Dov’erano gli azzurri? Ritorno a Parigi con il cittì Bennati

14.08.2024
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Parigi è un boccone che piano piano è andato giù. Bennati lo ha masticato a fatica, ripassando le scelte, le parole, gli impegni e la gara. E poi, dovendo partire alla svelta per un sopralluogo sul percorso degli europei, ha voltato la pagina. E’ innegabile che la corsa su strada degli azzurri alle Olimpiadi sia stata un buco nell’acqua, in cui la figura migliore l’ha fatta colui che meno c’entrava. Con quella fuga, Viviani se non altro ha mostrato al mondo che a Parigi c’era anche l’Italia.

Se avesse potuto aspettare la fine del Tour, Bennati avrebbe portato corridori in palla come Moscon?
Se avesse potuto aspettare la fine del Tour, Bennati avrebbe portato corridori in palla come Moscon?

Prestazione opaca

Il fatto che corressimo in tre discende direttamente dai risultati e i nostri (pochi) risultati nelle classiche hanno indicato i nomi di Bettiol e Mozzato. Se anche avessimo corso in cinque, probabilmente il risultato non sarebbe stato migliore. Ma altrettanto probabilmente, se si fosse potuta dare la squadra dopo il Tour, ci sarebbe stato margine per altre valutazioni. La tagliola del 5 luglio ha impedito di fare diversamente.

«I ragazzi stavano bene – spiega Daniele – apparentemente le cose andavano per il verso giusto. Poi la gara è andata come è andata, è inutile girarci attorno e io mi devo prendere la responsabilità, anche se rifarei le stesse scelte. Non parlo del piazzamento, ma della prestazione al di sotto delle nostre possibilità. Ho sempre detto che, a parte Evenepoel che in questo momento sarebbe sbagliato guardare, non vedo fenomeni nell’ordine di arrivo dal secondo al decimo. Dovevamo fare assolutamente meglio a livello di prestazione. Nei due mondiali che ho fatto, sia in Australia sia a Glasgow, sono sempre tornato a casa col sorriso, perché abbiamo fatto molto bene dal punto di vista della prestazione. In qualche modo abbiamo fatto divertire gli appassionati, cosa che in queste Olimpiadi non è successa».

Fino all’inizio dell’ultimo giro, Bettiol era nel gruppo alle spalle di Evenepoel e Madouas
Fino all’inizio dell’ultimo giro, Bettiol era nel gruppo alle spalle di Evenepoel e Madouas

L’avvicinamento non è stato semplice. A causa del calendario varato dal CIO con il benestare dell’UCI, non si sono potuti coinvolgere Ganna né Milan nella prova su strada. Poi, per le nuove quote della pista, il solo modo perché potesse correre l’omnium e poi la madison era che Viviani venisse convocato per la gara su strada. La decisione è stata presa e non avrebbe avuto senso mettersi di traverso.

Partiamo proprio da Elia.

Come ho detto fin dall’inizio, essendo il responsabile del settore strada professionisti, sul momento non ci sono rimasto bene. Però poi, ragionando a mente fredda, ho capito che fosse una cosa necessaria. E’ sotto gli occhi di tutti il fatto che in questo momento su strada facciamo più fatica che in pista. Va dato atto che siamo una delle Nazioni di riferimento nella pista e nelle crono, per cui si è scelto di dare la possibilità a Elia di fare le sue specialità. A un corridore come lui, bisogna stendere tutti il tappeto rosso per quello che è riuscito a dare in termini di visibilità. La pista è riuscita ad arrivare a questi livelli soprattutto grazie a lui che ci ha sempre creduto e ovviamente anche a Marco Villa.

E alla fine la mossa è stata azzeccata, vista la medaglia d’argento.

Sulle sue potenzialità e la possibilità di fare risultato non ho mai avuto dubbi. Sapevo però che Elia non avrebbe fatto un calendario mirato per la prova su strada, perché con la squadra non stava facendo l’attività più consona. Ovviamente qualcuno che sognava quel posto può esserci rimasto male. Penso che qualsiasi atleta abbia l’obiettivo e il sogno di partecipare a un’Olimpiade, ma non tutti alla fine riescono ad andarci.

Si sapeva da tempo che avreste corso in tre.

Ho iniziato a parlare di Parigi da dicembre del 2023 e una decina di atleti ha effettuato le visite a Roma. Ho indicato i più adatti a quel percorso, senza conoscere le dinamiche che si sarebbero create. Poi, a inizio stagione, ho detto a tutti che nessuno avrebbe avuto in mano la certezza di essere convocato, ma speravo che mi mettessero in difficoltà con i loro risultati di inizio stagione, delle classiche e del Giro. Nel caso specifico, Bettiol fino al Tour ha fatto una stagione molto significativa, con una continuità importante. E’ andato forte alla Sanremo e anche al Fiandre, dove è stato riassorbito nel finale. E proprio al Fiandre è arrivato con Mozzato il solo podio italiano in una gara monumento del 2024. Per cui la scelta è caduta su loro due. Avevano raggiunto risultati importanti e credo che un’Olimpiade si possa conquistare anche e soprattutto attraverso i risultati.

Hai dovuto dare i nomi il 5 luglio.

Credo l’ultima Nazione sia stata la Francia, che li ha dati l’8 di luglio. Poi ovviamente ti devi affidare alla buona sorte e alla parola dei corridori, che si impegnano ad arrivare pronti all’appuntamento. Ci siamo sentiti. Abbiamo parlato con i loro preparatori. Hanno avuto la massima fiducia. La crono ci aveva mostrato un Bettiol in ripresa. Dopo aver vinto l’italiano è andato al Tour, ha fatto una settimana discreta e poi si è ritirato per preparare la cronometro. Semmai, se qualcuno avesse sentito di non essere al meglio, avrebbe potuto fare un passo indietro. Ma erano entrambi certi di stare bene.

Come è stato il tuo approccio con Viviani?

Ci siamo sentiti spesso. Il suo ruolo era determinante e devo dire che ha confermato la sua professionalità. Il fatto che sia entrato in quell’azione è stata una decisione presa al momento da lui stesso, perché non c’erano le radio. L’obiettivo era che arrivasse a Parigi per dare il supporto agli altri due, poi ha deciso di inserirsi in questa azione che alla fine è risultata positiva per lui e anche per noi.

La fuga di Viviani è stata una sua iniziativa che ha tenuto gli altri due azzurri al coperto
La fuga di Viviani è stata una sua iniziativa che ha tenuto gli altri due azzurri al coperto
Come è stato veder scorrere via un’Olimpiade senza poterci mettere mano?

Purtroppo correre senza radio è molto limitante. E’ frustrante non avere la possibilità di fare nulla. Quando sei in macchina, non hai contatto diretto con gli atleti. Quindi stai lì, guardi la corsa nel tablet e ascolti radio corsa, ma a a livello tattico non puoi fare quasi nulla. Ovviamente diventa più semplice per il mio collega belga, che ha un corridore come Evenepoel che stacca tutti (sorride, ndr).

Non sei riuscito ad avere alcun tipo di contatto con Bettiol e Mozzato?

Li abbiamo visti un paio di volte. Sono venuti alla macchina per prendere acqua e Alberto all’ultimo giro non era fuori corsa. C’erano ancora Evenepoel e Madouas e dietro era ancora tutto in gioco. Però quando è venuto alla macchina, obiettivamente non era l’Alberto dei giorni migliori. Quindi ho capito che la faccenda si faceva abbastanza complicata. Ovviamente Luca a quel punto era già più dietro.

Si è detto che con 89 corridori e 272 chilometri sarebbe venuta una corsa pazza, invece è stata molto più lineare.

