Cross: quando servono i motori potenti, Lucinda Brand c’è

13.12.2023
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CALPE (Spagna) – Tra i tanti corridori della Lidl-Trek che vanno e vengono nell’immenso Hotel Diamante Beach c’è anche Lucinda Brand. Quando arriviamo si sta godendo il sole incredibilmente caldo della Costa Blanca. Parla al telefono. E’ il suo momento di relax.

La campionessa olandese arriva da noi sgranocchiando una mela. Aveva impostato la sveglia per l’ora dell’intervista. Ma si presenta con un paio di minuti di anticipo e quando iniziamo a parlare l’allarme scatta poco dopo. 

Lucinda è da anni una super big della strada, ma ormai anche del ciclocross. E’ soprattutto da quando è arrivata alla Lidl-Trek, o poco prima, che ha potuto riprendere il rapporto col fango. A 34 anni, in questa stagione ha vinto due gare in appena sei apparizioni. 

Brand vince a Flamanville, secondo successo stagionale che la rilancia anche in Coppa (foto UCI/Sporti Pic Agency)
Brand vince a Flamanville, secondo successo stagionale che la rilancia anche in Coppa (foto UCI/Sporti Pic Agency)
Sei gare di cross sin qui e peggior risultato un terzo posto. Lucinda, una partenza sprint…

Sì, è stato davvero bello riprendere così. Sono contenta di essere tornata subito ad alti livelli. Devo dire che mi sono allenata bene. Ho pedalato molto nella foresta e in offroad. Ho fatto parecchie sessioni per il ciclocross.

Dal 2016, il tuo numero di gare di cross è notevolmente aumentato: sei passata dalle 5-6 apparizioni al farne anche 33 nella stagione 2021-22. Come mai?

Quando ero più giovane, una junior o anche prima, facevo il cross e lo trovavo divertente per pedalare in inverno, anche perché non mi piaceva molto allenarmi, specie con il brutto tempo. Poi sono diventata un’elite, sono andata in squadre che non erano così entusiaste che facessi il ciclocross, in quanto credevano fosse troppo dispendioso e difficile da combinare con la strada. Così avevo smesso. Se puoi fare solo 2-3 gare, che senso ha? Ma mi dispiaceva.

Però hai ripreso fino ad arrivare al titolo iridato!

Sì, anche nella tecnica non ero affatto brava, dovevo ricostruire tutto o quasi. Dopo tanti anni solo su strada, iniziavo ad annoiarmi. Sempre le stesse cose, le stesse gare, persino gli stessi hotel. Perciò avevo bisogno di fare qualcosa di nuovo, di diverso e ho deciso di riprendere il ciclocross e allenarmi davvero per questa disciplina. Curando molto anche la tecnica.

Brand (classe 1989), nonostante un palmares enorme, continua a lavorare molto sulla tecnica. Un lavoro che si ritrova anche su strada
Brand (classe 1989), nonostante un palmares enorme, continua a lavorare molto sulla tecnica. Un lavoro che si ritrova anche su strada
Alvarado, Bakker fanno tutta la stagione inanellando successi, poi però arrivano le grandi e loro finiscono in secondo piano. E’ solo questione di “motore” o c’è dell’altro?

Credo sia soprattutto una questione di forza. Le corse su strada stanno aiutando molto la mia potenza e la mia resistenza nel cross. E questo è utile soprattutto quando il terreno è molto fangoso ed è necessaria tanta forza. Poi certo, conta anche avere un buon “flow”, un buon feeling… ma questo c’è solo quando anche la tua tecnica funziona. Altrimenti devi spendere troppo e non è facile perché il livello nel cross è notevolmente aumentato. Una volta potevi commettere più errori ed eri comunque sempre lì, adesso no.

Eppure ti abbiamo vista dal vivo in azione a Dendermonde, prima tua gara dell’anno tra l’altro, e con tutto quel fango ci sei sembrata piuttosto a tuo agio…

Sì, era la prima gara, ma dopo la prima parte ero un po’ stanca. C’è stato un inizio super veloce, ma ero fresca, ovviamente, venivo solo dagli allenamenti ed ero anche super eccitata e ho spinto. Ma è stato uno shock! Un colpo per il corpo. Okay, mi ero allenata in tutto, anche a correre, ma finché non metti tutto insieme, non sai mai come può andare. Quel giorno ero davanti, poi sono finita dietro. A quel punto ho cercato di trovare il mio ritmo. Ho cercato di “recuperare”. In quel caso è servita parecchia esperienza. Dopo il primo giro non ero sicura di poter arrivare al secondo posto.

Hai parlato spesso di tecnica, ebbene cosa ti dà il cross anche per la strada: solo la tecnica?

Ti aiuta nel gestire la tua bici in corsa, nella guida, e ti aiuta anche dal punto di vista atletico come negli sforzi brevi e intensi. Ogni volta nel cross è un piccolo sprint. E anche su strada le gare, specie nei finali, non sono molto costanti.

Nel 2021 per l’atleta di Dordrecht è arrivato il titolo mondiale nel cross, preceduto da quello europeo (foto Instagram)
Nel 2021 per l’atleta di Dordrecht è arrivato il titolo mondiale nel cross, preceduto da quello europeo (foto Instagram)
E avverti realmente questi benefici su strada dopo aver terminato una stagione di ciclocross?

Sì, ma anche perché mi piace molto e già questo è importante per la testa. Poi quando sei al limite su strada ti ritrovi quell’esplosività. Dopo diversi anni, credo che se non avessi fatto il cross, avrei perso la mia esplosività del tutto. Mentre adesso è tornata quella di un tempo.

Van Empel, Brand, Bakker, Pieterse, Alvarado… perché il ciclocross femminile è il regno delle olandesi?

Prima di tutto credo sia legato alla cultura che c’è nei Paesi Bassi, dove andare in bici è normale e farlo come sport è molto bello. Abbiamo molte squadre ciclistiche ed ognuna ha il suo circuito, dove si può pedalare in sicurezza, senza traffico cosa ideale per i bambini. C’è un allenatore fisso che ti segue, spesso anche su strada. Tutto questo va unito al fatto che siamo vicini al Belgio, dove il cross è importantissimo, e abbiamo l’opportunità di andare a correre da loro.

Interessante. Vai avanti…

Un altro vantaggio è che in questo momento forse i belgi non hanno così tante ragazze. Però hanno le squadre… che vogliono atlete. A quel punto prendono le olandesi. Le squadre belghe vorrebbero puntare su atleti belgi chiaramente, ma alla fine essendo il ciclismo femminile in crescita, vanno bene anche le olandesi. Credo dunque ci sia un mix di opportunità favorevoli a noi. Senza contare che spesso ci alleniamo insieme e questo ti spinge sempre un po’ più in alto.

Brand è stata terza alla Roubaix 2022, grazie anche alle sue doti di crossista. La classica delle pietre è forse il suo primo obiettivo 2024
Brand è stata terza alla Roubaix 2022, grazie anche alle sue doti di crossista. La classica delle pietre è forse il suo primo obiettivo 2024
Hai cambiato qualcosa sulla tua bici?

No, tutto come lo scorso anno. L’anno scorso avevo cambiato un po’ la posizione, volevo essere un po’ più bassa con il manubrio, ma quest’anno nulla. Va bene così. Mi trovo molto bene anche con le gomme Dugast.

Sei una top rider sia per la strada che per il cross, cosa prevedono i tuoi programmi in entrambe le discipline?

Il periodo di Natale è piuttosto impegnato, cercherò di bilanciarlo tra strada e cross. Ho una gara a breve, poi tornerò in Spagna. Qui, a gennaio, ci sarà una prova di Coppa del mondo (a Benidorm 21 gennaio, ndr) e potrò combinarla più facilmente con il camp di gennaio appunto. Successivamente lavorerò per i campionati del mondo, dove finirò la mia stagione di cross. Due settimane di riposo, una piccola vacanza, poi si riprenderà con la strada. Adesso non conosco nel dettaglio il mio calendario, lo stiamo decidendo in questi giorni, ma probabilmente farò le classiche delle Fiandre e spero la Roubaix… Quella mi piacerebbe davvero vincerla. Sono già salita sul podio ed è stato davvero bello. Ma ovviamente non sono l’unica che la vuol vincere!

