Marco Haller, crono Caen Tour 2025, cronoman

Il logoramento del cronoman? Pinotti: «Più di testa che di gambe»

15.10.2025
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La stagione volge al termine e si iniziano a tracciare i primi bilanci. E nel “pianeta cronometro” il dominatore, senza se e senza ma, è stato Remco Evenepoel. Il belga ha conquistato il suo terzo mondiale consecutivo contro il tempo, esattamente come Michael Rogers, primo cronoman a conquistare tre titoli iridati di specialità consecutivi.

Al risuonare di questo nome, ci è venuta in mente una frase che ci disse nel 2022, commentando la delusione di Ganna dopo i mondiali di Wollongong del 2022, che chiuse al secondo posto dopo le due vittorie del 2020 e 2021.
E lui: «E’ proprio la testa il problema. Per preparare un grande evento come una crono ci vuole tanta energia mentale, anche e soprattutto nella fase di allenamento, perché è molto specifico. Non è facile. L’abbiamo visto. Io sono stato il primo, poi è arrivato Fabian Cancellara e poi Tony Martin. Eravamo tutti intorno a quel podio e io ho fatto fatica al quarto mondiale.
«Non avevo più la concentrazione o la grinta per spingermi così tanto nella fase di allenamento, come quando lottavo per vincere. Preparando il quarto, mi accorsi subito che non avevo la fame per fare fatica. Quasi vomitavo dopo ogni ripetuta».

Pinotti in carriera è andato a migliorare, ma forse è stato una particolarità. E comunque aveva stimoli per raggiungere i migliori. Non aveva vinto tre titoli iridati
Pinotti in carriera è andato a migliorare, ma forse è stato una particolarità. E comunque aveva stimoli per raggiungere i migliori. Non aveva vinto tre titoli iridati

Senza dover fare processi a nessuno, abbiamo ripreso questo discorso con Marco Pinotti. Stavolta il tecnico della Jayco-AlUla lo abbiamo sentito come ex cronoman per commentare questo concetto, in base alle sue esperienze. Davvero il tempo all’apice del cronoman è di 3-4 anni?

Insomma Marco, davvero la cronometro è una specialità così usurante?

Non si può dare una risposta univoca: dipende da come uno li distribuisce, questi anni, e da cosa fa nel mezzo. Secondo me non è detto che uno perda questa verve, anzi, magari può anche aumentare. Certo è che la cronometro impone una capacità di soffrire per un tempo continuo e prolungato che va anche allenata. E qui sta il bello.

Il bello per il cronoman…

Probabilmente quando un atleta fa fatica a soffrire a cronometro, fa fatica a soffrire anche nelle altre gare. Non è una cosa specifica del cronoman. Forse in una prova contro il tempo questi problemi si accentuano.

Da un paio di anni Ganna non riesce a battere Remco a crono. Sul podio dell’europeo la sua espressione non era certo felice
Da un paio di anni Ganna non riesce a battere Remco a crono. Sul podio dell’europeo la sua espressione non era certo felice
Perché?

Perché bisogna andare a toccare un livello di profondità, di sforzo e di sofferenza molto elevato. Uno sforzo che dopo un certo punto uno non ce la fa più. E’ quello che succede magari agli inseguitori che fanno i quattro chilometri da soli o a squadre. Sono discipline dure. Però, attenzione: non è solo questione della cronometro in quanto tale, perché se ci pensiamo bene magari il suo sforzo è paragonabile a quello di uno scalatore nella salita finale. Non è una cosa tanto differente come tipo di sforzo… almeno a livello fisico.

Però la gara è il termine di un percorso. Rogers parlava anche di allenamenti al limite del vomito. C’erano esercizi particolarmente stressanti che facevi?

Alcuni allenamenti specifici li facevo in pista, per una questione di sicurezza e di fattibilità in quanto a numeri e dati. Però ci sono allenamenti che venivano più facili in salita. Quando invece devi lavorare in pianura e raggiungere certi livelli, è vero che ci vogliono più convinzione e più grinta. Queste due capacità per me sono fondamentali.

Perché?

Perché se ti vengono a mancare, va bene un giorno o due, ma se è di più forse è il momento di cambiare mestiere o di prendersi una pausa.

Evenepoel nella crono, per lui terribile di Peyragudes al Tour 2025: vero che era in salita, ma quel giorno la testa fece la differenza in negativo per lui
Evenepoel nella crono, per lui terribile di Peyragudes al Tour 2025: vero che era in salita, ma quel giorno la testa fece la differenza in negativo per lui
Quali sono i lavori del cronoman che più lo svuotano?

Quando devi lavorare a velocità di gara in pianura, o nei lavori intermittenti. Esercizi che non sono specifici per lo sforzo, ma per aumentare l’efficienza sulla bici da crono. Perché ci sono lavori intermittenti che fai anche su strada, però con la bici da cronometro sono ancora più duri.

Come mai sono più duri?

Perché sei sul mezzo che ti deve dare il risultato e soprattutto perché sei in posizione. Sei schiacciato. La bici da cronometro è la bici “scomoda” per eccellenza. Già questo ti porta via altre psicoenergie, mettiamola così. Se devo fare cinque ore in bici è una cosa, se ne faccio tre a cronometro ad una certa intensità è un’altra.

Quando capisci che la concentrazione non è al top?

In gara lo capisci subito. Lo capisci già la mattina prima di partire, secondo me. Magari quelli sono anche i momenti in cui uno cade, sono i momenti in cui non riesci più a stare rilassato e focalizzato nello stesso momento.

Per durare a lungo Pinotti parla di sana gestione: questa è a 360° e impone anche la voglia spasmodica di ricercare nuovi materiali e soluzioni tecniche
Per durare a lungo Pinotti parla di sana gestione: questa è a 360° e impone anche la voglia spasmodica di ricercare nuovi materiali e soluzioni tecniche
Ti è mai capitato di avere un rifiuto della preparazione e di dire: «Basta, questo esercizio non lo voglio fare più»?

Sinceramente no. Può capitarti un periodo in cui fai più fatica ad allenarti, perché magari hai altre cose per la testa. A me è successo quando studiavo, per esempio. Ero ancora dilettante. Senti quella mancanza d’aria, ti senti assillato dagli impegni.

E come te la cavasti?

Mi sarei dovuto prendere una pausa. Adesso ho capito che era inutile provare a far tutto.

Uscendo dalla parte mentale, esiste invece un tempo fisiologico di massima espressione della performance per il cronoman?

Per me sì, ed è di 10 anni. Se ti gestisci bene, e intendo a 360 gradi, puoi essere al top per dieci anni.

Partenza 1° Trittico Rosa della Marca Trevigiana, Castelfranco Veneto, Alessandro Ballan, donne allieve

Come si fa ora che la spremitura inizia dagli allievi?

14.10.2025
6 min
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«Vengo dalla scuola Fiorin – disse Rebecca Fiscarelli, 17 anni, campionessa del mondo delle velocità a squadre juniores – dove la multidisciplina è all’ordine del giorno. Negli allievi ho sempre fatto strada, pista e ciclocross. Preferisco la pista perché mi è sempre piaciuta, però penso che al giorno d’oggi per crescere si debba provare tutto. Anche perché da una specialità impari cose nuove che puoi applicare nell’altra. Il ciclocross per guidare in pista, la strada per avere resistenza nel cross. Da ognuna hai un beneficio, per cui mettendo tutto insieme, hai sicuramente una marcia in più».

Rebecca Fiscarelli, che oggi corre con Conscio Pedale del Sile, fino al 2024 ha corso con la GS Cicli Fiorin
Rebecca Fiscarelli, che oggi corre con Conscio Pedale del Sile, fino al 2024 ha corso con la GS Cicli Fiorin

La scuola Fiorin

Era il punto di partenza per parlare con Daniele Fiorin, padre dei due azzurri (Sara e Matteo) a proposito dei vantaggi della multidisciplina fra gli allievi. Invece si è trasformato in un preoccupato grido di allarme sulla piega che sta prendendo il ciclismo anche nelle categorie più giovani. I tempi di Federica Venturelli e Anita Baima,  sembrano lontanissimi e ancora di più quelli di Maria Giulia Confalonieri e Alice Maria Arzuffi, come pure Grimod ed Elena Bissolati

«Con la mia società, io mi fermo alle categorie giovanili – dice Fiorin – perché non ho quelle sopra. E dico che è già tanto riuscire a portarli a fare questo discorso negli allievi. La maggior parte non lo vedono, anche per semplicità. E’ molto più comodo farsi la preparazione invernale tranquilli, al posto di andare a prendere freddo nel ciclocross. E’ molto più comodo non portarli in pista e farli allenare solo su strada. Stiamo andando verso l’esasperazione anche nelle categorie giovanili. Semplicemente non c’è più il tempo per andare in pista, non c’è più il tempo per fare altro che ore, ore, ore, allenamenti, allenamenti, allenamenti. Sono stato sull’orlo di chiudere la società, perché se non c’è un cambiamento, non andiamo molto lontano».

La famiglia Fiorin al completo: Daniele, Marianna e i figli atteo e Sara
La famiglia Fiorin al completo: Daniele, Marianna e i figli Matteo e Sara
La famiglia Fiorin al completo: Daniele, Marianna e i figli Matteo e Sara
La famiglia Fiorin al completo: Daniele, Marianna e i figli Matteo e Sara
Che cosa vuoi dire?