E’ vero, però analizzandola bene, al 180° chilometro prima di entrare a Parigi, c’era il terreno per attaccare. Un po’ di azioni ci sono state e pensavamo che si potesse fare più differenza. Il Belgio ha provato a muovere la corsa già da lì, anche Van der Poel scalpitava, però era anche ancora lungo arrivare a Parigi. Poi Van Aert ha corso solo ed esclusivamente su Van der Poel e, così facendo, ha aperto una grande possibilità per Remco.

Sei riuscito a parlare con i corridori dopo la corsa, almeno per quello che si può dire?

Dopo la corsa non ci siamo detti nulla, ma la sera dopo cena ho voluto parlare con loro. Gli ho detto che non potevamo tornare a casa soddisfatti, tutt’altro. Mi hanno detto di aver fatto il massimo e io ci credo. Non penso che si siano tirati indietro perché non avessero voglia di far fatica. È stata una giornata negativa dal punto di vista prestazionale e sicuramente si sono ritrovati con poche energie o con energie non sufficienti per fare una gara più dignitosa. Tanto altro da dire al momento non c’è. Voglio che andiamo agli europei e al mondiale con la voglia di riprenderci il nostro posto. E se ci saranno altre cose da dire, le tirerò fuori con loro a fine stagione. Per adesso va bene così.

Conci al bivio: inseguire la vittoria o aiutare un capitano?

13.08.2024
6 min
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Dopo un buon Giro d’Italia fatto di mille fughe in montagna, lo Svizzera e il campionato italiano chiuso al tredicesimo posto, con 46 giorni di corsa nella prima parte dell’anno, Nicola Conci ha sentito il bisogno di staccare. Il trentino, che dal 2022 corre con la maglia della Alpecin-Deceuninck, si è ripresentato a San Sebastian e da ieri è al Tour de Pologne. Nella prima tappa, che aveva l’arrivo in salita a Karapacz, ha cominciato con un decimo posto niente male a 9 secondi da Nys. L’obiettivo in queste corse è la vittoria, che gli manca da un tempo siderale.

Nicola Conci, 1,85 per 68 chili, è professionista dal 2018. Dopo 4 anni alla Trek e pochi mesi alla Gazprom, è arrivato alla Alpecin
Nicola Conci, 1,85 per 68 chili, è professionista dal 2018. Dopo 4 anni alla Trek e pochi mesi alla Gazprom, è arrivato alla Alpecin

Il tempo delle scelte

Nel frattempo nella sua testa sempre molto razionale si fa largo la necessità di scegliere una nuova strada. E’ il bivio di tanti buoni corridori che, in questo ciclismo popolato di grandi campioni, piuttosto che insistere con le ambizioni personali, si rimboccano le maniche per i più grandi, diventando parte integrante delle loro vittorie. Lo spiegava giorni fa Dario Cataldo e forse anche Conci è sulla porta di quella scelta. Nel frattempo ha cambiato i suoi procuratori e da Fondriest-Alberati è passato ai fratelli Carera.

«Insomma – dice – ho fatto un bel periodo di stacco dalle gare. Dal Polonia andrò diretto al Giro di Germania, quindi ho davanti due o tre settimane abbastanza intense. Poi ho in programma di fare il Lussemburgo e il blocco di gare italiane fino al Giro del Veneto. Sono in scadenza di contratto, stiamo lavorando su più fronti, ma ancora non sono certo di cosa farò. Mi sono diviso da Maurizio e Paolo perché dopo anni sentivo il bisogno di cambiare. Ci siamo lasciati in buoni rapporti, non è successo niente di particolare. Qui alla Alpecin sto bene. E’ un’ottima squadra, manca solo la familiarità cui noi italiani siamo abituati e che a volte farebbe piacere. Prima eravamo parecchi, ora ci siamo solo Luca Vergallito ed io. Faccio un esempio. A me piace parlare durante il massaggio, ma farlo in inglese è un po’ limitante. Non posso certo lamentarmi perché non posso parlare italiano durante i massaggi, ma sono le piccole sfumature con cui si convive».

Conci è rientrato alle corse a San Sebastian e da ieri è al Tour de Pologne
Conci è rientrato alle corse a San Sebastian e da ieri è al Tour de Pologne
A primavera ci eravamo detti che il Giro sarebbe stato un momento importante. Sei stato protagonista di tante fughe, come lo valuti?

Sono stato contento perché mi sono ritrovato. Sono soddisfatto delle sensazioni che ho avuto e di qualche tappa in modo particolare. Penso che fare meglio sarebbe stato difficile. Ad esempio quella di Torino, la prima, dove sono arrivato quinto. Sarei anche potuto star lì e provare a seguire, anche se probabilmente nessuno sarebbe riuscito a tenere Pogacar. Invece ho deciso di fare una bella azione: ho provato a vincere e mi è piaciuto. Un altro giorno in cui mi sono divertito tanto è stato quello di Livigno, la tappa più dura del Giro. Sono stato per 177 chilometri all’attacco, c’era tantissimo dislivello e alla fine sono arrivato dodicesimo. Mi hanno preso quelli di classifica a due chilometri all’arrivo, quindi è stata una bella tappa (foto di apertura, ndr). Certo mi rimane un po’ rammarico per alcune fughe come quella di Fano, in cui ha vinto Alaphilippe e io non ho trovato il momento giusto e quella del Brocon.

Dove peraltro correvi in casa, visto che sei originario della Valsugana…

Mi dispiace un po’ il fatto che non abbiano dato spazio alla fuga. Sono stato fuori per quasi 70 chilometri, poi inspiegabilmente la DSM si è messa a tirare, ha chiuso la fuga e poi si sono fermati. E in quel momento è ripartito Steinhauser, che ha vinto. Sinceramente a quel punto non avevo le gambe per seguirlo una seconda volta. Mi è dispiaciuto, sono i miei posti, volevo fare bene.

In fuga anche sul Grappa, Conci ha attaccato in tutti i tapponi del Giro
In fuga anche sul Grappa, Conci ha attaccato in tutti i tapponi del Giro
Che cosa ti lasciano oltre a tanta fatica queste fughe così lunghe?

Nel giorno del Mottolino, sono stato sorpreso di me stesso. Dopo tutto il giorno all’attacco, sono riuscito a spingere bene anche sul Foscagno e a scollinare quarto. Non è scontato rimanere vicino ai primissimi nel ciclismo che stiamo vivendo, in cui c’è un gap enorme tra pochi campioni e il resto del gruppo. Se quel giorno avessi scelto di restare in gruppo, non avrei migliorato il mio risultato. Non avrei tenuto le ruote degli altri di classifica e sarei stato risucchiato indietro. Invece sono riuscito a sorprendere me stesso. Sul Mortirolo ero un po’ infastidito che molti non tirassero, così ho attaccato dalla fuga e sono rientrato davanti. Ho sprecato un po’ di energie, però è stata una bella giornata.

Sei stato uno junior da tante vittorie ogni anno, quale differenza vedi fra il Conci di allora e gli juniores di ora, che vincono il tuo stesso numero di gare e poi sono pronti per passare professionisti?

