Passo falso sul San Luca, ma Roglic getta acqua sul fuoco

01.07.2024
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BOLOGNA – Nonostante i tuoni sull’asfalto rovente del San Luca, il sorriso di Primoz Roglic cancella le nubi in casa Red Bull-Bora-Hansgrohe. E’ stata una delle giornate più difficili sui colli bolognesi per l’asso sloveno, abituato a sfrecciare a braccia alzate al Giro dell’Emilia con il suo tris regale (2019, 2021, 2023). Stavolta, invece, è stato costretto a limitare i danni dalla coppia terribile Pogacar-Vingegaard e da un altro tandem tenace composto da Carapaz ed Evenepoel.

Acqua sul fuoco

Se l’ecuadoregno e il belga hanno reagito, all’ex campione mondiale juniores di salto con gli sci è mancato il solito spunto sulle pendenze più arcigne. Al tempo stesso non è andato a picco e quei 21 secondi lasciati nella torrida giornata non lo spaventano. E’ lui il primo a calmare le acque, scendendo sorridente dal bus e concedendosi per qualche battuta coi giornalisti dopo aver schioccato un bacio alla moglie Lora.

«E’ stata dura. Volevo restare con i migliori – dice – ma non avevo le gambe e così devo accontentarmi di quello che è stato».

Al momento dell’attacco di Pogacar, “Rogla” non era nella posizione in cui avrebbe dovuto trovarsi, come conferma lui stesso: «Ovviamente non ero alla sua ruota, sono rimasto troppo indietro e così non ho potuto farci nulla». A chi pensa che la domenica emiliana possa destabilizzarlo, lui ribatte: «E’ stata una giornata a sé, preferisco vivere questo Tour giorno per giorno. E’ soltanto la seconda tappa e mancano ancora 19 giorni».

Roglic ha speso tanto per trovare la posizione sul San Luca, ma forse le gambe non erano le migliori
Roglic ha speso tanto per trovare la posizione sul San Luca, ma forse le gambe non erano le migliori

La voce del padrone

Ralph Denk, fondatore e manager del team, che a questo Tour ha festeggiato l’ingresso di Red Bull nel ciclismo, non si nasconde.

«Non era quello che ci aspettavamo – dice – ma alla fine sono soltanto una manciata di secondi, per cui dovremo analizzare nel dettaglio la tappa e parlare con più calma con Primoz. Non ho grandissime informazioni. Sicuramente l’intera squadra ha sbagliato posizionamento al primo imbocco del San Luca e questo ci è costato parecchie energie che poi abbiamo pagato. Cercherò di capire cosa è successo».

Accanto a sé nei momenti più concitati, Roglic aveva sia Aleksandr Vlasov sia Jai Hindley, che hanno tagliato il traguardo nel suo stesso gruppo. «Il caldo torrido ha reso davvero duro questo weekend, per noi così come per tutte le altre squadre. Sono convinto che queste alte temperature hanno reso meno emozionante la corsa perché con dieci gradi in meno magari avremmo visto qualcosa di più», commenta ancora Denk.

Ralph Denk ha da poco ceduto il 51% della società a Red Bull, ma resta a capo del team
Ralph Denk ha da poco ceduto il 51% della società a Red Bull, ma resta a capo del team

L’analisi di Gasparotto

Dal bus scende anche il direttore sportivo Enrico Gasparotto che prova ad analizzare la tappa. «In giornate con un finale come quello di Bologna – dice – di solito Primoz è sempre là. Però questa frazione è stata atipica perché non è stata una giornata tirata, ma tranquilla per la prima parte e poi esplosiva nel finale.

«Il Montecalvo e i due passaggi del San Luca sono stati fatti a velocità folle, mentre prima no. Magari questo ha influenzato un corridore di una certa esperienza e un po’ un diesel come lui, rispetto a ragazzi più giovani. Poi, l’entrata del San Luca era molto più tecnica rispetto a quando si affronta all’Emilia. C’era la chicane che sparigliava un po’ le carte. Ne parlerò con Primoz, ma sicuramente già dal suo arrivo al nostro pullman l’ho visto molto più tranquillo di quello che potessi immaginare».

Sceso dal pullman e prima di rivolgersi alla stampa, Roglic ha baciato la moglie Lora
Sceso dal pullman e prima di rivolgersi alla stampa, Roglic ha baciato la moglie Lora

Perplessità su Pogacar

La situazione di classifica non spaventa il diesse friulano: «Onestamente mi aspettavo molto di più da Tadej nella prima tappa, così nella seconda. Pensavo che la Uae tenesse maggiormente la corsa per poi provare a fare “malanni” nelle ultime due salitine prima dell’ultimo strappo del San Luca. Di sicuro se Tadej, come dice, sta meglio che al Giro, mi aspetto sempre fuoco e fiamme in questa prima settimana.

«Per ora, ha fatto meno di quello che aspettavo, ma credo che questo caldo abbia influenzato tutti, lui compreso. Chi è stato ad allenarsi a fare altura sulle Alpi ha trovato brutto tempo quasi ovunque, mentre chi è andato in Spagna magari aveva il corpo più abituato a queste temperature». Poi aggiunge sicuro: «Primoz ha esperienza da vendere e sa gestirsi come pochi».  

Prima del via del Giro, Roglic con il procuratore Mattia Galli, che condivide con Vingegaard
Prima del via del Giro, Roglic con il procuratore Mattia Galli, che condivide con Vingegaard

Il giorno di Sobrero

Oggi un po’ di relax nella prima occasione per velocisti con l’arrivo a Torino. Si passerà nelle terre dell’albese Matteo Sobrero, con il suo fans club disseminato sul percorso tra Barbaresco e dintorni per sospingerlo nel suo prezioso lavoro a supporto dello sloveno vincitore per tre volte della Vuelta di Spagna (2019, 2020, 2021) e re del Giro d’Italia 2023. Ieri Matteo ha tagliato il traguardo con un ritardo di 13’25” dal vincitore, nel gruppetto di cui faceva parte anche un acciaccato Wout Van Aert.

«Primoz non era al top in questa tappa, forse anche perché ha patito il caldo e non era abituato a questo clima. Anche lui arrivava direttamente dall’altura di Tignes», racconta Matteo riferendosi agli allenamenti del mese scorso. «In squadra siamo tutti tranquilli anche perché il Tour è appena iniziato e le salite lunghe devono ancora cominciare».

Il terzo uomo è ancora in piedi: stavolta però, tocca a lui rimontare se vuol cullare il sogno giallo mai sopito.

Per Vauquelin Bologna è un sogno. Per Pogacar… un giallo

30.06.2024
6 min
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BOLOGNA – I due volti di un successo. Quello di profondo di Kevin Vauquelin e quello quasi di “abitudine” di Tadej Pogacar. Il primo è il sorriso di chi cerca la vittoria di tappa e ci riesce. Il secondo è quello di chi sta cercando di vincere il Tour de France e conquista la maglia gialla dopo un test… perché di test si è trattato. A Bologna, dunque un sorriso per due, ma un sorriso parecchio diverso.