I miei corridori ancora da allievi fanno circa 10 ore alla settimana. Che possono essere anche 9 oppure 11 a seconda della settimana, del carico oppure no. Ormai siamo arrivati a donne allieve di primo anno, di cui non faccio i nomi, che fanno 18 ore alla settimana. Mia figlia Sara, che quest’anno era WorldTour con la Ceratizit, mi ha detto che ne fa 18-19. Per cui siamo arrivati che le allieve si allenano come le professioniste.

Diciotto ore sono tante…

Visto che un giorno di riposo devi darglielo, vuol dire che fanno in media tre ore ogni giorno e inoltre hanno da pensare alla scuola. Quindi andare in pista, prendere la macchina, un’ora per andare e un’ora per tornare, sono già due ore buttate via. Questo è il principio. E infatti il numero dei corridori che vanno in pista sta calando. Il ciclocross d’inverno tiene ancora, ma andando avanti non so come finirà. E io sono stato sul punto di chiudere, perché non sono disposto ad arrivare a quegli eccessi. Non riesci a insegnare più nulla, la tattica ad esempio. Facendo 18 ore alla settimana, con il nutrizionista e l’attenzione al grammo, basta che aprano il gas e non gli stai dietro.

E chi si allena di meno?

Lo perdiamo. Quelli che vogliono crescere gradatamente non trovano squadra, hanno paura di non trovarla, perché non è più il loro sport. Con questo livello, chi si sviluppa più tardi fa 10 chilometri e si ritira. Fra qualche anno invece perderemo quelli che arrivano presto di là e sono già finiti. Quindi, se non cambiamo qualcosa, non so quanto potremo andare avanti.

Federica Venturelli ha corso su strada, nel cross e in pista fino agli U23: ora tiene strada e pista
Federica Venturelli ha corso su strada, nel cross e in pista fino agli U23: ora tiene strada e pista
Un meccanismo tutto sbagliato, anche nei confronti di chi viene fatto allenare all’eccesso…

E’ sbagliato dopare, tra virgolette, le tue prestazioni allenandoti come un professionista a 15-16 anni, non è la cosa giusta.

Nelle 10-11 ore dei tuoi ci sono anche pista e cross?

D’inverno, utilizzo il ciclocross come preparazione, associato alla palestra, per le abilità di guida e perché comunque la gara di cross è una cronometro, quindi a livello metabolico e di forza, è un ottimo lavoro. D’estate faccio prevalentemente pista e strada. Fiscarelli faceva palestra un paio di volte alla settimana, soprattutto l’anno scorso visto che si è indirizzata verso la velocità. Faceva anche il ciclocross che poteva anche essere associato alla palestra. O prima come riscaldamento prima di cominciare con i pesi, oppure dopo per sciogliere e fare tecnica. Non ho mai uno schema fisso. E poi c’era anche il giorno che uscivano su strada, anche con la bici da cross. Invece la domenica, dato che lei è una pistard, non era detto che gareggiasse.

Però ha rivendicato il cambio di bici come una fase formativa importante.

Un anno ho preparato su pista il campionato italiano di ciclocross. Quando c’era Montichiari aperta, anche se la domenica gareggiavano nel ciclocross, il sabato pomeriggio noleggiavo per due ore la pista e andavamo. Abbiamo vinto un campionato italiano con Alessandra Grillo a Monte Prat, quindi in salita, avendo trovato il colpo di pedale in pista. Non ci crede nessuno, forse certe cose le può pensare solo un matto come me, però posso dire che in pista in quegli stessi anni ci ho trovato più di una volta Marco Aurelio Fontana, che faceva cross e MTB.

Dino Salvoldi, cittì degli juniores e della pista azzurra, ha dedicato parecchio tempo a valutare gli allievi più interessanti a Montichiari
Dino Salvoldi, cittì degli juniores e della pista azzurra, ha dedicato parecchio tempo a valutare gli allievi più interessanti a Montichiari
Perché fare tutto?

Perché ogni specialità ti porta qualcosa e quando poi componi il puzzle alla fine viene fuori quello che hai fatto e ti ripaga. Non vuol dire che devi fare per tutta la vita due o tre discipline, ma impari tanto. Un esempio, magari sciocco.

Avanti…

Terza tappa del Giro donne a Trento, la famosa caduta nella rotonda a 3 chilometri dall’arrivo. Porto sempre l’esempio di mia figlia Sara. Le volano tutte davanti, strada piena. Volano quelle dietro e lei in mezzo rimane in piedi. Perché le altre pinzano e vanno per terra, specie con i freni a disco e nelle rotonde dove c’è sempre un po’ di olio di scarico per terra. Se invece sei abituato sul fango, dove si scivola per niente, sai che devi gestire la frenata e hai qualche possibilità in più di stare in piedi. Poi le è partita la bicicletta, è andata in derapata. E nel cross ha imparato che se sei in derapata e ti va via la bicicletta, devi mollare il freno per raddrizzarla, perché se continui a frenare vai per terra.

C’è una morale secondo te?

Si sta spingendo troppo fra gli allievi. Bisogna far capire alle società e ai preparatori che forse è meglio stare un po’ più tranquilli. Tutti corrono per vincere, ma senza dover per forza stravincere. E non è detto che vincere con la forza sia l’unico sistema, ma serve il tempo per insegnarlo. A livello giovanile dobbiamo curare non solo la forza, ma anche il cervello. Per me il corridore migliore è quello che prima usa il cervello perché fa fatica a stare a ruota. E poi quando inizierà ad allenarsi seriamente, sarà un atleta completo, che farà la differenza.

Martina Alzini e Chiara Consonni assieme sul San Luca al termine del Giro dell'Emilia 2025

Consonni anti-Wiebes per il 2026? Chiara ci lavora, Alzini ci crede

14.10.2025
5 min
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SAN LUCA – Avevamo lasciato in sospeso una considerazione di Gian Paolo Mondini su Lorena Wiebes. Secondo il diesse della SD Worx-Protime potrebbe essere Chiara Consonni la prima a battere in volata la sua velocista olandese (fresca iridata nel gravel). Così abbiamo girato l’argomento direttamente alla bergamasca della Canyon//Sram zondacrypto.

Piccolo salto indietro

Dobbiamo tornare indietro di una decina di giorni per riprendere la simpatica scenetta nata da una curiosa circostanza al Giro dell’Emilia tra la stessa Consonni e Alzini, due azzurre che vedremo impegnate ai prossimi mondiali in pista a Santiago del Cile (in programma dal 22 al 26 ottobre).

Trenta metri dopo il traguardo di San Luca, proprio quando la strada comincia a scendere verso il versante meno nobile, Consonni era sembrata quasi venirci incontro per sottoporsi alle nostre domande. Come se avesse intuito che la stessimo cercando. Accanto a lei si era fermata a chiacchierare Martina Alzini, arrivata quaranta secondi prima. Chiara aveva finito il Giro dell’Emilia come lo finisce una sprinter, ma aveva pungolato la sua amica della Cofidis colpevolizzandola scherzosamente di non averla aspettata. E allora ne abbiamo approfittato per coinvolgerle assieme sulla questione.

Anti-Wiebes cercasi

In una stagione che sta volgendo al termine, Wiebes è stata la plurivittoriosa dell’anno, considerando anche gli uomini: 25 successi, riuscendo ad inanellare una striscia conclusiva che ne certifica l’imbattibilità sul suo terreno preferito. Nelle ultime nove gare disputate, ha conquistato otto vittorie parziali (tutte in volata) ed una generale.

«Innanzitutto – ci dice Consonni – sono straonorata che Mondini abbia pensato a me come possibile antagonista di Lorena. Quest’anno penso di essere stata quella che ci è andata più vicina a batterla. Mi manca un po’ di costanza, nel senso che lei è una campionessa anche nel saper prendere tutte le volte la volata nella migliore possibile. Però io contro di lei ci provo sempre.

«Gli ormai famosi primi tre secondi di Lorena? Sì, sono tremendi – prosegue Chiara cercando una risposta – anche Elisa (Balsamo, ndr) si è confrontata spesso con lei e quando l’ha battuta è perché ha saputo anticiparla di quel poco che basta per vincere. Diciamo che questo è il segreto, cercare di anticiparla anche quando lei stessa cerca di anticiparla la sua volata. Però, come ho già detto, non è semplice. Alla fine noi avversarie aspettiamo che Lorena sbagli qualcosa e invece non sbaglia mai nulla».

Consonni seconda dietro Wiebes al Simac, come in primavera a De Panne. E' quella che si è avvicinata di più alla olandese
Consonni seconda dietro Wiebes al Simac, come in primavera a De Panne. E’ quella che si è avvicinata di più alla olandese
Consonni seconda dietro Wiebes al Simac, come in primavera a De Panne. E' quella che si è avvicinata di più alla olandese
Consonni seconda dietro Wiebes al Simac, come in primavera a De Panne. E’ quella che si è avvicinata di più alla olandese

Nuovo treno

Per arrivare al testa a testa in uno sprint, contano le gambe, l’esperienza e naturalmente le compagne. Quando Consonni è arrivata alla Canyon, sia lei che la squadra sapevano che avrebbero dovuto creare un piccolo comparto per le volate. Gli automatismi vanno perfezionati col passare del tempo e si sa che nel ciclismo di adesso devi trovarli alla velocità della luce.

