Ogni giorno i giornalisti belgi vanno al pullman della Visma-Lease a Bike e chiedono a Marc Reef, che guida la squadra al Giro, come sta Van Aert. Lo racconta bene Het Nieuwsblad, il cui inviato Jan-Pieter de Vlieger annota che le risposte della squadra stanno lentamente cambiando di tono. Al via della tappa di Matera, Reef ha risposto: «Speriamo che Wout guarisca». Al via da Castel di Sangro, il responso è stato: «Wout sta migliorando un po’ ogni giorno».
I progressi sono visibili, tanto che a Napoli il belga si è ritrovato nell’ultimo chilometro a giocarsi la tappa con Plowright, in piena preparazione per lo sprint. Dal punto di vista tattico, può essere stato un errore, ma Van Aert era felice di avere ancora forza nelle gambe.
9ª tappa, la tappa di oggi: Gubbio-Siena di 181 km9ª tappa, la tappa di oggi: Gubbio-Siena di 181 km
Il Van Aert del 2020
E’ opinione comune che una prima risposta attendibile sulle condizioni di Van Aert potrebbe arrivare oggi. La tappa Gubbio-Siena è una piccola Strade Bianche. I settori di sterrato sono soltanto cinque, ma i quasi 30 chilometri (di cui 26 concentrati in 34 chilometri di percorso) potrebbero rivelarsi un banco di prova severo e attendibile. L’arrivo a Piazza del Campo è lo stesso di marzo, con la salita di Santa Caterina.
Van Aert vinse su quelle strade nel 2020, con la condizione eccezionale che di lì a poco gli avrebbe permesso di vincere anche la Sanremo. E’ evidente che Wout non abbia la condizione di allora, ma l’assenza dei grandi specialisti potrebbe rendergli il compito meno gravoso.
Nel 2020 Van Aert vinse la Strade Bianche. Qui è con Fuglsang e AlaphilippeNel 2020 Van Aert vinse la Strade Bianche. Qui è con Fuglsang e Alaphilippe
Fra Yates e la fuga
Durante la preparazione del Giro, Wout ha svolto una ricognizione sul percorso della tappa. «E’ davvero difficile – ha affermato ieri – si tratta di una Strade Bianche a tutti gli effetti, non di una copia in miniatura come a volte si vede nei Grandi Giri. Mi sento meglio. Tagliacozzo è stata una tappa dura, ma l’ho superata bene. Ieri c’era tanto dislivello, tappa per veri scalatori. Ho sperato di tenere nel finale vallonato e per questo avevo pensato a una fuga, ma non è andata come pensavo.
«E adesso non vedo l’ora di correre sugli sterrati. Ma con la mia forma attuale non posso concentrare tutto in una tappa specifica. Ecco perché voglio provare a lottare per la vittoria di tappa ogni volta che sarà possibile. So che la priorità della squadra è portare Simon Yates al traguardo senza problemi, ma io ho carta bianca per unirmi a una fuga».
L’attacco di Pidcock a Pogacar su Monte Sante Marie: un’immagine dell’ultima Strade BiancheL’attacco di Pidcock a Pogacar su Monte Sante Marie: un’immagine dell’ultima Strade Bianche
Gli uomini di classifica
Sarà vero però che non ci saranno tra i piedi degli specialisti? E non è forse vero che negli ultimi anni la Strade Bianche si è trasformata in una corsa per scalatori, più che per esperti del fuoristrada? Ci sarà Vacek, che per certi versi somiglia a Van Aert, ma appare molto più in condizione. Ci sarà Pidcock, che a marzo si è arreso soltanto a Pogacar. E il suo allenatore Kurt Bogaerts è in sintonia con lo scetticismo sul ruolo che avrà Van Aert.
«Mads Pedersen con la sua forma attuale – ha detto al giornale belga – può essere della partita, ma per il resto vedo solo i corridori della classifica generale. Giulio Ciccone, Primoz Roglic, Juan Ayuso o Egan Bernal, che ha già ottenuto un quinto posto alla Strade Bianche. Lo si vede anche nelle tappe sul pavé del Tour, dove vengono alla ribalta anche gli uomini di classifica, che hanno il motore più potente. Van Aert potrebbe starci, ma credo che non sia ancora al massimo della forma. E’ normale non essere molto costanti dopo un incidente come quello della Vuelta. Credo che vedremo il Wout van Aert del passato solo nella seconda metà di quest’anno».
Quest’ultimo parere ha gelato l’entusiasmo dei media belgi. Che però stamattina ugualmente si sono presentati al pullman della Visma-Lease a Bike chiedendo a Reef qualche aggiornamento sulle condizioni del loro beniamino. Wout li ha abituati così bene, che è difficile credere nella sua vulnerabilità ed è sempre bello sperare che gli riesca un altro miracolo.
CASTELRAIMONDO – Quanto tifo ieri abbiamo visto lungo il tracciato per Giulio Pellizzari. Ma è così, quando c’è di mezzo l’enfant du pays… E’ il bello del ciclismo e del Giro d’Italia. Tanto calore anche per l’altro marchigiano in gruppo, Gianmarco Garofoli, ma lui è di Ancona e quanto calore ci fosse anche per lui già lo avevamo visto questo inverno, mentre queste maceratesi erano proprio le strade di Giulio.
La sua Camerino distava appena nove chilometri dall’arrivo. E’ qui che si allena ed è qui che ha iniziato a inseguire il sogno di diventare corridore. E oggi eccolo (di nuovo) al Giro d’Italia al fianco di un capitano importante, forse il più importante di tutta la corsa rosa.
Sandro Santacchi a capo del tifo per PellizzariSandro Santacchi a capo del tifo per Pellizzari
Non chiamatelo fans club
Ma di questo tifo vi vogliamo raccontare tramite Sandro Santacchi, il coordinatore del “non fans club” di Giulio.