E le corse a tappe?

Saranno principalmente le piccole gare a tappe. Da maggio in poi ne abbiamo molte in calendario noi donne. Probabilmente farò anche un grande Giro, ma come ripeto, va deciso adesso. Sarà un calendario un po’ diverso con le Olimpiadi di mezzo. 

Lo sguardo di Giovine sui numeri di Erica Magnaldi

13.12.2023
5 min
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Erica Magnaldi è stata una delle piacevoli riscoperte del 2023. L’atleta del UAE Team ADQ si trova in Spagna insieme a compagne e staff, pronta per preparare l’assalto al 2024. La stagione scorsa ha avuto una sola parola d’ordine: ritorno. Dopo l’operazione all’arteria iliaca le domande erano tante, Magnaldi le ha spazzate via a suon di prestazioni. Con Dario Giovine, uno dei preparatori del team, parliamo dell’atleta e di come sia tornata a livelli super

«La stagione scorsa – attacca Giovine dal caldo della Spagna – era psicologicamente pesante. Magnaldi ripartiva da una doppia operazione all’arteria iliaca, sempre alla stessa gamba. Il periodo di degenza è stato di conseguenza molto più lungo. Si è ritrovata a metà novembre dal ripartire da zero. Da un lato eravamo preoccupati, mentre dall’altro avevamo molta fiducia. Un lungo periodo di stop per un’atleta di endurance può portare a un grosso boost».

Esattamente un anno fa Magnaldi ripartiva dopo l’operazione dell’arteria iliaca (foto Instagram)
Esattamente un anno fa Magnaldi ripartiva dopo l’operazione dell’arteria iliaca (foto Instagram)
Magnaldi ha un’età in cui non si è più giovani, ma comunque si hanno ancora anni avanti di carriera.

Non è giovane, ma lo è per il concetto di WorldTour. Per quello che si intende come anni totali di carriera ciclistica, vediamo un grande miglioramento nel suo power profile. All’inizio era quasi incapace di esprimere grossi picchi di potenza nel breve periodo. Su questo aspetto abbiamo lavorato tanto, anche alla luce dei cambiamenti avvenuti nel ciclismo femminile. 

In che modo?

Abbiamo inserito tanta palestra, lavorando molto con il metodo della scuola norvegese. Questo prevede un miglioramento nella potenza di picco e un guadagno nell’efficienza della pedalata. Ci siamo dedicati quindi ad un approccio diverso, lavorando tanto con esercizi multiarticolari.

Come mai questa scelta?

Il nuovo metodo prevede meno esercizi con utilizzo di macchinari e più esercizi che interessano diverse aree del corpo. Per intenderci: meno leg extension ma più stacchi da terra e squat. Come macchinario abbiamo usato molto la pressa, ma in maniera monopodalica. Questo per due motivi. Il primo legato al lavoro da fare sulle gambe in maniera singola. Nel post operazione non poteva caricare allo stesso modo le due gambe. Il secondo motivo, sempre legato al primo, era per assettare l’equilibrio

Prima gara del 2023 la Vuelta CV il 5 febbraio, chiusa con un sorprendente quarto posto
Prima gara del 2023 la Vuelta CV il 5 febbraio, chiusa con un sorprendente quarto posto
Un anno fa ripartiva dall’operazione all’arteria iliaca, in che modo lo avete fatto?

Bisogna dire che per questo tipo di operazione c’è letteratura, ma non solida. I protocolli sono soggettivi, la clinica fornisce un metodo di recupero generale. Tocca al preparatore capire come lavorare e nel farlo ci siamo confrontati tanto con Erica e con il chirurgo che l’ha operata. Io spesso sentivo il medico e chiedevo indicazioni sul carico da effettuare in palestra

Una volta in bici immaginiamo siate andati per step…

Il primo è stato ricostruire la base aerobica. Per dirla da preparatore: aveva più battiti che watt. Abbiamo lavorato tanto con un metodo “vecchia scuola” guardando tanto il cuore. Questo ci ha fornito ottime indicazioni sul carico interno e le reazioni in corso. Successivamente ci siamo curati dell’intensità, capitolo fondamentale per migliorare gradualmente. Anche attraverso diversi test: lattato, moxy monitor e lattato ematico. Preciso che è stato un lavoro giornaliero, con un picco di condizione previsto a maggio.

E invece a febbraio già andava forte…

Esattamente. Ci siamo sorpresi in positivo, ma nemmeno troppo. Magnaldi è una professionista incredibile, se deve fare un lavoro fa di tutto per portarlo a termine. Però sa anche ascoltare il proprio corpo e capisce quando non serve esagerare. Alla prima gara in Spagna, il 5 febbraio, è arrivata quarta. Insomma: bell’inizio.

L’obiettivo principale era il Giro Donne, nel quale la Magnaldi ha conquistato la top 5
L’obiettivo principale era il Giro Donne, nel quale la Magnaldi ha conquistato la top 5
Nella stessa stagione ha fatto Giro e Tour.

Erica a livello aerobico ha una grande forza, più ore passa in corsa e più va forte. Nella scorsa stagione il pallino rosso era sul Giro Donne e tutti ne siamo rimasti piacevolmente sorpresi. Il Tour era più un appuntamento per capire quanta benzina fosse rimasta in corpo. La fatica è stata più mentale che fisica, psicologicamente ha mollato negli ultimi due giorni. 

Magnaldi poi ama particolarmente andare in altura, cosa che ha fatto tanto anche nel 2023

Vive ad un’ora e mezza da Sestriere e le piace andare in ritiro. Non le pesano i lunghi periodi in altura e sa lavorare molto bene. Questo porta dei grandi benefici a livello di prestazioni. 

Il 2024 vede uno stacco maggiore tra Giro e Tour, pensate ancora al doppio impegno?

Ci sono quattro settimane e questo rende molto più fattibile questa doppietta. Vero che ci sono le Olimpiadi, ma Parigi 2024 ha un percorso che si avvicina poco alle sue caratteristiche. Un’atleta come Erica ogni anno ha un calendario simile, non può variare molto. Però ci sono ancora dei dettagli da vedere, a breve avremo i programmi individuali completi. 

Durante il Tour de France Femmes le è mancato quel pizzico di brillantezza per rimanere con le prime
Durante il Tour de France Femmes le è mancato quel pizzico di brillantezza per rimanere con le prime
In questi giorni di ritiro cosa hai visto in ottica prossima stagione?

Una cosa che fa piacere sicuramente ad un preparatore. Ovvero che se un’atleta di livello finisce bene la stagione succede che anche dopo un periodo di riposo la condizione è sempre migliore. Già dai primi test abbiamo visto che la base è buona. Ora aspettiamo le ultime conferme dai calendari e poi toccherà a noi preparatori lavorare per farle arrivare pronte ai vari impegni. 

Con quali motivazioni parte quest’anno Erica?

Un anno fa voleva ritornare competitiva e aveva questa ambizione. Il suo obiettivo è alzare ancora il livello e dimostrare di essere forte. Si vede che la prestazione del Tour l’ha lasciata contenta a metà. Ha più fame di prima, per il tipo di atleta che è non è rimasta soddisfatta.

Copeland, perché il caso Uijtdebroeks è così grave?