Parliamo di dieci anni fa, ma il mondo è cambiato totalmente. Da junior non ho mai fatto più di quello che dovevo, anzi mio papà iniziò a seguirmi proprio per tutelarmi. Di certo non sono uno che a quell’età faceva le 6 ore. Semplicemente andavo forte in salita e ho vinto diverse gare perché mi veniva facile fare la differenza. Poi da professionista è un’altra cosa, anche se il problema dell’arteria iliaca mi ha condizionato parecchio. Tornando al periodo da junior, non è che facessi grandi lavori. Si curava la forza, ma ad esempio non ho mai fatto dietro macchina. Cominciai da dilettante e nel dirlo sembra che parliamo degli anni 40 invece era il 2014-2015…

In azione nella crono di Perugia al Giro. Oggi il Polonia propone una prova contro il tempo, ma sarà una cronoscalata
In azione nella crono di Perugia al Giro. Oggi il Polonia propone una prova contro il tempo, ma sarà una cronoscalata
Hai 27 anni e tanti corridori alla tua età hanno già fatto una scelta quasi radicale: non vinco, meglio andare a lavorare per qualcuno che sa farlo. Inizia a balenarti per la testa?

Certamente. Stiamo vivendo un ciclismo molto particolare, ci sono certi atleti che vanno molto più forte degli altri e quindi ci sta che le squadre vengano costruite attorno a loro. Quindi quelli che non vincono, come me – perché dati alla mano non ho ancora vinto – è normale che un giorno o l’altro si mettano a disposizione. In realtà ho sempre lavorato anch’io per i miei compagni, anche se magari al Giro nelle tappe più dure avevo la libertà di andare in fuga.

Ieri sei arrivato decimo nell’arrivo in salita, quanta voglia hai di alzare le braccia?

Ci penso sempre. Ho 27 anni e non so per quanti anni correrò ancora, perché è un ciclismo spietato. Spero ancora tanto, però sarebbe un peccato chiudere senza aver mai vinto da professionista. Non è che vincere sia la cosa più importante, si può anche aiutare e avere grandi soddisfazioni. Oggettivamente mi sono reso conto che per vincere devo cercare di inventarmi qualcosa, non posso aspettare i finali. Anche ieri ho pensato diverse volte negli ultimi 2-3 chilometri di provare ad anticipare, però ero un po’ stanchino.

Ai mondiali del 2022, Conci è entrato nella fuga in cui viaggiava anche Rota
Ai mondiali del 2022, Conci è entrato nella fuga in cui viaggiava anche Rota
Ci sono appena state le Olimpiadi e ora si lavora per i mondiali. Hai corso quelli di Wollongong nel 2022, Zurigo potrebbe essere adatta a te…

Sinceramente ci penso molto, ma non ho ancora sentito Bennati. In verità penso che dipenda da me e dal fatto che riesca a dimostrare di pedalare bene. Wollongong resta un bel ricordo, facemmo una bella corsa e mancò la medaglia con Rota per dei tatticismi. Rimasi in fuga per 60 chilometri insieme a lui. Fu una bella giornata, l’ho supportato per quanto possibile e venne fuori una gran corsa. Sicuramente è stato un bel onore vestire la maglia nazionale, è sempre qualcosa di speciale. Vedremo se riuscirò a conquistarla ancora.

Guzzo riassapora il successo, sperando non sia tardi

13.08.2024
4 min
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Di Federico Guzzo si erano un po’ perse le tracce. Partito fortissimo fra gli juniores, in evidenza anche al suo approccio con gli Under 23, a inizio agosto è tornato ad assaporare il dolce gusto del successo aggiudicandosi una classica del settore come la Zané-Monte Cengio. Una vittoria che ci voleva come il pane, per restituire entusiasmo a un corridore dai molti mezzi ma passato un po’ troppo presto nel dimenticatoio.

Il podio della Zané-Monte Cengio, con il veneto fra l’eritreo Zeraj (2°) e l’olandese Van Der Meulen (3°)
Il podio della Zané-Monte Cengio, con il veneto fra l’eritreo Zeraj (2°) e l’olandese Van Der Meulen (3°)

Le vittorie non bastano mai

Eppure di vittorie non ne ha ottenute poche: 5 nel 2022 con un inizio al fulmicotone con Empoli e San Vendemiano in sequenza, una corsa di prestigio come il GP Città di Brescia lo scorso anno, quest’anno poche gare ma già successi al GP La Torre e Trofeo Gino Visentini fino alla prova veneta. E nel frattempo?

I risultati non dicono tutto. Non sono stati anni facili. Nel 2023 è emerso un problema alla tiroide di non facile soluzione. C’è stata anche la mononucleosi non curata bene. Poi dopo un buon inizio anno un incidente al ginocchio ed altro stop. Tutte queste fermate hanno avuto un prezzo altissimo: Guzzo era entrato nell’orbita di molti team, alcuni anche del WorldTour, ma poi spaventati da tanta sfortuna si sono tirati indietro lasciandolo con un pugno di mosche in mano.

Tre vittorie in stagione per il corridore di Conegliano, al suo primo anno Elite
Tre vittorie in stagione per il corridore di Conegliano, al suo primo anno Elite

Un successo ottenuto di forza

Ora forse si riparte: «A luglio ero già andato bene, con il podio a Brescia e il 4° posto al Giro del Medio Brenta. Ma poi un altro stop mi aveva impedito di sfruttare la condizione. Ho ripreso proprio con la corsa del Monte Cengio, cogliendo una vittoria che mi restituisce morale. Nella fuga iniziale abbiamo inserito tre uomini, ma io sapevo però che decisiva sarebbe stata la salita nel finale. Era lunga, bisognava saper attendere, a metà era veloce e nel finale a giocarci la vittoria eravamo in 7. Svoltando per il Monte Cengio siamo rimasti in 3 ma io non volevo aspettare lo sprint, così sono partito ai -3».

Una vittoria che premia una volta di più la sua scelta di lasciare la Zalf per passare all’Uc Trevigiani, dove è molto coccolato tanto che il presidente Ettore Renato Barzi era il più felice al traguardo, quasi avesse vinto un figlio: «Mi trovo bene nel team, del passato non voglio parlare. Il gruppo merita molto, mi è vicino. Mi hanno cercato loro, dandomi un’occasione».

Guzzo è nel team da quest’anno. Ha trovato molta collaborazione e sostegno per le sue gare
Guzzo è nel team da quest’anno. Ha trovato molta collaborazione e sostegno per le sue gare

Si decide tutto a fine stagione

A inizio stagione, certamente non in un buon periodo, Guzzo aveva paventato per fine stagione un suo ritiro, essendo al primo anno Elite, se non si fossero palesate possibilità. E ora? «La mia posizione rimane la stessa, se non quaglierà nulla penso che lascerò, non ha senso rimanere così a bagnomaria. Il problema è che siamo ad agosto, il che significa che il mercato sta chiudendo e i contatti sarebbero già dovuti arrivare, invece non c’è nulla di concreto all’orizzonte. Io spero che i risultati, magari proprio questa vittoria riesca ad aprire uno spiraglio».

D’altronde Guzzo non ha procuratori che lo seguono: «L’avevo, ma non ha portato a nulla. Ora mi affido totalmente a me stesso. Alla mia capacità di emergere. E’ chiaro che non posso pretendere che venga da me la Visma o la Uae: io vorrei solo una chance per correre un calendario più competitivo e vicino a quello dei pro. Riuscirci esclusivamente attraverso miei meriti sarebbe un risultato enorme, ma se non succede, non so se avrò la forza di insistere».

Guzzo aveva un contratto annuale con la Zalf. Entrato nel 2020 ha chiuso nel 2023
Guzzo aveva un contratto annuale con la Zalf. Entrato nel 2020 ha chiuso nel 2023

Ora le corse più adatte

Allora bisogna andare a caccia di altri risultati, fare sempre meglio: «Arrivano gare che si adattano molto alle mie caratteristiche come la Firenze-Viareggio, il Giro del Casentino e le prove pavesi. Io ce la metterò tutta, sperando che mi portino bene e che magari alla fine il telefono squilli…».