Didier Rous assalito dai giornalisti francesi. Erano 56 anni che due francesi non vincevano le prime due tappe del Tour
Didier Rous assalito dai giornalisti francesi. Erano 56 anni che due francesi non vincevano le prime due tappe del Tour

Un normanno a Bologna

Kevin Vauquelin, 23 anni, da Bayeux, Normandia. Insegue il sogno di partecipare al Tour de France. Ma si capisce presto nel corso della stagione che nell’Arkea-B&B Hotels un posto per lui alla Grande Boucle c’è. Primo nella crono dell’Etoile de Besseges, secondo alla Freccia Vallone e un’ottima costanza di rendimento.

«Eravamo al Tour per provare a vincere una tappa – dice assalito dai giornalisti francese il direttore sportivo dell’Arkea, Didier Rous – e ci siamo riusciti. E’ la nostra prima grande vittoria».

Di certo questa squadra, la più piccola fra le WorldTour si sta facendo spazio tra i giganti. Non dimentichiamo anche il secondo posto di Luca Mozzato al Fiandre.

Vauquelin (classe 2001) già da solo sul San Luca. Si è dovuto trattenere dal partire un giro prima
Vauquelin (classe 2001) già da solo sul San Luca. Si è dovuto trattenere dal partire un giro prima

Lucidità e gambe

«Sapevo che muoversi in quel punto sarebbe stata una buona mossa – ha detto Vauquelin – perché Abrahamsen e Oliveira sono due bravi corridori. Sul primo San Luca mi sentivo bene, stavo quasi per attaccare, ma era troppo lontano. Conoscevo questo arrivo, ho già corso qui al Giro dell’Emilia e mi ricordavo a memoria la salita».

Kevin Vauquelin è dunque il re di Bologna. Racconta della sua vittoria con gioia, ma anche con compostezza e lucidità. La stessa lucidità che ha avuto per tutta la tappa. Sempre guardingo, secondo su tutti i Gpm, tranne che sull’ultimo dove appunto è transitato in solitaria. Sin lì non aveva speso una goccia di energia in più del necessario. E una volta affondato il colpo ha gestito il tempo e lo spazio con la sapienza del cronoman.

«Ho capito che veramente avrei potuto vincere – prosegue – quando ero sullo scollinamento del secondo passaggio sul San Luca e ho sentito che il distacco era buono e che le mie gambe spingevano ancora forte. Lì, con la salita alle spalle, sapevo che dovevo “solo” continuare a spingere». 

«Non me ne rendo conto ancora, è pazzesco. E’ la più bella vittoria della mia carriera e dire che ieri sera dopo la prima tappa non ero affatto contento. Oggi sono partito con uno spirito vendicativo. Mi sono detto che la ruota avrebbe girato dalla mia parte».

Quanta gente lungo le strade della Cesenatico-Rimini. S’intravede Bardet… nel suo unico giorno in giallo
Quanta gente lungo le strade della Cesenatico-Rimini. S’intravede Bardet… nel suo unico giorno in giallo

E’ subito duello

Le strade che portano il Tour de France dalla Romagna all’Emilia sono infuocate. Per fortuna c’è un po’ di vento a raffreddare i “radiatori”. E caldo è anche il pubblico. Quanto ce n’è su ogni salita, sul San Luca e Bologna. Anche noi per vedere i passaggi ci siamo arrampicati su delle colonne.

E’ il boato nelle orecchie di cui hanno parlato anche Giulio Ciccone e Tadej Pogacar, che dopo un Tour di astinenza torna a vestirsi di giallo. Un giallo più d’occasione che cercato. Venuto per “misurare la febbre” a Jonas Vingegaard per capire se davvero il danese non fosse al top.

«Per noi è stata una buona giornata – ha detto il Ceo della UAE Emirates, Mauro Gianetti – abbiamo avuto un’ottima squadra con quattro corridori che sono arrivati nel primo gruppo. L’idea era di vedere lo stato degli altri e abbiamo visto quello che ci aspettavamo e cioè che Vingegaard ha un’ottima condizione, altrimenti non sarebbe stato qui in Francia come capitano.

«Domani c’è una tappa per velocisti e non dobbiamo pensare alla maglia, ma da dopodomani oltre che prestigiosa c’è una tappa dura e se si vuole vincere il Tour bisogna stare davanti. Io credo che ci siano poche tattiche da fare. Oggi abbiamo visto Tadej attaccare e Vingegaard entrare nella ruota senza sforzo».

Pogacar si affaccia sul palco. Non sembra super felice di aver già preso questa maglia
Pogacar si affaccia sul palco. Non sembra super felice di aver già preso questa maglia

Il giallo del giallo

L’attacco quindi c’è stato. Pogacar ha detto che con il grande caldo, suo storico nemico, non se l’è sentita di spremere la squadra, anche perché la fuga davanti è andata forte e rintuzzarla sarebbe stato davvero dispendioso. Davvero quindi il suo è stato uno scatto-test. Un colpo di stiletto. E alla fine è emerso quel che tutti più o meno si aspettavano: il Tour sarà ancora un discorso a due. O meglio, ha due fari, perché gli altri non sono affatto lontani.

Il finale di oggi ci è sembrato strano, non in linea con le attitudini da killer di Pogacar. In volata ci è sembrato quasi si volesse defilare. Come se addirittura non volesse la maglia gialla. O forse perché dopo un vuoto clamoroso sul San Luca ha visto rinvenire forte da dietro Remco Evenepoel e Richard Carapaz. E magari ha perso quella verve. 

E infatti lo stesso Pogacar, nel dietro le quinte (qui il video), mentre era sui rulli dà il cinque a Remco e gli chiede: «Sei tu in giallo, sì?». Il belga lo guarda un po’ spaesato e Tadej riprende: «Ho cercato di lasciare un varco», così che la potesse prendere qualcun altro.

Dobbiamo quindi parlare di missione compiuta o di missione fallita? Un bel “giallo” quando si prende la maglia gialla… senza farlo apposta!

Sull’arrivo Pogacar lascia sfilare, ma la giuria non rileva il “vuoto” e lo classifica con lo stesso tempo di Vingegaard ed Evenepoel
Sull’arrivo Pogacar lascia sfilare, ma la giuria non rileva il “vuoto” e lo classifica con lo stesso tempo di Vingegaard ed Evenepoel

Gianetti soddisfatto

«E ‘ stato un po’ particolare questo finale, ma non ho ancora parlato con Tadej – ci ha detto a botta calda Gianetti – quindi non so esattamente come si sia rialzato. Però credo che abbia fatto un ottimo lavoro nel cercare di guadagnare del tempo, capire come stavano tutti gli avversari per la classifica generale.

«Mi ha colpito il bel rientro di Evenepoel con Carapaz. Chiaro, Tadej non ha trovato molto supporto da parte di Vingegaard, a parte un paio di volte che lo ha passato in discesa, e questo probabilmente poteva essere anche un vantaggio per loro due. Chissà, probabilmente Vingegaard ritiene che l’unico avversario per lui sia Tadej. Ma questo è il modo di correre di Jonas. Lui ha sempre corso in questa maniera, cercando di mettere la pressione su Tadej e anche il peso del lavoro. Fa parte del gioco. Sono le tattiche di ognuno.