13.12.2023
7 min
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Per fare un passo avanti rispetto ai post social, abbiamo raggiunto Brent Copeland, team manager della Jayco-AlUla, mentre ieri pomeriggio guidava alla volta di Losanna per un corso di aggiornamento all’UCI. La sua presa di posizione sulla vicenda di Cian Uijtdebroeks gli è valsa la chiamata di Alex Carera, di cui è amico da lunga data e anche a lui ha spiegato il punto. In questi giorni, su siti e social circolano foto del giovane belga vestito di nero in ritiro con la Jumbo-Visma, è chiaro che il passo sia ormai fatto, costi quel che costi. E proprio questo è alla base del fastidio con cui il sudafricano vive il momento.

In questi giorni, Uijtdebroeks è in allenamento con la Jumbo-Visma in Spagna (foto Het Laatste Nieuws)
In questi giorni, Uijtdebroeks è in allenamento con la Jumbo-Visma in Spagna (foto Het Laatste Nieuws)
Come mai questa volta ti sei arrabbiato così tanto?

Non sono arrabbiato, sono preoccupato. Si potrebbe creare un precedente pericoloso per le squadre e anche per il corridore e i suoi agenti. Pericoloso per tutti. A cosa serve avere un contratto se è così facile terminarlo senza motivi abbastanza gravi? Non conosco i dettagli e le vere ragioni. Ho visto che oggi sono uscite delle spiegazioni (si è letto di prese in giro subite dal belga nel corso della Vuelta e di un gruppo whatsapp creato allo scopo alle sue spalle, ndr), però mi sembra tutto esagerato. Se vuoi fare un trasferimento del corridore, va bene. Sono cose che vengono fatte tra tutte le squadre. Noi quest’anno abbiamo preso due corridori che erano sotto contratto: uno è Plapp, l’altro è Caleb Ewan. Però c’è una procedura da seguire.

In cosa consiste?

Devi prima chiedere l’autorizzazione al PCC, il Consiglio del ciclismo professionistico presieduto da Tom Van Damme. Addirittura il regolamento dice che bisogna chiedere l’autorizzazione prima di parlare con il corridore o il suo agente. Ovviamente questo è difficile, perché se c’è la possibilità di un trasferimento vuol dire che hai già avuto un contatto. Poi viene fatto un accordo fra tre parti: la vecchia squadra, la nuova e il corridore per la parte finanziaria legata ai costi del trasferimento. Solo a quel punto si può procedere al contratto fra l’atleta e il nuovo team.

Piuttosto laborioso…

Ma se questa procedura viene seguita correttamente, non ci sono problemi. Il corridore non è contento della sua squadra, cerca qualcos’altro o magari una squadra nuova gli ha fatto un’offerta più importante o altro? Questi sono i protocolli da seguire. Invece mi sembra qui che non sia stato seguito nulla, perché se una squadra annuncia che un corridore ha firmato con loro e dopo un’ora la squadra attuale dice che resta lì, mi sembra che passi l’immagine di uno sport tutt’altro che professionistico. E secondo me vuol dire che non sono state seguite le corrette procedure. Vuol dire che un corridore di vent’anni, che ha poca esperienza, ha preso una decisione non facile. E allora mi chiedo: chi è il responsabile di questo? Chi deve guidare il ragazzo? Chi deve curare questi aspetti?

Brent Copeland, manager del Team Jayco, si è mostrato piuttosto preoccupato per la vicenda Uijtdebroeks
Brent Copeland, manager del Team Jayco, si è mostrato piuttosto preoccupato per la vicenda Uijtdebroeks
Bella domanda: a chi tocca?

Io credo che siano la squadra e l’agente, poi il CPA e tanto dipende anche dalla squadra. Quando un corridore viene da noi, cerchiamo di insegnargli la nostra cultura, il nostro modo di fare. Cerchiamo di essere trasparenti e di rispettare tutti. Nel momento in cui ci fosse una mancanza di rispetto o qualcosa non va, si deve parlare. E a quel punto è una responsabilità sia della squadra sia dell’agente. Ci sono regole chiare dell’UCI per gestire la situazione.

Di chi è la colpa se non vengono seguite?

L’agente sicuramente fa una trattativa, però immagino che sia stato il corridore a chiedergli di cercare una nuova squadra. Certamente non credo che l’agente vada a mettere certe cose in testa al corridore, almeno spero. Serve qualcuno che educhi bene il ragazzo prima che si arrivi a questo punto. Qualcuno che gli faccia capire che il contratto l’ha firmato lui. Loro magari sono stati bravi a farti firmare per tre anni, hanno fatto un affare, ma adesso devi osservare quel contratto. Poi se il corridore va forte e cresce, l’agente dovrà mettersi a tavola con la squadra, cercando di aumentare il suo stipendio, come succede sempre.

Quindi l’agente esegue sempre le direttive del suo assistito?

Ho parlato con Alex Carera, che era arrabbiato con me perché ho fatto quel post su X facendomi proprio queste domande. E gli ho risposto che non c’è solo un responsabile e comunque non è solo colpa dell’agente. E’ anche colpa della squadra, perché se arrivi al punto in cui non riesci più a parlare col tuo corridore, allora sì, è meglio lasciarlo andare, ma che la cosa venga fatta con il protocollo giusto. Ecco perché più che arrabbiato sono preoccupato. Se va in porto questa faccenda e l’UCI non richiede un’udienza disciplinare, si crea una precedente per il futuro, in cui i ragazzi possono rompere il contratto più facilmente.

Fu una sentenza del tribunale belga a fine 2018 a portare Van Aert dalla Willems alla Jumbo
Fu una sentenza del tribunale belga a fine 2018 a portare Van Aert dalla Willems alla Jumbo
La stessa cosa accadde con Van Aert, che andò alla Jumbo Visma per una sentenza.

Sì, più o meno, anche se non ricordo bene i dettagli. Forse quel caso fu un po’ diverso perché non erano due squadre WorldTour e nella precedente lui faceva solo cross e poca strada. Ma forse a livello burocratico fu la stessa cosa.

Il sistema attuale funziona o sarebbe meglio passare al sistema dei cartellini come nel calcio?

Secondo me il sistema funziona se vengono rispettati i regolamenti. I passaggi sono semplici. Se le tre parti sono d’accordo, non ci sono problemi. Ma se la squadra dove lui ha il contratto non è d’accordo che vada via, allora diventa complicato. Certo che nessuno vuole rovinare la carriera del corridore, questo no, però quello che hanno fatto questa settimana per me è vergognoso. Chi vede certe cose si chiede cosa stia succedendo, anche perché nel frattempo il ragazzo è là che si allena con loro vestito di nero. E’ chiaro che Uijtdebroeks correrà alla Jumbo, non credo che rimarrà alla Bora, però le cose andrebbero fatte meglio. Fino al 31 dicembre lo stipendio arriva dalla Bora e anche se ci sono gli accordi per cui un corridore può provare la bicicletta nuova prima della fine del contratto, dal punto di vista della visibilità e dell’immagine ha l’obbligo di rispettare chi gli paga lo stipendio (a quanto detto da Carera, il contratto è stato terminato il 1° dicembre, ndr).

Secondo te c’è modo nello scrivere i contratti di tutelarsi rispetto a queste situazioni?

Anche qui è molto complicato. Ogni squadra è sottoposta alla legge del Paese in cui è registrata, più bisogna vedere il Paese in cui il corridore è residente. In questo caso mi pare di capire che Uijtdebroeks potrebbe andare in un tribunale del Belgio a chiedere di rescindere il contratto. Poi c’è il discorso dei contratti self-employed o employed: libero professionista o dipendente. Se lui è self-employed, allora ha più libertà di manovra. Ma in ogni caso c’è qualcosa di poco etico. Un po’ di rispetto deve esserci e questo è preoccupante.

Richard Plugge, a destra e i suoi trofei 2023: Giro, Vuelta e Tour. Roglic è passato alla Bora con regolare trattativa
Richard Plugge, a destra e i suoi trofei 2023: Giro, Vuelta e Tour. Roglic è passato alla Bora con regolare trattativa
Fra team manager vi capita mai di affrontare questi argomenti?