Modolo e le volate di Van Aert al Tour de France

13.08.2024
5 min
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Il Tour de France è stato il trampolino di lancio perfetto per l’appuntamento olimpico di Parigi 2024. Molti corridori che sono stati protagonisti nella corsa a cinque cerchi sono passati dalla Grande Boucle. Oltre al vincitore Remco Evenepoel, anche il suo compagno di nazionale Wout Van Aert ha corso sulle strade del Tour prima di andare a Parigi. Il belga della Visma-Lease a Bike ha sfruttato quelle tre settimane per gettare una base in vista della corsa olimpica. Ma, come ogni grande campione, non si è tirato indietro e si è dato spesso da fare cercando di cogliere il bersaglio grande: una vittoria. 

A Rimini, nella prima tappa è arrivato terzo, una grande occasione sfumata, il percorso era favorevole
A Rimini, nella prima tappa è arrivato terzo, una grande occasione sfumata, il percorso era favorevole

Qualche incertezza

Van Aert l’ha sfiorata in un paio di occasioni, nella 12ª e 13ª tappa, nelle quali ha colto due secondi posti dal gusto un po’ amaro. Il belga ha sfruttato la Grande Boucle per lanciarsi in qualche volata e testarsi in questo nuovo campo. Difficile però entrare nel novero dei velocisti quando al Tour ci sono tutti i migliori. Di questo si è accorto Sacha Modolo, ex corridore e sprinter, che con il suo occhio tecnico non ha mancato di sottolineare appunti e note emerse dal Van Aert velocista.

«Va detto – spiega subito Modolo – che parlo da estimatore di Van Aert, non da critico. Lui è un corridore fortissimo, il quale però al Tour non è arrivato al massimo della condizione e in alcuni momenti si è visto. Rispetto all’anno scorso era più insicuro, probabilmente a causa dell’infortunio patito in primavera. L’avvicinamento al Tour non è andato come previsto e questo ha un po’ minato la sua sicurezza, non era in condizione top. Poi va sottolineato che Van Aert anche al 90 per cento va più forte di metà dei corridori in gruppo. Però per vincere serve essere al massimo, specialmente in una gara così importante».

Dov’è Van Aert? Stretto alle transenne, mentre gli altri sprintano lui è costretto a rialzarsi
Dov’è Van Aert? Stretto alle transenne, mentre gli altri sprintano lui è costretto a rialzarsi
Da cosa lo hai notato?

Dalle volate. Ogni volta che si lanciava in uno sprint limava fino all’ultimo, cercando di guadagnare terreno attaccato alle transenne. Non è però una mossa vincente quando sei in una volata, il velocista è furbo e quando vede l’ombra chiude la porta. In maniera più o meno scorretta, ma poi questo è un problema dei giudici. 

Cercare le transenne è un segno di debolezza?

In generale sì, ma qualche tempo fa di più. Ora vedo tanti velocisti che fanno le volate vicini alle transenne. Se sei in testa è un modo per rimanere coperti un po’ di più. Gli spettatori e le transenne proteggono dal vento, se invece sei a centro strada rimani scoperto. Però un conto è quando si parte dal centro e poi si va verso le transenne, altro quando si scatta già attaccati al bordo. 

Essere chiusi diventa più semplice.

Rimani coperto e riparato dal vento, ma se non trovi lo spiraglio non passi mai. E il velocista forte, quello che è anche furbo, lo spazio sulle transenne lo chiude. Van Aert al Tour provava sempre a uscire all’ultimo e rimaneva sempre penalizzato. Ad onor del vero va detto che non avendo un treno non poteva prendere il centro della strada e primeggiare, ma doveva fare le volate di rimessa. Però al Tour non ho visto questi treni devastanti, forse la Alpecin era l’unica in grado di comandare. 

Cosa gli è mancato, solo la condizione?

In realtà anche l’occasione giusta. Non ci sono state tappe mosse dove i velocisti arrivavano cotti e lui poteva inserirsi e vincere perché più fresco. Van Aert le volate ristrette rischia di dominarle, talmente è forte. Ha tanti watt e uno scatto importante, ma non ha l’esplosività pura tipica degli sprinter. Magari gli mancano quei 20 watt, sono pochi ma fanno tanta differenza. 

Con il passare dei giorni il divario con i migliori si assottiglia, le chance aumentano
Con il passare dei giorni il divario con i migliori si assottiglia, le chance aumentano
Perché?

La volata da qualche anno a questa parte è diventata tenere dei watt altissimi per 30 secondi. Ti trovi alle spalle dell’ultimo uomo che sei già a 1.000 watt, di media in quei 30 secondi devi avere 1.150 o 1.200 watt. Il picco di potenza di 1.800 watt conta fino ad un certo punto se poi non riesci ad essere costante. Questi sono numeri di un velocista medio, con un peso intorno ai 72 chilogrammi. Questo l’ho imparato alla Alpecin, quando correvo con loro, per il velocista ciò che conta sono i watt puri sui 500 metri.

Van Aert non ha questi numeri…

Non perché sia scarso ma perché per averli dovrebbe snaturarsi un po’. Avete visto che accelerazione ha fatto per seguire Van Der Poel sulla salita di Montmartre? Spaventosa. Però scattare in salita è diverso rispetto a farlo in pianura. Sono due prestazioni totalmente diverse. 

Come potrebbe fare Van Aert per vincere una volata?

Nelle corse a tappe di tre settimane lui può emergere nell’ultima, quando i valori si pareggiano e i velocisti sono stanchi. In quei casi i numeri un po’ scendono e lui può dire la sua. Oppure nelle frazioni mosse, nelle quali rimane più fresco e riesce a infilare i favoriti. Per vincere le volate testa a testa dovrebbe snaturarsi e non gli conviene.

EDITORIALE / La favola di Parigi, il tricolore e l’isola che non c’è

12.08.2024
6 min
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C’è tanta bellezza nelle ragazze e nei ragazzi azzurri che nelle ultime due settimane a Parigi hanno lottato per dare corpo ai loro sogni. Ci commuove vederli sul podio mentre cantano l’inno e anche quando non ce la fanno e osservano attoniti la vittoria di altri, immaginando di rifarsi la prossima volta. Ci dispiace anche per “Gimbo” Tamberi, anche se nella sua platealità non riconosciamo nulla di quello che ci fa amare lo sport.

Ascoltiamo le parole di Velasco dopo l’oro nel volley femminile (in apertura foto Simone Ferraro, Coni) e ci alziamo in piedi per applaudirlo, quando con grande calma interiore risponde che le sconfitte vanno accettate e non trasformate in ossessioni, perché altrimenti ne rimani prigioniero e non ne vieni fuori. Proviamo orgoglio nel veder sventolare quei tricolori, perché per un attimo crediamo davvero di essere parte di un popolo che ci crede. Funziona così, almeno fino al momento in cui la fiaccola si spegne, Tom Cruise se la porta in America e ti svegli il giorno dopo e capisci che è stato un sogno.

Vittoria Guazzini e Chiara Consonni, oro nella madison con il tricolore sulle spalle
Vittoria Guazzini e Chiara Consonni, oro nella madison con il tricolore sulle spalle

Il 28 agosto a Parigi inizieranno le Paralimpiadi e non avranno la stessa fiaccola degli altri perché è in volo per Los Angeles. Non è una discriminazione? Perché non dovrebbero godere della magia dei cinque cerchi e di quella fiamma a suo modo sacra?

