La tripletta di Roche, prossimo traguardo di Pogacar?

06.08.2024
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Tadej Pogacar lo ha detto senza mezzi termini: «Ora punto tutto sul mondiale». Il suo obiettivo è realizzare la tripletta Giro-Tour-gara iridata che in passato è riuscita solo due volte. La prima a Eddy Merckx in quella che fu l’ultima sua grandissima stagione, il 1974. La seconda a Stephen Roche, l’irlandese della Carrera che visse un anno magico nel 1987, mai più replicato.

Lo sprint vittorioso di Roche al mondiale di Villach. La tripletta è compiuta, 13 anni dopo Merckx
Lo sprint vittorioso di Roche al mondiale di Villach. La tripletta è compiuta, 13 anni dopo Merckx

Oggi l’irlandese gestisce con passione il suo albergo a Sainte Maxime, sulla Costa Azzurra ma resta sempre legato al vecchio mondo. Sa bene che quella tripletta è rimasta storica, anche per come arrivò, soprattutto per il carico di polemiche che si portò dietro nella sua prima tappa, il Giro d’Italia vinto contro tutto e tutti.

Tra Giro, Tour e mondiali, quale fu la corsa più difficile da conquistare e quella che ti diede maggiore soddisfazione?

Ognuna delle tre è molto difficile da vincere. Il Giro lo conquistai avendo problemi con alcuni dei miei compagni di squadra che hanno corso contro di me. E’ stato molto, molto difficile mentalmente perché mi trovavo nell’assurda situazione di dover convincere il pubblico italiano che non ero un cattivo ragazzo e che onoravo la patria che mi stava ospitando e dando lavoro. Quello che è successo con Roberto Visentini è stato qualcosa che è capitato, non c’era acredine fra noi, ma chiaramente molti tifosi italiani mi erano contro. Ogni giorno combattevo con i media e con i miei compagni di squadra, quindi era molto complicato.

L’irlandese insieme a Millar, ribatte in maniera polemica ai fischi del pubblico
L’irlandese insieme a Millar, ribatte in maniera polemica ai fischi del pubblico
Tu hai vinto il Giro senza l’appoggio della tua squadra, con il solo Schepers dalla tua parte. Com’era l’atmosfera nel team fuori dalla corsa, alla sera o prima delle tappe?

Dopo il primo giorno o due ci siamo messi intorno a un tavolo. La squadra voleva la maglia rosa. Visentini era il campione uscente, io venivo dalla vittoria al Romandia. Ma un giro di 3 settimane è qualcosa di diverso. L’accordo era di proteggere entrambi, ma principalmente di puntare su di me perché avevo dimostrato che l’87 era stato un buon anno per me, era da febbraio che ero competitivo. Quindi la squadra ha deciso di darmi la mia possibilità. Ma l’atmosfera era difficile, tra me e i miei compagni di squadra. Ma poi le cose sono andate lentamente meglio perché anche io mi stavo comportando bene. Come detto, al team interessava vincere perché le vittorie portano finanziamenti. E’ chiaro però che tutto quel che avvenne ebbe un prezzo, gli equilibri erano infranti.

Ho letto che la Panasonic si schierò dalla tua parte, come raggiungesti un accordo con il team di Millar e pensi che sia possibile fare lo stesso oggigiorno?

Molte persone nell’87 erano un po’ disgustate dalla reazione del popolo italiano e da quello che mi stava succedendo. Millar era un mio caro amico, quindi voleva vincere una tappa e pensò che fosse un buon compromesso aiutarmi per ottenere il suo scopo. Cosa che avvenne, quindi ci guadagnammo entrambi. Penso che oggi, sì, questo può ripetersi e avvenga. Tutto e niente di ciò che abbiamo fatto è stato eccezionale.

Roche in maglia gialla. Vinse il Tour superando Delgado al penultimo giorno, a cronometro
Roche in maglia gialla. Vinse il Tour superando Delgado al penultimo giorno, a cronometro
Pogacar punta a ripetere la tua impresa, tu pensi che possa farlo?

Penso onestamente, sì, ci sono stati corridori in passato capaci di farlo come Indurain, Armstrong, Pantani. Potevano. Ma per essere in grado di fare queste tre cose con tre vittorie, tutto deve andare di pari passo, devi programmarti bene. Devi anche avere la fortuna di trovare un percorso adatto: se sei forte in salita e ti trovi un mondiale pianeggiante, diventa tutto complicato. Quest’anno abbiamo lui che ha già vinto Giro e Tour e ha un campionato del mondo a Zurigo molto, molto ondulato. Quindi sì, penso che tutto sia possibile per lui quest’anno perché sta mostrando una forza incredibile nel recupero ed è anche uomo da classiche. Certamente comunque la concorrenza non mancherà con gente come Evenepoel e Van Aert. Deve avere il meteo dalla sua. Deve avere fortuna, non deve avere forature. Deve avere una squadra. Tutto deve coincidere.

Vista la sua superiorità a Giro e Tour, al suo posto proveresti a vincere anche la Vuelta?

In Irlanda diciamo «il cimitero è pieno di eroi morti» – dice Roche sorridendo – Puoi andare e provare a vincere, ma poi se non funziona, allora potrebbe essere più dannoso per lui anche fisicamente perché ha solo 25 anni. Ha già fatto così tanto nella sua breve carriera finora. Non deve rischiare di bruciarsi anzitempo. La gente potrebbe pensare che vincere Giro e Tour non fosse troppo difficile per lui, l’opposizione non c’era. Forse, ma nonostante ciò lo ha fatto accumulando migliaia di chilometri, caldo, fatica. Penso che potrebbe essere un po’ troppo. E’ molto più saggio concentrarsi ora sul campionato mondiale.

Il podio del mondiale austriaco, con Argentin secondo e lo spagnolo Martin terzo
Il podio del mondiale austriaco, con Argentin secondo e lo spagnolo Martin terzo
Segui il ciclismo irlandese e rispetto ai tuoi tempi lo trovi migliorato come livello?

Sì, il nostro ciclismo è molto cresciuto. Abbiamo gente forte come Healy, Ryan. OK, Sam Bennett sta andando un po’ giù, ma ci sono alcuni bravi ragazzi lì che stanno arrivando nell’EF Education EasyPost che fanno sperare. E penso che la federazione stia lavorando bene, avremo sempre più ragazzi di cui parlare in futuro. Healy mi impressiona, io dico che presto vincerà anche una grande gara.

Quello di oggi è un ciclismo che ti piace?

Sì, penso che il ciclismo di oggi sia cambiato un po’ rispetto all’ultima generazione. I ciclisti sono più aggressivi, sono un po’ più istintivi, vanno forte in salita come a cronometro, nelle corse d’un giorno come in quelle a tappe. Quindi penso che per i prossimi due anni vedremo un po’ di ciclismo davvero buono.

Pogacar in trionfo all’ultimo Tour. Ora il suo obiettivo è il mondiale di Zurigo
Pogacar in trionfo all’ultimo Tour. Ora il suo obiettivo è il mondiale di Zurigo
Guardandoti indietro, come giudichi la tua carriera ciclistica?

