Giuliani dice basta con i team, ma non molla la presa

Giuliani dice basta con i team, ma non molla la presa

16.10.2025
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Dopo tanti anni a nuotare controcorrente, Stefano Giuliani ha deciso di dire basta. A 68 anni, dopo una lunga carriera da corridore e una ancor più lunga da dirigente, l’abruzzese termina con questa stagione l’ultimo suo impegno alla guida della Monzon Incolor Gub. Poi non è che starà in pantofole, non è proprio da lui. Recentemente è stato nominato presidente dell’UC Perna che organizza il Trofeo Matteotti, quindi si dedicherà anima e corpo all’organizzazione della classica pescarese.

I tanti anni passati in ammiraglia non possono però andare così presto nel dimenticatoio. Perché mettere la parola fine a questa lunghissima esperienza? Non è solo un discorso di stanchezza fisica perché parlando con Giuliani, la verve è sempre quella: «Partiamo dal presupposto che non volevo mollare, perché sono un tipo che non molla mai, ma deve avere un senso. Io mi sono sempre adattato come un camaleonte ai vari passaggi epocali. A quest’ultima avventura ho dedicato 8 anni di sacrifici e ho visto il ciclismo cambiare profondamente, cambiare la sua cultura. Mi sono convinto ad esempio che una continental ha molto più senso di una professional, se intesa come occasione per tanti ragazzi di correre, per mettersi in evidenza e trovare una propria strada. Ma anche come la intendevamo noi, una squadra aveva bisogno di fondi sempre maggiori, ormai non ce la facevamo più».

La Monzon Incolor Gub era nata con altro nome nel 2018, con affiliazione sempre in Romania (foto Facebook)
La Monzon Incolor Gub era nata con altro nome nel 2018, con affiliazione sempre in Romania (foto Facebook)
La Monzon Incolor Gub era nata con altro nome nel 2018, con affiliazione sempre in Romania (foto Facebook)
La Monzon Incolor Gub era nata con altro nome nel 2018, con affiliazione sempre in Romania (foto Facebook)
A proposito di avventure in ammiraglia, quale ricordi con maggiore affetto?

Sicuramente quella con la Fantini, partendo da zero e arrivando a una squadra professional conosciuta e ammirata in tutto il mondo. Dove si lavorava a un certo livello. Ero determinato a convincere gli investitori a fare una squadra con un mix di vecchio e nuovo. Per certi versi anticipando anche i tempi di oggi. Ero molto soddisfatto, sotto l’aspetto tecnico si vinceva ancora. Poi sono ripartito, testardo come sono, più o meno con le stesse soluzioni, cercando investitori. Ma non era più la stessa cosa, anche perché lottare in un mondo dove a vincere sono sempre quelle 3-4 squadre alla fine ti logora e toglie la voglia. Perché è sempre una questione di soldi…

Qual era la tua formula?

Io ho sempre pensato a squadre internazionali, perché avere sempre più Nazioni significa più apertura per le gare, più attenzione generalizzata, più possibilità d’investimento, il tutto per dare spazio  dei giovani che magari non hanno avuto la stessa possibilità di poter emergere. Il mio sogno, ora posso dirlo, era entrare nella filiera di una WorldTour perché quel concetto, pur con mille contraddizioni, ha un senso, ma non me ne hanno data la possibilità. Così sono andato avanti da solo, finché ho potuto.

La Vini Fantini è stata una delle più belle esperienze per Giuliani, perché portata ai vertici
La Vini Fantini è stata una delle più belle esperienze per Giuliani, perché portata ai vertici
La Vini Fantini è stata una delle più belle esperienze per Giuliani, perché portata ai vertici
Nel ciclismo di oggi c’è qualcosa che ti piace?

I giovani, che fanno sacrifici almeno quanti ne facevamo noi. Ma noi li facevamo per fame, loro per moda, per arricchirsi: il che ha anche un senso. Solo che così il ciclismo è diventato uno sport per vip, dove già come famiglia devi investire tanto. Sono tutte ragioni per le quali bisognerebbe riflettere: a che pro continuare quando fai fatica a fare un budget? La cosa che non va è che gli investitori molto probabilmente non credono più a questo sport paragonandolo con altri. Sono andato in Cina e ho trovato sponsor disponibili a investire con bici performanti, perché oggi ai ragazzi non gli puoi dare una sottomarca.

Dopo tanti anni da dirigente, quali sono quelli che ti sono rimasti più nel cuore, dove ti divertivi di più?

Sicuramente i primi, anche se non ero maturo, ma avevo una verve che trascinava tutto il gruppo. E’ stato un periodo un po’ più spavaldo, si può dire garibaldino con la Cantina Tollo, eravamo tre soci. Beh, da quella squadra ne vennero fuori tre quando io, Santoni e Masciarelli scegliemmo tre strade diverse, ma evidentemente eravamo tutti e tre capaci, perché Fantini, Domina Vacanze e Acqua e Sapone sono state tre pietre miliari. C’era più movimento, più posti di lavoro, più possibilità di emergere. Prendevo quei ragazzi che magari non mi consigliavano, gli estroversi, gli artisti, un po’ come mi definisco io, quelli che non riescono a esprimersi in un mondo così asettico.

Il lettone Kristians Belohvosciks ha preso parte anche a mondiali ed europei (foto Facebook)
Il lettone Kristians Belohvosciks ha preso parte anche a mondiali ed europei (foto Facebook)
Il lettone Kristians Belohvosciks ha preso parte anche a mondiali ed europei (foto Facebook)
Il lettone Kristians Belohvosciks ha preso parte anche a mondiali ed europei (foto Facebook)
C’è un nome che ti è rimasto impresso?

Penso che la chicca di quell’esperienza, per non farla lunga, è stato Ivan Quaranta. Aveva smesso oramai e quindi io feci questa scommessa con lui e con me stesso perché era un talento e i talenti non si possono perdere. Cercai di recuperarlo, trovammo un buon feeling e vinse quattro tappe vestendo pure la maglia rosa al Giro, questo mi dà un gran soddisfazione personale. Ma ce ne metto anche un’altra.

Quale?

Lo sciopero per i diritti televisivi al Giro. Ci fu una riunione con gli sponsor dove eravamo 10 squadre, quel giorno si decise che chi vinceva non andava sul podio. Io pregavo di non vincere perché ero con una squadra sì tra le 10, ma non era la più influente. Quaranta invece vinse, non andò sul palco, esplosero le polemiche e alla lunga ho pagato quel gesto, del quale però non mi sono mai pentito perché avevo dato la mia parola.

Quest'anno la squadra di Giuliani ha colto molti piazzamenti, soprattutto in Cina, sede dello sponsor tecnico (foto Facebook)
Quest’anno la squadra di Giuliani ha colto molti piazzamenti, soprattutto in Cina, sede dello sponsor tecnico (foto Facebook)
Quest'anno la squadra di Giuliani ha colto molti piazzamenti, soprattutto in Cina, sede dello sponsor tecnico (foto Facebook)
Quest’anno la squadra di Giuliani ha colto molti piazzamenti, soprattutto in Cina, sede dello sponsor tecnico (foto Facebook)
Tu adesso ti concentri sull’organizzazione del Trofeo Matteotti. E’ una strada che ti interessa di più in questo momento?

Sono già 7 anni che ci sono dentro, affiancando il presidente Sebastiani, che è presidente anche del Pescara Calcio. Ma non andava come volevo io, era una gara destinata a finire. L’edizione di quest’anno è stata montata in pochissimi giorni, ma sapevo che potevo farcela, anche se c’erano tanti gufi che cantavano già il de profundis. Ora però bisogna fare le cose per bene. Amo questa corsa, era quella di quand’ero bambino, sono arrivato due volte terzo, una volta quinto. Quando andavo male finivo vicino ai primi 10. Era il mio mondiale. Ora devo restituirgli qualcosa…

Campionati europei 2025, Drome et Ardeche, Chantal Pegolo

Chantal Pegolo, 18 anni: la storia è appena cominciata

16.10.2025
5 min
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Una volta conclusi i campionati italiani cronosquadre di sabato, il 2025 di Chantal Pegolo potrà dirsi finalmente concluso. Non perché sia stato un anno negativo, sia chiaro, più di qualcuno firmerebbe per essere al suo posto. Ma certo, al netto delle soddisfazioni, è stato lunghissimo e piuttosto faticoso. Alle medaglie negli europei su pista si sono aggiunte quelle di fine stagione ai mondiali e agli europei su strada. In più mettiamoci le gare con la squadra. I viaggi. I ritiri. E alla fine la sua settimana a Sharm El-Sheikh, Pegolo se la sogna tutte le notti da almeno dieci giorni.

