Campionati Italiani Giovanili di cross, ecco perché piacciono

12.01.2025
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I campionati italiani di Follonica, un bell’esempio di promozione per il ciclocross e per il ciclismo giovanile in genere. Un plauso alla ASD Romano Scotti che arriva da più direzioni, non in ultimo da Fabrizio Tacchino (preparatore e anche tecnico federale) che abbiamo intervistato nel post evento. Fausto Scotti ed il suo staff hanno organizzato a Follonica la rassegna nazionale di ciclocross dedicata alle categorie giovanili.

Il ciclismo ha bisogno di tornare a crescere anche sotto il profilo della durezza, della tecnicità dei percorsi, ma sempre con le giuste proporzioni di sforzo legate alle categorie dei partecipanti, fattori che potrebbero riportarci al pari di nazioni che in questo periodo storico la fanno da padrone.

Fabrizio Tacchino con Nicolò Maglietti e Giovanni Bosio, campioni del team releay (foto Tacchino)
Fabrizio Tacchino con Nicolò Maglietti e Giovanni Bosio, campioni del team releay (foto Tacchino)
Ti sentiamo entusiasta dell’evento appena concluso!

Per me è stata una bellissima manifestazione, ben congegnata e ben fatta sotto tutti i punti di vista. Lo ritengo il sigillo di una stagione giovanile del ciclocross che è anche una sorta di rilancio vero e proprio. Un elogio a chi ha avuto il coraggio di organizzare un evento del genere, una manifestazione che diventa un’ottima base per una ricostruzione tecnica del ciclismo, a partire dai giovani.

Ti riferisci al percorso?

Anche. Di sicuro il tracciato è stato degno di una rassegna nazionale del ciclocross, impegnativo e tecnico per gli atleti, a tratti anche molto impegnativo, ma è giusto così. Comunque ben strutturato anche in base al modello di sforzo proporzionato all’età. Non bisogna dimenticare che hanno gareggiato le categorie esordienti e allievi. Un campionato nazionale non deve essere una gara fatta a caso. Bello per gli spettatori che hanno beneficiato di una panoramica di un tracciato come andrebbe fatto.

Tracciato completo, tecnico ed impegnativo, ma ben studiato per i ragazzi (foto ASD Scotti)
Tracciato completo, tecnico ed impegnativo, ma ben studiato per i ragazzi (foto ASD Scotti)
Per fare un paragone, un percorso degno delle gare del Belgio?

Con le dovute proporzioni e considerando che si tratta di categorie giovanili, direi di si. Anche se è necessario sempre fare delle considerazioni ben precise.

A cosa ti riferisci?

Spesso si celebrano, da una parte giustamente, i circuiti di Belgio e Olanda, ma è necessario considerare che in quelle Nazioni buona parte dei tracciati sono permanenti. Sono dei veri stadi e arene. In Italia questo non esiste, perché i percorsi da ciclocross vengono tracciati nei giorni antecedenti alla gara o comunque non sono permanenti. Non è una banalità, una variabile che influisce anche sulla tecnicità dei percorsi.

Ambire alla qualità dei tracciati?

Esattamente. In Italia dobbiamo tornare a disegnare, tracciare e far correre gli atleti all’interno di tracciati con una elevata tecnicità, partendo dalle rassegne nazionali ed eventi più importanti e poi a cascata un po’ ovunque. La semplicità non porta a nulla.

Una fase di partenza lungo il rettilineo che anticipava il tracciato vero e proprio (foto ASD Scotti)
Una fase di partenza lungo il rettilineo che anticipava il tracciato vero e proprio (foto ASD Scotti)
Un fattore che potrebbe aiutare a sfornare talenti?

Le gare facili abbassano il livello dei corridori o comunque non ci mettono al pari delle Nazioni che dominano. I percorsi tecnici divertono il pubblico ed i ragazzi, diventano al tempo stesso un’eccellente base di lavoro e per la guida. Fanno crescere il livello complessivo, danno motivazione. Un livello elevato permette di gratificare anche con la sola partecipazione. E’ un incentivo.

Pensi che abbiamo perso molte gare con un elevato tasso tecnico?

Sì e non solo in ambito ciclocross. Paradossalmente sono rimaste tante gare facili. I motivi sono diversi, sicuramente i costi recitano la parte del leone. Soprattutto a livello giovanile abbiamo perso, purtroppo, la maggior parte degli eventi che si svolgevano sui tre giorni. Manifestazioni che permettevano di fare una grande esperienza ai più piccoli, gare che invece sono un modello tanto utilizzato all’estero. Sono idee che andrebbero riprese, sicuramente ripensate in ottica più moderna, ma comunque utilizzate.

La rassegna di Follonica, un bell’esempio di organizzazione e promozione del ciclismo giovanile
La rassegna di Follonica, un bell’esempio di organizzazione e promozione del ciclismo giovanile
Si parla tanto di far pagare un biglietto, la ritieni una soluzione?

In Italia è difficile pensare di far pagare il biglietto ad una gara di bici, ma non è impossibile. Come accennato in precedenza, a mio parere, è giusto prendere spunto da quello che vediamo arrivare dalle nazioni trainanti, ma altrettanto giusto calibrare al contesto italiano. Gli eventi collaterali sarebbero una buona soluzione, solo per fare un esempio.

Cattaneo, non solo crono e Remco: «Debutto alla Roubaix»

12.01.2025
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CALPE (Spagna) – Sulla panoramica terrazza del maggiore hotel di Calpe, baciati da un sole che non sembrerebbe proprio essere di gennaio, il veterano della Soudal-Quick Step ci ha rivelato i suoi piani per questo 2025. Ovviamente parliamo di Mattia Cattaneo. Piani che sono a dir poco curiosi. Dopo anni trascorsi a supportare i leader nelle grandi corse a tappe e a distinguersi nelle cronometro, Cattaneo ha finalmente ottenuto una chance speciale: il debutto alla Parigi-Roubaix. Per lui, un sogno che si avvera e un tassello che completa il mosaico della sua carriera.

Cattaneo ha raccontato come il team belga stia cambiando volto, con una crescente attenzione ai grandi Giri e una graduale ristrutturazione che ha aperto nuove opportunità anche a lui. Ma non solo pietre e cronometro nel suo prossimo futuro: il supporto a Remco Evenepoel per il Tour de France e il mondiale a cronometro sono gli altri obiettivi chiave di una stagione che si preannuncia densa e forse inaspettatamente stimolante. E non è poco dopo i grossi guai del 2024.

Cattaneo (classe 1990) si appresta ad affrontare la sua 14ª stagione da pro’, la prima con la Roubaix (foto Soudal-Quick Step)
Cattaneo (classe 1990) si appresta ad affrontare la sua 14ª stagione da pro’, la prima con la Roubaix (foto Soudal-Quick Step)
Mattia, partiamo da quest’aria di rinnovamento che è palpabile: è cambiata molto la Soudal-Quick Step rispetto agli anni passati?

Sì, è cambiata tantissimo. Quando sono arrivato, la squadra era fortemente orientata verso le classiche, mentre oggi l’attenzione è sempre più rivolta ai grandi Giri, grazie soprattutto alla presenza di un leader come Remco. Questo cambiamento si nota anche nell’approccio alla preparazione: la programmazione di un Grande Giro richiede una cura e una strategia completamente diverse rispetto a una campagna di classiche.

Cosa significa un nuovo approccio e una diversa programmazione?

Che per un Grande Giro c’è tanto più volume di cose da mettere a punto, da tenere sotto controllo. E’ un processo più lungo, basta pensare solo alle alture, per fare un esempio. E’ un grande lavoro.

In questi anni avete perso ottimi corridori per le classiche del Nord, c’è qualcuno che si farà sentire in particolare?

