Lo squillo di Tiberi al Lussemburgo: un segnale meraviglioso

25.09.2024
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Antonio Tiberi raggiungerà domani la nazionale a Zurigo. Il cittì Daniele Bennati lo aspetta a braccia aperte, tanto più dopo l’ottima prestazione allo Skoda Tour de Luxembourg. Una prestazione che dopo questo suo racconto ci è parsa ancora più corposa di quanto sia stata vista da fuori.

Il laziale della Bahrain-Victorious usciva dalla batosta della Vuelta quando era stato costretto ad alzare bandiera bianca per un colpo di calore. Un po’ di recupero e poi eccolo, “cattivissimo” in Lussemburgo appunto.

Nona tappa della Vuelta: un colpo di caldo mette Tiberi ko. Da lì il ritiro… e la rinascita
Nona tappa della Vuelta: un colpo di caldo mette Tiberi ko. Da lì il ritiro e la rinascita
Antonio, partiamo dalla Vuelta. Immaginiamo sia stata una bella botta morale. Come l’hai superata?

Stavo andando bene fino alla nona tappa. Risultati e sensazioni erano buone. Ero messo abbastanza bene in classifica, tant’è che avevo anche la maglia bianca, fino al giorno della fatidica tappa, dove un colpo di calore mi ha costretto al ritiro. Però non mi sono scoraggiato più di tanto.

Come hai fatto?

Ho cercato di recuperare un po’ e poi di prepararmi subito, e ancora meglio, per il finale di stagione. E la prima occasione è stata in Lussemburgo. Puntavo ad arrivarci con un’ottima condizione per fare bene. Era una gara che un già conoscevo e mi piaceva.

Com’hai gestito tecnicamente quei giorni tra Vuelta e il Lussemburgo?

Non ho staccato troppo e ho cercato di tenere alta la condizione. I primi due giorni dopo il ritiro in Spagna ho mollato un pochino, ma dopo ho subito aumentato la pressione con allenamenti intensi, tant’è che sono andato in Toscana con il mio preparatore Michele Bartoli. Con lui ho fatto diversi giorni dietro scooter, parecchi lavori in salita… anche sul Monte Serra.

Nelle settimane post Vuelta, il laziale in qualche modo ha simulato la corsa spagnola con tanto dietro motore. Qui eccolo con il papà
Nelle settimane post Vuelta, il laziale in qualche modo ha simulato la corsa spagnola con tanto dietro motore. Qui eccolo con il papà
Conoscendo Bartoli, ci avete dato sotto… 

Ricordo che a fine allenamento sono stato parecchie ore sul letto per riprendermi! E anche a casa mia ho continuato a fare dietro moto con mio papà che mi aspettava con la Vespa. Quindi le settimane dopo la Vuelta sono state ideali per tenere alta l’intensità.

E poi è iniziato questo Lussemburgo. Sei stato sul pezzo: su cinque tappe di gara non sei mai uscito dai primi dieci…

I percorsi erano abbastanza nervosi. Di pianura ce n’era veramente poca e gli arrivi erano abbastanza tecnici. Bisognava stare davanti per cercare di non perdere secondi. La battaglia era anche per gli abbuoni. Insomma ero sempre pronto ad eventuali attacchi.

In tutto ciò la crono è diventata decisiva?

Sì, la crono ha ordinato la classifica. Ci puntavo particolarmente ed è andata più che bene: secondo a 7” da Ayuso. Con questa tappa ho recuperato un po’ di secondi ai diretti avversari e nell’ultima frazione mi sono giocato il tutto per tutto. Mi sono detto: “Proviamo a ribaltare un po’ la situazione e vediamo cosa succede”.

Sempre più leader, come al Giro e alla Vuelta, anche allo Skoda Tour la Bahrain ha lavorato compatta per Tiberi
Sempre più leader, come al Giro e alla Vuelta, anche allo Skoda Tour la Bahrain ha lavorato compatta per Tiberi
Da quelle parti non c’è nessuna grande salita e tu sei uomo da grandi Giri: come hai interpretato appunto queste singole tappe nervose? Alla fine se andiamo a rivedere i leader sono stati Pedersen e Van der Poel che solitamente non sono i tuoi avversari…

Siamo partiti con l’idea di non farci mai cogliere impreparati. Da quando partivo a quando arrivavo sapevo che per quelle quattro ore dovevo essere concentrato al massimo, con il coltello fra i denti e pronto a tutto. In percorsi così ci si può sempre aspettare un attacco da chiunque. Basta che qualcuno arrivi con 30” che poi è difficile riprenderlo. Quindi anche con la squadra siamo stati sempre nel vivo della gara e qualche volta abbiamo provato noi a fare l’azione piuttosto che subirla. Poi quando la gamba è buona tutto è anche più facile. Molto importante per me è stata la prima tappa, dove ho fatto sesto.

Perché?

L’arrivo era su uno strappo impegnativo e bisognava essere pimpanti sin da subito. A volte mi capita di soffrire un po’ nelle prime tappe, stavolta invece stavo bene.

E da lì l’imprinting dell’intero Lussemburgo è cambiato?

Un pochino sì, anche se ero partito ben mentalizzato. Dopo la prima tappa ho detto: «Okay, voglio provare a fare top 10 in tutte le frazioni». Volevo questo obiettivo, ma non pensavo di vincere l’intera gara visti i percorsi e la presenza di corridori come Van der Poel o Hirschi, più scattisti e più potenti di me.

Ecco, come è stato possibile secondo te batterli sul loro terreno?

Come detto, percorsi così sono adatti agli attacchi e nell’ultima tappa ho sfruttato un po’ la stanchezza generale, specie dopo la cronometro. Quel finale lo avevamo già fatto. C’era uno strappo impegnativo, dove c’era anche lo sprint intermedio, seguito da un tratto più lungo che saliva con costanza. Immaginavo che ci sarebbe stata battaglia per quel traguardo volante e che dopo magari si sarebbero calmati. E così è stato.

L’azione decisiva nell’ultima tappa del Lussemburgo. Tiberi scappa con a ruota Gaudu e Simmons che avevano attaccato prima di uno strappo
L’azione decisiva nell’ultima tappa del Lussemburgo. Tiberi scappa con a ruota Gaudu e Simmons che avevano attaccato prima di uno strappo
Che lucidità, Antonio. Vai avanti…

Prima quel segmento c’era un tratto tecnico in discesa. Lì Gaudu e altri hanno attaccato: sono stato proprio io a chiudere. Mi sono girato e ho visto il gruppo tutto in fila e con qualche buco. In quel tratto di salita più regolare e lungo e ho pensato: “Adesso o mai più”. Anche in radio mi dicevano: “Vai a tutta, quando arrivi in cima ti giri e vedi chi c’è”. A quel punto ho switchato in modalità crono. Ho fatto ancora un paio di scatti e poi mi sono messo di passo. Eravamo rimasti in quattro e neanche ho chiesto i cambi. Anche perché non me li avrebbero dati: ero quello messo meglio in classifica. In più non volevo perdere tempo a discutere.

Antonio, il percorso di Zurigo è simile e più duro di quelli in Lussemburgo, per Bennati sei un leader: come ci arrivi al mondiale?

