Cosa si prova alla fine del viaggio? Si smette di essere corridori come si smette di essere un impiegato o un operaio, con la misura colma e la gioia per il tempo ritrovato? Oppure è diverso e si tratta di spegnere una passione che il tempo e la fatica anziché affievolire hanno reso più potente? Dario Cataldo sta vivendo in maglia Lidl-Trek le ultime settimane di una carriera iniziata da bambino. Il professionismo porta la data del 2007, ma qualsiasi corridore si guardi indietro ti dice che con quella vita c’è nato e ha iniziato a farla dalla prima volta che il sogno c’è acceso.
«La vivo tra alti e bassi ammette – perché senti che la cosa che hai sempre fatto non ci sarà più. La fai da quando sei bambino e poi di colpo andrai in bici solo per il piacere di farlo. Fare l’atleta è qualcosa di cui siamo orgogliosi, quindi il fatto di esserlo ancora oppure dire di esserlo stato ha un peso molto diverso. Però allo stesso tempo ho voglia di fare qualcosa d’altro, voglia di mettermi in gioco. Quando sono in bici, ci sono alti e bassi. Magari in allenamento fai il tuo dovere, i tuoi lavori e tutto quello che c’è da fare. Qualche volta ho sensazioni un po’ peggiori, perché con il recupero dall’incidente ho dei momenti il cui mi arrivano dei dolori e altri in cui sento che sto facendo dei passi in avanti. Quindi mi metto fiducia e penso che sto meglio, che posso andare più forte, tornare a fare delle belle prestazioni come prima. Invece quando vai in gara cambia tutto, perché i ritmi sono altissimi. Non c’è modo di gestirsi e se hai un minimo di mancanza, un minimo deficit di forza, lo paghi».
Forse questo farà pesare meno il distacco?
Il fatto è che adesso le corse sono molto più “stressanti”, perché si corre in modo molto aggressivo. C’è tanta pressione, anche se nessuno ti punta la pistola. Tutti si sentono responsabilizzati, ti metti pressione da te. Devi guadagnarti il posto alle gare, guadagnarti un contratto per l’anno dopo, che è sempre più difficile. Per questo i corridori sono molto più aggressivi in gara, non si lascia neanche un centimetro in nessun momento della corsa. E inevitabilmente questo fa aumentare il rischio. L’abbiamo visto tante volte e ne abbiamo parlato. Abbiamo visto leader che solo per prendere davanti una curva più veloce in discesa, in un momento che non cambiava la vita a nessuno, hanno rischiato di non correre il Tour (il riferimento è chiaramente a Vingegaard ed Evenepoel al Giro dei Paesi Baschi, ndr). E allora forse uscire da questo ciclismo così tirato pesa meno. Ho vissuto un bel periodo e sono contento di tutto quello che ho fatto, quindi vivo questo passo obbligato in modo abbastanza sereno.
C’è un po’ di quel non vedere l’ora di esserne fuori, tipico di chi va in pensione?
Forse sì e non credo sia una sensazione soltanto mia. Mi sono trovato a parlare di questo con diversi colleghi che hanno più o meno la mia età e tutti hanno lo stesso sentimento. Non voglio dire il rifiuto, però iniziare a sentire che forse non è più il tuo posto. Quando sei giovane e hai vent’anni, paura zero. Sei lì con il coltello tra i denti e non hai la capacità o la coscienza per prevedere certi tipi di pericoli o certe situazioni, quindi vai sempre al limite. Invece con l’esperienza, ci rifletti molto di più.
Niente di nuovo, in realtà…
E’ una cosa che c’è sempre stata, infatti. Mi ricordo che quando ero ai primi anni da pro’, mi dicevano che io mi buttavo a quel modo in discesa perché ero più giovane. In realtà lo fai per l’età poi, da grande, tiri di più i freni. Ne ho parlato con diversi corridori. Ci sono giorni in cui stando in gruppo, senti che non è più il gruppo di qualche anno fa. Non voglio dire che i ragazzi siano meno corretti, ma sono preda di quella tensione. Sentono di non poter perdere nessuna occasione e questo gli mette addosso una pressione diversa, che amplifica l’incoscienza. Il rischio a volte può premiare, a volte può fare dei grossi danni: soprattutto quando è gratuito. L’incoscienza eccessiva non può essere tollerata, perché le conseguenze possono essere davvero pesanti.
Pensi che l’incidente abbia accelerato i tempi della tua decisione?
Quando ho firmato l’ultimo contratto, tra me e me pensai che potesse essere l’ultimo, ma mi tenni una porta aperta casomai avessi avuto voglia e possibilità di fare un altro anno. L’incidente ha tolto questa possibilità e mi ha aiutato a prendere la decisione.
Quest’anno la Vuelta torna sul Cuito Negro, una delle salite più dure di Spagna, dove vincesti una tappa nel 2012. Cosa ricordi di quel Dario?
