Crono juniores andata: Seixas sorprende, Finn guarda alla strada

23.09.2024
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ZURIGO – La prova contro il tempo degli juniores ha emesso già alcuni verdetti interessanti, il primo è la vittoria del francese Paul Seixas. A questo si affianca la prestazione sottotono del campione del mondo in carica su strada Albert Philipsen. Il danese paga 25 secondi dal vincitore e, mentre tutti sfilano nella zona mista che si affaccia sull’Opera di Zurigo, lui passa via senza fermarsi. Gli addetti dell’UCI dicono non sia stato bene dopo l’arrivo, la sensazione nel vederlo passare è che sia frastornato e un po’ sorpreso, in negativo, dalla sua prestazione. 

Voci azzurre

Gli azzurri pedalano lenti nel corridoio che ospita televisioni e media, passa Andrea Donati e nel raccontare la sua prova si intuisce la delusione. Sperava in qualcosa di più, i numeri sono stati buoni ma per emergere in un mondiale serve una prova fuori dal comune.

«E’ stata una cronometro durissima – dice – sono sfinito, ho dato davvero tutto quello che avevo anche se non ero nella miglior condizione. Non sono andato male a livello di dati e numeri, rispecchiano quelli di una giornata media. Sono l’italiano che ha fatto più cronometro quest’anno, ne ho corse sei. A questo livello forse l’unica è stata alla Corsa della Pace. Sia questa di Zurigo che quella in Repubblica Ceca sono stati dei buoni confronti, anche in ottica futura».  

Chi, invece, è soddisfatto di quanto fatto è Lorenzo Finn. Si ferma, guarda l’arrivo dei diretti concorrenti e snocciola piano piano tutte le sue sensazioni. 

«Sono soddisfatto della mia prova – spiega l’azzurro – è stata la miglior cronometro della mia vita sia per sensazioni che per valori. Non potevo dare di più e comunque vedendo che sono arrivato a un secondo dai top 5, su questo tipo di percorso, mi ritengo soddisfatto. Era difficile pensare di poter vincere, ma se penso alla gara su strada mi sento davvero bene. I complimenti vanno a Seixas, ha fatto una cronometro superba e una prestazione monstre».

Andrea Donati e Lorenzo Finn durante le fasi di riscaldamento
Andrea Donati e Lorenzo Finn durante le fasi di riscaldamento

Tutto quadra

Il percorso di Lorenzo Finn e della nazionale juniores verso il mondiale di Zurigo è iniziato ad agosto con un ritiro in altura a Livigno. Poi si è passati dal Giro della Lunigiana e dal campionato europeo. Tutti step mirati per arrivare con la miglior condizione possibile alla corsa iridata. 

«Sicuramente – racconta Finn – l’europeo è stato molto utile, sia nella prova a cronometro che in quella in linea. E’ stato un test importante in vista dei mondiali, il fatto che oggi sia andato più forte rispetto alla prova di Hasselt mi fa ben sperare. Il ritiro di Livigno è stato fatto in vista dell’appuntamento iridato di Zurigo, questo doveva essere il periodo in cui il lavoro in altura avrebbe dovuto dare i suoi frutti. Per come mi sento direi che la fiducia c’è. Anche settimana scorsa, durante gli allenamenti, ho fatto i miei migliori valori, quindi sono contento».

Lorenzo Finn si è detto felice della sua prova e dei valori registrati nell’ultimo periodo
Lorenzo Finn si è detto felice della sua prova e dei valori registrati nell’ultimo periodo

Un altro atteggiamento

Se si fa un passo indietro, tornando alla prova continentale, non si può non pensare alle parole del cittì Salvoldi. Il tecnico ha giudicato in maniera negativa la prestazione del team juniores, da loro si aspettava qualcosa in più, soprattutto dal punto di vista del coraggio

«Su strada – dice ancora Finn – ho provato a dare un mano ai miei compagni perché non volevo prendere troppi rischi. Mi sono messo a disposizione in pianura, prima del tratto in pavé, poi mi sono sfilato. Penso Salvoldi abbia avuto ragione nel criticare il nostro atteggiamento in maniera negativa. Non abbiamo corso benissimo, ma ci rifaremo giovedì».

«Ora – continua – serve riposare e recuperare bene dallo sforzo. Mercoledì rivedremo il percorso (il tracciato rimarrà chiuso dalle 8,00 alle 10,00, ndr). Siamo venuti a giugno a visionarlo, quindi una rinfrescata farà sicuramente bene. Dall’ultima salita al traguardo ci saranno una quindicina di chilometri, sarà uno sforzo molto simile a una cronometro».

Andrea Donati conclude al 20° posto, per lui un’esperienza che tornerà utile in futuro
Andrea Donati conclude al 20° posto, per lui un’esperienza che tornerà utile in futuro

Gli altri

La classifica della cronometro juniores recita un podio a forti tinte belga con il gradino più alto in mano al corridore che, ad ora, sembra essere il favorito: Paul Seixas. Il sesto posto di Albert Philipsen sorprende, ma non toglie dalla testa di tutti che il danese sarà protagonista su strada. Gli avversari lo temono e ne parlano bene, con il timore che si riserva a chi può farti del male da un momento all’altro. Anche Finn non lo toglie dalla lista dei favoriti.

«Io ho fatto 53 di media – conclude Finn – quindi non credo che Philipsen sia andato piano, visto che mi ha anticipato di un secondo sul traguardo. Sicuramente era il favorito e vederlo fuori dal podio colpisce, ma non facciamoci illudere. Dopo la cronometro di oggi penso che Seixas sia il nome per la corsa in linea, ma serve ancora qualche giorno di pazienza, giovedì vedremo».

EDITORIALE / Cara UCI, le regole non sono a senso unico

23.09.2024
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ZURIGO (Svizzera) – Funziona tutto così bene, che ti stupisci davanti alle imperfezioni immotivate. Abbiamo vinto lo scetticismo tutto italiano circa l’impiego dei mezzi pubblici per spostarci dall’hotel alle sedi di gara. In realtà non ci sono grandi alternative. L’UCI ha stabilito che alla stampa non spettino contrassegni per le auto e che le navette in partenza dalla sala stampa siano riservate soltanto ai fotografi. Perciò è bastato fare di conto e realizzare che avere i trasporti gratuiti (grazie a un bollino sull’accredito) è un bel passo avanti rispetto ai parcheggi del centro che costano 8-9 euro l’ora. Gli autobus e i treni d’altra parte arrivano e partono con precisione… svizzera. La bicicletta è usata spesso in ogni sua formulazione, incluse le cargo bike per il trasporto dei bambini. Per andare a scuola o al parco. Funziona tutto. Per questo stupiscono alcuni dettagli dell’organizzazione iridata su cui l’UCI ha chiuso apparentemente gli occhi.

Zurigo ha accolto i mondiali con temperature ancora miti e una buona partecipazione
Zurigo ha accolto i mondiali con temperature ancora miti e una buona partecipazione

La verifica delle bici

Ieri alla partenza della crono donne elite da Gossau e anche in queste ore per gli under 23 e per il paraciclismo, il parcheggio dei team si trovava a un chilometro e mezzo dal punto di verifica delle biciclette. Il parcheggio si trova in alto, la verifica in basso vicino alla rampa di partenza. In mezzo una bella salita, che i meccanici hanno percorso spingendo le bici e i tandem. Se una cosa del genere fosse stata semplicemente proposta al Giro d’Italia o qualsiasi altra gara in Italia, è certo che gli organizzatori avrebbero ricevuto il warning degli ispettori dell’UCI.

E a proposito di misure, tra le novità tecniche dell’anno, che ha costretto i meccanici azzurri a metter mano alla bici di Vittoria Guazzini, c’è che i computerini rientrano nella misura dell’inclinazione delle appendici. Se le appendici sono a posto, ma il computerino – su cui è impossibile appoggiarsi – sporge di mezzo centimetro, la bici non è a posto.