«Una cosa è certa: abbiamo la maglia gialla e le informazioni che volevamo. Sapevamo che le prime due tappe erano impegnative e che avremmo avuto già una visione più globale sullo stato di forma di ognuno. Va bene così».

Ciccone realista: «Quando sono scattati, salivamo a 500 watt»

30.06.2024
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BOLOGNA – Quando Pogacar e Vingegaard hanno attaccato, il gruppo di testa saliva a 500 watt. Mentre lo racconta, Ciccone solleva lo sguardo come a dire che aveva poco da farci. L’abruzzese gira le gambe sui rulli davanti al pullman della Lidl-Trek e intanto racconta. Fino a pochi secondi fa si è confrontato con Steven De Jongh, anche se a parlare era soprattutto il diesse belga. Prima di arrivare a chiedergli qualcosa, lo osserviamo. A tratti è pensieroso, nel cuore di questa stagione che lo ha visto saltare il Giro per una cisti al soprasella e iniziare il Tour in ritardo per un altro Covid.

L’ordine di arrivo lo colloca in quindicesima posizione, a 2’42” dal vincitore Vauquelin e ad appena 21” da Pogacar, Vingegaard ed Evenepoel. Alle sue spalle sono finiti tutti gli altri leader del Tour: non è stata una cattiva giornata. E soprattutto, oltre alla propria prestazione, gli ha permesso di analizzare la condotta dei primi della classe.

«E’ stata una tappa molto dura – dice – specialmente dopo la giornata di ieri che è stata esigente, fra il caldo e il percorso. Il finale di oggi era molto movimentato, bellissimo. Il San Luca è stato uno spettacolo di gente, veramente emozionante. Però bisogna essere realisti sul livello che ho e seguire quei due mostri era praticamente impossibile. Perciò ho cercato di gestire con le forze che ho e farò così giorno per giorno. Pogacar e Vingegaard non li stiamo scoprendo adesso, hanno una marcia in più e oggi l’hanno dimostrato sul San Luca».

Ciccone ha un bel numero di tifosi dall’Abruzzo che lo cercano e lo sostengono
Ciccone ha un bel numero di tifosi dall’Abruzzo che lo cercano e lo sostengono
Solo da lì?

Il ritmo era altissimo già da tanto. Quando si va a più di 500 Watt per un tot di minuti, solo i grandi campioni come loro riescono a fare la differenza. Si era visto che Pogacar volesse provare qualcosa, sennò non mandi avanti Yates a quel modo. Sono state due giornate veramente strane, perché con il caldo il fisico si adatta, le sensazioni cambiano tantissimo e a volte la prestazione viene anche un po’ falsata. Per cui se ad esempio Roglic ha pagato è perché ieri può aver speso troppo, però non è necessariamente un brutto segno.

Quanto era forte il caldo oggi?

A dire la verità, oggi è stata molto meglio di ieri, meno estremo. Facendo delle salite veloci e grazie al vento, abbiamo avuto sensazioni migliori. Ieri invece abbiamo pagato tutti, perché era proprio afoso, non girava l’aria, non si respirava.

Quando Pogacar e Vingegaard hanno attaccato – dice Ciccone – si saliva a 500 watt
Quando Pogacar e Vingegaard hanno attaccato – dice Ciccone – si saliva a 500 watt
Pensi che i 4-5 giorni di allenamento che hai saltato per il Covid ti stiano condizionando?

Io sono sincero, in questi primi giorni mi manca la brillantezza, il cambio di ritmo. Però sono comunque soddisfatto perché voglio vivere giorno per giorno, facendo il mio massimo. L’importante è che riesca a mantenere il mio livello ed essere costante. A questi livelli, come ho già detto, si raggiungono dei picchi di potenza veramente alti, quindi se ti manca anche un 2 per cento, lo senti e lo paghi. Ci sta, siamo al Tour de France ed è giusto che ci sia anche questa differenza.

Oggi ci si aspettava che la UAE Emirates attaccasse, invece si sono ritrovati con Vingegaard di nuovo sul groppone…

Devo dire che su tutti gli strappi c’è stato molto nervosismo. Siamo alla seconda tappa del Tour e si sa che le prime tappe sono sempre più nervose. Siamo anche fortunati che queste giornate siano dure, perché la salita fa ordine e si rischia meno che nelle tappe piatte.

Giulio Ciccone, classe 1994, è alto 1,76 per 58 chili. Nel 2019 vestì la maglia gialla
Giulio Ciccone, classe 1994, è alto 1,76 per 58 chili. Nel 2019 vestì la maglia gialla
La gente sul San Luca ti ha dato una spinta in più per tenere duro?

E’ stato qualcosa di impressionante. Ho fatto tante volte il San Luca in diverse occasioni: all’Emilia e al Giro d’Italia, ma oggi davvero scoppiava la testa dalle urla. Penso che sia stato uno dei momenti che sicuramente mi ricorderò tutta la carriera.

Tour, secondo atto: Vingegaard alla prova del San Luca

30.06.2024
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RIMINI – La guerra dei nervi è già cominciata, lo avevamo già notato nelle conferenze stampa della vigilia. Dopo la prima tappa, è evidente che Pogacar e Vingegaard giochino di fino, lanciando messaggi apparentemente casuali che però accendono già la sfida con un pizzico di pepe in più.

La tappa di Bologna sembra fatta apposta per far esplodere la corsa e qualcosa certamente accadrà, sperando che il pubblico sappia stare al suo posto, come purtroppo non è successo ieri in partenza.

Subito dopo la caduta, Hirt assistito dal team (foto AS/Het Nieuwsblad)
Subito dopo la caduta, Hirt assistito dal team (foto AS/Het Nieuwsblad)

L’assalto di Firenze

In barba a chi sostiene che a Firenze ce ne fosse poca, al via dal Parco delle Cascine la gente ha pensato bene di aprire le transenne e accedere direttamente alla zona dei pullman, senza lasciare spazio ai team, ai corridori e a chi aveva la pretesa di lavorare alla partenza della prima tappa del Tour. E così è successo che Jan Hirt, corridore della Soudal-Quick Step, è finito a terra spezzandosi tre denti. Pare che sia stato galeotto l’aggancio con lo zaino di un tifoso che non sarebbe dovuto essere lì.

Hirt ha corso la prima tappa con il labbro gonfio e giustamente la cosa è stata sottolineata da Patrick Lefevere: «Ci sono 100 regole per la squadra – ha scritto su X – ma qualcuno con uno zaino ha fatto cadere Jan Hirt tra le firme e l’autobus».

«E’ stato un caos completo – ha dichiarato invece il compagno Lampaert alla televisione belga – l’organizzazione non ha avuto alcun controllo. La gente camminava ovunque. Jan ha continuato a vacillare ed è caduto. Come corridori riceviamo continuamente multe per piccole cose, l’organizzazione dovrebbe guardarsi allo specchio. E’ inaccettabile».

Una prima tappa positiva per Vingegaard, che forse in partenza temeva di pagare pegno
Una prima tappa positiva per Vingegaard, che forse in partenza temeva di pagare pegno

La guerra dei nervi

Per il resto, sulla strada di Rimini ci si aspettava una giornata di inferno da parte del UAE Team Emirates, più che mai intenzionato ad approfittare del previsto ritardo di condizione di Vingegaard. La cronaca dice che la squadra ha sì forzato il ritmo sul Barbotto, ma che poi non abbia voluto o potuto affondare il colpo. Vingegaard ha accusato il forcing?

