a ciò che il corridore mi dice e in base ai primi contatti diretti, faccio io la mia proposta.

Come acquisisci i dati?

Faccio fare ai ragazzi una descrizione della loro giornata di allenamento. Adesso per esempio che si fanno le prime sedute di preparazione voglio sapere come si regolano. A quel punto saprò se dovrò fare una proposta di adeguamento o se invece quel corridore va già molto bene. Ricordiamoci che parliamo di professionisti esperti e tutti hanno già una buona base. Qualcuno, come detto, deve adeguarsi. Con altri che magari già fanno le cose per bene s’interviene “sullo 0,1 per cento”, cioè sul dettaglio minimo.

Bora produce cucine: il motorhome dedicato alla cucina del team tedesco è stato… spaziale sin dai primi anni
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Come raccogli questi feedback? Hai delle schede? Dei moduli?

Più che delle schede alimentari faccio fare un diario. Un diario sulla base di un determinato allenamento. Per esempio se l’atleta fa la distanza, acquisisco il diario della sua giornata alimentare. Se fa una distanza con i lavori, acquisisco il diario di quella giornata.

Quanti atleti segui?

Siamo tre nutrizionisti e quindi un terzo del team, vale a dire 9-10 atleti. 

E tra questi c’è anche Roglic?

No, lui no…

Giacomo, sei passato da un team kazako dalla forte impronta italiana ad uno tedesco: si nota il famoso approccio rigido, tipico dei tedeschi appunto?

Le squadre ormai sono tutte ben organizzate e quindi direi di no. Però se parliamo di struttura nel suo insieme, ho notato che ognuno sa di preciso cosa deve fare e tutti hanno la loro voce. Quindi se parliamo di una struttura solida, allora dico sì: c’è l’approccio tedesco.

Continental italiane: «Rimandare i ProTeam femminili»

30.11.2023
6 min
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La decisione dell’UCI di introdurre i ProTeam femminili dal 2025, in Italia sta già allineando il pensiero di tutte le continental. Nessun loro dirigente è favorevole, quantomeno per la poca chiarezza di un argomento particolarmente delicato ad un solo anno dall’entrata in vigore della riforma.

Al malumore e scetticismo suscitati ieri al nostro primo giro di opinioni, oggi fanno eco le parole di Massimo Ruffilli della GB Junior Team, Renato Pirrone della Mendelspeck e Matteo Ferrari dell’Aromitalia Basso Bikes Vaiano, gli altri tecnici che abbiamo interpellato. Requisiti economici minimi garantiti, fidejussioni bancarie, sponsor, calendario, atlete e organizzazioni sono alcune degli aspetti che toccheranno da vicino sia le nuove formazioni professional che le già esistenti continental (in apertura foto Spalletta). Andiamo a vedere il loro punto di vista.

L’UCI pensa alla nascita dei ProTeam femminili, ma nel WT si è appena concretizzata la fusione tra Jayco Alula e Liv Racing
L’UCI pensa alla nascita dei ProTeam femminili, ma nel WT si è appena concretizzata la fusione tra Jayco Alula e Liv Racing

Il pensiero della GB Junior Team

Esattamente un anno fa la GB Junior Team prendeva la licenza UCI per ampliare la propria visibilità attraverso la partecipazione al Giro Donne e tutto il resto del calendario nazionale. Uno sforzo oneroso non indifferente per la realtà di Massimo Ruffilli, che tuttavia ora rischia di non bastare più.

«Ve lo dico sinceramente – attacca il team manager lombardo – ma vedo brutta la situazione. Adesso tutto ruota attorno alle cifre obbligatorie pretese dall’UCI, che tendono a salire a fronte di un numero sempre uguale di sponsor. Stiamo facendo piccoli “grandi” passi per fare crescere le nostre ragazze. Quest’anno per la prima volta faremo un lungo ritiro in Spagna ad inizio 2024 perché ci hanno invitati nelle tre gare di Mallorca (nuove per il calendario femminile, ndr) e vogliamo farci trovare pronte. E’ una spesa che sosteniamo volentieri perché ci crediamo e perché per le nostre squadre la missione è quella di correre il Giro. Come il Tour per le francesi. Se però con la nuova riforma togli loro quella possibilità, allora per le continental ci sarà poco da fare».

Il Gb Junior Women ha preso la licenza UCI nel 2023, ma la nuova riforma dei ProTeam rischia di limitarne l’attività
Il Gb Junior Women ha preso la licenza UCI nel 2023, ma la nuova riforma dei ProTeam rischia di limitarne l’attività

«Al momento quella dell’UCI – conclude Ruffilli – sembra più una mossa politica che sportiva a favore dei piccoli team, ma credo che prima dovrebbero sistemare la nostra categoria. Anziché tassarci di ogni cosa, mi piacerebbe che l’UCI creasse un calendario ed un mercato per le continental ben regolamentati, anche in termini economici. O che magari potesse suggerire connubi tra professional maschili e continental femminili dello stesso Paese, benché sappia che è pura utopia. In ogni caso dovremo fare certe valutazioni, se si andrà verso una determinata direzione. Potrei anche pensare ad una fusione con un’altra continental, però il rovescio della medaglia sarebbe che delle atlete resterebbero a piedi. E quest’anno hanno smesso circa 40 ragazze, non si può continuare un trend simile».

Parola al Team Mendelspeck

Rispetto al GB Junior Team, la Mendelspeck ha acquisito la licenza UCI con un anno di anticipo, ad inizio 2021. Il team manager Renato Pirrone è nel ciclismo da tanti anni e si dimostra molto diplomatico nel valutare la possibile riforma che andrebbe a condizionare il suo lavoro.

«Anch’io sono in linea con i colleghi – analizza il dirigente di Laives – e penso che gli aspetti fondamentali saranno due: calendario e requisiti economici. Le continental continueranno a vivere solo se potranno fare un certo tipo di gare. Ad oggi le WorldTour possono correre sempre e ovunque, come al Liberazione che è una 1.2 (lo status più basso, ndr), anche se inizialmente la norma non doveva essere così. Un organizzatore per far alzare sempre di più il livello della propria corsa vuole sempre i top team, però non può e non potrà essere sempre così. In questi due anni non abbiamo fatto troppe polemiche per evitare di “giocarci” un invito per l’anno dopo, ma abbiamo dovuto accettare dei compromessi per partecipare ad alcune gare, anche di prestigio. Non è giusto nei confronti delle continental, specie se piccole o non ricche come le nostre».

Francesca Tommasi è appena passata dalla Mendelspeck alla BePink. Per il futuro qualcuno auspica un mercato regolamentato meglio (foto Ph Rosa)
Francesca Tommasi è appena passata dalla Mendelspeck alla BePink. Per il futuro qualcuno auspica un mercato regolamentato meglio (foto Ph Rosa)

«L’UCI è sempre molto veloce e solerte nel mandarti le sanzioni via email – chiude Pirrone – ma per questo caso non si sono preoccupati di avvisarci. Associazioni come l’ACCPI potrebbero intermediare con l’UCI per cose come queste. Tuttavia le ultime voci dicono che questa riforma la vogliano posticipare ad inizio 2027. Sarebbe la decisione più saggia, a patto che pongano certi parametri anche per le continental, per evitare che valga tutto a livello contrattuale come è stato finora. Nel frattempo noi avremmo la possibilità di fare certi piani con i nostri sponsor per progettare meglio il futuro».

Tutto libero. Attualmente le WorldTour partecipano anche alle gare di classe 2. Originariamente la regola era un’altra (foto Guillaume DirectVelo)
Tutto libero. Attualmente le WorldTour partecipano alle gare di classe 2, ma la regola era un’altra (foto Guillaume DirectVelo)

Il Vaiano in controtendenza

Una delle formazioni storiche del movimento italiano è l’Aromitalia Basso Bikes Vaiano che vuole essere preparata alla eventuale novità. Il diesse Matteo Ferrari, braccio destro del team manager Paolo Baldi, ha ben chiara la situazione che potrebbe delinearsi, tanto da essere l’unico un po’ più fiducioso di tutti malgrado tutto.