La discesa sul lago

Si va avanti con le cronometro e ieri abbiamo visto e sentito dei rischi che si sono corsi lungo l’ultima discesa. In quel tratto in cui si sfiorano i 100 all’ora, la strada si stringe all’improvviso, il fondo stradale è parecchio irregolare, la pendenza è a doppia cifra e in fondo ci si infila sotto un arco di pietra.

Marco Velo si era accorto che il tratto fosse pericoloso sin da quando venne con gli altri tecnici azzurri a visionare il percorso della crono, ma nulla nel frattempo è cambiato. E quando i tecnici azzurri nella riunione tecnica hanno fatto presenti le loro perplessità, si sono sentiti rispondere da Laurent Bezault, ex corridore e ora UCI Road Master, che nessuno prima di loro avesse sollevato la questione. Ha però aggiunto che avrebbe posizionato sul percorso degli addetti alla sicurezza, incaricati di raccomandare ai corridori di rallentare. Suggerire di rallentare in una gara che si gioca sui secondi, in cui si parte forte e si arriva a tutta?

E’ insolito. Come è insolito che debbano essere le squadre a segnalare la pericolosità di un passaggio e non sia la commissione tecnica che approva i percorsi a valutare l’anomalia. In ogni caso, i corridori in coro hanno ribadito lo stesso punto di vista, senza che questo abbia lasciato apparentemente traccia nelle valutazioni ufficiali.

Andreoli e Totò al traguardo. Il cittì Addesi si è raccomandato di affrontare quel tratto con prudenza (foto FCI)
Andreoli e Totò al traguardo. Il cittì Addesi si è raccomandato di affrontare quel tratto con prudenza (foto FCI)

I mondiali per tutti

Nell’intervista pubblicata ieri a Vittorio Podestà, il campione di paraciclismo ritirato nel 2021 ha rilevato un dettaglio niente affatto trascurabile. «L’organizzazione di un così grande evento aperto ad atleti con prestazioni così diverse – ha detto ad Alberto Dolfin – è portata a scegliere percorsi non completamente a fuoco per alcune categorie. Nei campionati del mondo esclusivamente per il paraciclismo non accade».

Su quella stessa discesa a ben vedere stanno correndo anche i tandem, che hanno davanti un atleta normodotato e dietro un non vedente, che subisce le asperità della strada. Nel tandem frena uno solo, ma il peso è doppio. Anche loro hanno la posteriore lenticolare e l’anteriore ad alto profilo. Visto il percorso, il cittì azzurro Addesi si è raccomandato di correre in sicurezza, pensando soprattutto alla prova su strada. Va bene essere costretti a disegnare percorsi non completamente a fuoco, ma siamo certi che far passare i tandem su quel tratto di strada (su cui oggi pende anche l’incognita della pioggia) fosse inevitabile?

Il mondiale di Zurigo va avanti con le prove contro il tempo. Finora lo spettacolo è stato di altissimo livello. Gli organizzatori hanno fatto un lavoro impeccabile e magari quelli appena spiegati saranno i soli due scivoloni di dieci giorni al top.

Ci può stare, nessuno è perfetto: per questo ci sono quelli deputati a controllare, ma questa volta gli uomini dell’UCI sono restati immobili. Quella discesa andava tolta, allo stesso modo in cui dai percorsi di tante gare in passato sono stati eliminati passaggi pericolosi. Il perché non sia accaduto cercheremo di capirlo stasera, tornando in treno verso il nostro albergo.

Stefano Giuliani, il trofeo Matteotti e una certa idea di ciclismo

23.09.2024
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Il 15 settembre scorso si è corsa la 76ª edizione del Trofeo Matteotti, con la vittoria del venezuelano Orluis Aular davanti ad Alessandro Covi e Aleksej Lutsenko.

Il Matteotti è un trofeo dalla storia gloriosa, con un albo d’oro che annovera nomi come Ercole Baldini, Felice Gimondi, Roger De Vlaeminck e Francesco Moser, solo per citarne alcuni. Da sette anni l’organizzazione è nelle mani di Stefano Giuliani, abruzzese doc, con un notevole passato da corridore prima e dirigente poi. Abbiamo fatto quattro chiacchiere con lui per farci raccontare qualcosa di cosa voglia dire, al giorno d’oggi, organizzare un evento di questo calibro (e non solo).

Ecco Stefano Giuliani, qui in compagnia di Nibali e Vegni
Ecco Stefano Giuliani, qui in compagnia di Nibali e Vegni
Stefano, com’è nata la tua avventura al Trofeo Matteotti?

Premetto che non nasco come un organizzatore di gare. Cerco di esserlo, di farlo al mio meglio, con la passione che ho sempre messo nel ciclismo. Prima da corridore e poi da direttore sportivo. Tutt’oggi ho anche una squadra da seguire, il Team Vini Monzon-Savini Due-OMZ, e non è sempre facile tenere tutto assieme. Però ecco, sicuramente il “mio” Matteotti è nato da questa grande passione.

Nello specifico in che modo?

Io sono sempre stato uno che ama le sfide e dopo aver concluso l’avventura alla Vini Fantini nel 2017 ho vissuto qualche mese un po’ difficile. Poi ho sentito che Renato Ricci, l’allora presidente del Trofeo Matteotti, voleva lasciare, e allora ho colto l’occasione. Nel frattempo, pochi giorni dopo, ho saputo anche che diversi corridori della Vini Fantini erano rimasti a piedi, e allora ho deciso di fondare anche un’altra squadra.

E comunque finora sei riuscito a tenere assieme tutto.

Se io resisto ancora è perché ho idee diverse, un po’ come Silvio Baldini, l’allenatore di calcio mio conterraneo. Mi metto in gioco, con impegno e professionalità. Diciamo che in quanto ex corridore ti rimane sempre quella tigna, quella voglia di competere e dimostrare qualcosa. Io faccio tanto, anche troppo forse. Mi dicono che sono un artista, ma la mia disorganizzazione è comunque organizzata, come credo si sia visto durante gli anni alla Vini Fantini. Quando i ragazzi vincevano li portavo in discoteca, perché questa era la mia idea di ciclismo e di vita, in barba al pensiero degli altri. Però negli ultimi sei anni non ho avuto il budget per prendere in squadra corridori di qualità, perché è sempre più difficile  per le continental come la nostra.

Al via del Matteotti 2024, la mamma di Simone Roganti, pescarese scomparso il 30 agosto
Al via del Matteotti 2024, la mamma di Simone Roganti, pescarese scomparso il 30 agosto
Ora la tendenza è di passare direttamente da juniores a elite.

Esatto, infatti una realtà storica come la Zalf chiude. E’ molto difficile. Dopo il Covid le aziende fanno più fatica ad investire a livello più basso, eppure è da quello che poi nascono i campioni. Ora come ora a dir la verità sto pensando di chiudere la squadra, se i regolamenti non cambiano non so se continuerò un altro anno. In pochi anni in Italia siamo passati da avere 16 professional a 3. E poi anche noi del settore dovremmo metterci più in gioco, secondo me.

In che senso?

Nel senso che io sono fatto alla mia maniera e non è che tutti debbano fare come me. Ma se ognuno o anche solo qualcuno dei ds o degli ex atleti organizzasse un evento come il Matteotti nella sua terra, o creasse un bike park come ho fatto io, credo che il ciclismo italiano sarebbe meno in crisi. Il ciclismo ci ha dato tanto, e secondo me è giusto ricambiare. Almeno, questo è quello che sembra a me e che cerco di fare.

Torniamo un attimo al Trofeo Matteotti. Quali sono i suoi punti di forza secondo te?