«Sono molto contento di come è andata la giornata – ha detto il vincitore uscente del Tour – ma naturalmente siamo un po’ delusi di non aver ripreso i due fuggitivi. Van Aert era molto forte e ha vinto lo sprint per il terzo posto, che poteva essere una vittoria. Ci siamo sentiti entrambi bene, quindi possiamo essere contenti della prestazione. Sono contento delle mie sensazioni, posso guardare con ottimismo alle prossime tre settimane. Ho le gambe per lottare per la classifica generale, ma lottare per la vittoria è un’altra cosa.

«La tappa di Bologna sarà più dura e più esplosiva – ha ragionato Vingegaard – con una salita breve da fare per due volte (il San Luca: 1,9 km al 10,6 di pendenza) e meno salite in totale. Sarà diverso. Ho acquisito molta fiducia nella prima tappa. Vedremo come mi sentirò, farò del mio meglio e poi vedremo».

Ayuso e Pogacar: ieri anche lo spagnolo si è staccato e ha faticato per rientrare
Ayuso e Pogacar: ieri anche lo spagnolo si è staccato e ha faticato per rientrare

Tutti in attesa di San Luca

Anche Pogacar è consapevole che oggi a Bologna sarà un altro andare, se non altro perché il doppio San Luca potrebbe restare nelle gambe a chi già ieri fosse arrivato al traguardo con le energie al lumicino. Come è andata davvero fra Pogacar e il grande caldo della prima tappa, che ha raggiunto i 37 gradi?

«E’ andata davvero bene – ha detto Pogacar – il ritmo era buono e nonostante il caldo mi sono sentito benissimo. Per me questo è un vero vantaggio. Nello sprint ho visto un varco, così mi sono buttato in mezzo ed è arrivato il quarto posto. Ho quasi battuto due degli uomini più veloci del gruppo con Van Aert e Pedersen, ma non ce l’ho fatta.

«Però sulla salita di San Luca ci saranno tattiche più aperte e assisteremo ad una battaglia più grande. Le differenze stanno già aumentando. Ho potuto testare le mie gambe sulle salite ed ero in buona forma nonostante il caldo…».

Cavendish inizio shock. Ma “progetto 35” è ancora in piedi…

30.06.2024
5 min
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RIMINI – Quando arriva al bus Mark Cavendish ha lo sguardo perso nel vuoto. E’ un automa. Gli fanno spazio tra i tifosi e i giornalisti che lo attendono. Ad aspettarlo c’è anche il team manager, Vinokourov, il quale gli dà un buffetto d’incoraggiamento e gli apre la tenda del bus. Cav vi s’infila dentro silenzioso.

La sua giornata di debutto al Tour de France è stata molto, molto più dura di come si sarebbe aspettato. Okay, che la Firenze-Rimini non era per lui, ma così… Penultimo a 39’12” da Romain Bardet.

All’arrivo Cavendish era pallido in volto
All’arrivo Cavendish era pallido in volto

Allarme rosso

Che i velocisti come lui verso Rimini avrebbero potuto fare fatica era cosa risaputa. E di fatto così è stato. Anche Fabio Jakobsen, per esempio, non è andato bene. Lui addirittura ha chiuso ultimo, proprio alle spalle di Cav, e non ha avuto i problemi dell’inglese.

Qualcosa deve essere successo in fase di avvio in casa Astana. Il caldo? Una bevanda troppo fresca o qualcosa di solido prima del via? Di certo qualcosa ha inceppato gli intestini dei turchesi. Di colpo hanno ceduto “Cav” e Gazzoli. Michele addirittura è stato costretto al ritiro.

Entrambi hanno vomitato (c’è persino un video dell’inglese). Mark era in discesa quando è successo. Pensate che grinta, che determinazione: vomita, ma tira dritto. Non perde la concentrazione, continua a guidare. In quel momento era già era staccato di oltre 8′ dalla testa della corsa.

L’Astana-Qazaqstan che è tutta per lui gli fa quadrato. Al primo scricchiolio vengono fermati Gazzoli, Bol, Morkov e Ballerini, in pratica coloro che compongono il suo treno per gli sprint. Qualche chilometro dopo, quando il distacco inizia a diventare preoccupante e Gazzoli ha alzato bandiera bianca, viene richiamato anche Fedorov.

L’ex iridato scortato dai suoi con grande professionalità
L’ex iridato scortato dai suoi con grande professionalità

Le parole di Zazà

Un vero peccato, perché tutto sommato Cav sembrava stare bene. Alla presentazione dei team era davvero raggiante. E giusto pochi giorni prima Stefano Zanini, il diesse, ci aveva detto che tutto sommato Cav arrivava a questo Tour in condizioni più che buone.

«L’ho visto in gara allo Svizzera – ci aveva detto Zanini – e anche se il percorso non era propriamente per velocisti si era ben comportato. In salita, quando si staccava, già era rimasta indietro parecchia gente. Mi sentirei di dire che il Giro di Svizzera se proprio non è stato un banco di prova è stato il completamento di un bel blocco di lavoro per Mark».

Dal Barbotto in poi, Cav ha incassato altri 23′. Da notare alle sue spalle Jakobsen, quasi un automa. Taglieranno il traguardo penultimo e ultimo
Dal Barbotto in poi, Cav ha incassato altri 23′. Da notare alle sue spalle Jakobsen, quasi un automa. Taglieranno il traguardo penultimo e ultimo

Cav preparato

Queste parole del direttore sportivo lombardo sono state un tuono quando oggi il primo a staccarsi e con largo anticipo è stato proprio Cavendish.

«Il programma di avvicinamento di Mark – aveva detto Zazà – è stato buono. Nell’ultima corsa era motivato e come lui anche la squadra che aveva intorno, la stessa del Tour de France. Dopo lo Svizzera Mark è stato qualche giorno a casa e poi di nuovo in Grecia dal coach Vasilis Anastopoulos. Anche se lì fa caldo, si trova bene. Ha svolto un altro blocco di lavoro. Era nei programmi che andasse laggiù. E anche questo ha contribuito a renderlo tranquillo».

Un “castello” costruito bene insomma, ma che è crollato dopo 45 chilometri di Tour de France. Deve per forza esserci qualcosa.

Cav è esperto. Ne ha passate tante e ha tanta grinta. Adesso l’obiettivo è riprendersi al più presto e non sarà facile visto il livello e il percorso che propone questo Tour de France.

Non si molla

Dopo l’arrivo Cavendish ha provato a smorzare i toni dicendo che voleva correre così, al risparmio. Magari avrebbe preferito staccarsi nella salita successiva. E in parte poteva essere una disamina corretta, ma tra le immagini che lo inchiodano, il ritiro di Gazzoli e un ritardo mega è chiaro che non poteva essere solo una scelta tattica.

Una scelta tattica, ripetiamo, condivisibile e che tutto sommato forse covavano anche in casa Astana.