«Quando abbiamo saputo della notizia – spiega – abbiamo fatto un sondaggio generale tra i nostri sponsor, pur non avendo alcuna linea guida dall’UCI. Stiamo lavorando con l’idea di poter diventare ProTeam iniziando a fidelizzarci ancora di più con i nostri partner e fornitori, compreso quello delle bici che sarà nuovo e che potrebbe darci più stabilità economica. Comunque ci sarà da vedere la sostenibilità di questa riforma. Nel WorldTour abbiamo appena assistito alla fusione tra Jayco Alula e Liv Racing. Insomma, non proprio un bel segnale per volere un altro cambiamento, alla luce anche della chiusura o forte ridimensionamento in Spagna di Massì-Tactic, Sopela e Bizkaia (quest’ultima ha disputato gli ultimi 6 Giri Donne, ndr). Per me ritarderanno l’arrivo dei ProTeam sulla base di quante continental resteranno a fine 2024».

La leader della Aromitalia Vaiano è la lituana Rasa Leleivyte, che garantisce sempre un buon numero di punti UCI
La leader della Aromitalia Vaiano è la lituana Rasa Leleivyte, che garantisce sempre un buon numero di punti UCI

Fra le tante questioni ci sarebbe da riformulare un calendario puro per le continental, magari per la stagione che sta per iniziare ed in previsione della riforma. Nel 2023 tra le gare di classe 1 e 2, in Belgio ci sono state 22 gare, in Francia 16 mentre in Italia solo 5.

«Infatti – finisce Ferrari – io lascerei le corse con lo status minore alle continental e agli eventuali ProTeam, che a loro volta parteciperebbero alle gare WT e di classe Pro assieme alle WorldTour. Se poi resteranno posti liberi nelle corse WT, allora sarebbe discrezione degli organizzatori chiamare le continental che preferisce, auspicando che in Italia chiamino le italiane. Intanto però proprio in Italia quest’anno abbiamo affrontato un altro problema. Ci siamo già dovuti adeguare alla riforma dello sport per le società. Questo inciderà molto sui budget visto che ci saranno esborsi che prima non c’erano. Ora dobbiamo solo aspettare che l’UCI si faccia viva con noi, anche se è già in ritardo».

Eccessivo calore ai piedi, una sfida per aziende e corridori

30.11.2023
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Il calore che si genera tra scarpa ed estremità del corpo condiziona la prestazione e il benessere dell’atleta. Far abbassare la temperatura, mantenere una ventilazione costante ed avere un comfort ottimale sono gli obiettivi primari.

Affrontiamo l’argomento con Nicola Minali di DMT e con l’intervento di Luigi Bergamo di Q36.5. Inoltre abbiamo chiesto ad Elia Viviani, testimonial d’eccezione per DMT e tester che ha contribuito a sviluppare le calzature in knit dell’azienda veneta.

Elia Viviani usa le DMT KR0 con doppio Boa
Elia Viviani usa le DMT KR0 con doppio Boa

Il calore ai piedi fa male

Viviani è stato uno dei primi atleti ad indossare le scarpe con la tomaia in tessuto knit e ha contribuito in modo importante allo sviluppo di questa tipologia di calzature. «E’ un pignolo – come ci ha detto Minali – ma è in grado come pochi altri di dare dei feedback sul prodotto e riportare le sue idee, peraltro costruttive a favore del miglioramento».

«Il calore ai piedi è una delle cose che fa più male – dice Elia Viviani – ti condiziona e si cerca di trovare la soluzione perfetta. Con DMT abbiamo dato il via alla rivoluzione della tomaia utilizzando il tessuto Knit, a mio parere una sorta di gamechanger. Per abbattere il problema del calore eccessivo, si lavora principalmente in due direzioni. La scarpa ventilata e la qualità della calza. Le calze estive sono molto sottili e non piacciono a tutti, ma non accumulano calore».

Ogni calzatura passa prima da una bozza su carta (foto DMT)
Ogni calzatura passa prima da una bozza su carta (foto DMT)

Il calore, una sfida costante

Se DMT è stata la prima ad utilizzare il tessuto knit nell’ambito del ciclismo, Q36.5 ha fatto della ricerca sui materiali e della guerra al calore eccessivo i due punti fermi per abbigliamento e scarpe. Le due aziende adottano un approccio differente per le fasi di sviluppo e di valutazione della calzatura. Entriamo nel dettaglio.

L’eccessivo calore ai piedi; un problema che condiziona la performance?

BERGAMO (Q36.5): «Certamente, qualsivoglia eccesso o deficit di temperatura influisce in modo sostanziale nelle prestazioni e nel benessere fisiologico. Questo è il credo da cui è nato il nostro brand: cercare sempre di mantenere il perfetto equilibrio dell’organismo».

MINALI (DMT): «Certo è uno dei problemi contro i quali si combatte da sempre, tanto per l’estate, quanto per l’inverno o la stagione fredda in genere. Ma è anche una sfida e un punto di partenza da considerare quando si sviluppano nuove scarpe».

La difficile realizzazione della scarpa per il ciclista (foto DMT)
La difficile realizzazione della scarpa per il ciclista (foto DMT)
La problematica dei piedi bollenti è un tema che viene affrontato in fase di sviluppo di nuovi prodotti?

BERGAMO (Q36.5): «Tutto il processo di R&D di Q36.5 comprende un’attività di monitoraggio della temperatura, attraverso parametri scientifici standard, grazie a strumenti di rilevazione e con test empirici. Va inoltre specificato che, quando si parla di piedi bollenti, ci troviamo di fronte ad un’alterazione del sistema nervoso periferico conseguente a condizioni di estremo caldo ma altrettanto di estremo freddo. I nostri studi valutano entrambe».

MINALI (DMT): «In questo caso affermo con orgoglio che, da quando DMT ha virato completamente sull’utilizzo della tecnologia Knit, il problema della latenza del calore all’interno della calzatura è quasi scomparso. O meglio, abbiamo dato il via ad un nuovo modo di interpretare la calzatura per il ciclismo e tutto quello che riguarda il comfort, una ventilazione costante e anche l’abbinamento ottimale tra piede e tomaia. Inoltre si lavora anche sui punti di pressione. Credo che il processo evolutivo abbia ancora diversi margini di miglioramento e vedremo un ulteriore progresso in futuro. Inoltre è dovuta una precisazione: quando i corridori vanno sulle strade della Grande Boucle o corrono nei mesi estivi centrali, la temperatura dell’asfalto arriva a 50°C eed è difficile da combattere. Non è un semplice dettaglio».

Dietro ad una scarpa c’è molto da racontare (foto Q36.5)
Dietro ad una scarpa c’è molto da racontare (foto Q36.5)
Fate collimare ricerca e feedback degli atleti?

BERGAMO (Q36.5): «Tomaie e suole sono determinanti nella creazione di una scarpa che sia globalmente adattabile alle differenti conformazioni fisiche. Seguendo il principio dei “three points of contact” di Q36.5, siamo naturalmente molto attenti anche ad altri fattori quali solette e tipologia di chiusure che possono impattare in modo determinante. Naturalmente quando si portano questi concetti agli estremi, come nel caso degli atleti professionisti, si innesca un processo che porta a spingersi ad un livello di dettaglio estremamente più profondo».

MINALI (DMT): «Grazie ai feedback degli atleti cerchiamo di mettere in pratica alcune soluzioni, ma anche di fornire delle alternative, perché i corridori sono diversi. In Diamant il lavoro di modellismo che viene fatto è enorme. Ogni modello viene provato dai professionisti e poi viene riportato ad una produzione su larga scala. Ne è un esempio la calzatura con i lacci usata da Pogacar, quando ha vinto il primo Tour. Si trattava semplicemente di una prova e non era in produzione. Gli avevamo consegnato la calzatura poco tempo prima che andasse in Francia».

Tour 2020, Pogacar indossa le DMT con i lacci, allora un prototipo

Tour 2020, Pogacar indossa le DMT con i lacci, allora un prototipo
Calore eccessivo alle estremità del corpo, ci sono delle conseguenze?

BERGAMO (Q36.5): «Certamente, si parte da una semplice sensazione di fastidio, che rappresenta un elemento di stress e di distrazione da non sottovalutare quando si sta esprimendo un gesto atletico, sino ad arrivare a perdite di sensibilità che sono estremamente pericolose e penalizzanti».