Quest’annata mi ha dato più sicurezza e più certezze nei miei mezzi. E’ il primo Mondiale da professionista e di certo sarà un momento speciale per me. Sono consapevole del fatto che la condizione è buona e il percorso può essere adatto a me. Cercherò di fare il massimo e magari d’inventarmi anche qualcosa… un po’ come ho fatto al Lussemburgo, per cercare di stupire o di battere magari anche quello che si pensa sia imbattibile.

Ulissi e la decisione Astana dopo tre giorni da mal di testa

24.09.2024
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E’ successo tutto molto velocemente. Massimiliano Mori aveva parlato con Gianetti e sembrava che per il rinnovo del contratto di Ulissi non ci fosse alcun problema. La UAE Emirates in ogni caso, con l’argomento dell’età, aveva proposto un ritocco al ribasso quasi dando per scontato che Diego avrebbe accettato. Invece di colpo sul tavolo è arrivata l’offerta superiore dell’Astana e sarebbe stato da pazzi non valutarla.

«Eppure Diego per il carattere che ha – racconta Mori – ci ha pensato per tre giorni. Abbiamo parlato. Ha sentito la sua famiglia. Siamo stati a cena insieme. L’offerta lo ha fatto barcollare. Eppure secondo me, pur molto importanti nella scelta, non sono stati i soldi in più a farlo decidere. Adesso è convinto, ma in quei tre giorni sa lui i pensieri che ha avuto…».

Massimiliano Mori è stato un pro’ dal 1996 al 2009. Qui con Ulissi, suo atleta dagli anni in Lampre
Massimiliano Mori è stato un pro’ dal 1996 al 2009. Qui con Ulissi, suo atleta dagli anni in Lampre

Mori conosce Ulissi da una vita. E’ il suo procuratore dagli anni della Lampre ed è fratello di quel Manuele che per il livornese è ben più di un amico. Alla Lampre si sono anche sfiorati: Massimiliano smetteva nel 2009, Diego arrivava nel 2010. Le parole nell’ultima intervista ci hanno fatto pensare. Il suo essere rimasto fedele per tutta la carriera alla stessa società non è dipeso dall’assenza di offerte, quanto piuttosto dalle attenzioni che la squadra manifestava nei suoi confronti. E noi con Mori siamo partiti proprio da questo, per capire che cosa (oltre ai soldi) abbia spinto Ulissi a cambiare squadra dopo 15 stagioni.

Massimiliano, che cosa significa che alla Lampre non gli hanno mai dato lo spunto per andare via?

L’hanno sempre trattato bene economicamente. Ma soprattutto sapeva e sentiva di essere il fulcro del progetto. E’ sempre stato vincente, ha sempre fatto un sacco di punti. Poi la Lampre è diventata UAE e si è trasformata in una corazzata. Probabilmente in altre squadre, Diego sarebbe stato ugualmente capitano, ma qui con Pogacar e altri campioni, è stato intelligente e si è adattato.

Non ci sono mai state offerte che lo abbiano spinto a valutare il cambio?

Squadre ci sono state, ma non c’era motivo di andare via. Invece si è capito che quest’ultima trattativa sarebbe stata influenzata dall’età di Diego, che ha 35 anni. Un’offerta UAE c’era, si poteva andare avanti, ma era più bassa. Ci sono squadre che non fanno caso all’età, la UAE Emirates invece cerca sempre giovani talenti. E pur sempre rispettato e tenuto da conto, Diego si è trovato sempre un po’ più in disparte o con un ruolo non più centrale. Mi sono trovato a parlare con altre squadre e lo avrebbero preso ben volentieri, nonostante gli anni. L’arrivo dell’Astana ha fatto incontrare la loro necessità di un corridore vincente che facesse punti e la sua ricerca di un ruolo meno secondario. Intendiamoci, quando hai davanti Pogacar non puoi dire nulla e infatti Diego non ha detto nulla.

Nella Lampre di Galbusera (nella foto, il capostipite Mario) e Saronni, Ulissi era al centro del progetto
Nella Lampre di Galbusera (nella foto, il capostipite Mario) e Saronni, Ulissi era al centro del progetto
Quando a dicembre annunciarono che non avrebbe fatto il Giro, non vedemmo salti di gioia…

Diego non lo dice, perché è un ragazzo intelligente. Però noi del suo entourage sappiamo le cose e lui avrebbe preferito fare il Giro. E’ sempre stato il suo pallino, ma ha condiviso la scelta della squadra. Non crediate però che ci sia stato quello alla base del cambiamento.

E che cosa allora?

La vera svolta c’è stata quando ha parlato con Vinokourov. E oltre alla cifra certamente importante, quel che lo ha convinto è stato essere di nuovo al centro del progetto. Sentirsi di nuovo considerato e desiderato dal capo della squadra ha fatto scattare qualcosa. Certamente ne ha parlato con Ballerini e Fortunato, che incontra spesso. E’ arrivato Bettiol, che vive anche lui a Lugano. Vinokourov gli ha spiegato la sua voglia di far tornare la squadra in alto e questo lo ha convinto. Un tipo ci considerazione che alla UAE non c’era più.

La presenza di Pogacar ha persuaso Ulissi a cambiare obiettivi, in modo intelligente ma non per questo entusiasta
La presenza di Pogacar ha persuaso Ulissi a cambiare obiettivi, in modo intelligente ma non per questo entusiasta
E’ possibile che il ritocco al ribasso fosse il modo di fargli capire che se avesse trovato un’alternativa, loro non lo avrebbero certo ostacolato?

Credo proprio sia stato questo. Oppure pensavano che sarebbe rimasto a qualunque condizione. Ripeto: un’offerta come quella di Vinokourov andava considerata per forza, eppure Diego sarebbe rimasto di là. Era pronto ad accettare. Quando ha sentito del progetto, allora è cambiato tutto. Adesso è convinto di aver fatto bene e il corridore lo conoscete. Ha sempre vinto e fatto punti, penso che non smetterà di farlo.

Pomeriggio iridato: l’inno suona per Mazzone e Cornegliani

24.09.2024
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ZURIGO (Svizzera) – «Facciamo come Ganna – dice Mazzone – mettiamo in mezzo lei che però è più alta!». Così il pugliese in maglia iridata fa passare di là Cornegliani, vincitore oggi del secondo mondiale, e in mezzo mettono Ana Maria Vitelaru che ha conquistato il bronzo. Come Ganna, Affini e Remco nel mezzo, solo che questa volta le maglie iridate sono ai lati. Dopo la vittoria nella staffetta di apertura, un altro pomeriggio d’oro ed emozionante per gli azzurri di Pierpaolo Addesi.

Ana Maria Vitelaru è bronzo nella crono donne H5. Ha chiuso a 3’53” dalla vincitrice Haenen
Ana Maria Vitelaru è bronzo nella crono donne H5. Ha chiuso a 3’53” dalla vincitrice Haenen

Dalla polvere alle stelle

L’ultima volta che avevamo seguito di persona una gara di Mazzone fu lo scorso anno a Glasgow, quando Luca finì contro una transenna nella staffetta e uscì di gara, colpito e umiliato nell’ultimo giorno di gare. Forse per questo, vedendolo piangere per la gioia al risuonare dell’Inno di Mameli, il groppo in gola ce l’abbiamo pure noi. Dopo quel giorno, per il pugliese arrivato al 19° titolo, sono venute le due medaglie di Parigi e l’onore di essere portabandiera. Ma di vincere ancora a 53 anni non se lo aspettava.