Tutti al Quirinale

I campioni stanno tornando a casa e saranno accolti come eroi. Roncadelle, paesino bresciano di 9.000 anime, abbraccerà i suoi tre ori olimpici. A casa Consonni faranno ritorno due fratelli che da Parigi hanno portato un oro, un argento e un bronzo. Il presidente Mattarella ha esteso l’invito al Quirinale agli atleti arrivati al quarto posto, per cui ci sarà posto anche per il quartetto delle ragazze. E loro andranno, tutti quanti. Sentiranno le belle parole, restituiranno il tricolore ricevuto il 13 giugno e si concederanno le vacanze che meritano. Mentre noi per allora saremo già tornati alla normalità.

La normalità

Ritroveremo i cori razzisti negli stadi (il calcio preme con le sue assurdità dal fondo dei giornali). I social volgari. Il colore della pelle usato come un insulto. L’indignazione ipocrita quando Fiona May o Paola Egonu ci indicano come un popolo razzista e noi, che per larga parte lo siamo davvero, non abbiamo le palle per emarginare chi di quell’odio si nutre.

Torneremo al Nord contro il Sud. All’immondizia nelle strade. All’arroganza del traffico. Ai femminicidi. Alla disuguaglianza di genere come regola generale. Ai ciclisti ammazzati. Agli youtuber che insultano. Ai politici che abbiamo eletto e che, con lo stesso tricolore sulle spalle, riscrivono regole che rendono tutto incomprensibile.

Finché arrivi a dirti che forse sia normale e che il mondo dello sport, come l’isola che non c’è, sia un regno a parte, in cui vive chi crede ancora nelle fate. Non sarà invece che questa normalità fa decisamente schifo, almeno quanto la nostra incapacità di combatterla?

Elia Viviani, sorretto da Diego Bragato, dopo l’argento della madison
Elia Viviani, sorretto da Diego Bragato, dopo l’argento della madison

I cugini d’Oltralpe

Ci assale il ricordo dei giorni francesi del Tour e i pensieri che facciamo ogni volta su quel popolo che non è perfetto e che con il suo sciovinismo certi giorni ci sta sui nervi. Ogni volta però notiamo anche che hanno la bandiera sul tetto e un diverso senso della Repubblica. Scendono nelle piazze e bloccano le strade se il carburante costa troppo o se qualsiasi categoria subisce un torto. Si fermano tutti, ma proprio tutti, anche quando i trattori gli impediscono di arrivare puntuali al lavoro. E alla fine, rovesciano il cartello con il nome del paese per far capire che loro sono contro. Non sono perfetti, non vogliamo farne dei santi. Anche le loro periferie sono nel degrado. Eppure i francesi sanno che ci si può opporre ai soprusi di Stato e che, facendolo tutti insieme, si ottengono risultati.

A noi questo manca e oggi la consapevolezza ci ha portato a uscire dal seminato del mondo del ciclismo. Non che qui manchino i problemi, ma a forza di ragionare per compartimenti stagni si perde di vista il quadro generale e la necessità di fare qualcosa.

Sono tanti i Comuni francesi che hanno capovolto i cartelli in senso di dissenso contro le politiche agricole del Governo
Sono tanti i Comuni francesi che hanno capovolto i cartelli in senso di dissenso contro le politiche agricole del Governo

Non amici, ma compagni di squadra

Riprendiamoci l’Italia, prima che sia tardi. Cancelliamo dai nostri contatti i portatori di odio. Suoniamo come pazzi il clacson quando l’auto davanti getta un rifiuto in strada o qualcuno si libera di una cicca di sigaretta. Andiamo a votare. Non lasciamo tutto in mano a chi pensa a sé e non al nostro bene. Siamo noi a pagare i loro stipendi e lasciamo che ci comandino come se fossero i pastori e noi le pecore. Non dobbiamo essere amici, ma compagni di squadra.

«Ho detto alle ragazze – ha spiegato ieri Julio Velasco dopo l’oro nel volley femminile – che non c’era bisogno di essere tutte amiche. Anzi, ho fatto il contrario. Ho detto: “Se siamo amiche bene, se no va bene lo stesso. L’importante è che giochiamo insieme perché nello sport, l’aiuto che si danno i giocatori non è per amicizia, è perché il gioco è così”. Se una giocatrice va a coprire una compagna, non è che ci va perché ha un buon rapporto fuori del campo, ma perché serve alla squadra».

Mattia Furlani, di Rieti, ha colto il bronzo di Parigi nel salto in lungo (foto Simone Ferraro, Coni)
Mattia Furlani, di Rieti, ha colto il bronzo di Parigi nel salto in lungo (foto Simone Ferraro, Coni)

Il tricolore sulle spalle

Proviamo a tenere quel tricolore sulle spalle, non restituiamolo a Mattarella (siamo certi che capirebbe). Alcune delle ragazze che applaudimmo in giorni come questi sono state vittime di abusi. Tanti ciclisti e cicliste sono morti sulle strade. Tanti atleti, probabilmente tutti, sono stati feriti per il colore della pelle. Se ci sta bene tutto questo, rinunciamo a rendere questo posto un po’ meglio di come l’abbiamo trovato, torniamo pure agli ombrelloni e riponiamo il tricolore nel cassetto. Potremo tirarlo fuori al prossimo mondiale o alla prossima Olimpiade. Oppure comprarne uno al semaforo da uno dei tanti stranieri di cui altrimenti non ci accorgeremmo neppure.

Polonia al via: 7 tappe tiratissime. Parla Mohoric, campione uscente

12.08.2024
5 min
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Scatta oggi il Tour de Pologne. Lo scorso anno fu una della corse più entusiasmanti della stagione con quel traguardo volante a decidere l’esito dell’intero giro polacco. Un duello che vide protagonisti  Matej Mohoric e Joao Almeida e anche le rispettive squadre.

A distanza di un anno torniamo a parlare del Tour de Pologne proprio con Mohoric. L’alfiere della Bahrain-Victorious ci fa un po’ da Cicerone per quel che concerne il percorso. Sarà una gara di altissimo livello. Al via anche Vingegaard, Pello Bilbao (compagno di Mohoric), e poi Gregoire, Majka…

Lo sloveno (classe 1994) ha fatto un bel po’ di fatica al Tour. Ora spera di aver recuperato
Lo sloveno (classe 1994) ha fatto un bel po’ di fatica al Tour. Ora spera di aver recuperato
Matej, come ci si sente a presentarsi ad un corsa come campione uscente?

Bene dai! Ho dei bei ricordi dell’anno scorso. Il Giro di Polonia era più vicino alla fine del Tour dal quale uscii molto bene. Mi ritrovai con una gamba molto buona. Avevo sensazioni super e forse è stato uno dei periodi in cui sono andato più forte in assoluto.

Una gara al limite in effetti. E fu divertente viverla da dentro…

In generale il Tour de Pologne è una gara adatta alle mie caratteristiche. Nel 2019 vinsi una tappa, nel 2021 arrivai secondo nella generale e l’anno scorso l’ho vinta. Propone salite brevi e spesso intense. Ogni volta che torno qui so che posso fare bene. E questo conta molto mi dà fiducia e motivazione.

Hai studiato il percorso? 

Direi che è simile a quello degli anni scorsi, quel che cambia di più è la crono, che quest’anno è parecchio impegnativa: in pratica ripercorre il finale della prima tappa. Prima è pianeggiante, poi ci si immette in una valle e s’inizia a salire. Magari è più adatta a scalatori come Majka, Vingegaard… e meno a corridori come me. A Katowice l’anno scorso era una crono più tecnica, con curve strette, tratti in pavé. Alla fine dipenderà molto dalla condizione. 