MINALI (DMT): «Una volta si diceva che con il male ai piedi non si andava avanti. Molto è cambiato, nelle forme e nei materiali, nel modo di costruire le scarpe e fare bene quelle per i ciclisti non è facile. Ma il vecchio adagio rimane sempre valido ed attuale».

Avete notato delle correlazioni tra l’aumento della temperatura e la forma del piede?

BERGAMO (Q36.5): «Non c’è una correlazione diretta. La nostra esperienza ci porta piuttosto a considerare l’aumento della temperatura su tutte le parti terminali, mani e piedi, come una conseguenza di un non corretto scambio d’aria. Questo influisce sulla capacità del corpo di adattarsi al cambiamento del clima esterno o delle condizioni interne dovute alle dinamiche di corsa».

MINALI (DMT): «Non c’è un collegamento diretto tra i due fattori. Quello che abbiamo notato è un cambio radicale della forma dei piedi, che sono sempre più magri ed asciutti, quasi allungati. Sono sempre di più gli atleti che mostrano questa evoluzione».

Le suole in carbonio e l’utilizzo di alcune tipologie di plantari personalizzati influiscono sulla temperatura interna alla scarpa?

BERGAMO (Q36.5): «Sicuramente i materiali hanno una rilevanza fondamentale, ma è altrettanto evidente che ci sono alcuni elementi ormai divenuti imprescindibili per gli atleti, come la suola in carbonio o il plantare personalizzato. E’ nostro compito trovare il modo di renderli efficienti anche in termini di gestione del calore».

MINALI (DMT): «Certamente. Le suole in carbonio non dissipano calore e sono molto rigide. Questa rigidità, tanto richiesta dai corridori, ha un prezzo. Si traduce in microsfregamenti che generano attrito e calore. La stessa cosa vale per i plantari, anche se in questo caso è sempre necessario considerare il materiale di costruzione, ma di sicuro non aiutano a rinfrescare».

In che modo si può intervenire per mantenere uno stato di comfort ottimale anche durante la stagione più calda?

BERGAMO (Q36.5): «Estremo caldo o estremo freddo non sono molto diversi da condizioni di clima mite quando si parla di comfort. Il principio è quello di garantire al piede di essere correttamente inglobato dal sistema scarpa, suola/tomaia, per scongiurare e allontanare il più possibile fenomeni di alterazione del sistema nervoso periferico. Quando il piede si trova in una condizione di corretta trasmissione nervosa e affluenza sanguigna si scongiura qualsiasi forma di discomfort».

MINALI (DMT): «L’aria deve circolare costantemente. Il calore prodotto dal piede, il vapore ed il sudore non devono bagnare la tomaia e devono uscire. Ovviamente si parla di materiali che lo rendono possibile e mi rifaccio allo Knit. Poi si può parlare di forme e delle soggettività degli atleti, ma una ventilazione costante dell’estremità corporea non deve essere sacrificata. Questa affermazione è valida per la stagione estiva, ma anche nel corso di quella fredda, perché una tomaia che non si inzuppa di sudore non si raffredda e non fa ghiacciare i piedi».

Romele ringrazia la Colpack e passa al Devo Team Astana

30.11.2023
4 min
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Le vacanze dei corridori non sono tutte uguali, c’è chi parte per mete esotiche e chi, al contrario, preferisce restare a casa. Alessandro Romele appartiene al secondo gruppo (foto di apertura NB Srl). Una pausa nei luoghi che conosce come le proprie tasche e qualche gita in giornata è un bel modo per ricaricare le pile.

«Quest’anno con la Colpack-Ballan – dice Romele – abbiamo viaggiato tanto per andare a tutte le gare in programma. E’ stata una fatica anche questa e non essendo troppo abituato ho preferito non partire di nuovo e riposarmi qui a casa mia. Ho fatto qualche gita in montagna, delle uscite in macchina e le giornate sono passate comunque velocemente».

Una delle esperienze più importanti, anche a detta dello stesso Romele, è stata la Paris-Roubaix Espoirs
Una delle esperienze più importanti, anche a detta dello stesso Romele, è stata la Paris-Roubaix Espoirs

L’Europa a tutto tondo

La sua seconda stagione da under 23 gli ha fatto fare un salto di qualità importante, tanto che anche dai piani alti del ciclismo se ne sono accorti. E’ arrivata così anche la chiamata dall’Astana Qazaqstan, dal team development per la precisione. Gianluca Valoti, diesse della Colpack-Ballan, ce lo aveva anticipato a inizio della scorsa stagione che l’obiettivo sarebbe stato quello di correre molto anche all’estero. 

«E così è stato – afferma Romele – abbiamo fatto delle gare con la “g” maiuscola, questo era l’obiettivo di inizio stagione e sono contento sia stato rispettato. Dopo un anno di gare regionali e nazionali (il 2022, ndr) serviva uno step di crescita. Tutto questo è necessario ai fini della maturazione, per vedere che livello c’è all’estero e come ci si trova a correre in altri contesti. Impegni che sono passati anche con la nazionale di Amadori, con cui ho corso: Orleans Nation Grand Prix, Tour de l’Avenir e poi mondiali ed europei. Lo potremmo definire un anno diviso in due».

il 25 aprile a Roma, Romele vince il Liberazione con un’azione da lontano, 120 chilometri in fuga
il 25 aprile a Roma, Romele vince il Liberazione dopo 120 chilometri in fuga
E cosa hai capito da questo 2023?

Che sono cambiato e cresciuto tanto. Più passano gli anni e più capisco quanto e come posso crescere per arrivare, un giorno, a vincere qualcosa di importante. 

Una stagione lunga, forse troppo?

Non direi, anzi insieme allo staff della Colpack è stata gestita bene. Sono arrivato fino al Giro Next Gen e dopo quello ho fatto una pausa di una settimana. Ne avevo bisogno, che poi non vuol dire fermarsi del tutto ma riposare di testa, rimanendo attivi. Quindi ho fatto delle passeggiate in montagna o uscite in bici per il gusto di pedalare e basta. 

A giugno la firma sulla sesta tappa del Giro Next Gen, prima e unica vittoria di un italiano (foto LaPresse)
A giugno la firma sulla sesta tappa del Giro Next Gen, prima e unica vittoria di un italiano (foto LaPresse)
Un anno a due colori viste le tante corse con la nazionale, che cosa pensi del livello trovato?

Sicuramente alto, perché le gare internazionali fatte erano di primissimo livello. Sia quelle disputate con la Colpack che quelle con la nazionale di Amadori. 

Ti manca ancora qualcosa? Per questo hai deciso di fare un anno nel team development?

In alcune gare, soprattutto all’estero, avrei potuto fare meglio e quindi ho deciso di non fare subito il salto di categoria. La squadra development mi permette di fare comunque un’attività under 23 ma, allo stesso tempo, posso andare a correre con i professionisti e fare esperienza. 

Romele è stato uno dei pochi a correre mondiali, europei e Tour de l’Avenir (foto PT photos)
Romele è stato uno dei pochi a correre mondiali, europei e Tour de l’Avenir (foto PT photos)
Un passo intermedio prima del grande salto?

Questa scelta mi dà un qualcosa in più a livello di crescita, anche per le persone ed i corridori che avrò intorno, a cominciare dai preparatori.

Insomma, prendi già le misure. Hai partecipato al ritiro di qualche settimana fa?

Sì, anche se era riservato al team WorldTour mi hanno comunque voluto coinvolgere. Abbiamo iniziato a prendere le misure per la bici ed i vestiti, spero di averli il prima possibile per iniziare ad entrare in confidenza con i nuovi accessori. 

Tanto della sua crescita passa anche dalla fiducia riposta in lui dal cittì Amadori
Tanto della sua crescita passa anche dalla fiducia riposta in lui dal cittì Amadori
Hai fatto anche altro?

Sono stato con il dottore della squadra ed il nutrizionista, per curare l’aspetto fisico e nutrizionale. Ho guardato già come curare l’alimentazione pre, durante e dopo la gara. Molti membri dello staff del team development sono gli stessi di quello WorldTour e questa è una grande fortuna per avere poi continuità di lavoro.  

Quando si inizia?

Il 5 dicembre a Calpe, staremo in Spagna fino al 20 dicembre.