Julian Alaphilippe era un corridore unico per certe tappe e situazioni di gara, non solo per il Nord. La sua mancanza si farà sentire. Lui era ancora nel pieno, un atleta di carisma. Tuttavia, la squadra resta molto competitiva, sia per i grandi Giri che per le classiche. Certo, con meno corridori di riferimento per il Nord, ma sempre di altissimo livello.

Veniamo a te, cosa bolle in pentola? Abbiamo sentito questa voce della Parigi-Roubaix…

Eh già! Era da anni che chiedevo di poterla fare, perché sentivo che, per caratteristiche, potevo adattarmici bene. Ho sempre partecipato a tutte le corse del WorldTour tranne che alla Roubaix: per me è un modo per chiudere il cerchio. La squadra ha capito che posso essere utile sia per aiutare il team che per cercare qualche soddisfazione personale, pur consapevole che vincere è fuori portata. Essere competitivo e utile al gruppo e sarebbe già un grande obiettivo per me.

Ormai il lombardo è una garanzia per la squadra. Il debutto il 5 febbraio a Bessèges
Ormai il lombardo è una garanzia per la squadra. Il debutto il 5 febbraio a Bessèges
Come preparerai questo appuntamento?

Abbiamo già programmato dei sopralluoghi tra l’Algarve e l’opening weekend delle classiche in Belgio. Parteciperò a qualche corsa a fine febbraio per testare i materiali e prendere confidenza con il pavé. Dopo la Tirreno-Adriatico tornerò per le classiche vere e proprie.

Hai cambiato anche la preparazione in ottica classiche delle pietre, visto che farai anche il Fiandre? Per esempio ci dicevi dei tanti chilometri con lo sci di fondo, un ottimo lavoro per la parte alta del corpo…

In realtà non ho stravolto la mia preparazione, anche perché a 34 anni suonati non mi sembrava il caso di mettermi a fare degli esperimenti. Ho mantenuto un mix di lavoro in bici e palestra. Lo sci di fondo, per come l’ho fatto io, era prettamente per fare endurance, poi ovviamente è anche un ottimo lavoro muscolare, ma non è qualcosa che ho implementato ai fini di una preparazione diversa e per gare diverse dal mio solito.

Quanto conta l’esperienza in corse che non hai mai disputato?

Credo molto. Anche se non ho mai corso la Roubaix, conosco bene molte altre classiche del Nord. So bene cos’è un Kwaremont o un Koppenberg: li ho affrontati in passato e so cosa aspettarmi. So della bagarre che c’è. La scelta dei materiali e la conoscenza del percorso sono fondamentali: ma su questo aspetto siamo una squadra forte. Credo di poter portare un contributo tecnico e tattico al team, anche grazie alla mia esperienza generale.

Dopo le classiche sai già cosa farai?

Finite le classiche staccherò un po’. Calcolate che io farò anche le Ardenne poiché ci sarà Evenepoel. Credo che non farò solo la Freccia Vallone, ma vedremo per questo. Quindi dopo la Liegi mi aspettano in pratica due mesi di altura: tutto maggio, poi il Delfinato e quindi di nuovo in altura in vista del Tour, chiaramente in appoggio a Remco.

Cattaneo punta deciso anche al mondiale: la crono sembra essere impegnativa e questo va bene per un cronoman con le sue caratteristiche
Cattaneo punta deciso anche al mondiale: la crono sembra essere impegnativa e questo va bene per un cronoman con le sue caratteristiche
E dopo il Tour de France, cosa c’è nei tuoi piani?

Il mondiale a cronometro è un grande obiettivo. Il percorso sembra adatto alle mie caratteristiche e spero di conquistare una convocazione. Negli ultimi anni ho dimostrato continuità nelle crono e vorrei continuare su questa strada. In Italia siamo diventati una nazione di riferimento nella specialità, ma bisognerà lottare per un posto, dato l’alto livello dei nostri atleti.

Però Mattia, un calendario bello intenso! E che entusiasmo che hai…

Quello non manca. Vado per i 35 anni, so bene cosa posso fare e cosa no. Ormai quello di gregario (importante aggiungiamo noi, ndr) è il mio ruolo. Sono consapevole che non posso vincere o che comunque per uno come me è molto difficile, ma sono felice di poter essere importante per la squadra e avere un leader come Evenepoel è tanto, tanto stimolante. Lui è uno di quei 5-6 corridori che può vincere in questo ciclismo. E questo fa la differenza anche per chi c’è intorno a lui.

Ultima domanda: cosa ti sembra dei due “bimbi” italiani arrivati in squadra? Parliamo ovviamente di Gianmarco Garofoli e Andrea Raccagni Noviero.

Garofoli e Raccagni sono due ragazzi con prospettive molto promettenti. Credo siano nella squadra giusta e al momento giusto, per poter crescere bene. Avere compagni italiani aiuta, per cultura e mentalità. Il ciclismo di oggi non concede tempo, quindi non possono aspettare così tanto tempo per emergere, ma penso che abbiano le qualità per fare bene e trovare il loro spazio.

Cavalli rinata e i compiti arretrati da recuperare

12.01.2025
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La senti subito dalla voce che Marta Cavalli è rinata, ripartita. Come un computer che va in tilt per il quale serve il più classico e non meno scontato “spegni e riavvia” staccando brutalmente la spina. Non è un’altra persona perché i modi sono quelli garbati di sempre. Anche di quando stava attraversando il suo periodo più incerto e ai soliti messaggi poteva avere tutto il diritto di rispondere in maniera più spazientita o distaccata.

Le descrizioni di questa nuova fase della sua vita sono precise e particolareggiate come quando ti raccontava una gara. A Marta piace coinvolgerti con un sorriso e con metafore chiare per farti capire come sta la situazione. Prima e anche ora. Tutte qualità umane che non puoi perdere e che, proprio come ci diceva Marta Bastianelli sulle sue vittorie, non possono essere frutto del caso.

La ripartenza agonistica di Cavalli sta avvenendo con i colori della Picnic-PostNL che non ha esitato a farle un contratto triennale. Quella personale invece si è compiuta in autunno per merito del nuovo fidanzato ex ciclista che ha saputo farle riaccendere la scintilla dell’interruttore generale, anche attraverso sfide in cucina. E adesso il passato è passato. Moralmente resta una cicatrice che si sta riassorbendo bene e non c’è più paura di parlarne, nemmeno se la rincroci con un’occhiata. Ora però bisogna pedalare, come ci spiega lei.

Marta ha ritrovato il sorriso. Merito del fidanzato e della nuova squadra che ha creduto in lei con un approccio discreto (foto Picnic)
Marta siete a Calpe per il ritiro. Come sta andando questo e com’è stato quello di dicembre?

Tutto procede al meglio con un clima rilassato in squadra e quello meteorologico ottimale per andare in bici. Il primo ritiro è stato fatto per conoscersi, c’era anche il team maschile. Quella settimana è volata via in fretta. Non conoscevo nessuno e, tempo che avevo iniziato a mettere a fuoco tutti tra compagne e staff, era già ora di rientrare. E’ stata una full immersion tra posizionamenti in bici, materiali e abbigliamento. Mi è servito per ripartire. Questo ritiro invece è focalizzato sui test e sulla preparazione per le prime gare. Prendo i dati come vengono per il momento.

L’ambientamento come va?

Molto bene anche quello. Nel ritiro di dicembre ero in camera con Barale che mi ha aiutato molto ad inserirmi e spiegarmi tutto quello che avviene e perché avviene. In questo sono in camera con Pfeiffer Georgi e mi trovo benissimo anche con lei. Mi sto trovando bene con tutti per la verità. E’ un ambiente ordinato. Mi piace che vengano fatte le cose per un motivo preciso anziché per un altro. Abbiamo tante figure professionali a nostra disposizione, ognuna di esse specializzata nel suo settore. Può sembrare un organico troppo articolato, ma in realtà è un sistema che ci garantisce di essere o arrivare preparati ad un appuntamento, anche solo il semplice allenamento. E’ un sistema che ottimizza tutto per il corridore.