«Trovarsi al posto giusto nel momento giusto – analizza Chiara in maniera molto pragmatica avendo già precisa la situazione in testa – è uno di quegli aspetti su cui lavorerò insieme alla squadra per l’anno prossimo. Dobbiamo insistere nel curare tutte quelle piccole cose che servono per arrivare a vincere una volata, contro Wiebes o in generale.

«Non posso nemmeno dire – va avanti – che il mio treno sia migliorato rispetto ad inizio anno perché abbiamo sempre avuto un po’ di intoppi. Tra infortuni e problemi di salute mi sono sempre mancate due compagne nel finale. Nonostante tutto, ci abbiamo provato sempre ed è un aspetto importante».

Alzini è convinta che Consonni possa battere l'attuale Wiebes, credendo maggiormente in se stessa (foto Felicia Bonati)
Alzini è convinta che Consonni possa battere l’attuale Wiebes, credendo maggiormente in se stessa (foto Felicia Bonati)
Alzini è convinta che Consonni possa battere l'attuale Wiebes, credendo maggiormente in se stessa (foto Felicia Bonati)
Alzini è convinta che Consonni possa battere l’attuale Wiebes, credendo maggiormente in se stessa (foto Felicia Bonati)

Martina crede in Chiara

Accanto a Consonni c’è Alzini che ascolta le sue parole ed annuisce, pronta a riprendere le sue risposte. Si conoscono benissimo, sono amiche prima che colleghe o avversarie. Ogni tanto Chiara guarda Martina per capire se trovare la sua approvazione in ciò che dice.

«Sono convinta – interviene Alzini – che Chiara possa essere la prima a battere l’attuale Wiebes in volata. Il problema è che lei non si è ancora resa conto della sua forza. Chiara ha parlato di costanza e quei tre secondi. E naturalmente i numeri che ha Lorena in volata non ce li ha nessun’altra. Penso però che ci siano altri fattori, come la testa, che facciano molto di più dei numeri. Lo ripeto, ne sono convinta, perché Chiara lo ha dimostrato».

Tutta la loro amicizia esce in maniera naturale ed è piacevole starle a sentire e guardare.
«Non sto lodando Chiara – chiude Martina scherzando inizialmente – per tenermela buona solo perché è sempre la mia compagna di stanza quando siamo in nazionale o perché non voglio che mi avveleni di notte o ancora perché mi presta sempre il suo phon per asciugare i capelli. Dicevo prima che deve rendersi conto di quanto è forte. Ecco, quando lo ha fatto a Parigi 2024, ha vinto un oro olimpico (nella madison con Guazzini, ndr). Giusto per farvi capire. Ora non voglio metterle pressione addosso (dice ridendo mentre guarda Consonni, ndr), ma lei ha tutto per battere Wiebes».

Borgo Molino-Coratti, una fusione necessaria per andare avanti

14.10.2025
5 min
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La notizia delle settimane scorse rappresenta, per il mondo degli juniores, una sorta di tsunami: Borgo Molino Vigna Fiorita e Team Coratti si mettono insieme per il 2026, andando a rappresentare un forte contraltare nazionale ai grandi team esteri che, anche nelle classiche internazionali allestite nel nostro Paese, hanno fatto man bassa di successi (nella foto di apertura la firma del contratto da parte dei presidenti Pietro Nardin e Simone Coratti).

Una scelta principalmente economica, per fronteggiare nella maniera più consona un’attività sempre più dispendiosa che richiede anche convergenza di vedute, di obiettivi, di risorse: «Con Simone – spiega il diesse della Borgo Molino Cristian Pavanello – ci conosciamo da tanti anni ormai. C’era già stato un contatto poco prima della loro scelta di unirsi alla Work Service, ma noi avevamo già 15-16 corridori, dunque eravamo già al completo, considerando anche l’afflusso dal nostro team allievi. Questo, un paio d’anni fa. Poi recentemente vedendoci alle corse mi hanno espresso la loro volontà di trovare un nuovo abbinamento. L’intenzione nostra come società era quella di allargarci un po’ di più, di coprire un po’ più il territorio nazionale, perché è sempre più difficile reperire ragazzi qui nella zona nostra. I numeri sono inferiori a qualche anno fa e fare la squadra diventa sempre più complicato. Da qui è nato l’accordo».

Cristian Pavanello è stato dilettante e guida gli juniores della Borgo Molino (foto photors.it)
Cristian Pavanello è stato dilettante e guida gli juniores della Borgo Molino (foto photors.it)
Cristian Pavanello è stato dilettante e guida gli juniores della Borgo Molino (foto photors.it)
Cristian Pavanello è stato dilettante e guida gli juniores della Borgo Molino (foto photors.it)

Una fusione che costa posti in squadra

Considerando i numeri del team veneto, facile presumere che ci sarà un ridimensionamento nei loro quadri: «Effettivamente qualche corridore cambierà squadra. Non voglio far polemiche, può essere che non facciamo bene le cose noi, ma può essere che non le facciano bene neanche loro come atleti. Noi avremo almeno 7 corridori nelle nostre file, loro ne avranno 9, quindi saremo sempre intorno ai 16 effettivi. Abbiamo dovuto tagliare noi come anche loro. Quest’anno avevamo dei numeri maggiori, ma alcuni corridori non si sono rivelati all’altezza della situazione».

La fusione fra i due team avrà condizioni molto precise, partendo dal presupposto che si tratta di un gruppo unico, non due entità fuse: «Questo è un concetto importante. Ci saranno due gruppi ogni domenica, in modo da poter coprire più eventi. Avremo il tesseramento plurimo, quindi corridori in Veneto e nel Lazio, ma la società è unica, stessa maglia, stesso gruppo. Noi abbiamo 25 gare del massimo calendario e in quelle puoi schierare da 5 a 7 corridori, significa che al contempo un’altra squadra gareggerà da un’altra parte. Al massimo evento andranno quelli più in condizione, a prescindere dalla provenienza regionale, oppure quelli più adatti alla corsa e con gli altri si farà un un’altra gara».

I ragazzi della Borgo Molino nel 2025 hanno raccolto 4 vittorie nazionali con 13 Top 10 (foto Facebook)
I ragazzi della Borgo Molino nel 2025 hanno raccolto 4 vittorie nazionali con 13 top 10 (foto Facebook)
I ragazzi della Borgo Molino nel 2025 hanno raccolto 4 vittorie nazionali con 13 Top 10 (foto Facebook)
I ragazzi della Borgo Molino nel 2025 hanno raccolto 4 vittorie nazionali con 13 top 10 (foto Facebook)

Una scelta obbligata

Per il team veneto non è d’altronde una novità: «Quest’anno avevamo corridori dal Veneto e dal Friuli, ma la società era unica ed è stata gestita proprio secondo questi schemi. Questa fusione è un tentativo di risposta alla competitività sempre maggiore, soprattutto a livello internazionale, nella categoria. Era ovvio che si finisse così, vediamo che grandi sodalizi come Team Giorgi o Aspiratori Otelli hanno chiuso, portare avanti una squadra è sempre più difficile, considerando anche il fatto che i corridori possono passare di squadra da un anno all’altro e addirittura scegliere destinazioni estere.

«Noi proviamo a difenderci di fronte a un livello che si è alzato di molto. Non so dire se sia un bene o un male, considerando anche i procuratori che sono entrati nel mondo degli juniores cambiando completamente le prospettive. Siamo nel mezzo di profondi cambiamenti e noi ci dobbiamo adeguare».

La società veneta è chiamata a ridimensionare i suoi quadri, fondendosi con il Team Coratti (foto Facebook)
La società veneta è chiamata a ridimensionare i suoi quadri, fondendosi con il Team Coratti (foto Facebook)
La società veneta è chiamata a ridimensionare i suoi quadri, fondendosi con il Team Coratti (foto Facebook)
La società veneta è chiamata a ridimensionare i suoi quadri, fondendosi con il Team Coratti (foto Facebook)

La versione di Coratti

Proviamo a sentire anche l’altra campana, con Simone Coratti che spiega il perché di questa scelta: «Loro hanno saputo che l’accordo con la Work Service era sciolto, così si sono fatti avanti. D’altronde ormai la Work Service non aveva quasi più corridori, abbiamo continuato per amicizia».

Come funzionerà il sodalizio da parte loro? «I due gruppi lavoreranno insieme, poi alla domenica ci fonderemo, o meglio fonderemo i gruppi scegliendo per ogni corridore la migliore destinazione agonistica. Comunque i ragazzi correranno insieme. Faremo due attività diverse alternando i ragazzi in modo da far fare a tutti le giuste esperienze. Ciascun gruppo ha il suo staff e anche in questo ci alterneremo in base al calendario».