La dinastia Gavazzi: ora tocca al giovanissimo Edoardo

29.11.2023
5 min
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Quella dei Gavazzi è una vera e propria dinastia, che nel ciclismo sopravvive da oltre 50 anni. In primis ci fu il grande Pierino, vincitore per 3 volte del tricolore, ma anche di una Milano-Sanremo, velocista sopraffino che chiuse la carriera con ben 62 vittorie. Poi vennero i figli, Nicola professionista dal 2001 al 2004 alla Saeco di Claudio Corti e Mattia, dal 2006 al 2016 con 43 successi. Ora tocca a Edoardo, figlio di Nicola, che dal prossimo anno correrà fra gli Under 23 nella Gallina Ecotek Lucchini.

Edoardo ha corso nella Pol.Camignone e nella Sc Capriolo Mobili Ostilio prima del Team Giorgi (foto Facebook)
Edoardo ha corso nella Pol.Camignone e nella Sc Capriolo Mobili Ostilio prima del Team Giorgi (foto Facebook)

Ciclismo come una religione

Una famiglia nella quale si respira ciclismo ogni ora di ogni giorno e parlando con il più giovane, alle porte del salto di categoria, si capisce che stiamo parlando di qualcosa che va al di là della pratica sportiva, che viene sentito quasi come una religione. La prima sensazione che si coglie è innanzitutto la consapevolezza che, se anche qualcosa si è fatto, c’è ancora tantissimo da fare per seguire le orme dei predecessori, poi il rispetto profondo che si nutre verso il nonno, vera colonna del ciclismo italiano del secolo scorso.

Un amore profondo verso le due ruote che ha quasi “obbligato” Edoardo a continuare la storia dei Gavazzi su due ruote: «Qui si è sempre parlato di ciclismo – racconta il 17enne bresciano – io ho iniziato come G2, ma da bambino vedevo la bici più come strumento di gioco che altro. Le cose sono cambiate da allievo, ma se devo essere sincero è un cambiamento che si attua anno dopo anno. Ancora adesso vorrei che diventasse la mia professione, ma so che il cammino da fare è lunghissimo, sono ancora alle prime armi».

Due generazioni a confronto, Edoardo con nonno Pierino, uno dei grandi velocisti mondiali degli anni Ottanta
Due generazioni a confronto, Edoardo con nonno Pierino, uno dei grandi velocisti mondiali degli anni Ottanta

Due epoche diverse

Un destino legato anche ai suoi ricordi da bambino: «Seguivamo sempre le gare di mio zio Mattia, mio padre aveva finito prima che nascessi e così anche mio nonno. E’ bellissimo vedere che ora sono loro a seguirmi, ad accompagnarmi nelle mie gare. Ho imparato molto di loro cercando sui siti, guardando i video: soprattutto sul nonno, le sue grandi vittorie. Mi sono appassionato anche attraverso lo schermo del computer».

Le immagini sono quasi d’epoca anche se quello di PIerino non è un ciclismo che indicheresti come intriso d’avventura, pionieristico. Ma certamente è molto diverso da quello di oggi e qui la voce della saggezza interviene.

«Non si possono fare paragoni, due epoche troppo diverse da ogni punto di vista – sentenzia Pierino, 72 anni che non si sentono minimamente – ai miei tempi si diventava corridori a 25-27 anni, prima era tutta gavetta e apprendistato, ora è cambiato tutto, i ragazzini sono seguiti come fossero professionisti, tra gli under 23 ci si gioca tutto. Io vedo corridori dell’età di Edoardo che sono già formati e vengono subito presi, ma ce ne sono tanti altri che stanno crescendo solo ora e avrebbero bisogno di tempo e pazienza, perché maturano più avanti».

Gavazzi al Team Giorgi, nel quale ha militato quest’anno, senza squilli ma facendo tanta esperienza (foto Instagram)
Gavazzi al Team Giorgi, nel quale ha militato quest’anno, senza squilli ma facendo tanta esperienza (foto Instagram)

Uno scalatore da costruire

Chiacchierando con due generazioni di Gavazzi, emerge un lato curioso: Edoardo dal punto di vista tecnico non ha preso praticamente nulla dal nonno: «Io sono uno scalatore, prediligo le corse dure, impegnative, dove si fa selezione. Diciamo che come caratteristiche sono più vicino a mio padre e mio zio, anche come fisico».

«Fisicamente non è come noi – ammette Pierino – muscolarmente è meno definito. Poi devo dire la verità, Edoardo lo sa bene e glielo dico spesso, senza per questo denigrarlo: in volata è proprio negato… Sono contento che abbia altre caratteristiche e se saprà farle fruttare potrà vincere anche lui, come ho fatto io e come hanno fatto i miei figli».

Il trionfo di Pierino Gavazzi alla Milano-Sanremo del 1980 davanti a Saronni
Il trionfo di Pierino Gavazzi alla Milano-Sanremo del 1980 davanti a Saronni

Sanremo? Meglio il Lombardia

Ora Edoardo inizia a fare sul serio, entrando nel team Gallina nel mezzo di una sua autentica rivoluzione, con due sole conferme rispetto a quest’anno e ben 15 nuovi ingressi: «Nonno conosce bene il presidente Turchetti, ne hanno parlato e mi hanno offerto questa opportunità sapendo che sono un ciclista tutto da costruire. Quest’anno devo finire la scuola (frequento istituto per geometra indirizzo grafico, seguendo le orme di mio padre), poi dall’estate mi dedicherò anima e corpo alla bici per capire dove posso arrivare».

Anche parlando di sogni, di obiettivi ci si accorge che il Gavazzi più giovane è diverso da quello più famoso: «So che lui ha vinto la Sanremo e posso solo immaginare che grande soddisfazione sia stata. Vorrei tanto arrivare un giorno a disputarla, ma se devo dire una gara che mi piacerebbe vincere è il Lombardia, che è più nelle mie corde. Oppure una delle grandi classiche belghe, tipo Fiandre o Liegi, dove si vince alla fine di una lunga selezione, perché quel giorno si è stati i più forti».

La famiglia Gavazzi, con nonno Pierino, i figli Nicola e Mattia, il nipote Edoardo. Tutti accomunati dalla bici
Da sinistra Nicola, Edoardo e Pierino. Attraverso loro i Gavazzi sono nel ciclismo da oltre 50 anni

Le lacrime del nonno

Pierino sorride e ascoltando con quanto trasporto suo nipote si lascia andare seguendo i propri sogni torna a emozionarsi, quasi come oltre cinquant’anni fa: «Mi viene in mente la mia gioventù – racconta – quando ancora tutto era da scrivere. Io per certi versi non sono neanche stato il capostipite: ho seguito le orme di mio padre, che era uno di quelli che oggi verrebbero chiamati cicloamatori. Un uomo che lavorava tutta la settimana, ma alla domenica spesso andava in gita con gli amici. Ma erano gite di 200 chilometri e oltre, mica storie… Io giocavo a calcio, ma non mi piaceva tanto, era troppo di squadra e volevo emergere per conto mio così a 17 anni mi buttai».

Guarda caso l’età odierna di Edoardo: «Anch’io ho un sogno: vederlo vincere, come ho visto vincere Mattia e Nicola e non nascondo che quelle volte ho pianto, anche più di quando vincevo io. Chissà come reagirò quando toccherà ad Edoardo…».

A scuola dal mago Angelo, che accende le scintille

29.11.2023
9 min
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Angelo Furlan lo conosciamo tutti per le video lezioni, le preparazioni, la biomeccanica, le acrobazie e il suo darsi da fare a 360 gradi per il mondo del ciclismo. Quel che passa più inosservato è ciò che il vicentino, 13 stagioni da professionista sulle spalle, fa con i bambini e per i bambini, in un disegno complessivo che parla di pedagogia, educazione civica e tutela dell’ambiente. Nel momento in cui appare piuttosto complicato convincere i genitori a mettere i figli sulla bici, farsi raccontare la sua ricetta potrebbe essere di ispirazione anche per altri.