Il ritiro di dicembre è servito a Cavalli per conoscere le nuove compagne, lo staff e i nuovi materiali (foto instagram)
Il ritiro di dicembre è servito a Cavalli per conoscere le nuove compagne, lo staff e i nuovi materiali (foto instagram)
Ti sei già confrontata con i tuoi diesse?

Sì e apprezzo il loro modo di fare. Con loro avevo iniziato già da qualche mese. Stavo quasi per abbandonare la scialuppa, ma i tecnici della Picnic mi hanno ripreso a bordo. Si sono approcciati in maniera giusta, molto discreta, senza essere invadenti o insistenti. Mi hanno detto: «Se te la senti e quando te la senti, noi ti aspettiamo e ti riportiamo dentro al tuo ambiente». Questo ha inciso molto sulla mia decisione.

Quanto sei stata vicina a chiudere col ciclismo?

Moltissimo. Però poi la Picnic mi ha offerto una possibilità e ho pensato che mi sarebbe dispiaciuto molto abbandonare l’attività con un brutto ricordo. Avevo il rigetto del ciclismo per come lo interpretavo, non come sport perché mi piace andare in bici. Parlando con Mirko (Remondini, il suo fidanzato che ha corso fino agli juniores, ndr) ci siamo detti che non avevo nulla da perdere. Tanto il punto più basso l’avevo già toccato e non potevo che risalire.

Cosa è cambiato in Marta Cavalli grazie a lui?

Mirko mi ha aiutato a capire i problemi rispettando i miei tempi e le mie paure. E pensate al paradosso di un piacentino che ha aiutato una cremonese (ride Marta riferendosi alla storica rivalità campanilistica tra le due province confinanti, ndr). Sotto sotto però in modo delicato mi ha sempre spronato a riprendere in mano la bici per correre. Ho sempre pedalato in modo continuativo, ma senza più seguire tabelle. Spesso uscivamo in bici senza avere un’idea di cosa volessimo fare. Durante le sue ferie partivamo per fare giri corti e sciogligambe, invece ci ritrovavamo ad aver fatto quattro ore con del dislivello stando fuori più di mezza giornata. A quel punto abbiamo pensato di ripartire con l’idea di vedere come sarebbe andata.

L’hobby preferito di Marta è cucinare. E’ stato un ottimo diversivo per non pensare al passato e ripartire in bici (foto instagram)
L’hobby preferito di Marta è cucinare. E’ stato un ottimo diversivo per non pensare al passato e ripartire in bici (foto instagram)
E adesso come ti senti a livello atletico?

Diciamo che un anno senza gare si sente (solo cinque giorni di corse nel 2024 tra metà marzo e inizio maggio, ndr). So che sono indietro, ma so anche che posso solo migliorare. Sono consapevole che i primi sei mesi del 2025 saranno difficili per tanti motivi. Sono in una squadra nuova e devo capire come si corre qua o cosa devo fare. Mi mancano il ritmo gara e l’atmosfera che la circonda. I miei diesse mi hanno detto che sono disposti a sacrificare almeno metà stagione per farmi ritornare come prima. Di sicuro sento di avere un approccio diverso e questo mi dà serenità e motivazione.

Avverti la sensazione di ricominciare daccapo?

Mi sembra di essere tornata elite al primo anno quando fino a giugno/luglio hai la maturità (sorride, ndr). Mi sembra in effetti di avvicinarmi ad un nuovo sport, come se scoprissi qualcosa di diverso. Il 2024 è stato un anno difficile, però ho avuto la possibilità di guardare oltre, di togliermi il paraocchi. Prima sentivo che dovevo fare le cose per forza per poter correre. Quasi più per altri che per me. Ora mi gusto di più le situazioni e sono meno rigida con me stessa.

Brava Marta, non è da tutti saper fronteggiare una esperienza simile. Te ne rendi conto di questo?

Certo e sono tranquilla. Non mi imputo più la colpa di non essere forte come prima. Anzi sono contenta per quello che ho fatto per uscire da questa situazione. Ho dovuto resettare tutto, ma ne è valsa la pena. Ad esempio, mi piace quell’ordine di certi aspetti che mi ha dato la mia nuova squadra di cui vi parlavo prima. Sono sempre stata una molto metodica, ma adesso non lo vivo più come prima.

A Calpe si sfrutta il bel tempo per preparare le prime gare. Cavalli debutterà alla Setmana Valenciana (foto Picnic-PostNL)
A Calpe si sfrutta il bel tempo per preparare le prime gare. Cavalli debutterà alla Setmana Valenciana (foto Picnic-PostNL)
Nella Picnic-PostNL hai trovato Barale, Barbieri e Ciabocco. Le avevi sentite prima di firmare?

Ricordo che era fine estate quando ero entrata in contatto con i dirigenti ed in procinto di chiudere il contratto. Però non ho voluto chiamare nessuna di loro tre perché non volevo essere condizionata nella mia decisione. Sono sicura che mi avrebbero parlato bene della squadra, come è in realtà, e che mi avrebbero aiutata a dire di sì, come poi è successo. Volevo convincermi da sola di quello che stavo facendo, con piena responsabilità. Alla fine sono molto contenta di come sono andate le cose. Credo che sia stata una sorpresa per le mie compagne quando il diesse sulla chat della squadra mi ha inserito dandomi il benvenuto.

Visto quello che ci hai detto, ti sei prefissata ugualmente dei piccoli obiettivi?

Andrò per gradi, vivendo alla giornata. Ho dei compiti arretrati da recuperare (dice sorridendo, ndr). Dovrei esordire alla Setmana Valenciana (dal 13 al 16 febbraio, ndr) poi vedremo gara dopo gara. Ogni occasione sarà buona per vedere a che punto sono e cosa potrò fare. Marta Bastianelli l’ho sentita parecchio in questi mesi e mi ha fatto piacere. Vi ha detto che il mondiale è adatto a me. So che è duro, ma è molto in là col tempo ed io non ci penso adesso anche se è uno stimolo. Prima vediamo come vado che è quello più importante.

Moscon alla Red Bull: per portare esperienza e mentalità

11.01.2025
5 min
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A 30 anni, che saranno 31 il prossimo aprile, Gianni Moscon approda alla Red Bull-BORA-hansgrohe. L’arrivo del ragazzone trentino nel team tedesco è un qualcosa che incuriosisce, dopo nove anni trascorsi tra i professionisti la sua è diventata una figura di esperienza in gruppo. Lo hanno capito i tecnici della Red Bull-BORA-hansgrohe che hanno deciso di portarlo con loro in questa stagione (in apertura foto Red Bull-BORA-hansgrohe/Max Fries). Insieme a Moscon e al suo occhio esperto entriamo nel mondo di questo team, che dopo sei mesi di collaudo dello scorso anno, è pronto a partire per la sua prima stagione corsa interamente nella categoria WorldTour. 

«Nel 2024 – spiega Moscon con la sua voce ferma e tranquilla – sono tornato ad avere le sensazioni che cercavo da un po’ di tempo. Ho fatto delle belle gare e la stagione è stata positiva. Tanto che è arrivata la chiamata della Red Bull-BORA-hansgrohe. Mi hanno contattato alla fine dello scorso Tour de France. Mi hanno presentato il progetto, dicendomi che cercavano una figura come la mia: di esperienza».

