Il GP Liberazione di Masciarelli, vittoria e profumo di rinascita

26.04.2025
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Quelle mani sugli occhi dopo l’arrivo e la dedica verso il cielo danno la misura esatta del bisogno che Lorenzo Masciarelli avesse di vincere. Ce lo aveva raccontato pochi giorni fa e per questo la vittoria di Roma, in questo giorno a suo modo così strano, resterà scolpita nella sua storia personale di atleta e di uomo (in apertura, foto di Simone Lombi).

Il Gran Premio Liberazione si è svolto in un frullatore di emozione. Per la squadra bergamasca, quelle successive alla morte di Pietro Valoti, papà del diesse Gianluca, cui anche Masciarelli ha rivolto un pensiero avvicinandosi al traguardo. Per Roma e per il mondo cattolico, quelle dei giorni successivi alla morte di Papa Francesco. Un 25 aprile che l’abruzzese del team MBH Bank-Ballan ha vissuto come una vera rinascita e come tale ci piace raccontarla. Cinquant’anni dopo la vittoria di suo nonno Palmiro, memoria di un ciclismo diverso, di quando i dilettanti erano tali e al via di questa corsa ne trovavi anche 250 da tutto il mondo, lanciati verso le Olimpiadi.

Sono stati 160 i corridori al via del Gran Premio Liberazione organizzato da Claudio Terenzi (foto Simone Lombi)
Sono stati 160 i corridori al via del Gran Premio Liberazione organizzato da Claudio Terenzi (foto Simone Lombi)
Uno scalatore che vince il Liberazione, stavi davvero tanto bene?

Sapevo di andare forte e che potevo fare bene, però non mi aspettavo di vincere. Con la squadra sapevamo che avrei dovuto anticipare, ne avevamo parlato, anche perché comunque in volata sarebbe stato più rischioso. Ho visto l’occasione dopo due giri e mi sono infilato nella prima fuga di giornata. Ho pensato che a qualcuno era andata bene facendo così e mi sono buttato dentro. E poi nel finale mi sentivo bene, grazie anche al mio compagno che mi ha dato una grande mano (l’ungherese Takács, primo anno che nel 2024 ha vinto il Giro del Friuli juniores, ndr).

Forse il fatto di essere uscito dai panni dell’uomo da giri a tutti i costi ha aperto altre porte?

Sono contento perché ho ritrovato un po’ più di esplosività, anche se devo ancora capire bene che corridore sono, perché al Recioto sono andato forte anche in salita e avevo buone sensazioni. Ora so di avere anche questa sparata, quindi è complicato trovare una definizione unica. Non so sinceramente come descrivermi, so che ho vinto e questo è davvero una grande notizia.

Takàcs è stato di grande aiuto in fuga per Masciarelli, facendo tirate decisive (foto Simone Lombi)
Takàcs è stato di grande aiuto in fuga per Masciarelli, facendo tirate decisive (foto Simone Lombi)
Sei stato in fuga per tutto il giorno: hai sempre creduto che sareste arrivati oppure avete avuto paura per il gruppo che si avvicinava?

Da quando sono entrato in fuga, ho visto i corridori che c’erano e ho pensato sin da subito che si poteva fare bene, perché era gente forte e facevamo una bella andatura. Nonostante dietro il gruppo menasse forte, non ci prendeva tanto. Ho avuto paura in qualche momento che tornassero sotto, dopo 2-3 giri che eravamo partiti. Però poi abbiamo iniziato a prendere sempre più margine e soprattutto tra noi c’è stato molto dialogo.

Dialogo?

Quando abbiamo visto che il gruppo ci è arrivato a 1’30”, abbiamo alzato nuovamente l’andatura e siamo riusciti a tornare sui due minuti, c’era un bell’accordo tra di noi. Ci parlavamo molto e quindi lì ho iniziato a essere sempre più convinto. Si poteva arrivare. Anche quando si è messa davanti la Uae e ci hanno preso subito 30 secondi, li abbiamo respinti aumentando il ritmo.

Nell’ultimo giro a testa bassa e senza voltarsi: così Masciarelli ha respinto gli inseguitori (foto Simone Lombi)
Nell’ultimo giro a testa bassa e senza voltarsi: così Masciarelli ha respinto gli inseguitori (foto Simone Lombi)
Fino al tuo assolo finale…

Ho fatto la prima azione a tre giri dalla fine e siamo tornati a 2 minuti di vantaggio e mi sono reso conto che dietro non fossero fortissimi. Takàcs mi ha aiutato tantissimo, ha fatto delle tirate veramente forti e intanto i ragazzi che erano con noi erano sempre più sofferenti. A quel punto, ho capito che si poteva fare.

Sei andato via da solo e non ti sei mai voltato.

Esatto, ma fino ai 400 metri non ci credevo ancora. Nell’ultimo giro, non mi sono mai guardato alle spalle. Avevo qualche riferimento soltanto quando vedevo il gruppo nel controviale. All’inversione dopo l’ultimo passaggio sull’arrivo, li avevo visti vicini. Saranno stati 6-7 secondi e quindi da lì in poi non mi sono più girato. Sono andato a tutta fino al traguardo e quando negli ultimi 400 metri ho visto che nella discesa alle mie spalle non c’era nessuno, mi sono reso conto di aver vinto.

Le dita al cielo salutando Pietro Valoti, scomparso la settimana precedente (foto Simone Lombi)
Le dita al cielo salutando Pietro Valoti, scomparso la settimana precedente (foto Simone Lombi)
Una vittoria che dà fiducia?

Sapevo di stare bene e già questo mi dava convinzione. Quello che mi porto via da Roma è la lezione che a volte osando di più si può tirare fuori un bel risultato. Su strada non vincevo dal secondo anno da allievo, davvero tanto tempo. Ci sono riuscito, quindi ho più serenità a livello personale, magari d’ora in poi potrò divertirmi di più.

Che cosa prevede ora il programma?

Ci sono ancora tante gare, poi c’è il Giro Next Gen, ma intanto andiamo alla Torino-Biella. E’ un bel momento. Nespoli ha vinto il Recioto ed è dal primo ritiro che abbiamo avuto la sensazione di una squadra in ottima salute. Ci dispiaceva di non aver ancora raccolto i frutti degli allenamenti e degli sforzi che avevamo fatto nei giorni sull’Etna con cui abbiamo preparato le classiche di aprile. Questa settimana è stata la vera svolta.

E’ stata anche la conferma che lavorando bene, i devo team non sono poi così lontani?