Intanto il Matteotti ha un budget molto piccolo rispetto ad altre gare simili. Eppure siamo comunque riusciti a portare negli ultimi anni 6 squadre WorldTour e 7 professional. Ovviamente ne vorrei di più, ma trovare l’incastro perfetto nel calendario non è facile. Poi, una cosa a cui tengo molto, è che puntiamo molto sulla sicurezza, e abbiamo deciso di correre in un circuito, che credo sia il futuro. Serve al pubblico, per godersi al meglio lo spettacolo, e serve agli organizzatori, per garantire appunto il massimo livello di sicurezza.

Siamo quasi alla fine. Qual è il tuo più bel ricordo del Trofeo Matteotti?

Ti racconto una cosa. Da piccolo io al Matteotti raccoglievo le borracce perché passava sotto casa mia. Rincorrevo Gimondi con la graziella e sono ricordi che ancora mi fanno emozionare. Ecco perché questo Trofeo l’ho sempre sentito molto. Da corridore ho fatto due podi e diversi piazzamenti, poi l’ho vinto due volte da DS con la Farnese. Per dire che da bambino non avrei mai pensato che da grande avrei fatto questa carriera, che mi ha portato a vincere tappe al Giro e poi, ora, ad organizzare io stesso il Matteotti. Un po’ credo al destino che mi ha fatto trovare al posto giusto nel momento giusto.

Ricordavi appunto che tu sei abruzzese, quindi questa gara per te ha un’importanza particolare.

Esatto. L’Abruzzo è la mia terra e voglio convincere tutti ad investire qui, perché ha moltissime possibilità. Il mio sogno è che il Matteotti diventi un evento di punta in cui magari poter vedere all’opera corridori come Pogacar o Evenepoel. Come un altro grande, grandissimo sogno sarebbe quello di portare qui il mondiale.

Lo immagini già?

Il nostro percorso sarebbe perfetto, con un circuito di 13 chilometri senza neanche un’auto parcheggiata e molto protetto, perché ripeto la sicurezza è fondamentale. Abbiamo 200 volontari della Protezione Civile, le doppie transenne, la grande collaborazione della Polizia e delle amministrazioni. Insomma, tutto quello che serve per fare diventare il Matteotti un grande appuntamento internazionale.

Questa la vittoria di Arta Terme del Giro 1988 di cui parla Giuliani, nata dopo il gelo del Gavia
Questa la vittoria di Arta Terme del Giro 1988 di cui parla Giuliani, nata dopo il gelo del Gavia
Un sogno che, con la tua grinta e la tua passione, potrebbe davvero realizzarsi.

Vedete, io ho vinto tappe con fughe da 150 chilometri, so che quello che ci vuole sono passione e audacia. Di nuovo, noi del settore dobbiamo ridare qualcosa al ciclismo, perché il ciclismo ci ha insegnato molto. Mi ricordo che al Giro dell’88 durante la famosa tappa del Gavia ho sofferto tantissimo, ma ho tenuto duro perché avevo responsabilità verso la mia famiglia, avevo già due figli. Due giorni dopo ho vinto la tappa più bella di quel Giro, ad Arta Terme. Quello mi ha insegnato a non mollare durante le difficoltà. Da allora non mi faccio scoraggiare da niente, il ciclismo insegna a cadere e a rialzarsi e questo mi rende molto orgoglioso.

Grace Brown, un altro oro e la scelta di dire addio

23.09.2024
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ZURIGO (Svizzera) – A un certo punto della conferenza stampa, a Grace Brown vengono gli occhi lucidi. La disamina della crono vinta con 16 secondi su Demi Vollering è durata il tempo di un battito di ciglia, poi il discorso si sposta sul suo annuncio (fatto alla fine di giugno) del ritiro a fine stagione. Manca ormai poco. E dopo la vittoria alla Liegi e l’oro olimpico della crono, sembra davvero strano che alla fine del 2024 l’australiana mollerà tutto.

«Non sapevo esattamente come sarebbero state le mie energie dopo le Olimpiadi di Parigi – racconta l’australiana che come Evenepoel ha doppiato a Zurigo l’oro di Parigi – però mi sono concessa lo spazio per cambiare aria un po’ e non stressarmi troppo per il campionato del mondo. Quando sono tornata ad allenarmi e ho iniziato a finalizzare i miei allenamenti su questo evento, sono rimasta piacevolmente sorpresa di sentirmi ancora forte in bici. Sono arrivata qui sicura di poter fare qualcosa».

Veloce in pianura, potente in salita, accorta in discesa: così Grace Brown ha vinto il mondiale crono
Veloce in pianura, potente in salita, accorta in discesa: così Grace Brown ha vinto il mondiale crono

Le gare contate

Siamo curiosi. Come ci si rapporta con la fatica, sapendo di essere agli ultimi fuochi? Si ha la tentazione di lasciarla andare oppure la si tiene stretta facendosela amica? Lei ascolta, annuisce col sorriso e spiega. Non c’è una gran folla attorno, le parole arrivano bene anche senza il microfono. La stanza ha il soffitto come un alveare, le grandi vetrate guardano verso il lago.

«Sono sicura che questa consapevolezza – prova a spiegare – mi sia di aiuto, perché non ho un’alternativa con cui confrontarmi mentalmente. So che questa è la mia ultima stagione e forse questo mi ha dato l’energia mentale necessaria per puntare tutto su di me e concentrarmi al 100 per cento. Quest’anno mi sono chiesta quale sarebbe stato il risultato se avessi puntato tutto su questi due grandissimi obiettivi. E ora che li ho raggiunti, sento di aver raggiunto il mio massimo potenziale e finalmente so cosa significa».

Oro nella crono di Parigi, davanti a Henderson e Dygert, il magico 2024 di Grace Brown è proseguito con la crono olimpica
Oro nella crono di Parigi, davanti a Henderson e Dygert, il magico 2024 di Grace Brown è proseguito con la crono olimpica

Una scelta di vita

Quando però il discorso si sposta sul lato emotivo della faccenda, allora la voce sorridente di Grace cambia tono. Si capisce quanto sia doloroso lasciarsi tutto alle spalle e allo stesso tempo quanto sia pesante passare dei mesi via da casa. Forse solo ora si percepisce davvero la distanza fra l’Australia e l’Europa. Quante persone ti hanno chiesto di fare un altro anno? E cosa pensi quando te lo chiedono?

«Credo di aver perso il conto – sorride – probabilmente più di mille. Ma sì, sarebbe bello, ovviamente, continuare a fare sport. Mi piacerebbe continuare a dare il mio contributo allo sport e continuare a contribuire al ciclismo e all’entusiasmo per il ciclismo femminile, che è una parte importante di tutto questo. Sono sicura che l’anno prossimo, quando guarderò le gare, mi dispiacerà non essere più presente.

Ad aprile, nella sua ultima primavera da corridore, Grace Brown ha battuto Longo Borghini alla Liegi
Ad aprile, nella sua ultima primavera da corridore, Grace Brown ha battuto Longo Borghini alla Liegi

«Però il motivo per cui ho scelto di mollare non è perché mi sono disamorata del ciclismo. Lo faccio perché la vita che ho messo da parte in Australia negli ultimi sei e più anni mi sta riportando indietro ed è più forte del mio amore per il ciclismo. Per questo smetterò. I risultati di quest’anno sono sempre stati i miei obiettivi e mi sono preparata per raggiungerli, quindi non mi faranno cambiare idea all’improvviso».

Ancora due

Ci sono amore e malinconia. Poi si capisce che forse proprio aver raggiunto certi risultati potrebbe essere stato la molla per voltare pagina e cercare le stesse soddisfazioni in una vita un po’ più normale.