Moscon è stato contattato dalla Red Bull-BORA-hansgrohe dopo il Tour de France
Moscon è stato contattato dalla Red Bull-BORA-hansgrohe dopo il Tour de France

Riconoscere il valore

Quando una squadra come la Red Bull-BORA-hansgrohe viene a cercarti è difficile stare a pensare, certe offerte vanno colte al volo. Soprattutto se il progetto risulta ambizioso e stimolante. 

«Effettivamente non mi sono messo a riflettere molto – continua a raccontare Moscon – ho accettato praticamente subito la proposta del team. Il mio ruolo sarà, innanzitutto, quello di portare la giusta esperienza in squadra per supportare i capitani nelle grandi corse a tappe. Questo nella prima parte di stagione. Poi, dalla seconda metà dell’anno in avanti, potrei avere degli spazi per cercare dei risultati personali. Ma l’obiettivo principale sarà portare il giusto contributo alla causa, il resto si vedrà. Anche perché sono uno tra i più grandi in rosa».

Per il corridore trentino è il momento di mettere al servizio della squadra la sua esperienza (foto Red Bull-BORA-hansgrohe/Max Fries)
Per il corridore trentino è il momento di mettere al servizio della squadra la sua esperienza (foto Red Bull-BORA-hansgrohe/Max Fries)
Di esperienza in nove anni ne hai accumulata parecchia…

Sono stato in grandi squadre e per tanti anni nel mondo Sky e poi Ineos. Nel 2024 ho corso anche con la Soudal Quick-Step. Ma se devo guardarmi indietro e pensare a quale sia stata l’esperienza più grande dico Sky. Lì ho capito cosa vuol dire lavorare per una squadra che ha ambizioni di classifica. 

Cosa senti di poter dare di tuo alla squadra?

Proprio questo. Riuscire a dare il giusto supporto alle ambizioni dei capitani, come Roglic, Hindley e Martinez. Qui ci sono tanti giovani forti, mancava l’esperienza e io sento di essere nel posto giusto. Io  sento di aver accumulato tanto in questi anni, anche per questioni anagrafiche. 

Moscon sarà accanto ai capitani durante la stagione negli appuntamenti più importanti (foto Red Bull-BORA-hansgrohe/Max Fries)
Moscon sarà accanto ai capitani durante la stagione negli appuntamenti più importanti (foto Red Bull-BORA-hansgrohe/Max Fries)
Un ruolo importante…

Sì. So cosa posso dare e metterò tutto me stesso a disposizione dei miei compagni. I giovani mantengono delle ambizioni personali, com’è giusto che sia. Toccherà a me coordinare le varie energie e gestire la squadra. 

Hai parlato del mondo Sky, vedi qualche somiglianza in questo progetto?

Qualcuna sì. Vedo la stessa voglia di raggiungere il massimo, sia a livello di energie investite che di denaro. Tutto è volto al continuo miglioramento. Si respira anche la consapevolezza di non essere mai arrivati, ma che bisogna sempre crescere e perfezionarsi. Da questo punto di vista penso siano due squadre che non si fermano mai. Ogni corridore è chiamato a dare il meglio e tutti sono consapevoli di quale sia l’obiettivo. C’è una leggera pressione, ma tutti danno il massimo. 

Moscon ha corso l’ultima stagione alla Soudal Quick-Step ritrovando buone sensazioni
Moscon ha corso l’ultima stagione alla Soudal Quick-Step ritrovando buone sensazioni
E’ una caratteristica rara?

Quando si cambia squadra o azienda, se si è nel mondo del lavoro, non si trova sempre lo stesso modo di fare. Però si riconoscono le realtà che vogliono raggiungere il massimo. 

Questa “direzione” da seguire pensi ti sia mancata negli ultimi tre anni, da quando hai lasciato la Ineos?

Personalmente ho sempre avuto in testa quale dovesse essere il mio cammino, anche se quando manca il contesto è difficile avere il supporto. La Soudal Quick-Step è un grande team e ai corridori non manca nulla. Qui si vede che c’è tanto più personale rispetto alle altre realtà. Una cosa che deriva sicuramente dal budget superiore, ma anche dalle linee guida del team. Ora sento di avere un ruolo specifico, e di non dover essere contemporaneamente tre cose insieme. 

Moscon tornerà alla Tirreno-Adriatico, l’ultima volta fu nel 2022 in maglia Astana
Moscon tornerà alla Tirreno-Adriatico, l’ultima volta fu nel 2022 in maglia Astana
Pensi che questo equilibrio possa darti una mano anche a livello personale? Per tornare ai risultati che hai ottenuto quando eri in Ineos?

No. Per quanto riguarda me stesso nel 2024 ho fatto registrare valori pari a quelli del 2021. Solo che quattro anni fa bastavano 5,2 watt per chilo e si faceva la differenza. Ora con gli stessi valori non rimani nei primi. Per quanto fatto la scorsa stagione, se si parla di numeri, non ho nulla da invidiare alla mia ultima stagione in Ineos. 

Credi sia possibile tornare a quel tipo di risultati?

Se si parla di determinate gare magari ce la si può cavare con un po’ di visione di gara e di classe. Ad esempio alcune corse del Nord, però se si parla di Fiandre e Roubaix è difficile. Anche sui muri si parla di watt per chilo, e se non si hanno le gambe si può fare poco. In alcune corse minori ce la si può ancora giocare. La Roubaix, che è sempre stata la gara più imprevedibile, negli ultimi due o tre anni ha avuto poche storie. Se una squadra spacca il gruppo a 100 chilometri dall’arrivo o sei tra i primi oppure sei tagliato fuori. 

Tornando al presente sai già che calendario farai?

Partirò con la Valenciana, poi sarò in altura a preparare le prime Classiche di stagione. Farò la Strade Bianche, la Tirreno-Adriatico e la Sanremo. Da lì, insieme al team, tireremo una riga e capiremo se sarò più utile al Giro oppure al Tour de France.

Milesi cerca spazio, ora è tempo di vincere fra i grandi

11.01.2025
4 min
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A metà del guado, fra il suo primo anno nella Movistar (dov’è arrivato sull’onda del titolo mondiale U23 a cronometro e una prima stagione nel WorldTur con il Team Dsm) e il secondo che, nei propositi suoi come del team e in generale di tutto il ciclismo italiano, deve essere quello della consacrazione. Lorenzo Milesi è pronto a giocarsi le sue carte e per questo sta lavorando duramente, giorno dopo giorno, mangiando pane e fatica come i ciclisti di una volta, perché sa che si gioca tanto.

Nel 2024, 70 giorni di gare con 4 top 10. Per il lombardo c’è la voglia di fare molto di più
Nel 2024, 70 giorni di gare con 4 top 10. Per il lombardo c’è la voglia di fare molto di più

Critiche al suo 2024? No, in fin dei conti 70 giorni di gara non sono pochi e qualche piazzamento c’è stato, ma è chiaro che le attese sono tante: «Ma non guardo a quel che pensano gli altri, sono io il primo a dire che non sono soddisfatto per i risultati. Attenzione però, perché non ci sono solo quelli e se devo giudicare sul piano del rendimento, allora posso dire che è stato un grande anno».

La sensazione è che è stato un anno utile soprattutto per prendere le misure…

Non è stato un anno facile, considerando che l’accordo con la Movistar è arrivato solo a dicembre e ha influito fortemente sulla mia preparazione invernale. E’ comunque vero che può essere considerato il mio primo anno reale nella massima serie dove ho anche potuto concludere il mio primo Grande Giro. Ci sono anche state un paio di cadute che hanno frenato la mia crescita e la mia rincorsa ai risultati. Alla fine posso considerarlo come una proiezione verso il futuro.

Sul podio dell’ultimo Memorial Pantani vinto da Hirschi, il suo miglior risultato nel 2024
Sul podio dell’ultimo Memorial Pantani vinto da Hirschi, il suo miglior risultato nel 2024
Il team è rimasto soddisfatto?