Secondo me è così. Magari hanno qualche piccola accortezza, qualche aggiornamento in più avendo alle spalle dei team WorldTour. Però alla fine sono ragazzi come noi, abbiamo la stessa età. Quindi per quanto possano essere più aggiornati di noi, tolti 2-3 corridori che vanno fortissimo come lo stesso Finn, non abbiamo nulla da invidiargli. A patto che si lavori nel modo giusto: questa è la premessa più giusta.

Il Giro e i pensieri di Missaglia: Pidcock, Moschetti e non solo

26.04.2025
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La Q36.5 Cycling Team si sta avvicinando alla sua prima grande corsa a tappe, il Giro d’Italia. Il 9 maggio prossimo dall’Albania la squadra, che sarà guidata in ammiraglia da Gabriele Missaglia, si godrà il frutto della wild card arrivata nelle scorse settimane. La decisione da parte dell’UCI di accettare la richiesta degli organizzatori e portare a quattro i team invitati ha reso possibile tutto ciò. In questo modo la formazione professional svizzera, che da quest’anno vede nelle sua fila Tom Pidcock, ha iniziato il conto alla rovescia e i preparativi per la Corsa Rosa

«Speravamo nell’invito – ci spiega proprio Gabriele Missaglia – lo abbiamo metabolizzato bene e di colpo prenderemo parte a due grandi corse a tappe: Giro e Vuelta. Prepararlo in corso d’opera non è semplice, sia a livello logistico che di preparazione atletica. Alcuni dei ragazzi impegnati nelle Classiche delle Ardenne erano già in altura, tra questi proprio Pidcock. Tuttavia il focus era incentrato su queste corse».

La Q36.5 Pro Cycling ha ottenuto la wild card per il Giro, la sua prima grande corsa a tappe di tre settimane
La Q36.5 Pro Cycling ha ottenuto la wild card per il Giro, la sua prima grande corsa a tappe di tre settimane

Il punto dopo Liegi

Per sapere quali saranno le ambizioni della Q36.5 Pro Cycling al Giro ci sarà da aspettare ancora, per il momento Missaglia si sta godendo le prestazioni di Pidcock e degli altri ragazzi impegnati nelle altre corse. 

«Lavoriamo da dicembre – continua il diesse lombardo – ma senza la conferma di prendere parte al Giro era difficile concentrarsi su qualcosa di concreto. Lo stesso Pidcock ci sperava ma ancora non sapevamo niente. Ci siamo concentrati sulle prime corse del calendario, arrivando in ottima condizione. L’impegno non è stato da poco, così dopo il blocco di gare italiane, terminato con la Milano-Sanremo, si è tirato il fiato in vista delle Ardenne».

La punta della formazione svizzera sarà sicuramente Pidcock, rientrato alle corse per le Ardenne dopo un periodo di altura
La punta della formazione svizzera sarà sicuramente Pidcock, rientrato alle corse per le Ardenne dopo un periodo di altura
Anche tu tornerai al Giro dopo qualche anno…

Vero. L’ultima volta è stato nel 2021 con la Qhubeka, in quell’occasione avevamo vinto tre tappe con Nizzolo, Campenaerts e Schmid. Vedremo di eguagliare questo numero (dice con una risata, ndr). Ma a parte gli scherzi, una wild card del genere va solo onorata. 

Nizzolo lo hai ritrovato alla Q36.5, potrebbe essere uno dei nomi papabili?

Ce ne sono tanti, il roster è ancora ampio proprio per il motivo che ho detto prima: stiamo programmando il tutto. Sicuramente Nizzolo è migliorato e sta recuperando bene dopo l’infortunio. Ha fatto una bellissima Roubaix e sono contento di come si sta comportando. 

Il recupero di Nizzolo fa ben sperare, il velocista milanese ha vinto una sola tappa al Giro con Missaglia n ammiraglia
Il recupero di Nizzolo fa ben sperare, il velocista milanese ha vinto una sola tappa al Giro con Missaglia n ammiraglia
Pidcock è la star, ma c’è un altro atleta che sta raccogliendo ottimi risultati: Moschetti.

E’ un altro dei papabili e quest’anno ha fatto uno step in più a livello di performance e attitudine in gara. Anche lui nel 2024 ha subito un brutto infortunio, a luglio. Era messo male ma questa sua reazione mi rende felice e orgoglioso. 

Difficile tenere fuori un velocista in questa condizione, no?

E’ pronto ed eventualmente sarà pronto (dice con un sorriso, ndr). In questa stagione lo sto vedendo più velocista, non dico che è aggressivo ma frena di meno. Il velocista di solito è uno spericolato che entra in spazi a volte inimmaginabili. Diciamo che Moschetti è uno sprinter buono ma che ha acquistato tanta consapevolezza nei propri mezzi. 

Moschetti, a sinistra, e Parisini. I due hanno corso spesso insieme con il secondo a servizio del primo
Moschetti, a sinistra, e Parisini. I due hanno corso spesso insieme con il secondo a servizio del primo
Per lanciare un velocista serve il treno giusto, ci avete pensato?

Abbiamo tante soluzioni in squadra e se dovesse arrivare la conferma per Moschetti potremmo vedere chi lo ha guidato dall’inizio della stagione: Parisini, Frison… Non dobbiamo dimenticarci però che il nostro leader è Pidcock e sarà importante trovare il giusto equilibrio. 

Chi c’era in altura insieme a Pidcock?

Mi spiace ma non vi dico i nomi, ho già detto troppo (ride ancora, ndr). 

Al Giro d’Abruzzo David de la Cruz ha lottato per la vittoria finale, anche lui è parso in ottima forma
Al Giro d’Abruzzo David de la Cruz ha lottato per la vittoria finale, anche lui è parso in ottima forma
Tu sei pronto?

Sono tranquillo. So che c’è da lavorare tanto per preparare il tutto e al momento non sto pensando a come sarà per me il ritorno al Giro. Quando sono in gara entro nel mood che avevo da corridore, quello mi accompagna sempre. 

Allora buon lavoro e ci vediamo sulle strade della Corsa Rosa.

Grazie! E buon lavoro a voi. 

Tour of the Alps: Prodhomme vince, Seixas prenota il futuro

25.04.2025
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LIENZ (Austria) – La giornata finale del Tour of the Alps, che per la seconda volta in questa edizione finisce in suolo austriaco, regala una parata trionfale alla Decathlon AG2R La Mondiale. La formazione francese impacchetta una prestazione eccezionale con due suoi corridori tanto importanti quanto diversi. Nicolas Prodhomme vince la sua prima gara tra i professionisti con un’azione da lontano, al suo fianco arriva il giovane Paul Seixas

«Abbiamo chiuso alla grande un ottimo Tour of the Alps – ha detto Prodhomme – con questo bellissimo uno-due. Eravamo partiti per fare classifica con Gall ma abbiamo trovato sulla sua strada un ottimo Storer. Seixas ed io abbiamo lavorato bene durante la giornata di oggi. Gli avrei lasciato la vittoria ma lui ha voluto a tutti i costi che toccasse a me e lo ringrazio. Ora per me arriva il Giro d’Italia, prima però è tempo di festeggiare con la mia famiglia e di godermi questa prima vittoria tra i professionisti».