«Non vuole che si chiami fans club – spiega Santacchi – perché Giulio è particolarmente attento a quello che sono i fatti e non le parole. Mi spiego meglio: lui considera il fan club come un modo di porsi al mondo con troppa apparenza. Un po’ come se non se lo fosse ancora meritato… diciamo così. Magari tanti suoi colleghi lo vorrebbero, ma lui non lo gradisce in modo ufficiale. Però noi gli andiamo dietro lo stesso, almeno dove è possibile!».
Messa così sembra che Pellizzari possa essere distante da loro, invece… fermi tutti, non è affatto così. Anzi. «Oggi (ieri, ndr) quando è passato su Sassotetto ci ha guardato e ci ha fatto un sorriso grosso così. Ha visto questo gonfiabile di sei metri! Era contento… E noi con lui».
Sandro Santacchi è alla guida di un gruppo di amici, sostanzialmente come ce ne sono tanti nei paesi d’Italia. E guida questo gruppo sotto le insegne della sua società ciclistica la Frecce Azzurre di Camerino.
Le classiche scritte sull’asfalto…E tanti cartelloni: così le strade maceratesi hanno accolto il ragazzo di casaLe classiche scritte sull’asfalto…E tanti cartelloni: così le strade maceratesi hanno accolto il ragazzo di casa
Griglia e ciclismo
Ieri su Sassotetto erano in tanti. Gli amici del paese, uniti dalla passione per la bici e l’amore per Pellizzari che hanno visto crescere. Il gonfiabile sì, gli striscioni anche… ma pure carne alla brace e vino.
«Siamo tornati giù da poco. Ci siamo divertiti. Perché siamo tutti innamorati di lui? Perché è una gran bella persona, in tutte le sue sfaccettature… E’ sempre sorridente, è sempre disponibile con tutti e allo stesso tempo è concentratissimo sui suoi obiettivi. E’ un professionista esemplare. Non lascia niente al caso. Ma quando poi monta in bici ha una cattiveria… E’ bestiale».
«Io, e non solo io, mi sono avvicinato a lui, prima di tutto perché c’è un bel rapporto con la sua speciale famiglia. Perché se Giulio è così è perché ha la fortuna di avere una famiglia stupenda. Abbiamo iniziato a seguirlo dalle sue gare juniores, noi tutti siamo appassionati di ciclismo. Era un piacere vedere pedalare questo ragazzino e si intravedeva subito che la stoffa c’era. E da lì, man mano, è nato tutto».
Qualcuno si aspettava che la Red Bull-Bora gli lasciasse spazio… ma la maglia rosa di Roglic è troppo importanteQualcuno si aspettava che la Red Bull-Bora gli lasciasse spazio… ma la maglia rosa di Roglic è troppo importante
Tifo competente
Prima, quando vi abbiamo detto che Santacchi è uomo di ciclismo, intendevamo nel vero senso della parola. Ha anche un certo occhio tecnico.
«Le doti di Giulio in bici le stiamo vedendo – racconta Santacchi – e ancora non abbiamo visto tutto, perché Giulio è in crescita. Ha già fatto un bello step dall’anno scorso. In tal senso mi ha molto colpito la cronometro che ha fatto a Tirana. Fino all’anno scorso non aveva mai preparato bene questa disciplina e quest’anno, stando in una squadra dove si cura di più, è andato subito bene».
La cosa bella è anche il rispetto verso l’atleta: non c’è invadenza. Il tifo vero è “senza nulla a pretendere”. Non pensiamo solo al “non fans club” di Pellizzari, ma in generale alle tantissime persone che lungo la strada scrivono un foglio, uno striscione o fanno scritte sull’asfalto. Il tifoso applaude quando passa il gruppo, applaude più forte quando passa il suo beniamino. In questo caso il ragazzo in corsa, dell’enfant du pays, diventa l’orgoglio di una terra.
«Se l’avevamo sentito prima della tappa di ieri? Vi dico questa – conclude Santacchi – ci siamo ripromessi che con l’inizio del Giro, Giulio avrebbe “staccato” il telefono. Era arrivato al punto che ogni sera aveva 400 messaggi e lui è tipo da rispondere a tutti! Quindi ha preferito fare così per non intaccare la sua concentrazione. Però sapeva che lo aspettavamo. Erano giorni che ci lavoravamo per farlo contento… e perché piaceva anche a noi. Anche perché non so quante altre volte potrà capitare che il Giro passerà dalle nostre parti con Pellizzari è protagonista. Bisognerà attendere altre congiunzioni astrali! Intanto ci siamo goduti questa».
C’è voluto tempo, per assorbire il colpo. Anche se l’addio era nell’aria da tanto, mettere la parola fine a 43 anni di storia non è facile, anche per un uomo di lunga navigazione nel mare ciclistico come Egidio Fior, l’uomo che ha portato la Zalf in giro per il mondo facendone una colonna portante del ciclismo giovanile italiano. Fa un certo effetto girare per le varie gare italiane ed estere e non vedere più quelle divise tricolori, quelle scritte ben evidenti, soprattutto quei ragazzi entusiasti che grazie alla sua creatura hanno assaporato il professionismo nelle sue varie epoche.
C’è voluto un po’ per mettere ordine nei ricordi e per accettare di mettersi comodi a parlare, a rimembrare tutto quel che è stato. Oggi c’è l’hotel-ristorante da cui tutto è partito e al quale bisogna dare attenzione, perché quell’impresa dà da mangiare a tante famiglie. La passione ciclistica c’è sempre, ma ora è relegata al semplice ruolo di hobby per il tempo libero.