«Dopo l’europeo su strada – racconta Pegolo – ho fatto gli italiani in pista. Ho vinto, però mentalmente non c’ero più. Con la testa ero verso le vacanze, al momento di lasciare la bici. Vengo da tre giorni di riposo, perché tra l’altro sono anche caduta. E ho appena ripreso ad allenarmi per l’italiano crono, ma molto tranquillamente…».

2025 UCI Road World Championships Kigali Rwanda, Chantal Pegolo
La firma al via dei mondiali, quando non c’erano certezze e nessuno da Pegolo si aspettava l’argento
2025 UCI Road World Championships Kigali Rwanda, Chantal Pegolo
La firma al via dei mondiali, quando non c’erano certezze e nessuno da Pegolo si aspettava l’argento

Fra scuola e ciclismo

Di Chantal Pegolo vi avevamo già raccontato lo scorso anno quando debuttò fra le juniores e più di recente, nel corso dell’estate, dopo gli europei in pista. Il secondo posto di Kigali nella prova su strada ha dato una forma diversa alla sua ambizione e al suo sorriso.

«L’anno scorso avevo fatto parecchi secondi e terzi posti – racconta – però non era mai arrivato un titolo. Un po’ per l’esperienza e anche per l’età, perché comunque ero al primo anno. Quest’anno invece sapevo che potevo giocarmi delle carte su pista, ma su strada avevo molti più dubbi, perché non abbiamo mai fatto gare internazionali. Quindi sono andata al mondiale e agli europei, cosciente del lavoro che avevo fatto, ma senza aspettarmi nulla. Sapevo che il livello sarebbe stato più alto e, non essendomi mai confrontata con le altre, non pensavo di certo a un podio, neanche alla top 10 in verità. Insomma, devo ancora credere di essere arrivata seconda al mondiale.

«Per ora Ostiz e Grossman hanno qualcosa in più di me, ma lavorandoci e crescendo, secondo me posso affiancarle. Loro adesso lo fanno come lavoro, Ostiz ha già fatto delle gare con le professioniste, quindi tutt’altro ritmo rispetto al mio. Lei non va più a scuola, si dedica al 100 per cento al ciclismo. Io invece vado ancora a scuola, non mi dedico solo allo sport, quindi secondo me ho ancora margini».

Campionati del mondo, Kigali 2025, prova su strada donne junior, Chantal Pegolo
Pegolo all’arrivo: la mano sul volto per il secondo posto, che alle spalle di Ostiz vale quasi quanto una vittoria
Campionati del mondo, Kigali 2025, prova su strada donne junior, Chantal Pegolo
Pegolo all’arrivo: la mano sul volto per il secondo posto, che alle spalle di Ostiz vale quasi quanto una vittoria

Dodici ore a settimana

Il contratto in tasca ce l’ha anche lei, ma la Lidl-Trek ha preferito lasciarla crescere per gradi e le ha prennunciato il debutto nel 2027. Avrebbe avuto senso bruciare le tappe per ritrovasi nel gruppo delle grandi ad appena 18 anni?

«Quella di attendere – spiega – è stata una richiesta della Lidl-Trek e io l’ho accettata perché secondo me è meglio così. Vogliono farmi crescere piano piano, non bruciando le tappe perché è un salto altissimo. Non sono ancora pronta, lo dico sinceramente, quindi è meglio prendersi un anno supplementare di crescita. Non sono su livelli di preparazione tanto spinti. So anche io che una squadra di allieve fa allenare le sue ragazze molto più delle altre, anche 18 ore a settimana. Io certe ore penso di non averle mai toccate.

«L’allenatore mi ha detto che mi sono preparata bene, perché per fare un mondiale comunque devi avere una buona condizione, però non ho esagerato. Non sono andata oltre quello che dovevo fare. Io al massimo arrivo a 12 ore di allenamento a settimana, considerando che ho da dedicare anche tempo allo studio. Il Liceo Scientifico Sportivo pretende ore di studio e il discorso di non passare subito è anche legato a fare la maturità senza dover pensare ad altro».

Campionati europei 2025, Drome et Ardeche, Chantal Pegolo, Paula Ostiz
La salita decisiva degli europei. Ostiz fa il forcing, Grossmann resiste, Pegolo cede a 500 metri dal gpm
Campionati europei 2025, Drome et Ardeche, Chantal Pegolo, Paula Ostiz
La salita decisiva degli europei. Ostiz fa il forcing, Grossmann resiste, Pegolo cede a 500 metri dal gpm

Dall’Africa alla Francia

L’Africa le è rimasta negli occhi. Dai bambini che chiedevano le borracce nelle campagne a quelli che in città puntavano a qualche spicciolo. Kigali non era soltanto quello che è stato mostrato nella bolla del mondiale, ma una città con oltre un milione di abitanti che si sta ricostruendo un tessuto sociale dopo il genocidio di trenta anni fa.

«Di solito portavo una borraccia in più per dargliela – sorride la giovane friulana – ed erano tutti contenti. E’ stata una bella esperienza, unica. Il giorno dopo essere tornata a casa mi sono allenata e ho scoperto che stavo ancora meglio che al mondiale. Non ho avuto cali per il viaggio. Ma mentre in Rwanda non mi conosceva nessuno, in Francia mi aspettavamo praticamente tutti e quindi avevo paura di deludere le aspettative. Però ho gestito bene la pressione, alla fine prima di partire ero abbastanza tranquilla. Mi sono detta che avrei preso quello che fosse venuto ed è andata bene anche là. In corsa ho avuto le stesse sensazioni del mondiale, ma erano due percorsi completamente diversi. In Francia c’era una salita molto più lunga. L’ultimo giro l’hanno fatto davvero forte e io mi sono staccata negli ultimi 500 metri. Forse, con il senno di poi, se fossi arrivata con le prime tre, avrei vinto quasi sicuramente la volata di gruppo».

Campionati europei 2025, Drome et Ardeche, Chantal Pegolo, Paula Ostiz
Ostiz è di fatto una professionista, Pegolo va ancora a scuola: si può lavorare su quel divario
Campionati europei 2025, Drome et Ardeche, Chantal Pegolo, Paula Ostiz
Ostiz è di fatto una professionista, Pegolo va ancora a scuola: si può lavorare su quel divario

Il paese in festa

Il ritorno a casa è valso il prezzo del viaggio. Il paese l’aspettava, con gli striscioni e i cori per la medagliata che tornava dalla Francia e prima ancora dall’Africa.

«I miei erano contentissimi – sorride – c’era tutto il paese con i cartelloni che mi aspettavano. E’ stata una settimana veramente unica che vorrei ripetere, ma resto concreta e penso a godermi questi due podi che non so quando rivedrò. Siamo partite per il Rwanda senza nessuna attesa e nessuna pressione. Forse allora siamo stati bravi anche noi a gestirci in quella situazione».

Christophe Laporte

Laporte, l’anno più duro e un podio che vale una rinascita

16.10.2025
4 min
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E’ stato un anno complicato, quasi da dimenticare, per Christophe Laporte. Il corridore della Visma-Lease a Bike ha vissuto la stagione più sfortunata della sua carriera. Il francese, reduce da un 2023 di altissimo livello, nel 2024 ha passato una stagione altalenante e quest’anno addirittura è stato più tempo a curarsi che a correre. Pensate, appena sedici giorni di gara fino a ieri.

Il primo numero di dorsale dell’anno Laporte l’aveva appuntato il 17 agosto alla Classica di Amburgo, e domenica scorsa ha ritrovato il sorriso con un bellissimo secondo posto dietro al nostro Matteo Trentin. Un podio che sa di liberazione, ma anche di ripartenza.

Christophe Laporte al prologo notturno del Tour of Holland, in scena in questi giorni
Christophe Laporte al prologo notturno del Tour of Holland, in scena in questi giorni

Stagione nata male

Tutto è iniziato già in primavera, quando Laporte si è visto costretto a rinunciare alle Classiche che lo avevano consacrato tra i migliori interpreti del Nord. A fermarlo è stato un virus che ha messo a dura prova il suo fisico e la sua serenità. Il francese ha dovuto dare forfait per tutte le Monumento e non solo, a partire dalla E3 Saxo Classic e dalla Gand-Wevelgem, due corse che nel 2023 lo avevano visto protagonista.