Il francesino Seixas, che ancora deve compiere diciannove anni, è arrivato direttamente nel WordTour dopo due stagioni da protagonista tra gli juniores. La Decathlon AG2R ha un vivaio profondo, che inizia con la formazione under 19 e prosegue con quella under 23 e ci ha abituato a questo tipo di approccio con i suoi ragazzi. Chi merita sale presto tra i grandi per imparare come si corre e a vivere il ciclismo da protagonista

Seixas ha lanciato l’azione decisiva sulla salita finale di questa quinta tappa
Seixas ha lanciato l’azione decisiva sulla salita finale di questa quinta tappa

Doppietta francese

Seixas e Prodhomme sono entrati nella fuga del mattino, consapevoli che il gruppo avrebbe lasciato spazio, complice anche il numero risicato di atleti arrivato al termine di questo Tour of the Alps, appena settantotto. Quindi non era facile per le squadre avere le forze per controllare la corsa. Sulla salita di Stronach, a dieci chilometri dal traguardo, è stato Paul Seixas a dare fuoco alle polveri alzando il ritmo e sfilacciando il gruppetto dei fuggitivi. A riportarsi sullo scalatore francese è stato Prodhomme e sulla discesa finale i due si sono parlati. Dietro al palco delle premiazioni chiediamo a Seixas cosa si sono detti. 

«Ci siamo confrontati su chi avrebbe dovuto vincere – dice – e visto che lui non aveva mai vinto in questi cinque anni da professionista ci è sembrato giusto che fosse lui a passare per primo sotto al traguardo. Io ho la consapevolezza di essere andato molto bene in questi cinque giorni e di essere forte. In futuro potrò vincere sicuramente altre gare. L’ammiraglia ha detto di far vincere me ma non ero d’accordo, era giusto lasciarla a Prodhomme».

Ti saresti aspettato una prova del genere in una corsa così dura?

Quando sono arrivato a questo Tour of the Alps non ero concentrato su quello che avrei potuto fare ma cosa avrei potuto imparare. A conti fatti sono stato tra i primi tutti i giorni tranne ieri, è stato bello ed emozionante. Alla fine pensavo che come squadra avremmo potuto vincere una tappa e ci siamo riusciti. 

Sei entrato nel WorldTour e stai andando molto bene, è stato un passaggio difficile?

Sicuramente si tratta di un grande salto perché qui corrono i migliori atleti al mondo. Questo inverno ho lavorato duramente e penso che tutti gli sforzi fatti siano stati ripagati da una buona condizione. Ora riesco a correre insieme agli atleti più forti: non credevo di essere così competitivo ma è una bella sorpresa. 

Al traguardo ti abbiamo visto insieme alla tua famiglia…

Erano qui per sostenermi, come hanno sempre fatto. Non è facile essere così giovane e avere una vita che ti porta spesso in giro ma penso sempre a loro e ai sacrifici che hanno fatto per me. Li amo. 

Cosa ti hanno detto quando sei arrivato direttamente nel WorldTour?

Si sono mostrati subito molto contenti e felici di vedermi qui a lottare tra i primi. Erano anche abbastanza sorpresi (dice con una risata, ndr). Ora ho diciotto anni e sono libero di decidere dove allenarmi. La mia mentalità però è sempre la stessa: mi alzo la mattina concentrato su come lavorare e mi sento realizzato

Per diversi giorni è stato anche leader della classifica dei giovani, primato strappato da Max Poole
Per diversi giorni è stato anche leader della classifica dei giovani, primato strappato da Max Poole
Il modo di allenarti è cambiato tanto?

Ho parlato con la squadra e ci siamo confrontati sul lavoro da fare una volta passato professionista. Mi alleno quasi il doppio rispetto a prima quindi la differenza si vede. Quando ero juniores non ho mai esagerato con le ore di allenamento, ora mi impegno quasi come gli altri atleti professionisti. Insieme allo staff si è deciso di lasciare del margine per progredire in futuro. 

In cosa ti senti più forte?

Mi sono concentrato su tutti gli aspetti: cronometro, sprint e salita. L’obiettivo è diventare un corridore il più possibile completo. La cosa che mi sorprende è il fatto di essere già ad un buon livello. Pedalare fianco a fianco con campioni come Storer, Ciccone e Arensman è abbastanza folle per me. 

Seixas ha avuto gli occhi, e i microfoni, puntati addosso fin dal primo giorno
Seixas ha avuto gli occhi, e i microfoni, puntati addosso fin dal primo giorno
La squadra ha dei corridori molto giovani in rosa, che arrivano anche loro dalle formazioni di sviluppo…

Penso che sia positivo perché ci si può aiutare a vicenda e ci si sente in un gruppo insieme a tanti coetanei. E’ la mentalità che conta e avere dei compagni di squadra giovani aiuta tanto. Quando li ho accanto cerco di imparare qualcosa su di loro e capire come lavorano e si allenano.

C’è qualcosa nello specifico che ti incuriosisce?

Sì, ma non lo dico. E’ un segreto (dice con una risata, ndr). 

Farai anche corsa con gli under 23?

Dovrei fare il Giro Next Gen, ma ancora devo avere la conferma dalla squadra. Uno degli obiettivi di stagione, che è anche un po’ un sogno per me, è il Tour de l’Avenir, ma manca ancora tanto. Ora mi godo il momento. 

E’ il giorno delle ricognizioni e dei tifosi. Nel cuore delle Ardenne…

25.04.2025
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VIELSAM (Blegio) – Finalmente, dopo 36 ore di pioggia ininterrotta, torna a splendere un timido (anzi, facciamo timidissimo) sole sulle Ardenne. Non piove e già va bene. E’ venerdì, antivigilia della Liegi-Bastogne-Liegi, ed è quindi il classico giorno delle ricognizioni.

Alla sera, dopo un ultimo giro di messaggi con i vari direttori sportivi, stabiliamo anche noi il nostro piano di battaglia. Molti team hanno scelto Vielsam come punto di partenza. Tanto vale recarsi lì. Tra le 9,30 e le 11 tutti sono in “pista”.