Erano ancora anni in cui si poteva pensare in grande. Ero arrivato di nuovo nei 15 al Giro d’Italia, ero campione italiano della crono. Avevo ancora grandi aspettative per me stesso e come tutti sognavo in grande. Poi comunque entrai al Team Sky e dovetti fare i conti con la realtà, perché con tanti capitani forti, anche i corridori fortissimi lavorano da gregari. E a quel punto puoi solo adattarti alla situazione.
Come dire che andare forte è un bel biglietto da visita per cambiare squadra e poi diventa una condanna?
Dipende da quanto vai forte, perché magari non basta per essere leader. Quello è un po’ una sfortuna, però è un dato di fatto. Le gerarchie o i ruoli dipendono da quello. Adesso si vede ancora di più, è una situazione che si è amplificata. Ci sono dei corridori, che sono degli alieni, ed è quasi impossibile che altri abbiano spazio. Adesso rispetto a prima c’è bisogno di tutta la squadra per portare a casa un risultato, perché bisogna limare su tutto. Quindi vedi corridori che sono sempre stati dei leader che adesso fanno i gregari. Adam Yates, Maika, Kwiatkowski, che ha vinto Sanremo, Strade Bianche e mondiale, invece da anni fa solo il gregario. La piramide è diventata sempre più stretta. Sono sempre meno quelli ai vertici e sempre più i gregari di lusso che sono sempre più forti.
E’ difficile fare la vita da atleta al 100 per cento sapendo che sei alle ultime corse?
Come dicevo, ci sono alti e bassi. Ci sono giorni in cui voglio fare tutto bene per arrivare giusto alle ultime gare. Altri in cui il sentimento è quello di mollare un po’, che tanto non cambia niente. Ma viene subito spinto dietro da quel senso di responsabilità che fa parte del mindset che hai avuto per tantissimi anni. E allora ti ribelli e dici che devi fare le cose per bene. Quante volte i corridore ti hanno detto che anche se sono in vacanza, sentono il bisogno di andare in bicicletta o fare sport, perché non possono permettersi di lasciare delle cose, di non allenarsi a sufficienza, di non allenarsi bene? Quella cosa non ti abbandona, l’istinto del corridore è di allenarsi bene.
Al momento del suo ritiro, Francesco Totti parlò della paura dell’ignoto che lo attendeva: è una paura che esiste?
Ma certo che c’è, a meno che tu non abbia già iniziato a fare qualcosa cui potrai dedicarti al 100 per cento. Però questa non è una cosa che riescono a fare tutti, perché il mestiere di corridore ti assorbe talmente tanto, che non è facile fare altro nello stesso momento. Per me è stato così, quindi non ho iniziato con altre cose, per cui un po’ di paura c’è. In questo periodo tanti mi chiedono cosa farò dopo. E’ difficile rispondere, perché non ne ho la certezza. Se mi chiedono cosa so fare, avendo sempre fatto il corridore, posso conoscere la teoria di altri lavori, ma non li ho mai fatti. Se mi chiedono cosa mi veda capace di fare, allora posso fare tante cose. Sia perché confido nelle mie capacità, sia perché comunque l’esperienza maturata in tanti anni di corse, in questo ambiente, mi rende consapevole di avere tante competenze. E se non sei stato un buon corridore, è difficile averle. Basterà iniziare, fare il primo passo, il resto verrà da sé. Con l’impegno, con lo stesso modo di lavorare del corridore, impegnandosi sempre al massimo.
Ultima domanda: ha fatto bene Pogacar a non andare all’Olimpiadi?
Secondo me è stato un peccato, sarebbe dovuto andare. Comunque la corsa di un giorno con la condizione del Tour poteva essere una bella soddisfazione. Anche perché storicamente le Olimpiadi sono un obiettivo difficile da centrare, ci sono talmente poche occasioni nella carriera di un atleta, che vanno colte. Anche se a uno come lui, con un palmares così grande, una medaglia alle Olimpiadi non cambia la vita. Però gli avrebbero dato un prestigio così grande, che sarebbe valsa la pena fare ancora una settimana di sacrifici. Invece un’altra cosa…
Prego.
Ha fatto bene a non andare alla Vuelta, anche se da un certo punto di vista ti viene da dire che dopo aver vinto Giro e Tour, quando ti ricapita di poter fare la tripletta? Però è anche vero che fare una stagione così stressante, avendo firmato adesso per cinque anni, non gli permetterebbe di mantenere l’equilibrio per essere competitivo nelle prossime stagioni. Se facesse la Vuelta, avrebbe bisogno di un recupero bello grosso e non so se ne varrebbe la pena.
Quando torni in gruppo?
Sono riserva nelle prossime gare e poi dovrei andare a Montreal e Quebec prima delle corse italiane. Almeno ho dato la disponibilità alla squadra. Mi sto allenando, voglio fare tutto al meglio.