Laporte ha spiegato quanto sia stato pesante affrontare quei mesi di inattività: «E’ stato il periodo più difficile della mia carriera. Non riuscivo a capire cosa avessi, il corpo non rispondeva. Ogni volta che provavo ad aumentare il carico, tornavano stanchezza e dolori. Non avevo energia, né fiducia». In pratica Laporte ha contratto nell’ordine: prima il citomegalovirus, che lo ha fermato a lungo. E quando stava per riprendersi ecco la varicella. Questo lo ha tenuto lontano anche dal Tour de France.

La Visma-Lease a Bike a quel punto ha preferito non rischiare, fermandolo del tutto e consentendogli di recuperare completamente. Una scelta obbligata – non scontata per un atleta di tale portata – ma dolorosa, perché significava dire addio a tutta la prima parte di stagione, proprio nel momento in cui si entrava nel vivo.

Mentre i suoi compagni lottavano con gli eterni rivali della UAE Emirates, lui era a Sierra Nevada a ricostruire almeno il finale di stagione. Il rientro è così slittato ad agosto inoltrato, con un lavoro di riabilitazione graduale e tanta pazienza, nella speranza di ritrovare finalmente le sensazioni giuste.

In tutto ciò, i tecnici della Visma hanno tenuto la bocca serrata limitandosi a dire che, trattandosi di problemi di salute, Christophe non era ancora guarito, prima, e che stava lavorando, poi.

Parigi-Tours 2025, Matteo Trentin vince per la terza volta, battendo Christophe Laporte
Parigi-Tours: Trentin precede uno stanchissimo, ma soddisfatto, Laporte
Parigi-Tours 2025, Matteo Trentin vince per la terza volta, battendo Christophe Laporte
Parigi-Tours: Trentin precede uno stanchissimo, ma soddisfatto, Laporte

La luce dopo il buio

Il ritorno in gruppo è arrivato, come detto, il 17 agosto alla Classica di Amburgo: ben 315 giorni dall’ultima corsa. Poi ecco la gran fatica al Renewi Tour. Ma alla Binche-Chimay-Binche, Laporte ha colto già un incoraggiante terzo posto, segnale che la condizione stava finalmente tornando. La conferma più bella è arrivata a Tours, con quel podio che ha sancito il suo vero ritorno.

Alla Parigi-Tours Laporte ha lottato fino alla fine con Matteo Trentin, arrendendosi solo per pochi metri. Tra l’altro era anche il campione uscente.

«Quando finisci secondo o terzo c’è sempre un po’ di delusione – ha raccontato Laporte – ma stavolta è stato diverso. Stavolta posso guardare alla mia gara con soddisfazione. Nel finale ero isolato, ma ho saputo rispondere bene agli attacchi. Alla fine ho deciso di muovermi io, e siamo riusciti a chiudere il gap. In volata ho sentito arrivare i crampi e non potevo spingere più forte per questo ho dovuto fare lo sprint da seduto. Ho dato tutto, ma Matteo è stato semplicemente più forte. Sono contento della mia forma in questo autunno».

Christophe Laporte
L’ex campione europeo era partito bene. In ritiro andava benone e veniva da un gran finale di stagione (foto Visma-Lease a Bike)
Christophe Laporte
L’ex campione europeo era partito bene. In ritiro andava benone e veniva da un gran finale di stagione (foto Visma-Lease a Bike)

Testa già al 2026

Laporte non si nasconde: l’obiettivo è tornare il prima possibile al livello che aveva raggiunto tra il 2022 e il 2023. Per farlo, la parola d’ordine è una sola: correre. In questi giorni il francese ha ripreso il ritmo delle competizioni e sta disputando il Tour of Holland con l’intenzione di accumulare chilometri e sensazioni positive. Non punta ai risultati, ma alla continuità: ogni gara deve essere un passo verso il 2026.

La Visma-Lease a Bike ha bisogno dei suoi uomini più forti per ricostruire la leadership e affrontare con nuove ambizioni la prossima stagione. Laporte e Van Aert restano i pilastri della squadra nelle Classiche, e i tecnici contano su di loro per riportare il team ai vertici dopo un 2025, sì buono, ma non dei soliti standard a cui ci avevano abituato.

Il francese guarda avanti con serenità: «Adesso voglio solo stare bene, fare il mio lavoro e accumulare corse. Ogni giorno in sella mi avvicina al livello che conosco. Dopo tutto quello che ho passato, poter di nuovo lottare per un podio è già una vittoria. Adesso, anche in vista del prossimo anno, l’importante è correre e trovare costanza».

Del Toro “infilza” anche il Veneto e chiude una super stagione

15.10.2025
5 min
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VERONA – Sul traguardo all’ombra dell’Arena non poteva che entrarci tutto solo Isaac Del Toro. I giochi di parole per questo giovanotto di 21 anni che arriva dalla Baja California si sprecano, esattamente come gli elogi. Con quella al Giro del Veneto, sono 16 le vittorie conquistate dal messicano del UAE Team Emirates XRG.

Se non c’è Pogacar al via, quando si guarda la startlist di gare altimetricamente molto mosse e si legge il nome di Del Toro, si può già sapere in che direzione andrà la corsa. Lo schema è sempre quello, forse proprio come ci diceva in mattinata Baldato: la miglior difesa è l’attacco. E allora, ripresa la classica fuga di giornata, quando la testa della corsa sale per la quinta ed ultima volta sulle Torricelle, ad 11 chilometri dalla fine si scatena Isaac. Un copione già visto con lui per sette volte negli ultimi quaranta giorni.

E oltretutto, a scanso di equivoci dopo aver superato quello ufficiale della Columbia HTC del 2009, con questa affermazione la UAE raggiunge quota 95 successi stagionali, andando ad eguagliare quello della Mapei-GB nel 1997, che però contò anche gare minori. Insomma, se vogliono prendersi il record dei record, hanno ancora qualche occasione, a cominciare dal Veneto Classic di domenica.

All'ultimo giro sulle Torricelle parte Del Toro e fa il vuoto. All'arrivo Sivakov fa secondo e completa la festa per la UAE
All’ultimo giro sulle Torricelle parte Del Toro e fa il vuoto. All’arrivo Sivakov fa secondo e completa la festa per la UAE
All'ultimo giro sulle Torricelle parte Del Toro e fa il vuoto. All'arrivo Sivakov fa secondo e completa la festa per la UAE
All’ultimo giro sulle Torricelle parte Del Toro e fa il vuoto. All’arrivo Sivakov fa secondo e completa la festa per la UAE

Imparare dal più forte

La grandezza di un fuoriclasse è quella di saper far crescere il livello sia della squadra intesa come gruppo di persone, compreso lo staff, sia dei compagni. Qualcosa del genere era riuscito a farlo un “primo” sloveno, Roglic con l’allora Jumbo. Ora è il turno di un altro sloveno, ma più in grande. Correre assieme a Pogacar e viverlo durante i ritiri è una sorta di fonte di ispirazione per Del Toro.

«Fare le gare con Tadej – dice Isaac in conferenza stampa – è un gioco diverso con la squadra, specie in quelle più dure. Quando si corre con lui è incredibile, si può imparare tanto. Nelle ultime corse che ho fatto con Tadej, la squadra mi ha lasciato un po’ più libero da compiti, proprio per capire da vicino come farle al meglio. Ovvio che poi dobbiamo aiutarlo il più possibile quando lui è in difficoltà».

Per Del Toro quella al Giro del Veneto è la 16a vittoria ed anche la sua ultima gara delle 71 disputate in stagione
Per Del Toro quella al Giro del Veneto è la 16a vittoria ed anche la sua ultima gara delle 71 disputate in stagione
Per Del Toro quella al Giro del Veneto è la 16a vittoria ed anche la sua ultima gara delle 71 disputate in stagione
Per Del Toro quella al Giro del Veneto è la 16a vittoria ed anche la sua ultima gara delle 71 disputate in stagione

Dimensione in crescita

Al termine del Giro dell’Emilia, il direttore operativo Andrea Agostini ci aveva detto come il talento di Del Toro gli fosse scoppiato in mano dopo il Giro d’Italia, quanto avesse ancora margini di miglioramento.

«Penso che la mia crescita fisica – spiega Isaac ripensando alla Corsa Rosa e ciò che è arrivato successivamente – è andata molto meglio di quello che ci attendevamo. Sicuramente se dovessi ripetere una annata simile, posso crescere ancora più velocemente, ma quando la testa è stanca la voglia di faticare viene meno e allora bisogna pensare a recuperare.

«Ho ancora 21 anni – prosegue con un buon italiano imparato a San Marino – e né la mia squadra né il mio preparatore hanno voglia di farmi fare tante ore di allenamento. Anzi, penso di essere uno degli atleti della UAE che si allena di meno. E’ una cosa che stiamo gestendo proprio perché sono giovane e devo avere ancora voglia di allenarmi e correre quando avrò 25 anni. Devo saper aspettare e sono certo che crescerò ulteriormente».