Dipende dal rapporto che hai con i singoli. Noi, per esempio, tre anni fa dalla Jumbo abbiamo preso Groenewegen, seguendo le procedure correttamente. Abbiamo chiesto l’autorizzazione di procedere con le trattative a Tom Van Damme. A quel punto abbiamo chiesto alla Jumbo quanto volesse per il corridore. Quindi abbiamo firmato tutti gli accordi e il passaggio è andato a buon fine, senza alcun problema. Qui è evidente, pur non conoscendo i dettagli, che il ragazzo non sia contento con la squadra e che ci siano delle frizioni, per i materiali, per i trattamenti ricevuti. Qualunque cosa ci sia sotto, ci si siede a un tavolo, si chiede alla squadra se è disposta a pagare una cifra, si fa una trattativa, si  mette giù un accordo tra le tre parti e si va avanti. Invece mi sembra che il corridore abbia deciso di rompere il contratto senza chiudere bene con la squadra attuale. Magari la Bora avrà pure fatto qualcosa di sbagliato, questo non lo so, ma questo non ti solleva dal rispettare le regole.

Quel che sembra è che alla fine sarà solo una questione di soldi…

Ma stiamo finendo nel ridicolo. Mettiamo che il PCC dica di no, che hanno valutato le situazioni e l’atleta deve rispettare il suo contratto e rimanere alla Bora. Uijtdebroeks allora va in tribunale, chiede di rompere il contratto e il tribunale accoglie la richiesta e lui va a correre per la Jumbo-Visma senza pagare la penale. Chi ci dice che l’anno prossimo non ti trovi con 3-4 corridori che davanti alla facilità di fare certi passaggi non proveranno la stessa strada? Per questo dico che adesso toccherebbe all’UCI richiamare le parti e fare un’udienza disciplinare, altrimenti si cade nell’anarchia.

A 18 anni nel WorldTour, prosegue il volo di Markel Beloki

13.12.2023
4 min
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Nella scia di Ayuso e Rodriguez e anche prima di loro, sbarca nel WorldTour anche Markel Beloki, figlio di Joseba: tre volte sul podio del Tour. Lo farà con la maglia della Education First, guidato da Juan Manuel Garate, e lo farà soprattutto con un anno di anticipo anche rispetto agli auspici di suo padre.

«Mi trovo a pensare a lui – ci disse Joseba lo scorso anno – come padre e come tecnico. Come padre, ha molti sogni, gli piace andare in bici e allenarsi come me. Sogna di passare professionista. E’ un atleta che si sta facendo. E’ alto 1,84 e pesa 69 chili. E’ sottile. E’ cresciuto molto rapidamente e altrettanto rapidamente sta migliorando. Il prossimo anno e il primo da U23 saranno importantissimi».

Markel Beloki ha ripreso a pedalare sulle strade di Vitoria, prima del ritiro di Girona (foto Instagram)
Markel Beloki ha ripreso a pedalare sulle strade di Vitoria, prima del ritiro di Girona (foto Instagram)

Da Sanchez a Garate

Da junior, Markel Beloki ha corso nella MMR Cycling Academy di Samuel Sanchez e i suoi progressi sono subito apparsi sotto gli occhi di tutti. Così si è arrivati alla decisione di fare il grande salto con un sottile anticipo. E a 18 anni, dal 2024 ci sarà nuovamente un Beloki nel grande gruppo. L’anomalia semmai è che inizialmente il corridore basco sembrava promesso alla Movistar, con cui aveva anche svolto un ritiro. Invece alla fine a prevalere è stato il team di Jonathan Vaughters.

«Sono molto emozionato – spiega Markel – e desideroso di dimostrare che non avevo torto. Quando è iniziata la scorsa stagione avevo in mente di mettere in pratica il percorso logico per tutti i ciclisti. Correre nella categoria under 23 e poi lottare per un posto nel gruppo professionistico. Invece si è presentata l’occasione e ho deciso di sfruttarla. Immagino che se fosse successo a qualcun altro, avrebbe preso la stessa decisione.

«Diciamo che a convincere tutti che sono pronto sono stati i miei ottimi test, ma soprattutto essere guidato da “Juanma” Gárate sarà come avere accanto uno di casa. Lui mi segue da vicino, mi consiglia e mi aiuterà a fare questo passo. Sono contento dell’anno che ho fatto, con dieci vittorie, ma non mi aspettavo che finisse così. Avrei potuto fare la doppietta ai campionati nazionali, invece nella prova su strada non sono riuscito a riprendere Alvaro Garcia che ha vinto e che correva nella squadra di Valverde».

Qui Beloki vince la prima tappa della Bizkaio Itzulia a Guenes (foto Naikefotosport)
Qui Beloki vince la prima tappa della Bizkaio Itzulia a Guenes (foto Naikefotosport)

Crescere poco a poco

Markel non somiglia per niente a suo padre: tanto era minuto e scalatore Joseba, per quanto è alto e filiforme suo figlio. Li accomuna la passione per la crono, ma è innegabile che il DNA ciclistico sia comune.

«Sono sempre stato forte in salita – conferma Beloki junior – ma sono molto bravo anche a cronometro. Spero di potermi difendere su tutti i terreni e anche se il salto che sto per fare è molto grande, sono preparato. Sia fisicamente che mentalmente, ho fatto i conti con l’idea che potrò fare le cose poco a poco. Intanto ho avuto modo di conoscere i compagni a Girona intorno a metà novembre. Abbiamo trovato bel tempo e abbiamo iniziato a pedalare tutti insieme.

«La squadra è un bel miscuglio di nazionalità diverse, fra spagnoli, colombiani, ecuadoriani e venezuelani. Da fuori sembrano delle ottime persone oltre ad essere grandi ciclisti. Spero che possano aiutarmi con i miei primi passi: la lingua è un vantaggio in questo senso. Inizio a piacermi anche vestito di rosa (sorride, ndr), mentre sono super contento della mia Cannondale, penso sia un’ottima bici».

Nella crono iridata di Stirling (Glasgow) Beloki non è andato oltre il 18° posto
Nella crono iridata di Stirling (Glasgow) Beloki non è andato oltre il 18° posto

Il DNA non mente

E mentre Markel Beloki si accinge a debuttare, un altro giovane spagnolo si affaccia sulla grande ribalta. Per la Spagna, che ha in Ayuso e Rodriguez i primi eredi di Purito Rodriguez, Valverde e Contador, a proposito di DNA ciclistico si prospetta anche il talento di Marcos Freire, figlio di Oscar.

Se lo è accaparrato già Joxean Matxin che lo ha vestito dei colori del UAE Team Emirates, nonostante il ragazzo abbia ancora 16 anni. Il tempo di fare la trafila negli juniores e potremmo probabilmente vederlo nel Gen Z Team della squadra emiratina, in cui per ora sono stati concentrati elementi di solido avvenire, come Glivar e il nostro Giaimi. In Spagna, insomma, c’è più di qualche motivo per cui brindare.

Longo Borghini e la corsa rosa che piace proprio tanto…

13.12.2023
5 min
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CALPE (Spagna) – Solo poche ore fa è stato presentato il Giro d’Italia Donne. Un Giro duro, entusiasmante, in cui l’Appennino in qualche modo è il protagonista e non solo per l’arrivo sul Blockhaus. Anche a vederla, la planimetria, ricalca la spina dorsale del Belpaese. Un percorso che fa sognare Elisa Longo Borghini.

La piemontese si accende letteralmente in volto quando nel corso dell’intervista si tocca il tasto del Giro Donne

Elisa è in ritiro con la Lidl-Trek, tutta. E’ incredibile quanto sia grande questa squadra. Non solo per il numero di corridori, ma anche dello staff. Ci sono le WorldTour maschile e femminile, ci sono la development e un indefinito numero di tecnici e personale appunto. Ma è bello tutto ciò. Ci dice di un ciclismo che cresce, che si evolve.

Dopo essere rientrata dalla sgambata, un’oretta facile facile, Longo Borghini viene da noi.