«Probabilmente qui in Europa – spiega – non ci si rende conto di cosa significhi lavorare nel ciclismo per un’atleta australiana. Credo che anche molte delle mie compagne e delle mie avversarie non capiscano davvero i sacrifici che ho fatto. Ho un marito, ma è in Australia. Ciò che rende perfetto il fatto di smettere e tornare a casa è la presenza della mia famiglia e dei miei amici. Non so, mi sento bene quando torno lì e francamente conto i giorni. Non passa giorno senza che riceva abbracci e si faccia qualche piccola festa, ma la testa è ancora alla bici. Mercoledì farò la staffetta con questa squadra e non vedo l’ora. Non l’ho fatta negli ultimi anni solo perché veniva prima della crono individuale. Invece quest’anno ho alzato la mano e non vedo l’ora di correre. Penso che abbiamo una squadra forte e spero di poter competere anche lì per la medaglia d’oro.

Il miglior tempo e la hot seat: il mondiale crono era un obiettivo e Grace Brown lo ha centrato (foto Zurich 2024)
Il miglior tempo e la hot seat: il mondiale crono era un obiettivo e Grace Brown lo ha centrato (foto Zurich 2024)

«E poi, ovviamente, resta la gara su strada di sabato prossimo. La nostra squadra è davvero forte. Non abbiamo un favorito assoluto, ma credo che se sapremo essere intelligenti dal punto di vista tattico, potremo avere buone possibilità».

Detto da una che alla Liegi ha tenuto duro su tutte le cotes e poi ha battuto in volata la nostra Longo Borghini, suona vagamente minaccioso. Non offenderti Grace, oggi siamo tutti con te e con le tue emozioni, ma sabato si farà tutti il tifo per la Longo.

Evenepoel fa sua anche Zurigo: il bis iridato è servito

22.09.2024
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ZURIGO – Remco Evenepoel trova anche il tempo di alzare le braccia sotto lo striscione dell’arrivo. Il belga ha battuto il nostro Filippo Ganna in un confronto uno contro uno che alla vigilia era dato per scontato. E invece, sulle strade di Zurigo, di scontato non c’è stato nulla. In cima alla salita, al termine del secondo intermedio, il margine di Evenepoel era di nove secondi. Alla fine, nonostante la speranza finale alla quale si è appoggiato il team azzurro, il bis mondiale per il famelico Remco è servito. Allo scintillio dorato della sua Specialized, che ricorda il trionfo di Parigi, si aggiunge quello della seconda medaglia iridata nelle prove contro il tempo.

«Non è stato uno sforzo drastico – dice – cercavo solo di sentire la cadenza, di sentire il dolore nelle gambe e di soffrire. Credo che la salita l’avrei potuta fare più veloce, sentivo che non stavo davvero spingendo. Per fortuna ho mantenuto il mio vantaggio, anche se negli ultimi 5 chilometri ho fatto davvero fatica a mantenere la velocità e il ritmo costanti. Ganna si è avvicinato parecchio nell’ultima parte, il fatto di aver recuperato Roglic gli ha dato morale e un obiettivo da seguire. Naturalmente, in un campionato del mondo, c’è solo una cosa che conta, vincere. Alla fine il modo in cui è andata non è molto importante».

Per il secondo anno consecutivo Evenepoel è campione del mondo a cronometro, questa volta davanti a Ganna e Affini
Per il secondo anno consecutivo Evenepoel è campione del mondo a cronometro davanti a Ganna

Imprevisto al via

Il pomeriggio per il campione olimpico non era iniziato nel migliore dei modi però. La sua bici d’oro ha avuto un salto di catena sulla pedana di partenza. Momenti di tensione nei quali Evenepoel ha spinto via la telecamera della televisione svizzera, colpevole di essersi avvicinata troppo. Per un attimo è comparsa anche la bici di riserva, invece Remco è rimasto saldamente in sella alla prima spazzando via a colpi di pedale ogni dubbio sullo stato della catena incriminata. 

«E’ la seconda o terza volta – spiega il neo campione del mondo a cronometro – che mi capita una cosa del genere. Spesso ci sono così tante telecamere in giro che tolgono il segnale al misuratore di potenza. Probabilmente è una cosa che ha a che fare con la catena, perché c’era molto movimento sulla guarnitura in quel momento e abbiamo dovuto forzare un po’ il sistema per rimetterla a posto. Si è trattato di un problema di piccole dimensioni, che si sarebbe potuto ingigantire se avessi perso tempo prezioso per la gara. Per fortuna non dobbiamo pensarci. Credo che ci sia una cosa che mia moglie mi ha insegnato nel corso degli anni: ovvero che non ho nessun controllo su qualcosa che non è controllabile, e questo non era una situazione del genere. Quindi ho cercato di rimanere calmo e concentrato». 

Il contrattempo tecnico per Evenepoel è stato senza dirette conseguenze sulla prestazione, anche se ha dovuto pedalare senza misuratore di potenza. 

«Non vedere dopo pochi metri di gara, alcun numero sul mio computerino – continua – non è stato facile da gestire. Mi piace molto pedalare guardando la cadenza e la potenza media. Diciamo che oggi è stato un grande test per me, e credo di non aver fallito, per fortuna (ride, ndr)».

Una delle delusioni di giornata è stato Roglic, lo sloveno alla fine paga più di due minuti da Remco
Una delle delusioni di giornata è stato Roglic, lo sloveno alla fine paga più di due minuti da Remco

Da Parigi a Zurigo

I giorni dopo la prova olimpica su strada, per stessa ammissione di Evenepoel, sono stati parecchio complicati. Gestire le emozioni e il carico di attenzioni dopo il doppio oro di Parigi non è stato semplice, nemmeno per chi le attenzioni e le vittorie le mastica da quando era un ragazzino. 

«Ero piuttosto preoccupato dopo Parigi – ammette – perché non riuscivo a fare sforzi intensi. Poco prima del Tour of Britain, che ha sancito il ritorno alle gare, ero dubbioso sul mio stato di forma. Questo è anche il motivo per cui abbiamo deciso di non prendere parte ai campionati europei. Con il senno di poi possiamo dire che è stata una buona scelta. Se guardiamo al risultato possiamo dire che i primi due di oggi (Evenepoel stesso e Ganna, ndr) hanno un ampio margine sugli altri. La cosa che ci accumuna è l’aver saltato gli europei».

«La fiducia nei miei mezzi – riprende Evenepoel – è arrivata dopo il Tour of Britain. Gli allenamenti sono andati bene. Anche qui, nell’ultima settimana tutto è andato come previsto. Negli allenamenti dietro motore sentivo di stare bene ad alte velocità. Per fortuna, perché credo che se non avessi avuto la fiducia che ho ora, non sarei stato così performante e concentrato.  

Poco prima del traguardo l’esultanza, il casco d’oro meritava risalto ha ammesso Remco in conferenza stampa
Poco prima del traguardo l’esultanza, il casco d’oro meritava risalto ha ammesso Remco in conferenza stampa

Ancora Italia-Belgio

Con il tempo ci siamo abituati spesso a vedere uno scontro costante tra Evenepoel e Ganna. Un braccio di ferro che da un po’ verte in favore del talento belga. 

«In mezzo a Ganna e Affini – dice con una grande risata – mi sento come la mozzarella in mezzo al pane. A parte gli scherzi penso che si siano comportati ad un livello molto alto. Ho visto alcune foto di Ganna durante la settimana e ho potuto constatare che era in forma. Sulle lunghe distanze è molto forte, credo che abbia dimostrato ancora una volta che è un campione. Eravamo, e siamo sempre stati, molto vicini. Quest’anno è già la seconda o la terza volta che ci sono due ragazzi di un metro e 90 accanto a me. Meglio salire sul gradino più alto del podio perché altrimenti non rientrerei nella foto».