In conferenza stampa Del Toro ha sottolineato l'importanza di recuperare e mantenere la voglia di allenarsi per il futuro
In conferenza stampa Del Toro ha sottolineato l’importanza di recuperare e mantenere la voglia di allenarsi per il futuro
In conferenza stampa Del Toro ha sottolineato l'importanza di recuperare e mantenere la voglia di allenarsi per il futuro
In conferenza stampa Del Toro ha sottolineato l’importanza di recuperare e mantenere la voglia di allenarsi per il futuro

Recupero psicofisico

Col Giro del Veneto va in archivio il 2025 di Del Toro, iniziato il 15 febbraio. Esattamente otto mesi agonistici per un totale di 71 giorni e 12148 chilometri di gara. Il diritto di pensare alle vacanze è sacrosanto.

«No, non mi dispiace non correre alla Veneto Classic – risponde accennando ad un sorriso – anche se arrivavo da un bel filotto di vittorie e buoni risultati. Sono contento di finire così la stagione perché altrimenti avrei messo più pressione a me e alla squadra. E’ vero che sarebbe stata una gara alla fine, ma meglio iniziare già a recuperare per i prossimi obiettivi. E poi così finisco con 16 vittorie, anche perché mi state dicendo che il 17 in alcuni casi può portare sfortuna e non voglio rischiare (dice ridendo, ndr).

«Per me le vacanze – finisce il discorso – sono un po’ diverse da quello che pensano tutti. Mi basta stare a casa con la famiglia. Sono di Ensenada (località sull’Oceano Pacifico, circa 100 chilometri a sud del confine tra California e Messico, ndr) e mi godrò il riposo laggiù. Ora come ora è troppo presto pensare a quali gare farò nel 2026 e se ve lo dicessi commetterei un errore perché ancora non so nulla».

Festa UAE anche al Veneto Women. Persico vince (la sua prima gara del 2025) e Gasparrini chiude terza dietro Reusser
Festa UAE anche al Veneto Women. Persico vince (la sua prima gara del 2025) e Gasparrini chiude terza dietro Reusser
Festa UAE anche al Veneto Women. Persico vince (la sua prima gara del 2025) e Gasparrini chiude terza dietro Reusser
Festa UAE anche al Veneto Women. Persico vince (la sua prima gara del 2025) e Gasparrini chiude terza dietro Reusser

Vittorie, pressioni e zero polemiche

Vale la pena anche chiarire alcune circostanze dell’ultimo periodo. Incentivi a vincere sempre e comunque a scapito di interessi generali o di malcontenti in gruppo. Le parole di Del Toro e Scaroni non lasciano adito a dubbi.

«La squadra – chiude Isaac – non ci ha mai messo pressione di ottenere un determinato numero di vittorie, tanto meno di arrivare a 100. Noi vogliamo fare bene ogni gara, grazie alle caratteristiche di ogni nostro corridore. Quando tutti stiamo bene è più facile centrare gli obiettivi, ma soprattutto più semplice lavorare bene».

«C’è stata tanta polemica in ciò che ho detto dopo il Gran Piemonte – ha specificato Scaroni in mixed zone – e alcuni hanno voluto strumentalizzare le mie parole. Intendevo dire che a fine 2025 chiuderanno in tre squadre, di cui due WorldTour, e credo che tutti abbiano bisogno di visibilità. Era solo un dato di fatto. Ho sottolineato più volte che i corridori UAE sono pagati per fare il miglior risultato e hanno fatto bene a farlo, però ho letto che molti media hanno preferito fare speculazioni. Non bisogna fermarsi solo al titolo. E comunque da parte mia c’è stata stima nei confronti della UAE dove ho tanti amici come lo stesso Del Toro oppure Covi. O come Matxin che è stato uno dei pochi di altre squadre a chiamarmi dopo il mio infortunio alla Strade Bianche».

Test Specialized Aethos II, 2025

Aethos 2, siamo davvero certi che non sia la bici per gli agonisti?

15.10.2025
6 min
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La nuova S-Works Aethos 2 di Specialized, difficilmente la vedremo nel circus dei professionisti. E’ leggera, troppo leggera per essere una bicicletta da WorldTour e renderla utilizzabile tra i pro’ comporterebbe un’artificiale aggiunta di peso del tutto innaturale. Il progetto Aethos non nasce per i professionisti, ma potrebbe essere la bici ideale per i granfondisti amanti dei dislivelli importanti, dei pesi ridotti e delle bici caratterizzate da forme minimali, un mezzo adatto a chi non ricerca l’aerodinamica a tutti i costi.

L’abbiamo messa sotto torchio subito dopo la sua presentazione ufficiale e usata con tre setting differenti di ruote, con tre altezze diverse, proprio per capire quale potesse essere il suo limite. Il nostro test si è concluso con la Granfondo Tre Valli Varesine di domenica 5 ottobre, non tanto con l’ambizione di un risultato, semplicemente perché il contesto gara offre sempre degli spunti interessanti difficili da affrontare durante le normali uscite di prova.

Aethos 2, siamo davvero certi che non è la bici per gli agonisti?
Il test della Aethos 2 si è concluso alla Granfondo Tre Valli Varesine (foto Andrea Cogotti)
Aethos 2, siamo davvero certi che non è la bici per gli agonisti?
Il test della Aethos 2 si è concluso alla Granfondo Tre Valli Varesine (foto Andrea Cogotti)

S-Works Aethos 2 e la sua geometria

Volendo semplificare (lasciando nel cantone il valore di stack, non masticato in modo ottimale da tutti), e considerando la lunghezza della tubazione dello sterzo, la Aethos 2 è più alta (taglia per taglia) di circa un centimetro rispetto alla SL8. In senso generale, è più alta di un centimetro rispetto alla categoria road performance. Considerando il lato pratico questo valore, la traduzione è una posizione leggermente più rilassata e alta, un migliore e pieno appoggio sulla sella, il diaframma non compresso e schiacciato verso il basso. Tutti fattori che possono contribuire ad una esperienza in bici migliore per chi non fa il ciclista di mestiere. E’ una bicicletta dedicata a chi ma ama fare delle gran belle cavalcate in bici, magari con salite lunghe ed impegnative, magari non considera le gare a circuito, ma gli eventi dove i percorsi ricchi di salita diventano il soggetto principale.

Inoltre, la lunghezza “maggiorata” del profilato dello sterzo (gli sviluppi geometrici sono i medesimi per S-Works, Pro ed Expert) limita l’utilizzo degli spessori tra attacco manubrio e serie sterzo, fattore che rende più armonico l’impatto visivo. Non di rado si osservano bici super top di gamma, sviluppate per i pro’, usate da appassionati e con torrette di spessori (roba poco ortodossa).

Aethos 2, siamo davvero certi che non è la bici per gli agonisti?
Bici molto progressiva che mostra una grande adattabilità (foto Specialized)
Aethos 2, siamo davvero certi che non è la bici per gli agonisti?
Bici molto progressiva che mostra una grande adattabilità (foto Specialized)

Una Specialized solo per la salita?

A nostro parere no, anche se portarla con il naso all’insù è parte della gratificazione che può arrivare dalla bicicletta, ma è sempre la gamba (e la testa) a ricoprire il ruolo di protagonista. La salita. Aethos 2 va contestualizzata nella salita, perché le erte non sono tutte uguali. Aethos 2 non è una scattista, ma è una bici progressiva che accompagna e asseconda il gesto, la pedalata, il modo in cui ci si muove quando si è sotto sforzo. A tratti sembra sparire, a tratti si pone con comportamenti decisi, quasi perentori e marcati, ma non tende mai a comandare, tanto in salita quanto in discesa. E’ molto diversa dalla SL8, quest’ultima più “violenta” e briosa, in particolar modo sui cambi di ritmo secchi.

Le salite brevi prese di slancio sono il suo ambiente ideale fino ad un certo punto, per via delle sue “risposte più lunghe”. Le salite lunghe e costanti, quando la pendenza va in doppia cifra e ci resta per un po’, questi sono i frangenti dove si apprezzano le reali peculiarità della Specialized Aethos. E’ la bici da cruise-control. Aethos non è la bici del cerino buttato in mezzo al gruppo che fa scoppiare il petardo, ma è quella dei watt alti e costanti.