«Tante volte – sorride e riflette – quando vado alle scuole come ambasciatore paralimpico, racconto sempre questo. Quando prendete un brutto voto, non demoralizzatevi, fate in modo che sia un punto di partenza. Un punto per avere la tigna di rifarsi. A Glasgow, veramente il morale era caduto a pezzi. Invece quando sono tornato a casa, mi è venuta la cattiveria agonistica di rifarmi. Non contro gli avversari, perché gli avversari sono comunque uno stimolo. Rifarmi con me stesso, per ritrovare quel Luca di otto anni fa anche con qualche anno in più (nel dirlo si commuove, ndr). Ce la volevo mettere tutta, volevo fare bene sia alle Paralimpiadi che qua».

Luca Mazzone, classe 1971, è campione del mondo nella categoria H2 con 40″ sul secondo. Mano sul cuore, c’è l’Inno
Luca Mazzone, classe 1971, è campione del mondo nella categoria H2 con 40″ sul secondo. Mano sul cuore, c’è l’Inno

«Veramente però – prosegue – sono sbalordito di me stesso. Sapevo che il percorso era favorevole, perché gli allenamenti fatti a Campo Felice insieme ai miei amici H3 davano buone speranze. Mi mettevo dietro di loro a fare gli allenamenti e mi facevano sempre i complimenti. Quindi sapevo che su questo percorso potevo fare bene, ma non con un simile distacco ai miei avversari (Mazzone ha vinto con 40” sul francese Jouanny, ndr) che, come ho detto a Parigi, hanno tanti anni meno di me. Questo è frutto del tanto lavoro svolto con la nazionale sia a livello personale, tante rinunce. In questo campionato ringrazio lo staff, che ha dato tanta serenità che per me fa molto. Serenità e tanta professionalità che mi ha permesso di far così bene».

La differenza dei tubeless

Fabrizio Cornegliani è una molla che non si scarica. Sul podio non è riuscito a stare fermo, almeno fino a che sono partite le note dell’Inno. E allora pure lui si è fermato ad ammirare quella bandiera che saliva al cielo. AI piedi del palco, c’è Ercole Spada, il presidente del suo Team Equa che sorride compiaciuto. E se Mazzone ha parlato col cuore in mano, Cornegliani la prende da atleta sulla cresta dell’onda, mescolando emozioni e numeri. A Zurigo c’è arrivato con l’oro olimpico al collo, non uno qualsiasi.

«Non me l’aspettavo – dice – però l’ho cercata. A Parigi lo dissi subito che ero sotto di un 10-15 per cento rispetto alla potenza che mi aspettavo. Così siamo ritornati a casa, ho riposato perché volevo un wattaggio migliore. Sono partito svantaggiato, perché sul piatto non ho tutta quella potenza per fare la differenza. Invece la differenza c’è stata. Abbiamo usato dei materiali nuovi, i tubeless che non avevamo ancora messo bene a punto sulla handbike. Probabilmente parte di questo vantaggio qua (2’35” sul secondo, ndr) è stato dato dalle gomme. Me li hanno dati due giorni fa e rispetto ai tubolari classici avevo la bici che scorreva e aveva un comfort mai visto».

Cornegliani ha vinto l’oro nella crono H1 con 2’35” sul secondo, il brasiliano Ferreira de Melo
Cornegliani ha vinto l’oro nella crono H1 con 2’35” sul secondo, il brasiliano Ferreira de Melo

«Questo percorso per quanto mi riguarda era fin troppo facile – prosegue – perché quando c’è solo una curva in un percorso, la potenza è tutto. Però era una gara lunga per la mia categoria, quindi la differenza l’ha fatta questo. Questo e la voglia di fare meglio di Parigi. Ho corso contro il mio fantasma ed è andata bene che fosse asciutto. Sul bagnato abbiamo delle difficoltà maggiori, i tutori cominciano a scivolare e diventa tutto un problema. La commozione sul palco? Quando suona l’Inno di Mameli, il brivido c’è sempre. Poi adesso che non ce lo suonano più nelle Coppe del mondo, è diventata una cosa rara. Quindi quando c’è l’Inno, mano sul cuore e cantare».

Le gare vanno avanti. Lello Ferrara si fa la foto con le medaglie al collo, strappando ben più di una risata. C’è la fila per fare le foto con questi splendidi atleti e andando via verso la sala stampa, il pensiero va a tutte le volte che un corridore si lamenta per il freddo o i sacrifici che deve fare. Non serve neanche aggiungere altro, abbiamo appena ricevuto l’ennesima lezione di volontà e voglia di vivere. Il resto non conta.

Velo lancia il team relay, e sugli U23 ha qualcosa da dire

24.09.2024
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ZURIGO (Svizzera) – I campionati del mondo per le prove contro il tempo termineranno ufficialmente domani con il mixed team relay. Una prova difficile, resa ancor più tosta dal percorso e dal livello molto alto dei contendenti all’oro. Dopo il successo dell’europeo gli azzurri si approcciano ad un’altra sfida nei panni della favorita. Dell’ossatura che ha dominato in Belgio rimangono i soli Affini e Cattaneo, gli altri quattro interpreti cambieranno. Nel trio maschile ai due alfieri d’oro si aggiunge Filippo Ganna. Per le tre ragazze, invece, il terzetto si compone dell’esperta Longo Borghini, affiancata da Soraya Paladin e Gaia Realini

«La gara – attacca subito a parlare il cittì Marco Velo – è parecchio dura. Direi un po’ insolita per una cronometro, soprattutto a squadre. Somiglia più a una cronoscalata, credo che in tre il percorso sia abbastanza proibitivo. Non tanto per la salita, che comunque va a snaturare quello che è il gesto di una cronometro, ma per le tante discese e i diversi tratti pericolosi. Le squadre incontreranno parecchie strade strette, quindi non si riuscirà a lanciare bene il terzetto. Detto questo siamo qua per lottare e provare a far bene, non lo nego, ho tre corridori uomini e tre atlete donne che sono di altissimo livello».

Un percorso del genere ha creato qualche difficoltà in più nel comporre le due squadre?

Non è un percorso ideale a Ganna o Affini, però sono fiducioso della loro condizione che è super (in apertura insieme a Marco Velo, foto Federciclismo / Maurizio Borserini). Mi piacerebbe rimarcare anche la voglia di due ragazzi come loro di mettersi a disposizione e nel prendere parte a questa gara. Quando ho iniziato a pensare ai vari nomi da includere nella lista dei papabili non ho ricevuto riscontri positivi dagli altri atleti. Soprattutto quando non ero sicuro della presenza di Pippo (Ganna, ndr) e della condizione di Edoardo (Affini, ndr). Ma nel team relay conta tanto lo spirito di squadra, i tre ragazzi sono dei fratelli mancati, sarà questo il nostro plus. 

Al loro si aggiunge Cattaneo.

Su di lui c’è poco da dire. Insieme a tutti gli altri è un super atleta che è in grado di fare molto bene domani. In salita alla Vuelta, quando si metteva a tirare, rimanevano agganciati in pochi alle sue ruote. Questo è un buon segno, significa che sta andando forte. 

Il team femminile ha delle caratteristiche atletiche praticamente perfette per questa prova.