In effetti le difficoltà sono concentrate quasi tutte nelle prime tre tappe…

Già dopo le prime due tappe la classifica generale sarà molto chiara, poi restano insidiose la terza e la sesta tappa, ma non saprei dire quale di queste due potrà essere più decisiva. Mi verrebbe da dire la terza, più che altro perché solo due corridori per squadra avranno le radioline. C’è da fare un circuito due volte con una salita abbastanza lunga e l’arrivo è su uno strappo di 1,8 chilometri con 300 metri al 12 per cento. E sono tre tappe difficili consecutive.

A proposito di radioline, tu l’avrai?

Non so, dipenderà anche dalla classifica. La porteranno il leader e il road capitan. Ma sarà interessante anche perché non è complicato solo il finale della terza tappa, ma anche l’avvio.

Quarta e quinta invece dovrebbero essere in volata…

Esatto, mentre la sesta, quella di Bukovina è sì impegnativa, si arriva su uno strappo, ma non sarà poi così difficile. Alla fine immagino sarà il solito Tour de Pologne con distacchi minimi e grande importanza degli abbuoni. Si giocherà sul filo dei secondi.

Prima, Matej, hai accennato alla tua condizione, ebbene come stai?

Non sono proprio convinto della mia condizione. Al Tour non stavo bene, mi sono ammalato, speravo di migliorare nell’ultima settimana, ma ci sono arrivato davvero stanco. Anche nell’ultima settimana ci ho messo un po’ a sentirmi bene. Ed anche alle Olimpiadi non ero super in più ho anche rotto la bici. Insomma brancolo un po’ nel buio: mi è difficile intuire come sto.

Mohoric nella tappa dello sterrato al Tour. Matej è iridato gravel in carica e vuole difendere il titolo in Belgio il prossimo 5 ottobre
Mohoric nella tappa dello sterrato al Tour. Matej è iridato gravel in carica e vuole difendere il titolo in Belgio il prossimo 5 ottobre
Al Tour hai avuto il Covid?

A Firenze e nelle prime tappe stavo ancora bene, poi ho preso un virus, ho avuto anche la febbre una notte, speravo e spero solo di recuperare il prima possibile, perché ho una grande voglia di tornare a sentirmi bene. Correre così non è stato piacevole.

In effetti è stato il Tour che ti ha portato giù, perché prima avevi vinto il titolo nazionale a crono…

Sì stavo bene prima, ma dopo il Tour, come detto, non sono stato bene. Non avevo recuperato. E lo stesso a Parigi. Per esempio quando ho rotto la bici io, anche Pedersen l’aveva rotta, solo che lui è riuscito a rientrare e io no.

E allora come si riprende una situazione simile: ti alleni di più o al contrario cerchi di recuperare il più possibile?

Mi alleno normalmente e prima o poi il fisico si riprenderà. Una cosa è certa: se sto male non insisto troppo. Mentre se sto bene mi allenato forte e mi piace spingere. Dopo Parigi ho iniziato a stare meglio e mi sono allenato di più. Ma come detto prima, non so di preciso a che punto sono.

Quale sarà il tuo programma da qui a fine stagione?

Dopo il Tour de Pologne farò il Renewi Tour e quindi mondiale gravel, prima di questo anche un’altra gara gravel, e il mondiale su strada. Mentre non so se farò la trasferta canadese.

Al Tour Femmes la promessa di una Magnaldi più aggressiva

12.08.2024
5 min
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Al Giro d’Italia Women l’abbiamo vista un po’ diversa dal solito e fra poche ore riattaccherà il numero sulla schiena dopo un mese. A mezzogiorno di oggi scatta il Tour de France Femmes dove Erica Magnaldi cercherà di mettere in pratica un nuovo modo di approcciare le gare (in apertura con la nuova maglia).

La trentunenne dottoressa della UAE Team ADQ ha sempre disputato la Grande Boucle migliorando la propria classifica ed anche stavolta vorrà fare altrettanto. Magnaldi non è una sprovveduta, sa che non sarà semplice, però la versione di lei vista a luglio sulle strade italiane non pone limiti a buone prestazioni. Ecco cosa ci ha detto proprio alla vigilia del Tour.

Magnaldi, Swinkels, Harvey, Bertizzolo e Holden si sono preparate a Tignes. Al Tour ci saranno anche Persico e Kumiega (foto UAE Team ADQ)
Magnaldi, Swinkels, Harvey, Bertizzolo e Holden si sono preparate a Tignes. Al Tour ci saranno anche Persico e Kumiega (foto UAE Team ADQ)
Com’è stato l’avvicinamento?

E’ andato tutto bene. Dopo il Giro Women sono stata tre settimane in altura a Tignes assieme alle compagne con cui farò il Tour (Bertizzolo, Swinkels, Harvey e Holden, ndr) ed abbiamo fatto davvero un ritiro molto proficuo. Poi ho fatto qualche giorno a casa a Cuneo dove ho proseguito con gli allenamenti, nonostante il grande caldo.

Anche lo stesso Giro Women faceva parte della preparazione?

Diciamo di sì. Ad inizio stagione avevamo stabilito che il Tour sarebbe stato un obiettivo più concreto da perseguire, però poi bisognava vedere come andava al Giro. Infatti abbiamo dovuto rivedere in corsa i programmi. Dopo il quinto posto finale dell’anno scorso, mi sono resa conto che non avevo ancora la condizione per curare la generale. A quel punto ho preferito concentrarmi sulle tappe più adatte a me, alternandomi con Persico. E alla fine sono contenta perché ho trovato il modo di correre in maniera più aggressiva, abbastanza differente dal mio modo classico.

Giro Women. Magnaldi ha chiuso terza nella tappa di Chieti (dietro Lippert e Edwards), ma ne è uscita più consapevole dei propri mezzi
Giro Women. Magnaldi ha chiuso terza nella tappa di Chieti (dietro Lippert e Edwards), ma ne è uscita più consapevole dei propri mezzi
Nella frazione di Chieti sei stata protagonista chiudendo con un bel terzo posto che forse meritava qualcosa in più.

Quella è stata una bella giornata, nella quale mi sono sentita molto bene. Sì, forse ho un po’ di rammarico, ma riflettendoci sono soddisfatta. Nel finale ho capito che non potevamo guardarci troppo in faccia altrimenti saremmo state riprese. Così sull’ultima salita ho sempre tirato io con un’andatura alta. Poi sul viale d’arrivo hanno prevalso la freschezza e le caratteristiche veloci di Lippert che ha vinto. Ma l’ho detto subito, meglio arrivare terza che undicesima dopo essere stata tutto il giorno in fuga come era successo due giorni prima ad Urbino. Non volevo che si ripetesse.

Cosa hai appreso da quel giorno?

Sicuramente che sono capace di correre in modo diverso. Ho preso maggiore consapevolezza di tanti aspetti. Ad esempio che so vedere la corsa e centrare la fuga giusta. Poi vi confesso che mi è piaciuto molto correre in avanscoperta per giocarmi la tappa. E’ vero che è dispendioso, ma dipende da come ti approcci. Ho capito che devo provare a rischiare qualcosa in più del solito.

Quindi al Tour, tappe o classifica?

Se devo dare una risposta secca, dico classifica. L’obiettivo è quello di entrare nella top ten (diciottesima nel 2022, tredicesima e prima italiana l’anno scorso, ndr). Tuttavia con la squadra sono stata molto onesta. Vediamo quello che ragionevolmente posso fare. Curare la generale ti limita molto, però vorrei trovare il giusto compromesso di correre. Puntare alle tappe senza perdere di vista il piazzamento della classifica.

