Champoussin, quando i secondi posti hanno un valore particolare

30.08.2024
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Dopo un Tour de France nel complesso modesto, senza squilli, Clement Champoussin ha tirato fuori le unghie: protagonista assoluto all’Arctic Race of Norway dopo una rimonta furiosa nell’ultima tappa piegandosi solo al danese Magnus Cort e secondo anche al Circuito de Getxo dietro il basco Barrenetxea. Il francese dell’Arkea B&B Hotels ha confermato così quella vecchia equazione che vuole chi esce dalla Grande Boucle, anche se corsa in modo anonimo, con una condizione invidiabile, da sfruttare.

Lo sprint finale di Getxo, Champoussin prova a fare lo sgambetto al locale Barrenetxea
Lo sprint finale di Getxo, Champoussin prova a fare lo sgambetto al locale Barrenetxea

Il transalpino di Nizza non si è fermato, chiude un agosto in attivo e si prepara per un grande finale di stagione per rilanciare la sua sfida per il prossimo anno, per il quale ha già il contratto di riconferma con il team WT del suo Paese.

Come giudichi questa tua seconda stagione all’Arkea?

Il primo anno è stato una scoperta, mi sono orientato anche se qualche squillo è arrivato come la tappa nella corsa in Norvegia, nella quale mi trovo particolarmente bene. Ho trovato un team di famiglia con grande senso di ascolto, di condivisione. Quest’anno mi sento più regolare con un 11° posto alla Freccia Vallone, 2° all’Arctic Race, 2° a Gexto. Voglio continuare a migliorare le mie prestazioni nel tempo, ma anche vincere perché tutti corriamo per questo scopo.

Ottava frazione al Delfinato, Clement è già sofferente per il Covid e si ritirerà di lì a poco
Ottava frazione al Delfinato, Clement è già sofferente per il Covid e si ritirerà di lì a poco
Il tuo Tour de France non è stato come quello dello scorso anno, perché?

Sono stato male prima della partenza, ho avuto il Covid mentre correvo il Criterium du Dauphiné tanto che sono stato costretto al ritiro. E ci ho messo molto tempo a riprendermi con il passare dei giorni, pur continuando ad allenarmi e a correre. Mi è particolarmente spiaciuto perché al Delfinato avevo avuto ottime sensazioni, ma gli strascichi sono stati pesanti.

Tra l’inizio e la fine del Tour hai notato un cambiamento nella tua condizione di forma?

Sì. Le mie condizioni fisiche sono migliorate con il passare dei giorni, non solo perché man mano gli effetti del Covid svanivano, ma al contempo sentivo riemergere una grande condizione fisica, il lavoro precedente stava iniziando a dare i suoi frutti. Frutti che ho potuto raccogliere quando la grande corsa francese si era conclusa, per questo era giusto tirare avanti.

Cort guarda al suo fianco Champoussin, tenendolo dietro e vincendo anche l’ultima tappa in Norvegia
Cort guarda al suo fianco Champoussin, tenendolo dietro e vincendo anche l’ultima tappa in Norvegia
Sei andato molto bene all’Arctic Race chiuso al 2° posto, poi al Circuito de Getxo hai ottenuto un altro 2° posto: quale dei due ti ha lasciato un po’ deluso?

Volevo vincere entrambe le volte e mi sono scontrato con qualcuno che era più forte di me. Non fa mai piacere finire al secondo posto per un ciclista, anche se significa portare una bella dote di punti alla tua squadra e quindi onorare al meglio il tuo contratto, ma bisogna anche prendere atto di chi hai contro. Cort sta vivendo anche lui una fase davvero straordinaria, guardate quel che ha fatto dopo il Tour, non esce mai dalle posizioni alte delle classifiche. Lo spagnolo correva sulle sue strade. Io poi non sono abituato a lamentarmi, tanto meno di un secondo posto…

L’impressione è che sei sempre più orientato a essere un corridore in grado di ottenere risultati nelle classiche ma anche nelle brevi corse a tappe: quale delle due dimensioni pensi sia più adatta alle tue caratteristiche?

In realtà mi piacciono le gare di un giorno, come le gare a tappe di una settimana. Ma mi attirano anche i Grandi Giri, so cosa vuol dire vincere una tappa in un evento di questo tipo e una volta vissuto un momento del genere, tu inevitabilmente vuoi sperimentarlo di nuovo. Quel giorno alla Vuelta 2021, quella vittoria da godersi appieno con gli avversari lontani, incapaci di rispondere, pur essendo grandi campioni come Roglic, Yates, Mas è qualche cosa che resta stampato indelebilmente nella mia memoria.

Gli avversari sono staccati, da Roglic in poi: la vittoria alla Vuelta 2021, nella tappa di Castro de Herville è sua
Gli avversari sono staccati, da Roglic in poi: la vittoria alla Vuelta 2021, nella tappa di Castro de Herville è sua
Con questi risultati e questa forma pensi di poter ambire a un posto per i Mondiali e il percorso di Zurigo si adatta alle tue caratteristiche?

Questa è una bella domanda, ma credo che la risposta stia nella mente di Thomas Voeckler. Io possono solo continuare a fare il mio dovere e andare più forte che posso, se mi vuole sono qua…

Guardando le Olimpiadi, pensi che le due medaglie vinte dalla Francia possano dare ulteriore sviluppo al movimento ciclistico nazionale?

Io non faccio parte degli organismi che governano il ciclismo francese, da praticante posso solo sperare che ci sarà un’eredità olimpica. Il successo dei Giochi Olimpici in ogni caso è stato totale, abbiamo ottenuto una quantità straordinaria di medaglie e di titoli, la gente si è esaltata per oltre due settimane non parlando d’altro e il ciclismo su strada, con le medaglie di Valentin Madouas e Christophe Laporte, ha partecipato brillantemente.

Una stagione nel complesso positiva per il nizzardo con 8 Top 10, ma manca la vittoria
Una stagione nel complesso positiva per il nizzardo con 8 Top 10, ma manca la vittoria
Sei sempre in buona evidenza all’inizio come alla fine della stagione: soffri particolarmente il caldo?

Non particolarmente visto che le mie ultime due prestazioni sono state ottenute con il caldo dell’Arctic Race e della Gexto. Non influisce particolarmente la stagione o il clima nelle mie prestazioni, dipende tutto da quando la migliore condizione arriva e il nostro compito è farla arrivare il prima e il più a lungo possibile.

Da qui alla fine dell’anno quali sono i tuoi obiettivi?

Uno solo: vincere!