La pensano un po’ come me, avrebbero preferito qualche risultato in più ma sono già orientati verso il nuovo anno. Non mi mettono pressione, o almeno non più di quella che già mi metto io.

D’altronde quel titolo mondiale vinto a cronometro nel 2023 ti pone sotto una luce diversa…

E’ chiaro, ma io cerco di non pensarci e lo considero parte del passato. Preferisco guardare avanti, verso quello che posso fare, quello che potrò ottenere. Intanto il 2024 è servito anche a cambiare un po’ le mie caratteristiche, non mi sento solo il classico passista forte nelle corse contro il tempo. Voglio essere presente e partecipe anche su percorsi più vallonati, duri, gare non troppo piatte dove avere un ritmo alto e poi giocarmi le mie chance in volata.

La nuova maglia Movistar. Un cambiamento che per il bergamasco è di buon auspicio
La nuova maglia Movistar. Un cambiamento che per il bergamasco è di buon auspicio
Il tuo inverno è stato migliore del precedente?

Senza alcun dubbio. Nel 2023 posso dire di aver iniziato seriamente, soprattutto di testa, dopo che ho firmato il contratto, quindi con un certo ritardo. Nel 2024 invece ho finito la stagione a ottobre, ho potuto riposare e già a novembre ero in azione, quindi sto seguendo tutte le tappe. Non pretendo di essere al massimo della forma per l’inizio della stagione, sarebbe folle, ma credo di essere avanti rispetto allo scorso anno.

Dove inizierai?

Farò tutta la prima parte di stagione spagnola, con un paio di gare prima della tre giorni a Mallorca e della Valenciana. Questa è l’unica gara che conosco perché l’ho affrontata lo scorso anno e so che si adatta alle mie caratteristiche, come spero anche le altre. Vedremo poi in gara che cosa potrà venire fuori, io comunque vado per far bene e farmi vedere, sfruttare subito la mia freschezza.

Milesi in maglia iridata nel 2023. Il titolo a crono degli U23 ha catapultato grandi attenzioni su di lui
Milesi in maglia iridata nel 2023. Il titolo a crono degli U23 ha catapultato grandi attenzioni su di lui
Quella maglia iridata ha comunque un peso, tutti ti vedono come uno specialista delle crono. Rispetto allo scorso anno c’è qualche novità in questo senso?

No, ho fatto dei test nella galleria del vento e anche sulla posizione in bici, ma è rimasto tutto come prima. Spero comunque che ci siano occasioni per farmi valere anche nelle prove contro il tempo, che rimangono sempre un mio terreno di caccia privilegiato.

Ti sei posto un obiettivo particolare?

Se dovessi identificare una gara specifica no, diciamo che voglio continuare a crescere e trovare lungo la strada l’occasione giusta, ma so che dovrò essere io a costruirmela e questo può capitare in qualsiasi occasione.

Copeland, i devo team e le strategie della Jayco-AlUla

11.01.2025
6 min
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«Secondo me il problema non è per le squadre under 23 – dice Brent Copeland quando a fine intervista lo portiamo sul fronte italiano – quanto piuttosto per le professional. Le continental restano preziose per far crescere gli under 23, invece le professional devono reggere il confronto con le WorldTour e con i devo team e non hanno la certezza del calendario. Come Aigcp stiamo lavorando anche per questo, perché squadre come quella di Reverberi abbiano qualche certezza in più, anche se con questo calendario non è facile…».

Abbiamo chiamato il team manager del Team Jayco-AlUla per fare il punto sul doppio devo team della squadra australiana: quello degli uomini (in apertura foto Coltyn Present) e quello delle donne. Avendo intuito il grande lavoro che c’è dietro, ci incuriosisce capire se per una squadra WorldTour avere un team di sviluppo sia effettivamente una necessità. Fra gli uomini l’operazione è stata completata con l’assorbimento della Hagens Berman, la squadra di Axel Merckx, che in passato è stata anche professional e ha lanciato al professionismo, fra gli altri, Dunbar, Geoghegan Hart, Almeida, Philipsen, i gemelli Oliveira, Morgado, Herzog, Riccitello e Christen. Fra gli altri colpi del mercato, oltre ai corridori, c’è stato l’ingaggio di Christian Schrot, il tecnico/allenatore che ha portato Finn al mondiale juniores e ha costruito i successi del Team Auto Eder, vivaio U19 della ex Bora-Hansgrohe.

Matthew White, a sinistra, direttore di performance e racing, con Axel Merckx (foto Team Jayco-AlUla)
Matthew White, a sinistra, direttore di performance e racing, con Axel Merckx (foto Team Jayco-AlUla)
Come mai questo forte investimento sul devo team?

Già da un paio di anni stavamo lavorando con la squadra di Axel. Non dico che sia un’esigenza o un obbligo, ma l’unico modo di capire bene la crescita dei corridori prima che passino a livello professionistico. E questo non riguarda solo il livello performance o agonistico, ma anche il carattere, la cultura, conoscere bene da dove vengono. Tutti punti che per noi sono fondamentali. La collaborazione con Merckx stava funzionando molto bene, il problema era che non potevamo far correre i nostri corridori con loro o i giovani con noi perché non era una nostra squadra. Ecco perché quest’anno abbiamo fatto un passaggio in più, mettendoli sotto il nostro ombrello, diciamo così.

In modo da poter avere uno scambio continuo di corridori?

Esatto. I giovani più pronti potranno venire con noi per mettersi alla prova e allo stesso modo potremo mandare da loro uno dei nostri, ad esempio De Marchi, per portargli un po’ di esperienza dal mondo dei professionisti. E’ un impegno in più, è una squadra in più, però secondo me vale la pena, perché ormai è importante conoscere bene i ragazzi prima che passino al WorldTour.

Come mai secondo te Axel Merckx ha questa grande capacità di lanciare corridori?

Lui lavora molto sull’individuo prima che sul corridore, è la filosofia che già dal primo incontro ha spiegato a me e a Gerry Adams (il proprietario della squadra, ndr). Lui sa che al massimo il 50 per cento dei suoi corridori passerà professionista, la realtà è questa. E non vuole che l’altra metà che smette non abbia imparato niente, anche sul piano personale. Allora lavora molto sulla persona, la cultura, il carattere. Non insegue solo risultati e performance e questo ci ha fatto molto piacere, perché è una filosofia molto importante anche per noi.

Christian Schrot è stato il tecnico di Lorenzo Finn nel 2024 e del Team Auto Eder (foto Team Jayco-AlUla)
Christian Schrot è stato il tecnico di Lorenzo Finn nel 2024 e del Team Auto Eder (foto Team Jayco-AlUla)
Però in parallelo avete preso un tecnico come Schrot, molto bravo a gestire la performance dei giovani.

Persone come lui servono per trasmettere nel modo giusto le esperienze ai ragazzi, per seguirli bene. Se non hai le risorse giuste, il lavoro non viene fatto bene e allora è inutile creare un devo team.

Il devo team sfrutterà anche l’esperienza del gruppo Performance della WorldTour?

Certamente, avrà accesso a tutta l’esperienza della prima squadra. Abbiamo iniziato a farlo già dall’anno scorso. Tecnologia e innovazione, la parte ingegneristica che segue Pinotti, la parte della nutrizione che viene seguita da Laura Martinelli, la parte medica di Carlo Guardascione. Tutto questo viene messo a disposizione anche della squadra development. E’ importante che i giovani imparino nel modo giusto, senza esagerare perché non vogliamo viziarli troppo. Devono imparare già da giovani come sarà quando passano professionisti, per questo gli diamo una mano con tutte le risorse della squadra WorldTour.

Stessa cosa con il devo team femminile?