Pista è un termine che calza, visto che questa è la strada della Liegi e che nel bel mezzo della recon si lambisce anche il circuito di F1 di Spa-Francorchamps.
Il primo atleta che incontriamo è un italiano: Samuele Battistella. Un saluto incoraggiante e, insieme al capitano Ben Healy e ai compagni, s’immette alla scoperta degli ultimi 104 chilometri della Doyenne.

Appuntamento a Vielsam

Poco dopo ecco spuntare Andrea Bagioli. Lui è in compagnia di un solo altro atleta e in ammiraglia sono seguiti dal direttore sportivo Maxime Monfort. Il resto del team ha fatto la ricognizione ieri: si sono sciroppati 150 chilometri sotto la pioggia. Qualcosa d’insolito anche per i belgi, tanto è vero che più di qualche voce locale aveva sottolineato la cosa.

In casa XDS-Astana Team, il primo a scendere dal bus è Alexandre Vinokourov! Ma non aveva smesso? O siamo ancora al 2005, quando vinse la sua seconda Liegi? Vino scherza: «No, non la faccio mica tutta con loro». E infatti, dopo aver preso un caffè, il manager s’incammina con una delle bici di Velasco, un po’ prima dei ragazzi. Mario Manzoni, il direttore sportivo, dà le ultime indicazioni e poi partono anche Diego Ulissi e gli altri.

Qualche centinaio di metri a valle, ma sempre a Vielsam, ecco due team: Team Visma-Lease a Bike e Red Bull – Bora.
E qui la sorpresa: tra i “tori rossi” c’è anche Giulio Pellizzari. La squadra lo ha annunciato in extremis, ma siamo venuti a sapere che, tutto sommato, Pellizzari sapeva di fare la Liegi già da un po’. Non tanto, ma neanche così all’ultimo.

E’ sorridente, emozionato e anche quello che si sente di più. Fa “perdere la pazienza”, nel senso buono, anche con Enrico Gasparotto. Insomma, si parte tra le risate.
Giulio è al debutto e seguiamo il suo team per un po’. La cosa che abbiamo notato è che, praticamente per tutto, ma proprio tutto, il tempo Pellizzari è stato in testa. Forse voleva vedere per bene le strade. Una bella fame di conoscenza, di entusiasmo…

Nel cuore della Doyenne

E a proposito di strade, forse la tattica di Gasparotto di farlo stare davanti è davvero corretta. Seguendo questa recon da così dentro e così da lontano rispetto al solito, ci siamo resi conto anche noi di cosa sia davvero la Liegi. Non è solo Redoute o Roche-aux-Faucons o Stockeu. E’ un serpente d’asfalto alquanto velenoso. Noi seguiamo le côtes, ma in realtà è un continuo saliscendi. La pianura non esiste. E spesso si sale a strappi.

E non si deve pensare solo al dislivello: le strade sono spesso strette. Si lascia una strada nazionale e si svolta secchi su una comunale di campagna. Il risultato è: carreggiata ristretta, curve, pendenze violente anche in discesa e asfalto ondulato. Tanti microdossi che richiedono molta attenzione. Proviamo a immaginare lo stress dei corridori in gruppo, il cercare di stare davanti.

Il tratto in discesa dopo Wanne, giusto per dirne uno, è difficilissimo. Lo stesso vale per le stradine che precedono la cote di Mont-le-Soie. Poi, ovviamente, ci sono le salite vere e proprie… che non regalano nulla.

Ardenne già in festa

E poi c’è il contorno di questa ricognizione. Ed il contorno è la gente, la festa, il popolo del ciclismo. Ragazzi che si accodano ai team, tifosi a bordo strada e la solita Redoute già presa d’assalto. A Remouchamps, il pratone verde alla base della cote simbolo della Liegi è già pieno di camper e sulla salita tutti aspettano i big. Che bel caos per Tadej Pogacar, ma soprattutto per i beniamini di casa: Lotte Kopecky e Remco Evenepoel. Un signore ci confida che spera proprio sia Remco a battere Pogacar.

Ma la festa, anche la nostra, non è finita. Poco dopo la Redoute, dove Remco staccò Healy due anni fa, c’è uno stand con una bandiera belga e una italiana. Si mangia, si beve e si fa il tifo per Andrea Bagioli. E’ il suo fan club. A dirigere l’orchestra è Florio Santin.

Un bicchiere di rosso, un panino e la torta di riso. «Questa è tipica della zona, delle Ardenne – ci dicie Florio – Ne era golosissimo Giovanni Visconti. Che ha poi trasmesso questa passione anche a Valverde. Prima è passato Bagioli, ma non si è fermato… purtroppo. Mentre è stata molto carina Elisa Longo Borghini. Ha rallentato, ci ha sorriso e abbiamo scambiato una battuta».

E’ ormai l’ora di pranzo passata. I team non passano più. Quel che è fatto è fatto. I big hanno le conferenze stampa. Gli altri potranno vivere con un pizzico in più di relax questo avvicinamento… all’ultima grande classica di questa splendida Campagna del Nord.

Quando comodità è prestazione: la scelta della sella con Selle SMP

25.04.2025
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E’ un connubio difficile da realizzare, quello fra prestazione e comodità. Eppure, quando si parla di selle, questo paradigma può essere sovvertito. Selle SMP lo fa da anni, con un approccio scientifico e personalizzato. Per andare forte bisogna essere comodi in sella e il brand veneto lo ha capito prima di tanti altri.

Nata nel 1947 a Casalserugo, in provincia di Padova, Selle SMP è un’azienda a conduzione familiare giunta alla quarta generazione. Nel tempo ha saputo combinare tradizione artigiana e innovazione tecnologica. Il punto di svolta arriva nel 2004 con il lancio della prima sella ergonomica dotata di canale centrale aperto, pensata per ridurre la pressione sulle strutture anatomiche e migliorare la circolazione sanguigna. Oggi Selle SMP produce oltre 40 modelli, specifici per ogni disciplina e tipo di ciclista.

Fra i team professionistici che utilizzano Selle SMP c’è la VF Group–Bardiani CSF–Faizanè, che presto vedremo anche sulle strade del Giro d’Italia. Uno degli alfieri è Martin Marcellusi, con cui abbiamo parlato di scelta, sensazioni e dettagli tecnici.

Il nastrino tricolore dietro alle selle Selle SMP: un classico che racconta del Made in Italy
Il nastrino tricolore dietro alle selle Selle SMP: un classico che racconta del Made in Italy
Martin, partiamo dalla scelta della sella: non è affatto scontata, viste le tante opzioni disponibili. Come si svolge la selezione?