Preparazione estiva: cala (poco) il volume, ma l’intensità resta

30.08.2024
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Siamo verso la fine di agosto e in qualche modo il grande finale di stagione è già iniziato. A questo punto dell’anno viene da chiedersi come cambia la preparazione. I corridori si allenano ancora in un certo modo? E cosa guardano i preparatori? 

Un tempo neanche troppo lontano, basta andare indietro di 10 anni, forse meno, si diceva che ad un certo punto dell’anno era sufficiente fare del mantenimento, che tanto la condizione non sarebbe continuata a crescere. E che addirittura insistere sarebbe stato controproducente. Di tutto questo ne parliamo con Claudio Cucinotta, uno dei preparatori in forza all’Astana-Qazaqstan . 

Il coach Claudio Cucinotta (classe 1982) cura la preparazione degli atleti dell’Astana e anche di molti biker d’elite
Il coach Claudio Cucinotta (classe 1982) cura la preparazione degli atleti dell’Astana e anche di molti biker d’elite
Claudio, quindi cosa fa un corridore a fine agosto?

Dipende da tante cose. Dalla periodizzazione fatta durante l’anno, dagli appuntamenti in programma, dall’atleta in questione… C’è anche chi in questo momento è al top della forma perché rende bene con il caldo. Altri atleti con certe temperature non vanno altrettanto forte, rendono invece in primavera.

A questo punto dell’anno, mediamente, i valori sono gli stessi o calano un po’?

Rispetto ad inizio stagione quel che è un pelo più basso è il peso e quindi alcuni valori non sono proprio gli stessi. Magari a marzo si hanno più negli sforzi esplosivi, dei picchi assoluti che adesso non si fanno più. Mentre restano più o meno invariati in salita.

A te preparatore cosa interessa fargli fare in questo periodo?

Ancora una volta devo dire dipende. Magari è più difficile che lo scalatore puro faccia dei lavori massimali, mentre lo sprinter deve mantenere alti i livelli di forza sui 5”, sui 15”, sui 30” e quindi farà degli sforzi anaerobici e anaerobici lattacidi. Molto in questo caso è legato al calendario e alle caratteristiche degli atleti.

In questa fase dell’anno, per alcuni atleti non va tralasciato l’aspetto del caldo… che molti soffrono
In questa fase dell’anno, per alcuni atleti non va tralasciato l’aspetto del caldo… che molti soffrono
Okay, facciamo un esempio estremo: Pogacar e Van der Poel che puntano al mondiale. Stesso obiettivo, caratteristiche fisiche diverse. Cosa fanno?

Pogacar può vincere un grande Giro e le classiche, quindi è più forte dal punto di vista aerobico. Van der Poel è più forte nelle classiche, è più esplosivo. Più pronto alle volate e alle salite brevi. Immagino si prepareranno in modo diverso. Pogacar che per sua stessa ammissione ha lavorato molto sulle salite e la resistenza, laddove pagava qualcosa rispetto a Vingegaard, insisterà sugli sforzi brevi, le volate… proprio per rispondere agli attacchi di gente come VdP o Van Aert, che potrebbe anche ritrovarsi nella volata finale e non sono facili da battere.

Chiaro…

Al contrario Van der Poel che sullo sforzo anaerobico è già fortissimo di suo, vista la durezza del mondiale, che a mio avviso propende un filo a favore di Pogacar, lavorerà sulla resistenza. Immagino molta Z3-Z4, per riprodurre il modello prestativo richiesto dal mondiale.

Un tempo, come dicevamo all’inizio, da luglio in poi i volumi calavano parecchio…

I volumi più grandi restano quelli d’inizio stagione. In questa parte dell’anno un’atleta medio ha fatto almeno un grande Giro o è impegnato alla Vuelta e a livello di volume, tra gare fatte e il calendario fitto che si propone, non dovrebbe aver grossi problemi. Quindi si fa “meno volume”, ma l’intensità resta. E con un calendario tanto folto si possono sfruttare proprio le gare per fare intensità e fare meno a casa. E così facendo non gli mancherebbe neanche il volume. Pensiamoci: c’è la Vuelta, è da poco finito il Giro di Germania, c’è il Renewi Tour, poi Bemer Classic… anche chi non è alla Vuelta può mettere insieme 15-20 giorni di corsa gestendo bene i recuperi.

Meno ore, ma l’intensità resta secondo Cucinotta e anche secondo gli altri coach
Meno ore, ma l’intensità resta secondo Cucinotta e anche secondo gli altri coach
Insomma si lavora ancora forte…

Poi per scelta posso anche correre meno e lavorare a casa sull’intensità. Fermo restando che se l’atleta dovrà andare al mondiale non potrà trascurare la parte di volume: la corsa iridata sarà comunque di 6 ore, 6 ore e mezza. Chiaro però che non saranno più le triplette di 5-6 ore d’inizio stagione, ma qualche doppietta di 4 ore, tre ore e mezza. Magari una sola volta fa le 6 ore.

Claudio, invece tu da preparatore quali valori osservi?

Più o meno gli stessi che tengo sott’occhio tutto l’anno. I parametri sono quelli: la potenza media, la normalizzata in gara e in allenamento, forse si dà un pelo più di peso alla variabilità cardiaca che è un buon indice sullo stato di recupero e di freschezza dell’atleta, ma anche questa si valuta tutto l’anno. La vera differenza sapete qual ‘è?

Vai, spara…

E’ che oggi si tende a programmare e a periodizzare meglio. La fase intensa è intensa per davvero e quella di stacco è più netta. Una volta un corridore non staccava mai del tutto nel corso dell’anno. Era sempre abbastanza pronto, ma raramente era al 101 per cento. Oggi invece almeno una o due volte nel corso dell’anno, il corridore non tocca la bici 5-7 giorni. E questo fa sì che arrivi meglio ai periodi di picco, che di solito sono due l’anno, in qualche caso anche tre. Ma questo ti consente anche di poter lavorare sempre, quando ne hai bisogno. Che poi è il concetto che l’amatore medio fa fatica a comprendere. Fanno scarico a 32 di media, quando Pogacar forse fa 28.

Visma-Lease a Bike, obiettivo WorldTour 2026 per Belletta e Mattio

29.08.2024
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L’auspicio di Pietro Mattio di passare nella Visma-Lease a Bike WorldTour è lo stesso dello squadrone olandese. Lo stesso vale per Belletta. Per questo motivo ai due italiani del devo team è stato prolungato il contratto di un altro anno. In modo che nel 2025 proseguano nel cammino di crescita iniziato nella scorsa stagione e guadagnino la solidità che serve.