Guardo tutta la mia carriera e dico OK, posso dire che questo anno è stato buono. Quello no, quell’altro è stato pessimo. Tutto sommato, il complesso è stato positivo. Sai, è molto facile dire che avrei dovuto, avrei potuto…. Ma non è una cosa che potrei cambiare. Ripensandoci, l’unica cosa è che non avrei lasciato la Carrera alla fine dell’87. Avrebbe potuto essere meglio, ma non ne avrò mai la certezza.

Biagini: «Con la Vf Group-Bardiani ho cambiato ritmo»

06.08.2024
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Nel mese di luglio il nome di Federico Biagini è emerso piano piano negli ordini di arrivo. Ha iniziato con un settimo posto nella prima tappa del Tour of Austria, poi è arrivata la prima vittoria di stagione al Giro della Valle d’Aosta. Infine, un quarto posto nella seconda tappa del Tour Alsace (in apertura prima del prologo iniziale, foto Vf Group-Bardiani). Risultati che hanno evidenziato una crescita importante per un corridore entrato da quest’anno nel team. Biagini ha firmato un contratto a lungo termine: un quadriennale con scadenza nel 2027. Un periodo lungo considerando che è al terzo anno da under 23. Questo vuol dire che ha la certezza di fare due stagioni da professionista con il team di Reverberi

Luglio intenso

Una grande iniezione di fiducia, ripagata con una vittoria e con una crescita costante che lo ha portato gradualmente sotto i riflettori. In questi giorni si trova a casa, riposa e cerca di scappare dal caldo della sua Reggio Emilia, poi il 13 agosto farà le valigie per il Tour du Limousin. 

«Gli anni scorsi da under 23 – racconta Biagini – avevo già vinto, ma erano gare diverse: nazionali. Un successo è sempre un bel modo per capire a che punto si è arrivati. L’ho ottenuto in una corsa difficile, dove c’erano tanti corridori forti e di primo piano della categoria, quindi è un risultato che assume un valore ancora maggiore. Era da un po’ di tempo che mi sentivo bene, dal mese di giugno. Poi il 17 di quel mese una macchina mi ha investito in allenamento, nulla di rotto ma tanto spavento. Mi sono beccato dei punti sul gomito, ma sono andato comunque al campionato italiano a crono, nonostante la ferita poggiasse proprio sulle protesi. Pochi giorni dopo ho fatto anche la tanto chiacchierata prova in linea, nella quale anche io sono stato fermato, nonostante fossi a quattro minuti dai primi».

Al Tour Alsace la sua terza corsa a tappe dalla stagione (foto Vf Group-Bardiani)
Al Tour Alsace la sua terza corsa a tappe dalla stagione (foto Vf Group-Bardiani)
Di fatto con la firma per la Vf Group-Bardiani sei entrato nel mondo dei professionisti, come va?

Rispetto ai due anni precedenti in cui ho corso da under 23 con due team diversi (Carnovali e Zalf, ndr) vedo una grande differenza. E’ tutto molto professionale qui, c’è la massima serietà in ogni momento. Ogni membro dello staff sa cosa deve fare e ti aiuta tanto a migliorarti. Quando mi alleno da solo a casa l’impegno che metto è sempre lo stesso, ma una volta insieme al team si vede il cambio.

Quale aspetto ti ha colpito maggiormente?

Tutto, devo dire. Gli allenamenti e le ore fatte in bici prima di tutto. Anche se, devo ammettere, da giugno ho cambiato preparatore e sono passato a David Morelli, che è di Reggio come me. Il motivo è per una maggiore comodità: mi segue ogni giorno e sono sempre in contatto con lui, ci vediamo tantissimo. Un’altra cosa che ho notato è l’alimentazione, dall’inverno ho avuto modo di parlare con il nutrizionista della squadra che mi ha dato tanti consigli e indirizzato bene. 

Anche il calendario è cambiato tanto…

Rispetto agli anni scorsi sì. Ho fatto gare di maggior rilievo e anche la mia prima vera corsa a tappe. Le altre che ho corso, in passato, sono state il Lunigiana e il Giro del Veneto. A luglio di quest’anno, invece, ho corso al Giro dell’Austria, tutta un’altra cosa. 

In Francia tanta fatica e molti chilometri per lui che continua a crescere e maturare (foto Vf Group-Bardiani)
In Francia tanta fatica e molti chilometri per lui che continua a crescere e maturare (foto Vf Group-Bardiani)
Ne hai messe in fila tre nel solo mese di luglio.

Abbiamo visto che correre in appuntamenti di più giorni aiuta a crescere, sia fisicamente che mentalmente. Mi piace come modo, ogni mattina ti svegli e sai che c’è una nuova occasione per vincere. L’aspetto più importante da curare è il recupero, non ero abituato ma ci ho preso la mano. 

Inizi ad inquadrare che tipo di corridore puoi diventare?

Devo ancora capirlo fino in fondo. Per il momento mi sento completo, forte in salita, ma mi manca qualcosa nelle scalate sopra i 20 minuti. Tuttavia al Tour Alsace, nella tappa con arrivo in cima alla Planche des Belles Filles, sono arrivato nei primi venti con un un minuto e 40 secondi dal vincitore Nordhagen. In realtà dal secondo classificato ho pagato solo un minuto. E’ stata una bella prova, dalla quale si può partire a lavorare bene. 

Qui Biagini (a sinistra) è insieme a Pinarello, i due sono molto legati (foto Vf Group-Bardiani)
Qui Biagini (a sinistra) è insieme a Pinarello, i due sono molto legati (foto Vf Group-Bardiani)
Da qua fine anno farai altre gare a tappe?

Il Limousin, poi il Giro del Friuli. A quel punto vedremo cosa deciderà la squadra. Ci sono corse che mi piacerebbe fare, anche di un giorno, come il Giro dell’Emilia, la gara di casa. 

Per l’anno prossimo hai già qualche ambizione?

Non ho mai corso il Giro Next Gen, mi piacerebbe farlo. Ma non nascondo che mi piacerebbe fare anche quello dei grandi. Chiaramente sarà più difficile guadagnarsi il posto, ma l’obiettivo base è di dare sempre il massimo, poi vedremo dove arriverò.

Il velodromo di Parigi sarà veloce come quello di Tokyo?

06.08.2024
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Ieri sono iniziate le Olimpiadi di Parigi anche su pista, al velodromo di Saint-Quentin-en-Yvelines o Velodromo Nazionale, visto che è la sede della Federazione ciclistica francese. La speranza italiana è concentrata soprattutto sui quartetti, ma non solo ovviamente. Certo è che dopo le prestazioni di Tokyo e il primato mondiale, da Ganna e compagni ci si aspetta moltissimo.

Ma stavolta non parliamo tanto dei ragazzi quanto piuttosto del velodromo stesso. Per grandi prestazioni serve anche un “campo gara” che possa proporre condizioni eccellenti. L’equazione sarebbe sin troppo facile: una pista, un posto al chiuso, uguali prestazioni ripetibili. Un po’ come succede in una piscina… per dire. In realtà non è proprio è così. Ci sono molti fattori esterni. Fattori che riguardano la struttura stessa del “campo” di gara.