Nonostante la stagione poco fortunata, Longo Borghini ha vinto 5 corse in appena 30 giorni di gara
Nonostante la stagione poco fortunata, Longo Borghini ha vinto 5 corse in appena 30 giorni di gara
Vacanze finite, Elisa, hai recuperato?

Ho recuperato sin troppo! Scherzi a parte, ne avevo bisogno. Il mio corpo ne aveva bisogno, anche se fermarsi per un corridore è sempre difficile. Però avevo veramente la necessità di fare un periodo di reset perché è stato un 2023 abbastanza duro. Dopo la setticemia del Giro è stato difficile cercare di recuperare anche solo un po’ di forma nel corso dell’anno. Ma poi mi sono resa conto che proprio non c’ero fisicamente e ho dovuto staccare.

Quando hai ripreso ad allenarti?

Tre settimane e mezzo fa. Sono ancora nella fase di completo condizionamento. Sto facendo palestra e distanze, tutto incentrato sull’endurance. Non ho mai toccato neanche un secondo la soglia in questo periodo.

Beh, forse è anche piacevole pedalare così, specie con le temperature che ci sono qui in Spagna…

Un po’ sì, però da corridore ti piace sempre andare forte. Ti manca quel feeling dello spingere su una salita o di fare qualcosa di un po’ più brioso. A me piace andare in bici, quindi non ho particolari problemi, però quando sei in quella Z2 o Z3 e sulle salite vedi che non vai avanti… qualche domanda te la fai! Ma fa parte della preparazione, ci vuole pazienza e bisogna farlo: punto.

Si avvicina l’anno olimpico, le scelte saranno importantissime: hai già una bozza di programma?

Il programma verrà completato in questi giorni. Credo d’iniziare al UAE Tour e farò le classiche del Nord e quelle delle Ardenne. Per me le Olimpiadi chiaramente sono un obiettivo molto grande, quindi cercherò di arrivarci in una buona condizione sia per la squadra che per me. Ma adesso come adesso la mia aspettativa principale è un’altra.

Quale?

E’ quella di essere sana, di non avere alcun tipo di problema fisico per poi essere pronta per le competizioni. Se le gare le devo perdere, che le perda perché le altre sono più forti e non perché io non sia al 100 per cento. Non voglio rincorrere la forma per il Covid, per un’influenza o per qualsiasi altro problema. Ad ora quindi il mio più grande obiettivo è quello avere una stagione lineare.

In volata sei migliorata precchio, lo sprint con Van Vleuten al Giro Donne ne è la conferma. C’è altro da migliorare? Si lavora ancora su quello?

Sicuramente c’è tanto da migliorare. Sapete, mi fate ora questa domanda e sono in un momento in cui tutto è da migliorare. Se invece parliamo di una condizione top, per me continuare a lavorare sulla volata ha una grande importanza. Come avete detto: mi trovo sempre lì nel finale con tre o quattro ragazze, che alla fine hanno le mie stesse caratteristiche. Pertanto essere più veloce mi potrebbe dare qualche soddisfazione in più. Un’altra cosa da migliorare è l’efficienza, perché quando ti trovi sempre con quelle tre o quattro che, come ripeto, hanno le tue caratteristiche, alla fine vince anche chi ha le gambe più fresche e non per forza chi ha la punta di velocità maggiore. Quindi devo lavorare tanto sulla base, su questa maledetta o benedetta Z2!

Elisa, molti tuoi colleghi ormai utilizzano il termine efficienza, vogliamo definirlo?

Un ciclista diventa efficiente quando ad una determinata intensità spende meno e quindi produce meno lattato. Risparmia energie ed è risparmiando tante energie che poi nel finale è più fresco. Oggi siamo talmente tutte tirate all’estremo che le gare si vincono o si perdono per mezzi centimetri e la differenza la fa chi bada meglio ai dettagli. A me piace guardare i dettagli ed essere precisa. Questa è una cosa che mi affascina.

Ieri è stato presentato il Giro Donne e tu hai anche fatto un collegamento da qui, dalla Spagna, cosa ti è sembrato?

Mi sembra un bel Giro. Non ti permette di perdere la concentrazione in nessuna tappa, a parte forse una, la seconda mi sembra, che arriva in volata. Tutte le altre sono frazioni che magari sulla carta possono sembrare anche semplici, ma hanno sempre qualche insidia.

Longo Borghini con coach Slongo: Elisa si fida totalmente di Paolo
Longo Borghini con coach Slongo: Elisa si fida totalmente di Paolo
Tipo?

Un arrivo su uno strappo, un arrivo su un salita che dovrebbe essere pedalabile, ma che poi così pedalabile non è. E poi mi piace molto il fatto che ci sia questa crono iniziale.

Perché?

Perché è subito una tappa in cui puoi guadagnare tanto, ma anche perdere tanto se non ti fai trovare pronta. E anche questo è un aspetto molto interessante. Sinceramente mi piace: è un Giro che mi piace.

Tornando un po’ al discorso delle scelte oculate, il Giro Donne contrasta con le Olimpiadi o va bene?

Questo non lo so. Io mi affido a Paolo Slongo e lui di solito riesce sempre a prepararmi bene per gli appuntamenti. Si vedrà strada facendo cosa farò al Giro e se ci sarò. Ma sapete, io sono un’atleta un po’ sanguigna, nel senso che va bene la preparazione, vanno bene le Olimpiadi… Però a me il Giro piacerebbe farlo e farlo forte.

Grande Elisa! Insomma hai “alzato la mano”?

Un pochino sì, poi è chiaro che sto agli ordini della squadra. Però il Giro è il Giro.

Tolto il velo al primo Giro Donne targato RCS Sport

12.12.2023
6 min
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MILANO – Il 31° piano di Palazzo Regione nel capoluogo lombardo serve a presentare il primo Giro d’Italia Donne targato RCS Sport. Otto tappe, si parte dalla Lombardia il 7 luglio, più precisamente da Brescia. L’arrivo, dopo che si scende costantemente verso sud, è a L’Aquila, il 14 luglio. Nel mezzo tanti chilometri, per la precisione 856 e tanto dislivello: quasi 12.000 metri. Il progetto di questo Giro Donne ha la firma di Giusy Virelli, Sport Manager di RCS. 

«E’ un Giro Donne per tutti i gusti – racconta Giusy Virelli – nelle otto tappe ci sono occasioni per tutte le atlete. Le specialiste avranno modo di cimentarsi in ogni terreno, trovando quello a loro più congeniale. La Lombardia taglia il nastro rosa con un inizio fulminante. Infatti la cronometro di Brescia, che misura 14,6 chilometri, darà dei distacchi interessanti».

Verso sud, ma si sale

Dopo la partenza di Brescia sarà sempre la Lombardia a ospitare la partenza della seconda tappa. Dalle sponde del Lago di Garda le ragazze punteranno Volta Mantovana e le velociste avranno la prima occasione di darsi battaglia. Il primo arrivo in salita di questo Giro Donne avverrà nella terza frazione, quella che parte da Sabbioneta e arriva a Toano: 11 chilometri tutti da vivere, non difficili ma sicuramente un primo test importante. 

«Gli ultimi tre giorni – racconta dal palco Giusy Virelli – sono un crescendo di fatica e impegno. La tappa regina è la penultima, con arrivo al Blockhaus, al rifugio Mamma Rosa. Prima però le atlete scaleranno Passo Lanciano. In 125 chilometri i metri di dislivello saranno ben 3.600. Il finale, da Pescara a L’Aquila, nasconde insidie. Con lo strappo che porta in centro città che diventa così un’ultima occasione per ribaltare le gerarchie».