E’ stato fatto notare al belga come nel 2021 sul podio ci fossero un italiano, proprio Ganna e due belgi: Van Aert e lui. Quest’anno la tendenza si è invertita. 

«Non penso sia una vendetta o qualcosa del genere – conclude – Ganna, Affini e io abbiamo una buona amicizia. Nelle altre gare parliamo spesso. Credo che se oggi avesse vinto lui e io fossi stato secondo con gli stessi tempi, sarei stato contento per lui. Penso sia logico che il più forte vinca se non ha problemi meccanici o altro. Ganna dice di aver perso tempo in discesa, ma molto dipendeva da come si sarebbe arrivati in cima alla salita del secondo intermedio. Credo abbia perso tempo perché era stanco e in un tratto tecnico non riesci ad andare forte come vorresti. Questa è stata forse la chiave della mia vittoria di oggi, il fatto di essere ancora a posto in cima alla salita. Da un lato credo di essere stato fortunato perché se la gara fosse stata più lunga di altri 5 chilometri avrei perso».

Due tricolori sul podio della crono: serata di sorrisi e rivalsa

22.09.2024
6 min
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ZURIGO (Svizzera) – Le cose più interessanti come al solito vengono fuori quando Ganna e Affini vengono fuori dalla sala stampa e si dirigono verso l’antidoping. Si cammina lentamente, seguendo il filo del ragionamento su questa crono iridata. Un ragazzo porge la borraccia da firmare e prima Edoardo e poi Pippo la prendono e scrivono il nome.

Il vuoto di Geelong

Remco Evenepoel ha vinto la cronometro dei mondiali dopo quella olimpica, come ha appena fatto Grace Brown fra le donne elite. Sul podio di Zurigo, il belga si è ritrovato fra i due giganti italiani, allo stesso modo in cui nel 2021 Ganna si lasciò dietro lui e Van Aert. Non suona come una vendetta, almeno Remco lo esclude, ma certo il pensiero ti viene. Come ti viene di ricordare quando ai mondiali di Geelong nel 2010 l’Italia non portò neanche un cronoman e l’amico Ilario Biondi tornò a casa con la foto del box azzurro desolato e vuoto. Il vento è cambiato e il nome di Ganna va legato a buon diritto all’inizio della rivoluzione azzurra. Oggi il distacco è di appena 6 secondi, il minimo dai mondiali del 2023. Allora furono 12, alle Olimpiadi salirono a 14.

Ganna ha ricostruito la sua condizione in poco più di 3 settimane dal ritiro al Renewi Tour
Ganna ha ricostruito la sua condizione in poco più di 3 settimane dal ritiro al Renewi Tour

«Remco è un grande corridore e un grande ragazzo – dice Pippo camminando – non c’è niente da dire. Tifo per lui il prossimo fine settimana, ma forse no. Quattro vittorie fra Olimpiadi e mondiali forse sono troppe (ride, ndr). Io ho preso un altro argento. Un’altra occasione per confermare che ogni volta arrivo vicino all’obiettivo. Non è che puoi essere non realista sul fatto che fosse una corsa molto più adatta a lui. Se lo avessi battuto, sarebbe stato per una sua giornata storta. Però fondamentalmente ha fatto un’ottima performance quindi non puoi dire niente.

«Anzi sono solo contento per lui, contento per Edo e contento per me, che comunque fino a meno di una settimana fa non potevo neanche dire di avere questi valori. Sono stato contento anche di vedere due bandiere tricolori sul podio, anni fa non ne saremmo stati capaci. E sono felice di essere stato là sopra con Edo, che due settimane fa ha anche vinto il campionato europeo. E’ uno dei miei migliori amici, siamo praticamente cresciuti insieme, anche se corriamo in squadre diverse».

Per Affini, fresco campione d’Europa, arriva anche il primo podio ai mondiali
Per Affini, fresco campione d’Europa, arriva anche il primo podio ai mondiali

Affini, primo podio

Affini è di ottimo umore. Se per Ganna il secondo posto ha il sapore dell’ennesima beffa, per il mantovano il primo podio mondiale ha il sapore forte della conquista. Lo ha centrato senza lasciare niente al caso. Dal casco Giro colorato d’azzurro, alla nuova bici da crono Cervélo con i colori del titolo europeo, fino agli scarpini da crono tutti in carbonio modello Expect, fatti su misura da Nimbl in appena 50 esemplari l’anno.

«Mi dispiace vedere Pippo ancora una volta perdere per pochi secondi – dice con un sorriso largo quanto le sue spalle – ma sono contento della mia prestazione. In proporzione è stata anche migliore dell’europeo, visto il percorso. Non avrei mai pensato di salire sul podio. Invece ero seduto sulla hot seat e vedevo passare uno dopo l’altro tutti gli altri corridori e ho cominciato a crederci. Non posso negare che sia stata la crono più bella della mia vita.

«Quando nel 2021 ho scelto di correre alla Jumbo Visma – precisa – che poi è diventata Visma-Lease a Bike, avevo in testa di lavorare sulla cronometro e abbiamo iniziato a farlo sin da subito. Galleria del vento, materiali. Mi hanno aiutato a crescere, con il contributo degli sponsor che investono tanto».

Jay Vine porta addosso i segni della caduta nella discesa più brutta e pericolosa del circuito
Jay Vine porta addosso i segni della caduta nella discesa più brutta e pericolosa del circuito

Quella discesa, un errore

Durante la conferenza stampa gli hanno chiesto della discesa, lungo la quale è caduto Jay Vine e che domani sarà affrontata anche dai corridori del tandem nelle gare di paraciclismo: una prospettiva che francamente dà i brividi.

«Mettere quell’ultima discesa così ripida – Affini torna serio e ne parla meglio – è stata un errore. Non sto criticando il percorso, che era ottimo, ma solo quel passaggio. Potevano trovare un altro modo per scendere sul lago. Il problema non è neanche tanto la pendenza quanto le condizioni dell’asfalto, che non era così buono. Quando fai tratti del genere con la bici da crono, la ruota lenticolare e tieni il manubrio per le appendici che vibrano, la bici diventa difficile da controllare. Il solo consiglio che si può dare ai ragazzi del tandem è di arrivare in fondo sani e salvi».

Nella stessa picchiata, Ganna ha controllato bene la sua bici, ma si trattava di un passaggio al limite
Nella stessa picchiata, Ganna ha controllato bene la sua bici, ma si trattava di un passaggio al limite

Ganna si avvicina

Ganna intanto si avvicina al cancello dell’antidoping e anche il nostro tempo con lui presto avrà fine. Antonio Ungaro, l’addetto stampa della Federazione, capisce e temporeggia, anche se dentro lo guardano fisso come invitandolo a entrare.

«Solo pochi hanno creduto in questo progetto – dice – Cioni, Velo, Villa che mi ha aiutato in pista e Lombardi. Tanti dicevano che Ganna avrebbe fatto meglio a chiudere e ripresentarsi nel 2025. Invece sono tornato a soffrire sulla sella per venire qui e vincere. Alla fine io credo che ogni volta che metto un numero, penso di farlo per me stesso, per scrivere un pezzetto della mia storia, di storia italiana. Quindi quello che pensa la gente può valere, ma fino a un certo punto.

«Non ho perso tanto in salita da Remco, ma chiaro che avrei preferito un percorso più piatto. Alle Olimpiadi sarei stato anche più vicino, se non ci fossero stati i tratti bagnati. Anche lì ho fatto una bella performance, però con i se e con i ma non si va lontano, meglio guardare il futuro. Bisogna vedere il risultato finale. E il risultato finale è che sono secondo a 6 secondi. Già altre volte mi sono avvicinato a lui e non vedo perché non dovrei farlo in futuro. Ovviamente non sarà facile, ma si cercherà di fare sempre meglio. Di oggi non posso dire niente. Ho fatto una bellissima prestazione e spero di fare altrettanto anche nel team relay. Poi mi resteranno il Giro di Croazia, il Gran Piemonte e poi potrò iniziare le mie vacanze».