Pensiamo per esempio alla super pedana dei salti in lungo e triplo agli Europei di atletica di Roma e ora quella “meno performante” di Parigi. Non sempre un campo di gara standard è poi davvero così uguale.

Il Velodromo di Saint-Quentin-en-Yvelines o Velodromo Nazionale sorge ad Ovest di Parigi. E’ stato costruito nel 2014
Il Velodromo di Saint-Quentin-en-Yvelines o Velodromo Nazionale sorge ad Ovest di Parigi. E’ stato costruito nel 2014

Da Tokyo a Parigi

Quindi che prestazione possiamo aspettarci dal Velodromo olimpico? A Tokyo di record ne abbiamo visti molti, uno su tutti: quello del quartetto azzurro con quel memorabile 3’42”032, un primato che in questi anni nessuno ha neanche avvicinato. E’ vero anche che gli studi aerodinamici hanno fatto passi da gigante e oltre alla pista, si è visto quanto il vestiario conti di più, lo stesso vale per i caschi e per le bici. E anche per le preparazioni e alimentazione.

Ma questi sono altri fattori. Concentriamoci sulla pista.  

Quali sono quindi le condizioni che rendono veloce una pista piuttosto che un’altra? Le principali sono quattro: la superficie, l’altitudine, la temperatura interna e, sembra assurdo visto che si è al coperto, anche il meteo esterno, pressione e in parte l’umidità.

E’ noto infatti che quanto più bassa è la pressione atmosferica, tanto minore è la densità dell’aria e migliore è la penetrazione nella stessa da parte dei corridori. Solitamente la pressione dell’atmosfera va di pari passo con l’altitudine (più è alta la quota, minore è la colonna d’aria sulla testa, minore è la pressione), ma anche con l’umidità. Un’aria umida è meno densa di quella secca. E infine conta anche la temperatura. Più è alta e meno è densa, posto che poi oltre un certo limite (solitamente i 21-23 gradi) diventa controproducente per il rendimento del corpo umano.

E infatti di solito i velodromi sono tenuti a questa temperatura. Ricordate quanta ricerca ci fu per il Record dell’Ora di Pippo Ganna?

Queste condizioni ambientali erano tutte presenti a Tokyo nel velodromo di Izu, per quella tempesta tropicale che coinvolse il Giappone in quei giorni. A Parigi nei prossimi giorni sia l’umidità che la pressione sono date in aumento. E’ un bene nel primo caso (anche se poi è costante all’interno del velodromo), un male nel secondo.

Curve ad ampio raggio e rettilinei corti: ottimo per il quartetto
Curve ad ampio raggio e rettilinei corti: ottimo per il quartetto

Rettilinei corti

L’anello di Saint-Quentin-en-Yvelines è da 250 metri, su legno di abete siberiano. E’ stato costruito nel 2014, ma il parquet è stato rifatto a maggio e questo non è un punto a favore di eventuali record. Il legno vecchio infatti risulta più scorrevole, ma per il Giochi tutto doveva essere alla perfezione. 

Dalla Francia assicurano che è comunque velocissimo.

Mentre è un punto a favore la forma dell’anello. I due rettilinei infatti sono relativamente corti e questo consente di mantenere la velocità in modo leggermente più semplice e, nel caso del quartetto, anche la compattezza del treno.

In più nonostante sia un anello “corto” è largo 8 metri, quindi le sponde consentono di salire abbastanza in alto. Tanto per fare un paragone con l’Izu di Tokyo la pista era larga 7,60 metri quindi si poteva salire circa 40 centimetri in meno. Tuttavia è anche vero che l’inclinazione delle curve era di 45°, un grado in più del Saint-Quentin-en-Yvelines che è di 44°. Il raggio di curva è di 23 metri, quindi abbastanza ampio e dovrebbe risultare più fluido per le specialità di endurance e dell’inseguimento a squadre.

Il velodromo francese ha ospitato i mondiali su pista del 2015 e del 2022. Ospita ben 5.000 spettatori
Il velodromo francese ha ospitato i mondiali su pista del 2015 e del 2022. Ospita ben 5.000 spettatori

Pista fluida

Énergies & Services è l’azienda responsabile del velodromo, da anni è a guardia della pista al fine di renderla sempre performante. Ogni mattina vengono controllate la temperatura e l’umidità, prima e dopo ogni corsa. La precisione dello stato del parquet è talmente elevata che la pista viene monitorata costantemente. Inoltre viene eventualmente corretta la regolazione dei cunei tra il terreno e le travi di sostegno, che a seconda dell’essiccazione del legno e delle vibrazioni si muovono, in modo impercettibile, ma si muovono.

Insomma, forse non ci sarà un uragano come a Tokyo a rendere la pressione perfetta, ma gli altri ingredienti ci sono tutti. La pista è scorrevole e gli atleti sono soddisfatti. Chiudiamo con una frase di qualche tempo fa di Gregory Bauge, ex pistard francese e oggi tecnico dei “galletti”, nove volte campione del mondo nella velocità e plurimedagliato olimpico: «Questa pista è un tavolo da biliardo: è ampia e fluida. Su alcuni tracciati si avvertono degli strappi tra i rettilinei e le curve, ma su questo anello niente!».

Pinarello: «Avenir? Pronto a prendermi le responsabilità»

06.08.2024
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Continua la marcia di avvicinamento al Tour de l’Avenir. Marino Amadori è al lavoro al Sestriere con i ragazzi che porterà in Francia e anche all’Europeo, ma certo a tenere banco è la “Petite Grande Boucle”. E continua il nostro viaggio nell’ascoltare gli azzurri che saranno al via di questa importante corsa. Dopo Ludovico Crescioli e Simone Gualdi, stavolta sentiamo Alessandro Pinarello, uno dei tre azzurri che su carta sono deputati a fare la classifica.

Pinarello, in forza alla VF Group-Bardiani, rispetto ai suoi due colleghi ha avuto un avvicinamento diverso: niente Giro della Valle d’Aosta, ma tantissima altura e Tour d’Alsace. Tutto fa parte di un grande lavoro mirato proprio all’Avenir.

Pinarello (classe 2003) in ritiro al Sestriere con la nazionale
Pinarello (classe 2003) in ritiro al Sestriere con la nazionale
Alessandro, da qualche giorno hai raggiunto i tuoi compagni al Sestriere, come vanno le cose?

Sto bene, vengo già da un lungo periodo di altura, poi l’Alsazia e poi ancora l’altura. A luglio ero stato sul Passo Eira, quindi nella zona di Livigno, per ben tre settimane.

Al Tour d’Alsace come è andata? Se si guardano i risultati non c’è stato l’acuto, ma questo conta fino ad un certo punto…

Io mi sono sentito bene, tranquillo. Forse per il risultato ho risentito un po’ dell’altura, ma nel finale stavo già meglio, specie negli ultimi due giorni.

Una preparazione estremamente mirata: tanta altura e poi diretto all’obiettivo. Come i grandissimi.