Aethos 2, siamo davvero certi che non è la bici per gli agonisti?
Forme minimali e magre, una delle sue caratteristiche
Aethos 2, siamo davvero certi che non è la bici per gli agonisti?
Forme minimali e magre, una delle sue caratteristiche

Il comfort, alla lunga è un vantaggio da sfruttare

Anche il comfort è tutto da contestualizzare, perché una bici che fa segnare il peso record di 6,2 chilogrammi nella taglia 54 (con i pedali, Dura Ace e ruote Roval Alpinist III) pronta per essere pedalata, ha bisogno di essere capita. La comodità arriva principalmente dalla geometria, dalla sua agilità in ogni situazione, dal reggisella e da quel carro posteriore che non pesano mai, neppure quando la velocità cala in modo esponenziale. La sensazione di comfort è reale quando si passano le 5 ore di bici ed il dislivello positivo va oltre i 3.000 metri, la schiena non fa male e le spalle non si incassano nel collo.

La comodità arriva anche dal fatto di poter sfruttare la bici al pieno delle sue potenzialità con tubeless da 30 millimetri di larghezza e ruote medio/alte che semplicemente sono in grado di aumentare la stabilità. Non è poco se consideriamo che l’avantreno non subisce in nessuna maniera la “deportanza” che talvolta si verifica per via dei cerchi medio/alti. Lo sterzo ed il manubrio restano sempre liberi, non si induriscono e non subiscono l’effetto steering.

33, 45 e 55 millimetri, cosa è meglio?

Abbiamo provato la S-Works Aethos 2 con tre configurazioni diverse. Con le “sue” Roval Alpinist è più comoda, in discesa mostra un avantreno brioso, necessita un periodo di presa di confidenza ed è piuttosto lunga nelle risposte. Non è una bici veloce, ma neppure lenta come una tipica bicicletta della categoria endurance. Con i cerchi da 45 e tubeless da 30, a nostro parere il setting più sfruttabile in ottica all-round, si spinge maggiormente verso l’agonismo, guadagna in velocità quando è necessario, ed in discesa è una lama nel burro. Qui emerge anche il suo equilibrio strutturale e una precisione di guida che è davvero godibile. Resta comoda.

Con le ruote da 55, a nostro parere, una parte delle sue peculiarità si perdono e la bici (tecnicamente) va fuori contesto. Non diventa scarsa, ma le ruote troppo alte non sono il suo vestito ideale, si possono montare e sfruttare questo è certo, ma non è il caso di fare la macchietta alla SL8.

Aethos 2, siamo davvero certi che non è la bici per gli agonisti?
Può variare leggermente la resa tecnica, ma il suo DNA non cambia (foto Specialized)
Aethos 2, siamo davvero certi che non è la bici per gli agonisti?
Può variare leggermente la resa tecnica, ma il suo DNA non cambia (foto Specialized)

In conclusione

Quali potrebbero essere i vantaggi di una Aethos 2? A nostro parere è una bici che non ha età ed epoca, un mezzo dove la geometria fa la differenza (in positivo) per la maggior parte degli amatori, o per chi trae benefici da una guida comoda, non schiacciata sull’anteriore. Gli svantaggi? Talvolta può sembrare una bicicletta fuori dai tempi attuali, dove c’è tanta aerodinamica che detta legge sul design e l’integrazione di ogni componente, anche il più piccolo è uno dei canoni considerati in fase di acquisto.

Il bello di una Aethos è la sincerità di una bici che resta tale a prescindere dai componenti che vengono usati. La resa tecnica può essere in parte modificata, ma di fatto la base resta e resterà quella di un mezzo tanto immediato sull’avantreno (migliorato rispetto alla versione precedente), quanto progressivo e confortevole nel complesso. Più o meno veloce, ma la Aethos 2 non diventerà mai una bici aero e non sarà mai un compromesso.

Specialized

Giro di Lombardia 2025, Tadej Pogacar vince a Bergamo

Pogacar sempre in fuga? La miglior difesa è l’attacco

15.10.2025
5 min
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Una stagione monumentale per Tadej Pogacar, un 2025 da record per la Uae Team Emirates-XRG. Non fosse bastato quanto visto prima di mondiali ed europei, vinti peraltro dallo stesso alieno sloveno, ecco il filotto degli ultimi 10 giorni. Dal 3 al 10 ottobre, la corazzata bianconera ha collezionato la bellezza di 8 successi, compresi la cinquina da leggenda al Lombardia di Pogi e l’acuto a Oropa di Adam Yates al Trofeo Tessile&Moda. Novantaquattro affermazioni in quest’anno solare e il numero potrebbe ancora crescere nelle ultime uscite di ottobre

Con Pogacar e Wellens, nel 2024 Baldato ha scortato l’iridato nel sopralluogo della Roubaix
Con Pogacar e Wellens, nel 2024 Baldato ha scortato l’iridato nel sopralluogo della Roubaix

La logica dietro l’attacco

Insieme a Fabio Baldato abbiamo provato ad analizzare non solo le fredde cifre, ma anche come arrivano queste vittorie, in particolare quelle del numero uno del ranking Uci. Se non fosse stata per la tenace azione del campione statunitense Quinn Simmons, il leitmotiv di sabato sarebbe stato quello di capire a che chilometro sarebbe partito Tadej. Ma perché, visto anche il suo incredibile spunto sugli arrivi esplosivi, non attende i chilometri finali e preferisce, invece, sfoderare attacchi da lontano che ricordano un ciclismo d’altri tempi. Smania di stravincere o scatto pianificato a tavolino?

«Ad una prima occhiata – comincia a spiegare Baldato – sembra che sia qualcosa di impulsivo. Se lo si analizza bene, lui parte da lontano quando non ha più compagni a disposizione. Lo si è visto anche ai mondiali. Nel momento in cui non c’è più nessuno che lo possa supportare, sa che tutti gli correrebbero contro perché è il più forte, per cui parte. E’ la logica, lui studia sempre l’attimo. Come alla Tre Valli, in cui si è mosso quando erano rimasti solo lui e Del Toro». 

Campionati del mondo Kigali 2025 strada professionisti, attacco Isaac Del Toro, Tadej Pogacar, Juan Ajuso
La fuga del mondiale. Prima con Del Toro e poi da solo: secondo Baldato, per Pogacar l’attacco resta la miglior difesa
Campionati del mondo Kigali 2025 strada professionisti, attacco Isaac Del Toro, Tadej Pogacar, Juan Ajuso
La fuga del mondiale. Prima con Del Toro e poi da solo: secondo Baldato, per Pogacar l’attacco resta la miglior difesa

Infallibile dopo le sei ore

E il copione si è ripetuto anche nella Monumento che ha chiuso la stagione. Jay Vine che si scosta perché ha finito il suo lavoro e Pogacar parte ai -37 chilometri dal traguardo, col messicano pronto a far da stopper su Remco e compagnia.

«Non è che si diverta sempre a partire a 60, 70 o 80 chilometri dall’arrivo solo per dare spettacolo – prosegue il cinquantasettenne ds veneto – si tratta di un ragionamento che arriva da lui, ma che è condiviso anche da noi in ammiraglia. E’ quasi obbligato a muoversi, per evitare di essere attaccato e isolato dagli altri. Si tratta di una situazione di corsa che lo porta a questa mossa che a molti può sembrare azzardata ma che, per uno come lui, non lo è affatto».

Ciò che stupisce di più è come in queste cronometro individuali riesca a tenere testa a gruppi più o meno folti e a specialisti del calibro di Evenepoel che detiene tutti i titoli possibili delle prove contro le lancette: «Quando la corsa è di sei ore, come avviene al Lombardia, ai mondiali o agli europei, entrano in scena altre dinamiche e pesa la gestione dello sforzo in questo ampio lasso di tempo. Tadej ha una grinta e una convinzione che non hanno eguali».

Giro di Lombardia 2025, Tadej Pogacar in azione sulla salita finale di Bergamo Alta
Il lavoro con Javier Sola e la maturazione hanno permesso a Pogacar di guadagnare in efficienza e definizione muscolare
Giro di Lombardia 2025, Tadej Pogacar in azione sulla salita finale di Bergamo Alta
Il lavoro con Javier Sola e la maturazione hanno permesso a Pogacar di guadagnare in efficienza e definizione muscolare

Maniacale per ogni aspetto

Certo è che se lo scorso anno aveva colpito la vittoria delle Strade Bianche con l’attacco da così lontano, quest’anno è diventato il marchio di fabbrica dei sigilli di Tadej nelle classiche: un aspetto su cui si è concentrato molto tanto lo scorso inverno.