La serata azzurra sa di ottimo risultato. Torniamo verso la sala stampa per scrivere di questa crono così bella dei nostri azzurri, in un mix di esaltazione e senso di rivalsa. Tenendo Remco al centro del mirino. Nessuno è imbattibile, anche se certe volte il piccolo belga fa di tutto per convincerti del contrario.

Paraciclismo e polemiche: a Di Somma la risposta di Podestà

22.09.2024
7 min
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Dalle otto medaglie ai Giochi di Parigi all’argento della staffetta di Mazzone, Mestroni e Cortini che ieri ha aperto la rassegna iridata di Zurigo (in apertura, foto FCI). Il paraciclismo azzurro non si ferma e su bici.PRO continuiamo a raccontarvi le medaglie, ma anche quello che ci sta dietro. Il bilancio paralimpico della nuova gestione targata Pierpaolo Addesi-Silvano Perusini ha provocato nelle scorse settimane la reazione di chi ha tessuto le fila azzurre fino ai precedenti Giochi di Tokyo. 

Le parole di Di Somma però hanno sollevato un vespaio, chiamando allo scoperto sui social diversi atleti paralimpici che le hanno ritenute inaccettabili. Per approfondire l’argomento abbiamo chiesto il parere di uno dei pionieri dell’handbike in Italia come Vittorio Podestà. Il ligure, 51 anni, è stato il primo campione iridato azzurro nella disciplina (Bordeaux 2007) e si è ritirato poco prima di Tokyo in seguito all’incidente di Alex Zanardi. Essendo stato uno degli atleti di punta della precedente gestione, Podestà ha voluto chiarire alcuni punti. Nella lunga chiacchierata con noi, ci ha spiegato anche ciò che secondo lui non funziona nel panorama internazionale.

Podestà ha deciso di ritirarsi dopo che l’incidente che impedì a Zanardi di partecipare a Tokyo (foto CIP/Ujetto)
Podestà ha deciso di ritirarsi dopo che l’incidente che impedì a Zanardi di partecipare a Tokyo (foto CIP/Ujetto)
Vittorio, che cosa ti ha colpito di Parigi?

Parto da quello che non mi è piaciuto. C’è un grande problema internazionale che vedo nell’handbike, ma anche paraciclismo ed è legato alle classificazioni. In vista dei Giochi casalinghi, l’asso francese Mathieu Bosredon è stato riclassificato: era già vicecampione mondiale H4 e l’hanno spostato negli H3, magicamente, dopo tanti anni, senza particolare motivi clinici. Ha demolito la categoria, lo si è visto nella gara in linea in cui ha forato, è rientrato e ha pure aiutato il compagno di squadra nella lotta per la medaglia d’argento. Noi azzurri che avevamo una corazzata negli H3 ci siamo trovati ad accontentarci di un bronzo con Mirko Testa.

E non è l’unico caso, viste le perplessità sollevate, ad esempio, in campo femminile da Francesca Porcellato.

Le classificazioni stanno diventando purtroppo una sorta di doping nascosto nel mondo paralimpico. Con il successo delle ultime edizioni, come in tante altre discipline, ci sono sempre più riflettori puntati. Non voglio fare troppe insinuazioni, ma tante classificazioni sono sospette e gli avversari non sono contenti. C’è stata anche una protesta molto accesa di alcuni atleti alla tappa di Coppa del mondo di Maniago, ma non è stata presa in considerazione, anzi è arrivata una forte condanna dall’Uci. Ci vorrebbe una maggior tutela degli atleti. Diciamo che non ho guardato con grande piacere Parigi sapendo di vittorie già scritte in maniera palese, perché lo sport che mi piace è quello equilibrato, con grandi battaglie sul filo dei secondi.

Che cosa ci dici, invece, delle dichiarazioni della precedente gestione che hai commentato anche a mezzo social?

Tanti atleti, tra cui il sottoscritto, hanno contribuito a far cadere la vecchia gestione, perché erano stufi della gestione dell’ex CT Mario Valentini. Si andava da gravi problemi logistici, passando per problemi di rispetto per gli atleti, in particolare per le categorie che hanno più difficoltà causa tetraplegia.

Fra i ricordi più belli di Podestà, l’oro di Rio nella staffetta con Zanardi e Mazzone (foto CIP/Ujetto)
Fra i ricordi più belli di Podestà, l’oro di Rio nella staffetta con Zanardi e Mazzone (foto CIP/Ujetto)
A cosa ti riferisci in particolare?

A tanti aspetti, che possono sembrare piccolezze, ma che fanno la differenza ad alto livello e che l’attuale staff ha messo in conto. Non può esistere che un atleta si trova a fare un raduno o durante gare cruciali come Coppe del mondo e mondiali in hotel con il bagno troppo stretto o il wc e la doccia difficilmente accessibili. Nessuno curava questi dettagli che per noi erano cruciali. Gli atleti per poter dare il massimo e concentrarsi sulle gare non possono disperdere energie mentali per certe barriere architettoniche. Non è possibile che avessi una logistica migliore quando mi spostavo con la mia società rispetto a quella con la nazionale.

E su Tokyo cosa vuoi aggiungere?

E’ stato il caso emblematico. Il Villaggio Olimpico della capitale era troppo lontano dal circuito ai piedi del Monte Fuji (la scelta di dove collocare il Villaggio ovviamente non compete alle federazioni nazionali o ai loro tecnici, ndr). Io non ero presente, ma i ragazzi che c’erano in Giappone, mi hanno riportato di disagi esagerati che si sono ripercossi sulla qualità dei risultati. Eravamo tra le poche nazionali che non hanno provato il percorso, mentre altre squadre ci sono andate mesi prima. L’unico dei nostri che ci era stato era Zanardi ad inizio 2020. Alex sapeva che non ci avrebbero portato e addirittura nessuno sarebbe andato a verificare la logistica e il percorso di gara. Mi dispiace aver letto certe cose da parte di Di Somma perché era il tecnico migliore dello staff di Valentini. Però risultava praticamente ininfluente perché si limitava ad eseguire gli ordini. E sulla logistica non ha mai preso in considerazione le numerose lamentele che io, come portavoce degli atleti, ho sempre rimarcato fin dai primi anni in cui ho fatto parte della nazionale

Dunque, dietro le medaglie di Londra e Rio che cosa c’era?

Degli atleti fortissimi e superprofessionali con una gestione a mio avviso inadeguata, soprattutto sotto gli aspetti tecnici. Come ho già detto, credo che molti di noi avrebbero potuto raccogliere ancora di più. A Londra 2012 eravamo in 16 tra maschi e femmine e a disposizione c’era un solo meccanico per tutti quanti. A volte, sia io che Alex ci prestavamo ad aiutare i nostri compagni handbiker per risolvere i problemi meccanici. Spiace dirlo, ma il merito dei successi nel paraciclismo è stato principalmente degli atleti e dei loro tecnici personali. Durante l’anno di preparazione erano loro che ci facevano arrivare al massimo della forma per i momenti importanti. Invece negli ultimi 15-20 giorni di ritiro con la nazionale a volte qualcuno rischiava di vanificare tutto con l’eccesso di lavoro che i tecnici richiedevano così a ridosso degli appuntamenti. Come dicevo prima, mi dispiace per Fabrizio (Di Somma, ndr), perché lui in realtà era l’unico che sarebbe potuto essere di aiuto ad Addesi nel dopo Valentini. Ma non ha avuto il coraggio di “tagliare il cordone ombelicale”.