Egidio Fior (a sinistra) dopo 44 stagioni vissute sulla strada ha deciso di chiudere la sua avventura con la ZalfEgidio Fior, 78 anni. Dopo 44 stagioni vissute sulla strada ha deciso di chiudere la sua avventura con la Zalf
Metti una sera a cena…
«Il bello è che nacque tutto in maniera abbastanza casuale», racconta Fior. «Una sera si presentò qui al ristorante Giuseppe Beghetto (oro olimpico nel tandem e e tre volte iridato nella velocità negli anni Sessanta, ndr) e parlando mi suggerisce l’idea di creare una squadra per fare pubblicità al ristorante. Io seguivo sì il ciclismo, ma giocavo al calcio e ero più dedito a questo. Qui però passavano tanti ciclisti, quindi pensai che fosse una buona idea. Ne parlai con mio fratello Giancarlo e partimmo.
«Inizialmente ci dedicammo ai cicloturisti, ma vedemmo subito che non avevamo da soli le forze per seguire e far crescere il team, soprattutto se volevamo (e lo volevamo!) dare un’impronta agonistica. Già allora i costi non erano pochi, serviva un forte sostegno da parte di uno sponsor e lo trovammo nel mobilificio Euromobil dei fratelli Lucchetta. Erano quattro fratelli, tutti si dissero entusiasti all’idea, così nel 1984 partimmo con i dilettanti, presentando quella maglia con verde sopra e strisce bianco-rosse sotto che è rimasta fino all’ultimo».
La sala del ristorante Fior, dove sono passati tutti i grandi nomi del ciclismo italiano degli ultimi 40 anniLa sala del ristorante Fior, dove sono passati tutti i grandi nomi del ciclismo italiano degli ultimi 40 anni
Si parte e subito si scala il mondo…
Sin dall’inizio la squadra si distingue nel calendario italiano, ma soprattutto si dimostra una splendida palestra per nuovi talenti. Già nella sua formazione iniziale, composta da 8 ciclisti, ci sono nomi che si costruiranno una carriera di primo piano anche fra i professionisti, come Gianni Faresin e Flavio Vanzella. L’anno dopo la rosa sale a 10 e fra i nuovi spunta un ragazzo trentino che avrà una carriera molto fortunata: Maurizio Fondriest. I successi di quest’ultimo, a cominciare dal titolo mondiale del 1988, calamitano sul team l’attenzione generale.
«Il mio rammarico è che non sono riuscito a seguire quegli anni come avrei voluto – afferma Fior – ai mondiali c’ero, qualche gara la seguivo, ma nel complesso gli impegni di lavoro mi tenevano lontano dalle corse e dai ragazzi. Cercavo di esserci quando avevo spazio. Quelli sono stati anni magici: la vittoria di Mirco Gualdi al mondiale su strada del ’90 ci consentiva di avere nelle nostre fila il campione iridato con la maglia Zalf. Due anni dopo lo stesso fece Daniele Pontoni nel ciclocross. Intanto nel 1991 era arrivato l’ex pro’ Luciano Rui come diesse a dare una nuova impostazione al team».
La prima grande gioia internazionale per Fior: la vittoria di Maurizio Fondriest al mondiale di Renaix, era il 1988La prima grande gioia internazionale per Fior: la vittoria di Maurizio Fondriest al mondiale di Renaix, era il 1988
La squadra, la casa: una famiglia
Nel ripensare a quegli anni, Egidio si scioglie un po’: «Per me sono stati anni speciali non solo per i risultati. Eravamo diventati una famiglia. Avevamo comprato una casetta a una cinquantina di metri dal ristorante e i ragazzi del team erano sempre qui a mangiare. Noi eravamo un po’ i “surrogati dei genitori”, soprattutto per quelli che erano lontani da casa, per gli stranieri che cominciavano a entrare nel team. Con quei ragazzi si è formato un rapporto che è andato avanti negli anni. Gualdi viene ancora a trovarci, Fondriest e Pontoni sono rimasti in contatto. Significa che avevamo seminato bene».
Quella formula è rimasta valida negli anni e dalle parti della Zalf è passato un po’ tutto il gotha del ciclismo italiano: Salvato, Figueras, Cunego, Salvoldelli, Basso, Scarponi ma l’elenco sarebbe davvero troppo lungo e lo stesso Fior c’interrompe: «Volete sapere quanta gente attraverso di noi è passata professionista? 180 ragazzi. Abbiamo vinto in tutto 8 titoli mondiali e 35 italiani, abbiamo avuto stagioni dove superavamo le 40 vittorie stagionali, roba da UAE, nel 2013 sono state addirittura 59».
Battistella, Dainese e Zurlo, tre dei tantissimi ragazzi proiettatisi verso l’attività pro’ (Photors)Dainese e Zurlo, due dei tantissimi ragazzi proiettatisi verso l’attività pro’ (Photors)
Il ricordo delle parole di Lanfranchi
Tra tante vittorie difficile trovare quella che l’ha più esaltato, il momento più bello, ma anche in questo caso Egidio ci spiazza: «Un giorno, al Giro d’Italia, eravamo a Jesolo. Paolo Lanfranchi venne intervistato da Adriano De Zan, io ero al suo fianco e Paolo mi lasciò senza fiato: “Vedete questo signore? Devo dire grazie a lui se sono qui, perché se non ci fosse stato Egidio a credere in me, nelle mie possibilità, a quest’ora ero un bravo operaio e guardavo il Giro in tv. Invece mi sto costruendo una vita”. Non c’è vittoria che tenga di fronte a quello che è un successo di vita».
Parlavamo prima di stranieri: «Ne sono passati non pochi, ricordo ad esempio Arvesen, che vinse un mondiale e ora è un affermato diesse del WorldTour, oppure gli sloveni Pavlic e Cerin, quest’ultimo diventato procuratore di ciclisti. Tutti hanno ancora un bel ricordo degli anni trascorsi da noi».