In effetti non è facile scegliere. Abbiamo a disposizione l’intera gamma Selle SMP. Si parte con un colloquio con Davide Polo, referente tecnico del marchio. Gli si spiegano le proprie esigenze, il tipo di seduta preferita e le selle usate in passato. A quel punto lui propone una serie di modelli da testare, quelli che secondo lui possono fare al caso tuo.

Di quante selle parliamo normalmente?

Solitamente due o tre, ma c’è anche chi arriva a provarne cinque. Poi si inizia a testarle.

Tu che caratteristiche cercavi?

Volevo una sella dura e il più piatta possibile. Mi piace una seduta “aggressiva”, mi dà la sensazione di maggiore reattività. Ma al tempo stesso una sella che mi consentisse di spingere in salita, di avere un appoggio robusto.

Non hai menzionato il peso. Come mai?

Perché nel caso della sella non è la mia priorità. Prima di tutto deve essere comoda, perché se ti trovi bene, riesci anche a esprimerti meglio in gara. Comunque quella che uso pesa poco più di 150 grammi, quindi siamo su livelli molto buoni.

Qual è il modello che usi?

La F20 C S.I. La “C” sta per “corta” e “S.I.” per “senza imbottitura”. E’ una sella essenziale, ma mi calza a pennello.

Hai iniziato ad usarla quando sei arrivato alla Bardiani?

No, già la usavo da under 23, ai tempi del Team Palazzago. Allora avevo una Selle SMP Evolution. Quando sono passato pro’ e ho avuto la possibilità di testare tutta la gamma man mano sono arrivato alla F20 C S.I. Mi sono trovato bene fin da subito.

Cosa significa trovarsi bene con una sella?

Che appena l’ho provata mi sono sentito a mio agio. Nessuno schiacciamento, neanche quando ero in presa bassa sul manubrio, nessun intorpidimento alle gambe e anche dopo parecchie ore non avevo problemi. E questa è una cosa da non sottovalutare.

C’è stato un lavoro specifico per trovare la posizione ideale?

Sì, anche se sono dettagli minimi. Alla posizione definitiva ci sono arrivato da solo, ma si parla davvero di millimetri, uno do due al massimo. Micro regolazioni dell’inclinazione. Sono cose che solo il corridore può percepire. La prima importante messa in sella è avvenuta quando c’erano i meccanici del team, poi quella finale, dei ritocchi minimi, l’ho fatta da solo uscendo con la brugolina in tasca.

Quando ci si alza sui pedali la sella non deve essere d’intralcio. Per chi come Martin pedala in punta, avere la versione corta è un vantaggio in tal senso
Quando ci si alza sui pedali la sella non deve essere d’intralcio. Per chi come Martin pedala in punta, avere la versione corta è un vantaggio in tal senso
Durante l’anno quante selle cambiate? E perché si cambia?

Ne cambiamo quattro o cinque, il che non è poco. Ma lo facciamo a cadenze regolari, non perché la sella dia segni di cedimento, anzi, proprio per il contrario. Le Selle SMP sono resistenti, non si “imbarcano” come si diceva una volta. Cambiarle spesso serve proprio a mantenere sempre il massimo livello di prestazione e comfort.

Come mai hai scelto una sella corta?

Un po’ perché mi ci sono trovato bene fin da subito e un po’ perché pedalo molto in punta. La sella corta mi permette comunque di muovermi bene, sia quando mi alzo, sia quando affronto le discese.

Ma se allora pedali in punta non sarebbe più logico usare una sella lunga?

Non necessariamente. La sella corta mi aiuta a non esagerare nello stare troppo in punta. Mi dà equilibrio, mi permette di essere mobile, senza finire troppo avanti col corpo. E poi bisogna pensare che Selle SMP propone selle con un carrello molto lungo, pertanto volendo, si può finire davvero molto avanti. Ma la cosa bella, a prescindere dal mio caso, è che lo spettro delle regolazioni è molto ampio.

Boaro: «Fancellu da noi cerca la spinta per rilanciarsi»

25.04.2025
5 min
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MEZZOLOMBARDO – Tirare una riga e ripartire da zero, questo è ciò che ha fatto Alessandro Fancellu con la JCL Team UKYO. La formazione continental giapponese negli ultimi due anni è diventata un nido dal quale alcuni corridori sono stati in grado di rilanciarsi. L’edizione 2025 rappresenta la seconda partecipazione di questa formazione al Tour of the Alps, segno di un calendario di alto livello nonostante i gradi di continental. Il JCL Team UKYO ha preso parte a diverse corse a tappe importanti, con in macchina la figura di Manuele Boaro. Il ruolo da diesse si addice particolarmente al suo carattere, ride e scherza con i ragazzi ma le idee sono chiare. Così come il lavoro da fare. 

Manuele Boaro, a destra in foto, alla partenza della seconda tappa del Tour of the Alps
Manuele Boaro, a destra in foto, alla partenza della seconda tappa del Tour of the Alps

Al posto giusto

Il talento di Fancellu sembrava essere destinato a realtà differenti, con un destino scritto nelle grandi corse a tappe con una carriera tutta da scrivere. Purtroppo alcuni passaggi nel suo percorso sono mancati, dopo gli anni con la Eolo-Kometa, ora Polti VisitMalta, si era pensato che cambiare aria potesse essere utile. L’esperienza alla Q36.5, durata una sola stagione, non ha portato ai risultati sperati. Nonostante l’inizio promettente al Tour of Antalya i risultati poi non sono arrivati.

«Quando vieni da una WorldTour, una professional come nel caso di Fancellu e “cadi” giù capisci che magari è l’ultima spiaggia». Boaro parla dal piccolo piazzale che raccoglie i bus prima della partenza. «Probabilmente lui nel corso della sua carriera è stato anche sfortunato. Qui da noi sa che non c’è quella pressione. Vero che si parte per vincere ma a volte ci si dimentica che i ragazzi giovani vanno ascoltati e seguiti. Nel nostro piccolo lavoriamo bene, come una formazione WorldTour perché a livello di programmazione, nutrizione e allenamenti siamo molto validi. Non mancano nemmeno i risultati. Comunque lo scorso anno avevamo in squadra Malucelli, Carboni e Pesenti. Il primo ora è nel WolrdTour, il secondo in una professional e Pesenti nel devo team della Soudal».

Fancellu è arrivato alla JCL Team UKYO dopo tre stagioni alla Eolo-Kometa e una alla Q36.5 Pro Cycling
Fancellu è arrivato alla JCL Team UKYO dopo tre stagioni alla Eolo-Kometa e una alla Q36.5 Pro Cycling
Chi arriva sa di avere una buona chance per rilanciarsi…

Qualche corridore che pensa di venire qui e di ributtarsi nella mischia. I tre che ho citato prima sono venuti qui motivati e con voglia di fare. Lo stesso Fancellu sta dimostrando di andare bene, anche perché abbiamo costruito un programma adatto alle sue caratteristiche. 