«Diciamo che sono quello che accende le scintille – sorride con il solito spirito da velocista – e poi mi defilo a fin di bene. Non voglio essere onnipresente o tuttologo, per cui faccio una sorta di centro di reclutamento e poi passo la palla alle società. Li prendo. Gli faccio vedere quanto è bella la bici. E poi so che qualcuno va a fare mountain bike, qualcuno bici da strada, qualcuno hip hop, altri si divertono a costruirsi i salti in giardino. So dove vanno, mentre io faccio un passo indietro».

La sua Bike Academy propone corsi settimanali estivi, raccontati come momenti di svago e non certo di scuola. Qualcosa che va oltre il centro estivo, ma porta i ragazzi a immergersi nella natura, a sperimentare la tecnica di base sulla bici, lavorare sull’equilibrio e sulla socializzazione. Il tutto con lo strumento del gioco, l’unico capace di catturare l’attenzione dei bambini.

Non solo bambini: qui Furlan lavora con Busatto prima del Tour de l’Avenir (foto Angelo Furlan 360)
Non solo bambini: qui Furlan lavora con Busatto prima del Tour de l’Avenir (foto Angelo Furlan 360)
Come ti è venuta l’idea?

Mi è venuta a fine carriera, quest’anno festeggio il decimo anno. E’ stata una cosa fisiologica, figlia della mia esperienza. Ho iniziato a correre su strada a 16 anni venendo dalla BMX. Sono sempre stato un ciclista e ho dovuto scegliere la strada, senza mai essermi deciso del tutto, perché mi piacevano tutte le discipline. Così ho pensato che la cosa migliore perché tanto girare avesse un senso, era raccogliere tutte le cose positive che ho vissuto e metterle a disposizione di chi è pronto a partire per lo stesso viaggio.

I bambini?

Proprio loro, unendo al ciclismo la dimensione del gioco. Facciamo anche esercizi di ritmizzazione, insegniamo a cadere, vogliamo fare qualcosa di nuovo e accattivante. Mi sono immaginato l’Angelo bambino e quanto si sarebbe divertito facendo tutte le cose belle che si possono fare con la bici. Così è nata l’idea della Bike Academy, che è un propulsore buono di scintille.

In che modo la pubblicizzate?

Con il passaparola, lasciamo che siano gli altri a trovarci. Chi si trova bene ne parla bene. Solitamente parte un genitore che vuole dare un’esperienza di qualità, poi il bambino si appassiona. Nei corsi che faccio in Federazione, sono 10 anni che dico che questa è l’età più importante in cui essere formati e in cui servono istruttori formati. Vengono dal lunedì al venerdì e ci sono quelle che, in maniera molto triste, vengono chiamate progressioni didattiche, ma quello sono. La prima lezione, ad esempio, serve per imparare a cadere. Poi è tutto un evolversi di esperienze coordinative nascoste sotto il gioco.

Che poi è il vostro slogan…

Esatto: otto ore di ricreazione al giorno. In realtà però fanno scuola di vita, scuola di bici, scuola di coordinazione, vivendo le esperienze che la nostra generazione aveva la fortuna di fare semplicemente giocando all’aria aperta. Proponiamo un insieme di attività che li fanno crescere a livello motorio, ma anche a livello esperienziale. Andiamo nel bosco, gli facciamo vedere il territorio in cui vivono e glielo facciamo conoscere e amare. Gli esercizi hanno tre gradi di difficoltà. Si chiamano Yellow, Green e Gold che vanno in base alle abilità dei ragazzi. Non devono essere campioni, anzi meglio se è la prima volta che si approcciano al mondo della bici.

L’agonismo resta fuori?

Non abbiamo la presunzione di formare atleti, anzi cerco di fermare sul nascere atteggiamenti troppo pressanti dei genitori, che potrebbero far passare ai bambini la voglia di andare in bicicletta. Il lunedì non parlano, non riescono a comunicare. Quando arrivano al venerdì, sono un fiume in piena dal punto di vista delle emozioni, ma anche della comunicazione tra loro, perché li stimoliamo veramente. Fanno almeno tre tipi di bicicletta, ma ogni anno cambiano i moduli. Un anno ci potrebbe essere l’arrampicata, l’anno dopo anche il golf. Cerco di spaziare su più campi motòri possibili, con un senso. C’è sotto una struttura ben definita.

Vista la diversità di livello, è possibile che un bambino faccia più di una settimana?

Non lo consiglio. Mio figlio, che ha 7 anni, sta facendo il corso di BMX, che è spalmato su tre mesi. Bene, quello che lui fa in tre mesi, alla Bike Academy lo farebbe in un giorno. Il nostro corso è spalmato su 8 ore al giorno, due settimane sarebbero un impegno troppo gravoso. La Bike Academy non è un centro estivo. E’ un concentrato di esperienze sensazionali: se fai anche la seconda settimana, cosa mai potrebbe stupirti andando a fare ciclismo in una società giovanile?

Deve essere una settimana indimenticabile da cui spiccare il volo?

Esattamente. Proponiamo esperienze talmente alte, che non ha senso abbassare il livello per durare più giorni. L’anno scorso mi sono buttato dentro un laghetto con la bici, è una sorta di Wonderland, ma in realtà alle spalle di ogni attività ci sono dei docenti formati, anche ridono e scherzano. E’ una settimana molto compressa, ma anche molto ampia dal punto di vista delle emozioni.

E’ fuori luogo immaginare una formula da spalmare su un periodo più lungo?

Andremmo a fare concorrenza alle associazioni sportive, che noi invece vogliamo aiutare facendogli arrivare nuovi bambini. E soprattutto, il sottoscritto non avrebbe tempo di seguirla. Una delle cose cui tengo, almeno finché il fisico mi sosterrà, è che nella Bike Academy di Angelo Furlan deve esserci Angelo Furlan. Non deve portare solo il nome, solo così puoi trasmettere la tua esperienza, chiaramente con un pool di 20 collaboratori. Il rapporto massimo è di un istruttore per 8 bambini, non di più. C’è una sorta di numero chiuso, anche perché l’organizzazione è impegnativa.

Anche logisticamente?

E’ quasi come organizzare un piccolo Tour de France, perché anche noi siamo itineranti. Abbiamo furgoni e rimorchi, ci spostiamo anche in natura e nel giro di un quarto d’ora tiriamo su il Villaggio Bike Academy. Montiamo e smontiamo, per cui sarebbe abbastanza impegnativo da fare per tutto l’anno.

Credi sia un format esportabile nelle scuole?

Nelle scuole mediamente vado spesso e ne faccio una decina ogni anno. Non si tratta di fare pubblicità alla Bike Academy, ma parlo per far capire ai ragazzini quanto sia bello andare in bicicletta. Cerco anche di stimolare gli insegnanti perché portino i ragazzi a fare ciclismo, ma in dieci anni che facciamo queste cose, grossi cambiamenti non li ho visti.

Hai parlato di istruttori formati, cosa intendevi?

Per lavorare con i bambini serve un pool di professionisti. Bisogna far passare il messaggio che chi allena i giovanissimi deve conoscere almeno i rudimenti della psicopedagogia. Deve sapere come lavorare sulla coordinazione oculo manuale, ovviamente non spiegandola ai bambini in termini scientifici, però magari facendoli giocare lanciandogli una pallina. Il tecnico che lavora con i bambini deve essere anche un educatore e un animatore. Altrimenti, se non sei interessante, dopo tre secondi ti scaricano. E forse per questo pochi vogliono o sanno farlo.

Quanto costa fare la Bike Academy?

Anche noi abbiamo bisogno degli sponsor. Ci sono tante belle persone qui in giro, imprenditori che ci sostengono. Amici che vedono il progetto, mettono il nome della loro azienda, ma di base vogliono aiutarci. Solo con le iscrizioni, non potrei fare questa qualità e non potrei pagare gli istruttori. La Bike Academy costa molto di più di un centro estivo, anche se molto meno rispetto al modello americano. Il prezzo è intorno ai 350 euro a settimana, che è molto più dei 30 euro del centro estivo comunale. Quando però vengono, si rendono conto della differenza. Noi gli diamo le biciclette, i completini e i caschi. Alla fine fanno una festa con le premiazioni. E’ dura anche per lo staff lavorare con i ritmi serrati, ma se vuoi lasciare qualcosa di buono, bisogna lavorare con questa qualità.