L’ultima vittoria della Zalf sulle strade del mondo, con Zamperini al GP Kranj 2023 (Photors)L’ultima vittoria della Zalf sulle strade del mondo, con Zamperini al GP Kranj 2023 (Photors)
Il disagio e lo stop
Poi, come tutte le belle storie, arrivano le ultime pagine, fino alla parola “fine”: «Non abbiamo mollato per ragioni economiche. Dopo 43 anni la Euromobil ha deciso di dire basta, di fare altre scelte. Fare l’attività continental costa tanto e ti restituisce molto poco. Ripeto, non sono le ragioni economiche che ci hanno spinto a mollare, è più una sorta di disagio, di inadeguatezza a un ciclismo che è profondamente cambiato e che per vecchie menti come le nostre è ormai troppo lontano.
«A me piaceva di più il sistema di prima: facevi la tua attività da dilettante, se avevi i valori giusti passavi, a qualsiasi età. Ora va tutto di fretta, tutti vogliono andare subito nel WorldTour, non so dove si finirà perché i campioni di oggi mi sembra che brucino tutto troppo presto. A un certo punto ho capito: ho 78 anni, il mio contributo l’ho dato, ora è tempo che ci pensino gli altri. A me restano i ricordi e l’affetto della gente».
CASTELRAIMONDO – Continuava a voltarsi indietro. Silenzioso. Uno sguardo al cronometro, un sorso della bevanda per il recupero, un altro sguardo al cronometro. Silenzio. «Quanto avevo di distacco, ditemelo». Ancora silenzio. Poi un urlo… Forte, di gioia. Diego Ulissi è la nuova maglia rosa del Giro d’Italia.
La tappa va a Luke Plapp, cronoman che, appena rimasto da solo, si è capito subito che non lo avrebbero più ripreso. Secondo Andrea Vendrame, uno dei protagonisti della fuga, Plapp è stato bravissimo: «Si vedeva nettamente che era quello che ne aveva di più. E’ andato forte, forte per davvero. Io ci ho provato. Ho dato una mano a Fortunato, che è un grande amico, per i punti della maglia. Spero mi ricambierà».
Ulissi si volta verso l’arrivo in attesa del verdetto. Rosa sì, rosa no. Non parla…Poi l’urlo. Una gioia potente«La maglia rosa è un sogno che si realizza», ha detto il toscanoUlissi si volta verso l’arrivo in attesa del verdetto. Rosa sì, rosa no. Non parla…Poi l’urlo. Una gioia potente«La maglia rosa è un sogno che si realizza», ha detto il toscano
Plapp, De Marchi, il destino…
Certo, la maglia rosa sulle spalle di un italiano mancava da quattro Giri e quasi 90 tappe. L’ultimo a portarla è stato Alessandro De Marchi, compagno di squadra proprio di Plapp alla Jayco-AlUla. Magari con la sua azione l’australiano ha costretto gli altri a tirare forte e ha aiutato, indirettamente, Ulissi a prenderla. Chissà. Ci piace pensare che ci sia un piccolo zampino anche di De Marchi, che qui al Giro non c’è: tagliato fuori dalla squadra all’ultimo minuto.
«Questa mattina – racconta Plapp – l’obiettivo era andare in fuga e pensavo potesse essere una tappa perfetta per me. Dopo la caduta nella crono di Tirana ho faticato un po’, mi fa ancora male il polso, ma la squadra ha sempre creduto in me. Nel finale ho avuto crampi alla gamba sinistra ma ho deciso di spingere. Questa vittoria la voglio dedicare a tutti. Per me è importante vincere con questo team: volevo portare in giro la cultura australiana nel mondo. Era il team che desideravo sin da bambino».
«De Marchi? E’ stato con noi l’anno scorso qui al Giro ed è stato bello viverlo con lui. E’ un corridore di grande esperienza. Ho saputo che non avrebbe fatto il Giro quando lo avete saputo voi. Che dire? Avrà la possibilità di essere al Tour o alla Vuelta. Spero di tornare a correre presto con lui».
Luke Plapp si prende Castelraimondo dopo un assolo di 45 kmLuke Plapp si prende Castelraimondo dopo un assolo di 45 km
E’ festa XDS
La festa esplode nel clan della XDS-Astana. Sappiamo le difficoltà che stanno attraversando: i punteggi, la rivoluzione in corso all’interno del team. E questa maglia rosa è un premio per tutti. E’ stato bellissimo, per esempio, vedere come Lorenzo Fortunato, appena arrivato al traguardo, sia subito andato da Ulissi per chiedergli se l’avesse presa.
Un grande abbraccio glielo ha dato anche Fausto Masnada. «E’ stata una tappa molto difficile – racconta Masnada con un sorriso largo – Strano a dirsi, ma questa mattina sul bus, durante la riunione, avevamo deciso che Fortunato e Ulissi dovevano entrare nella fuga e tutti abbiamo lavorato perché ci riuscissero. E credetemi, non è stato affatto facile, perché per due ore siamo andati a velocità folli. Però una volta entrati nella fuga abbiamo capito che poteva essere la loro, la nostra, giornata».
«Dietro non si capiva bene cosa volesse fare la Red Bull-Bora, se tenere la maglia o no. Anche perché essendo una fuga composta da corridori molto forti, era difficile da controllare. Alla fine però possiamo dire che questa sera si festeggerà la maglia rosa… Quando ho saputo che l’aveva presa? Proprio sull’arrivo, a cento metri per la precisione. Io passo e lo speaker annuncia la maglia di Diego!».