«Più che la distanza della frazione di Torino in sé, ben 230 chilometri, in ottica della prima volata potrebbe fare la differenza lo sforzo che si accumula nelle prime due tappe – ci aveva detto sempre Zanini – Sono due frazioni dure: si affrontano 3.700 metri di dislivello nella prima e oltre 2.000 nella seconda». 

Come a dire che l’idea di correre a risparmio era effettiva, concreta.

Un fotomontaggio con Cavendish e Merckx. I due vantano 34 vittorie al Tour. Qualcuno ha ribattezzato la sfida dell’inglese “Progetto 35”
Un fotomontaggio con Cavendish e Merckx. I due vantano 34 vittorie al Tour. Qualcuno ha ribattezzato la sfida dell’inglese “Progetto 35”

Progetto 35

L’inglese punta deciso al record assoluto delle 35 vittorie per staccare Eddy Merckx e appunto nella Piacenza-Torino avrà questa prima grande possibilità. Qualcuno ha ribattezzato la sfida dell’inglese “Progetto 35”. Non si molla niente. E la voglia con cui ieri Cav ha voluto raggiungere il traguardo è proverbiale.

«La terza è una tappa per velocisti – ha detto Zanini – Verso Torino ci sono giusto delle salitelle di quarta categoria, una delle quali a 50 chilometri dall’arrivo. Dal vivo l’ha visionata Mark Renshaw. E’ una tappa piatta che ci darà la prima volata del Tour e speriamo che vada subito bene. Tolto il dente, tolto il dolore!».

«Il finale è abbastanza lineare negli ultimi chilometri. Ci sono dei bei rettilinei, ma anche parecchie rotonde e spartitraffico e spesso ormai questi ostacoli sono decisivi (almeno ai fini delle posizioni e di conseguenza del resto della volata, ndr). Ci sono due curve nel chilometro finale, due “sinistra-sinistra”, l’ultima delle quali termina a 750 metri dal traguardo. Ma per il resto, come detto, è un arrivo filante. L’ho visto su VeloViewer. E’ tutto asfalto e sembra anche buono».

Colpo imprevisto alla solita storia: arrivo in parata, Bardet in giallo

29.06.2024
5 min
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RIMINI – Allora le storie impreviste in questo ciclismo di super calcoli e di fenomeni possono ancora accadere. Allora è ancora possibile uscire fuori dalle righe. Poco dopo, ecco le parole di Romain Bardet: «Nel ciclismo accadono ancora momenti inaspettati». Pensieri che si abbracciano dunque.

Un arrivo in parata a Rimini, con due corridori della Dsm-Firmenich, Romain Bardet e Frank Van de Broek, non lo avrebbe potuto immaginare neanche lo scrittore più fantasioso del mondo.

Il Tour de France si apre così con un fantastico colpo all’insolita storia. La suspence è stata diversa. Si è accesa proprio nel finale. 

A Rimini Bardet e Van den Broek arrivano insieme. Il vecchio elogia il giovane e dopo 11 Tour indossa la maglia gialla per la prima volta
A Rimini Bardet e Van den Broek arrivano insieme. Il vecchio elogia il giovane e dopo 11 Tour indossa la maglia gialla per la prima volta

Spingere, spingere

Si è accesa solo nel finale perché tutti li davano per spacciati. «Li prendono». «Non arriveranno mai». Si sentiva dire sul lungomare di Rimini. In questa luce piatta tutti avevano gli occhi stretti a scrutare gli schermi sui bus, sugli smartphone o sul traguardo. 

«A 400 metri mi sono voltato ancora una volta. E ho visto che c’era ancora un po’ margine», racconta Bardet di giallo vestito per la prima volta in carriera. «Ho pensato che si poteva fare per davvero. Poi la linea d’arrivo, vicino a Van der Broek, al suo primo Tour. Era nervoso e per questo non stava bene nei giorni scorsi. Un’emozione incredibile».

Tra i protagonisti della fuga di giornata anche Matej Mohoric
Tra i protagonisti della fuga di giornata anche Matej Mohoric

Pazzia francese…

Ma questo è solo il finale. Quando ad una quarantina di chilometri dall’arrivo, verso San Marino esce dal gruppo Bardet, sembra un’altra azione alla francese: bella sì, ma poco sensata. O almeno più adatta alle gare di Coppa di Francia che non al Tour. 

E sembrava poco sensata anche perché il compagno, Van den Broek, si era defilato dagli altri due fuggitivi per attenderlo. In quel momento era un autogol pazzesco. Abrahamsen e Madouas andavano forte. E invece…

«Frank era davanti – ha proseguito Bardet – era molto forte oggi. Mi sono detto: “Cercherò di riprenderlo, anche se ci dovessi mettere 20 minuti”. Poi una volta davanti è stato un inferno. Una vera lotta al fronte». 

Una lotta che i due Dsm-Firmenich accettano eccome. Verso Montemaggio scappano via. Dietro, l’assalto della UAE Emirates rientra e così il gruppo piomba a due minuti.

E qui inizia un’altra corsa. La solita corsa, quella dei fuggitivi contro il gruppo. Perché se non tira Pogacar, tira la EF Education-Easy Post di Bettiol. 

Sul Barbotto la UAE Emirates prende in mano la corsa. Poi si sposta e Bardet spicca il volo
Sul Barbotto la UAE Emirates prende in mano la corsa. Poi si sposta e Bardet spicca il volo

Spingere ancora

«Non ce la fanno. Un minuto e mezzo a 16 chilometri è poco», dice il pubblico sempre con gli occhi stretti.

«Pensavo che ci avrebbero ripreso in pianura – ha detto ancora Bardet – dalla macchina ci dicevano di spingere. Che il gruppo andava forte. Ma che potevamo insistere». Rapporto lungo per Bardet, come da tradizione del resto. Gambe che frullavano per il ragazzino. I due compagni sono compatti, stretti. Sembrano una cosa sola che fende il vento.

Il distacco cala ancora. Dietro ora spinge con violenza la Lidl-Trek. E’ dal Giro d’Italia che li vediamo in questa situazione. Sembra vagamente di ritornare alla tappa di Napoli. Solo che stavolta l’Alaphilippe e il Narvaez della situazione sono insieme. E i 40 metri che mancarono proprio a Narvaez avanzano invece a Bardet e Van den Broek.

Bardet e Van den Broek in fuga. «Era previsto di correre all’attacco in questo inizio Tour», ha detto il giovane olandese
Bardet e Van den Broek in fuga. «Era previsto di correre all’attacco in questo inizio Tour», ha detto il giovane olandese

Ecco il gruppo

Ultimo chilometro. Ancora 9”. «Allez, allez les gars», forza ragazzi, urla nelle radioline la macchina della Dsm-Firmenich ed è lì che poi si volta Bardet e si accorge che forse ce la possono fare.

Van der Broek esegue alla lettera le consegne del capitano. Consegne ad intuito. I due non si sono quasi mai parlati, come ha confermato poi uno sfinito, quanto felice, Van den Broek dopo l’arrivo. Il giovane olandese, spinge e resta vicino anche nei cambi. I loro gomiti si sfiorano.

I due restano uniti. Il contachilometri non scende sotto i 45-50 all’ora, il vento è anche contro. Vanno forte dunque. Negli ultimi metri si concedono persino il lusso di alzare le braccia al cielo.