A ruota del maestro nel percorso della pista. Si provano tutte le bici (foto Angelo Furlan 360)
A ruota del maestro nel percorso della pista. Si provano tutte le bici (foto Angelo Furlan 360)
Sai se qualcuno dei bambini che sono passati da te in questi 10 anni ha continuato nel ciclismo?

Sì, ce ne sono. Fra i primi che hanno iniziato, che avevano 5-6 anni nel 2013, c’è qualcuno è esordiente o anche allievo. Ci sono stati ragazzi venuti da me a fare il bike fitting, che erano partecipato alla Bike Academy. Un grande buco è che a molti di loro piacerebbe fare mountain bike, ma la categoria allievi della mountain bike è inesistente, proprio non ci sono società.

Quali sono le soddisfazioni?

Quando i genitori mi mandano le foto dei figli che si sono fatti la pista di mountain bike in giardino. Oppure quando li portiamo per cinque ore nel bosco, magari a 500 metri dalla strada, ma per loro siamo in un posto sperduto. Quando vengono fuori delle dinamiche di gruppo incredibili. Si dice che il ciclismo sia uno sport individuale, invece loro si aiutano. Non c’è discriminazione, né dal punto di vista sociale né delle abilità. Alcuni bambini che sono dei Brumotti, altri magari hanno appena iniziato e li vedi che si aiutano tra loro in maniera del tutto fisiologica, senza che noi gli diciamo qualcosa. Per cui anche il sentire un po’ di fatica, senza bruciarli ovviamente perché non saremmo coerenti con quello che diciamo, fa venire fuori la parte più bella di loro.

Quando poi fai il passo indietro e li affidi alle società sportive, fai una sorta di passaggio di consegne?

Certo, di fatto i “miei” bambini non li abbandono mai.

ProTeam femminili dal 2025. Quale futuro per le continental?

29.11.2023
6 min
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Quando ad inizio agosto l’UCI ha annunciato la nascita dei ProTeam femminili a partire dal 2025, forse la questione è stata trattata troppo sbrigativamente dallo stesso maggiore organo ciclistico internazionale nei confronti delle continental (in apertura il Gp Liberazione, foto Spalletta). Per loro stessa affermazione, attraverso il presidente Lappartient, l’intenzione è quella di garantire maggiore professionalità e sicurezza economica ad un numero sempre più alto di atlete, evitando quindi nuovi “casi Zaaf Cycling”.

Inizialmente questa novità sarebbe dovuta avvenire nel 2026, ma non è detto che anticipare di un anno un’operazione simile sia un bene per tutti. Vale la pena ricordare anche che, a differenza del maschile, nel ciclismo femminile esistono solo due divisioni di formazioni. Se le WorldTour hanno organizzazioni pressoché identiche fra loro (e a quelle degli uomini), nelle Continental esistono disparità importanti nelle strutture fra le stesse squadre. Un esempio concreto di differenti continental sono team come AG Insurance-Soudal Quick-Step, Ceratizit-WNT e Laboral Kutxa Euskadi che hanno fatto richiesta per la prossima stagione di diventare WorldTour (dovrebbero diventarlo le prime due) grazie a budget considerevoli

L’AG Insurance Soudal Quick Step è stata una continental sui generis grazie alla struttura maschile. Nel 2024 potrebbe diventare WT
L’AG Insurance Soudal Quick Step è stata una continental sui generis grazie alla struttura maschile. Nel 2024 potrebbe diventare WT

Molte domande, poche risposte

Altre squadre però riuscirebbero a fare il salto nelle professional auspicate dall’UCI nel giro di soli dodici mesi? Guardando in casa nostra, le continental italiane sarebbero pronte ad acquisire la licenza della categoria superiore? O ancora, è stata pensata una nuova regolamentazione di un calendario dedicato? E si potrebbe continuare ancora tanto con gli interrogativi.

Non è dato a sapere se l’UCI prima di prendere questa decisione abbia fatto un sondaggio generale tra le continental per conoscere il parere, ma sembrerebbe che a gennaio sia in programma una riunione per spiegare meglio (per la prima volta) tutto quanto. Noi nel frattempo abbiamo voluto sentire le opinioni dei team manager italiani che hanno avuto un riflesso pavloviano non appena gli abbiamo sottoposto l’argomento. Oggi iniziamo da Lucio Rigato, Walter Zini e Giovanni Fidanza.

Calendario puro per continental. In Francia ci sono 16 gare tra classe 1 e 2, in Belgio 22, mentre in Italia solo 5 (foto Gp Isbergues)
Calendario puro per continental. In Francia ci sono 16 gare tra classe 1 e 2, in Belgio 22, mentre in Italia solo 5 (foto Gp Isbergues)

Sponda Top Girls

L’impressione, nemmeno tanto inaspettata, del malcontento generale è tangibile. Lucio Rigato, capo della Top Girls Fassa Bortolo, starebbe valutando l’ipotesi di chiudere a fine 2024 e diventa un fiume in piena quando ci addentriamo nella vicenda.

«La mia è stata una battuta fatta in un certo contesto – spiega il team manager trevigiano – e non ho voglia di smettere, però se l’UCI cambierà le cose allora devo pensarci seriamente perché ne sarò quasi costretto. Se devo spendere un certo budget senza avere certezze di calendario, inviti e regolamentazioni per noi continental, allora chiudo davvero. Non condivido la nascita dei ProTeam, pensata senza considerarci e senza comunicarci nulla. Suppongo ci vorranno dei requisiti economici minimi e ho sentito dire che potrebbe servire un budget da un milione e duecento mila euro, ma qui in Italia si fa già fatica a trovare solo i duecentomila. Anche se è in forte crescita, il ciclismo femminile negli ultimi anni ha fatto passi troppo grandi e precoci per la sua struttura, ma l’UCI non se ne rende conto. Per me fanno solo i loro interessi».

Lucio Rigato guida la Top Girls dal 2005 ma potrebbe chiudere a fine 2024 se la nascita dei ProTeam non fosse ben regolamentata
Lucio Rigato guida la Top Girls dal 2005 ma potrebbe chiudere a fine 2024 se la nascita dei ProTeam non fosse ben regolamentata

«Se copieranno in tutto il sistema maschile – prosegue nella sua analisi Rigato – noi ad esempio al Giro Women non potremo più partecipare. Già oggi c’è un trattamento impari da parte di alcuni organizzatori di gare importanti tra team WorldTour e continental. Noi dobbiamo sperare che accettino la nostra richiesta e poi pagarci vitto e alloggio. Le continental non possono farle morire. Sono i vivai della squadre più forti, altrimenti cosa serve avere tante esordienti, allieve e junior se poi non possono mettersi in mostra nei team continental? Spererei in un aiuto da parte della nostra federazione. Forse sono diventato troppo vecchio per farmi andare bene certe cose. Ho 70 anni con cinquanta di attività e onestamente non sono molto fiducioso in generale per il futuro».

Visto dalla BePink

Non cambia tanto l’umore chiamando in causa Walter Zini, team manager della BePink-Gold, preoccupato che l’attività delle continental possa sparire o ridursi drasticamente. Di sicuro per il dirigente milanese ci sono degli aspetti che andavano cambiati anche prima e altri che già si immagina.

«A vederla così – spiega Zini – temo che nel giro di 4-5 anni possa esserci un’implosione provocata dalla mancanza di un giusto ricambio generazionale. Anche perché finora non è mai stato regolamentato il riconoscimento del valore del cartellino di un’atleta che passava dalle continental ad un team WorldTour. E quelle entrate erano valide da reinvestire. Tuttavia so che renderanno ufficiale questa norma proprio dal 2024. E speriamo che modifichino la regola dei punti, perché al momento seguono le atlete. Adesso ci hanno sempre obbligato a ripartire da zero ogni volta che ti andava via la ragazza col punteggio più alto. Comunque vedremo se penseranno ad un calendario più ampio per le continental o U23 e contemporaneamente a limitazioni di partecipazione per i team WorldTour in alcune gare».