Esattamente. Abbiamo la stessa struttura in Olanda per le ragazze, dove abbiamo anche una ragazza italiana: Matilde Vitillo. Utilizziamo lo stesso schema e cioè che le squadre WorldTour sono di appoggio per le squadre di sviluppo.

Matilde Vitillo è l’unica italiana che già dal 2024 corre nel devo team femminile (foto Team Jayco-AlUla)
Matilde Vitillo è l’unica italiana che già dal 2024 corre nel devo team femminile (foto Team Jayco-AlUla)
Visto che i costi saranno aumentati, avete nuovi sponsor per le due squadre di sviluppo?

No, per gli uomini abbiamo incorporato la sponsorizzazione di Axel. Già lo scorso anno si chiamava Hagens Berman-Jayco e continuiamo con questo appoggio. Ovvio che ci costa qualcosina in più, ma il budget resta lo stesso. Ne abbiamo spostato una parte in modo diverso per dare più appoggio a loro, però le cifre sono quelle. Purtroppo non abbiamo un super budget che ci permetta di fare diversamente, ma riusciamo ugualmente a lavorare molto bene.

Chi si occupa del lavoro di scouting per il devo team?

Fino all’anno scorso, ci pensava da Axel che era anche in contatto con i vari agenti. Però era una struttura fatta non tanto bene e devo fare autocritica, perché non l’abbiamo seguita come dovevamo. Quest’anno invece cambia tutto, un’altra struttura. Abbiamo messo insieme un gruppo di lavoro di cui fanno parte Axel, il nostro data analyst, i due allenatori della nostra squadra, gli allenatori della squadra di Merckx. Un gruppo di lavoro di sei persone, che andranno a fare scouting, restando in contatto con i direttori sportivi della varie squadre e con gli agenti. Abbiamo creato un protocollo per cercare il corridore che ci interessa.

Si parte dai numeri dei test, ma si cerca anche altro?

Esatto. Magari ci viene indicato un under 23 o uno junior, dal suo procuratore o dal direttore sportivo della squadra in cui corre. Guardiamo i numeri, perché i numeri sono importanti. Però poi il secondo passaggio è conoscere la persona, da dove viene, il suo background, la sua vita privata. Ci chiediamo se sarà globalmente adatto alla nostra squadra.

Per il secondo anno, alla Hagens Berman-Jayco correrà Mattia Sambinello, assieme a Samuele Privitera (foto Coltyn Present)
Per il secondo anno, alla Hagens Berman-Jayco correrà Mattia Sambinello, assieme a Samuele Privitera (foto Coltyn Present)
Una valutazione a 360 gradi?

Ci sono tanti altri fattori che bisogna guardare bene prima che un giovane passi nella squadra di Axel e poi eventualmente nel WorldTour. Il gruppo di lavoro è stato creato anche per questo, per avere le persone che vanno fisicamente alle corse a conoscere i corridori. Io credo che questo sia il modo giusto per lavorare. L’anno scorso abbiamo preso De Pretto dalla Zalf, ad esempio, dopo che aveva fatto lo stage con noi nel 2023…

Ora lo portereste nel devo team?

Esatto. Lo avevamo valutato, ci serviva una squadra perché facesse esperienza e lo abbiamo affidato alla Zalf. Dal prossimo anno, passerebbe nella squadra di Axel, prima di salire nel worldTour. Sarebbe azzardato farlo passare direttamente in prima squadra, il lavoro di Axel ci serve per capire il corridore e investire su di lui con qualche certezza in più.

La settimana tipo… in Australia. Cosa fa Rachele Barbieri?

11.01.2025
5 min
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Rachele Barbieri ci racconta come sta trascorrendo i suoi giorni in Australia, dove si trova dal periodo di Natale insieme al suo fidanzato Manlio Moro. I due atleti sono ad Adelaide dal 27 dicembre e soggiornano presso alcuni parenti del friulano.

«Dopo molti anni – racconta Rachele – Manlio ha potuto riabbracciare i suoi zii. Anche grazie a questa opportunità ho chiesto al mio team (Picnic – PostNL) di poter partecipare al Tour Down Under. Già l’anno scorso ci avevo provato, ma non fu possibile. Stavolta mi sono mossa con maggiore anticipo. Ci siamo organizzati per tempo e il 26 dicembre siamo partiti dall’Italia. Qui il caldo è piacevole, non eccessivo, almeno per ora».

Rachele e Manlio: i due atleti hanno approfittato della presenza dei parenti di Moro in Australia per partire con largo anticipo
Rachele e Manlio: i due atleti hanno approfittato della presenza dei parenti di Moro in Australia per partire con largo anticipo
Come organizzi la tua settimana tipo?

Non ho una settimana standard. Di solito alterno tre giorni di carico a uno di scarico. Qui in Australia queste cadenze sono più regolari rispetto all’Italia, perché non devo adattare gli allenamenti al meteo. Inoltre, il caldo non è troppo intenso e l’adattamento al fuso orario è stato rapido: in un paio di giorni eravamo già in ritmo.

A che ora ti svegli?

Mi piace dormire, quindi non prima delle 9 o 9,30. In ogni caso, per le 11 sono in bici.

Come si svolge il primo giorno di carico?

Faccio un’uscita di circa 4 ore con lavori impegnativi. A volte li svolgo nella prima parte dell’allenamento, con gamba fresca, altre volte nella seconda parte, con gamba stanca. Questi lavori sono intensi e mirati alle volate. Alla fine percorro circa 110-120 chilometri. La media generale non è alta, perché i recuperi tra una ripetuta e l’altra sono molto tranquilli.

Cosa fai nel secondo giorno di carico?

E’ la giornata del doppio allenamento. Al mattino faccio due ore in bici con richiami di esplosività e accelerazioni in progressione. Nel pomeriggio vado in palestra, dove mi dedico a lavori su forza e potenza.

E il terzo giorno di carico?

Distanza pura: 5 ore, inserendo qualche salitella per spezzare la monotonia. Anche se qui non ci si annoia mai: tra i paesaggi, i koala e i canguri, c’è sempre qualcosa da osservare. Le salite non sono lunghe, al massimo 5-6 chilometri, e sono pedalabili, con continui saliscendi.

A che intensità lavori?

Principalmente in zona 1 (Z1), ogni tanto in zona 2 (Z2), a seconda del periodo. Ora che si avvicinano le gare, l’intensità è leggermente diminuita.

Come gestisci il giorno di scarico?

A volte riposo completamente, altre faccio un’uscita leggera di circa un’ora, in piena libertà.

Cambia qualcosa quando riprendi i giorni di carico?

Sì, inverto il primo e il terzo giorno.

Hai modificato la preparazione per adattarti al clima australiano?

Non per quanto riguarda le temperature, perché sto facendo un adattamento graduale. Però ho modulato i carichi in vista delle gare. A casa, con il freddo, non riuscivo a lavorare bene. Qui invece posso farlo. In caso di temperature troppo alte, tipo i 40 e passa gradi, avremmo apportato ulteriori modifiche, ma finora il clima è stato ideale.

Sarà che laggiù è estate, ma a detta di Rachele le verdure sono buonissime e ne mangia molte
Sarà che laggiù è estate, ma a detta di Rachele le verdure sono buonissime e ne mangia molte
L’alimentazione è cambiata?

In generale no, anche se alcuni alimenti, come il parmigiano, sono più difficili da trovare. Ho introdotto più porridge a colazione, grazie alla cugina di Manlio che lo fa molto buono e con tanta frutta fresca, ottima per queste temperature.

Cosa mangi quindi a colazione?

Porridge con frutta e cereali.

E a pranzo?

Carboidrati e una fonte proteica. Quindi riso o pasta abbinati a uova, carne, pesce o legumi. Sto aumentando il consumo di legumi nella mia dieta.

Cosa prevede la cena?