Sapevo che sarebbe andata così, ma sono convinto di questo modo di lavorare. Anche dall’Alsazia mi ero sentito con Marino, ma nulla di che, giusto per sapere come stavo. Io credo che stiamo preparando perfettamente questo Avenir, sia dal punto di vista dell’allenamento, che della nutrizione, dei dettagli…

Pinarello è un habituè dell’azzurro. Quello che arriva è il suo secondo Avenir (foto Instagram)
Pinarello è un habituè dell’azzurro. Quello che arriva è il suo secondo Avenir (foto Instagram)
E ora brillantezza?

In Alsazia non ho sofferto troppo il ritmo gara. Mancano due settimane, qui al Sestriere stiamo facendo un bel blocco di lavoro con tutti i ragazzi e poi avrò ancora una settimana a casa. Dal 10 agosto quindi potrò fare una bella rifinitura lavorando a bassa quota. Ma anche qui in montagna stiamo spingendo!

Hai detto del nutrizionista. Ha cambiato qualcosa?

Diciamo che da quest’anno curo meglio i dettagli. Adesso mi segue un nutrizionista ed è stato un bello scalino, mi ha dato molto. Essere seguito mi sta aiutando molto con la nutrizione in altura, per esempio. In quota si consuma di più e adesso mangio in modo adeguato anche in questa situazione.

Alessandro, Amadori riserva su di te molte speranze. Vai all’Avenir per fare cosa?

Per fare il meglio possibile. Quest’anno ho lavorato moltissimo sulle salite lunghe, che era un po’ quello che forse mancava. E sono migliorato, spero che basti per l’Avenir.

Tu e Crescioli leader: ti piace?

Ci sta! Me la prendo tutta questa responsabilità. Non mi faccio problemi, anzi… mi piace.

Pinarello in azione al Tour d’Alsace, sfruttato come tappa di avvicinamento nella preparazione per l’Avenir
Pinarello in azione al Tour d’Alsace, sfruttato come tappa di avvicinamento nella preparazione per l’Avenir
State vedendo le tappe, cosa ti sembra del percorso dell’Avenir?

Abbiamo fatto già il Colle delle Finestre e in questi giorni stiamo vedendo anche la terza e quarta tappa. Mi sembra un percorso molto esigente, più dell’anno scorso in cui c’erano almeno due o tre frazioni tranquille. Quest’anno è più duro e con tanta più salita ed anche per questo ho lavorato di più su questo terreno. Salite e discese, salite e discese… ci si deve presentare lucidi. E’ un problema sbagliare le salite e lo stesso vale per le discese.

Chi saranno per te i rivali più pericolosi?

Non saprei dire di preciso. So che i ragazzi della Visma-Lease a Bike (di varie nazionalità, ndr) lo stanno preparando molto bene. So che hanno fatto tutte le ricognizioni e anche loro sono in ritiro in quota. Poi vedremo che cosa vorrà fare Jarno Widar. E’ lui il favorito numero uno, specie dopo quel che ha fatto al Valle d’Aosta. E so anche che c’è Morgado. Un anno di WorldTour lo ha fatto migliorare di sicuro, ma forse le salite dell’Avenir sono un po’ troppo per lui. Vediamo. Io e i ragazzi siamo pronti a dare tutto.

Verre prepara il finale di stagione: Vuelta no, calendario italiano sì

05.08.2024
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Alessandro Verre è ritornato in Basilicata. Si sta allenando sulle sue montagne e magari lì riesce anche a dribblare un po’ di caldo. Il corridore dell’Arkea-B&B Hotels si sta infatti preparando al lungo finale di stagione che lo aspetta.

Un finale di cui vogliamo sapere di più, soprattutto dopo aver portato a termine il suo primo grande Giro, la corsa rosa, che come è noto in un giovane non passa mai inosservata. Nel bene e nel male…

Verre (classe 2001) in allenamento sulle strade di casa
Verre (classe 2001) in allenamento sulle strade di casa
Alessandro come stai?

Bene dai, come detto sono tornato a casa dopo l’altura e dopo un paio di corse in Spagna. Ma fa molto caldo lo stesso, anche se da me un po’ me la cavo perché riesco ad andare fino a 1.500 metri di quota. Tuttavia anche lì ci sono 30 gradi. Però in generale sto meglio rispetto all’anno scorso di questo periodo.

Come mai?

Perché sono uscito bene dal Giro d’Italia. Sì, mi aspettavo qualche risultato in più, ma il buono del Giro me lo sto portando dietro anche adesso. Lo sento dalle sensazioni in bici, sento di avere fondo e forza. Quando vi dicevo che per i giovani è meglio la Vuelta è proprio perché non sai come reagirai al tuo primo grande Giro. Se è la Vuelta e finisci sfinito, poco male perché poi ti fermi e riparti l’anno successivo, ma se esci male dal Giro poi hai ancora parecchia parte di stagione da affrontare. Per fortuna mi è andata bene.

Chiarissimo. E come ti stai allenando dunque?

Non troppo a fondo, anche perché tra una settimana correrò al Giro di Polonia e poi con questo caldo meglio non fare troppe ore. Magari faccio un’ora, anche un’ora e mezza in meno, ma con più lavori. E poi comunque ero stato sullo Stelvio a 2.700 metri di quota e da lì ero sceso per fare il Giro dell’Appennino e anche quello ha contribuito a fare intensità. Dopo la corsa ligure ci sono tornato. E comunque il solo fatto di stare lassù aiuta.

Verre ha preso parte anche alla crono tricolore. Nonostante sia uno scalatore, si adatta bene a questa specialità
Verre ha preso parte anche alla crono tricolore. Nonostante sia uno scalatore, si adatta bene a questa specialità
Quando parli di lavori cosa intendi, Alessandro?

Faccio esercizi di cambi di ritmo visto che si avvicina una gara come il Polonia. Ma in generale cerco di lavorare molto su questa caratteristica. E come detto ho sfruttato molto il blocco Stelvio, Appennino, poi ancora Stelvio e le due gare in Spagna a seguire: Castilla y Leon e Villafranca.

Adesso quale sarà il tuo programma? Hai detto del Polonia, ma farai anche la Vuelta?

No, in teoria dopo il Polonia dovrei fare soprattutto le gare del calendario italiano.

E ti dispiace non farla? 

Certamente mi sarebbe piaciuto farla, però non ero neanche così convinto che andare in Spagna sarebbe stata la mossa giusta. A quel punto sarebbero stati tantissimi giorni di gara a fine stagione. E poi tutto sommato il calendario italiano mi piace, così come in generale mi piace correre in Italia. Tra le tante corse che dovrò fare c’è anche il Giro di Toscana col Monte Serra che mi stuzzica. Conosco quella salita e quelle strade.

Fare la Vuelta sarebbe stato anche fare il secondo grande Giro in stagione, un buon test non credi? Ti stimolava questa cosa?

In realtà non ci ho pensato, forse perché già sapevo di non andare e che il mio grande obiettivo di stagione era il Giro. E poi in un team numeroso come il nostro è anche giusto far ruotare i corridori.

Sin qui Verre ha disputato 52 giorni di corsa (foto Instagram)
Sin qui Verre ha disputato 52 giorni di corsa (foto Instagram)
A proposito di corridori, ti aspettavi che il tuo compagno Kevin Vauquelin andasse così bene?