Credo che le ragazze siano fortissime su questo tipo di percorso, La scelta di portare Realini è sicuramente dipesa dal tipo di percorso. Mi è piaciuta tanto la sua reazione alla chiamata, era molto felice e motivata nel mettersi alla prova. Longo Borghini e Paladin saranno due ottime pedine per un team relay impegnativo ma sul quale sono fiducioso. 

Facciamo un salto a ieri, concentrandoci sulla cronometro under 23, come giudichi i risultati? 

La scelta è ricaduta su Bryan Olivo e Andrea Raccagni Noviero. Penso che il primo non abbia fatto una super prova, si aspettava qualcosa in più, però usciva da un periodo lungo di stop. Mentre Raccagni Noviero è andato forte, considerando il percorso non adatto alle sue caratteristiche. Sono contento perché ha fatto una buona prova, fino all’ultimo intermedio era a 30 secondi da Romeo.

Noi avevamo in casa il campione iridato under 23, Milesi. Come mai non ha difeso il titolo?

E’ stato preso in considerazione, chiaramente, ma mi ha detto che non voleva partecipare al mondiale perché non ha usato la bici da crono ultimamente e non se la sentiva.

Sia Olivo che Raccagni Noviero hanno disputato poche cronometro durante la stagione, per motivi diversi. 

Sugli under 23 c’è un po’ di difficoltà nel mettere insieme tante prove contro il tempo. In Italia se ne corrono poche, ce n’è stata una, seppur breve, al Giro Next Gen. Da questo punto di vista dobbiamo imparare da Paesi stranieri nei quali, sia tra gli juniores che tra gli under 23, in qualsiasi tipo di corsa a tappe c’è comunque inserita una cronometro. Perché, alla fine, se si vuole crescere a livello di risultati serve curare questa disciplina, altrimenti non porti a casa nulla. 

Raccagni Noviero corre in un devo team, lì cambia qualcosa?

La fortuna è che le squadre development dei professionisti hanno una mentalità diversa, quindi forniscono a questi ragazzi le bici da crono. In questo modo le usano per allenarsi almeno un paio di volte durante la settimana. Guidare una bici da cronometro non è la stessa cosa di guidare quella da strada, serve allenare il gesto.

Merida Scultura vs Reacto, standard vs aero: sfida in famiglia

24.09.2024
7 min
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Scultura e Reacto a confronto. Le diversità delle due biciclette non riguardano solo le forme e l’allestimento, ma si riflettono nella resa tecnica. Sono entrambe dedicate ad un pubblico esigente e agonista. La Scultura è facile ed immediata, mentre la Reacto è una belva da tenere costantemente in tiro. Scopriamo le differenze tecniche che rendono unico questo confronto!

Abbiamo messo due Merida una contro l’altra. La Scultura con allestimento 9000, quindi una bici “tradizionale” che sfida la Reacto, ovvero una aero race senza mezzi termini. Entrambe adottano il telaio CF5 di quinta generazione, lo stesso modulo di carbonio usato dai professionisti.

Le diversità delle due biciclette non sono da limitare esclusivamente alle forme e all’allestimento, ma vanno estese in una resa tecnica che le mette su due piani diversi. Sono entrambe dedicate ad un pubblico esigente e agonista. La Scultura è una bici facile ed immediata, mentre la Reacto è una belva da gara da tenere costantemente in tiro. Entriamo nel dettaglio di questo confronto molto curioso.

Faccia a faccia, come due pugili al centro del ring: il confronto può iniziare
Faccia a faccia, come due pugili al centro del ring: il confronto può iniziare

La Scultura 9000 in test

Una taglia small con kit telaio CF5, con il reggisella Merida full carbon (diametro di ingresso nel piantone da 27,2 millimetri) e manubrio, anch’esso tutto in carbonio, Merida Team SL. La trasmissione è Sram Force 2×12 (50/37 e 10/36) con power meter Quarq. Le ruote Reynolds con profilo da 46 millimetri e le gomme Continental GP5000 TR da 28. La sella è Prologo Scratch con i rails in acciaio.

Il peso rilevato è di 7,6 chilogrammi (senza pedali) ed il prezzo di listino è di 8.290 euro. Molto bella a nostro parere la livrea cromatica di questa versione, una sorta di oro metallizzato tra lucido e opaco, con le finiture nere opache. Accattivante ed elegante al tempo stesso.

Reacto Team limited edition Ultegra

Una taglia media, con il kit telaio sempre CF5 e livrea Bahrain-Victorious. Il regisella è in carbonio, è specifico per la Reacto e offre un buon range di regolazione nella zona del morsetto, per arretramento ed inclinazione. La trasmissione è Shimano Ultegra Di2 52-36 e 11-30 (senza power meter), la sella è sempre la Prologo Scratch M5 con rail in acciaio.

La bici in test è stata equipaggiata con stem e piega FSA separati (non il manubrio integrato Vision) e le ruote Vision SC da 45 millimetri di altezza (gommate Continental GP5000 TR). Il valore alla bilancia rilevato è di 8,3 chilogrammi (senza pedali) ed il prezzo di listino (con manubrio Vision integrato e ruote Vision SL45) è di 8990 euro.

L’estetica dice molto, non tutto

Merida Scultura, sicuramente una bici dalle forme e dai concetti moderni. Attuale nel design e non troppo complicata. A tratti sfinata ed elegante che non dimentica le soluzioni aero applicate alle tubazioni che oggi sono fondamentali anche di questa categoria. Non è tiratissima in fatto di bilancia, ma è una di quelle bici con un grado di leggerezza che fa sorridere gli amanti dei pesi ridotti e si adatta bene a qualsiasi tipo di allestimento.

Merida Reacto, una bicicletta aero muscolosa, con un impatto estetico che lascia il segno, un design dal quale molte bici attuali hanno preso ispirazione, considerando che la Reacto ha già qualche anno di vita. E’ rigida, veloce e super reattiva una volta messa su strada, funzionale, una lama sviluppata per andare forte, non è una bici leggera.

Più rigida la Reacto, progressiva la Scultura
Più rigida la Reacto, progressiva la Scultura

Tra comfort e rigidità

Dalla Scultura ci si aspettano efficienza in salita e un certo grado di comfort, così è. A questi fattori si aggiungono un’enorme versatilità, soprattutto quando si cambia tipologia di ruote, perché la bicicletta non patisce il cambio di setting. La Scultura è una bici facilissima da guidare, immediata e capace di regalare un feeling diretto, intuitivo e mai nervoso in qualsiasi situazione. Ci era piaciuta tantissimo la versione Limited Edition 50 (quella celebrativa per i cinquant’anni dell’azienda) che portava in dote il manubrio Deda Alanera. Un binomio a nostro parere eccellente, con un frame-kit non estremo, preciso e guidabile con il valore aggiunto di un cockpit integrato molto rigido, capace di dare ulteriore valore alla precisione dell’avantreno.

La Reacto è più tosta. Il comfort non è quello della Scultura, perché la rigidità si percepisce, soprattutto quando si oltrepassano le 3 ore di attività e metri di dislivello positivo. Per sfruttare le potenzialità di questa bici è necessario avere un buon allenamento e benzina nelle gambe. E’ una di quelle biciclette da tenere sempre alla corda e proprio in questi frangenti si capisce quanto è efficiente anche in salita e agile in discesa, decisamente superiore alla media della categoria. In questi due frangenti ci ha sorpreso parecchio ed il suo peso sembra sparire.