Una fonte proteica diversa da quella del pranzo, accompagnata da carboidrati come pane o patate, e tante verdure. Qui sono molto saporite e i parenti di Manlio hanno un orto. Frutta come mango e avocado non mancano mai.

Rachele Barbieri in azione: lo scorso anno non prese parte al Tour Down Under, ci torna dopo sei anni
Rachele Barbieri in azione: lo scorso anno non prese parte al Tour Down Under, ci torna dopo sei anni
C’è un dolce tipico che mangi?

Non molto a dire il vero, ma vicino a casa c’è una yogurteria dove puoi personalizzare lo yogurt con cereali, frutta e pistacchi. Quello è il nostro piccolo “sgarro”.

Come ti alimenti in bici?

Bevo di più, ma per il resto non è variato nulla. Una particolarità dell’Australia è che non ci sono fontanelle, quindi riempiamo le borracce nei bar, dove sono molto accoglienti e spesso ti chiedono loro se hai bisogno di acqua. Lì prendo anche qualcosa da mangiare per il resto dell’uscita.

E nel tempo libero? Fate i turisti?

Non troppo. Tra svegliarci tardi e allenarci, resta poco tempo. Abbiamo fatto stretching e anche dei massaggi presso una massaggiatrice della nazionale australiana che conosceva Manlio. Durante un giorno di riposo, siamo andati a fare una passeggiata nel centro di Adelaide: molto bello!

Hai avuto modo di visionare il percorso di gara?

No, perché la gara si svolge relativamente lontano da qui. Però, grazie a VeloViewer e al fatto che spesso ci sono circuiti, vedremo tutto nei prossimi giorni. La squadra è arrivata ieri, mentre si inizia a correre il 17 gennaio.

Ganna a Gran Canaria, ore e chilometri puntando la Sanremo

10.01.2025
4 min
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Ganna si trova a Gran Canaria sotto la guida di Leonardo Basso, cercando sole e macinando chilometri (in apertura foto Ineos Grenadiers). Dario Cioni ci ha spiegato quali saranno i grandi obiettivi del 2025, sottolineando come la stagione sarà incentrata sulla strada e su tre sfide che, ciascuna a suo modo, rappresentano per il piemontese dei conti in sospeso: la Sanremo, la Roubaix e il Tour de France. Dopo il ritiro di dicembre, ecco pertanto quello delle Canarie e a seguire di nuovo in Spagna si rifinirà il lavoro prima del debutto.

«L’unica cosa in comune fra Sanremo, Roubaix e Tour – dice Pippo sorridendo – è che non le ho mai vinte, neanche una tappa, proprio niente. Quindi su questo sono un po’ indietro e spero che il 2025 sia l’anno giusto per mettere le spunte giuste vicino a questi tre nomi».

Tornano alla memoria il Ganna sfrontato e potente che vinse la tappa di Camigliatello Silano al Giro del 2020, come pure il guerriero che sul Poggio ha tenuto testa per due anni consecutivi alle sfuriate di Pogacar. Un Ganna capace di dire la sua anche al di fuori della sfera delle cronometro che lo vede da anni fra i dominatori mondiali. Il Ganna che i tifosi si aspettano, che i giornalisti esortano e che forse anche lui non vede l’ora di tirar fuori, per sottolineare (come farà in chiusura di intervista) che finora la sua non è stata solo una carriera da pistard.

Gran Canaria, un piccolo gruppo di corridori al lavoro (foto Ineos Grenadiers)
Gran Canaria, un piccolo gruppo di corridori al lavoro (foto Ineos Grenadiers)
Partiamo dalla Sanremo. In due anni hai dimostrato che sul Poggio riesci a tenere le accelerazioni. Il lavoro per questa prima gara è sulla resistenza, salita o sullo sprint?

Diciamo che c’è tanto lavoro, stiamo già lavorando. Stiamo cercando di aumentare i carichi di lavoro, facendo un po’ più di ore. Siamo qui a Gran Canaria con Leonardo Basso anche per questo, a fare ore, fare un lavoro di endurance per colmare il divario e arrivare freschi sotto i Capi. E da lì riuscire poi a essere competitivo come gli scorsi anni sul Poggio e poi vedere cosa si può fare una volta che si arrivasse in volata.

La Roubaix: due anni fa il primo assalto preparato per bene. E’ una gara al limite del selvaggio, ma quanto conta la cura dei dettagli?

La Roubaix è uno di quegli sport diversi, non è ciclismo secondo me. E’ un misto tra farsi del male e soffrire tanto, ma il ciclismo è un’altra cosa. Però è nel cuore di tanti sportivi, di tanti professionisti, di tanti ex corridori e dei nuovi che verranno. E’ una gara selvaggia, come dite voi, e ha bisogno della cura del dettaglio per arrivare al meglio. Poi trovi Sonny (Colbrelli, ndr) che ha fatto tutto a modo suo ed è riuscito a vincere la prima volta che si è presentato. Comunque in gara, che sia una classica o una corsa qualsiasi, la parte istintiva esce sempre. Quindi devi essere freddo e calcolatore, ma altre a volte devi seguire il tuo istinto.

Per preparare Sanremo e Roubaix servirà lavorare anche sulla bicicletta?

Credo che le due bici saranno uguali. Forse le uniche cose che cambiano per la Roubaix saranno i copertoni un po’ più grandi, sul 28 oppure 30, e anche un doppio giro di nastro manubrio, con il gel che assorbe le vibrazioni per risparmiare le braccia. Poi per il resto la bicicletta è quella.

«Ce n’è sempre uno- si legge su Instagram – e di solito è Filippo Ganna» (foto Ineos Grenadiers)
«Ce n’è sempre uno- si legge su Instagram – e di solito è Filippo Ganna» (foto Ineos Grenadiers)
Resta il Tour…

L’obiettivo intanto è cominciare a partire, arrivare là in forma, motivati, con le gambe pronte per far fatica. Una volta che si sarà in Francia, si penserà come agire giorno per giorno. Sicuramente le crono sono difficili, la seconda è una cronoscalata, quindi la escludiamo a priori. Vediamo cosa ci sarà per me.

La pista rimane nella preparazione, che cosa c’è di diverso dovendo puntare a obiettivi su strada?

Mi pare che dal 2017 faccio pista, ma corro anche su strada. Quindi non è che io corro su strada per preparare la pista o corro in pista per preparare la strada. Cerco di fare le due cose contemporaneamente e mi pare che ho vinto anche tappe al Giro d’Italia, tappe alla Vuelta, tappe anche nelle corse minori. Ho fatto 33 vittorie su strada, fra cui anche due corse a tappe, non mi pare che siano il bilancio di un corridore che corre solo in pista.

Come aver messo i puntini sulle “i”, casomai ce ne fosse bisogno. La preparazione prosegue. A Gran Canaria il tempo è buono e lo spirito è alto. L’Australia ha già aperto le danze con i campionati nazionali, presto sarà tempo di Tour Down Under. L’esordio di Ganna avverrà in Europa, probabilmente all’Etoile de Besseges dove vinse tre tappe fra il 2021 e il 2022. La lunga attesa è ormai agli sgoccioli.

Ventoux e Angliru: i “mostri” di Tour e Vuelta aspettando il Giro

10.01.2025
6 min
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Il Tour e la Vuelta hanno già presentato il percorso 2025, il Giro d’Italia solleverà il velo lunedì a Roma. In attesa di sapere quali saranno le salite clou della corsa rosa, e soprattutto la sua Cima Coppi, in Francia e Spagna spiccano gli inserimenti del Mont Ventoux e dell’Alto de Angliru, due autentici mostri sacri. Qual è l’approccio di un corridore di fronte alla montagna-icona di un Grande Giro? Provare a immaginare che cosa significa sapere di dover affrontare una montagna imponente sia per caratteristiche che per storia e tradizione. Certo, ci sono tante altre salite prestigiose e noi con la corsa rosa lo sappiamo bene, ma Ventoux e Angliru, in confronto alle altre delle due corse estere, hanno un sapore particolare.