Sì, perché è un po’ che Kevin va forte e sta migliorando costantemente. Il discorso è sempre lo stesso, la differenza di crescita tra Italia ed estero. Ho sempre detto che a noi serve più tempo.

Perché? Spiegaci meglio…

Parte dalla gestione delle categorie giovanili, anche se proprio adesso mi sembra che stia cambiando la mentalità. Faccio un esempio con gli juniores del CPS Professional Team di Clemente Cavaliere con cui sono ancora in contatto (Verre correva in questa squadra, ndr) ed ho ottimi rapporti. Li vedi che molti di loro non sanno ancora bene cosa devono fare, cosa vogliono fare da grandi. I coetanei stranieri invece vi assicuro che sanno già tutto: alimentazione, allenamenti, cura dei dettagli e quando ci parli ti rendi conto di avere di fronte gente che davvero va in bici, che è già mentalizzata.

Torniamo a te, Alessandro. A fine stagione scadrà anche il tuo contratto con l’Arkea: come sei messo in tal senso?

Non ne so ancora nulla, tutto è in divenire. Vediamo se si resta qui o quel che accadrà…

Ghiaccio bollente: la storia da film di Faulkner, oro di Parigi

05.08.2024
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PARIGI (Francia) – Ghiaccio bollente. Non è Grace Kelly, peraltro figlia di un canottiere tre volte oro olimpico (Jake Kelly, due ori ad Anversa 1920 e uno a Parigi 1924), ma la vittoria di Kristen Faulkner è un film. Ghiaccio che si stacca, come lei ha staccato Marianne Vos, Lotte Kopecky e Blanka Vas, andando a vincere una prova cui non doveva nemmeno partecipare. E’ entrata in squadra un mese fa solo perché Taylor Knibb ha preferito nuotare nell’acqua della Senna e dedicarsi al triathlon. D’altra parte entrare a corsa già iniziata non spaventa Kristen, che lo aveva già fatto a suo tempo per entrare nel mondo del ciclismo.

Un arrivo inatteso per tutti, forse anche per Faulkner, incredula sulla linea
Un arrivo inatteso per tutti, forse anche per Faulkner, incredula sulla linea

Una scelta di vita

Ha iniziato nel 2017, a 25 anni, senza però lasciare il suo lavoro nel private equity. La sua storia racconta che in quel periodo a New York per la prima volta lei, ingegnere con laurea conseguita ad Harvard, prova una bici da competizione. Ottiene i primi risultati e arriva la decisione di lasciare il lavoro e di provarci seriamente. Non torna indietro neanche dopo una caduta con commozione cerebrale nel 2022, una tibia fratturata e un coagulo di sangue in un polmone dopo essere stata investita da un’automobile nel 2023.

Non era una sedentaria, aveva praticato nuoto e canottaggio (come il padre di Grace Kelly), ma da lì a diventare ciclista professionista troppo ghiaccio doveva sciogliersi sotto i ponti dell’Alaska. Invece ce l’ha fatta ed è campionessa olimpica.

Sul podio, l’oro di Kristen Faulkner, davanti all’eterna Marianne Vos e l’iridata Lotte Kopecky
Sul podio, l’oro di Kristen Faulkner, davanti all’eterna Marianne Vos e l’iridata Lotte Kopecky

L’importante è rischiare

«A 8 anni guardavo le Olimpiadi di Sydney in tv – racconta – e mi dicevo che volevo esserci anch’io». L’importante è partecipare, ma cosa si prova a vincere una medaglia d’oro? «Non lo so, ditemi voi cosa è successo», dice in conferenza stampa con gli occhi che le brillano. «Sto ancora guardando il tabellone con la classifica. E mi chiedo come sia possibile che il mio nome stia lì».

E’ possibile perché è stata fredda come il ghiaccio, attaccando nel momento giusto e dopo alcune cadute. Solo che stavolta non è rimasta coinvolta nell’incidente che a 45 chilometri dall’arrivo ha spezzato il gruppo e condizionato la gara di alcune favorite, tra cui la compagna di squadra Chloe Dygert. E dopo l’ultima scalata di Montmartre, dove erano appostati i suoi genitori, Kristen ha colto il momento giusto per lasciarsi indietro tutte. E così, quarant’anni dopo la vittoria di Connie Carpenter-Phinney a Los Angeles 1984 (madre a sua volta di Taylor Phinney, a lungo corridore professionista), l’oro torna agli Stati Uniti.

E’ stata Faulkner a riportare Kopecky sulle prime: si vedeva che avesse una marcia in più
E’ stata Faulkner a riportare Kopecky sulle prime: si vedeva che avesse una marcia in più

L’attacco giusto

Fredda come il ghiaccio, si diceva: «Sapevo che dovevo attaccare in quel momento, dopo aver ripreso le due che erano in testa. Con me c’erano ragazze veloci, che non erano disposte a collaborare tra loro. Se avessi preso un piccolo vantaggio probabilmente loro sarebbero rimaste a lottare per il secondo posto». Così è stato, si è staccata come un pezzo di ghiaccio e se n’è andata. Non s’è mai voltata indietro e per tenere la concentrazione: «Ho contato fino a 10 per 10 volte, finché non ho raggiunto il traguardo».

Non ha fatto gesti eclatanti alla Evenepoel, «perché troppe volte ho visto atlete perdere gare quando pensavano di averle già vinte». Poco dopo l’ha raggiunta anche la sfortunata compagna di squadra Dygert, ma ha pensato solo a Kristen: «Ha fatto un ultimo giro fantastico. Quest’anno ha dimostrato più volte di essere brava a vincere con queste azioni. Sono super felice per lei, è grandioso. Se l’è meritata, se riesce a fare queste cose è frutto del suo lavoro in pista».

Con la famiglia e l’oro olimpico ai piedi della Tour Eiffel, per l’immaginario americano un quadro indimenticabile
Con la famiglia e l’oro olimpico ai piedi della Tour Eiffel, per l’immaginario americano un quadro indimenticabile

Adesso il quartetto

Già, la pista. Era questo il motivo per cui Kristen doveva essere a Parigi, per partecipare all’inseguimento a squadre. Le era stato detto di non stancarsi troppo in strada, a meno che non ne valesse la pena. Eccome se ne valeva. Tra pochi giorni la rivedremo nel quartetto americano, a caccia di un altro oro. E magari questi diventeranno i Giochi in cui chi vince la prova in linea vince pure un altro oro. Lei ci proverà, come ci ha provato a Montmartre, rischiando.

«Ho lavorato nell’alta finanza – sorride – so che il rischio può portare a grandi vittorie. E il mio percorso mi ha insegnato che non è mai troppo tardi per buttarsi in qualcosa».

Il passato è ancora dentro di lei e il passato, come diceva un altro Faulkner, lo scrittore William, non è mai passato. E il futuro, oltre il ciclismo? «Voglio scalare l’Everest e trascorrere tempo con i monaci buddisti». Prima o poi lo farà, perché non è mai troppo tardi per avverare i sogni. «Ma questo, l’oro olimpico, era il mio sogno più grande e finalmente si è avverato».