Anche oggi paesaggi stupendi lungo la dorsale appenninicaNel finale Bahrain e UAE hanno aumentato il ritmo e Ayuso ha strappato un secondo a RoglicUlissi in corsa ha pensato solo ad andare a tutta nel finale. Ha preso la maglia per 12″ su Fortunato e 17″ su RoglicAnche oggi paesaggi stupendi lungo la dorsale appenninicaNel finale Bahrain e UAE hanno aumentato il ritmo e Ayuso ha strappato un secondo a RoglicUlissi in corsa ha pensato solo ad andare a tutta nel finale. Ha preso la maglia per 12″ su Fortunato e 17″ su Roglic
Ulissi in rosa
Finalmente Diego Ulissi arriva in conferenza stampa. E’ davvero sereno, soddisfatto, orgoglioso… e anche un filo emozionato. Con la XDS-Astana è venuto per fare “casino”, per provarci come ha sempre fatto. Perché otto tappe al Giro non le vinci così, specie se non sei uno sprinter… con tutto il rispetto per i velocisti.
«Oggi – inizia a raccontare Ulissi, riallacciandosi senza saperlo alle parole di Masnada – poteva essere proprio il giorno giusto per fare qualcosa di buono. Tutti i compagni hanno fatto un grande lavoro per far sì che io e Lorenzo fossimo presenti nella fuga. Riguardo alla tappa bisogna solo dire che Plapp è stato superiore. Ma io sono contento di come sono andato. Il percorso era esigente e sono rimasto con i migliori. Francamente non avevo idea dei vantaggi, la radio non funzionava bene e mi dicevano di andare a tutta. Sapevo che stavo lottando sui secondi. Poi – e Ulissi sorride – la gente a bordo strada ha iniziato a urlarmi che mi stavo giocando la maglia. E’ stato incredibile».
Ma cosa vuol dire la maglia rosa per un corridore, specie per un italiano? Tanto, forse tutto. «Forse la radio non funzionava bene davvero. E sì, sono esperto, ma credo che alla fine non mi dicessero più i distacchi per non destabilizzarmi, per non deconcentrarmi. Magari inizi a farti dei pensieri… Non so, ma credo sia stata la scelta giusta da parte dell’ammiraglia».
«Non sono uno che si fa prendere dai sentimenti spesso, però quando ho visto la maglia rosa con la scritta XDS-Astana mi sono emozionato. A 36 anni ripercorri tutta la tua carriera. Mi sono levato belle soddisfazioni. Ho superato momenti difficili. Ho pensato alla mia famiglia. In questi 16 anni ho costruito una bellissima famiglia con tre bambine. E ancora i miei genitori, i miei nonni, tutti i sacrifici che hanno fatto fin da quando ero piccolino, per portarmi alle corse… Sì, mi sono emozionato pensando a loro».
L’incontro fugace nel dietro le quinte. Un cinque, un sorriso e una bottigliona!L’incontro fugace neldietro le quinte. Un cinque, un sorriso e una bottigliona!
Tante gioie e un sassolino
Questa maglia rosa è un premio alla carriera, dunque. Ulissi mancava al Giro d’Italia da due anni. La UAE Team Emirates non lo aveva convocato nel 2024: altre tattiche, altri obiettivi. Conquistarla a 36 anni non è cosa da poco, specie in questo ciclismo sempre più estremo, in cui l’età dei vincenti si è decisamente abbassata.
«Con l’età non è facile rimanere a grandi livelli – spiega il toscano – ma ho grandi motivazioni. Ho anche cambiato squadra per questo: per cercare di vivere giornate come questa. In UAE in questi anni hanno fatto altre scelte, come mandarmi in Ungheria a caccia di punti in concomitanza della corsa rosa, ma credo che dopo tanti anni in quel gruppo, praticamente tutti quelli della mia carriera, e con quello che avevo fatto, correre e vincere un Giro d’Italia al fianco di Tadej me lo sarei meritato. E l’anno scorso per me è stata una stagione importante, nel senso che non sono andato piano. Ho fatto moltissimi punti e ho chiuso tra i primi venti al mondo».
La conferenza termina ed Ulissi si alza e se ne va. Altre procedure post arrivo lo attendono. A un certo punto spunta da dietro una transenna. Lui in rosa, l’addetto stampa Yuri Belezeko con una bottiglia di spumante…
«Domani? Con la maglia rosa sulle spalle bisogna dare tutto. Certo, sarà una tappa particolare e complicata e servirà anche un po’ di fortuna. Ma lotterò. E poi arrivare in Toscana in rosa… Intanto penso a dormire bene stanotte!». Cosa che forse non sarà così facile… per fortuna.
Stefano Garzelli sarà il commentatore tecnico della RAI accanto a Pancani. Una rarità il commento di chi il Giro l'ha vinto. Allora iniziamo a parlarne
Elemento è l’ultimo nato in casa Kask e l’impatto estetico (marchio di fabbrica Kask), pur facilmente accostabile al Protone, dice molto di questo prodotto che non conosce limiti di utilizzo. Insieme al modello Nirvana è il riferimento per i corridori del Team Ineos (al netto del casco specifico per le crono).
E’ aerodinamico perché è efficiente, ma più di ogni altro Elemento rende funzionale l’aerodinamica al concetto di ventilazione e comfort termico. Sotto il profilo del fitting e dell’aerazione interna raggiunge livelli top. Ecco le nostre considerazioni.