«Non tutti hanno lo stesso percorso – spiega Robbert De Groot, il responsabile tecnico della squadra – non tutti sono in grado di passare direttamente dagli juniores al WorldTour. E’ un fenomeno che abbiamo osservato anche noi, vedendo negli anni scorsi ragazzi del 2003 oppure 2004 fare direttamente il salto. Resta il dubbio di quanto fossero davvero pronti e l’incognita di quanto dureranno le loro carriere. Per cui oggi non è possibile fare previsioni. Si può ragionare invece su Pietro e Dario, crediamo di averli ben definiti».

Robbert De Groot è il responsabile tecnico del devo team olandese (foto Visma-Lease a Bike)
Robbert De Groot è il responsabile tecnico del devo team olandese (foto Visma-Lease a Bike)

Le differenze culturali

Mattio in fuga al Tour de l’Avenir negli stessi giorni in cui Belletta si è ritrovato al Lidl Deutschland Tour sono i due italiani della squadra. Oltre a loro, ma al piano superiore, c’è Edoardo Affini, che in questi giorni è alla Vuelta.

«In realtà – prosegue De Groot – i contatti fra loro sono esigui, perché non svolgono programmi compatibili. Potrebbero esserlo in futuro. Se c’è una cosa che posso dire sulla nostra squadra è che dopo un po’ che si lavora tutti allo stesso modo, con preparatori e nutrizionisti che propongono programmi coerenti, le differenze di nazionalità tendono a sparire. Restano come ricchezza culturale, ma l’obiettivo è fare di questi ragazzi dei corridori professionisti, a prescindere da quale sia la loro provenienza. Pietro ha avuto una partenza regolare di 2024, Dario un po’ meno e poi ha avuto l’incidente al Tour de Bretagne. E’ stato determinato a tornare e da quel momento la sua stagione ha avuto una svolta. Ha infilato una serie di piazzamenti molto interessanti, che ci hanno spinto a portarlo al Giro di Germania».

La Volta NXT Classic è stata la prima gara pro’ del 2024 per Mattio
La Volta NXT Classic è stata la prima gara pro’ del 2024 per Mattio

Non tutti possono vincere

La solidità di Mattio e la brillantezza di Belletta, gli facciamo notare, non hanno ancora portato a risultati personali di rilievo. Zero vittorie, avendo però lavorato tanto e spesso per far vincere i compagni.

«Non hanno ancora vinto – ammette De Groot – ma ci stanno provando e ci proveranno ancora e sempre di più. Non si può dire che Pietro al Tour de l’Avenir non sia andato in fuga. Ha fatto una corsa veramente solida. Stessa cosa per Dario in Germania (in apertura la fuga di 112 chilometri della seconda tappa, ndr). Ma non è detto che tutti debbano e possano vincere, ragioniamo su questo. Ci sono carriere che prevedono altro. Corridori molto rispettati anche se non vincono perché magari fanno vincere gli altri. Credo sia presto mettere etichette su ragazzi di vent’anni, anche perché sono in piena fase di sviluppo. Certamente, per il percorso che abbiamo individuato e che loro hanno condiviso, il 2025 sarà l’anno in cui avranno le potenzialità per emergere. Vincere non è mai facile, anche fra gli under 23».

Il devo team olandese è un crogiuolo di nazionalità amalgamate dallo stesso metodo di lavoro (foto Visma-Lease a Bike)
Il devo team olandese è un crogiuolo di nazionalità amalgamate dallo stesso metodo di lavoro (foto Visma-Lease a Bike)

La base negli juniores

Il tema iniziale interessa. I passaggi prematuri e le attenzioni su categorie giovanili che negli anni sono cambiate, se non nella quantità di certo nell’interpretazione. Quanto deve essere intensa l’attività negli juniores, come suggeriva la saggezza dei vecchi tecnici, se la categoria è ormai palesemente la porta di accesso al professionismo?

«E’ chiaro che già negli juniores – De Groot dice la sua – sia necessario saper lavorare seguendo un metodo che abbia seguito negli anni successivi. E’ chiaro che si debba saper mangiare nel modo giusto, sapendo anche che il vero… approfondimento si farà nei devo team. Quando ho cominciato 16 anni fa, sentivo dire spesso che in alcuni Paesi gli juniores venivano viziati con i migliori materiali, senza che però gli venissero insegnate le cose fondamentali dello stare in gruppo. Oggi mi pare che tutto questo non avvenga più. E’ chiaro che non tutti lavorino allo stesso modo. Per questo nella scelta dei ragazzi da inserire nel devo team, guardiamo anche alla loro storia. Da qui a dire che avranno carriere lunghissime oppure no, il passo è lungo. Siamo tutti nella stessa fase storica, capiremo insieme se il metodo attuale paga oppure no. Intanto però restiamo su Pietro e Dario. L’obiettivo condiviso è arrivare nel WorldTour nel 2026 quando avranno 22 anni. E per questo stiamo lavorando. Detto questo, non vengo per il Giro del Friuli, ma sarò in Italia per la Coppa San Daniele e per il Piccolo Lombardia, ci vediamo lì?».

SC Padovani: 40 anni dopo, un ritorno in grande stile

29.08.2024
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Il panorama delle squadre under 23 ed elite italiano si allarga, è notizia di questi giorni che la SC Padovani tornerà a formare una squadra nella categoria che tanti successi ha regalato in passato. Dopo 40 anni il team riprende il filo con l’ultima categoria del ciclismo dilettantistico e lo fa con un progetto giovane ma che ha al suo interno dei mix diversi di esperienza e conoscenze tecniche. Si legge, infatti, sul comunicato divulgato, che il team manager sarà Alessandro Petacchi (in apertura con Ongarato e il presidente Peruzzo, photors.it) mentre nello staff tecnico entrano figure come Paolo Slongo e Carlo Guardascione

Ritorno alle origini

Alberto Ongarato, ex corridore professionista e ora figura di riferimento per la SC Padovani, tanto da ricoprire il ruolo di vice presidente, racconta di un progetto nato anni fa ma con un obiettivo unico, concretizzato proprio in questi giorni. 