Appena arrivato cosa avete fatto con Fancellu?

Alberto (Volpi, ndr) ci parlava da qualche mese, poi la Q36.5 non lo ha confermato e la cosa si è concretizzata. Da quel momento abbiamo cercato di capire quali fossero le sue esigenze e ambizioni. Lui è uno scalatore, quindi ci siamo concentrati sulle corse vicine alle sue caratteristiche. Come in ogni squadra, capita di chiedere un sacrificio. Ora lui era al Tour of the Alps, arrivava però dal Giro d’Abruzzo e poteva essere stanco. 

Al Giro d’Abruzzo Fancellu ha vestito la maglia di miglior giovane al termine della prima tappa
Al Giro d’Abruzzo Fancellu ha vestito la maglia di miglior giovane al termine della prima tappa
Ha bisogno di serenità dopo qualche stagione complicata?

Tutti gli atleti hanno bisogno di tranquillità. Un corridore ha bisogno anche di garanzie, tante volte vediamo fare delle prestazioni monstre a ragazzi in scadenza di contratto. Si dovrebbe cercare di non aggiungere preoccupazione al lavoro. 

Come vedi questa stagione per Fancellu?

Deve essere un passaggio. Ha i numeri e le caratteristiche per correre in una formazione professional o WorldTour. Da noi deve trovare lo slancio per tornare su. 

Nella prima corsa di stagione Fancellu ha colto un ottimo ottavo posto nella classifica generale del AlUla Tour
Nella prima corsa di stagione Fancellu ha colto un ottimo ottavo posto nella classifica generale del AlUla Tour
Qual è lo step intermedio che può dargli questa squadra?

Quando si tocca il fondo si capisce che dopo questa chance si va a lavorare. Quindi uno arriva a pensare a quello che vuole davvero. Fancellu si sta impegnando e si comporta da vero professionista. Secondo me ha capito cosa deve fare. Magari in altre squadre si era un po’ perso. Ha subito tanto la pressione del dopo Remco (Evenepoel, ndr) perché a quel mondiale juniores aveva fatto terzo. 

La pressione non è facile da gestire. 

Magari l’ha vissuta un po’ male perché anche lui ha aspettative su se stesso. E’ un ragazzo che si butta giù facilmente, la cosa da capire è che nel ciclismo un giorno stai bene e quello dopo può succedere qualcosa. Anche qui al Tour of the Alps sapevamo sarebbe stato difficile visto che arrivava dal Giro d’Abruzzo. Nessuno di noi si aspettava il risultato. 

Il calendario dello scalatore lombardo è disegnato in base alle sue caratteristiche
Il calendario dello scalatore lombardo è disegnato in base alle sue caratteristiche
Al JCL Team UKYO ha trovato un riferimento come te…

Il primo giorno ho guardato Fancellu e gli ho detto: «Io sono qui». Sono a disposizione tutti i giorni e tutte le ore. Non c’è solo l’allenamento e il lavoro, ma anche il rapporto con il ragazzo. Loro devono aprirsi e sapere che tutto si può risolvere. 

Un fattore più mentale che di prestazione?

Il ciclismo ora è così, sono controllati e seguiti al 100 per cento. Serve però avere il supporto umano, come andare in camera e fare una battuta o anche a tavola. Questo è l’obiettivo di squadra quando si va alle corse, stare lontani da casa è difficile ed è importante avere un ambiente sereno. Lo dicevano a me i miei “vecchietti” e lo dico io a loro: «La carriera passa veloce e quando si scende dalla bici cambia il mondo». Siamo fortunati a fare questo lavoro e dobbiamo farlo durare il più possibile e godercelo.

Ritiro al Tour of the Alps. Il piano B di Tiberi e Bartoli

25.04.2025
3 min
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Il secondo giorno al Tour of the Alps, a margine della vittoria di Storer si è registrato il ritiro di Antonio Tiberi per problemi allo stomaco. La squadra sta ancora aspettando l’esito delle analisi, tuttavia il dato da tenere sotto osservazione è che il corridore italiano, che da mesi è in rotta sul Giro, ha perso una settimana di importante lavoro di rifinitura. In che modo questo influirà sulla sua prestazione nella corsa di casa?

Lo abbiamo chiesto al suo preparatore Michele Bartoli, che lo ha seguito per il lavoro in altura delle settimane scorse, apprezzando anche l’ottima condizione di Damiano Caruso, che al Giro ne sarà nuovamente l’angelo custode.

Caruso e Tiberi, coppia forte della Bahrain Victorious verso il Giro. Il siciliano al momento è 6° in classifica
Caruso e Tiberi, coppia forte della Bahrain Victorious verso il Giro. Il siciliano al momento è 6° in classifica
Il 2025 di Tiberi è vissuto su Algarve, Tirreno-Adriatico e la prima tappa al Tour of the Alps. In che modo questo può influire sul rendimento al Giro?

Chiaro che per la prima settimana, un minimo di importanza ce l’ha. Mentre per il Giro in generale, la situazione non mi preoccupa. Certo, Antonio ha corso poco, quindi magari una cosa in meno potrebbe incidere. Eravamo andati a fare il Tour of the Alps perché sapevamo che ci avrebbe fatto bene. Vedremo nei prossimi giorni quello che sarà in grado di fare e come lavorerà.

Fino al momento del ritiro, come stavano andando le cose?

Bene, bene. E’ stato in altura con Damiano, che sta andando forte: era da tempo che non si vedeva un Caruso così.

Al Giro ci si può permettere di crescere con i giorni o servirà essere subito pronti?

La cronometro il secondo giorno rende necessario arrivarci bene, ma è un Giro impegnativo sino alla fine. Per cui potrebbe mancare il lavoro della corsa saltata, ma aspettiamo di vedere se va tutto bene e poi gli faremo fare un mezzo Tour of the Alps a casa. Faremo simulazione di gara, ma prima bisogna che stia bene. Oggi (ieri, ndr) è stato ancora fermo in attesa degli esami. Domani (oggi, ndr) spero possa ripartire a pedalare, magari inizialmente con un girettino. Non puoi chiamarlo allenamento, ma nel giro di un paio di giorni avremo i risultati delle analisi e a quel punto potremo iniziare a fare sul serio.

Prima del Tour of the Alps, Tiberi aveva corso la Tirreno, finendo terzo dietro Ayuso e Ganna
Prima del Tour of the Alps, Tiberi aveva corso la Tirreno, finendo terzo dietro Ayuso e Ganna
Su cosa ha lavorato in altura?