Per inseguirlo, ha rischiato. E forse qualche anno fa, quando ha deciso, non è stata fredda come in gara, come il ghiaccio. «Ma mi sono resa conto che lo scenario peggiore non era essere al verde o senza lavoro», ha raccontato nel podcast Choose the Hard Way nel 2023. «Lo scenario peggiore era avere 80 anni e pensare: “Peccato non averci provato”». E quando l’ha pensato il ghiaccio dell’Alaska è diventato bollente.

EDITORIALE / Remco nella storia, Pogacar ha perso l’occasione

05.08.2024
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Luka Mezgec, corridore sloveno, ha dichiarato alla televisione nazionale che l’assenza di Pogacar alle Olimpiadi di Parigi sia stata dovuta principalmente alla non convocazione della compagna Urska Zigart per le gare femminili. Nonostante sia campionessa nazionale di crono e strada, l’atleta del Team Jayco-AlUla è stata lasciata a casa dai selezionatori sloveni e questo avrebbe provocato la reazione amara del vincitore del Giro e del Tour, che ha comunicato la sua assenza olimpica a causa della stanchezza accumulata.

«Per quanto riguarda la ragione ufficiale secondo cui è stanco – ha detto Mezgec a RTV Slovenija, per come riportato da cyclingnews.com – credo che non sia la più realistica. So che anche se fosse stato sul letto di morte, sarebbe venuto qui se Urska fosse stata convocata, perché così non sarebbe stato da solo a casa.

«Se ci fosse stata una probabilità dell’uno per cento che per qualsiasi motivo volesse rimanere a casa, quella percentuale sarebbe stata molto più bassa se Urska fosse stata qui. Ovunque sia Urska, c’è anche Tadej. Può sembrare cattivo – ha concluso il corridore del Team Jayco-AlUla – ma forse avrebbero dovuto rischiare un posto per lei, anche se non fosse stata la migliore, perché con questa mossa si sarebbero assicurati Tadej, ma non l’hanno fatto. Sfortunatamente, chi ha preso la decisione non aveva previsto tutti gli scenari».

Davvero bisogna credere che questo Pogacar non avesse la forza per sfidare Evenepoel a Parigi?
Davvero bisogna credere che questo Pogacar non avesse la forza per sfidare Evenepoel a Parigi?

L’occasione mancata

Alzi la mano chi, avendo seguito la vittoria di Evenepoel sabato a Parigi, non si sia chiesto quale spettacolo ancora più immenso ci sarebbe stato con lo sloveno in gara. E chissà se lo stesso Pogacar ha seguito la corsa e abbia riflettuto sulla sua scelta. Si può fargli una colpa per aver rinunciato alle Olimpiadi? Probabilmente no, cosa vuoi dirgli a uno che nei pochi giorni di gara del 2024 ha realizzato una simile grande impresa? Però forse si può fare una riflessione.

Siamo sicuri che lo sloveno avrà un’altra occasione come questa? Il ciclismo non è paragonabile ad altri sport: Djokovic ha vinto l’oro nel tennis a 37 anni, ma tanta longevità da queste parti non è scontata. Quando nel 2028 le Olimpiadi si correranno a Los Angeles, Pogacar avrà 30 anni: sarà ancora in grado di competere al massimo livello?

Il tema della stanchezza non convince, anche rapportato al voler puntare sui mondiali di Zurigo, mettendo nel mirino Roche che nel 1987 vinse Giro, Tour e mondiale. Nel 2021 Tadej volò a Tokyo pochi giorni dopo aver vinto il Tour e conquistò il bronzo nella gara in linea. Vista l’apparente facilità con cui ha conquistato la maglia gialla e il breve viaggio da Monaco a Parigi, si può immaginare che davvero non avesse le forze per lottare con Evenepoel?

Tour de France 2021, Alaphilippe vince la prima tappa e la dedica a Marion e alla nascita del figlio Nino
Tour de France 2021, Alaphilippe vince la prima tappa e la dedica a Marion e alla nascita del figlio Nino

Compagne e atlete

Anche Alaphilippe nel 2021 rinunciò alle Olimpiadi, per stare accanto alla compagna Marion, che aveva da poco messo al mondo il figlio Nino. Julian era iridato e ancora volava. Aveva vinto la Freccia Vallone, era stato battuto solo da Pogacar alla Liegi, aveva vinto la prima tappa del Tour e a settembre avrebbe vinto il secondo mondiale. Eppure rinunciò. E quest’anno che si è rimboccato le maniche, avendo capito che forse allora commise una leggerezza, non è andato oltre l’undicesimo posto a 1’25” dal compagno di squadra Evenepoel. Perché in questo ciclismo che va veloce, 32 sono anni pesanti per sfidare i padroncini del gruppo.

E’ legittimo per chiunque scegliere di stare accanto alla famiglia: non si può fargliene una colpa. Quel che sorprende è semmai la dinamica domestica, in cui casualmente o forse no, entrambe le donne in questione sono o sono state atlete. Come reagì Marion Rousse? E come ha vissuto Urska Zigart la rinuncia del fenomenale compagno che vincendo le Olimpiadi sarebbe potuto entrare nella storia? Lo ha abbracciato intenerita e fiera per il gesto oppure lo ha esortato a non buttare l’occasione? Se teneva così tanto alla convocazione, ha vissuto a cuor leggero la rinuncia da parte del compagno?

Urska Zigart è ormai una presenza fissa per Pogacar dopo gli arrivi
Urska Zigart è ormai una presenza fissa per Pogacar dopo gli arrivi

Tadej e la storia

I campioni come Pogacar piacciono perché sono capaci di trasfigurarsi nella fatica, tirando fuori da se stessi imprese inimitabili. Lo fanno perché hanno dentro il fuoco, quale che ne sia l’origine. Se rabbia sociale, fame, voglia di dimostrare qualcosa, un agonismo esagerato: l’elenco è lungo e complesso. Ma a volte dimentichiamo che hanno pochi anni e rischiano di cadere in errori adolescenziali, ripicche fatte con la pancia più che col cervello. E la scelta di Pogacar, se è vero quello che ha dichiarato Mezgec, è stata a nostro avviso tale.

Le Olimpiadi sono un traguardo da conquistare, non un viaggio premio. E’ vero che le due ragazze che hanno sostituito Urska Zigart non siano fulmini di guerra, ciò non toglie che il campione abbia rinunciato a una occasione forse irripetibile. Potrà anche vincere il mondiale di Zurigo, ma questa rinuncia resterà per sempre come un vuoto nel suo palmares. Con buona pace di Evenepoel, che la sua chance l’ha presa e sfruttata al meglio. Otto corridori hanno vinto Giro e Tour nello stesso anno, nessuno aveva mai vinto il doppio oro olimpico. A conti fatti, ammesso che il ragionamento abbia un senso, la storia l’ha fatta Remco. Pogacar a nostro avviso è ancora più fenomeno del fenomeno belga, ma s’è aggiunto a una strada già tracciata.