«Era da quando sono entrato a far parte del team – racconta Ongarato – nel 2012 che ragioniamo insieme a Martino Scarso (anche lui ricopre il ruolo di vice presidente, ndr) su come rendere concreta l’idea di formare una formazione under 23 ed elite. Abbiamo sempre svolto attività nel miglior modo, dapprima organizzando la Gran Fondo di Padova e poi lavorando con i più giovani. Fino a quest’anno abbiamo avuto una formazione juniores, che cesserà di esistere. L’idea è stata, fin dai primi giorni del 2012, di ambire a creare un team per la categoria massima del ciclismo italiano, chiederemo infatti l’affiliazione come continental. Il ciclismo è cambiato e si è evoluto e avere un team continental è il massimo a cui si riesce ad ambire ora. In Italia abbiamo delle formazioni professional ma sono poche, quindi le continental acquistano sempre più spazio».

La SC Padovani è la società più longeva nel mondo del ciclismo (foto Facebook)
La SC Padovani è la società più longeva nel mondo del ciclismo (foto Facebook)
Le figure coinvolte fanno capire l’importanza che si vuole dare al progetto, come saranno coinvolte?

Alessandro Petacchi sarà il nostro team manager e curerà i rapporti tra i vari componenti del team: ragazzi, staff, presidente, ecc. Sarà anche l’uomo immagine e seguirà gli atleti in qualche trasferta, compatibilmente ai suoi impegni in RAI. Posso dire di averlo visto molto motivato. Credo che per un ex corridore come lui sia stimolante entrare in un team come il nostro. 

Poi ci sono i membri dello staff tecnico come Slongo e Guardascione.

La loro presenza è arrivata grazie a diverse conoscenze. Il nostro sponsor principale in questa avventura con la Padovani: Polo Ristorazione Spa, è stata accanto al team Bahrain anni fa. Una serie di conoscenze che ci hanno permesso di entrare in contatto, senza considerare il fatto che anche io sono stato professionista dal 1998 al 2011. Guardascione uguale, lo conosciamo da anni e quando gli abbiamo parlato si è dimostrato subito interessato

Tra le sue fila sono nati tanti campioni, qui Alberto Dainese in forza alla Padovani nel 2016 (photors.it)
Tra le sue fila sono nati tanti campioni, qui Alberto Dainese in forza alla Padovani nel 2016 (photors.it)
Due figure importanti da inserire in un team under 23 ed elite. 

Vero, ma dobbiamo considerare che se vogliamo fare una formazione continental l’idea è di confrontarsi con l’estero. E al di fuori dell’Italia ci sono le squadre di sviluppo delle formazioni WorldTour che lavorano con lo stesso staff dei grandi. Avere delle figure di grande conoscenza è fondamentale per crescere.

Lo staff come sarà formato?

Avremo tre diesse e uno di questi è una figura importante nel mondo dilettantistico come Lampugnani. Ci saranno anche cinque accompagnatori e dei meccanici. Alcuni membri del personale mancano ancora ma stiamo valutando tanti profili, per scegliere al meglio. La Padovani comunque parte da una base solida, in questi anni ha avuto una formazione juniores. 

I primi contatti con Petacchi sono arrivati al Giro d’Italia nella tappa di Padova
I primi contatti con Petacchi sono arrivati al Giro d’Italia nella tappa di Padova
A proposito, il team juniores non rimarrà, perché?

No. Abbiamo deciso di toglierlo. La scelta è legata anche a diverse problematiche nate con i genitori dei ragazzi. A 17 e 18 anni i genitori sono coinvolti, ma quando sono eccessivamente presenti non è facile. Ci siamo anche resi conto che un lavoro come il nostro fosse bello a livello di formazione dei ragazzi che però poi venivano attratti anche da altri team juniores e perdevamo il lavoro fatto. 

Però in Italia ci sono 13 formazioni continental, non si rischia di entrare in un mercato già saturo?

Le voci dicono che qualche squadra si sta ridimensionando. Il rischio di non correre certe gare o di non ricevere gli inviti c’è, ma dobbiamo lavorare bene e meritarceli. All’estero ci sono tante occasioni, chiaro che vanno meritate anche quelle. Per il numero di squadre penso che sia meglio avere abbondanza, i ragazzi che vogliono correre in bici ci sono. 

Polo Ristorazione Spa sarà lo sponsor principale per la stagione 2025 (foto Facebook)
Polo Ristorazione Spa sarà lo sponsor principale per la stagione 2025 (foto Facebook)
Quanti atleti avrete?

12 o 13 in tutto. Siamo già a un buon 70 per cento di posti presi, ne avanzano cinque. Da quando è uscita la notizia siamo stati bombardati di telefonate e richieste da procuratori e atleti. Anche il fatto di avere gli elite è in funzione del ciclismo italiano. A 21 o 22 anni i ragazzi vengono considerati maturi, ma non è detto. Serve equilibrio. La nostra idea è di fare attività doppia concedendo a tutti le giuste occasioni in base alle qualità e agli impegni. 

Non resta che augurarvi buona fortuna e aspettare i primi riscontri.

Grazie! A presto.

Pablo Torres, il racconto di un’impresa (quasi) totale

29.08.2024
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Non ce ne voglia l’inglese Joseph Blackmore, ma in qualche modo Pablo Torres esce come vincitore morale del Tour de l’Avenir. Lo spagnolo ha infiammato la corsa francese: ha vinto due tappe, la maglia bianca e soprattutto è stato autore di un epilogo al cardiopalma sul Colle delle Finestre.

Anche il suo coach, Giacomo Notari, lo seguiva con apprensione da casa. Sapeva ciò che poteva fare e quanto avevano lavorato sodo. Vedersi sfumare il grande obiettivo per dodici miseri secondi non deve essere stato facile, neanche per chi era da casa appunto. Soprattutto perché Torres era stato secondo già al Giro Next Gen e aveva ben figurato al Giro della Valle d’Aosta.

«Però – ci racconta Torres – io alla fine sono stato contento. Ho vinto due tappe, la maglia di miglior giovane ed è stata una grandissima esperienza che mi servirà moltissimo per il futuro». Una risposta simile dice già molto sulla mentalità innata da campione che può avere un ragazzo. Non pensa a quello che non è stato, su cui non può fare nulla, ma a quello che potrà essere.

Disastro a Condove

Il Tour de l’Avenir Pablo Torres non lo ha perso sul Finestre, ma il giorno prima. Nella tappa che arrivava in Italia, a Condove, lo spagnolo era rimasto sorpreso dall’attacco in testa al gruppo ad inizio frazione. Un attacco propiziato tra l’altro dagli azzurri.