Avantreno sostenuto e preciso per entrambe
Avantreno sostenuto e preciso per entrambe

In salita

Da sottolineare che entrambe le biciclette, taglia per taglia, hanno geometrie molto simili (praticamente uguali con valori sovrapponibili). Sono caratterizzate da un carro posteriore corto e da inclinazioni (piantone e sterzo) che permettono di ridurre il passo complessivo (le bici risultano sempre compatte) senza impiccare il ciclista. Da qui prende forma la bontà prestazionale emersa quando il naso è all’insù. La Scultura è più leggera, più facile da portare quando le velocità scendono, i watt aumentano in modo esponenziale e la gravità è un pugno nello stomaco. Inoltre la Scultura è più “elastica” e confortevole, due tasselli che tornano utili quando il dislivello è tanto e le ore di sella non devono pesare sulla schiena. Più che reattiva ci è piaciuto definirla progressiva.

Merida Reacto è una bici “secca”. Quando la strade sale mostra un’efficienza inaspettata, anche quando le pendenze sfiorano la doppia cifra (non per lunghi tratti). Nessuna indecisione, zero flessioni per carro e forcella, la bici invita ad alzarsi sui pedali e tirare forte sul manubrio. La salita non è il suo ambiente ideale e lo si percepisce quando inizia ad emergere un po’ di stanchezza, ma fino a quando il nostro motore è in grado di produrre kilojoule la Reacto è una bici goduriosa e da smanettoni.

Corte e compatte entrambe
Corte e compatte entrambe

In discesa

Sorprende positivamente la Reacto, perché è agile, piuttosto stabile soprattutto quando sono necessari cambi perentori di direzione. Questo anche con le ruote alte. In discesa si dimostra a tutti gli effetti una bici da KOM (per gli amanti dei segmenti Strava) e la sua geometria compatta è un bel vantaggio. 99 centimetri di passo complessivo nella taglia media (di fatto corrisponde ad una 56) sono pochi.

Tutta da godere la Scultura, bici facile ed intuitiva anche in questo frangente. Ruote alte, o medie, o basse, la differenza è poca. La bici non è mai nervosa, briosa di certo, ma perdona praticamente qualsiasi indecisione, correzione e cambi di direzione fatti in maniera poco ortodossa e all’ultimo istante.

Bici differenti sotto molti punti di vista
Bici differenti sotto molti punti di vista

In conclusione

Se la Reacto sorprende positivamente perché non ci si aspetta una bici agile in salita ed in discesa, Merida Scultura è da lode per quello che concerne facilità e capacità di instaurare un feeling ottimale fin dalle prime pedalate. Più esigente e stancante la Reacto che necessita di watt e forza per essere sfrutatta al massimo delle potenzialità, anche per questi motivo può essere divertente.

Scultura è una sorta di bici totale per chi ama le forme più tradizionali, fare metri di dislivello e lunghe distanze, aprendo anche il gas e sfruttando una buona dose di comfort a favore delle ore di sella.

Merida

Martina Fidanza: ora i mondiali su pista, poi la Visma

24.09.2024
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Una delle prime novità per la stagione 2025 riguarda Martina Fidanza, l’atleta bergamasca passerà infatti alla Visma Lease a Bike Women. Un contratto biennale che chiude la sua esperienza alla Ceratizit, formazione tedesca che negli anni è cresciuta fino ad arrivare nel WorldTour proprio nel 2024. Per Martina Fidanza, alle prese con la convalescenza dopo un incidente in allenamento, la chiamata dello squadrone olandese arriva dopo stagioni in costante crescita

«La convalescenza – dice da casa Martina Fidanza – è più dura del previsto a causa della rottura del gluteo. Ci metterà un po’ a recuperare e il mondiale di pista è dietro l’angolo, manca un mese. Riesco a uscire in bici, ma in maniera blanda, massimo un’ora e mezza a ritmi bassissimi. Giusto per girare le gambe. Oggi ad esempio sono rimasta totalmente ferma».

A inizio settembre si era detta felice per il finale di stagione, pochi giorni dopo è arrivato l’incidente che l’ha fermata (foto Instagram)
A inizio settembre si era detta felice per il finale di stagione, pochi giorni dopo è arrivato l’incidente che l’ha fermata (foto Instagram)

Lo scorrere del tempo

Per Martina Fidanza la stagione è iniziata presto, anzi prestissimo, con gli europei su pista il 10 gennaio. E’ poi proseguita con gli impegni su strada e le Olimpiadi di Parigi. 

«Sono passata dal vedere i mondiali su pista come un obiettivo lontano nel tempo – spiega – al vederli arrivare velocemente e non riuscire ad essere pronta come desidero. Sicuramente darò il massimo, ma il muscolo sarà al massimo delle prestazioni a metà ottobre. Nel mentre dovrò lavorare a regimi minori, onorerò l’impegno, chiaro che dispiace arrivare così. L’ufficialità della firma con la Visma è arrivata tre ore prima dell’incidente, pensare che una notizia così bella sia stata smorzata da questo evento dispiace, rimane però la felicità e l’orgoglio del traguardo raggiunto».

Come trascorri i tuoi giorni a casa?

Cerco di tenere la mente occupata, faccio dei sudoku, mi piacciono e per un po’ non penso ad altro che ai numeri. Poi guardo serie tv, mi sto appassionando a una serie crime, cercare di scoprire il colpevole e risolvere i casi è una bella prova. Infine vedo i miei amici, sto con il gatto e il mio fidanzato. 

Come è arrivato l’interesse degli olandesi?

La Visma cercava una velocista giovane da affiancare a quella che già hanno in rosa. La Vos fa un altro tipo di calendario, servivano due velociste pure. Non mi ritengo una delle più forti in gruppo, però ho dimostrato di avere del potenziale e la squadra l’ha notato. E’ una cosa che mi fa parecchio piacere. Dal Thuringen ho fatto vedere le mie qualità e le due vittorie mi hanno dato una bella spinta. 

Intanto su strada sono arrivate tre vittorie stagionali, due al Lotto Thuringen Tour
Intanto su strada sono arrivate tre vittorie stagionali, due al Lotto Thuringen Tour
Che contatti avete avuto?

Per prima cosa abbiamo fatto una videochiamata dove mi hanno presentato la squadra e hanno capito che tipo di persona sono. L’interesse è stato subito reciproco e dopo siamo passati al condividere i dati e le varie cose tecniche. La proposta ufficiale mi è arrivata dopo le Olimpiadi, la firma, invece poco prima di metà settembre. 

Li hai incontrati anche di persona?

Sono andata in Olanda nella sede principale per conoscere lo staff e il personale. E’ una struttura impressionante, una quantità di bici inimmaginabile. Mi sono sentita subito coivolta, anche perché ho camminato tra le varie maglie e bici dei campioni. Passeggiare e vedere i vari peluche e trofei del Tour conquistati da Marianne Vos o la bicicletta di Van Aert fa emozionare. Sono la prima atleta italiana a far parte del team femminile, è una bella responsabilità, ma non mi pesa.

Risultati che le hanno aperto le porte della Visma Lease a Bike Women, nella quale correrà nel biennio 2025-2026
Risultati che le hanno aperto le porte della Visma Lease a Bike Women, nella quale correrà nel biennio 2025-2026
Quali ambizioni ti poni per la nuova avventura?