Il ritiro in altura a Tignes è stato molto proficuo per Magnaldi. La condizione è buona (foto UAE Team ADQ)
Il ritiro in altura a Tignes è stato molto proficuo per Magnaldi. La condizione è buona (foto UAE Team ADQ)
Ad oggi quanto ti senti vicina a questa soluzione?

Realisticamente so che non posso tenere in salita il passo di Vollering o Longo Borghini anche se non ci sarà, però mi sono resa conto che adesso posso anticipare i momenti decisivi nelle tappe più dure o più lunghe. Naturalmente poi dipende dalla condizione di ognuna di noi. Ora ci sono sempre più ragazze che possono competere per una top ten. Per farvi capire, al Giro Women sul primo passaggio sul Blockhaus, che abbiamo fatto forte, eravamo comunque in venticinque.

Chi possono essere le tue avversarie più dirette per la classifica?

A parte Vollering che è favorita, credo che molte di noi siano sullo stesso piano, come dicevo prima. Così, giusto per fare dei nomi, i primi che mi vengono in mente sono Niewiadoma, Muzic e Labous. Vedrete che loro saranno là davanti, ma la lista è certamente più lunga.

Come giudichi il tracciato del Tour Femmes?

Non è così semplice come qualcuno può pensare. E’ un percorso che presenta tanti ostacoli da non sottovalutare. Partiamo da Rotterdam e il vento che ci può essere a quelle latitudini non è proprio nelle mie corde. Le tappe olandesi e belghe sono sempre piene di insidie. Già in quelle non bisognerà perdere contatto.

Messa da parte la classifica, Magnaldi al Giro Women ha deciso di correre in modo aggressivo le tappe, anche divertendosi a stare in fuga
Messa da parte la classifica, Magnaldi al Giro Women ha deciso di correre in modo aggressivo le tappe, anche divertendosi a stare in fuga
Erica Magnaldi ha già messo un circolino su qualche tappa?

Guardando il percorso, devo dire che mi piace molto la settima, quella che arriva a Le Grand-Bornard. E’ una tappa di quasi 170 chilometri senza pianura che arriva dopo tanti giorni di fatica. Però anche il terzo giorno con la tappa di Liegi è particolarmente stuzzicante, anche se forse è ancora presto. E pure la sesta frazione è molto incline alle mie caratteristiche. Diciamo che le mie carte me le potrei giocare più verso la fine del Tour, ma è ovvio che se si presentasse un’occasione prima non mi tirerei certamente indietro.

A livello tattico che Tour potremmo vedere?

Sia il Giro Women che le Olimpiadi possono condizionare l’economia della gara. In realtà erano compatibili entrambi, ma le gare di Parigi potrebbero aver lasciato qualche scoria più mentale che fisica alle atlete che hanno partecipato. Vedremo come andrà, di sicura bisognerà stare molto attenti.

Biesse-Carrera, crescono bene le juniores arancio-nere

11.08.2024
7 min
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Con loro in corsa il tassametro viaggia veloce. Tredici vittorie condite da altri venti podi stagionali e numerose top cinque. Spesso i numeri non dicono tutto, ma finora hanno parlato molto chiaramente a favore delle juniores della Biesse-Carrera (in apertura foto Ossola).

Il conto si è aggiornato proprio ieri con l’uno-due messo a segno da Silvia Milesi ad Ornavasso nella doppia gara (cronoscalata e gara in linea) organizzata da Longo-Borghini. Al momento la formazione arancio-nera è la migliore del ranking italiano con un ampio margine sulle altre. La qualità nella Biesse-Carrera non manca grazie ad alcune ragazze nel giro delle nazionali di strada e pista, ma forse una stagione in questi termini ha destato qualche sorpresa. Con il diesse Andrea Manzini abbiamo fatto una chiacchierata per conoscere meglio la loro realtà.

Andrea ti aspettavi un’annata del genere?

Onestamente no, siamo andati oltre le nostre più rosee aspettative. Sapevamo che avremmo potuto raccogliere dei risultati, ma non così. Già dalle prime corse abbiamo vinto e abbiamo proseguito. Siamo contenti naturalmente, considerando soprattutto che siamo al primo anno di vita nella categoria. Io ed una parte dello staff arriviamo dallo scioglimento della Valcar e la nostra squadra è nata da un mix di altre società che cessavano l’attività nelle juniores.

Come funziona il rapporto con la Biesse-Carrera continental maschile?

Abbiamo il nome uguale e condividiamo il medesimo magazzino, però abbiamo due strutture separate nonostante il team manager sia lo stesso (Renato Galli, ndr). Loro sono affiliati a Brescia, noi a Bergamo dove abbiamo la nostra sede. Il nostro principale dirigente è Marco Zambelli, che oltre ad essere uno sponsor, tiene le redini della squadra.

Oltre a direttore sportivo, rivesti altri ruoli?

Innanzitutto sono contento che a fine 2023, quando ero libero, mi abbiano chiamato per portare avanti questo progetto. Sono anche il preparatore atletico delle ragazze, a parte di due. Non ho problemi se le atlete hanno il loro allenatore, tuttavia ho notato rispetto al passato che se hai la possibilità di seguire direttamente le atlete, puoi gestire meglio l’avvicinamento alle gare. La tipologia di allenamento la faccio in base alle gare nelle quali posso dare spazio alle ragazze più adatte.

Che tipo di squadra avete?

Abbiamo una formazione estremamente equilibrata, come tradizionalmente mi piace allestirle. Abbiamo il blocco delle velociste e quello delle scalatrici. Vengo dall’esperienza in Valcar dove avevamo Venturelli, che era il faro. Qua invece non abbiamo una vera e propria leader, ma ci sono tante ragazze che si giocano le proprie carte con buone probabilità di fare bene. Infatti la nostra squadra quest’anno ha avuto un rendimento costante, nel senso che quando calavano certe ragazze, ne avevamo altre che erano al top. Abbiamo raccolto tredici vittorie con quattro atlete diverse. Non è una frase fatta per noi, ma l’unione fa ed è la nostra forza.

Risultati alla mano, vuoi parlarci di queste quattro ragazze che sono anche azzurre?

Quando mandi delle atlete in nazionale è sempre una soddisfazione per noi tecnici e per la stessa società. Se poi portano a casa anche delle medaglie internazionali, tanto meglio come agli ultimi europei U23 e juniores di Cottbus. Bianchi ha vinto il bronzo nella velocità a squadre, mentre hanno fatto altrettanto Milesi e Iaccarino nell’inseguimento a squadre. Bianchi e Iaccarino fra poco dovrebbero partire per i mondiali juniores in pista in Cina (dal 21 al 25 agosto, ndr) e poi si concentreranno per gli europei su strada. Zambelli e Milesi invece che hanno caratteristiche per corse dure, inizieranno a preparare il mondiale su strada. Tutte e quattro in primavera erano state chiamate dal cittì Sangalli per Omloop Van Borsele e Tour du Gevaudan Occitanie, le due prove di Nations Cup su strada. Dobbiamo far conciliare tutto al meglio e non ci fermiamo qui…

Passista-scalatrice. Alessia Zambelli ha centrato due vittorie ed è nel giro della nazionale juniores. E’ in lizza per il mondiale (foto Ossola)
Passista-scalatrice. Alessia Zambelli ha centrato due vittorie ed è nel giro della nazionale juniores. E’ in lizza per il mondiale (foto Ossola)
Continua pure.