«C’era una discesa molto veloce – riprende Torres – e c’erano molti attacchi. Ho pensato di stare coperto. Non ho risposto subito io ma ho pensato di stare con la squadra. Poi però sono rimasto con un solo compagno. Sulla seconda salita, un Gpm di seconda categoria, eravamo arrivati a 30”. La fuga dopo la discesa ha continuato a prendere spazio. Io ci ho provato anche da solo ma non sono riuscito a rientrare».

E infatti, all’imbocco del lunghissimo Moncenisio, il ritardo di Torres dalla fuga, dove dentro c’era anche Blackmore, era quasi di 3′. Lui, tutto e completamente da solo (e con due borracce, senza ammiraglia dietro almeno nella prima parte) è riuscito ad arrivare fino ad un minuto dalla testa. Ma una volta in cima iniziava la lunga discesa e il fondovalle: si capisce bene che uno scalatore da solo non può fare molto. A Condove l’orologio segnava 4’58” di ritardo.

«Quella sera, quando ho perso la maglia gialla ero un po’ deluso in effetti. Durante la corsa sapevo che la situazione era complicata. Ma era difficile fare di più. A quel punto abbiamo parlato con la squadra e speravamo almeno di riprendere il podio il giorno dopo, di fare il massimo possibile».

Finestre da record

E da qui nasce l’impresa del Colle delle Finestre. Pablo dà fondo a tutto quello che ha e sigla un tempo che lo vede fare il record assoluto della scalata: quasi 2′ meglio di Rujano, che deteneva il primato siglato nel 2011, e oltre 4′ meglio di Froome nel 2018. Si stima abbia sviluppato 6,3 watt/chilo per 60′. Roba da elitaria da Giro e Tour.

«Se quel giorno pensavo alla maglia gialla? Quello che sapevo è che stavo bene, mi ero preparato in altura (Sierra Nevada, ndr) e che il Colle delle Finestre era una salita dura e lunga. Una salita che sarebbe durata almeno un’ora, quindi ci sarebbe stato dello spazio per recuperare, almeno per il podio. I miei compagni hanno tirato molto prima della salita e io ho cercato di fare il possibile. Ma per recuperare tanto terreno bisognava scattare presto e con un ritmo molto alto sin da subito. Quando sono partito mi facevano male le gambe. Ho pensato che avrei dovuto superare quel momento. Così ho rallentato e ho cercato un ritmo con cui sapevo che sarei potuto arrivare sino in cima».

Il podio finale dell’Avenir: 1° Jospeh Blackmore (Gran Bretagna), 2° Pablo Torres (Spagna) a 12″, 3° Tijmen Graat (Olanda) a 50″ (foto Tour de l’Avenir)
Il podio finale dell’Avenir: 1° Jospeh Blackmore, 2° Pablo Torres a 12″, 3° Tijmen Graat a 50″ (foto Tour de l’Avenir)

Tra presente e futuro

Ma chi è Pablo Torres? Madrileno, è un classe 2005 (di novembre). Fino allo scorso anno correva nell’US Ciclista San Sebastian de los Reyes. Da piccolo si barcamenava tra calcio e ciclismo, ma poi a forza di guardare le gare in tv con il nonno e stando in una famiglia in cui la bici era già presente, il ciclismo ha preso il sopravvento.

E’ curioso notare come Pablo abbia qualcosa in comune sia con Remco Evenepoel, il calcio, che con Tadej Pogacar, la squadra. Torres corre infatti per il UAE Emirates Gen Z. «Ma Tadej è il mio idolo. Ancora non ci sono stato, ma spero di arrivare presto nella prima squadra».

Come accennavamo e come si confà ai campioni, Pablo Torres già guarda avanti e di questa sfida mette in tasca il meglio. «E’ stata un’esperienza molto bella e in cui ho imparato tanto. Mi servirà certamente per il futuro». Tra l’altro, proprio ieri uno dei tecnici e talent scout della UAE Emirates, il noto Matxin, ha detto che a fine Vuelta valuteranno se far passare subito in prima Torres, o lasciarlo alla Gen Z ancora una stagione come previsto. Due podi nei “grandi Giri under 23” cambiano le carte in tavola. Come fu l’anno scorso con Del Toro del resto…

Adesso per Torres si profilano le altre gare.

«Sarò in Italia: prima al Giro del Friuli e poi, più in là, farò anche il Piccolo Giro di Lombardia. Il mondiale? Spero di essere selezionato. In quel caso lo preparerò al massimo».

Filippo D’Aiuto, il re di Capodarco. Che ora vuole di più

29.08.2024
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Nel corso della stagione era già comparso in primo piano Filippo D’Aiuto, ancor prima della sua vittoria in una delle classiche di riferimento del panorama Under 23 come il GP Capodarco. E’ stato quando il corridore della General Store-Effedibi-F.lli Curia aveva conquistato la piazza d’onore all’Orlen Nations Grand Prix, unico motivo di sorriso in una trasferta che in chiave azzurra aveva lasciato molto amaro in bocca e destato molteplici perplessità.

Il friulano era poi sparito dai radar, ma nella classica marchigiana arrivata alla sua 52esima edizione è tornato a ruggire, in una corsa che d’altronde è nelle sue corde: «Lo scorso anno – dice – ero già stato secondo e sapevo che potevo farla mia. Per me questa vittoria è il momento più alto della carriera, un successo che ci voleva. Anche se la stagione ha avuto qualche buon momento, non bisogna considerare solamente le corse di categoria, io il 7° posto al Giro della Romagna ad esempio, gara con i professionisti, lo reputo un risultato importante perché ha dimostrato che in quel consesso ci posso stare».

L’arrivo solitario al GP di Capodarco, con 23″ di vantaggio sullo slovacco Dunar
L’arrivo solitario al GP di Capodarco, con 23″ di vantaggio sullo slovacco Dunar
Che corsa è stata quella marchigiana?

Averla corsa lo scorso anno mi ha indubbiamente aiutato. La prima parte in pianura è stata gestita senza apprensioni, sono andati in fuga prima il russo Ermakov e poi altri 4, io ho chiuso su di loro a quasi un terzo di gara e poi ho provato l’azione con lo stesso Ermakov, ma altri 8 hanno chiuso su di noi. Man mano si sono aggiunti altri corridori. Nel penultimo giro sulla salita ha allungato lo slovacco Dunar, io ho chiuso su di lui in discesa e sotto l’ultima salita l’ho staccato. Ho preferito far così per non correre rischi inutili sapendo che potevo.