Crescere ancora e fare un ulteriore salto di qualità. Voglio essere all’altezza della squadra in cui correrò, direi che cercare di vincere la prima gara di categoria WorldTour può essere un bell’obiettivo. 

Hai parlato della pista?

Ci siamo subito detti dell’importanza della doppia attività e del valore che per me ha la pista. Li ho trovati assolutamente d’accordo e sono disponibili per creare un calendario ideale per le mie caratteristiche e ambizioni. 

Non resta che farti un imbocca al lupo per una pronta guarigione e questa nuova avventura.

Crepi!

La gravel secondo me: Mattia De Marchi e la sua Basso Palta

24.09.2024
6 min
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MISANO ADRIATICO – Spesso parliamo di gravel. Su bici bici.STYLE lo facciamo più in ottica di viaggi e avventure, ma poi ci sono anche i campioni, i professionisti di questa disciplina. E uno di loro è Mattia De Marchi, del Team Enough.

Con il friulano, oggi scendiamo nel dettaglio tecnico e scopriamo com’è la bici gravel di un pro’. Come è settata. E che rapporto ha l’atleta con la sua bici. Mattia lo abbiamo incontrato all’Italian Bike Festival, ospite del suo sponsor tecnico, Basso Bikes. E questo è quel che ci ha raccontato…

Mattia De Marchi (classe 1991) durante una delle sue avventure (foto Instagram – @hrrypwll)
Mattia De Marchi (classe 1991) durante una delle sue avventure (foto Instagram – @hrrypwll)
Mattia, partiamo proprio dalla tua bici. Qual è?

Ho due Basso Palta con due configurazioni diverse, principalmente nel gruppo: da una parte la monocorona, dall’altra la doppia. In particolare per la doppia sto testando il nuovo wireless di Campagnolo. Lo sto usando anche fuoristrada ed è un’evoluzione del classico Ekar. Riguardo all’elettronico ci sono pro e contro.

Cioè?

L’elettronico adesso è una necessità. In certe situazioni la sua facilità di cambiata è fondamentale: banalmente basta schiacciare un bottoncino per cambiare e tutto diventa più facile. Di contro devi essere un po’ più delicato. Mentre il cambio meccanico se ben mantenuto difficilmente ha dei problemi e si romperà, l’elettronico porta con sé sempre un filo d’incognita.

Qui la foto “da catalogo” della Basso Palta, quella che invece Mattia aveva portato all’IBF aveva i segni di tante battaglie
Qui la foto “da catalogo” della Basso Palta, quella che invece Mattia aveva portato all’IBF aveva i segni di tante battaglie
Dilaga la monocorona, però tu stai testando anche la doppia: perché?

Per esigenze di rapporto. Nel gravel si sta andando sempre più veloci nel settore agonistico, pertanto si ha l’esigenza di avere una gamma di rapporti molto più ampia rispetto ad un paio di anni fa. Avere rapporti con un determinato sviluppo e giro catena è fondamentale.

E poi qual è l’altro componente importante a cui dedichi parecchia attenzione?

Le gomme. La tendenza vuole sezioni più larghe. Ormai nel 90 per cento delle gare si usa una gomma da 45 millimetri. E questo succede anche in America, dove paradossalmente per noi europei non è necessario usare qualcosa di tanto largo perché il loro è un gravel molto più scorrevole, molto più veloce, meno cattivo e meno tecnico rispetto al nostro. In qualche caso negli Usa stanno usando addirittura gomme da mountain bike…

Mattia sta utilizzando sia la doppia che la monocorona: qui ecco la sua Palta con la mono (da 44 denti)
Mattia sta utilizzando sia la doppia che la monocorona: qui ecco la sua Palta con la mono (da 44 denti)
Le 650b, insomma le 27,5”?

Non solo, anche le 700, le 29”, ma comunque con sezione da 45 millimetri in su. Test alla mano, sembrano essere più veloci, nonostante un peso maggiore. Nei prossimi anni secondo me, anche nel settore dei copertoni vedremo degli ibridi tra il gravel classico e la mtb. Inizialmente si pensava che la scelta migliore potesse essere un copertone veloce e leggero, adesso invece predomina l’esigenza di avere qualcosa di sicuro, che ti permetta di non avere forature a prescindere dal livello tecnico del terreno.

Perché?

Adesso se fori hai perso la gara, invece qualche anno fa se foravi avevi il tempo di riparare e magari anche di tornare davanti. Ora il gravel è più “esasperato”. Si va talmente forte che appena hai un problema sei out. Anche il livello delle gare si è alzato.

Oltre alla gomma da 45 millimetri usi anche il liner?

Dipende dalle situazioni. Quando ci sono molte feed station e c’è più possibilità di cambiare gomme non lo metto. Ma può capitare di metterlo anche se le feed zone sono tante perché il terreno è molto accidentato. In quel caso metto il liner, la mousse, per non pizzicare. Altrimenti incrocio le dita!

Le gomme Pirelli Cinturato Gravel M da 45 mm: una delle scelte più gettonate da De Marchi
Le gomme Pirelli Cinturato Gravel M da 45 mm: una delle scelte più gettonate da De Marchi
Sfidi la sorte!

E’ vero che il gravel professionistico è sempre più una gara di velocità, però io resto fedele al vecchio motto. E il mio primo obiettivo è comunque portare la bici all’arrivo. Per questo parto con tutto il necessario per certe riparazioni, mentre altri che hanno un pensiero diverso dal mio partono col minimo indispensabile. E sono in assetto super leggero.

Quindi si va verso una copertura più robusta ed unica?

Direi di sì. Con Pirelli ci sto lavorando. L’idea è proprio quella di avere un copertone un po’ meno veloce ma più sicuro e più resistente. Ma non è facile perché se lo rendi più resistente poi la guidabilità non rimane proprio la stessa. Per lavorare bene il copertone infatti si deve deformare, ma se lo si vuole più robusto automaticamente la sua carcassa diventa più rigida. Serve il giusto compromesso. Per ora lo standard che prima era il 40 millimetri è il 45 come detto. Si sta vivendo la situazione che avvenne su strada con il passaggio dal 25, al 28 e ora al 30 millimetri. Il professionista stradista che si avvicina al gravel ancora mette il 40-38 millimetri, mentre chi come me fa gravel tutto l’anno tende al 45 millimetri.

Per il resto cosa deve essere presente sulla tua bici?

Partiamo dal manubrio. C’è stata un’evoluzione pazzesca sugli accessori, rispetto ai telai forse c’è più margine per migliorare. Il manubrio integrato aiuta e l’ergonomia adesso è un fattore importante. So che Basso ci sta lavorando.

Il friulano dà importanza a componenti come il manubrio integrato: questo risponde ad esigenze di peso, di aerodinamica e comfort
Il friulano dà importanza a componenti come il manubrio integrato: questo risponde ad esigenze di peso, di aerodinamica e comfort
Qual è il vantaggio dell’integrato nel gravel?

Banalmente il peso: è un po’ più leggero rispetto al classico set attacco + piega. E poi dà meno problemi con le vibrazioni. Non devi stare tutti i giorni a rivedere il serraggio delle viti e il manubrio non si sposta con un colpo. Come detto Basso sta lavorando sull’ergonomia del manubrio. Un appoggio sicuro, una campanatura ad hoc…

Passiamo alla tua posizione…

E’ una questione molto personale. A me piace pedalare molto alto di sella. Sui social sono stato persino criticato per avere la sella troppo alta, cosa che nel gravel non è usuale.