Bernal al Giro con il “suo” Elemento personalizzatoBernal al Giro con il “suo” Elemento personalizzato
Come è fatto Kask Elemento
La prima cosa da raccontare, uno dei punti chiave di Kask Elemento, sono gli inserti Fluid Carbon 12, inseriti in punti diversi. Fluid Carbon 12 è un tecno-polimero composito che assorbe e distribuisce energia in modo maggiore, rispetto ai materiali tradizionali. Grazie a questo, Elemento risulta molto scaricato in tutta la sezione interna, leggero e con canali interni di ventilazione davvero grandi, profondi e senza ostacoli. L’aria passa internamente in modo abbondante (e si sente) anche quando la velocità non è elevata. I punti di appoggio sulla testa sono solo quelli necessari alla stabilità e alla sicurezza. A nostro parere una bella espressione di tecnica, di studio e di connessione tra materiali diversi tra loro.
Poi ci sono le imbottiture, diverse dal solito. Quelle frontali, poste al di sotto delle due bocche, sono rifinite in lana Merino, mentre quelle superiori sono chiamate Multipod. Oltre ad assolvere alla funzione di imbottitura vera e propria, il materiale isotropo (flette e si comprime in modo uguale in tutte le direzioni) aumenta e implementa in concetto WG11 di Kask ed è importantissimo nella fase (eventuale) di distribuzione delle forze generate in caso di impatto. Il disegno a celle non trattiene il calore e lascia passare l’aria, azzera l’accumulo di umidità e vapore. Il sistema di chiusura, ben fatto, permette di regolare anche la taglia.
Molto scaricato ed alleggerito internamente270 grammi rilevati nella taglia M (52-58), valore davvero contenutoLe imbottiture MultipodLe imbottituri frontali sono rifinite in lana MerinoL’inserto Fluid Carbon 12 posteriore/superiore è quello più grandeC’è quello lateraleEd i più piccoli anterioriMolto scaricato ed alleggerito internamente270 grammi rilevati nella taglia M (52-58), valore davvero contenutoLe imbottiture MultipodLe imbottituri frontalei sono rifinite in lana MerinoL’inserto Fluid Carbon 12 posteriore/superiore è quello più grandeC’è quello lateraleEd i più piccoli anteriori
Il sistema di ritenzione
E’ composto dalla gabbia posteriore, regolabile (abbondantemente) in altezza, mentre i due pentagoni laterali sono fissi. Il rotore micrometrico è Kask e agisce sul filler perimetrale ancorato a destra e alla sinistra nelle zone delle ossa sfenoidi. Il modo in cui si innesta nel casco offre dei vantaggi non da poco. Il punto di ancoraggio è situato in una svasatura, in modo da ottimizzare la distribuzione delle forze ed è protetto dall’imbottitura frontale.
Il materiale plastico non è a contatto con la pelle. Lo stesso disegno del filler, quasi irregolare e scaricato è un altro punto a favore del comfort. Le fibbie laterali, in particolare nel punto di snodo, non sono completamente piatte, ma mostrano un comfort di buon livello e si adattano bene alla forma del viso.
Abbondante la regolazione in altezzaUn altro vantaggio della regolazione arriva dal filler perimetraleC’è un piccolo passante in materiale plastico, quasi impercettibileGli occhiali perfettamente innestati anche nella sezione posterioreLe aste inserite nelle feritoie frontali/mediane non si muovonoAbbondante la regolazione in altezzaUn altro vantaggio della regolazione arriva dal filler perimetraleC’è un piccolo passante in materiale plastico, quasi impercettibileGli occhiali perfettamente innestati anche nella sezione posterioreLe aste inserite nelle feritoie frontali/mediane non si muovono
Sembra il Protone, ma non lo è
A nostro parere è più comodo, anche se il concetto di fitting Kask (superlativo sotto molti punti di vista) non è stato stravolto. Elemento è più fresco e ventilato, più leggero ed impercettibile anche quando la temperatura esterna sale in maniera importante. Non comprime nessuna delle zone più delicate della testa, soprattutto quella sfenoide e occipitale. Il design è gratificante, perché è rotondo, ma non è una palla, è compatto, ma completa l’immagine del ciclista (oggi non è un fattore secondario), con o senza occhiali. Inoltre, soprattutto nella sezione anteriore, sulla linea orizzontale non sporge e non crea fastidi.
Non abbiamo riscontrato particolari difficoltà nel posizionare gli occhiali, davanti e nelle feritoie posteriori, anche se il Kask Elemento non prevede degli inserti grippanti. Le aste, una volta inserite beneficiano di canali profondi che, da un lato bloccano, dall’altro fanno sì che non interferiscano con la testa.
Aggressivo e moderno nelle formeCasco molto compatto, tipico di KaskAsciutto, rotondo, gratificanteAggressivo e moderno nelle formeCasco molto compatto, tipico di KaskAsciutto, rotondo, gratificante
In conclusione
Un gran bel prodotto, un casco al quale non manca nulla e tecnicamente è un passo avanti agli altri. Kask Elemento è pienamente gratificante sotto il profilo dell’estetica, sostanzioso per quello che concerne tecnica e tecnologie integrate, super comodo. Con tutta probabilità un utente “normale” (non un ciclista professionista) non riesce a quantificare i reali benefici dell’aerodinamica, mentre è più semplice per tutti tramutare la stessa aerodinamica in efficienza relativa al comfort termico. In questo caso si è fatto bingo.
Si tratta di un casco che ha un prezzo di listino elevato, 375 euro sono tanti soldi. E’ vero, Elemento è 100% Made in Italy. Utilizza delle soluzioni tecniche e materiali che fanno scuola e verranno mutuati da altri in futuro, è un casco della fascia premium, un accessorio d’elite e la sicurezza non ha prezzo. Una cifra del genere fa entrare un casco da bici in una categoria lusso, accessibile a pochi, o per lo meno un aspetto che diventa un freno per molti ciclisti italiani.