«Lui lavora molto col suo allenatore personale, Javier Sola – prosegue Baldato – Tadej guarda, studia e prepara le corse nel minimo dettaglio. Javier gli dà le basi, ma poi sappiamo che tutti gli anni migliora. Il suo segreto è che al termine di ciascuna stagione fa tesoro di quello che ha fatto di buono e perfeziona quello che ha sbagliato. L’esperienza e gli anni di lavoro ti portano a capire quello che è meglio fare per alzare ancora il livello».

Da ex corridore e grande amante delle Monumento, Baldato stesso resta a bocca aperta nel vedere il continuo progresso del campione che si trova a guidare: «L’impegno e la costanza che mette ogni giorno sono qualcosa di straordinario. E’ un fenomeno, ma non si siede sugli allori ed è maniacale in qualunque aspetto. Dal mangiare all’allenarsi, fino alla vita quando non è in gara. Finché fa così, è imbattibile. L’aspetto che più affascina è che sta diventando sempre di più un uomo da classiche, dando spettacolo anche sul pavé, che è sempre stato il mio terreno prediletto quando correvo».

Parigi Roubaix 2025, Urska Zigart, Tadej POgacar
Il bello di Pogacar? Il divertimento. Dopo la prima Roubaix, sul prato del velodromo ha raccontato la corsa alla sua compagna
Il bello di Pogacar? Il divertimento. Dopo la prima Roubaix, sul prato del velodromo ha raccontato la corsa alla sua compagna

Nuovo assalto alla Roubaix

E a proposito di pietre, ecco che l’obiettivo del 2026, per Baldato, non è così irreale: «Non mi sono stupito a vederlo salire sul podio alla prima Roubaix, perché già in allenamento avevo visto quanto andava forte, anche se farlo al primo tentativo e senza esperienza pregressa, è qualcosa di superlativo. Il Fiandre l’ha vinto al secondo tentativo, vediamo che combinerà. Gli obiettivi chiedeteli a lui, ma io ci spero perché dovrei essere lì a guidarlo. Lo valuterà coi manager e con Matxin, ma credo che sia bello che l’ultima parola spetti a Tadej e lo squadra lo assecondi nei suoi desideri».

Nel 2025, per puntare su Sanremo e Roubaix, Pogacar ha rinunciato a Tirreno-Adriatico e Parigi-Nizza che aveva disputato nelle annate precedenti, riducendo i giorni di corsa per assecondare la voglia di dare spettacolo nelle Monumento. «Alla fine dell’anno, va a fare una sessantina di giorni di gara – spiega ancora Baldato – mentre noi abbiamo corridori che ne fanno anche 80-85. Però lui pianifica tutto e lo fa al meglio».

Letizia Borghesi, Magdeleine Vallieres

Borghesi ci racconta la Vallieres: «Per me una sorella»

15.10.2025
5 min
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Mentre Magdeleine Vallieres sorprendeva tutti a Kigali, andando a conquistare un titolo mondiale che rappresenta una delle più grandi sorprese sportive di quest’anno, dall’altro emisfero Letizia Borghesi faticava a trattenere le lacrime di commozione. Compagne di squadra? No molto di più, amiche del cuore, attraverso un legame che si è andato costruendo negli anni. Sin dall’approdo dell’azzurra all’EF Education Oatly, quando il suo inglese era ancora zoppicante e la canadese l’ha aiutata, supportata, rendendole più facile  tutto il suo approccio.

«Abbiamo condiviso tante esperienze in questi quattro anni – racconta la trentina – lei aiutava me e io l’ho cresciuta un po’ come la mia sorella più piccola. Nel 2023 abbiamo anche organizzato un ritiro in altura insieme in Trentino. Ci siamo allenate insieme e gareggiato anche tanto».

L'abbraccio caloroso al primo incontro dopo Kigali. La loro amicizia si è cementata negli anni
L’abbraccio caloroso al primo incontro dopo Kigali. La loro amicizia si è cementata negli anni
L'abbraccio caloroso al primo incontro dopo Kigali. La loro amicizia si è cementata negli anni
L’abbraccio caloroso al primo incontro dopo Kigali. La loro amicizia si è cementata negli anni
Come si è evoluta in questi quattro anni fino ad arrivare ai vertici?

Diciamo che lei è sempre stata una ragazza semplice, molto concentrata su quello che deve fare e sempre con delle grandi ambizioni. La cosa che mi ha colpito subito è che ha sempre avuto la mentalità da atleta, una concentrazione enorme, lavorando più di tutte perché aveva un gran desiderio di arrivare. Allenamenti, riposo, ha sempre cercato di fare tutto per il meglio ed è finalmente stata ripagata per tutti questi sforzi.

Sottolineando la sua prestazione, molti raccontavano infatti che era un premio ai suoi sforzi, anche alle sue sfortune vissute fin qui…

Intendiamoci, non è che ha vissuto grandi infortuni. Ma essendo canadese, non è semplicissimo emergere. Lei da ragazzina si è ritrovata qui in Europa, crescendo da sola. E’ un passo difficile da fare e anche questo ci ha portato ad avvicinarci. Quest’anno sicuramente ha raggiunto un livello che in passato non aveva. Io dentro di me sentivo che avrebbe fatto bene ai mondiali e gliel’ho continuato a ripetere: «Vedrai che arriverai sul podio, arriverai sul podio» e penso di essere stata l’unica a continuare a dirglielo. Poi addirittura è andata oltre, ma diciamo che i numeri che faceva in allenamento dicevano chiaramente che aveva il livello per giocarsi qualcosa di grande.

La Vallieres è all'EF Education Oatly dal 2022. All'inizio ha aiutato la Borghesi ad ambientarsi, anche con la lingua inglese
Vallieres è alla EF Education Oatly dal 2022. All’inizio ha aiutato la Borghesi ad ambientarsi, anche con la lingua inglese
La Vallieres è all'EF Education Oatly dal 2022. All'inizio ha aiutato la Borghesi ad ambientarsi, anche con la lingua inglese
Vallieres è alla EF Education Oatly dal 2022. All’inizio ha aiutato la Borghesi ad ambientarsi, anche con la lingua inglese
Era solo questo che ti faceva preconizzare la sua impresa?

Il percorso era molto adatto alle sue caratteristiche, perché appunto lei va bene quando la gara diventa una prova di resistenza, con tutti quegli strappi. Era una gara molto esigente e ha avuto anche l’abilità di inserirsi nella fuga giusta e di attaccare nel momento decisivo. Per me non è stata una grande sorpresa: vincere non era di certo facile, ma il livello che aveva mi ci faceva credere.

Dove ti sei convinta che poteva essere il suo grande giorno?

La sensazione ce l’ho avuta forte quando siamo andati a correre il Giro di Romandia, dopo il Tour quando non siamo potute partire in gara per la nota storia dei GPS sulle bici. Per lei era la prima gara in cui poteva fare la leader, dopo che alla Grande Boucle aveva corso in supporto della Kerbaol. Sapeva che arrivava lì con una grandissima condizione e avrebbe potuto far bene anche nella classifica generale. Non partire era stata una bella batosta, lei piangeva, io la consolavo: «Guarda che non è del tutto un male. Magari vincevi, arrivavi davanti e così ai mondiali ti avrebbero controllato di più. Invece vedrai che in Rwanda ti rifai, sarai un’outsider, non ti calcoleranno e potrai dare a tutte scacco matto». E lei rideva. Ho continuato a ripeterlo ed è andata così.

La commozione dopo l'arrivo del mondiale, cogliendo un traguardo inatteso, ma non da chi la conosce bene...
La commozione dopo l’arrivo del mondiale, cogliendo un traguardo inatteso, ma non da chi la conosce bene…
La commozione dopo l'arrivo del mondiale, cogliendo un traguardo inatteso, ma non da chi la conosce bene...
La commozione dopo l’arrivo del mondiale, cogliendo un traguardo inatteso, ma non da chi la conosce bene…
Si affida molto a te, ai tuoi consigli, alla tua esperienza…

Abbiamo sempre avuto un bel rapporto, abbiamo condiviso tante ore di bici insieme, supportandoci a vicenda nei momenti difficili. E anche lei quando questa primavera sono riuscita a fare belle gare alle classiche col secondo posto a Roubaix era molto contenta. C’è questo supporto reciproco che di sicuro si ha solamente quando si passa tanto tempo insieme, nei momenti di difficoltà come in quelli di gioia, perché non sono stati tutti anni facili.