Un corso dai 14 anni in su, l’idea nuova dell’Us Carbonate

05.08.2024
4 min
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In questi giorni di grande frenesia sportiva, una piccola notizia ha richiamato l’attenzione verso l’impegno per la promozione del ciclismo. Qualcosa di inconsueto, un modo diverso di intendere le due ruote e soprattutto la ricerca di nuovi talenti. Gli artefici sono i responsabili dell’Unione Sportiva Carbonate, società lombarda fondata nel 1972 e che ha sempre lavorato con le categorie giovanili, le più piccole. Organizza un evento di prestigio per gli allievi (ma da qualche tempo è stata spostata al calendario esordienti) come il Gran Premio Industria e Commercio giunto quest’anno alla cinquantacinquesima edizione.

Il GP Industria e Commercio è giunto quest’anno alla 55esima edizione
Il GP Industria e Commercio è giunto quest’anno alla 55esima edizione

Un bando di Sport e Salute

L’iniziativa in questione è un corso riservato ai ragazzi dai 14 anni in su, per avviarli alla pratica del ciclismo. Qualcosa di davvero insolito, considerando che a quell’età si pensa che l’uso della bici sia stato già incamerato e ancor di più la pratica agonistica, in un’epoca dove si va alla ricerca spasmodica della velocità.

A spiegare le ragioni dell’iniziativa è Mauro Antognazza, dirigente del team e primo promotore di questa idea: «Noi abbiamo semplicemente risposto a un bando proposto dalla società governativa Sport e Salute che metteva a disposizione fondi per un centro di aggregazione per i giovani, rivolto a chi non fa abitualmente sport e a chi è in condizioni economiche disagiate. Ci siamo collegati con altre due associazioni, una che fa calcio e l’altra musica, proponendo la nostra idea legata all’utilizzo della bici. Abbiamo creato insieme un progetto con l’appoggio del Comune».

L’Us Carbonate è attiva fin dal 1972. Si occupa principalmente di giovanissimi ma è in espansione
L’Us Carbonate è attiva fin dal 1972. Si occupa principalmente di giovanissimi ma è in espansione
Ora il progetto a che punto è?

L’idea è stata accettata, ora dobbiamo pensare, per la nostra parte, a renderla eseguibile e per questo stiamo cercando istruttori che siano disposti, dietro un modico rimborso spese, a fare da insegnanti. L’idea è molto valida perché è rivolta a un target che normalmente non viene considerato, non trova riscontri. Può davvero diventare un centro d’aggregazione che metta insieme esperienze diverse.

Entrando nello specifico dell’argomento ciclistico, voi avete intendimenti agonistici con i vostri corsi?

Noi proponiamo l’utilizzo della bici come strumento di divertimento puro, insegnando a usarla nel modo migliore, come mezzo di spostamento, di passeggiata, magari a lungo termine anche agonistico, perché no, anche se noi siamo già impegnati da quel punto di vista continuando la nostra politica tesa alle categorie più giovani. Avevamo però l’idea di espanderci, di arrivare anche fino agli juniores con i ragazzi che già abbiamo, questa iniziativa parallela potrebbe anche dare nuova linfa ai nostri propositi.

L’originalità dell’idea è data dal fare corsi dall’adolescenza in su, un target poco considerato
L’originalità dell’idea è data dal fare corsi dall’adolescenza in su, un target poco considerato
Avete però sottolineato come il progetto si rivolga a chi vive una realtà disagiata. E’ presumibile quindi che siate voi a fornire tutto il necessario per la pratica ciclistica, bici compresa…

I fondi serviranno principalmente a questo, a fornire i mezzi a noi come agli altri per permettere ai ragazzi di effettuare le loro attività. Chissà, potrebbe anche nascere qualche sbocco lavorativo. A noi, e con noi intendo tutti coloro che sono coinvolti nel progetto, l’interesse è dare la più ampia varietà di scelta: si potrà pedalare ma anche fare corsi di filmaker, oppure di calcio. Siamo sicuri che ciò attirerà molti ragazzi invogliati a scegliere una strada per divertirsi e magari costruirsi un futuro.

Che cosa darete a chi si iscriverà?

Tutto: bici, abbigliamento, la tessera gratuita. Abbiamo firmato l’accordo proprio in questi giorni, già a settembre contiamo di avere i fondi per cominciare ad acquistare il necessario. Questo è un progetto pilota, nelle prossime settimane siamo estremamente curiosi di capire che risposta avrà anche attraverso una precisa campagna di promozione che faremo, principalmente sui social. Contiamo di attirare gente anche dalle zone limitrofe: i corsi andranno dai 14 ai 34 anni, ma sarà nella fascia più giovane che speriamo di raccogliere adesioni.

La società lombarda ha aderito a un bando di Sport e Salute, dedicato non solo allo sport
La società lombarda ha aderito a un bando di Sport e Salute, dedicato non solo allo sport
C’è comunque anche uno sbocco agonistico all’orizzonte?

Noi confidiamo di sì. Abbiamo una piccola pista a disposizione nel parco pineta di Appiano Gentile dove i ragazzi potranno impratichirsi e quelli che troveremo più preparati e pronti, faranno anche dei corsi di formazione tecnica. Se si appassioneranno li metteremo in condizione di continuare e magari di trovare una strada anche nel ciclismo agonistico. Intanto dal prossimo anno apriremo la nostra sezione agonistica dedicata agli esordienti, poi vedremo come si andrà avanti. Ora serve trovare gente che possa darci una mano, che possa rinforzare la nostra struttura tecnica. Noi confidiamo che sia un’idea innovativa e funzionante, ma solo il tempo darà le risposte.

Guillen e la Vuelta: poche stelle, ma spettacolo sicuro

05.08.2024
7 min
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Con la seconda medaglia d’oro di Evenepoel a Parigi si sono chiuse le Olimpiadi della strada e si aprono quelle della pista. Il circo del WorldTour ha riacceso i motori e si avvia verso la Vuelta, terzo Grande Giro di stagione dopo le meraviglie di Pogacar al Giro e al Tour. Lo sloveno l’hanno tirato per entrambe le maniche affinché corresse anche in Spagna, ma lui saggiamente è rimasto lontano dalla tentazione delle tripletta, spegnendo il sorriso sul volto di Javier Guillen, che della Vuelta è l’organizzatore. In realtà lui non ci aveva mai creduto, anche se i sogni costano zero e se si avverano ti svoltano la vita.

Raggiungiamo Guillen in un mattino di relax a due settimane della partenza della Vuelta, che quest’anno scatta da Lisbona e per tre giorni batterà le strade portoghesi, prima di affrontare quelle del Sud della Spagna, per poi salire al Nord: Galizia, Asturie e Paesi Baschi, prima del gran finale di Madrid.

Javier Guillen è il direttore della Vuelta España
Javier Guillen è il direttore della Vuelta España
Che cosa fa l’organizzatore della Vuelta a due settimane dal via?

Sono più che altro compiti di coordinamento interno, per essere certi che tutto sia pronto, soprattutto per Lisbona da cui partiremo. Ad oggi tutti stanno lavorando al 100 per cento per la Vuelta. Le vacanze dei pochi che hanno potuto farle sono finite e quello di cui abbiamo bisogno è che tutto sia a posto e il mio compito è assicurarmi che sia così, in modo che non vengano fuori problemi.

Il percorso è definito e pronto?