L’uscita dal tunnel del Ventoux presenta sempre un paesaggio quasi lunare, che stordisce
L’uscita dal tunnel del Ventoux presenta sempre un paesaggio quasi lunare, che stordisce

Salite da affrontare mentalmente

Stefano Garzelli le conosce bene e le ha viste anche da osservatore. Conosce lo spirito che pervade la mente di chi deve superarle solo con la forza delle proprie gambe. In attesa di conoscere quali saranno nel dettaglio le grandi salite della prossima edizione del Giro d’Italia, parliamo dei “mostri” che i corridori si troveranno ad affrontare nelle altre due grandi corse del 2025.

«E’ un tema interessante – ammette Garzelli – che riporta alla mente tanti ricordi anche se io personalmente conosco bene l’Angliru e il Ventoux l’ho affrontato solo parzialmente. Ma parliamo di salite talmente famose che sono davvero sulla bocca di tutti».

Vento e sole a picco sono i principali ostacoli del Mont Ventoux, asperità icona del Tour (foto Eurosport)
Vento e sole a picco sono i principali ostacoli del Mont Ventoux, asperità icona del Tour (foto Eurosport)
Com’è il Ventoux?

Innanzitutto dal punto di vista geografico: è una montagna che non fa parte di Alpi, Pirenei, Massiccio Centrale, è davvero a sé stante e lo è anche tecnicamente. Perché a dir la verità non ha grandissime pendenze, di per sé è piuttosto facile, ma in quel caso influiscono tantissimo le condizioni atmosferiche. Il vento laterale diventa un ostacolo pesantissimo per la mancanza di vegetazione e può scatenare la bagarre. Poi c’è il fattore caldo, il sole che picchia d’estate e proprio l’assenza di ombra è un fattore. Per carità, non sono più gli anni Sessanta e i tempi di Simpson, ma un influsso sull’evoluzione della corsa lo può avere.

A te piace?

Mi affascina per certe caratteristiche che ha, come il suo paesaggio lunare, il panorama che ti trovi improvvisamente di fronte. Ripeto, non è una scalata lunghissima e impegnativa come pendenze, ma va affrontata con molta attenzione, perché può fare danni e in tanti lo sanno, ci sono cascati.

Niente vegetazione, di ombra neanche a parlarne. Il sole sul Ventoux diventa un nemico implacabile
Niente vegetazione, di ombra neanche a parlarne. Il sole sul Ventoux diventa un nemico implacabile
Quanto può essere utile l’apporto della squadra per quel capitano che punta, per la classifica generale o anche solo per il prestigio della tappa, a un risultato importante?

Moltissimo, proprio perché siamo in presenza di una scalata dove il vento può giocare un ruolo essenziale. Due-tre gregari che ti accompagnano il più possibile, che ti proteggono dalle folate soprattutto laterali possono essere in alcuni casi decisivi soprattutto se sei in crisi e non devi perdere eccessivamente terreno.

Che cosa dici invece dell’Angliru?

Ecco, questa invece è una scalata che non ho mai amato. E’ tosta davvero, una di quelle che ami oppure odi e io faccio parte della seconda categoria. Le sue pendenze oltre il 20 per cento sono pane per scalatori puri. Anzi è forse una delle poche salite rimaste che mette ancora in evidenza chi ha caratteristiche fisiche e tecniche per emergere in salita. Perché devi stare sempre sui pedali, non riesci ad andare su di ritmo come fanno i passisti, vai avanti a 7-9 chilometri l’ora anche se sei un professionista. Lì rischi davvero la giornataccia che ti butta fuori dalla classifica.

L’Angliru fa sempre grande selezione alla Vuelta, grazie alle sue pendenze anche oltre il 20 per cento
L’Angliru fa sempre grande selezione alla Vuelta, grazie alle sue pendenze anche oltre il 20 per cento
In questo caso quanto conta il team?

Poco perché su quelle pendenze sei solo con te stesso e con le tue gambe. Se ne hai puoi anche fare la differenza, ma io dico sempre – e questo vale anche per il Ventoux – che su salite del genere la grande corsa forse non la vincerai, ma sicuramente puoi perderla…

Qual è l’approccio psicologico a salite del genere, nella mente di un corridore impegnato in un Grande Giro fanno ancora la differenza, nel senso che ci pensi sin dalla prima giornata?

Sì, considerando che una corsa di tre settimane la devi affrontare e vivere prima di tutto di testa. Devi imparare a non soffrire la “giornata clou”, quella attesa da tutti. Anche per questo certe salite si affrontano prima della grande corsa, si va a esplorarle anche se le hai già affrontate più volte in carriera, perché un ripasso della memoria fa sempre bene e scaccia fantasmi. Se l’assimili al meglio sei avvantaggiato.

Una foto a suo modo storica: Roglic, Vingegaard e Kuss tutti Visma sull’Angliru nel 2023
Una foto a suo modo storica: Roglic, Vingegaard e Kuss tutti Visma sull’Angliru nel 2023
Scatenano tensione?

Più che tensione, emozioni contrastanti. Ma non solo in corsa, anche quando ci vai in ricognizione, all’inizio sei sempre un po’ più nervoso del solito. Poi, pedalando, inizi anche a godertela, ti tornano in mente passaggi, cominci a costruirti nella mente la tattica per il “grande giorno”. A me piaceva, quella settimana precedente il Giro o il Tour per entrare in sintonia con le grandi salite.

C’è differenza nell’approccio tra chi ci punta per la classifica e chi vuole fare il colpo a sensazione?

No, anche perché in salite del genere è ben difficile che riesca a emergere chi non è direttamente interessato alla classifica. D’altronde queste tappe sono inserite in momenti strategici, l’organizzatore stesso ha interesse che su quelle strade siano coloro che lottano per il simbolo del primato a emergere. E’ comunque vero che quando metti quella data tappa nel tuo mirino, ti giochi tutto. Io nel Giro 2004, quando ormai non guardavo più alla classifica, avevo scelto la tappa del Mortirolo e della Presolana, l’avevo detto che attaccavo lì e lo feci. Alla fine arrivai con Simoni che battei allo sprint, avevo tenuto fede ai miei propositi.

Contador a Navacerrada, una salita che è stata quasi dedicata a lui (foto Sanchez/AS)
Contador a Navacerrada, una salita che è stata quasi dedicata a lui (foto Sanchez/AS)
Del Tour tutti sanno quali, oltre al Ventoux, sono le grandi salite presenti anche in questa edizione, della Vuelta si parla sempre meno, ma per te che oltretutto conosci bene la realtà spagnola quali sono gli altri spauracchi oltre l’Angliru?

Innanzitutto Lagos de Covadonga, ma nel complesso tutte le salite delle Asturie sono molto dure e fanno spesso la differenza. E’ sbagliato però pensare che ci si giochi tutto al Nord, sui Pirenei. Al centro ad esempio c’è Navacerrada, quest’anno alla ventesima tappa sarà l’esame forse decisivo, la salita che Contador amava più di tutte. A sud Sierra Nevada, dove ai 1.500 metri c’è il centro di alto rendimento. Quest’anno ci sarà addirittura una crono di 28 chilometri tutta in salita…

E che ricordi hai del Ventoux?

Al Ventoux non ero in una giornata eccezionale, ricordo tanta fatica per venire su proprio perché faceva caldo. Per me il Tour è identificabile più con il Galibier, dove vinsi il mio unico premio al Tour per essere transitato primo davanti a Jalabert. Anche quella è una salita simbolo che mi ha lasciato un bel ricordo. E un trofeo al quale tengo particolarmente.