La voce della “Longo”

La collocazione del Giro Donne nella seconda settimana di luglio è una chance da non buttare. Il percorso disegnato da RCS è duro, lo si vede nei volti degli interessati presenti e nelle parole delle possibili protagoniste. Collegate da remoto, causa ritiri di squadra, si presentano Elisa Longo Borghini, Silvia Persico e Mavi Garcia

«Il percorso mi è piaciuto subito», ammette Longo Borghini che con il ritiro della Van Vleuten vede aprirsi uno spiraglio più che concreto di indossare la maglia rosa. «La cronometro iniziale, visto il tipo di corridore che sono, è perfetta per me. E’ un Giro Donne dove fin da subito non si potrà abbassare mai la soglia dell’attenzione. Dalla quarta tappa in poi non si scherza davvero più».

In casa UAE e Liv

Della formazione UAE Team ADQ si presenta Silvia Persico, mentre per la Liv Racing Mavi Garcia. Anche loro con il volto proiettato su uno schermo ma con le idee chiare

«Questa edizione è davvero dura – dice Silvia Persico – per questo mi concentrerò molto sulle tappe. La quarta (quella che arriva a Urbino, ndr) è molto vicina alle mie caratteristiche. La classifica generale, invece, è lontana dalle mie possibilità, viste le tante scalate impegnative, soprattutto nelle ultime due tappe».

«Mi sembra un Giro Donne molto più duro rispetto agli altri anni – racconta in un perfetto italiano Mavi Garcia – in più è fatto in posti davvero molto belli. Sono emozionata e motivata, la tappa del Blockhaus è davvero impegnativa, forse troppo. 3.600 metri di dislivello non li ho mai fatti in gara. Nel 2024 voglio tornare a lottare, serve migliorare le prestazioni fatte nel 2023».

Ecco il “Trofeo senza fine”, con il simbolo dell’infinito, per il primo Giro d’Italia Donne di RCS
Ecco il “Trofeo senza fine”, con il simbolo dell’infinito, per il primo Giro d’Italia Donne di RCS

Sangalli guarda e studia

Il cittì della nazionale femminile, Paolo Sangalli, era seduto nella fila davanti alla nostra. Non si è scomposto e dopo la presentazione si è messo a disposizione dei presenti. 

«Come Italia ci siamo adeguati al modello francese – dice Sangalli – dove ASO organizza il Tour de France e il Tour de France Femmes. E’ un percorso duro, anche più della corsa a tappe francese. Quelle che sembrano tappe di pianura nascondono insidie che nelle altimetrie non si vedono. La tappa di Urbino, la quarta, mi sembra molto bella e intrigante. Una frazione che può prevedere la classica “imboscata”. Logicamente si guarda al Blockhaus per la classifica finale, lì si scopriranno tutte le carte».

L’appuntamento olimpico, datato ad inizio agosto, dista tre settimane dal finale della corsa rosa femminile. Chi vorrà essere pronta per Parigi potrebbe dover passare dal Giro Donne

«Credo che tutte le protagoniste dell’olimpiade saranno al Giro – conclude Sangalli – ci sarà un alto livello tecnico. Le nostre ragazze ci saranno e potranno guardare alla classifica generale. A partire dalla Longo Borghini passando anche per Marta Cavalli. Io potrò guardare e prendere spunto dal Giro Donne, con la consapevolezza che il periodo per preparare poi la gara di Parigi c’è, bisogna essere bravi a recuperare e gestire gli impegni. La squadra per le Olimpiadi verrà fuori sia dalle Classiche del Nord che dal Giro Donne».

Il ritorno di Fontana, a mezzo servizio pensando a Parigi

12.12.2023
5 min
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Faé di Oderzo, ultima edizione del Ciclocross del Ponte, una delle grandi classiche del nostro calendario. A svettare è una maglia tricolore, quella di Filippo Fontana e questa è una notizia perché del campione italiano si erano un po’ perse le tracce. Qualche apparizione proprio a inizio stagione e poi più nulla, lasciando fare agli avversari di sempre, guardando le gare dal di fuori, con un pizzico di malinconia ma convinto delle proprie scelte.

Già, le scelte. Si parla sempre dei tre tenori, di chi deve sacrificare la passione per l’attività sui prati per privilegiare la strada. Dimenticandoci che un po’ lo stesso avviene per chi opera nei mesi caldi in sella a una mountain bike. Fontana spiega proprio in questo modo la sua stagione ben diversa da quelle passate.

«Non potevo fare altrimenti – racconta Fontana – la stagione di mtb è finita tardi, a ottobre eravamo ancora impegnati con le prove di Coppa del mondo in America. Staccare era un obbligo anche pensando a quel che ci aspetta. Sono rimasto fermo quasi tutto novembre, quella di Faé era la mia prima gara vera, ma continuerò a gareggiare in prove non lontano da casa per privilegiare gli allenamenti, per il ciclocross solo in parte perché già sono più che orientato verso la mountain bike».

Fontana ha raccolto due prestigiosi successi in 24 ore, battendo Van Kessel a Faé e Pavan a Vittorio Veneto (foto Billiani)
Fontana ha raccolto due prestigiosi successi in 24 ore, battendo Van Kessel a Faé e Pavan a Vittorio Veneto (foto Billiani)
Perché questa scelta così diversa dal solito?

Il 2024 è un anno molto particolare. Se hai ambizioni di partecipazione alle Olimpiadi non puoi fare diversamente e io ci punto, anche se so che i posti a disposizione nella mtb saranno solamente 2. Questo significa che ad aprile-maggio bisognerà essere al massimo della forma perché sarà allora che si decideranno i due nomi e io dovrò farmi trovare pronto.

Quindi non è una situazione che coinvolge solo gli stradisti, viste le tante defezioni di questa stagione anche in casa italiana, Silvia Persico tanto per fare un nome…

Se punti a un evento così importante, così fuori dalle righe visto che c’è ogni 4 anni, così particolare anche nella sua collocazione temporale non puoi fare altrimenti. Io ad esempio ho scelto di partire molto piano, spero di raggiungere una buona forma per gennaio-febbraio in modo sia da ottenere il massimo agli italiani e magari ai mondiali di ciclocross, tirando poi avanti per le prime prove della mtb, staccando quando sarà necessario per poi spingere a tutta in primavera.

Il corridore di Vittorio Veneto ha esordito vincendo a Jesolo, poi è stato 2° a Brugherio, fermandosi per tutto novembre (foto Billiani)
Il corridore di Vittorio Veneto ha esordito vincendo a Jesolo, poi è stato 2° a Brugherio, fermandosi per tutto novembre (foto Billiani)
Quindi la scelta dei grandi di fare solo qualche sporadica apparizione nel circuito ti trova d’accordo?

Hanno vinto tutto, è la logica stessa che dice che, se vogliono ottenere altro, qualcosa di inedito per loro devono fare delle rinunce. Per loro il ciclocross è passione, ma non è il sostentamento principale, l’obiettivo primario della loro carriera ed è già un bellissimo segnale che non ci rinuncino del tutto. Affrontano stagioni così impegnative che è difficile rendersene davvero conto, eppure uno spazio per il ciclocross lo mantengono e questo avvantaggia tutti.

Veniamo alla gara di Faé…

E’ andata bene, anche oltre le previsioni. Pensavo di fare più fatica anche perché c’erano davvero tutti i migliori italiani ma anche Korne Van Kessel che non è propriamente uno sconosciuto. Sono partito molto circospetto lasciando l’iniziativa agli altri, poi Van Kessel ha rotto una scarpa perdendo un po’ di tempo e ne ho approfittato per attaccare. L’olandese è rimasto sempre abbastanza vicino ma alla fine quei 10 secondi di vantaggio sono riuscito a conservarli.