In effetti ci spiazza un po’. Alla luce di ciò che misure di pedivelle usi?

Per ora 172,5 millimetri, ma ammetto che in casa ho delle pedivelle da 165. L’idea è di provarle, però il problema è che ci vuole tempo per adattarsi, per fare dei test. Anche l’aspetto delle pedivelle è personale. Insomma: non è che Pogacar vince perché ha le pedivelle da 165. Io comunque quest’inverno vorrei fare alcuni test di questa misura.

Le velocità sono sempre più alte e di conseguenza cambiano anche le bici e gli assetti (foto @chiara_redaschi)
Le velocità sono sempre più alte e di conseguenza cambiano anche le bici e gli assetti (foto @chiara_redaschi)
Cosa non deve assolutamente mai mancare sulla tua bici, Mattia?

Il borsello con il necessario per tornare a casa. Ho una borsetta di Miss Grape abbastanza grande sull’orizzontale: è aero e s’intona con la bici. Lì ci sono sempre un paio di camere d’aria, una falsamaglia, vermicelli, delle toppe… almeno in allenamento, poi in gara uno fa quel che vuole. E’ il discorso di prima. Ma anche in gara il necessario non mi manca mai.

Una o due borracce?

Sempre due e grandi. Anche qui c’è un mondo che si sta evolvendo. Oggi le feed station sono diventate numerose e in alcune gare, tipo Unbound, sono diventate quasi il clou della gara. Adesso serve assolutamente un piano di nutrizione se vuoi andare forte. Anche per questo a volte uso il camelback, che in linea di massima cerco di evitare per il suo peso. Anche questo delle borracce è un tema non da poco: cosa ci metto? Che forma devono avere?

Perché parli della forma?

Per l’aerodinamica. Oggi è importantissima nel gravel. Le velocità si sono stravolte in poco tempo e l’aerodinamica ormai conta moltissimo anche in questo settore.

Romeo mette nel sacco Segaert: l’oro tra gli U23 va alla Spagna

23.09.2024
5 min
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ZURIGO – Le emozioni più forti nel corso della seconda giornata dei campionati del mondo di Zurigo arrivano con la cronometro dedicata agli under 23. Sullo stesso percorso che ieri ha visto protagoniste le donne i ragazzi più forti al mondo si sono dati battaglia a colpi di secondi, curve spericolate e watt. Di energia nelle gambe questi giovani ne hanno parecchia e pensare che si voglia rimettere mano al regolamento impedendo loro di correre questi appuntamenti ci rattrista. Far parte del mondo WorldTour dovrebbe essere un merito non una discriminante, eppure c’è chi si ostina a voler escludere questi atleti da tali appuntamenti. 

In attesa di raccontarsi alla stampa, Ivan Romeo firma il solito mucchio di maglie iridate e non sta nella pelle
In attesa di raccontarsi alla stampa, Ivan Romeo firma il solito mucchio di maglie iridate e non sta nella pelle

Felicità estrema

Sulla hot seat di Zurigo ci sta stretto lo spagnolo alto, anzi altissimo. Si muove, alza le braccia, porta le mani al volto. E quando Alec Segaert arriva all’ultimo chilometro in evidente ritardo capisce di aver compiuto un’impresa e si lascia andare nel pianto di un bambino. Accovacciato ai piedi della sedia che ospita il corridore con il miglior tempo, viene preso d’assalto dallo staff e dal compagno di nazionale Markel Beloki. 

«Posso solo dire che è il giorno più felice della mia vita – confida Ivan Romeo a chi ancora non avesse visto quanto brillano i suoi occhi – credo di non sapere ancora quello che ho raggiunto. Ci vorrà del tempo. Se questa mattina mi avessero chiesto quanto tempo avrei potuto guadagnare nei confronti di Segaert nel tratto di pianura avrei risposto: nulla. Invece dopo aver tagliato il traguardo sapevo di aver fatto la miglior prova possibile».

Nel 2024 Romeo, 1,93 per 75 kg, era già stato 7° nella crono della Vuelta Burgos e 10° in quella del UAE Tour
Nel 2024 Romeo, 1,93 per 75 kg, era già stato 7° nella crono della Vuelta Burgos e 10° in quella del UAE Tour

Equilibrio

Al primo intertempo, in cima alla salita che poi avrebbe portato i ragazzi verso la temibile discesa, Romeo aveva un ritardo di pochi secondi. Dopo altri 10 chilometri il distacco da Segaert era minimo, cinque secondi. Tutti erano convinti che il belga avrebbe poi sfruttato il tratto favorevole per dilagare, invece la sua barca è naufragata

«Sul lago – spiega Romeo – c’era vento contrario, sapevo di dover risparmiare un po’ di energie nella parte iniziale per non arrivare stanco alla fine. Avevo in mente questo piano di passo fin dalla mattina, non pensavo però di guadagnare così tanto tempo. Mi sono sentito benissimo negli ultimi dodici chilometri, andando molto, molto più forte di quanto mi aspettassi. Quando ho visto che Segaert era cinque secondi più veloce di me, ad essere sincero, ho capito che avrei potuto vincere. Ho lasciato tutti gli avversari dai trenta secondi in su, credo che quegli ultimi dieci chilometri siano stati i migliori della mia vita».

Secondo posto con 32 secondi di ritardo per Soderqvist che dopo l’arrivo ha faticato a mandarla già
Secondo posto con 32 secondi di ritardo per Soderqvist che dopo l’arrivo ha faticato a mandarla già

L’emozione non ha età

A chi pensa di togliere la gioia di un appuntamento iridato a questi ragazzi chiediamo di porgere lo sguardo sul sorriso di Ivan Romeo mentre esulta sul podio in Sechselautenplatz. Ha una gioia talmente forte che frantuma le telecamere e un’energia così potente da invadere il cuore di tutti noi. La medaglia d’oro arriva dopo due anni con il team Movistar, con una progressione continua e un bagaglio di esperienze sempre più grande: perché non sfruttarlo?

«Questi due anni con la Movistar – conclude – sono stati bellissimi. Sto imparando tanto da loro e adoro questa squadra, da spagnolo è un sogno correre lì. E sì, essere in un team WorldTour per un anno e mezzo è ovviamente molto importante per acquisire esperienza e fiducia in se stessi. Si impara a gestire tutti i momenti, quelli buoni e quelli cattivi. Naturalmente ci sono entrambi». 

Christen ha chiuso al terzo posto, a 40″ da Romeo. Si è detto soddisfatto e pensa alla gara su strada di venerdì
Christen ha chiuso al terzo posto, a 40″ da Romeo. Si è detto soddisfatto e pensa alla gara su strada di venerdì

La delusione di Segaert

Chi mastica amaro è Alec Segaert. Il belga era il grande favorito di giornata dopo la vittoria del titolo europeo, invece se ne va da Zurigo con un pugno di mosche e una bella lezione. Imparare fa parte del processo per questi ragazzi ed è meglio farlo ora che in futuro, ma la seconda delusione iridata brucia.