Torniamo un attimo alla trasferta polacca di giugno, dove si era cominciato a parlare di te in questa stagione…

Era la mia prima convocazione in azzurro ed ero molto contento, ma anche agitato. Era una gara dura, difficile, a un livello altissimo. Nelle prime tappe ho lavorato per il team, con Oioli eravamo gli uomini chiamati a chiudere sugli attacchi. Dalla terza tappa ho iniziato a sentire che avevo una gran gamba e che potevo ottenere un bel risultato ed ecco che la frazione successiva mi ha offerto l’occasione. Quando il danese Hansen ha attaccato ho provato a chiudere il buco in discesa senza riuscirci. A guardare la corsa a posteriori mi è rimasto un po’ d’amaro in bocca, una vittoria avrebbe dato alla mia trasferta e alla mia stagione tutta un significato diverso.

Il friulano all’Orlen Nations Grand Prix, dove aveva colto un bel 2° posto nella penultima tappa
Il friulano all’Orlen Nations Grand Prix, dove aveva colto un bel 2° posto nella penultima tappa
La vittoria a Capodarco ha dato una luce nuova alla tua stagione, tu come la giudichi?

Nel complesso finora non è stata male, considerando che nella fase finale delle annate vado sempre meglio. Io penso di aver fatto dei passi avanti rispetto allo scorso anno non solo come risultati, ma anche anzi soprattutto come gestione della corsa. Sicuramente potevo raccogliere di più e ragionandoci sopra anche con i responsabili del team mi sono accorto che ancora spreco troppe energie. Devo crescere ancora con la testa per gestire le varie situazioni e non disperdere forze preziose.

Nel team sei al tuo terzo anno, come ti trovi?

Benissimo anche perché molti compagni li conoscevo anche da prima o avendoci corso insieme o essendoci ritrovati spesso nelle gare. Alla fine l’ambiente è lo stesso, è chiaro che vedendosi spesso si entra in confidenza.

D’Aiuto ha già corso in nazionale quest’anno, trovandosi a suo agio nelle corse all’estero
D’Aiuto ha già corso in nazionale quest’anno, trovandosi a suo agio nelle corse all’estero
Tecnicamente qual è il tuo identikit?

Io sono il classico passista-scalatore che emerge nelle corse mosse, con continui saliscendi e strappi duri ma brevi, mentre soffro le salite prolungate, gli sforzi lunghi. Mi piacciono le corse dove non c’è un attimo di respiro, a dir la verità quando ho “assaggiato” il ciclismo estero mi sono trovato davvero bene.

Tu accennavi al fatto che nella seconda parte di stagione riesci a rendere di più. Ora su quali obiettivi punti?

Sicuramente il Giro del Friuli e poi le prove pugliesi, lo scorso anno avevo vinto la Coppa Messapica, so che posso fare ancora meglio quest’anno. Vorrei dare seguito alla vittoria di Capodarco anche per smuovere le acque in vista della prossima stagione: per ora c’è qualche pour parler ma nulla di più, vedremo se arriverà un’offerta alla quale non potrò dire di no.

Per il corridore della General Store anche un 7° posto al Giro di Romagna contro i professionisti
Per il corridore della General Store anche un 7° posto al Giro di Romagna contro i professionisti
Tornando al prima di Capodarco, venivi da un Giro Next Gen molto difficile, con tutti piazzamenti nelle ultime posizioni e poi non avevi corso più: perché?

Quando sono partito sapevo che la condizione non era al top e speravo di trovarla lungo la strada. La cosa stava anche avvenendo, se si guardano i risultati si ha un’immagine non chiara perché ad esempio nella quarta tappa ho provato il colpo finale a Borgomanero venendo ripreso dal gruppo all’ultimo chilometro. La sera stessa però le cose sono virate al peggio sotto forma di un virus respiratorio. Ho tirato avanti come meglio potevo perché ci tenevo a finirlo mentre vedevo che tanti anche nelle altre squadre avevano contratto il virus e si ritiravano, ma all’ottava tappa non ce l’ho fatta più. E mi è costato, perché ho dovuto rinunciare ai campionati italiani, al GP Città di Brescia rimanendo fermo per due mesi. Anche per questo ho voglia di rifarmi…

Che fine ha fatto Tadej? Ci dice tutto Hauptman

29.08.2024
4 min
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Da che ne parlavamo tutti giorni, anche più di una volta al dì, al silenzio quasi totale: ma che fine ha sua maestà Tadej Pogacar? In questo mondo sempre più frenetico e ricco di corse, il Tour de France è stato cancellato in men che non si dica tra Olimpiadi, Vuelta e tante altre gare. E all’improvviso senza Tadej in gara i riflettori si sono spostati altrove.

Ma in questo ultimo mese il leader della UAE Emirates non è stato del tutto con le mani in mano. Per sapere cosa ha fatto e cosa farà, ci siamo rivolti ad Andrej Hauptman, uno dei direttori di fiducia di Pogacar.

Il direttore sportivo Andrej Hauptman (classe 1975) dal 2019 alla UAE Emirates
Il direttore sportivo Andrej Hauptman (classe 1975) dal 2019 alla UAE Emirates
Andrej, ci eravamo lasciati a Nizza con un super Pogacar e poi?

Nei giorni immediatamente dopo il Tour, Tadej è andato in Slovenia. La gente lo voleva e lui aveva piacere di mostrare la maglia gialla e la maglia rosa al grande pubblico. Non so se avete visto che immagini da Lubjana, quanta gente c’era. Poi è subito tornato a Monaco e da lì è stato una settimana del tutto tranquillo. Ha passato del tempo con Urska (Zigart, la sua compagna, ndr). Credo siano andati a fare delle gite e abbiano passato qualche giorno presso un lago.

E in bici?

Una settimana di stop totale. Niente bici.

Del discorso Vuelta, visto quanto fosse imbattibile in quel momento, non ci avete pensato neanche per un po’?

La Vuelta non era in programma e non ne abbiamo parlato. O meglio, ne abbiamo parlato perché i media ci hanno portato a farlo in qualche modo, ma tra di noi in verità non lo abbiamo mai fatto in modo tecnico. Non era in programma. Sapete che c’è? Che tante volte sembra tutto facile, ma facile non è.

Chiaro…

Tadej è sempre pronto, sempre a tutta, quando si presenta ad una gara è per vincere. Veniva dal Giro d’Italia, poi è rimasto concentrato nel mezzo, poi ancora il Tour… prima o poi doveva staccare. Non poteva andare in Spagna magari per vincere una tappa. Io ho parlato con lui: la vera stanchezza l’ha avvertita due, tre giorni dopo. «Ora sento la fatica. Sono stanco morto», mi ha detto. E’ normale. Finché sei in gara la tua mente è predisposta, c’è l’adrenalina, hai un alto rendimento. Ma poi se continui prima o poi esplodi e quando poi succede rialzarsi è complicato per davvero a quel punto.