Mathieu Van der Poel è pronto a tornare nella MTB. Sebbene con una settimana di ritardo rispetto a quanto dichiarato, il formidabile atleta della Alpecin-Deceuninck di fatto dà il via all’operazione “terzo mondiale”.Dopo quelli su strada e nel ciclocross, l’olandese vuole coronare questo sogno, questa sfida.
Van der Poel si sta allenando al sole della Spagna per questo rientro in mountain bike, che appunto doveva avvenire in Germania ma poi è stato spostato a Nove Mesto (nella foto di apertura di Andreas Dobslaff-Vojo), classicissima della Coppa del mondo prevista per il 25 maggio.
Ora un assaggio per rompere il ghiaccio, magari per fare il punto sulla situazione tecnica, e poi dopo il Tour de France, dare il vero e proprio assalto all’impresa iridata.
Del suo ritorno e del suo percorso di avvicinamento, a dire il vero piuttosto riservato (VdP non pubblica più neanche su Strava), ne parliamo con colui che resta il faro della mountain bike italiana, Marco Aurelio Fontana.
Per oltre dieci anni Marco Aurelio Fontana (classe 1984) è stato il miglior biker italiano. Vanta un bronzo olimpico e uno iridatoPer oltre dieci anni Marco Aurelio Fontana (classe 1984) è stato il miglior biker italiano. Vanta un bronzo olimpico e uno iridato
Allora Marco, VdP è pronto a tornare. Sono due anni che non prende parte a una gara di mountain bike. E sappiamo che c’è un’evoluzione tecnica continua. Cosa troverà di diverso? Quanto troverà di diverso?
Troverà un mix diverso di personaggi e di percorsi. Ho visto che stanno lavorando e quindi anche sul percorso ci saranno novità. Troverà diverso il modo in cui corrono i biker oggi, che magari è un modo che a lui piacerà di più o di meno. Però, secondo me, e l’abbiamo visto dalle prime due prove di Coppa: c’è un modo di correre nuovo, più “astratto”, più altalenante. Si lima tanto, c’è un po’ di gioco di squadra, dinamiche che lui ha già visto e vissuto nel ciclocross e su strada.
In teoria è un micro vantaggio questo per lui?
Sì, però qualche cambiamento lo troverà rispetto alle sue ultime apparizioni e quindi sarà bello vedere come si adatterà subito oppure se ci metterà un po’ di tempo.
Marco, Van der Poel appartiene alla categoria “Dei in bici”, però quale potrà essere per lui un vantaggio e uno svantaggio? Pensando anche alla sua attitudine al cross e alla strada…
Il vantaggio è quel grande motore che ha e quelle ore e quella forza che ti dà la strada. Lo svantaggio sicuramente lo avrà se non userà abbastanza la mountain bike perché, come ha già dimostrato, è sicuramente una delle divinità del ciclismo, ma la MTB è un po’ il suo “tallone d’Achille”. Nella guida non è scioltissimo. In qualche occasione ha mostrato piccole incertezze. Quindi deve acquisire quella fluidità che solo l’uso della mtb gli può dare.
Il ruzzolone di VdP ai Giochi di Tokyo. Secondo Fontana l’olandese deve usare molto di più questa biciIl ruzzolone di VdP ai Giochi di Tokyo. Secondo Fontana l’olandese deve usare molto di più questa bici
Perché?
Perché il tallone ce l’ha lì: è caduto poco dopo il via ai mondiali di Glasgow e anche a Tokyo, alle Olimpiadi, è andato giù su un ponte che al netto di tutto non era impossibile. Quindi penso che si preparerà a dovere con la mtb per essere pronto quest’anno, soprattutto per il mondiale. Mentre ci ha fatto vedere ancora una volta di essere incredibile sul pavé, di avere una guida con la bici da strada che è allucinante. Veramente incredibile. Però sulla mountain bike l’avevamo visto in leggera difficoltà già due anni fa, almeno rispetto ad alcuni piloti. Oggi si ritroverà dei biker ancora più stilosi, ancora più veloci, ancora più determinati.
Chiaro…
Poi è anche vero che se dal ciclocross si porta il ritmo e dalla strada una forza e un chilometraggio che nessuno di quelli che corrono in MTB ha, resta un grande atleta anche in questa disciplina. Però ecco, io l’unico punto di domanda lo vedo legato al fatto che deve usare di più la MTB.
Ed è oggettivamente difficile sapere quanto la usa… Però sappiamo che Canyon ha stretto una forte collaborazione con lui.
Sì, vedremo. Ma è chiaro che anche un gigante come lui deve affinare una guida che richiede sempre di più abilità tecniche.
Doveva correre in un cross country in Germania ma poi ha cambiato idea…
In Germania avrebbe trovato una salita molto lunga, dove si poteva distendere. La discesa, specie se asciutta, non è niente di che. Se fosse stata bagnata sarebbe stata un po’ più complicata, però in realtà il problema di Van der Poel non è sul bagnato. Il problema è il tipo di tecnicità del percorso e la sua modernità. Diciamo che il percorso del “Bike the Rock” di Heubach gli sarebbe stato ideale per prendere un po’ di feeling.
Sulla bici da strada invece, sempre secondo l’occhio esperto di Fontana, Van der Poel è un fuoriclasse assolutoSulla bici da strada invece, sempre secondo l’occhio esperto di Fontana, Van der Poel è un fuoriclasse assoluto
E Nove Mesto invece che percorso troverà?
Nove Mesto la conosce bene anche lui, anche se ci sono stati dei cambiamenti. Di buono c’è che su quel tracciato, anche se parti dietro e hai gamba, chiaramente puoi recuperare. Ci sono tratti molto larghi per risalire. Nove Mesto da sempre è una gara in cui, se hai un tempo sul giro basso, puoi essere al quarantesimo il primo giro, ma arrivare nei primi cinque.
E sul mitico rock garden nel bosco, con le radici?