«Credo che le gambe siano la cosa che mi ha fatto più male – dice trovando la forza di fare una risata –  ma sì, di sicuro è una delusione. Sono venuto per ottenere il massimo, ma oggi non era nelle mie corde. Il meteo alla fine non ha giocato una parte così importante nel risultato. Era prevista molta più pioggia, invece ho corso su una strada praticamente asciutta. La differenza vera l’ha fatta la parte pianeggiante, dove non sono riuscito a spingere quanto avrei voluto. Dopo il secondo intermedio mi sono buttato nel tratto in discesa, era rischioso ma sono andato abbastanza bene. Però si trattava di un settore difficile per tutti, il divario Romeo lo ha costruito nel finale».

Un podio che fa riflettere. Il primo, Romeo, corre alla Movistar nel WorldTour, il secondo nel devo team della Lidl-Trek, il terzo alla UAE Emirates
Un podio che fa riflettere. Il primo, Romeo, corre alla Movistar nel WorldTour, il secondo nel devo team della Lidl-Trek, il terzo alla UAE Emirates

I migliori

Alec Segaert è l’esempio più grande di un corridore che gareggia nel WorldTour e allo stesso tempo si trova ad affrontare eventi da under 23. Ha corso al Renewi Tour battendo a cronometro atleti che ieri hanno gareggiato tra i professionisti. Appena gli chiedono cosa pensa del possibile cambio di regolamento risponde subito.

«Se guardo a me stesso, penso che non correrò l’anno prossimo tra gli under 23, spero di farlo tra gli elite. Ma per me la gara under 23 dovrebbe essere per tutti gli atleti sotto quella età. Oggi, c’era un bel gruppo di corridori professionisti, ma penso che dovrebbe essere così. Anche se gareggi un anno intero con gli elite ma sei il migliore tra gli U23 allora meriti il titolo».

Crono juniores andata: Seixas sorprende, Finn guarda alla strada

23.09.2024
5 min
Salva

ZURIGO – La prova contro il tempo degli juniores ha emesso già alcuni verdetti interessanti, il primo è la vittoria del francese Paul Seixas. A questo si affianca la prestazione sottotono del campione del mondo in carica su strada Albert Philipsen. Il danese paga 25 secondi dal vincitore e, mentre tutti sfilano nella zona mista che si affaccia sull’Opera di Zurigo, lui passa via senza fermarsi. Gli addetti dell’UCI dicono non sia stato bene dopo l’arrivo, la sensazione nel vederlo passare è che sia frastornato e un po’ sorpreso, in negativo, dalla sua prestazione. 

Voci azzurre

Gli azzurri pedalano lenti nel corridoio che ospita televisioni e media, passa Andrea Donati e nel raccontare la sua prova si intuisce la delusione. Sperava in qualcosa di più, i numeri sono stati buoni ma per emergere in un mondiale serve una prova fuori dal comune.

«E’ stata una cronometro durissima – dice – sono sfinito, ho dato davvero tutto quello che avevo anche se non ero nella miglior condizione. Non sono andato male a livello di dati e numeri, rispecchiano quelli di una giornata media. Sono l’italiano che ha fatto più cronometro quest’anno, ne ho corse sei. A questo livello forse l’unica è stata alla Corsa della Pace. Sia questa di Zurigo che quella in Repubblica Ceca sono stati dei buoni confronti, anche in ottica futura».  

Chi, invece, è soddisfatto di quanto fatto è Lorenzo Finn. Si ferma, guarda l’arrivo dei diretti concorrenti e snocciola piano piano tutte le sue sensazioni. 

«Sono soddisfatto della mia prova – spiega l’azzurro – è stata la miglior cronometro della mia vita sia per sensazioni che per valori. Non potevo dare di più e comunque vedendo che sono arrivato a un secondo dai top 5, su questo tipo di percorso, mi ritengo soddisfatto. Era difficile pensare di poter vincere, ma se penso alla gara su strada mi sento davvero bene. I complimenti vanno a Seixas, ha fatto una cronometro superba e una prestazione monstre».

Andrea Donati e Lorenzo Finn durante le fasi di riscaldamento
Andrea Donati e Lorenzo Finn durante le fasi di riscaldamento

Tutto quadra

Il percorso di Lorenzo Finn e della nazionale juniores verso il mondiale di Zurigo è iniziato ad agosto con un ritiro in altura a Livigno. Poi si è passati dal Giro della Lunigiana e dal campionato europeo. Tutti step mirati per arrivare con la miglior condizione possibile alla corsa iridata. 

«Sicuramente – racconta Finn – l’europeo è stato molto utile, sia nella prova a cronometro che in quella in linea. E’ stato un test importante in vista dei mondiali, il fatto che oggi sia andato più forte rispetto alla prova di Hasselt mi fa ben sperare. Il ritiro di Livigno è stato fatto in vista dell’appuntamento iridato di Zurigo, questo doveva essere il periodo in cui il lavoro in altura avrebbe dovuto dare i suoi frutti. Per come mi sento direi che la fiducia c’è. Anche settimana scorsa, durante gli allenamenti, ho fatto i miei migliori valori, quindi sono contento».

Lorenzo Finn si è detto felice della sua prova e dei valori registrati nell’ultimo periodo
Lorenzo Finn si è detto felice della sua prova e dei valori registrati nell’ultimo periodo

Un altro atteggiamento

Se si fa un passo indietro, tornando alla prova continentale, non si può non pensare alle parole del cittì Salvoldi. Il tecnico ha giudicato in maniera negativa la prestazione del team juniores, da loro si aspettava qualcosa in più, soprattutto dal punto di vista del coraggio

«Su strada – dice ancora Finn – ho provato a dare un mano ai miei compagni perché non volevo prendere troppi rischi. Mi sono messo a disposizione in pianura, prima del tratto in pavé, poi mi sono sfilato. Penso Salvoldi abbia avuto ragione nel criticare il nostro atteggiamento in maniera negativa. Non abbiamo corso benissimo, ma ci rifaremo giovedì».

«Ora – continua – serve riposare e recuperare bene dallo sforzo. Mercoledì rivedremo il percorso (il tracciato rimarrà chiuso dalle 8,00 alle 10,00, ndr). Siamo venuti a giugno a visionarlo, quindi una rinfrescata farà sicuramente bene. Dall’ultima salita al traguardo ci saranno una quindicina di chilometri, sarà uno sforzo molto simile a una cronometro».

Andrea Donati conclude al 20° posto, per lui un’esperienza che tornerà utile in futuro
Andrea Donati conclude al 20° posto, per lui un’esperienza che tornerà utile in futuro

Gli altri

La classifica della cronometro juniores recita un podio a forti tinte belga con il gradino più alto in mano al corridore che, ad ora, sembra essere il favorito: Paul Seixas. Il sesto posto di Albert Philipsen sorprende, ma non toglie dalla testa di tutti che il danese sarà protagonista su strada. Gli avversari lo temono e ne parlano bene, con il timore che si riserva a chi può farti del male da un momento all’altro. Anche Finn non lo toglie dalla lista dei favoriti.

«Io ho fatto 53 di media – conclude Finn – quindi non credo che Philipsen sia andato piano, visto che mi ha anticipato di un secondo sul traguardo. Sicuramente era il favorito e vederlo fuori dal podio colpisce, ma non facciamoci illudere. Dopo la cronometro di oggi penso che Seixas sia il nome per la corsa in linea, ma serve ancora qualche giorno di pazienza, giovedì vedremo».