E’ stata una preparazione mirata a un Grande Giro. Quindi tanto dislivello e tanto lavoro aerobico. Poi è chiaro, la percentuale dei lavori cambia un po’. Prima magari per le gare di un giorno, si fa un po’ più di lavoro anaerobico. Per i Grandi Giri è diverso, ma Antonio ha lavorato con i giusti criteri ed è riuscito a farlo.

Trovi differenze fra il Tiberi di oggi e quello dello scorso Giro?

E’ cresciuto fisicamente e anche come consapevolezza. Parte da un livello di sicurezza diverso e già quello ti aiuta tanto anche a migliorare la prestazione. Perciò aspettiamo l’esito delle analisi e poi vedremo il modo migliore per riprendere il terreno perduto.

Tour of the Alps: ecco Arensman, il granatiere fa rotta sul Giro

24.04.2025
4 min
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OBERTILLIACH (Austria) – Il Tour of the Alps sconfina nel Tirolo austriaco proponendo una tappa impegnativa e adatta solo a corridori dalle gambe forti. Se a questo aggiungiamo il meteo avverso, con freddo e pioggia a colpire duramente i protagonisti di giornata, il risultato diventa quello che abbiamo sotto gli occhi. Volti scavati dalla fatica, labbra che tremano ancora intorpidite dal freddo e occhi spiritati. Sulla strada l’azione di Thymen Arensman ha scavato solchi profondi in classifica e l’olandese alto e magro dai lineamenti decisi ha preso in un colpo solo la gloria e la maglia verde. 

Nulla di programmato

Su questa piccola frazione austriaca, adagiata su una vallata che sembra senza fine, le nuvole grigie e cariche di pioggia nascondono le vette innevate. Quando il corridore della Ineos Grenadiers approccia l’ultima salita la pioggia inizia a picchiettare sul casco, rendendo ancora più complicati i chilometri conclusivi. 

«L’unica cosa pianificata di questa tappa – spiega Arensman – è stato il mio primo attacco. Volevo essere nella fuga. Nella prima discesa il freddo ha lasciato un piccolo gruppo di pretendenti alla vittoria e ci sono stati degli attacchi. Durante le scalate successive ho continuato ad attaccare, volevo mettere fatica nelle gambe dei miei avversari. Quando sono rimasto solo non ho fatto nessun ragionamento, ho spinto fino alla fine cercando di tenere un passo regolare». 

Arensman è sceso dall’altura poco prima del via, la condizione migliora giorno dopo giorno
Arensman è sceso dall’altura poco prima del via, la condizione migliora giorno dopo giorno

La prima tra i granatieri

Nel 2022 Arensman ha lasciato il Team DSM per accasarsi alla Ineos Grenadiers. La vittoria di tappa al Tour de Pologne prima e alla Vuelta poi avevano evidenziato le doti del ragazzo olandese. Il team britannico, che nell’inverno di quella stessa stagione contava su tanti pretendenti ai grandi giri, non ha spinto sull’acceleratore e ha lasciato ad Arensman il tempo di lavorare e imparare. La sua prima vittoria è arrivata oggi sulle strade di questa breve e intensa corsa a tappe ma il cammino era già stato tracciato. 

«Il primo successo in maglia Ineos – dice ancora – è una bellissima sensazione. Sono entrato nella squadra alla fine del 2022, ed era qualcosa di completamente nuovo per me. Ho dovuto imparare a conoscere questo team e ho avuto come insegnanti i migliori compagni che potessi immaginare. Al primo anno sono stato accanto a Geraint Thomas al Giro, facendogli da spalla. Da quell’esperienza ne è scaturito un sesto posto finale, ed è stato fantastico e anche un onore. Durante queste due stagioni la squadra mi ha lasciato lo spazio per provare a fare la corsa e mettermi in mostra per ciò che ero. Dal canto mio sento di essere cresciuto anno dopo anno. Lo staff e i compagni mi hanno dato fiducia e io ne ho acquisita rispetto alle mie qualità. Questa vittoria credo sia il modo migliore per ripagare la squadra e spero ne possano arrivare tante altre». 

Lo spunto rosa

La Ineos Grenadiers torna al Giro d’Italia con un gruppo solido e con Thomas dirottato sul Tour de France si apre lo spazio per vedere di che pasta è fatto Thymen Arensman. Senza dimenticarci di Bernal, sparito dai radar da quasi un mese ma pur sempre al lavoro per il Giro. 

«Gli anni scorsi – conclude Arensman – arrivavo al Giro condividendo il ruolo di capitano con Thomas. A maggio, invece, saremo Egan Bernal ed io a curare la classifica generale. Siamo due corridori completamente diversi, io sono un atleta che fa del passo il suo forte. Inoltre ho ottime doti anche a cronometro. Bernal, invece, è uno scalatore puro. La squadra avrà due carte da giocare. Quando correvo accanto a Thomas l’approccio era più conservativo, visto che abbiamo caratteristiche molto simili. Sono sicuro che Bernal attaccherà su ogni salita, mentre io avrò come focus le cronometro per guadagnare tempo. Poi magari arriveranno giornate buone come quella di oggi. Sono sicuro che avere due approcci diversi alla gara sarà un cambiamento positivo».

Con Oggiano nel laboratorio Ineos, progettando il futuro

24.04.2025
6 min
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L’universo Ineos è estremamente vasto. Non c’è solo il ciclismo, considerando l’impegno fino all’edizione dello scorso anno della Coppa America di vela (e il ritiro della sfida di Ineos Britannia dei giorni scorsi ha destato molto scalpore) come anche quello nella Formula 1 al fianco di Mercedes, rivale sulle due ruote ma strettissima partner sulle quattro. Le commistioni fra i vari campi sono molto strette e a livello di ricerca il lavoro diventa spesso comune.

Direttore Area Ricerca e Sviluppo della Ineos Cycling è Luca Oggiano, dirigente che si è fatto una lunga esperienza all’estero e che tra l’altro ha vissuto sulla sua pelle l’evoluzione sempre più prepotente del movimento norvegese nello sci alpino, passando poi alle due ruote. L’intervista con lui significa entrare in un mondo davvero particolare, dove non si parla solamente di watt, copertoni, allenamento perché per poter emergere in un ambiente così complesso, la commistione fra le varie discipline è massima e non è neanche unica, considerando ad esempio come il lavoro della Visma-Lease a Bike sia alla base della scalata ai vertici mondiali del movimento remiero olandese.