La premiazione con la targa per Fontana, consegnata dalla vedova di Renato Longo, Marisa (foto Billiani)
La premiazione con la targa per Fontana, consegnata dalla vedova di Renato Longo, Marisa (foto Billiani)
La condizione comunque c’è visto che il giorno dopo ti sei preso pure il Ciclocross di Vittorio Veneto, tappa finale del Master Cross Selle Smp

Lì è stato un po’ più facile, nel senso che ho subito guadagnato un buon vantaggio sugli avversari potendo viaggiare di conserva per quasi tutta la gara. Mi ha fatto molto piacere esserci e onorare al meglio la memoria di Renato Longo che per questa disciplina è stato un capostipite. In questo modo ho vinto anche la classifica del Master grazie alla doppietta in 24 ore. La challenge si prestava molto alle mie necessità, con poche gare quasi tutte in Veneto e tutte di elevato livello.

Che tipo di percorsi sono quelli trevigiani che hai affrontato?

Pianeggianti ma impegnativi, soprattutto quello di Faé perché prevede molti tratti a piedi e dove devi spingere molto. Oltretutto era umido e questo ha reso il tracciato scivoloso. Per questo temevo che gli sforzi fatti potessero essere vanificati, bisognava essere molto attenti.

Nel MasterCross Selle SMP altro successo per Rebecca Gariboldi, che unisce la challenge alla vittoria al Giro (foto Billiani)
Nel MasterCross Selle SMP altro successo per Rebecca Gariboldi, che unisce la challenge alla vittoria al Giro (foto Billiani)
Prendendo spunto dal percorso trevigiano e in base alla tua esperienza anche all’estero, i tracciati italiani sono penalizzanti rispetto a quelli belgi e olandesi dal punto di vista tecnico?

Forse la mia risposta andrà controcorrente, ma io penso proprio di no. Molti si lamentano dell’eccessivo fettucciato, ma bisogna considerare che il disegno dei nostri percorsi richiede capacità tecniche non comuni: dove le trovi all’estero curve a gomito, tracciati abbastanza stretti, curve dove devi rilanciare in maniera secca e “menare” per riprendere velocità? La differenza non è nei percorsi, ma nel livello generale. Se ogni settimana hai almeno due gare dove ti confronti con almeno 15 corridori che sono al tuo livello se non superiore, alla fine ti accorgi che c’è un’altra qualità. Tornando ai tracciati, io credo che quelli di Brugherio o lo stesso Faé di Oderzo non abbiano proprio nulla da invidiare ai principali esteri.

Quando ti rivedremo in gara?

Credo il 26 a San Fior, per un’altra gara nazionale. Voglio gareggiare vicino casa, per sfruttare tutto il tempo disponibile per gli allenamenti di mtb. L’obiettivo olimpico è troppo importante quest’anno…

La Coppa di Sera finisce in lite davanti alla Procura federale

12.12.2023
6 min
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Nel calendario esordienti del 2024 non vedremo le prove della Coppa di Sera esordienti: quella degli uomini e quella delle donne nel contesto ben più ampio della Coppa d’Oro (in apertura, foto Daniele Mosna). Quando abbiamo chiesto lumi a Stefano Casagranda, presidente del Veloce Club Borgo, ci siamo resi conto di essere finiti nel mezzo di una bella bega.

E’ successo infatti che la UC Sangiulianese Asd si è vista respingere l’iscrizione alla gara di Borgo Valsugana e, ritenendo il motivo inconsistente, ha presentato un ricorso alla Federazione. Il ricorso è stato accolto ed è sfociato in un deferimento presso la Procura federale. A essere citati, lo stesso Casagranda e il Veloce Club Borgo che rappresenta.

La UC Sangiulianese, respinta dalla Coppa di Sera, ha presentato ricorso alla Federazione (foto Facebook)
La UC Sangiulianese, respinta dalla Coppa di Sera, ha presentato ricorso alla Federazione (foto Facebook)

La giustizia sportiva

Dato che sulla vicenda si esprimerà la giustizia sportiva, ci siamo limitati a raccogliere le due voci, cercando di capire se e dove possa esserci stato un fraintendimento. Abbiamo così interpellato Marco Toni, presidente della Sangiulianese, e Stefano Casagranda. Partiamo dall’iscrizione, effettuata dal team milanese con i 15 giorni di anticipo previsti dal Fattore K, il sistema di iscrizioni digitale adottato dalla FCI.

MARCO TONI: «Noi abbiamo fatto l’iscrizione, il limite massimo era di 200 iscritti. Come da regolamento, abbiamo utilizzato il Fattore K e tra l’altro siamo stati tra i primi, perché i nostri ragazzi avevano i numeri dal 33 al 39, quindi erano perfettamente iscritti. A quel punto però abbiamo ricevuto una telefonata, con la quale ci veniva comunicato che saremmo stati estromessi. Parlando con altre società sportive, abbiamo scoperto che l’estromissione era derivata dal fatto che non avevamo prenotato nessuno degli alberghi convenzionati con la società organizzatrice.

«Alcune squadre dell’hinterland di Milano, segnatamente la Pessanese e la Senaghese, hanno dovuto disdire prenotazioni già fatte, per orientarsi su uno degli hotel convenzionati. Questa cosa ci ha dato estremamente fastidio. L’estromissione non era giustificata da nulla, ma a un certo punto ci hanno detto che non avevamo fatto la pre-iscrizione a marzo, come avevano richiesto».

Marco Toni è stato sindaco di San Giuliano Milanese ed è presdiente della UC Sangiulianese
Marco Toni è stato sindaco di San Giuliano Milanese ed è presdiente della UC Sangiulianese

STEFANO CASAGRANDA: «L’hotel non c’entra nulla, quelli di Bassano, di Padova o Verona vengono la mattina senza problema. Più di metà degli atleti non ha alloggiato da noi. Invece abbiamo sempre chiesto di fare la pre-iscrizione a marzo, perché abbiamo sempre un numero importante di partecipanti. Era così anche prima del mio arrivo, quando la Coppa d’Oro era solo per allievi. Non c’era ancora il Fattore K, quindi fu adottato questo criterio. Negli anni successivi, lo abbiamo mantenuto per esigenza di organizzazione. Ogni anno abbiamo 2.400 ragazzi in due weekend e dobbiamo dare una sistemazione a tutti. Così da un paio di anni l’Azienda di Promozione Turistica ci dà un contributo economico e noi cerchiamo di fare in modo che le squadre abbiano modo di prenotare vicino a Borgo.

«Se aprissimo le iscrizioni due settimane prima, come prevede il Fattore K, quelli che vengono da lontano (siciliani, pugliesi, marchigiani o toscani) avrebbero problemi e magari, con due sole settimane di preavviso, troverebbero l’hotel a 100 chilometri. A noi interessa che non ci siano solamente veneti, lombardi e trentini. Vogliamo che tutti abbiano la possibilità di partecipare e per questo abbiamo mantenuto la formula che tutti conoscono e cui si attengono da anni. Mi viene il dubbio che il diesse di quella squadra non lo sapesse o abbia dimenticato di iscriversi a primavera e ora, messo alle strette, si nasconda dietro il Fattore K». 

Casagranda Coppa d'Oro 2021
L’ex pro’ Stefano Casagranda alla partenza della Coppa d’Oro (foto Instagram)
Casagranda Coppa d'Oro 2021
L’ex pro’ Stefano Casagranda alla partenza della Coppa d’Oro (foto Instagram)

La pre-iscrizione di marzo

TONI: «La pre-iscrizione a marzo è una cosa che non sta né in cielo né in terra, perché a marzo la gara non è stata ancora presentata né approvata. Ma siccome la Coppa d’Oro esordienti è iscritta nel calendario della Federciclismo, noi abbiamo provveduto all’iscrizione, come facciamo normalmente tutte le domeniche, da quando è entrato in vigore il Fattore K. Tra l’altro con i ragazzi eravamo già andati a fare un’escursione sul percorso, li avevamo preparati anche psicologicamente e quando ci hanno estromessi, ci sono rimasti male. Insomma, il Fattore K non è più l’elemento determinante per iscrivere i corridori? Abbiamo presentato un’istanza alla Federazione, chiedendo chiarimenti.