3 vittorie e 9 Top 10 per la formazione laziale, che ha lanciato il tricolore Carosi e l'australiano Manion (foto Facebook)
Tre vittorie e 9 top 10 per la formazione laziale, che ha lanciato il tricolore Carosi e l’australiano Manion (foto Facebook)
3 vittorie e 9 Top 10 per la formazione laziale, che ha lanciato il tricolore Carosi e l'australiano Manion (foto Facebook)
Tre vittorie e 9 top 10 per la formazione laziale, che ha lanciato il tricolore Carosi e l’australiano Manion (foto Facebook)

Unire le forze per opporsi ai grandi team

Come va interpretata questa fusione? «E’ una risposta alla situazione. Io obiettivamente da solo non ce la faccio, sono il presidente della società ma intorno salvo qualche sponsor non ho nessuno. Sicuramente loro nel Nord hanno qualche possibilità in più di avere altri sponsor, qualcuno che contribuisce in misura maggiore. Oggi come oggi è difficile andare avanti, unire le forze potrebbe essere anche un bene.

«Siamo sinceri: se non ci fossero state la Borgo Molino o la Work Service io avrei chiuso, perché non posso permettermi di fare anche attività all’estero che è necessaria. Magari la Borgo Molino ci permette di fare qualche corsetta fuori dall’Italia, io da solo sicuramente avrei meno possibilità».

Il campione d'Italia Vincenzo Carosi resterà nel team anche nel 2026, per acquisire maggiore esperienza
Il campione d’Italia Vincenzo Carosi resterà nel team anche nel 2026, per acquisire maggiore esperienza
Il campione d'Italia Vincenzo Carosi resterà nel team anche nel 2026, per acquisire maggiore esperienza
Il campione d’Italia Vincenzo Carosi resterà nel team anche nel 2026, per acquisire maggiore esperienza

Carosi leader tricolore nel 2026

Come giudica la stagione che va a concludersi? «Per noi è stata bellissima, avendo Vincenzo Carosi come campione italiano, per noi una novità assoluta nella categoria. Abbiamo vinto 13 corse, di cui 3 nazionali, che è un numero cospicuo, senza contare i successi nelle categorie inferiori. Carosi resta con noi come anche il gruppo di allievi che passano di categoria. Hanno pienamente fiducia, non gli facciamo mancare niente, in questo modo li porteremo a dare il meglio».

Kampioenschap van Vlaanderen 2025, Elia Viviani sul podio vittorioso

Le riflessioni (mature) di Viviani a pochi giorni dal ritiro

14.10.2025
8 min
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Dice di aver capito di essere arrivato al capolinea dopo la reazione a suo dire eccessiva per il secondo posto della Vuelta e l’impossibilità di sprintare a Madrid ha fatto il resto. Dice di aver colto come un segno l’aver visto il Giro del Veneto concludersi nella sua Verona. Poi dice anche che passata la buriana legata all’annuncio di ritirarsi, è tornato a lavorare sodo in pista per i mondiali che lo attendono. E aggiunge che fra le persone cui vorrebbe dire grazie c’è Fabrizio Borra, fisio e consigliere, venuto a mancare troppo presto. Nulla di diverso da quello che ti aspetteresti da Elia Viviani, faro dei velodromi azzurri e velocista da 90 vittorie su strada, un oro e altre due medaglie olimpiche su pista.

Ma piuttosto che mettersi a fare l’elenco dei giorni belli, ci piace concentrarci sulle riflessioni più mature di Elia nel momento del ritiro. Quello che sicuramente lascia al ciclismo e che continuerà a dare. Un’intelligenza così vivace non si spegne staccando il numero.

Domani Viviani correrà il Giro del Veneto, da Vicenza a Verona, poi volerà in Cile per i mondiali su pista
Domani Viviani correrà il Giro del Veneto, da Vicenza a Verona, poi volerà in Cile per i mondiali su pista

Sui Grandi Giri

«Non fare grandi Giri negli ultimi tre anni – conferma Viviani – mi ha danneggiato al 100 per cento. La mia scelta di tornare in Ineos è stata dovuta alla medaglia di bronzo a Tokyo, nel momento in cui la mia carriera su strada non era all’apice. Il CONI guidato da Malagò, mi diede l’opportunità di essere portabandiera. Quel ruolo mi ha responsabilizzato e ho visto che qualcuno credeva in me. Quella medaglia mi ha fatto capire quanto siano importanti per me le Olimpiadi. Ineos mi ha dato la possibilità di tornare con un programma per arrivare fino a Parigi. Non avevano un leader per le corse a tappe e sarebbero andati nei Giri per le tappe. Invece non sono mai riuscito a entrare nel team né del Giro né del Tour né della Vuelta. Non per preparare le Olimpiadi, ma per restare nel mondo del grande ciclismo.

«Quest’anno alla Vuelta ho capito quanto mi fosse mancato quel tipo di esperienza. Il grande ciclismo sono i Grand Tour e le grandi classiche e se non fai quelle e sei un grande ciclista, ti manca qualcosa. Tre anni che sicuramente mi hanno tolto qualcosa nella carriera, ma non mi hanno impedito su pista di raggiungere quello che volevo, dato che comunque a Parigi la medaglia è stata raggiunta».

Viviani portabandiera a Tokyo. L’Olimpiade gli ha lasciato nuovo spirito e una grande condizione fisica
Viviani portabandiera a Tokyo. L’Olimpiade gli ha lasciato nuovo spirito e una grande condizione fisica

Su Elia bambino

«All’Elia bambino – sorride Viviani – direi di non cambiare niente. Sono stato fortunato perché ho trovato le persone giuste nella categoria di giovanissimi, che mi hanno portato fino agli juniores. Ho trovato un ambiente che mi ha fatto crescere bene, continuando a studiare. Le cose cominciavano ad essere serie, ma era ancora un divertimento. Poi ho trovato la devo della Liquigas e in Paolo Slongo la figura che mi ha cresciuto e mi ha dato l’opportunità di fare gli under 23 tranquillo, sapendo già di avere un contratto in tasca.

«Quindi la Liquigas, una squadra italiana piena di campioni che mi sono stati d’esempio e direttori sportivi come una volta. Passare al Team Sky è sempre stato il mio sogno da pistard, ovviamente guardando gli inglesi. Mi hanno portato alla prima vittoria a un Grande Giro. Davvero, al piccolo Elia consiglierei di non cambiare nulla».

Elia Viviani, Marchiol-Pasta Montegrappa, 2008
Viviani ha corso gli U23 nella Marchiol-Pasta Montegrappa vivaio della Liquigas, seguito da Paolo Slongo
Elia Viviani, Marchiol-Pasta Montegrappa, 2008
Viviani ha corso gli U23 nella Marchiol-Pasta Montegrappa vivaio della Liquigas, seguito da Paolo Slongo

Sui ragazzi di ora

«E’ molto complicato – riflette Viviani – dare consigli a un giovane di adesso. Mi verrebbe da dirgli: «Prenditi i tuoi tempi. Quando passi professionista datti il tempo di trovare i tuoi valori, trovare la tua dimensione, raggiungere i tuoi risultati». Ma la realtà del ciclismo moderno è diversa, quindi non so neanche se possa essere un consiglio valido. E’ un ciclismo dominato da fenomeni ed è inevitabile che per alcuni sarebbe il consiglio sbagliato. Sarebbe troppo prudente e quindi in questo mi trovo un po’ in difficoltà. Le nuove generazioni sono cambiate e non saremo noi a riportarli indietro». 

Giro d'Italia 2015, Elia Viviani vince la sua prima tappa al Giro d'Italia sul traguardo di Genova con la maglia del Team Sky
L’aprodo al Team Sky era il sogno di pistard di Viviani e nel 2015 arriva la tappa di Genova al Giro: la prima
Giro d'Italia 2015, Elia Viviani vince la sua prima tappa al Giro d'Italia sul traguardo di Genova con la maglia del Team Sky
L’aprodo al Team Sky era il sogno di pistard di Viviani e nel 2015 arriva la tappa di Genova al Giro: la prima

Sul ciclismo italiano

«Mi piace guardare il bicchiere mezzo pieno – dice Viviani – abbiamo Milan che potenzialmente è il velocista più forte al mondo. Abbiamo i giovani che stanno arrivando anche nei Grandi Giri. Tiberi ha avuto un anno storto, ma penso che sia il presente per le classifiche generali. Pellizzari ha fatto una crescita progressiva con Reverberi. Ora è alla Red Bull: gli hanno permesso di fare il salto di qualità e ha già dimostrato in due Grandi Giri nello stesso anno di essere uno dei prossimi corridori che possano ambire a vincerne uno. Finn è il nuovo fenomeno del ciclismo italiano e prego il Signore che abbia il giusto percorso di crescita. Ganna ha fatto delle grandi classiche quest’anno. Ha avuto quel brutto incidente al Tour che gli ha compromesso la seconda parte di stagione, però Pippo è il nostro uomo per le classiche, insieme ai veterani che possono essere Trentin e Ballerini.

«Secondo me il ciclismo italiano sta bene, ma se andiamo a confrontarci con Pogacar, dobbiamo arrenderci a uno che da solo fa i risultati di una squadra WorldTour di vertice. Scaroni ha fatto un’annata da top rider. Fortunato è da anni uno dei migliori scalatori che abbiamo. Bettiol dà i suoi squilli. Quindi ci siamo, però sicuramente c’è del lavoro da fare. Quello che preoccupa è il ciclismo giovanile. Le categorie juniores e U23, ma anche gli allievi, perché la ricerca del talento va sempre più in giù. Penso che fare qualcosa sia dovere della federazione e responsabilità di chiunque ha in mano questi ragazzini».