Bagno di folla per Tadej nella sua Slovenia, dove ha mostrato le maglie di Giro e Tour (foto Instagram)
Bagno di folla per Tadej nella sua Slovenia, dove ha mostrato le maglie di Giro e Tour (foto Instagram)
E ora?

Ha ripreso ad allenarsi già da un po’. Come detto, ha fatto quella settimana di stop. Poi ha ricominciato semplicemente pedalando. E quelli forse sono stati i giorni più duri, perché dopo il riposo e le tante fatiche il tuo fisico non ne vuole sapere di riprendere. In ogni caso sta osservando dei carichi di lavoro crescenti, seguendo le indicazioni del suo allenatore. 

E come sta lavorando. Tanta base o intensità in vista del mondiale?

Direi normale. Di certo con l’avvicinarsi del mondiale farà dei lavori più specifici adatti a quella corsa.

Quale sarà il suo calendario?

Non spetta a me dirlo, ma più o meno quello suo tipico in questa fase dell’anno (dovrebbe fare la trasferta canadese, il mondiale, l’Emilia, la Tre Valli Varesine e il Lombardia, ndr). Con corse di un giorno, almeno per ora, fino al mondiale… che sarà uno dei goal di fine stagione.

A proposito di mondiale. Pogacar ha visto il percorso?

No, non ancora. Né lui (ci dovrebbe andare giusto questa settimana, ndr), né io, ma lo faremo. Mentre lo ha visionato il tecnico sloveno.

Andrej, tu che lo conosci da molto tempo, ti sembra ancora motivato Pogacar?

Tadej è sempre motivato! E’ per quello che va sempre forte e che bisogna programmare bene le cose con lui. Da quello che so io sta bene. Ma poi di fatto saranno le prime corse a dirci come starà veramente. Anche se i valori e i watt sono buoni in allenamento, poi la gara è un’altra cosa. Tutto procede secondo programma comunque.

Giusto ieri, con selfie su Instagram, Pogacar è ricomparso “in pubblico”. Sorridente e pronto a tornare per il finale di stagione
Giusto ieri, con selfie su Instagram, Pogacar è ricomparso “in pubblico”. Sorridente e pronto a tornare per il finale di stagione
E mentalmente? Visto che come hai detto ha speso molto…

Tadej è sereno. Non ho dubbi che lui arriverà in condizione al momento giusto. Semmai sono le corse di un giorno che per certi aspetti sono più difficili da vincere rispetto ad un grande Giro. In una gara di tre settimane, se sei il più forte in qualche modo esci fuori, ma in quella di un giorno se ti capita la giornata così così, o qualsiasi altro imprevisto può succedere di tutto. Specie al mondiale dove tutti arrivano al massimo.

E in quanto a pressione. Può essere che stavolta dopo il Giro e il Tour, con l’occasione di poter realizzare qualcosa d’incredibile un po’ ci dovrà fare i conti?

Ormai fa parte del personaggio. La pressione c’è indubbiamente, ma lui la sopporta bene e forse è anche quello che lo carica di più.

Realini non ha paura: al Tour de France, la prova decisiva

28.08.2024
4 min
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Settima al Giro, ma soprattutto quinta al Tour de France Femmes, Gaia Realini si è trovata sparata da zero a cento in quella mischia immensa con un ruolo del tutto inaspettato. Stando a quanto le era stato detto, della classifica si sarebbero occupate Elisa Longo Borghini e Shirin Van Anrooy. Quando però la defezione della piemontese dopo le Olimpiadi è diventata ufficiale, la squadra l’ha chiamata e le ha passato il testimone: la classifica sarebbe toccata a lei.

In questi giorni l’abruzzese della Lidl-Trek si sta allenando, cercando da un lato di recuperare del tutto e dall’altro di arrivare pronta al Tour de Romandie (6-8 settembre), che sarà l’anticamera dei mondiali di Zurigo cui le piacerebbe prendere parte.

«Come è stato il Tour?», sorride con quella punta di ironia che basta più di mille risposte. «E’ stato duro, devo dire la verità, ma anche bellissimo. Non avevo mai vissuto un’atmosfera del genere. Soprattutto le prime tappe, fra l’Olanda e il Belgio che sono la patria della bici. E poi sull’Alpe d’Huez. Era la prima partecipazione, non sono in grado di fare confronti. Ma se guardo al Giro e alla Vuelta, il Tour de France è stato molto più grande e molto più duro».

Eppure quando nell’ultima tappa, Gaia si è ritrovata a darsi cambi con Kasia Niewiadoma ed Evita Muzic sull’Alpe d’Huez (foto di apertura) non sembrava la ragazzina che davanti a una simile sfida avrebbe potuto bloccarsi.

Senza Longo Borghini e con Van Anrooij non brillantissima, Realini si è ritrovata leader della Lidl-Trek
Senza Longo Borghini e con Van Anrooij non brillantissima, Realini si è ritrovata leader della Lidl-Trek
Le tue colleghe hanno parlato di nervosismo e tappe lunghe.

Ogni giorno erano più di 160 chilometri e confermo che il gruppo era nervoso, forse perché il Tour è la corsa più attesa e tutti vogliono farlo bene. Anche il livello delle atlete era molto alto. Basti pensare che Kasia Niewiadoma e Demi Vollering hanno saltato il Giro d’Italia per arrivare pronte in Francia e andavano davvero fortissimo. Per me all’inizio non erano un problema, non avrei dovuto fare io la classifica. L’avevo presa come una prima partecipazione, in cui avrei potuto guardarmi intorno e prendere le misure.

Invece?

Invece la squadra mi ha dato il ruolo che sarebbe stato di Elisa Longo Borghini e a quel punto non mi sono tirata indietro. All’inizio magari un po’ la cosa mi ha colpito, però poi sono stata contenta che mi abbiano dato il ruolo e la fiducia. Dato che Elisa il prossimo anno ci abbandonerà, ho iniziato a prendermi le mie responsabilità e a fare da me. La squadra mi è stata molto vicina, è bastato che i direttori dicessero che sarei stata una delle leader e il meccanismo è stato perfetto.

Che leader hai scoperto di essere?