Il bronzo di Martino Pini a Parigi, cui secondo Podestà poteva aggiungersi un podio anche nella prova in linea (foto CIP/Pagliaricci)
Il bronzo di Pini a Parigi, cui secondo Podestà poteva aggiungersi un podio anche nella prova in linea (foto CIP/Pagliaricci)
Come valuti il risultato di Parigi 2024?

Secondo me le otto medaglie sono un bottino più che decoroso. Siamo tornati sul podio nella specialità della pista che sarebbe dovuta essere il “pezzo forte” di Valentini per la sua grande esperienza e che invece dopo Pechino 2008 è stata abbandonata. Negli H3, potevamo avere un paio di medaglie in più e più prestigiose. Mettiamoci anche la sfortuna con Martino Pini che è stato fatto cadere da un altro atleta e ha dovuto inseguire per tutta la gara, altrimenti era da podio nella prova in linea. Oppure ancora il tandem Andreoli-Totò, che senza i problemi meccanici era in piena lotta per le medaglie all’esordio assoluto. Il livello internazionale si è alzato moltissimo e purtroppo il paraciclismo paga lo scotto di avere poco peso nel Comitato Paralimpico Internazionale. Riceve pochi slot in rapporto al numero di categorie e le varie nazionali sono costrette a lasciare a casa molti atleti competitivi, impoverendo lo spettacolo e l’equilibrio tecnico delle gare. Si dovrebbero aumentare il numero di atleti partecipanti e di medaglie in palio che invece attualmente sono condivise tra alcune categorie (soprattutto nelle gare in linea, ndr).

E il futuro azzurro, come lo vedi?

Secondo me la nazionale di paraciclismo e handbike è in buone mani. Le sette medaglie ottenute su strada, lo stesso numero di Tokyo, a mio avviso hanno un valore maggiore. Si è lavorato per il ricambio, a differenza di quanto sostengono i precedenti tecnici. In più Addesi di fatto ha ottenuto questo bottino in appena un anno e mezzo di gestione, perché all’inizio del triennio non aveva poteri decisionali ed era solo in affiancamento a Rino De Candido che non mi è parso adatto all’incarico in queste categorie. L’augurio è che il potenziale non venga più sperperato come in passato e Addesi possa lavorare con più serenità e con un orizzonte più ampio. Sono fiducioso.

A Parigi il bronzo di Mirko Testa nella prova su strada (foto CIP/Pagliaricci)
A Parigi il bronzo di Mirko Testa nella prova su strada (foto CIP/Pagliaricci)
Che ne pensi dei mondiali di Zurigo?

E’ la prima volta per il paraciclismo che ci sono i mondiali dopo i Giochi Paralimpici e quindi vedremo chi sarà appagato e chi vorrà invece rifarsi di qualche risultato deludente. In più, è la seconda volta che i mondiali sono aperti a tutti, disabili e normodotati insieme, come a Glasgow 2023. E’ una bella cosa andare verso l’integrazione totale. Certo, ciò ha come aspetto negativo che l’organizzazione di un così grande evento aperto ad atleti con prestazioni così diverse sia portata a scegliere percorsi non completamente a fuoco per alcune categorie. Nei campionati del mondo esclusivamente per il paraciclismo non accade. Però sono dettagli che col tempo sono sicuro che verranno migliorati e da appassionato sono felice di questa unione delle manifestazioni.

Un punto sui mondiali juniores. Che dicono gli stranieri?

22.09.2024
5 min
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Le quattro tappe del Giro della Lunigiana hanno evidenziato due protagonisti assoluti: Paul Seixas e Lorenzo Finn. Abbiamo scritto tanto dei due giovani che si sono messi in evidenza sulle strade di Liguria e Toscana. Un francese e un italiano che, con grande probabilità, saranno tra le figure principali dei mondiali juniores di Zurigo. In tanti lo hanno detto, dal cittì Salvoldi agli stessi avversari che contro Finn e Seixas hanno lottato, finché le gambe hanno retto. Ora si tratta di prendere la corsia giusta per arrivare all’appuntamento iridato nella migliore condizione. Ma gli ostacoli verso la maglia iridata hanno nomi e cognomi: il più gettonato è Albert Philipsen. 

Sumpik in rampa di lancio

Dino Salvoldi ha definito l’affare di Zurigo una corsa a tre, anche se gli outsider sono diversi a partire da chi ha completato il podio della Corsa dei Futuri Campioni: Pavel Sumpik. Il ragazzo della Repubblica Ceca cresciuto alla Roman Kreuziger Cycling Academy rimanda però le considerazioni al mittente. 

«Il percorso mi si addice abbastanza – analizza Sumpik – ma bisogna stare attenti. L’esperienza dell’anno scorso mi ha insegnato a essere calmo, ci sono tanti ragazzi che vogliono vincere. Albert Philipsen sarà l’uomo da seguire. Potrebbe vincere ancora, in questa stagione ha dimostrato di essere molto forte. Le salite di Zurigo gli si addicono perfettamente». 

Il nuovo piano sloveno

Altri erano gli iscritti alla lista dei pretendenti, ma la sfortuna li ha colpiti in maniera differente. Tra di loro c’era Jacob Ormzel, lo sloveno vincitore della Parigi-Roubaix juniores è stato messo fuori gioco in una caduta nella prima tappa del Lunigiana. I piani della Slovenia cambiano radicalmente, dall’essere una delle favorite passano a dover inventare nuovamente la corsa. 

«L’incidente ha causato un grande spavento – dice il cittì sloveno – ma siamo felici che Omrzel stia bene. Chiaro che era il nostro capitano per il mondiale, abbiamo altri corridori forti ma dovremo cambiare modo di gareggiare. Ci saranno tante occasioni per provare ad anticipare i favoriti, come entrare in una fuga fin da subito. Il percorso è duro, davanti si spende tanto quanto in gruppo. Valjavec è altrettanto forte in salite brevi ed esplosive. Sarà una battaglia tra i migliori scalatori a mio modo di vedere.

Paul Seixas è il nome sulla bocca di tutti dopo il Giro della Lunigiana e la Francia correrà tutta per lui (foto Duz Image / Michele Bertoloni)
Paul Seixas è il nome sulla bocca di tutti dopo il Giro della Lunigiana e la Francia correrà tutta per lui (foto Duz Image / Michele Bertoloni)

Francia all-in

I giovani galletti punteranno tutto sulle qualità di Paul Seixas, vincitore del Giro della Lunigiana e autore di una stagione di primo piano. Ha vinto dappertutto, a partire dalla Liegi fino alle corse a tappe più impegnative. 

«Il Lunigiana – racconta il cittì – era un passo in preparazione alla rincorsa verso il mondiale, le risposte direi che sono state positive. Abbiamo lavorato bene in precedenza, con un training camp sulle Alpi nella settimana prima del Lunigiana. Naturalmente per il mondiale il nostro leader unico sarà Paul Seixas, abbiamo visto come su salite brevi sia pienamente a suo agio. Certo non sarà semplice, perché è una corsa di un giorno che si prepara in un mese».

ll cittì belga crede nella forza della sua squadra, nessuna punta ma tante frecce (Foto Duz Image / Michele Bertoloni)
ll cittì belga crede nella forza della sua squadra, nessuna punta ma tante frecce (Foto Duz Image / Michele Bertoloni)

Belgio all’arrembaggio

La squadra guidata da Serge Pauwels ha tante frecce nel proprio arco. Una delle più interessanti sarebbe stata quella che porta il nome di Aldo Tailleu, ma anche lui è stato vittima di una caduta e sarà fuori dai giochi. 