Un peccato non concludere la Vuelta con lo sprint di Madrid, ma Viviani ha condiviso i motivi della protesta
Un peccato non concludere la Vuelta con lo sprint di Madrid, ma Viviani ha condiviso i motivi della protesta

Sulla Vuelta

«La Vuelta è stata un’esperienza difficile. Non abbiamo mai messo in discussione le ragioni della protesta – spiega Viviani – era giusto protestare per quello che stava succedendo. D’altra parte mi è dispiaciuto tantissimo non aver sprintato a Madrid. Lo stesso per tre giovani della squadra che non avevano mai concluso un Grande Giro. Sai che al traguardo ti aspettano famiglie e fidanzate e invece ti ritrovi a chiamarli sperando che stiano bene perché all’arrivo ci sono delle rivolte.

«In quei 21 giorni ho provato a mettermi nei panni dei ragazzi della Israel-Premier Tech. La verità è che se due o tre anni fa avessi firmato un triennale con loro, sarei stato in quella squadra e nella loro stessa situazione. Non dovevamo essere noi ciclisti a cacciare via i nostri colleghi. Per cui, da ciclista mi sarebbe piaciuto fare una Vuelta senza nessun intoppo, dall’altra dico che era giusto protestare per una ragione del genere. Adesso se Dio vuole, pare si sia trovato un accordo e speriamo che la squadra possa avere un futuro».

I social hanno cambiato il rapporto fra corridori e media, ma Viviani spiega di avere sempre lui il controllo su quello che pubblica
I social hanno cambiato il rapporto fra corridori e media, ma Viviani spiega di avere sempre lui il controllo su quello che pubblica

Sui media

«I social hanno portato un canale di comunicazione che prima non c’era. Qualche anno fa, per dare l’annuncio del mio ritiro, avremmo dovuto organizzare una conferenza stampa da qualche parte. Con l’arrivo dei social, basta un clic. Sicuramente quindi il rapporto con i media è diminuito, ma dall’altra parte la verità è che le cose belle vengono fuori solo parlandone faccia a faccia. Sono ancora uno dei corridori vecchio stile.

«Dai social c’è da prendere il bello e il brutto, purtroppo o per fortuna, perché alla fine sono diventati un vero e proprio lavoro. E poi dipende da come vengono gestiti dagli atleti. Alcuni se li fanno gestire, a me invece è sempre piaciuto avere il controllo. Mi aiutano a livello grafico, però mi è sempre piaciuto avere il controllo di quello che dico e quello che faccio vedere ai miei tifosi o ai media che ci seguono».

Bredene Koksijde Classic 2025, Elia Viviani in curva
Dare un freno alla riduzione dei manubri può avere un senso, dice Viviani, limitare i rapporti non ne ha. Ma la sicurezza è un problema
Bredene Koksijde Classic 2025, Elia Viviani in curva
Dare un freno alla riduzione dei manubri può avere un senso, dice Viviani, limitare i rapporti non ne ha. Ma la sicurezza è un problema

Sulla sicurezza

«C’è tantissimo lavoro da fare – si lancia Viviani – ma non è collegato ai materiali. Standardizzare la misura dei manubri ha senso per impedire gli estremismi. Nel gruppo WorldTour non vedo cose stranissime sotto questo aspetto. Però è ovvio che devi mettere una regola perché chi ad esempio monta manubri sotto i 30 centimetri, che rendono la bici inguidabile nelle situazioni di gruppo compatto. Gli altri limiti non so chi li inventa, anche quello dei rapporti. Se tu limiti i rapporti, ci saranno gli allenatori che faranno fare lavori di cadenza ai corridori e le velocità saranno sempre quelle. Grandi cadute in discesa avvengono nelle curve non sul dritto, perché qualcuno perde il controllo della bici. Le tappe velocissime in pianura sono sempre meno, quindi gli sprinter devono allenarsi a vincere tappe da 2.000, 2.200, 2.500 metri di livello. Quindi la regola dei manubri ci sta, bisogna mettere dei limiti. La regola dei rapporti è una cosa buttata là e infatti non si farà neanche il test.

«Sulla sicurezza c’è tanto da fare, se ne parla tanto e alla fine non si fa niente. Parliamo di transenne, imbottiture sugli ostacoli, queste cose qui. Ci sono gare in cui ti chiedi come sia possibile che un gruppo di professionisti dell’elite del ciclismo corra su percorsi del genere e con delle transenne così».

Tadej Pogacar e Remco Evenepoel, Europeo 2025

Come deve lavorare Remco per chiudere il gap su Pogacar?

14.10.2025
6 min
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«Non sono mai riuscito a tenere così a lungo un attacco di Pogacar». Così Remco Evenepoel dopo il Campionato Europeo. Quel giorno, sulla salita più lunga, il belga si era messo a ruota dello sloveno e poi, dopo un minuto o poco più, si è letteralmente spostato. L’altro giorno, al Giro di Lombardia, non ha neanche provato a rispondere all’affondo di Tadej Pogacar: «Il ritmo era già alto da troppo tempo», ha detto ancora Remco.

Allora viene da chiedersi come potrà fare Evenepoel a contrastare Pogacar. E su quali percorsi? Su che tipo di salite? Perché, se le cose stanno così, anche una Liegi-Bastogne-Liegi con côte lunghe come Rosier o Redoute, o al limite anche Roche-aux-Faucons, diventa un terreno proibitivo. Va bene una Sanremo? Una Freccia del Brabante? Ne abbiamo parlato con il preparatore Pino Toni.

Toni 2022
Il coach toscano, Pino Toni oggi lavora sia con i giovani che con i professionisti
Toni 2022
Il coach toscano, Pino Toni oggi lavora sia con i giovani che con i professionisti
Pino, partendo dalla frase tra il soddisfatto e il rassegnato di Remco sull’essere riuscito a tenere Pogacar tanto a lungo, dove lo può sfidare?

Remco è un “animale da gara” particolare, non è il solito campione. In quell’intervista, fatta a un giornale belga, ha detto anche di sentirsi vincente e lo è, anche di testa. Corre sempre per vincere, ma secondo me soffre un po’ Pogacar e soprattutto soffre molto di più la sconfitta rispetto a lui.

Chiaro…

Io sono convinto che Pogacar sia anche un pochino più forte di lui mentalmente. Tadej sa trasformare i momenti di difficoltà in stimolo, per lavorare ancora meglio.

Ma in cosa consiste lavorare meglio? Questo dovrebbe valere anche per Remco…

Lavorare meglio significa continuare a fare quello che fai se sei Pogacar, perché gli altri sono ancora un po’ lontani da lui. E lo sono a ogni livello. Riguardo a Remco, mi stupisce che cambiando squadra non abbia voluto cambiare anche lo staff.

Perché ti stupisce?

Perché un atleta non deve restare nella comfort zone. Deve sempre trovare nuovi stimoli. Se sei un vincente e sei intelligente, capisci che in questo momento, per vincere ancora, devi fare qualcosa di diverso. Per carità, ha fatto delle cronometro superbe, ma il suo lavoro non è solo quello. Dove, tra l’altro, è avvantaggiato da numeri aerodinamici molto migliori di Pogacar. Insomma, cambiando team avrei cambiato qualcosa di più. Mi sarei messo più in gioco.

Giro di Lombardia 2025, Remco Evenepoel, Ganda
Sul Ganda ritmo altissimo da oltre 5′, Remco sa già che non ne avrà per rispondere all’imminente attacco di Tadej
Giro di Lombardia 2025, Remco Evenepoel, Ganda
Sul Ganda ritmo altissimo da oltre 5′, Remco sa già che non ne avrà per rispondere all’imminente attacco di Tadej
Però attenzione: lo stesso Remco ha dichiarato che il fatto di staccarsi di fronte agli attacchi violenti di Pogacar è un problema del suo nuovo allenatore…

Okay, il coach è nuovo, ma tutto il resto no. Bici, materiali, meccanico, il direttore sportivo che lo conosce… Si è portato dietro “la corte”.

Ma Pino, è davvero un problema del suo nuovo allenatore o anche di limiti fisiologici? Pogacar parte da una soglia aerobica pazzesca: si dice che la sua Z2 sia la Z3 alta di molti altri…

Questo è vero e va preso in considerazione. Se fa la Z2 a 320-350 watt e quindi va a 40 all’ora in condizioni di totale normalità, diventa un problema per gli altri. Anche per questo dico che Evenepoel si è portato dietro troppe persone per poter cambiare davvero. Sapendo che è in rincorsa, cioè che deve chiudere un gap, avrebbe dovuto osare di più.

Anche a costo di andare più piano?

Sì, anche a costo di andare più piano. Se poi quella strada fosse stata sbagliata, almeno ci aveva provato. Lui, come ha detto, è un vincente. Ma una cosa è certa: se continua così, con Pogacar non vince. E se parliamo di Grandi Giri, ne ha almeno un altro davanti: Jonas Vingegaard.