Zanardi è passata dalla BePink alla Human portando con sé i punti UCI, situazione che penalizza le continental. Dal 2024 cambierà la regola (foto Ossola)
Zanardi è passata dalla BePink alla Human portando con sé i punti UCI, situazione che penalizza le continental. Dal 2024 cambierà la regola (foto Ossola)

Il tecnico della BePink ipotizza che, in base ai parametri richiesti dall’UCI, possa servire un budget minimo di settecento-ottocentomila euro e che nasceranno 4-5 ProTeam. «Nel totale devono esserci i salari minimi garantiti, uno staff più numeroso e altri mezzi. Una situazione che in Italia ad oggi diventa difficile da realizzare. Si potrebbe prendere spunto da ciò che ha fatto la Eneicat, dov’è andata Basilico, che ha unito le forze con la Burgos-BH (professional maschile, ndr). Però da noi non credo che siano interessati ad un’operazione simile».

Il parere di casa Isolmant

Il primo giro del nostro sondaggio si ferma con Giovanni Fidanza, team manager della Isolmant-Premac-Vittoria, che spera in una riforma fatta con senno nonostante anche lui lamenti la mancanza di comunicazioni ufficiali da parte dell’UCI.

La Isolmant nel 2023 aveva anche le junior e con le elite ha optato per un calendario italiano per contenere le spese
La Isolmant nel 2023 aveva anche le junior e con le elite ha optato per un calendario italiano per contenere le spese

«Dovremo capire che parametri vorranno introdurre – commenta il padre di Arianna e Martina in forza alla Ceratizit – ma mi auguro siano fattibili e che non esagerino con noi continental. Quanto meno mi auguro che possano apporre correzioni strada facendo. Il movimento femminile è cresciuto tanto, ma deve ancora consolidarsi a dovere, soprattutto tra le continental. E’ per questo che penso sia stata una decisione avventata. Tutto deve essere adeguato alle ragazze con cui lavoriamo. Il nocciolo della questione saranno i calendari, con relativi inviti e regolamenti.

«Certamente per i nostri sponsor non è una buona notizia – conclude Fidanza – perché significherebbe non avere più la visibilità di prima. E’ vero che si potrebbero lavorare con le juniores, ma magari i nostri investitori potrebbero non essere più interessati e lo vedrebbero come un passo indietro. Attenzione perché se questa riforma non ci farà fare salti in avanti, è un attimo tornare alla situazione di tanti anni fa».

Tiberi e la sua Scultura: un test davvero speciale

29.11.2023
7 min
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Antonio Tiberi racconta la Merida Scultura con cui corre dal primo giugno. Il telaio più piccolo per leggerezza e compattezza. Tre tipi di ruote diverse per tre comportamenti ben distinti. La facilità nella guida in discesa. La rigidità e l'aerodinamica nei rilanci. I rapporti Shimano al confronto con gli Sram lasciati alla Trek. La sella Prologo. Una giornata in bici con il laziale del Team Bahrain Victorious.

GAVIGNANO – Antonio Tiberi al Team Bahrain Victorious c’è arrivato a giugno. La prima parte dell’anno, incluso qualche piazzamento interessante, l’aveva fatta con la Trek-Segafredo, che ancora non era diventata Lidl. Così quando si è trattato di infilarsi nella nuova maglia, il laziale ha dovuto cancellare ogni cosa e ripartire da zero. Un altro preparatore. Altri compagni. Altro abbigliamento. E un’altra bicicletta. Proprio per questo siamo venuti in questo angolo della provincia più a sud di Roma, ancora baciato da un tiepido sole, per seguire Antonio durante uno dei primi allenamenti e farci raccontare il passaggio alla nuova bici.

Un caffè preparato da suo padre Paolo, un pezzetto di crostata fatta in casa e fuori il verde dell’azienda agricola di famiglia sono lo sfondo del mattino in attesa che Antonio finisca di prepararsi. Il ritiro di Altea è ormai imminente c’è bisogno di alzare i giri del motore, come ha già spiegato Bartoli che ha iniziato ad allenarlo a stagione iniziata.

Tiberi corre con la Merida Scultura. Solo raramente ha pedalato sulla Reacto
Tiberi corre con la Merida Scultura. Solo raramente ha pedalato sulla Reacto

Viaggio in Slovenia

«Ho preso in mano questa bici per la prima volta alla vigilia del Giro di Svizzera – racconta Tiberi – quando ormai era confermato che sarei passato con la nuova squadra. Sono andato a ritirare tutto il materiale nei loro magazzini in Slovenia. Ho portato a casa sia la Scultura che la bici da cronometro e ho cominciato a usarle».

La dotazione della Bahrain Victorious prevede una doppia scelta per le bici da strada: la Scultura, appunto, e la Reacto. Sarà così anche per il prossimo anno, anche se molto probabilmente cambierà la grafica della bici, che sarà più in linea con quella già sfoggiata al Tour de France. La nuova versione della Scultura in realtà ha mutuato dalla aerodinamica Reacto più di qualche accorgimento geometrico, che la rende molto veloce mantenendo il comfort, pur trattandosi della bici più leggera.

Al Lombardia, ruote da 45 e grande velocità: in discesa la Scultura piega davvero tanto
Al Lombardia, ruote da 45 e grande velocità: in discesa la Scultura piega davvero tanto
Quanto tempo ti è servito per abituarti alla nuova bici?

Più o meno una settimana. Le differenza tra una e l’altra si notano abbastanza, soprattutto al primo impatto. Quando sono salito, la prima cosa che ho notato è stata la risposta della bici, la rigidità. La Scultura è molto reattiva. E pur essendo una bici prettamente da salita, è molto maneggevole nelle varie situazioni di gara. E’ molto comoda, aspetto fondamentale per gare che superano i 200 chilometri.

Quanto leggera e quanto rigida?

Si cerca di stare sempre intorno al limite di 6,8 chili. Ormai ci sono abituato, ma in quei primi giorni l’aspetto che ho notato di più è stata la rigidità in pianura, che agevola anche nelle fasi più aggressive della gara, quando ci sono scatti e rilanci. E la rigidità aiuta anche in discesa. A me piace avere una bici molto reattiva che si piega abbastanza facilmente. I primi giorni ho dovuto prenderci la mano, ma ora mi trovo bene. In discesa si fa guidare, è anche divertente.

E’ stato facile trovare la posizione oppure hai dovuto fare tanti aggiustamenti?

Non ho avuto difficoltà, anche perché mi adatto abbastanza facilmente, grazie alla mia elasticità. Ho dedicato una giornata al posizionamento e di lì a una settimana sono stato completamente a mio agio.

La bici cambia tanto utilizzando ruote diverse?

Abbastanza, la risposta è diversa. Con ruote a profilo basso, la bici è molto più rapida nei cambi di direzione. Più facile, ma anche più delicata: bisogna essere un po’ più accorti nei movimenti bruschi. Con ruote a profilo alto, è molto più fluida anche se leggermente più lenta nei movimenti. Cambiamo le ruote in base ai percorsi della gara.

Ad esempio?

Durante una corsa a tappe, se c’è un giorno di pianura, solitamente usiamo tutti l’alto profilo. Ci sono alcuni corridori che preferiscono cambiare addirittura la bici, passando alla Reacto, che è quella più aerodinamica. Io invece mi trovo bene con questa in tutte le occasioni e preferisco aggiustarmi solamente con le ruote. Quindi magari su percorsi ondulati, utilizzo ruote medie con profilo da 45. Nelle tappe completamente di pianura, profilo da 60. E nelle tappe di salita, profilo da 30.

Pneumatici tubeless o tubolari?

Ormai corriamo quasi esclusivamente con i tubeless che, in base ai vari studi che sono stati fatti, sono molto più performanti. Anche in caso di foratura, permettono di fare qualche centinaio di metri in più prima di cambiare la ruota. Mi è capitato di aver bucato e di non essermene accorto, perché il liquido aveva riparato il buco. Ho cambiato la ruota appena possibile e nelle condizioni migliori di corsa.

Guarnitura Shimano Dura Ace (40-54) con misuratore di potenza integrato
Guarnitura Shimano Dura Ace (40-54) con misuratore di potenza integrato
Sulla Trek utilizzavi il gruppo Sram, con rapporti diversi rispetto allo Shimano di adesso. Come è stato inizialmente?