«Siamo tutti abbastanza esperti, conosciamo il mondo del ciclismo, ma questa non è la Nove Colli o una gran fondo, che ha dietro un ritorno commerciale. Qui stiamo parlando di una manifestazione per esordienti che non dovrebbe avere finalità di lucro. Dopodiché, se dal circuito degli hotel con i quali hanno stipulato una convenzione prendono una percentuale, in sede di approvazione di gara dovrebbero inserire una postilla al regolamento, dicendo che la mancata prenotazione presso uno degli alberghi convenzionati è elemento di esclusione».

Il numero degli esordienti al via potenzialmente potrebbe doppiare quota 200 (foto Daniele Mosna)
Il numero degli esordienti al via potenzialmente potrebbe doppiare quota 200 (foto Daniele Mosna)

CASAGRANDA: «Il contributo degli hotel ci aiuta a rientrare delle spese. Abbiamo scelto di non chiedere la tassa di partecipazione di 10 euro prevista dal 2024 per esordienti e allievi. Se facessimo così, guadagneremmo molto più di quello che ci viene dagli alberghi. Non metteremo mai quella tassa, perché da sempre cerchiamo di promuovere il ciclismo pesando il meno possibile sulle società. Quindi possiamo accettare le telefonate e i reclami, ma non che qualcuno pensi che ci riempiamo le tasche.

«Ogni anno ci rimettiamo qualcosa, sia sul piano personale, sia come società, perché non percepiamo alcun rimborso. I nostri ragazzi del Veloce Club Borgo non hanno bici da 5.000 euro, neanche da 2.000 o da 1.000. Hanno le biciclette dei giovanissimi di 15-20 anni fa. Insomma, perché dovremmo portare via i soldi alla squadra per fare le gare, se adesso arriva anche una denuncia? Sapevamo di essere fuori dalla regola del Fattore K, ma non ci saremmo mai aspettati che una squadra si lamentasse e ci mettesse in condizione di difenderci, di andare a Roma e trovarci un avvocato. Quindi intanto abbiamo deciso che le gare degli esordienti, sia maschi sia femmine, non le metteremo nel calendario 2024. Erano nel programma per riempire il calendario della settimana e far crescere il clima di festa. Così non può essere».

E’ il 2021 quando Maria Acuti vince la Coppa di Sera per donne (foto Daniele Mosna)
E’ il 2021 quando Maria Acuti vince la Coppa di Sera per donne (foto Daniele Mosna)

Serve una mediazione

Le posizioni restano separate, mentre gli esordienti hanno perso una vetrina. Probabilmente più che di un deferimento servirebbe una mediazione. E’ giusto che chi si iscrive seguendo le vie ufficiali abbia accesso alla gara, è giusto tenere conto delle esigenze degli organizzatori, soprattutto di chi muove un numero così alto di corridori e società, che richiedono altri tempi e altri strumenti.

Probabilmente, se le iscrizioni della Coppa d’Oro passassero unicamente per il Fattore K, gli organizzatori non avrebbero il tempo per predisporre i gadget e i pasti che da sempre offrono a tutti i partecipanti. Con agosto di mezzo e le aziende chiuse, la gestione sarebbe impossibile. Anche chi organizza una gran fondo e deve predisporre pacco gara e pasta party ha bisogno del necessario preavviso. Così pure chi organizza il meeting nazionale dei giovanissimi.

«Non vogliamo trattamenti di riguardo – dice Casagranda – chiediamo che la Federazione ci dia una mano, magari ipotizzando che per alcune gare il Fattore K non sia l’unica via di accesso. Non voglio chiedere favori, già ci danno la deroga per avere più di 200 partenti alla Coppa d’Oro degli allievi e sono venuti con il pullman azzurro. Capisco che andare avanti per eccezioni sarebbe un problema. Fra gli allievi il sistema di iscrizione è lo stesso. Siamo fuori dal Fattore K, ma finora nessuno si è mai lamentato, perché è così da anni. Dovremo pagare una multa? La pagheremo, ma è il principio che non ci sta bene. Perché se chiunque rimane fuori pianta una grana del genere, la situazione diventerà davvero ingestibile».

Il concetto di manubrio fa passi da gigante anche nel cross

12.12.2023
5 min
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Il manubrio è uno dei punti di contatto che influisce in modo esponenziale sulla bicicletta. Per molti atleti la leggerezza non è fondamentale, per altri è importante anche nel ciclocross. La maggior parte dei corridori cerca il giusto compromesso tra rigidità ed ergonomia.

Abbiamo messo insieme quattro considerazioni di altrettanti atleti, molto differenti nello stile di guida e nel modo di aggredire i tracciati di ciclocross. Manon Bakker (vittoriosa tra le donne a Vermiglio) e Laurens Sweeck, Ryan Kamp e Michael Vanthourenhout. Tutti (e non sono i soli) utilizzano la piega Deda Superzero e nessuno di loro ama particolarmente l’integrato in ambito cx. Cambiano le scelte per quello che concerne l’attacco manubrio: c’è chi lo preferisce più “morbido” e chi invece lo cerca rigido.

Bakker, leggerezza al top

«Ritengo che anche in ambito ciclocross – spiega l’atleta olandese – la leggerezza sia importante. Lo è perché dove si possono risparmiare dei grammi, senza compromettere la sicurezza del componente, è importante farlo e per me una bici leggera è più funzionale. La leggerezza è importante perché influisce anche sulla rigidità complessiva e un manubrio troppo rigido nel ciclocross può essere controproducente.

«Questo è uno dei motivi – prosegue Bakker – che orientano la mia scelta su un binomio non integrato. Inoltre, non utilizzando le leve troppo inclinate verso l’alto, per me è fondamentale avere una piega che mi permetta di appoggiare i polsi sulla piega, visto che per la maggior parte del tempo il palmo delle mani è sui comandi».

Sweeck, compromesso semi-aero

«Al di là delle scelte soggettive e delle sponsorizzazioni – spiega il ciclocrossista belga – il fatto di avere a disposizione una piega con la parte superiore più larga, una sorta di concezione aero, offre dei vantaggi sfruttabili per l’appoggio del palmo delle mani. Un manubrio del genere ti aiuta nel controllo della bici quando è fondamentale tirare con la parte superiore del manubrio.

«Rispetto ai manubri completamente rotondi il feeling è migliore e così anche la sensazione di rigidità. Diventa importante anche la scelta dell’attacco manubrio, a mio parere più rigido è, meglio è».

Kamp, come su strada

«Dal manubrio passa tutto – spiega Ryan Kamp – il giusto manubrio ti permette di guidare bene la bicicletta, di avere un buon feeling e di essere comodo. Ti supporta e ti sostiene, ma nel ciclocross non deve essere estremamente rigido. Preferisco la piega e l’attacco manubrio separati che lasciano sempre un margine di elasticità, rispetto ad un integrato che nel cx può diventare eccessivo, anche se entrano in gioco gli sponsor tecnici e le scelte personali.

«Nel corso della stagione di gare – ci racconta il ventitreenne olandese – uso la bici da ciclocross anche per allenarmi su strada e mi piace avere sempre il medesimo setting».

Vanthourenhout, Superzero e Zero100

«La scelta della tipologia di piega – spiega infine il campione europeo Vanthourenhout – è condizionata dal fatto che a me piace utilizzare i manettini con una inclinazione rialzata. Ho iniziato ad usare il Superzero Carbon e forse non tornerei ad un manubrio rotondo di tipo standard. Se è vero che noi crossisti passiamo buona parte del tempo con le mani alte sui comandi, è altrettanto vero che quando le spostiamo sulla parte centrale dobbiamo avere un manubrio rigido, ma che ci permette di non modificare eccessivamente le caratteristiche della bici sull’avantreno.

«Rigido sì – conclude – ma non troppo. Un’altra caratteristica importante è la larghezza: troppo stretto non è funzionale quando la guida diventa molto tecnica e tutto il corpo si muove in parallelo alla bicicletta».