Remco Evenepoel, Paul Seixas, Europei 2025
Europei 2025: dopo aver tentato di resistere all’attacco di Pogacar, Remco recupera e aspetta il gruppetto di Seixas
Remco Evenepoel, Paul Seixas, Europei 2025
Europei 2025: dopo aver tentato di resistere all’attacco di Pogacar, Remco recupera e aspetta il gruppetto di Seixas
Almeno?

Almeno, perché ci sono ragazzini che stanno crescendo forte. Il francesino Paul Seixas è ancora un po’ immaturo, ma è un fenomeno. Più fenomeno di tutti questi, a livello di precocità. E poi, uno come Joao Almeida, anche se ha valori inferiori, ha mostrato più solidità, mentre Remco ha ancora un modo di gestire la corsa un po’ particolare nei Grandi Giri: ha ancora dei vuoti di una giornata.

Pino, quale può essere attualmente un terreno di sfida, un punto di incontro tra i due? Quale tipologia di corsa?

Nelle gare di un giorno li vedo abbastanza alla pari un po’ in tutti i tipi di percorso. Consideriamo che non sono macchine, ci sono i giorni migliori e quelli peggiori. Poi certo, se ci sono salite lunghe…

Al Lombardia neanche ha risposto, all’Europeo invece si è proprio spostato, come se fosse scattato l’allarme rosso. Perché?

Perché aveva capito che poco dopo sarebbe saltato. Il problema di questi sforzi è che se eccedi di pochi secondi, recuperi in un determinato tempo. Se invece eccedi troppo, ti serve molto di più per recuperare. E alla fine, pur spostandosi, Remco e gli altri inseguitori dopo la salita non erano lontanissimi. Il fatto è che poi Pogacar si è regolato sul loro passo. Non era mica a tutta. Uno così, ragazzi, non si è mai visto.

Da preparatore, se tu fossi il coach di Evenepoel, lo faresti lavorare di più sul fuorigiri o prima alzeresti il VO2 Max?

Per dire come lavorare con una persona, la devi conoscere davvero bene. Devi avere i dati per capire quali sono i suoi limiti. Da quello che posso dire da fuori, lavorerei sull’intensità, sulla capacità massima di prestazione.

Potendo ingerire grandi quantità di carbo, in parte “viene meno” il concetto di endurance
Potendo ingerire grandi quantità di carbo, in parte “viene meno” il concetto di endurance
Perché?

Alla fine ciò che conta è la resistenza. Con i nuovi tipi di alimentazione puoi integrare fino a 120 grammi l’ora di carboidrati, qualcuno è arrivato anche a 140, e in questo modo il concetto di endurance cambia. Chiaramente stiamo parlando di atleti dotati, con valori fuori dal comune e molto economici nella loro azione. Proprio per questo motivo, se fossi il suo coach, lavorerei sulla capacità di massima prestazione, cercando di migliorare quegli sforzi intensi che lo mettono in difficoltà.

Chiaro…

Noi prendiamo come riferimento una particolarità: Pogacar stesso. Se andiamo a vedere bene, a Remco non manca nulla. E’ l’altro che ne ha di più. Però, per avvicinarsi, andrei proprio a migliorare i valori sui 5 minuti in particolare. Ma anche sul minuto e sui 20′. Insomma, come dicevo, sulla massima prestazione. Lì Pogacar è micidiale: esprime 7 watt per chilo… dopo 5 ore di corsa!

Ma anche di più. All’Europeo l’attacco in salita è durato oltre 16 minuti, nei quali ha espresso quasi 7,3 watt/chilo…

E ci sta tutto. Vi dico, fatte le debite proporzioni, che qualche giorno fa ero a una gara di juniores e hanno fatto 14 minuti a 6,3 watt/chilo… E sono arrivati in 20 allo sprint. Questo rafforza il discorso che ormai lavorare sulle ore serve fino a un certo punto: bisogna lavorare sulla qualità. E anche i giovani che lo fanno raggiungono presto queste prestazioni. Oltretutto, se li alimenti bene, mettono sempre “benzina” nei muscoli, non vanno in crisi di fame, non entrano in catabolismo. Uno come Seixas va già così forte perché oggi non deve prima diventare economico in bici, non deve abituare il corpo a certe distanze o stress. Non ne ha bisogno. Oggi non deve essere economico.

Veneto Classic 2024

Gran finale in Veneto. Iniziano le “corse di Pozzato”

13.10.2025
6 min
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E’ una settimana molto importante per il ciclismo italiano e non solo. Di fatto è quella che chiude la stagione europea e in questo contesto il Veneto diventa la capitale del ciclismo. Come dicono anche i corridori: “Ci sono le corse di Pippo”… di Pozzato per chi lo conosce meno.

L’ex pro’, ormai da qualche anno con PP Sport Events, ha portato una ventata di aria fresca nel modo di concepire gli eventi ciclistici. Eventi, appunto, non solo gare. Ovvio che la parte tecnica e agonistica resta centrale, com’è giusto che sia, ma questo non vieta di espandere il concetto anche allo show, al divertimento e al coinvolgimento di persone non legate strettamente al ciclismo. Ma andiamo con ordine e scopriamo questi appuntamenti.

Giro del Veneto

La settimana del ciclismo veneto inizia mercoledì con una delle classiche più antiche d’Italia, il Giro del Veneto, con partenza da Vicenza e arrivo a Verona. E qui ecco subito la novità più importante: il Giro del Veneto Women. E dire che questa per anni era rimasta ferma al palo…

«Alla gara femminile – spiega Pozzato – ci pensavamo già da un po’. Ora è stato possibile realizzarla. Ne abbiamo parlato con la Lega e il riscontro è stato subito buono. Peccato solo che il calendario internazionale, così strutturato con ancora le gare WorldTour in Cina, ci penalizzi. E non solo per questa gara, ma per tutto l’insieme. Non è un caso che stiamo lottando per uno spostamento degli eventi nella prima parte di settembre. Pensate che bello sarebbe avere Pogacar o Evenepoel, Pedersen o Van der Poel che vengono a correre per preparare il mondiale…

«Detto questo – prosegue – il tracciato tra uomini e donne è lo stesso, con il gran finale sul circuito delle Torricelle, quello del mondiale 2004. La differenza è che le donne lo percorreranno due volte, mentre gli uomini cinque». In tutto saranno 169,5 chilometri per gli uomini e 116 per le donne, entrambi con partenza da Vicenza: alle 9,30 le donne, alle 13 gli uomini.

Lo scorso anno la Serenisisma Gravel fu stoppata a causa del maltempo, altrimenti ha regalato sempre grandi sfide e grandi parterre (qui il primo iridato, Gianni Vermeersch)
Lo scorso anno la Serenisisma Gravel fu stoppata a causa del maltempo, altrimenti ha regalato sempre grandi sfide e grandi parterre (qui il primo iridato Gianni Vermeersch)

Serenissima Gravel

Un giorno di pausa ed ecco la Serenissima Gravel, in programma a Cittadella, Padova, venerdì 17 ottobre. Anche qui le novità non mancano, la prima delle quali è che la prova è aperta anche agli amatori, che partiranno pochissimo dopo i professionisti.

«La Serenissima – spiega Pozzato – la facciamo sul percorso che fu teatro del mondiale 2022. Da quest’anno è aperta anche agli amatori. La cosa bella è che corrono vicinissimi ai pro’, si immedesimano, vivono la stessa atmosfera. Una formula molto bella, ma resta la problematica tecnica: soste, assistenza, modalità di partenza. Da anni sosteniamo la necessità di una normativa specifica per il gravel. Non si sa ancora se valgano le regole della strada o dell’off-road. Qui si passa su strade bianche, sentieri demaniali e terreni privati, strade provinciali… ed è una vera gara, non un evento in cui ti dò la traccia GPS e ti aspetto all’arrivo. Sarà comunque uno spettacolo: in queste edizioni la Serenissima ci ha regalato immagini spettacolari e corse avvincenti».

Il percorso prevede un grande anello di 37,5 chilometri da ripetere quattro volte nel quadrante nord-ovest di Cittadella. In tutto si affrontano 151 chilometri con appena 200 metri di dislivello. Ma guai a pensare a un arrivo in volata…

Il Muro della Tisa, lo stesso che affronteranno i pro’. Sarà un piccolo stadio anche per gli amatori (foto PPSport Events)
Il Muro della Tisa, lo stesso che affronteranno i pro’. Sarà un piccolo stadio anche per gli amatori (foto PPSport Events)

Veneto-Go

Sabato 18 torna protagonista anche il mondo amatoriale con la Veneto-Go, l’anello di congiunzione fra il mondo degli appassionati, dei professionisti e dei tifosi.

«Questo è un evento a cui teniamo moltissimo – racconta Pozzato – si percorrono le strade della Veneto Classic, le stesse che faranno i professionisti il giorno dopo. L’intento è far sì che la gente resti sul posto, che si goda il weekend di festa e di ciclismo, ma non solo».

In effetti c’è tanto da vedere in zona, oltre alla corsa. Le Ville Palladiane, Bassano del Grappa, sede dell’evento, e le colline del Prosecco poco più dietro offrono un contorno perfetto.
La Veneto-Go parte da Cartigliano e ricalca i 100 chilometri finali della Veneto Classic: dentro ci sono la Rosina, gli strappi in pavé e persino lo sterrato. Come nelle classiche del Nord, come alla Strade Bianche. Un grande evento per gli appassionati, che anticipa quello dei pro’.