Spiega, per favore…

Nel 2023, quando sembrava che la squadra avrebbe chiuso, mi ricordo che eravamo in ritiro in Trentino insieme ed eravamo preoccupate per il futuro perché dovevamo cambiare squadra e anche lei era molto in ansia: «Adesso non so, dovrò smettere, non so come troverò una squadra», perché in quel momento non aveva neanche tanti risultati da dimostrare. Ma lei ha sempre risposto con molta dedizione e anch’io ne ho tratto l’insegnamento che quando si lavora tanto duro a volte sembra che niente ti torni, ma di colpo le cose si girano e il destino a volte riserva delle grandi sorprese.

La vittoria iridata, conquistata di forza staccando all'ultimo giro la più accreditata Niamh-Fisher
La vittoria iridata, conquistata di forza staccando all’ultimo giro la più accreditata Niamh-Fisher
La vittoria iridata, conquistata di forza staccando all'ultimo giro la più accreditata Niamh-Fisher
La vittoria iridata, conquistata di forza staccando all’ultimo giro la più accreditata Niamh-Fisher
Eppure non si era vista tanto, anche se in questa stagione buoni risultati li aveva messi insieme…

Non aveva avuto mai la possibilità di dimostrarlo perché comunque era sempre messa un po’ come quella che doveva aiutare, quindi sempre un po’ in ombra. Ma quando hai questa voglia di fare, le cose appunto si girano dalla tua parte prima o poi.

Tu l’hai sentita subito dopo la corsa?

Sì, certo, non ci credeva, era contentissima. Non facevamo che urlare, piangere, ridere. E’ stata una bella emozione.

La Borghesi insieme all'iridata Vallieres, alla partenza della Tre Valli, ultima gara nello stesso team
La Borghesi insieme all’iridata Vallieres, alla partenza della Tre Valli, ultima gara nello stesso team
La Borghesi insieme all'iridata Vallieres, alla partenza della Tre Valli, ultima gara nello stesso team
La Borghesi insieme all’iridata Vallieres, alla partenza della Tre Valli, ultima gara nello stesso team
Adesso le vostre strade si divideranno, perché tu passerai alla Soudal…

Esatto, la Tre Valli è stata l’ultima gara insieme ed è stato un momento difficile, perché comunque abbiamo condiviso tanto. Lei è come una sorella e pensare di correre per due squadre diverse sicuramente non è facile, ma alla fine le maglie saranno pure diverse, ma le amicizie restano e quindi sicuramente ci rifaremo organizzando qualche allenamento o ritiro insieme.

Marco Haller, crono Caen Tour 2025, cronoman

Il logoramento del cronoman? Pinotti: «Più di testa che di gambe»

15.10.2025
5 min
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La stagione volge al termine e si iniziano a tracciare i primi bilanci. E nel “pianeta cronometro” il dominatore, senza se e senza ma, è stato Remco Evenepoel. Il belga ha conquistato il suo terzo mondiale consecutivo contro il tempo, esattamente come Michael Rogers, primo cronoman a conquistare tre titoli iridati di specialità consecutivi.

Al risuonare di questo nome, ci è venuta in mente una frase che ci disse nel 2022, commentando la delusione di Ganna dopo i mondiali di Wollongong del 2022, che chiuse al secondo posto dopo le due vittorie del 2020 e 2021.
E lui: «E’ proprio la testa il problema. Per preparare un grande evento come una crono ci vuole tanta energia mentale, anche e soprattutto nella fase di allenamento, perché è molto specifico. Non è facile. L’abbiamo visto. Io sono stato il primo, poi è arrivato Fabian Cancellara e poi Tony Martin. Eravamo tutti intorno a quel podio e io ho fatto fatica al quarto mondiale.
«Non avevo più la concentrazione o la grinta per spingermi così tanto nella fase di allenamento, come quando lottavo per vincere. Preparando il quarto, mi accorsi subito che non avevo la fame per fare fatica. Quasi vomitavo dopo ogni ripetuta».

Pinotti in carriera è andato a migliorare, ma forse è stato una particolarità. E comunque aveva stimoli per raggiungere i migliori. Non aveva vinto tre titoli iridati
Pinotti in carriera è andato a migliorare, ma forse è stato una particolarità. E comunque aveva stimoli per raggiungere i migliori. Non aveva vinto tre titoli iridati

Senza dover fare processi a nessuno, abbiamo ripreso questo discorso con Marco Pinotti. Stavolta il tecnico della Jayco-AlUla lo abbiamo sentito come ex cronoman per commentare questo concetto, in base alle sue esperienze. Davvero il tempo all’apice del cronoman è di 3-4 anni?

Insomma Marco, davvero la cronometro è una specialità così usurante?

Non si può dare una risposta univoca: dipende da come uno li distribuisce, questi anni, e da cosa fa nel mezzo. Secondo me non è detto che uno perda questa verve, anzi, magari può anche aumentare. Certo è che la cronometro impone una capacità di soffrire per un tempo continuo e prolungato che va anche allenata. E qui sta il bello.

Il bello per il cronoman…

Probabilmente quando un atleta fa fatica a soffrire a cronometro, fa fatica a soffrire anche nelle altre gare. Non è una cosa specifica del cronoman. Forse in una prova contro il tempo questi problemi si accentuano.

Da un paio di anni Ganna non riesce a battere Remco a crono. Sul podio dell’europeo la sua espressione non era certo felice
Da un paio di anni Ganna non riesce a battere Remco a crono. Sul podio dell’europeo la sua espressione non era certo felice
Perché?

Perché bisogna andare a toccare un livello di profondità, di sforzo e di sofferenza molto elevato. Uno sforzo che dopo un certo punto uno non ce la fa più. E’ quello che succede magari agli inseguitori che fanno i quattro chilometri da soli o a squadre. Sono discipline dure. Però, attenzione: non è solo questione della cronometro in quanto tale, perché se ci pensiamo bene magari il suo sforzo è paragonabile a quello di uno scalatore nella salita finale. Non è una cosa tanto differente come tipo di sforzo… almeno a livello fisico.

Però la gara è il termine di un percorso. Rogers parlava anche di allenamenti al limite del vomito. C’erano esercizi particolarmente stressanti che facevi?

Alcuni allenamenti specifici li facevo in pista, per una questione di sicurezza e di fattibilità in quanto a numeri e dati. Però ci sono allenamenti che venivano più facili in salita. Quando invece devi lavorare in pianura e raggiungere certi livelli, è vero che ci vogliono più convinzione e più grinta. Queste due capacità per me sono fondamentali.

Perché?

Perché se ti vengono a mancare, va bene un giorno o due, ma se è di più forse è il momento di cambiare mestiere o di prendersi una pausa.

Evenepoel nella crono, per lui terribile di Peyragudes al Tour 2025: vero che era in salita, ma quel giorno la testa fece la differenza in negativo per lui
Evenepoel nella crono, per lui terribile di Peyragudes al Tour 2025: vero che era in salita, ma quel giorno la testa fece la differenza in negativo per lui
Quali sono i lavori del cronoman che più lo svuotano?

Quando devi lavorare a velocità di gara in pianura, o nei lavori intermittenti. Esercizi che non sono specifici per lo sforzo, ma per aumentare l’efficienza sulla bici da crono. Perché ci sono lavori intermittenti che fai anche su strada, però con la bici da cronometro sono ancora più duri.

Come mai sono più duri?

Perché sei sul mezzo che ti deve dare il risultato e soprattutto perché sei in posizione. Sei schiacciato. La bici da cronometro è la bici “scomoda” per eccellenza. Già questo ti porta via altre psicoenergie, mettiamola così. Se devo fare cinque ore in bici è una cosa, se ne faccio tre a cronometro ad una certa intensità è un’altra.

Quando capisci che la concentrazione non è al top?

In gara lo capisci subito. Lo capisci già la mattina prima di partire, secondo me. Magari quelli sono anche i momenti in cui uno cade, sono i momenti in cui non riesci più a stare rilassato e focalizzato nello stesso momento.

Per durare a lungo Pinotti parla di sana gestione: questa è a 360° e impone anche la voglia spasmodica di ricercare nuovi materiali e soluzioni tecniche
Per durare a lungo Pinotti parla di sana gestione: questa è a 360° e impone anche la voglia spasmodica di ricercare nuovi materiali e soluzioni tecniche
Ti è mai capitato di avere un rifiuto della preparazione e di dire: «Basta, questo esercizio non lo voglio fare più»?

Sinceramente no. Può capitarti un periodo in cui fai più fatica ad allenarti, perché magari hai altre cose per la testa. A me è successo quando studiavo, per esempio. Ero ancora dilettante. Senti quella mancanza d’aria, ti senti assillato dagli impegni.

E come te la cavasti?

Mi sarei dovuto prendere una pausa. Adesso ho capito che era inutile provare a far tutto.