Alla Ineos Grenadiers Oggiano è stato nominato direttore dell’Area Ricerca e Sviluppo
Alla Ineos Grenadiers Oggiano è stato nominato direttore dell’Area Ricerca e Sviluppo
Partiamo dalla tua carica. In che cosa consiste?

Si tratta di seguire e curare tutti i vari prodotti sviluppati dai partner che poi vanno a essere implementati all’interno della squadra. Io mi occupo del lato performance di tali prodotti, più che altro dal punto di vista aerodinamico, quindi Kask, Pinarello, Gobik, eccetera. Affrontando lo sviluppo, la ricerca e l’implementazione all’interno della squadra dei vari prodotti.

Questo lavoro che tu fai quanto prende anche dalle altre esperienze di Ineos e quanto le altre esperienze di Ineos, ad esempio nella vela, sfruttano anche il lavoro che fate voi?

In realtà ci sono stati dei travasi di esperienza, soprattutto per quel che riguarda Mercedes Formula Uno all’inizio della partnership. Il mondo del ciclismo però è diverso, non si può far tutto in “house” come si fa con la vela o la Formula Uno, si lavora in sinergia con diversi partner. La commistione riguarda soprattutto le metodologie, dove c’è un continuo scambio, soprattutto sul piano dell’aerodinamica, ma poi gli ambiti sono diversi. Quindi si va avanti per la nostra strada.

Luca Oggiano ha iniziato la sua carriera di ricercatore in Norvegia, dedicandosi agli sport invernali
Luca Oggiano ha iniziato la sua carriera di ricercatore in Norvegia, dedicandosi agli sport invernali
Quando sei entrato in questo mondo?

Dal lato del ciclismo nel 2017, ma il lavoro sull’aerodinamica riguarda aerodinamica dei tessuti, sviluppo tute e sviluppo prodotti è più datato, dobbiamo risalire alla mia tesi di laurea nel 2005. Qualche annetto di esperienza c’è, lavorando per anni con il team norvegese tra discipline veloci dello sci e pattinaggio su ghiaccio in particolare. Nel 2017 ho accettato la proposta del team Sky.

Da spettatore prima e protagonista poi, quanto è cambiato l’influsso della ricerca e dello sviluppo nel ciclismo?

Credo che uno dei passi più grandi che siano stati fatti è stato quello del riuscire a dare delle metodologie super avanzate, facendo crescere aziende “medio piccole”, come possono essere per esempio quelle dei caschi. In questo sono state implementate esperienze di altri campi come la stessa Formula Uno, dando accesso a nuove strumentazioni. Questo ha portato un enorme miglioramento dello sviluppo del prodotto e quindi anche ovviamente delle prestazioni.

Con Ganna ha lavorato a lungo su ogni aspetto per arrivare ai suoi primati su pista
Con Ganna ha lavorato a lungo su ogni aspetto per arrivare ai suoi primati su pista
Tu hai una cultura e radici omnisportive, secondo te l’evoluzione del mezzo che c’è stata nel ciclismo è pari a quella degli altri sport di vostra competenza?

Difficile fare un paragone. Il ciclismo ancora oggi ha comunque una forte componente umana, negli altri quella meccanica è quasi allo stesso livello, quindi incide molto di più. Il ciclismo credo che in questo momento sia lo sport trainante nel suo genere e potrebbe essere ancora più rivoluzionario senza le varie limitazioni poste dall’UCI, che fa un ottimo lavoro, ma tende a limitare la possibilità di spingere dal punto di vista della ricerca e sviluppo per cercare di equalizzare le forze. Ma si vede che nel ciclismo odierno è stata implementata molto della cultura di discipline come Formula 1 ma anche Moto GP.

A breve termine ci saranno altre evoluzioni nel mondo del ciclismo e chiaramente quindi anche nel tuo team?

Sicuramente, considerando che siamo nel pieno di una rivoluzione industriale dettata dall’uso dell’intelligenza artificiale che va di pari passo con l’atleta stesso. Io credo che nell’ambito di caschi, telai, strutture aerodinamiche si possa ancora fare tantissimo. Di pari passo con le limitazioni di cui prima, pienamente legittime, che ti portano spesso a cancellare tutto il lavoro e rimetterti davanti a una pagina bianca, ma più ricco di prima in base alle conoscenze acquisite.

Ineos è partner di primo piano della scuderia Mercedes in Formuna 1 (foto DPPI)
Ineos è partner di primo piano della scuderia Mercedes in Formuna 1 (foto DPPI)
Un lavoro necessario?

L’impegno del massimo organo porta a cercare di minimizzare le differenze tra le varie squadre permettendo uno sviluppo della tecnologia che sta diventando sempre più fruibile anche da team che non hanno dei budget enormi, che sta portando quasi tutte le aziende ad avere un’attenzione più rivolta alla performance del prodotto piuttosto che al design. Secondo me vedremo delle cose interessanti nei prossimi anni.

Secondo te queste evoluzioni andranno a ridurre sempre più la componente umana nella prestazione?

Nel ciclismo probabilmente no, si tratta di uno sport dove ancora la componente umana è fondamentale. Certo, se metti di fronte due Pogacar, quello con i materiali migliori probabilmente andrà a vincere. Ma le differenze grosse, come è anche bello che sia, arriveranno comunque dalla componente umana. La componente dei materiali darà quell’extra, diciamo quel 5-10 per cento in più, ma il resto verrà comunque fuori dalle gambe del ciclista. Ed è questa la strada che comunque l’UCI vuole dettare.

Ha destato sensazione il ritiro della sfida del team Britannia con Ineos dalla Coppa America (foto Cameron Gregory)
Ha destato sensazione il ritiro della sfida del team Britannia con Ineos dalla Coppa America (foto Cameron Gregory)
Le innovazioni nella Formula Uno hanno avuto un ricasco importante dal punto di vista della sicurezza nelle auto di tutti i giorni. Nel ciclismo avviene e avverrà lo stesso?

Sicuramente, se guardiamo tantissime innovazioni nate per il ciclismo professionistico sono diventate di uso comune. Basti pensare al computerino, il Garmin, ormai anche il ciclista della domenica lo usa, guarda i watt, tiene conto di tutto. A parte il lato sicurezza, c’è proprio il lato di gamification, come si chiama in inglese, ovvero il trasformare lo sport in gioco e rende tutto secondo me molto più bello, più divertente. Anche dal punto di vista dell’aerodinamica stessa ci sono ormai varie possibilità per tutti di poter per esempio misurare il proprio coefficiente aerodinamico. C’è questo travaso di conoscenze che anche vent’anni fa erano utilizzate solamente ad altissimo livello, che stanno iniziando a essere fruibili per tutti.