PP Sport Events stima la presenza di circa 15.000 persone nei giorni feriali per questi eventi. Chissà quante saranno nel weekend… E quante di più potrebbero essere se il calendario internazionale vedesse gli eventi anticipati a settembre, con il richiamo di ancora più atleti di punta…

Veneto Classic

E infine, domenica 19 ottobre, si chiude con la Veneto Classic, la creatura di Pozzato, il suo gioiello della corona. E’ la corsa che racchiude tutte le sue idee innovative, a partire dal disegno tracciato, ma anche da ciò che vi ruota attorno.

«La Veneto Classic è il mio sogno – dice con orgoglio – è una gara dalle grandi potenzialità. Ha le caratteristiche delle classiche del Nord: pavé, muri, sterrati. E’ dura, ma aperta a più scenari».

Pozzato insiste molto sul concetto del circuito e anche in questo caso non si smentisce: la Veneto Classic è strutturata su tre grandi anelli, così che il pubblico possa divertirsi e vivere la corsa.
«La mia idea – prosegue – è quella di avvicinare anche chi non è un intenditore di ciclismo, di farlo divertire e poi, perché no, di farlo appassionare e salire in bici. Per questo, sulla Tisa, la salita in pavé, abbiamo potenziato le telecamere, allestito un maxischermo e portato un deejay».

Si parte da Soave, dove l’amministrazione comunale ha accolto con entusiasmo il progetto. E’ stata tolta una salita iniziale, ma inserita quella di Breganze, anche se non si arriverà fino in cima: si scenderà passando per Colceresa e lo strappo di San Giorgio. Pozzato assicura scenari incredibili, scorci unici sulle colline dei vigneti veneti.


Dopo un primo passaggio sulla Tisa, si entra nel circuito della Rosina, che verrà affrontato due volte anziché tre. «Altrimenti sarebbe diventato troppo lungo e troppo duro», puntualizza Pozzato. Quindi ecco l’anello della Tisa, da percorrere cinque volte. «Sarà un vero spettacolo. Il pubblico potrà vedere i corridori ogni 20 minuti, senza mai annoiarsi. Usciti da questo circuito, ci sarà il finale classico con la Diesel Farm, la salita in sterrato e l’arrivo a Bassano, tra le mura e il Ponte degli Alpini».

Grigolini

A Osoppo riecco Grigolini, bronzo mondiale con grandi progetti

13.10.2025
6 min
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Terza tappa al Giro delle Regioni dalla quale emerge tutto il meglio del ciclocross nazionale. Un test fondamentale un po’ per tutti e per tutte le categorie, tanto è vero che il cittì Daniele Pontoni ha riempito il suo ideale taccuino di appunti in vista del primo grande appuntamento stagionale, gli europei del secondo weekend di novembre. Da una parte emerge un livello qualitativo alto in quasi tutte le categorie assolute (i giovani di ieri premono e stanno cominciando a rimescolare le carte anche fra gli Elite), dall’altra si rivedono anche corridori che avevamo lasciato lo scorso inverno con una grande gioia e tante prospettive, come il bronzo mondiale Filippo Grigolini.

L'arrivo vittorioso di Grigolini, con 13" su Tommaso Cingolani e 18" su Dell'Oglio (foto Paletti)
L’arrivo vittorioso di Grigolini, con 13″ su Tommaso Cingolani e 18″ su Dell’Oglio (foto Paletti)
L'arrivo vittorioso di Grigolini, con 13" su Tommaso Cingolani e 18" su Dell'Oglio (foto Paletti)
L’arrivo vittorioso di Grigolini, con 13″ su Tommaso Cingolani e 18″ su Dell’Oglio (foto Paletti)

Si parte dal bronzo mondiale

Battuto nettamente a Tarvisio dal campione d’Italia Patrick Pezzo Rosola, Grigolini si è preso una sonora rivincita sempre in terra friulana, su un percorso che conosce a menadito, traendo dalla gara quelle rassicurazioni sulla sua forma che cercava: «Siamo partiti e subito con il mio compagno di squadra Filippo Cingolani abbiamo fatto il vuoto. Io già dopo la prima curva mi sono messo in testa e non l’ho più lasciata. Al terzo giro Filippo si è staccato e il resto della gara l’ho fatto da solo. Ho un po’ riscattato quel pizzico di delusione vissuto a Tarvisio: lì stavo bene, ma nevicava, pioveva, col freddo sono andato in crisi».

Grigolini è al secondo anno nella categoria, ma chiaramente la nomea di bronzo mondiale in carica lo porta alle gare con un carico d’attenzione addosso che gli avversari non hanno: «A me non pesa questa pressione, è anche normale che ci sia. Il fatto del podio mi dà una motivazione in più per trovare quest’anno tutti gli strumenti per provare a vincerlo, il mondiale…».

Il friulano insieme a Tommaso Cingolani, poi staccato. Grigolini punta deciso al mondiale di Hulst 2026 (foto Paletti)
Il friulano insieme a Tommaso Cingolani, poi staccato. Grigolini punta deciso al mondiale di Hulst 2026 (foto Paletti)

Dalla strada una nuova dimensione

Dopo il mondiale, il friulano ha vissuto una stagione su strada, la sua prima in assoluto, senza troppe gare, ma vissuta con grande attenzione e risultati di un certo peso: «Non avevo mai corso prima, è stata un’esperienza bella. Mi sono anche trovato bene, anche se con il mio team, il Borgo Molino Vigna Fiorita non si è instaurato il giusto feeling. Ma è stata un’esperienza positiva che mi aiuterà anche molto per questa stagione di ciclocross».

26 giorni di gara con alcune Top 10 di qualità, sia nelle corse di un giorno che nelle classifiche dei giovani delle corse a tappe. Qual è allora la tua dimensione ideale? «Io credo di essere andato soprattutto forte nelle corse di più giorni. Anche se magari ho avuto una giornata storta e perdevo tempo senza quindi riuscire a consolidare bene la classifica ed è su questo aspetto che voglio lavorare perché vedo che ho grandi margini».

Uno sconsolato Grigolini al Giro del Medio Po, ripreso a 10 metri dal traguardo
Uno sconsolato Grigolini al Giro del Medio Po, ripreso a 10 metri dal traguardo (foto Instagram)
Uno sconsolato Grigolini al Giro del Medio Po, ripreso a 10 metri dal traguardo
Uno sconsolato Grigolini al Giro del Medio Po, ripreso a 10 metri dal traguardo (foto Instagram)

Una vittoria sfuggita per… 10 metri

Qual è stata la tua gara migliore su strada? «Al Giro d’Abruzzo devo dire che mi sono divertito e ho fatto anche bene con due Top 10 e il 6° posto finale, ma la mia gara migliore secondo me è stata al successivo Giro del Medio Po, non tanto per il 5° posto finale, miglior risultato della mia stagione quanto perché me la stavo giocando alla grande per la vittoria, mi hanno ripreso proprio sul traguardo. Ero andato via in salita e credevo davvero di avercela fatta, fino agli ultimi 10 metri…».

Ma ora Grigolini possiamo considerarlo un ciclocrossista o uno stradista? «Entrambe le cose, io voglio fare bene in ambedue. Per questo ho messo da parte la mtb per concentrarmi su queste due discipline che per me sono bellissime».

28 giorni di gara su strada con 9 Top 10, un bottino di buon livello per la sua prima stagione (foto Instagram)
28 giorni di gara su strada con 9 Top 10, un bottino di buon livello per la sua prima stagione (foto Instagram)
28 giorni di gara su strada con 9 Top 10, un bottino di buon livello per la sua prima stagione (foto Instagram)
28 giorni di gara su strada con 9 Top 10, un bottino di buon livello per la sua prima stagione (foto Instagram)

Già nel mirino di un devo team

Tanti obiettivi nel corso dell’inverno e non solo: «Ora si lavora per gli europei, poi ci sarà il lungo avvicinamento alle gare titolate di gennaio e come ho detto la mia mente è focalizzata sul mondiale e quei gradini del podio da scalare. Poi ci sarà la stagione su strada, in un nuovo team per le gare in Italia, ma farò anche alcune prove estere con un devo team internazionale con il quale poi conto di passare direttamente da Under 23. Non sarò stagista, avrò proprio un doppio tesserino, uno per le gare italiane e uno per quelle all’estero, fra pochi giorni dovrebbe essere annunciato il tutto».

Il podio della prova Open con Bertolini (3°), Scappini al secondo successo e Ceolin (foto Paletti)
Il podio della prova Open con Bertolini (3°), Scappini al secondo successo e Ceolin (foto Paletti)
Il podio della prova Open con Bertolini (3°), Scappini al secondo successo e Ceolin (foto Paletti)
Il podio della prova Open con Bertolini (3°), Scappini al secondo successo e Ceolin (foto Paletti)

Giornata no per Viezzi, sì per Scappini

La domenica di Osoppo, allestita con la consueta perizia dal Jam’s Bike Team Buja è stata importante anche per altre categorie. Appassionante la prova Open maschile dove le gerarchie della domenica precedente si sono ribaltate e Scappini è tornato a ruggire, aggiudicandosi la gara questa volta con tutti i migliori contro. Viezzi, trionfatore a Tarvisio ha pagato una pessima partenza ma peggio è andata a Mattia Agostinacchio, al suo esordio fra gli U23, caduto al primo giro insieme a Bertolini e poi alle prese con una doppia scollatura alla ruota posteriore che l’ha costretto al ritiro. Alla fine Scappini ha avuto la meglio in volata su Ceolin contenendo il ritorno furioso di Bertolini.