Uscendo dalla parte mentale, esiste invece un tempo fisiologico di massima espressione della performance per il cronoman?

Per me sì, ed è di 10 anni. Se ti gestisci bene, e intendo a 360 gradi, puoi essere al top per dieci anni.

Partenza 1° Trittico Rosa della Marca Trevigiana, Castelfranco Veneto, Alessandro Ballan, donne allieve

Come si fa ora che la spremitura inizia dagli allievi?

14.10.2025
6 min
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«Vengo dalla scuola Fiorin – disse Rebecca Fiscarelli, 17 anni, campionessa del mondo delle velocità a squadre juniores – dove la multidisciplina è all’ordine del giorno. Negli allievi ho sempre fatto strada, pista e ciclocross. Preferisco la pista perché mi è sempre piaciuta, però penso che al giorno d’oggi per crescere si debba provare tutto. Anche perché da una specialità impari cose nuove che puoi applicare nell’altra. Il ciclocross per guidare in pista, la strada per avere resistenza nel cross. Da ognuna hai un beneficio, per cui mettendo tutto insieme, hai sicuramente una marcia in più».

Rebecca Fiscarelli, che oggi corre con Conscio Pedale del Sile, fino al 2024 ha corso con la GS Cicli Fiorin
Rebecca Fiscarelli, che oggi corre con Conscio Pedale del Sile, fino al 2024 ha corso con la GS Cicli Fiorin

La scuola Fiorin

Era il punto di partenza per parlare con Daniele Fiorin, padre dei due azzurri (Sara e Matteo) a proposito dei vantaggi della multidisciplina fra gli allievi. Invece si è trasformato in un preoccupato grido di allarme sulla piega che sta prendendo il ciclismo anche nelle categorie più giovani. I tempi di Federica Venturelli e Anita Baima,  sembrano lontanissimi e ancora di più quelli di Maria Giulia Confalonieri e Alice Maria Arzuffi, come pure Grimod ed Elena Bissolati

«Con la mia società, io mi fermo alle categorie giovanili – dice Fiorin – perché non ho quelle sopra. E dico che è già tanto riuscire a portarli a fare questo discorso negli allievi. La maggior parte non lo vedono, anche per semplicità. E’ molto più comodo farsi la preparazione invernale tranquilli, al posto di andare a prendere freddo nel ciclocross. E’ molto più comodo non portarli in pista e farli allenare solo su strada. Stiamo andando verso l’esasperazione anche nelle categorie giovanili. Semplicemente non c’è più il tempo per andare in pista, non c’è più il tempo per fare altro che ore, ore, ore, allenamenti, allenamenti, allenamenti. Sono stato sull’orlo di chiudere la società, perché se non c’è un cambiamento, non andiamo molto lontano».

La famiglia Fiorin al completo: Daniele, Marianna e i figli atteo e Sara
La famiglia Fiorin al completo: Daniele, Marianna e i figli Matteo e Sara
La famiglia Fiorin al completo: Daniele, Marianna e i figli Matteo e Sara
La famiglia Fiorin al completo: Daniele, Marianna e i figli Matteo e Sara
Che cosa vuoi dire?

I miei corridori ancora da allievi fanno circa 10 ore alla settimana. Che possono essere anche 9 oppure 11 a seconda della settimana, del carico oppure no. Ormai siamo arrivati a donne allieve di primo anno, di cui non faccio i nomi, che fanno 18 ore alla settimana. Mia figlia Sara, che quest’anno era WorldTour con la Ceratizit, mi ha detto che ne fa 18-19. Per cui siamo arrivati che le allieve si allenano come le professioniste.

Diciotto ore sono tante…

Visto che un giorno di riposo devi darglielo, vuol dire che fanno in media tre ore ogni giorno e inoltre hanno da pensare alla scuola. Quindi andare in pista, prendere la macchina, un’ora per andare e un’ora per tornare, sono già due ore buttate via. Questo è il principio. E infatti il numero dei corridori che vanno in pista sta calando. Il ciclocross d’inverno tiene ancora, ma andando avanti non so come finirà. E io sono stato sul punto di chiudere, perché non sono disposto ad arrivare a quegli eccessi. Non riesci a insegnare più nulla, la tattica ad esempio. Facendo 18 ore alla settimana, con il nutrizionista e l’attenzione al grammo, basta che aprano il gas e non gli stai dietro.

E chi si allena di meno?

Lo perdiamo. Quelli che vogliono crescere gradatamente non trovano squadra, hanno paura di non trovarla, perché non è più il loro sport. Con questo livello, chi si sviluppa più tardi fa 10 chilometri e si ritira. Fra qualche anno invece perderemo quelli che arrivano presto di là e sono già finiti. Quindi, se non cambiamo qualcosa, non so quanto potremo andare avanti.

Federica Venturelli ha corso su strada, nel cross e in pista fino agli U23: ora tiene strada e pista
Federica Venturelli ha corso su strada, nel cross e in pista fino agli U23: ora tiene strada e pista
Un meccanismo tutto sbagliato, anche nei confronti di chi viene fatto allenare all’eccesso…

E’ sbagliato dopare, tra virgolette, le tue prestazioni allenandoti come un professionista a 15-16 anni, non è la cosa giusta.

Nelle 10-11 ore dei tuoi ci sono anche pista e cross?

D’inverno, utilizzo il ciclocross come preparazione, associato alla palestra, per le abilità di guida e perché comunque la gara di cross è una cronometro, quindi a livello metabolico e di forza, è un ottimo lavoro. D’estate faccio prevalentemente pista e strada. Fiscarelli faceva palestra un paio di volte alla settimana, soprattutto l’anno scorso visto che si è indirizzata verso la velocità. Faceva anche il ciclocross che poteva anche essere associato alla palestra. O prima come riscaldamento prima di cominciare con i pesi, oppure dopo per sciogliere e fare tecnica. Non ho mai uno schema fisso. E poi c’era anche il giorno che uscivano su strada, anche con la bici da cross. Invece la domenica, dato che lei è una pistard, non era detto che gareggiasse.

Però ha rivendicato il cambio di bici come una fase formativa importante.

Un anno ho preparato su pista il campionato italiano di ciclocross. Quando c’era Montichiari aperta, anche se la domenica gareggiavano nel ciclocross, il sabato pomeriggio noleggiavo per due ore la pista e andavamo. Abbiamo vinto un campionato italiano con Alessandra Grillo a Monte Prat, quindi in salita, avendo trovato il colpo di pedale in pista. Non ci crede nessuno, forse certe cose le può pensare solo un matto come me, però posso dire che in pista in quegli stessi anni ci ho trovato più di una volta Marco Aurelio Fontana, che faceva cross e MTB.

Dino Salvoldi, cittì degli juniores e della pista azzurra, ha dedicato parecchio tempo a valutare gli allievi più interessanti a Montichiari
Dino Salvoldi, cittì degli juniores e della pista azzurra, ha dedicato parecchio tempo a valutare gli allievi più interessanti a Montichiari
Perché fare tutto?

Perché ogni specialità ti porta qualcosa e quando poi componi il puzzle alla fine viene fuori quello che hai fatto e ti ripaga. Non vuol dire che devi fare per tutta la vita due o tre discipline, ma impari tanto. Un esempio, magari sciocco.

Avanti…

Terza tappa del Giro donne a Trento, la famosa caduta nella rotonda a 3 chilometri dall’arrivo. Porto sempre l’esempio di mia figlia Sara. Le volano tutte davanti, strada piena. Volano quelle dietro e lei in mezzo rimane in piedi. Perché le altre pinzano e vanno per terra, specie con i freni a disco e nelle rotonde dove c’è sempre un po’ di olio di scarico per terra. Se invece sei abituato sul fango, dove si scivola per niente, sai che devi gestire la frenata e hai qualche possibilità in più di stare in piedi. Poi le è partita la bicicletta, è andata in derapata. E nel cross ha imparato che se sei in derapata e ti va via la bicicletta, devi mollare il freno per raddrizzarla, perché se continui a frenare vai per terra.

C’è una morale secondo te?

Si sta spingendo troppo fra gli allievi. Bisogna far capire alle società e ai preparatori che forse è meglio stare un po’ più tranquilli. Tutti corrono per vincere, ma senza dover per forza stravincere. E non è detto che vincere con la forza sia l’unico sistema, ma serve il tempo per insegnarlo. A livello giovanile dobbiamo curare non solo la forza, ma anche il cervello. Per me il corridore migliore è quello che prima usa il cervello perché fa fatica a stare a ruota. E poi quando inizierà ad allenarsi seriamente, sarà un atleta completo, che farà la differenza.