Adesso Rimini, che attendeva Pogacar, come al Giro, tifa per loro. Li accoglie con un boato di sorpresa seguito però da un grande applauso. Un applauso sincero. D’istinto. E’ vero dunque: la storia a volte va come non ci si aspetta.

Un abbraccio corale e Bardet coccola Van den Broek, che prende la maglia bianca di miglior giovane
Un abbraccio corale e Bardet coccola Van den Broek, che prende la maglia bianca di miglior giovane

Sogno giallo

«Questa è una vittoria di squadra – ha ribadito Bardet – non solo per come abbiamo corso con Van den Broek, ma anche per come tutti noi abbiamo gestito questa gara. Ero davanti per pedalare in sicurezza. Se terrò questa maglia fino in Francia? Sono partito in questo Tour per dare il 100 per cento ogni giorno. Chiaro che sarebbe bello. Ma oggi ho pedalato come fosse una classica (ricordiamo che Bardet ad aprile è arrivato secondo alla Liegi, ndr) e non potrà essere sempre così». 

In cuor suo Romain ci pensa a portarla almeno oltre il Monginevro, quando la Grande Boucle entrerà nella sua terra.

«Non dover lottare per la generale mi toglie un’enorme pressione. Sono finalmente me stesso. Non conoscevo il percorso, ma ho giocato d’istinto. Indossare la maglia gialla è sempre stato un obiettivo della mia carriera. Ci ho anche pianto. Troppe volte ci sono andato vicino per non pensarci. Oggi però questo sogno si è realizzato ed è stupendo».

Proprio prima del Tour, Romain ha detto che smetterà il prossimo anno. Appenderà la bici al chiodo dopo il Giro d’Italia, vuole una tappa nella corsa rosa. In Italia ha vinto… “peccato” per lui che fosse il Tour! Ma va bene così.

Bettiol a Rimini, fra l’emozione e un diavolo per capello

29.06.2024
5 min
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RIMINI – C’è un sacco di gente che aspetta i corridori, come ce n’era tantissima a Firenze in questa partenza toscana del Tour de France che resta come uno stupore sul volto di Bettiol. Eppure quando Alberto è arrivato al pullman, aveva lo sguardo torvo e i nervi a fior di pelle. Ha lasciato giù la bici, non ha risposto ad alcun saluto e poi è sparito per i tre gradini, cercando un luogo riparato in cui sbollire la rabbia. Poco dopo Ben Healy ne è sceso e si è messo a girare le gambe sui rulli, unico della squadra. Il suo attacco, mentre dietro i compagni tiravano, ha suscitato più di un interrogativo.

Ai piedi del pullman rosa della EF Education-Easy Post c’è un gruppetto di tifose di Carapaz che inneggiano al loro campione. Fanno notare quanto sia stato brutto farlo fuori dalla selezione olimpica. Proprio lui che è il vincitore uscente, ma che forse dopo Tokyo parlò troppo duramente contro il suo comitato olimpico. Giusto accanto c’è Lisa, la compagna bionda di Bettiol, che quel malumore l’ha capito benissimo e fa un sorriso a suggerire che passerà. E infatti dopo una decina di minuti, Bettiol scende dal pullman. Indossa un completo nero e il sorriso di chi ha cominciato a fare pace col mondo.

«Sono contento per come mi sono sentito – dice – soprattutto per il calore che ho ricevuto e questa è la cosa più importante. Poi in corsa è così, a volte basta poco. Sono stati bravi i due ragazzi (Bardet che ha vinto e Van den Broeck che lo ha aiutato a farlo, ndr) al momento di attaccare. Noi forse abbiamo sbagliato a far muovere Ben Healy e invece dovevamo fare un po’ più di forcing. Però va bene così, il ciclismo è questo. Comunque dai se la gamba è così, ci sono tre settimane per divertirsi».

La gialla a pochi metri

La volata del gruppo l’ha vinta Wout Van Aert davanti a Pogacar, Alberto è arrivato decimo. Difficile dire se in caso di tappa ancora in gioco, se la sarebbe giocata diversamente. Ma intanto, mentre dai bar del lungomare arrivano le prime voci della partita dell’Italia contro la Svizzera, il discorso va avanti.

«Volevamo fare la corsa più dura – prosegue Bettiol, parlando dell’attacco del compagno – e pensavamo di muoverci per costringere gli altri a collaborare. La Visma era compatta, ha fatto un ritmo forte, ma non eccessivamente forte. Anche la Lidl di Ciccone tirava. E alla fine non li abbiamo presi per pochi metri. Forse, per come mi sono sentito, per come ha lavorato la squadra, ci meritavamo di più.

«Comunque è una giornata che sicuramente mi ricorderò finché vivrò. E’ stata quasi irripetibile, ho cercato di godermi ogni centimetro di strada. Porterò questa bellissima maglia in giro per la Francia. Ma prima c’è domani che arriviamo a Bologna, poi a Torino, poi si riparte da Pinerolo. La squadra ha fatto una buona gara, ci sentiamo bene. Peccato perché alla fine, per pochi metri, non ci siamo giocati una maglia gialla…».

Una promessa ai tifosi

Forse perché c’eravamo quando quel tricolore l’ha conquistato e ha parlato del via da Firenze come di una favola, ci assale la voglia di farci raccontare la partenza. Sin dalla discesa dal pullman è stato un bagno di folla, in una folla che raramente abbiamo visto così numerosa, ancorché un po’ indisciplinata.

«Passare con il Tour de France sopra Ponte Vecchio – sorride – è stato un sogno. Mi sono divertito, è stato qualcosa di unico. E’ stato bello, mi sono divertito e mi sono emozionato: è stato bello far parte di questo spettacolo, peccato per il finale. Se quando sono arrivato qui era rabbia o rammarico? Un po’ di rabbia, ma una rabbia sana. Siamo qui per fare bene.

«Ero sicuro che la tappa veniva così. Dura, ragazzi, ma non eccessivamente, perché siamo al Tour. Questa tappa al Coppi e Bartali, con tutto il rispetto, arriva un corridore per angolo. Al Tour ne arrivano quasi 50 in volata. E’ normale, il livello è altissimo. E allora io rilancio e prometto di provarci ogni giorno. Come ho fatto oggi, come ci abbiamo provato come squadra. Lo prometto a me stesso, prima di tutto. E penso che gli italiani si divertiranno con me e spero di dedicargli una vittoria. Non domani però, domani sarà molto dura. Domani vince Pogacar».

Cipressi, è tornato il sorriso dopo la paura. E ora tante corse

29.06.2024
6 min
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In queste ore Carlotta Cipressi é in gara al Thuringen Ladies Tour, la prima con la maglia della UAE Team ADQ, in prestito dal devo team. Domani correrà l’ultima tappa e per lei sarà solo il diciottesimo giorno di corsa della stagione.

Il contatto diretto dalla Germania con Cipressi diventa una sorta di breve diario quotidiano sulle sue prestazioni. Anzi, più giusto dire sulle sue sensazioni, perché sono quelle che interessano maggiormente. La ventunenne forlivese ha iniziato a correre solo a fine aprile e il suo inverno è stato a dir poco tormentato, per usare un eufemismo. Fino ad allora sembrava sparita dai radar senza conoscerne il reale motivo dopo un 2023 positivo in cui aveva vinto il Giro del Mediterraneo in Rosa ed il titolo italiano U23 a crono. Ed ecco quindi che il secondo posto nella medesima prova di quest’anno ci ha dato lo spunto per scoprire la sua rinascita.