Secondo successo nel circuito per la Casasola, qui alle spalle della Borello sempre leader (foto Paletti)
Secondo successo nel circuito per la Casasola, qui alle spalle della Borello sempre leader (foto Paletti)
Secondo successo nel circuito per la Casasola, qui alle spalle della Borello sempre leader (foto Paletti)
Secondo successo nel circuito per la Casasola, qui alle spalle della Borello sempre leader (foto Paletti)

La salita a tutta birra della Casasola

Seconda apparizione e seconda vittoria invece per Sara Casasola, andata via al penultimo giro e unica donna capace di superare la rampa più ripida del percorso senza mettere piede a terra. Un dato importante, che l’ha confortata anche più della vittoria su Elisa Ferri (all’esordio fra le U23) e la leader di classifica Carlotta Borello, sulla strada verso la miglior condizione da mostrare già nelle prime prove del Superprestige.

Parigi-Tours 2025, Matteo Trentin vince per la terza volta, battendo Christophe Laporte

EDITORIALE / Il tecnico azzurro, i ragazzi dell’89 e la politica

13.10.2025
6 min
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La vittoria di Trentin alla Parigi-Tours è un magnifico lampo azzurro sul finale di stagione. La classica francese, che chiudeva la Coppa del mondo ed è stata estromessa dal WorldTour forse perché la Francia (ASO) ne aveva troppe o perché non si poteva all’indomani del Lombardia, vedeva alla partenza tutti i non scalatori. I corridori da classiche che una volta si dividevano il calendario con gli uomini delle salite, offrendo il loro spettacolo. Ugualmente, sul percorso francese hanno dovuto sciropparsi cotés e tratti sterrati, perché una corsa solo in asfalto non basta più per gli standard attuali.

La vittoria di Trentin vale tanto perché è la terza a dieci anni dalla prima (non vale come il secondo Tour di Bartali, ma vista la velocità del ciclismo attuale poco ci manca) e perché ci permette di raccontare una storia archiviata troppo in fretta. L’ispirazione ce l’ha data qualche giorno fa Diego Ulissi, anch’egli classe 1989, quando gli abbiamo chiesto di parlare dei commissari tecnici con cui ha lavorato e fra i quattro disse parole limpide su Cassani.

Parigi-Tours 2015, Matteo Trentin vince la prima a 26 anni
La prima Parigi-Tours di Trentin a 26 anni nel 2015. In questo ciclismo che brucia in fretta, Van der Poel rivincerà il Fiandre nel 2030?
Parigi-Tours 2015, Matteo Trentin vince la prima a 26 anni
La prima Parigi-Tours di Trentin a 26 anni nel 2015. In questo ciclismo che brucia in fretta, Van der Poel rivincerà il Fiandre nel 2030?

Quattro europei e un argento iridato

Nel 2018 Trentin è stato il primo dei quattro campioni europei della gestione di Davide in nazionale. Sul traguardo di Glasgow batté in volata Van der Poel e Van Aert (al quinto posto si piazzò Cimolai, pure del 1989). L’anno prima, nel 2017 a Herning, Kristoff aveva piegato Viviani in volata, ma nel 2019 Elia si prese la rivincita. Si correva ad Alkmaar, in Olanda, e il veronese arrivò con un secondo di vantaggio su Lampaert (settimo Trentin). Il 2020 del Covid fu quindi l’anno di Nizzolo, che pochi giorni dopo aver vinto il campionato italiano di Stradella, a Plouay in azzurro batté Demare e Ackerman (sesto Ballerini). Infine nel 2001 il trionfo spettò a Colbrelli, che a Trento riuscì a non farsi staccare in salita da Evenepoel e lo batté nella volata a due.

In quegli stessi anni, l’Italia di Cassani arrivò seconda ai mondiali di Harrogate con lo stesso Trentin, probabilmente per aver sottovalutato il ventiquattrenne Pedersen. Stava anche per vincere le Olimpiadi di Rio con Nibali, dopo una tattica perfetta e l’attacco giusto, a causa di quella maledetta caduta. E se non fosse stato per la caduta di Colbrelli a Leuven, forse anche il mondiale del 2021 sarebbe stato alla portata. Quell’anno Sonny volava. Aveva vinto l’europeo e la settimana dopo il mondiale (chiuso al 10° posto) vinse la Roubaix: il tutto nell’arco di due settimane.

Il progetto di Cassani

Anni in cui avevamo corridori e percorsi adatti. E se il mondiale era troppo duro, di certo l’europeo veniva tracciato con un occhio per gli altri. Ecco allora spiegato il link, anzi l’aggancio fra la vittoria di Trentin e la nazionale di Cassani. Tutti quei campioni europei erano ragazzi del 1989 (tranne Colbrelli che è del 1990) e tutti, ad eccezione di Trentin, hanno annunciato il ritiro.

Il primo è stato Nizzolo, già nel cuore dell’estate. Poi è stata la volta di Viviani, che nonostante alla Vuelta abbia dimostrato di essere ancora fior di corridore, si fermerà dopo i mondiali su pista. Mentre Colbrelli ha dovuto arrendersi al suo cuore e si è fermato pochi mesi dopo quelle vittorie.

Il progetto azzurro di Cassani, ereditato da Ballerini e Bettini e sviluppato fino a ottenere l’attuale gestione, è stato interrotto alla fine del quadriennio di Tokyo. La nuova gestione federale vedeva in lui un fedelissimo del presidente precedente e quindi il romagnolo non venne confermato. A poco valgono le parole pronunciate a caldo dall’attuale gestione sulle sue (presunte) scarse capacità: quando si guida la nazionale, contano i risultati. E’ innegabile tuttavia che Davide, mettendo probabilmente troppa carne al fuoco, avesse lavorato a stretto contatto con il presidente Di Rocco, dando man forte a Villa per il rilancio della pista, salvando l’attività giovanile nei mesi del lockdown, rimettendo in piedi il Giro U23 abbandonato da tempo, risultando decisivo nell’organizzazione dei mondiali di Imola, che furono un fiore all’occhiello per tutto il ciclismo azzurro e non per una sola parte.

Il mondiali del 2019 sono sfuggiti all’Italia per un soffio. Trentin perse la volata da Pedersen, corridore di 24 anni che nessuno conosceva
Il mondiali del 2019 sono sfuggiti all’Italia per un soffio. Trentin perse la volata da Pedersen, corridore di 24 anni che nessuno conosceva

Tecnici alla larga dalla politica

L’insegnamento che se ne trae è duplice. Il primo, quasi banale: se non si hanno corridori adatti ai percorsi, è inutile aspettarsi i risultati (semmai ti aspetti il carattere, ma questa è un’altra storia). Il secondo, altrettanto banale ma non sempre scontato: i tecnici fanno sempre bene a stare alla larga dalla politica, pensando solo all’aspetto sportivo e non a quello della propaganda. Altrimenti quello che oggi è toccato a uno, domani toccherà tranquillamente all’altro. E sbaglia la politica, se lo fa, a cercarli per ottenere il consenso. Ad esempio si temette per Ballerini, messo al suo posto da Giancarlo Ceruti, acerrimo avversario per Di Rocco. Ma Di Rocco si guardò bene dal rimpiazzarlo, forse perché il cittì della nazionale trascende gli interessi di parte o così almeno era sempre stato.

Gli ultimi anni invece hanno confermato un cambiamento di rotta. Dopo la mancata riconferma di Cassani, oltre all’assenza di risultati a Bennati è stato rimproverato di non essere stato sempre allineato alle richieste federali. Tutto legittimo, intendiamoci, nessuno impone contratti a vita e ciascuno – anche il cittì – è responsabile delle sue scelte. Semplicemente non si era mai visto prima, se non nel caso di Antonio Fusi, messo con scelta simile nel 1998 a fare il tecnico dei pro’ al posto di Martini (bruciandolo), dopo gli anni vittoriosi fra gli U23 e rimosso a fine 2001 per lasciare spazio a Ballerini.

Marco Villa, cui di tutto cuore auguriamo buon lavoro, è uno dei pochi che in questi anni sia rimasto al suo posto, pensando alla pista e adesso alla strada senza una parola di troppo. Un tecnico che fa il tecnico, che vuole l’ultima parola nel suo ambito e preferisce lavorare giorno e notte nel velodromo, piuttosto che apparire a eventi e comizi. Uno capace di dire più volte che avrebbe preferito restare nella pista, ma pronto ad accettare la volontà federale che lo ha voluto su strada. Uno che ha anteposto l’azzurro alle sue velleità. Forse grazie a questo sopravviverebbe a un cambio di gestione efferato come quello del 2021. Ma Alfredo Martini sarebbe stato cittì azzurro dal 1975 al 1997 se la politica sportiva avesse avuto già allora i toni di oggi?