Sono una leader silenziosa, non sono una che pretende e detta regole. Ho visto che le compagne non hanno avuto problemi ad aiutarmi. Ho avuto vicina per tutto il tempo Lizzie Deignan e mi è sembrato che mi abbia avvolto in una coperta. Pure essendo una campionissima, è stata la mia matrioska: dov’era lei, c’ero anche io. In certi casi non serviva neanche parlare. Per fare un esempio, un giorno ho pensato che potesse avere sete e le ho preso una borraccia, scoprendo che lei aveva appena fatto la stessa cosa per me.

Non stai parlando di una gregaria qualsiasi, il suo palmares è notevole…

Infatti accanto a lei mi sentivo come una ragazzina e pensavo a come si sentisse a dover accudire una bambina di 23 anni. A volte mi parla da mamma, si capisce che lo sia davvero. Abbiamo condiviso la stanza al Giro e poi al Tour. Mi piace il suo modo di fare perché non mi fa sentire la mancanza della mia vera mamma.

Sfinita sull’Alpe d’Huez, Realini alla fine ha pagato 30″ rispetto a Niewiadoma
Sfinita sull’Alpe d’Huez, Realini alla fine ha pagato 30″ rispetto a Niewiadoma
Che cosa ti ha lasciato questo Tour de France?

Sicuramente non nego di dover crescere e imparare tanto. Chi è arrivato davanti ha più anni e più esperienza di me. Ma guardando e correndo, ho imparato tanto. E magari facendo degli altri passi di avvicinamento, potrei pensare che un giorno anche io potrò salire sul gradino più alto di quel podio.

Quindi fra una settimana si va al Romandia, poi il sogno è andare ai mondiali?

Esatto. Mi piacerebbe davvero molto ricevere la chiamata di Sangalli.

Europeo gravel ad Asiago: tutto pronto per il 13 ottobre

28.08.2024
4 min
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Il campionato europeo gravel si correrà ad Asiago nella data prevista del 13 ottobre (in apertura lo start 2023 da Oud-Heverlee, in Belgio). Lo organizzano Flanders Classics di Thomas Van der Spiegel, che a metà settembre servirà in tavola anche l’europeo strada, con il supporto di Pippo Pozzato e la sua PP Sport Events. In sostanza, si è trattato di riprendere il grande lavoro fatto per il mondiale dello scorso anno e sostituire l’aggettivo. Prima però è servito metabolizzare la sottrazione del mondiale da parte dell’UCI: c’è chi dice che fosse inevitabile e chi è convinto del contrario. Mentre si è in attesa della comunicazione ufficiale, abbiamo raggiunto Pozzato per fare un primo punto della situazione.

«Ho davvero preso quello che avevamo dal mondiale – dice – e che era tutto pronto e lo abbiamo messo in modo che andasse bene per un campionato europeo. Il presidente della UEC (Unione del ciclismo europeo, ndr) Enrico Della Casa si è fatto raccontare i fatti e ha detto di aver capito che lo scorso anno qualcosa è successo. L’abbiamo messa in modo che non si creassero problemi a livello politico. Organizzare un grande evento su un territorio e poi vederselo togliere aveva lasciato qualche ruggine. Enrico si è anche offerto di parlare con Luca Zaia (il Governatore del Veneto, ndr), ma su quel fronte ero a posto. Il Veneto sa che avevamo lavorato bene».

Pozzato e Della Casa, presidente della UEC, alla presentazione delle tappe italiane del Tour a Bologna
Pozzato e Della Casa, presidente della UEC, alla presentazione delle tappe italiane del Tour a Bologna
L’appoggio di Flanders Classics è una garanzia di quale tipo?

Loro si muovono come il Tour de France, in modo diverso rispetto alle solite organizzazioni. Hanno sponsor che premono per entrare nel Giro delle Fiandre e, in attesa di concederglielo, li coinvolgono nelle altre gare. Più eventi hanno e maggiore è il loro potere contrattuale. L’europeo potrebbero farlo anche da soli, ma per i regolamenti della Federazione hanno bisogno di una società italiana cui appoggiarsi (lo stesso meccanismo per cui il Tour de l’Avenir si è valso dell’appoggio di ExtraGiro per le ultime due tappe in Piemonte, ndr).

Il percorso del primo mondiale gravel della storia, quello di Cittadella, era lunghissimo e senza salite. Asiago fa pensare che qualche rampa ci sarà…

Infatti sarà più duro del primo mondiale. Volevo che fosse più veloce per trovare più corridori, magari invogliare anche un Van der Poel. L’idea era di passare nell’aeroporto, ma non si è potuto perché avrebbe significato bloccare troppe zone. Per cui faremo meno chilometri. Un circuito di 47 chilometri da percorrere per tre volte. E alla fine verranno 141 chilometri e un dislivello di circa 2.500 metri.

L’Altopiano di Asiago avrebbe dovuto ospitare il mondiale gravel 2023, sarà ora il teatro degli europei (foto asiago.it)
L’Altopiano di Asiago avrebbe dovuto ospitare il mondiale gravel 2023, sarà ora il teatro degli europei (foto asiago.it)
Buona l’idea del circuito…

Almeno la gente li vede di più. Avremo partenza e arrivo dallo stesso posto, che per noi rispetto al primo mondiale, semplificherà molto le cose. Piuttosto non c’è ancora un disciplinare tecnico, per cui dovremo di nuovo inventarci qualcosa.

Praticamente in due anni non è cambiato niente?

Appunto. Per cui nel tratto iniziale su strada faremo valere le normative tecniche della strada e nel gravel avremo il quad davanti e il quad dietro, in modo da garantire la sicurezza e la serietà. Qualcosa su cui si chiudono spesso gli occhi. Nessuno va mai a guardare certi aspetti e nessuno ne parla, noi faremo il possibile per essere a posto.

Daniel Oss tira il gruppo agli europei del 2023 che si svolsero a Oud-Heverlee in Belgio
Daniel Oss tira il gruppo agli europei del 2023 che si svolsero a Oud-Heverlee in Belgio
Hai parlato di Van der Poel.

I contatti con lui li ha Thomas Van der Spiegel. Hanno rapporti frequenti anche per via del ciclocross, dato che Flanders Classics organizza la Coppa del mondo e svariate altre corse. E allo stesso modo parlerà con Van Aert. Il problema potrebbe essere che, facendo il mondiale di Zurigo, poi potrebbe mollare. Abbiamo messo nel percorso solo salite brevi, anche per venire incontro a questa tipologia di corridori. E per evitare che dopo pochi chilometri il gruppo sia sbriciolato e lo spettacolo vada a farsi benedire.