Il rientro di Cipressi è stato all’Elsy Jacobs in Lussemburgo a fine aprile, poi alla Vuelta Andalucia ha centrato subito una top ten
Il rientro di Cipressi è stato all’Elsy Jacobs in Lussemburgo a fine aprile, poi alla Vuelta Andalucia ha centrato subito una top ten
Carlotta intanto dacci un aggiornamento sulla tua partecipazione al Thuringen. Come stai?

Mi sento bene. Ogni giorno che passa va meglio e sono davvero soddisfatta delle mie prestazioni. Siamo qua in Germania per supportare Swinkels nella generale. Inizialmente siamo partite in cinque e dopo un giorno siamo rimaste in quattro. A parte Karlijn, che comunque ha venticinque anni, siamo tutte giovanissime (le altre sono Venturelli e Ivanchenko, ndr), ma stiamo facendo davvero un grande lavoro in mezzo a formazioni al completo o più esperte. Peccato per quella prima tappa…

Cosa è successo?

Era fuori una fuga a due. Dietro abbiamo tirato per ricucire finché sull’ultima salita a venti chilometri dalla fine le migliori hanno aperto il gas. Per noi c’era appunto Swinkels, ma il suo gruppetto quando è arrivato a pochi secondi dal ricongiungimento con le battistrada, è stato fermato ad un passaggio a livello. Le due fuggitive erano transitate poco prima che si abbassassero le sbarre e sono arrivate fino in fondo (vittoria di Vanpachtenbeke su Edwards, al momento ancora le prime due della generale, ndr). Dietro invece ci siamo tutte ricompattate, tagliando il traguardo ad oltre due minuti e mezzo, prendendoci un altro passaggio a livello chiuso (sorride, ndr). Peccato dicevo, perché Karlijn ha una grande condizione. Il quarto posto nella generale ed il secondo dell’ultima tappa lo testimoniano. In ogni caso per lei ci sono ancora una crono di 31 chilometri (oggi, ndr) e frazione finale di domani per tentare il tutto per tutto. Noi ci proveremo.

Cipressi al Thuringen Tour, assieme alle compagne, sta lavorando molto per Swinkels per le tappe e la generale
Cipressi al Thuringen Tour, assieme alle compagne, sta lavorando molto per Swinkels per le tappe e la generale
A proposito di crono, in quella del campionato italiano hai chiuso seconda in un podio tutto della UAE Development Team.

Va bene il risultato, però personalmente non sono contenta della mia prova. Purtroppo non sono riuscita a preparare la gara come volevo io, anche se comunque il percorso non era così ondulato come piace a me. Ho fatto la prima parte bene, poi sono calata. Forse mi sono salvata solo di esperienza, se così possiamo dire. Mi dispiace andare alle corse e non averle potute preparare a dovere. Comunque ci tenevo ad esserci, credetemi.

In effetti tu hai cominciato il 2024 tardi. Per quale motivo?

Purtroppo lo scorso ottobre mi hanno riscontrato una miocardite particolarmente brutta. L’hanno scoperta durante una visita di controllo periodica legata ad una ablazione che avevo fatto nel 2021. Secondo i medici avevo un valore troppo alto e pericoloso. C’erano già stati casi come il mio, però non riuscivano a capire come mai non calasse dopo una serie di altri accertamenti e cure. Non sapevamo se sarei potuta tornare in bici. Era una situazione che andava oltre l’aspetto sportivo.

Ci dispiace molto. Che pensieri ti sono passati per la testa?

Ho vissuto davvero un brutto periodo, ha avuto un po’ di paura. Trascorrevo intere giornate a letto o sul divano. Mi avevano detto di non fare nemmeno le scale di casa perché era un affaticamento che non potevo avere. Quasi non ci credevo. Ero abbattuta moralmente, anche se cercavo di trovare motivi per essere fiduciosa. Poi, continuando a fare i controlli, i dottori hanno capito il problema. Quel valore è tornato ad essere nel range giusto ed ho iniziato a vedere la luce in fondo al tunnel. Nel frattempo a dicembre mi era arrivata a casa la bici nuova. La guardavo ogni giorno e le dicevo “fra poco sarai nuovamente mia” (sorride, ndr). E’ stato uno stimolo anche quello.

Cipressi si è detta poco soddisfatta della crono tricolore U23, nella quale non è riuscita a riconfermare il titolo del 2023
Cipressi si è detta poco soddisfatta della crono tricolore U23, nella quale non è riuscita a riconfermare il titolo del 2023
Quando sei potuta tornare in bici?

Il 27 gennaio è stata la prima volta. Le prime tre settimane sono state un incubo. Facevo giri da un’ora e rientravo a casa sfinita. Ce ne mettevo il doppio per recuperare dallo sforzo. In quei giorni mi sono persa i training camp e tante altre cose con la squadra. Ho dovuto ricominciare da zero, ma se la mente regge, allora anche il fisico ti segue nonostante sia fuori allenamento.

Come sei uscita da quella situazione a livello psicologico?

Stavo chiusa in casa e non avendo avuto modo di sfogarmi, ho lavorato molto col mio mental coach. Sono rimasta concentrata pensando ad un obiettivo alla volta senza fretta. Ad esempio sul piano alimentare sono rimasta sempre sul pezzo e di questo devo ringraziare la nostra nutrizionista. E naturalmente la squadra che non mi ha mai lasciato sola.

Cipressi ha chiuso il tricolore in linea con una buona gara, ad una trentina di secondi da Longo Borghini
Cipressi ha chiuso il tricolore in linea con una buona gara, ad una trentina di secondi da Longo Borghini
Il rientro com’è stato?

Impegnativo. Contestualizzando tutto che è successo, sono contenta, soprattutto del mio decimo posto alla Vuelta Andalucia, alla mia quarta gara. Gli allenamenti li ho affrontati con più energia psico-fisica. Ho voglia di correre e recuperare il tempo perso, tuttavia senza esagerare. Quel brutto periodo mi ha insegnato molto in generale, sia nella vita che per la bici. Sono rientrata con uno spirito più forte. Questo è il lato positivo.

In tutto ciò, Carlotta Cipressi si è fissata degli obiettivi?

Assolutamente sì. Finito il Thuringen, a luglio farò un periodo a casa per macinare chilometri e preparare tutti i vari appuntamenti con la squadra. Vedremo come starò, a partire dal recupero di questi giorni. Fra le varie gare, vorrei provare anche a guadagnarmi un posto per Tour de l’Avenir Femmes, mondiale ed europeo. Devo dimostrare tutto, ma sono sicuramente degli stimoli importanti per crescere.