Tutto pronto. Abbiamo localizzato perfettamente e da tempo i punti sui quali potrebbe essere necessario qualche intervento, per problemi che possano verificarsi in questo periodo. Ma per ora è tutto a posto.

La Vuelta 2024 partirà dal Portogallo per concludersi a Madrid
La Vuelta 2024 partirà dal Portogallo per concludersi a Madrid
Proprio guardando il percorso, che Vuelta possiamo aspettarci?

Una Vuelta per arrampicatori, come ogni anno, ma un po’ più aperta. In questo momento non possiamo indicare un chiaro favorito. Penso che non ci sarà un dominatore come negli altri due Grandi Giri e penso che anche questo ci porterà ad una gara in cui tutto sarà possibile sino alla fine. Quello che noi organizzatori vorremmo avere tutti gli anni.

Si fa fatica a trovare un nome di riferimento?

E’ ovvio che se arrivasse Primoz Roglic, su cui in linea di principio contiamo, allora ci sarebbe in corsa il vincitore di tre Vuelta e penso che partirebbe con un certo vantaggio. Ma è anche vero che vedendo squadre come la Movistar o la stessa UAE Emirates, la corsa è sicuramente molto aperta. Un altro corridore che per me avrà molte opzioni in questa Vuelta è Carapaz, che penso arriverà in grande forma.

Roglic ha vinto tre Vuelta, potrebbe essere la star dell’edizione 2024
Roglic ha vinto tre Vuelta, potrebbe essere la star dell’edizione 2024
Cosa pensavi quando si parlava di Pogacar alla Vuelta?

Penso che per noi sarebbe una notizia straordinaria e per lui vincerla immagino che sarebbe un sogno. Ma è evidente che Tadej Pogacar non ha illuso nessuno, fin dal primo momento ha detto che il suo programma era fare Giro e Tour. Abbiamo visto tutti il grande livello che ha mostrato in entrambi ed è ovvio che certi risultati, oltre ad una gioia immensa, producano fatica mentale e stanchezza fisica. Per noi sarebbe stata una notizia straordinaria. Tanto più, adesso che ha il Giro e il Tour, per entrare nel club di chi ha vinto le Tre Grandi gli resta solo la Vuelta. Eravamo consapevoli che non sarebbe venuto, non è stata una sorpresa.

In Italia, dopo Nibali non abbiamo più trovato corridori da Grandi Giri. La Vuelta di quest’anno potrebbe essere un’opportunità per i corridori spagnoli?

Lo spero, perché quello che succede in Spagna è un po’ come in Italia. Abbiamo una così grande tradizione di corridori e vincitori, che quando non ne vediamo di nuovi, ci sembra di attraversare una siccità. Penso che quest’anno ci siano dei bravi spagnoli, che si sono comportati bene al Tour de France, come Enric Mas e Mikel Landa. Credo anche che ci sia un corridore come Carlos Rodriguez che, se venisse alla Vuelta, avrebbe grandi possibilità di fare una buona classifica generale. E ovviamente ad oggi il quartetto dei migliori sarebbe completato da Juan Ayuso. In questo momento però non ho la conferma che verrà, ma credo che tra Enric Mas, Mikel Landa e Carlos Rodríguez avremmo molte opzioni per lottare sino alla fine.

La presenza di Ayuso alla Vuelta non è ancora sicura
La presenza di Ayuso alla Vuelta non è ancora sicura
Come organizzatore, quale fra questi funziona di più come immagine?

Non lo so, devo essere cauto perché non posso mostrare preferenze. Credo che ognuno abbia il proprio stile. Penso che Ayuso sia un corridore molto aggressivo, che lotta molto e che usa un linguaggio che piace molto ai tifosi. Rodriguez è un corridore con molta classe e credo abbia un’intelligenza straordinaria in gara. Potremmo dire che sia un po’ più calmo e posato di Juan quando si tratta di esprimersi.

Invece Enric Mas?

Enric Mas è più esperto. Alla fine gli anni trascorsi in gruppo gli danno un certo vantaggio quando si tratta di leggere le gare. E poi ovviamente non si può dimenticare Mikel Landa, un corridore che piace a tutti. Perché è un uomo per la montagna, un corridore che va all’attacco. E’ un corridore che quando lotta, dà tutto. Alla fine, ognuno ha la sua personalità e per me che sono tifoso, mi piacerebbe che lottasse per il podio. Mentre come organizzatore non posso dire tanto di più.

Come ti aspetti l’accoglienza di Lisbona?

Incredibile. Troviamo una città molto preparata, molto moderna, esteticamente bella, che si colloca molto bene tra modernità e tradizione. In Portogallo è come essere a casa. Partiamo dall’estero, ma non smettiamo di sentirci in patria grazie alla collaborazione ricevuta da tutte le Istituzioni. Abbiamo accettato la sfida e affrontato il progetto con molta responsabilità, perché il Portogallo può essere una porta da mantenere aperta. Creare un buon legame ci aprirebbe una vasta gamma in termini di percorso. Possiamo ragionare su nuove proposte senza dover fare trasferimenti o grandi distanze come quando partiamo da altri Paesi. E questo in Spagna è importante perché, come succede in Italia, siamo nel Sud dell’Europa. Siamo il Paese più meridionale e questo fa sì che anche i nostri confini siano lontani dagli altri Paesi, non come accade nel Centro Europa.

Pensi che il caldo sarà un tema della Vuelta?

Lo è sempre stato. La verità è che il caldo è qualcosa di cui dobbiamo essere consapevoli. Il ciclismo ha sempre fatto i conti con il caldo, perché si svolge sostanzialmente in estate. E’ vero che andiamo in posti dove possiamo trovare temperature elevate, come in Extremadura o in Andalusia, ma non credo che troveremo qualcosa di diverso rispetto agli altri anni. Il caldo alla fine si combatte con l’idratazione e, a meno di temperature mai viste prima, non credo che influenzerà lo sviluppo della gara dal punto di vista organizzativo. Di certo ai corridori potrebbe costare più fatica. Alcuni faranno meglio col caldo, altri rimpiangeranno il freddo. E’ una circostanza che influisce sullo sport, ma non credo che possa impedire lo svolgimento delle tappe.

Enric Mas secondo Guillen potrebbe essere avvantaggiato dalla sua esperienza
Enric Mas secondo Guillen potrebbe essere avvantaggiato dalla sua esperienza
A proposito di partenze dall’estero: si parla molto della partenza 2025 da Torino…

Mi piacerebbe che questa possibilità diventasse realtà, stiamo lavorando. Non ho mai nascosto che abbiamo rapporti con la Regione Piemonte, ma voglio essere cauto e annunciarlo ufficialmente nel momento in cui ci sarà qualcosa. E’ evidente che il ciclismo richiami il ciclismo. La Spagna è un Paese ciclistico, l’Italia probabilmente è il Paese ciclistico per eccellenza. E noi vogliamo stare con chi parla la nostra stessa lingua e soprattutto siamo contenti quando possiamo farlo in un Paese così bello. Con così tanta tradizione, con così tanta storia e con tanti legami con la Spagna. Però permettetemi di essere un po’ cauto riguardo a ciò che dobbiamo ancora annunciare. Penso che lo sarà a breve, ma in questo momento non posso dire più di questo.