La differenza l’ho sentita. Utilizzo il 54×11 come massimo rapporto, ma volendo si può personalizzare la scelta. In gara, anche in base ai percorsi, possiamo decidere se montare un 56 o un 53 e dietro anche il 33 per salite veramente al limite o magari soltanto un 30. Davanti invece uso un 40. La differenza rispetto a prima è che Sram dietro ha il pignone da 10, mentre su Shimano abbiamo l’11. E’ soltanto un dente, però la differenza si sente veramente, soprattutto nelle fasi veloci di gara o in discesa.

Da cosa te ne accorgi?

Ho notato che con Shimano le pedalate sono più alte e bisogna aggiustarsi con i denti delle corone davanti, puntando su qualcosa di più grande. Come dicevo, qualche volta ho montato anche il 56. Non ho trovato invece differenze nei freni: vanno bene entrambi.

Torniamo alla bici in gara: non prendi la Reacto perché anche la Scultura è una bici veloce?

Mi sono trovato bene su ogni percorso. E’ molto reattiva in situazioni di scatti e contro scatti. In salita è leggera e in discesa si piega bene. In un’occasione ho provato anche la Reacto in pianura e devo dire che la differenza si sente. Però cambia anche la geometria ed è molto più rigida, quindi anche meno comoda. Perciò in una gara a tappe preferisco usare sempre la stessa, in modo da non cambiare tanto la posizione e non stressare troppo il fisico passando su una bici più rigida.

Prime uscite di stagione per il laziale: nel giorno del nostro incontro, due ore con due salite al medio
Prime uscite di stagione per il laziale: nel giorno del nostro incontro, due ore con due salite al medio
Hai un bel fuorisella: gusto estetico o necessità tecnica?

Mi piace e mi ci trovo bene. Da sempre preferisco avere la bici con un telaio leggermente più piccolo, perché mi permette di essere più reattivo, oltre al fatto che il peso è leggermente più basso.

In base a cosa hai scelto la sella?

E’ la Scratch M5 di Prologo. L’ho scelta in base alla larghezza e alla forma ergonomica, che si adatta meglio alle ossa del mio bacino. Per fortuna non è troppo difficile passare da una sella all’altra (alla Trek-Segafredo, Tiberi utilizzava una sella Bontrager, ndr), perché pur cambiando marca, si riesce a trovare misure molto simili. Le forme non sono troppo diverse, ogni azienda fa svariati modelli, per cui è abbastanza agevole trovare la sella più adatta e simile alla precedente.

Fai da te gli interventi di manutenzione?

Quando sono a casa, qui dai miei oppure a San Marino, faccio da me, quando si tratta di dare una pulitina o magari lubrificarla e altri interventi semplici. Se invece si presenta un problema più grande, qualche malfunzionamento al cambio elettronico o al potenziometro, vado nel negozio più vicino dove so che trattano materiali Shimano.

Siamo pronti per partire. L’aria è più calda, sui Monti della Meta che sullo sfondo dividono il Lazio dall’Abruzzo e dal Molise, una prima spruzzata di neve oltre quota 2.000 fa capire che l’inverno è alle porte. L’allenamento di oggi prevede un paio di salite al medio. La prima, caro Tiberi, la farai tutta in favore di telecamera. Adesso sì che possiamo andare davvero.

Vendrame dalla Francia a metà tra passato e futuro

29.11.2023
5 min
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Andrea Vendrame si trova a Lille, alle prese con tutti quegli impegni inderogabili di inizio stagione. Se a questo si aggiunge la novità dell’arrivo di Decathlon come sponsor e del cambio di marchio per le bici, ecco che le giornate diventano frenetiche. La AG2R Citroen dal 1° gennaio diventerà Decathlon AG2R La Mondiale Team e i corridori passeranno dalle bici BMC alle Van Rysel. 

«Siamo immersi nel lancio della nuova stagione – ci dice Vendrame in uno dei momenti di calma – lunedì c’è stata la presentazione ufficiale. In questi giorni facciamo visite mediche, foto e tutto ciò che serve per le novità del 2024».

Cambierà anche la bici, già vista quella nuova?

Vista sì, ma non ci ho ancora pedalato, quello lo faremo dal 2024, fino ad allora useremo ancora le BMC. Però con la fornitura di Van Rysel cambierà tutto: nuove ruote, nuovi copertoni, nuovo gruppo e anche nuovi caschi ed occhiali. 

Hai concluso la prima stagione dopo il cambio di preparatore, com’è il bilancio?

Mi sono trovato bene, è stato un cambio drastico perché sono passato ad allenarmi a ritmi più alti per minor tempo. Il bilancio direi che è positivo, se devo dare un voto direi 6,5 perché è mancata la vittoria. Non è stata comunque una stagione da buttare via, sono arrivati tanti piazzamenti. Ho avuto anche qualche episodio sfortunato nei momenti migliori. 

Prendere il Covid al Giro non è stato il massimo…

Non solo. Anche alla Strade Bianche sono stato costretto a ritirarmi per una caduta che mi ha anche precluso la partecipazione alla Tirreno-Adriatico. Al Giro ero arrivato abbastanza bene, ma prima la caduta e dopo il Covid mi hanno messo fuori causa. Anche alla Vuelta ho avuto un virus al primo giorno di riposo che mi ha messo fuorigioco, nonostante poi l’abbia portata a termine. Ci sono stati tre intoppi nei tre momenti principali della stagione.

Però ne hai tratto comunque un bilancio positivo, come mai?

Perché nel cambiare il preparatore e di conseguenza nello stravolgere il mio programma di lavoro, ho avuto risposte positive. Inizialmente mi ha sconvolto, ma i benefici si sono visti, non ho vinto ma ho colto tanti piazzamenti. Ne avevo parlato con il mio preparatore: il 2023 sarebbe stato un anno di adattamento per il fisico. 

In gara come ti sei trovato con questo nuovo metodo di lavoro?

Il riscontro è positivo, basti pensare al Laigueglia. E’ una gara dove si ha un cambio di ritmo costante con valori alti per tratti più corti. Cambiare metodo di allenamento mi ha portato ad essere più pronto in queste situazioni. Anche alla Vuelta, prima di prendere il virus, stavo bene, considerando il terzo posto alla seconda tappa. 

A casa com’è cambiato il metodo di lavoro?

Allenandomi a ritmi più alti, simulo le situazioni di gara, così poi agli appuntamenti arrivo pronto. Prima facendo tanto medio avevo bisogno di correre per trovare il ritmo gara. 

Il Giro di Vendrame si è concluso in anticipo: prima una caduta e poi il Covid l’hanno messo K.O.
Il Giro di Vendrame si è concluso in anticipo: prima una caduta e poi il Covid l’hanno messo K.O.
Guardiamo al futuro, un obiettivo per il 2024?

Sicuramente vincere, dopo tutto le squadre cercano punti e io sono un corridore che ne può portare. Il team questo lo sa e me lo chiede. Ogni gara in cui metto le ruote deve essere affrontata per vincere o comunque ottenere punti. Mi aspetto di arrivare ancora più pronto agli appuntamenti importanti.

Sei all’AG2R dal 2020 e ci rimarrai, almeno, fino al 2025 come vedi questo grande cambiamento?

Siamo solo agli inizi, piano piano conosceremo tutte le nuove figure e i compagni. Non sembra più quella squadra “familiare”, ma una vera e propria multinazionale dove ognuno ha il suo ruolo. Questo secondo me è positivo per noi atleti perché porta più specializzazione. 

Il terzo posto nella tappa di Barcellona alla Vuelta ha permesso a Vendrame di indossare la maglia verde
Il terzo posto nella tappa di Barcellona alla Vuelta ha permesso a Vendrame di indossare la maglia verde
Hai già legato con qualche nuovo compagno?

Non uno in particolare, anche perché per ora ci siamo visti poco a causa degli impegni individuali di questi giorni. Mi sono rivisto molto in Sam Bennet.

In che senso?

Lui non parla francese, ma solamente inglese, come me quando sono arrivato nel 2020. Però molti compagni non sanno l’inglese, sapete, una squadra francese, con sponsor francesi… Però piano piano ci si aiuta e ci veniamo tanto incontro. Ora le cose sono migliorate parecchio, l’inglese lo parlano sempre più persone, anche a tavola si usano entrambe le lingue. Però sono sicuro che si adatterà anche lui, come abbiamo fatto tutti.