Da Nibali a Bettiol, con Franceschi nel cuore di Mastromarco

29.06.2024
5 min
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MASTROMARCO – La casa di Carlo Franceschi la trovi perché lo sai, perché te lo dice il navigatore o solo perché davanti alla porta c’è parcheggiata l’ammiraglia della Mastromarco. Il direttore sportivo che fu di Capecchi, Nibali, Damiano Caruso, Valerio Conti e poi di Bettiol sta per compiere ottant’anni, eppure ha ancora i modi decisi. Siamo qui perché la vittoria tricolore di Bettiol ha riacceso la luce sulla piccola squadra toscana e quel senso di famiglia che l’ha sempre resa una bottega di ottimo artigianato, per il quale oggi c’è sempre meno spazio.

Quando siamo arrivati, Carlo stava preparando il pranzo assieme a sua figlia, fuori il caldo inizia a picchiare. Un corridore con la divisa della squadra locale passa avanti e indietro: scherzando diciamo a Franceschi che magari vuole farsi vedere impegnato. Lui sorride bonariamente e poi invita a sederci. Ha voglia di parlarci dei suoi… figli di Mastromarco: quelli che ce l’hanno fatta e quelli che alla fine si sono arresi. Ma si parte dall’ultimo, da Bettiol e da quegli abbracci a Sesto Fiorentino, dopo la vittoria.

«Balducci lo seguiva negli allenamenti – ricorda – e mi diceva che Alberto era forte, lui lo conosce bene. Solo che con quella caduta al Giro di Svizzera si era… pelato tanto e per questo eravamo un po’ titubanti. E lui allora lo curava anche durante gli allenamenti, affinché le piaghe non si espandessero e si riassorbissero quanto prima. Lo seguiva con il motorino e la bottiglia del disinfettante. Ogni mezz’ora bagnava le ferite finché finalmente il giovedì è stato contento. In due giorni le bruciature erano quasi guarite. E così siamo andati a Sesto Fiorentino, tutti noi del gruppo sportivo. Ci siamo messi sul percorso per fare i rifornimenti, perché lui era da solo. Io ero sulla salita di Monte Morello e l’ho sempre visto pedalare tranquillo. E alla fine abbiamo visto come è andata a finire…».

Il 2 marzo del 2013, Bettiol vince la Firenze-Empoli, prima corsa in maglia Mastromarco (photors.it)
Il 2 marzo del 2013, Bettiol vince la Firenze-Empoli, prima corsa in maglia Mastromarco (photors.it)
Bettiol e Nibali hanno due storie diverse…

Con Enzo è un rapporto più familiare, si può dire più quasi da figlio a padre. Ad Alberto siamo affezionati, ha fatto un anno a Mastromarco. E’ un ragazzo che si fa ben volere e allora ci siamo attaccati anche a lui, perché si dà anche delle belle soddisfazioni. Penso anche che in futuro non avrà più quei continui alti e bassi che lo hanno caratterizzato finora. Ha risolto i problemi che li causavano e già si è visto un primo miglioramento nel suo rendimento, che nel tempo sarà anche più evidente.

Che posto è Mastromarco?

E’ una famiglia. Questi ragazzi li teniamo qui, specialmente quelli che vengono da lontano. C’è il nostro ritiro e alla fine ci affezioniamo perché sono ragazzi seri, volonterosi, con la voglia di faticare e fare tanti sacrifici. Il ciclismo è uno sport duro, richiede tanti sacrifici, anche se alla fine non tutti ce la fanno. Purtroppo non tutti hanno i buoni motori e la mentalità per fare tutti questi sacrifici. Qualcuno si perde, penso a Paolo Baccio, che era un grandissimo talento e alla fine ha smesso di correre. Aveva vinto Mercatale, il Trofeo Piva e il tricolore crono. Aveva firmato un contratto da professionista e poi si è come spento. Per contro ci sono tanti altri ragazzi passati dalla Mastromarco che stanno correndo attualmente nel professionismo. Sono corridori giovani, magari non diventeranno campioni, ma sono buoni corridori.

Paolo Baccio, anche lui messinese come Nibali, era un talento purtroppo sfiorito (photors.it)
Paolo Baccio, anche lui messinese come Nibali, era un talento purtroppo sfiorito (photors.it)
Di qui è passato anche Capecchi…

E’ stato un buon corridore e anche lui ci ha dato tante soddisfazioni. E’ molto attaccato e tutte le volte che ci vediamo, ci abbracciamo e ci facciamo festa. Lui rimase qui un solo anno e poi è passato subito al professionismo…

Come Bettiol, del resto.

Lui abitava qui vicino, prima di trasferirsi in Svizzera, e ogni volta che torna a casa, viene ad allenarsi con noi. Anche con Caruso i rapporti sono meno stretti, perché lui abita in Sicilia. Ma ogni volta che viene alle gare e ci si vede, è una festa. Sono corridori che in un modo o nell’altro sono rimasti qua. Hanno sempre avuto un buon motore e la capacità di faticare e riuscire a concentrarsi come serve.

Nel 2008 Damiano Caruso vince il tricolore in maglia Mastromarco-Grassi-Sensi
Nel 2008 Damiano Caruso vince il tricolore in maglia Mastromarco-Grassi-Sensi
Hai parlato di Bettiol che vive in Svizzera, eppure fra i motivi della sua vittoria ai tricolori ha messo l’essere stato seguito come quando era dilettante. Non sarà che l’Italia gli manca?

Credo che gli faccia piacere sentirsi abbracciato dalla sua gente, perché sono abbracci sinceri. Purtroppo in Italia sono tartassati dalle tasse, mentre in Svizzera pagano meno e per questo vogliono andare via. Se questo Governo aiutasse di più lo sport e facesse le cose come tutti gli altri Stati, sicuramente tanti atleti non andrebbero fuori dall’Italia.

Mastromarco era un laboratorio artigianale, oggi quel ciclismo sembra lontanissimo…

Sta andando alla deriva, è vero. Però noi cerchiamo di fare il possibile, perché comunque i ragazzi devono crescere ed essere seguirli con amore. Devi insegnargli il mestiere del corridore, come devono mangiare e anche dormire. Cerchiamo di insegnargli a fare il ciclismo vero. Oggi li vedi più emancipati anche a rispetto a 5-6 anni fa. Certamente qualcuno si può montare la testa. Vince due o tre gare da under 23 e pensa di essere un campione vero, invece si è appena seduto a tavola e non ha ancora iniziato a mangiare. Alcuni lo capiscono e vanno avanti, gli altri probabilmente si perderanno.

Nibali e Franceschi: qui al Giro d’Italia del 2019
Nibali e Franceschi: qui al Giro d’Italia del 2019
C’è una vittoria che ti è rimasta nel cuore?

Le vittorie di Enzo sono tutte nel cuore. Il Giro d’Italia, il Tour e la Vuelta. Ho avuto la fortuna di essere presente sempre nel momento giusto, ma credo che la soddisfazione più grande l’ho provata alla Milano-Sanremo. Era una gara che non gli si addiceva tanto e ha fatto un numero strabiliante. Nessuno se l’aspettava e quella secondo me è stata la ciliegina sulla torta.

Come si combattono i devo team?

Non si combattono, si tenta di sopravvivere. Se non avessi Balducci come direttore sportivo, non riuscirei ad andare avanti. Lui adesso lavora con il cambio ruote Shimano, perché è giusto che possa guadagnare più del poco che possiamo dargli noi. Davvero qui si lavora con passione. Finché ne abbiamo, ci sarà ancora il Mastromarco.