Milesi dal 13 al 22 agosto andrà a fare lo stage con la BePink-Bongioanni. A fine agosto al Giro di Toscana (gara a tappe di classe 2.2, ndr), oltre ai team continental parteciperanno anche le rappresentative regionali. La Lombardia ha convocato Giorgia Manzini e Giorgia Giangrande che saranno compagne di Magri, Valtulini ed altre elite. Per loro sarà molto importante confrontarsi con atlete più esperte e straniere. Sono sicuro che in quei quattro giorni faranno molta esperienza. Non dimentichiamo che c’è anche Pighi nel giro della nazionale del ciclocross.

Hai riscontrato qualche difficoltà in questa stagione?

Per fortuna non ci sono stati lati negativi finora. Anche quando non andiamo bene, lo prendiamo come una occasione per crescere con estrema serenità. Pensate che qualche mese fa al termine di una corsa, abbiamo brindato perché avevamo sbagliato tutto quello che potevamo sbagliare (racconta divertito, ndr). Le ragazze recepiscono, chiedono e abbiamo un bel rapporto. Tutte hanno sempre atteggiamenti educati e rispettosi, prerogativa che peraltro guardo quando faccio scouting e che dico subito ad inizio stagione. Ed anche a scuola vogliamo che quella sia la priorità prima del ciclismo.

In una formazione così vincente come la Biesse-Carrera, quali sono i prossimi obiettivi?

Adesso nel breve termine, vogliamo lavorare sulle nostre quattro azzurre affinché possano garantirsi le convocazioni presentandosi al meglio ai ritiri. Per il resto noi siamo sempre andate alle gare per dare il massimo, a prescindere dal risultato. A noi interessa fare la corsa, prendere in mano la situazione per imparare a correre e non giocare di rimessa. Attacchiamo, ma soprattutto non abbiamo paura di prenderci delle responsabilità.

La Pool Cantù in Belgio, il racconto di Galbusera

11.08.2024
5 min
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All’Auber Thimister Stavelot, la corsa a tappe belga che ha raccolto al via molti dei principali team internazionali e che ha visto  il nuovo successo di Lorenzo Finn, c’era anche la Pool Cantù 1999-GB Junior Team, la formazione lombarda che si sta mettendo sempre più in luce proprio per la sua attività all’estero.

La squadra canturina, che già aveva partecipato nel 2023, ha trovato un baluardo in gara in Simone Galbusera, capace di proiettarsi all’ottavo posto nell’ultima tappa e finire non lontano dalla Top 10 nella graduatoria generale. Un’esperienza molto positiva, che il diciottenne lombardo ha vissuto fin nei minimi dettagli.

Il lombardo in gruppo nella corsa belga, chiusa al 13° posto a 2’08” dal vincitore Lorenzo Finn
Il lombardo in gruppo nella corsa belga, chiusa al 13° posto a 2’08” dal vincitore Lorenzo Finn

«Siamo partiti da casa al mercoledì mattina, noi ragazzi in aereo, mentre il diesse con meccanico e fisioterapista erano con macchina e furgone. Ci sono venuti a prendere in aeroporto e già alla sera abbiamo fatto una sgambata. Per fortuna l’hotel era vicino a tutte le zone di gara, quindi non abbiamo mai dovuto fare molti chilometri di trasferimento e questo aiutava non poco. Il giorno dopo, vigilia dell’inizio della corsa, siamo andati a visionare il percorso dell’ultima frazione che era la più dura con oltre 2.500 metri di dislivello, poi abbiamo fatto le prove del percorso della cronometro del secondo giorno, 3 chilometri abbastanza semplici che dovevamo affrontare tre volte».

Un racconto preciso come pochi il tuo. Veniamo alle gare…

La prima tappa doveva avere nei pronostici un epilogo in volata e così è stato, anche se c’è stata selezione e molti hanno perso il treno giusto. Noi abbiamo lavorato per Riccardo Colombo, che alla fine ha chiuso ottavo. Il secondo giorno tutti guardavano alla cronosquadre, molto veloce tanto è vero che le prime 14 squadre hanno chiuso nello spazio di 25”. Noi siamo finiti 17esimi a 40”. La semitappa del pomeriggio ha forse risentito dello sforzo mattutino, con tante cadute, in 4 si sono avvantaggiati di qualche secondo, io ho chiuso nel primo gruppo. Ma almeno in 40 sono finiti a terra.

La volata a Stavelot che è valsa a Galbusera l’ottava posizione dopo un bel recupero
La volata a Stavelot che è valsa a Galbusera l’ottava posizione dopo un bel recupero
L’ultimo giorno?

Era quello che avevo cerchiato di rosso, sapevo che poteva essere quello a me più adatto. Alla fine però mi è rimasto un po’ di amaro in bocca, perché ho imboccato l’ultima salita con un distacco troppo ampio dalla testa, oltre un minuto e mezzo. In salita ne ho ripresi tanti fino a raggiungere il gruppetto con Remijn, l’olandese che guidava la classifica e nello sprint sul pavé ho avuto la meglio, ma potevo fare di più.

Il vostro team gareggia spesso all’estero, approvi questa scelta?

A dir la verità io ho corso gare internazionali più con la nazionale, ma la scelta è sicuramente giusta e lungimirante. Quando ho fatto l’Eroica sono rimasto davvero sorpreso per la velocità che veniva tenuta soprattutto in pianura. E’ un modo di correre molto diverso da quello a cui siamo abituati. Io mi trovo bene perché ho un passato nella mtb, dove correre a tutta sin dall’inizio è prassi quotidiana. L’ho affrontata sin da quando ero G1 e fino al secondo anno da allievo, poi ho deciso di dedicarmi alla strada in maniera più concentrata.

Simone Galbusera nel team lombardo, al centro, alla sua sinistra c’è il fratello Pietro
Simone Galbusera nel team lombardo, al centro, alla sua sinistra c’è il fratello Pietro
Come hai iniziato?

E’ stato mio padre a “sedurci”, sia a me che a mio fratello Pietro che corre insieme a me nel team ed era anche in Belgio. Mio padre andava in bici da quando io sono nato e il suo esempio ci ha spinto a imitarlo, poi siamo andati avanti trovando in lui sempre un grande sostenitore, considerando anche tutti i sacrifici che ha fatto.

Torniamo alla gara in Belgio, vinta da Finn. Ti ha sorpreso il successo del vostro connazionale?

No, perché sapevo quanto va forte, l’ho visto agli italiani ed era evidente che aveva una marcia in più. E’ certo che la sua esperienza lo sta forgiando, ha un approccio alla gara diverso da tutti noi, un’abitudine a questi ritmi ma anche alla gestione della gara in maniera forte, ferma. Noi siamo più carenti in questo, nella gestione dei ritmi da tenere.

Prima del Belgio, Galbusera aveva vinto il Trofeo Diotto e Roma, battendo Rigamonti, compagno di club
Prima del Belgio, Galbusera aveva vinto il Trofeo Diotto e Roma, battendo Rigamonti, compagno di club
Se avessi avuto la possibilità, avresti fatto la sua stessa scelta pur considerando la tua giovane età e i problemi connessi soprattutto in relazione alla scuola?

Sicuramente. Se vuoi investire parte del tuo futuro in questa attività devi sacrificarti. Lorenzo è approdato in quello che a detta di tutti è il miglior team in assoluto della categoria, per crescita, concorrenza interna, metodi di allenamento. E’ un’esperienza incredibile che lo sta cambiando e sviluppando in maniera incredibile, anche nella gestione di gara e nella cura della forma fisica. Credo che tanti miei coetanei vorrebbero fare la stessa cosa…

Che cosa ti aspetti ora?

Abbiamo ancora un calendario ricco, soprattutto in Italia. Io spero di avere altre occasioni in gare importanti, anche per trovare contatti per la nuova stagione e il cambio di categoria.