«La selezione non è stata semplice – spiega – però avremo tanti corridori validi, nessun capitano designato probabilmente. A Zurigo l’ultima scalata sarà lontana dall’arrivo, una ventina di chilometri. Non è detto che vincerà il miglior scalatore, potrebbe esserci spazio per un passista. Abbiamo delle buone alternative come Jasper Schoofs o Matijs Van Strijthem. Staremo a vedere, perché la squadra conterà abbastanza a mio modo di vedere, quei venti chilometri finali pianeggianti aprono a scenari diversi».

Zurigo, vigilia della crono: come stanno Ganna e Affini?

21.09.2024
6 min
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ZURIGO (Svizzera) – Sono quasi le quattro, quando le maglie azzurre iniziano a raggiungere il traguardo della crono su cui domani si assegneranno le prime maglie iridate (in realtà stasera è già arrivato l’argento nella staffetta paralimpica). Passa Noviero Raccagni e non si ferma, raggiunto poco dopo da Gaia Masetti, Vittoria Guazzini e Bryan Olivo. Il caldo ci ha sorpreso. Siamo venuti su con la valigia invernale, invece la temperatura sul lago si avvicina ai trenta gradi. Il tempo di guardarsi intorno e dal fondo della strada arrivano prima Affini e poi Ganna.

Gli azzurri hanno ultimato il sopralluogo a strade chiuse sul percorso della cronometro e finalmente si sono potuti fare un’idea delle curve, delle salite e delle discese. L’ultima, quella che dalla collina riporta sul lago, fa paura. Lo avevamo detto anche quando venimmo con i tecnici per il sopralluogo, ma vederla dalle appendici di una bici da crono è stato ben altro.

Velo è soddisfatto per il morale degli azzurri, meno per il percorso
Velo è soddisfatto per il morale degli azzurri, meno per il percorso

«Il percorso è bellissimo – dice Velo – e sicuramente non è disegnato sulle caratteristiche né di Pippo né di Edo. Però è così per tutti. L’inizio della seconda parte di gara è piuttosto impegnativo, ma quel che colpisce è la discesa molto pericolosa, aggiungerei da pazzi per una crono. Non condivido la scelta dell’UCI, perché è troppo troppo rischiosa. Non è assolutamente accettabile una decisione del genere in una prova in cui si raggiungono i 100 all’ora su una stradina stretta. Spero che alla fine andrà tutto bene. Bisogna stare concentrati in tutta la cronometro. I ragazzi hanno provato per due volte la discesa dopo la salita più lunga. Ci sono curve, non solo in quella discesa, in cui stare attenti. Non sono pericolosissime, però sapete anche voi che quando si è in gara si cerca sempre il limite, quindi è un attimo andare oltre. Per cui servirà massima prudenza».

Affini e la nuova Cervélo

Affini ha finito di rispondere a un’intervista in olandese, che mastica davvero bene. Del resto da prima dell’estate, Edoardo si è trasferito a casa della compagna olandese e persino il numero di telefono ha preso il prefisso di lassù. La nuova Cervélo celebra la vittoria ai campionati europei e anche se il percorso iridato non fa per lui, l’atteggiamento è costruttivo.

«E’ più dura degli europei – spiega Affini – ovviamente anche più lunga. Sono 46 chilometri, sicuramente una distanza importante, come è giusto che sia per un campionato del mondo. Ci sarà da gestirlo molto bene, perché c’è la prima parte è veloce, la parte centrale ha più dislivello e lì ci sarà da distribuire bene le energie senza esagerare troppo. Infatti poi nella parte finale, negli ultimi 12 chilometri lungo il lago se si è ancora in spinta, si può fare ancora la differenza.

«La vittoria degli europei mi ha dato una bella botta di morale. Allo stesso tempo non mi ha cambiato, la forma penso che sia più o meno la stessa. In una settimana bene o male non dovrebbe essere molto differente. Speriamo di avere la giornata giusta e cercherò di fare una bella crono. In questa settimana ho cercato di recuperare il più possibile. Lunedì e martedì proprio due girettini, veramente tranquilli. Mercoledì e giovedì un paio di allenamenti un po’ più seri sulla bici da crono, ma niente di esagerato, perché comunque il carico importante è stato fatto alla Vuelta. Quindi ora il discorso era più cercare di recuperare le energie e fare gli ultimi ritocchi».

La voglia di Ganna

Passano Evenepoel con la sua bici d’oro e subito dopo Roglic, quando ci avviciniamo a Pippo Ganna. Velo lo ha descritto come un corridore ritrovato, lui ha parlato di grande scommessa per non chiudere prima la stagione. E’ tirato e molto rilassato, si vede che sta ancora ragionando sul percorso che ha appena scoperto, dopo averlo assaggiato ieri per la prima volta col traffico aperto.

«Sarà una gara dura – dice – e bisognerà capire bene come gestirla. Ci sono tre strappi impegnativi, brevi ma impegnativi. Il mio favorito è Remco, vediamo quanto distacco ci darà. Ho passato l’ultimo periodo fra alti e bassi. Diciamo che c’erano due scelte: rivederci al 2025 oppure provare a rimettersi in gioco e arrivare qua. Ho scelto la seconda e ci stiamo riprovando. Vediamo domani come si taglierà quell’arrivo, quale sarà il risultato finale. Mi sento bene, dai, fa anche caldo, è una bella giornata. Domani dovrebbe essere simile, quindi il morale è alto. Non dovrei fare scelte tecniche particolari. Per fortuna ieri hanno pulito l’ultima parte pianeggiante di strada prima della discesa ripida. Diciamo che la scelta di fare quel settore non credo sia stata delle più azzeccate, però è uguale per tutti e vedremo.

Ganna torna alle gare dopo il ritito dal Renewi Tour: avrà recuperato dal momento di difficoltà post olimpico?
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Poi si volta verso Affini, che parla acanto a lui e un pensiero è per il compagno di nazionale. «Come ho già detto, Edo si è meritato l’europeo. Siamo in camera insieme dai mondiali di Firenze, quindi riuscire a vederlo sul tetto d’Europa con quei colori addosso mi riempie il cuore. E’ un amico e se lo merita. Quando ai miei europei… Gia dal Deutschland Tour avevo capito che era meglio fare una pausa, però ho tenuto duro perché ovviamente bisogna onorare anche la maglia della squadra. E così siamo arrivati qui, non guardiamo il passato, vediamo il futuro. Ma una cosa del futuro voglio dirla. I mondiali pista ce li vediamo insieme in tribuna con una birretta in mano…».

L’ironia della “Guazz”

Si avvia verso il parcheggio delle ammiraglie per tornare all’hotel degli azzurri, che si trova fra il centro e l’aeroporto. Poco prima che arrivassero i ragazzi, avevamo scambiato due battute con Gaia Masetti e Vittoria Guazzini. La prima si era soffermata sull’asfalto malconcio di quella discesa veloce e stretta, la secondo invece stava cercando lo stimolo giusto per sorridere di questo percorso così lontano dalle sue caratteristiche.

Masetti, Olivo e Guazzini: donne elite e under 23 hanno concuso il sopralluogo poco prima dei pro’
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«E’ molto impegnativo – ha detto la campionessa olimpica della madison – anche se gli ultimi 12 chilometri sono belli filanti qui sul lago. Però prima tra salite e discese, non c’era un attimo tranquillo dal punto di vista altimetrico e per le discese impegnative. Soprattutto l’ultima, prima di girare sul lago. Quindi sarà importante stare attenti, non prendere troppi rischi e poi spingere dove si può spingere. Ma se devo dire, per quello che ho visto, non è un percorso per me. Però ci provo, è pur sempre un campionato del mondo».

Zurigo scorre fuori, imprigionata con il suo lusso nei sensi unici e le strade chiuse. Inizia la settimana dei mondiali, noi siamo quassù. Proveremo a raccontarvi tutto. E se qualcosa dovesse restare fuori, lo porteremo via e lo approfondiremo poi.