E’ sempre bellissimo, moderno, ma è sempre lo stesso, quindi diventa un po’ mono-traiettoria. Mi aspetto qualche cambiamento del percorso, ci saranno novità per tutti, ma Mathieu dovrà essere pronto a vedere gente che gli volerà ai lati! In generale però fatemi dire che fa comunque piacere vedere un campione del suo calibro tornare nella MTB.
Van Aert sta intensificando la corsa a piedi, segno che il ritorno nel cross è un obiettivo e non è neppure così lontano. E a questo punto cosa farà VdP?
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Grazie alle prestazioni ottenute alla Course de la Paix, soprattutto da Agostinacchio, Capello e Magagnotti, l’Italia è al comando della Nations Cup juniores maschile. E’ un risultato che per molti versi sorprende, considerando che lo stesso cittì Salvoldi, nel commentare le ottime prestazioni italiane in terra boema non ha mancato di ricordare come la tradizione italiana nel ciclismo giovanile voglia che in primavera ci sia un normale gap con le altre nazioni, dettato soprattutto dagli impegni scolastici. Eravamo abituati a vedere un’altra Italia da luglio in poi, ma anche le tradizioni più radicate sono destinate ad aggiornarsi, a quanto pare.
Il podio della prima tappa dove l’olandese Schonvelde ha vanificato il lavoro degli azzurriIl podio della prima tappa dove l’olandese Schonvelde ha vanificato il lavoro degli azzurri
Due azzurri, due obiettivi
Alla Corsa della Pace tutti gli azzurri sono stati protagonisti, ma, dopo aver sottolineato i risultati e soprattutto la presenza come uomo-squadra dell’iridato di ciclocross Mattia Agostinacchio, l’accento va posto su due corridori, Alessio Magagnotti e Roberto Capello. Perché hanno avuto un rendimento elevatissimo dedicandosi a due obiettivi ben diversi: il primo ha puntato ai successi di tappa e alla conseguente classifica a punti, Capello da parte sua si è ritrovato a battagliare per la classifica generale, portando a casa un podio che vale oro e che ha inorgoglito anche il suo team, la Grenke Auto Eder che aveva creduto in lui sorprendendo con il suo ingaggio molti addetti ai lavori.
Partiamo da Magagnotti, che con i risultati portati a casa mette pace in una prima parte di stagione iniziata con qualche patema: «La prima parte di stagione era andata maluccio, troppa sfortuna e appuntamenti mancati con la vittoria. Avevo perso un po’ di autostima, non capivo perché non riuscissi a tradurre in risultati la mia condizione, le mie aspettative. Poi è arrivata la prima vittoria al Memorial Vangi, ma il cambio di rotta l’ho vissuto al Trofeo Emozione, dove sono riuscito a vincere pur avendo bei problemi con l’allergia. Lì è cambiato un po’ tutto».
La vittoria di Magagnotti nella semitappa del secondo giorno, favorita da Agostinacchio (3°)La vittoria di Magagnotti nella semitappa del secondo giorno, favorita da Agostinacchio (3°)
Quella in terra boema era la tua prima uscita all’estero in questa stagione, ti aspettavi un bottino così ricco?
Diciamo che non sapevo quale poteva essere il mio reale valore, ma in ogni tappa sono partito con l’obiettivo della vittoria. Il podio nella prima tappa è servito molto, nella semitappa del secondo giorno mi sono accorto che qualcosa era cambiato dal punto di vista mentale, mi sentivo abbastanza sicuro, ma al di là dei risultati, quel che mi porto dietro dalla Boemia è il fatto che sono riuscito a rimanere sempre con i migliori, anche nella tappa più dura.
Un aspetto dei risultati che merita un approfondimento è il fatto che in tutte le volate sei arrivato tra i primi come anche Agostinacchio: facevate sprint diversi?
Il primo giorno sì, avevamo avuto disposizione di fare io la volata con la squadra a farmi da treno e Mattia a fare lo sprint isolato. Purtroppo ci è sfuggito l’olandese Schoonvelde così abbiamo chiuso secondo lui e terzo io. Ma si vedeva che andavamo forte. Il secondo giorno invece Mattia mi ha tirato lo sprint fino ai 600 metri ed è stato importante per poter poi lanciare la volata, la vittoria è anche merito suo. Nella tappa più dura siamo rimasti insieme, l’ultimo giorno lui ha vinto la volata del gruppo, io ero con quelli in fuga, ma ero davvero in debito di energie, ho fatto lo sprint ma non ne avevo per vincere e ho chiuso secondo.
Il trentino in maglia bianca. Magagnotti ha già trovato un accordo con un devo team per il 2026Il trentino in maglia bianca. Magagnotti ha già trovato un accordo con un devo team per il 2026
In attesa di poter ufficializzare la squadra per il prossimo anno si sa già che è un devo team del WorldTour. Avere la strada già spianata in questo periodo della stagione è un aiuto dal punto di vista psicologico?
Fino a un certo punto. So che avrò un futuro in un grande team, ma ci penserò al momento opportuno, per ora conta il fatto che corro per l’Autozai Contri e voglio onorare questa maglia fino all’ultimo giorno ottenendo quante più vittorie possibile. La mia fame di vittorie non si è minimamente placata dopo l’accordo per il 2026, vado avanti giorno per giorno.
Un po’ ti penalizza il fatto che i percorsi delle gare titolate sono per scalatori puri, ti senti tagliato fuori?
L’europeo so che non si adatta a me, per il mondiale però un pensierino lo faccio ancora, voglio vedere bene com’è il percorso per capire se e cosa posso fare. Poi c’è sempre la pista, sulla quale ora voglio concentrarmi anche perché mi piacerebbe essere chiamato ancora a far parte del quartetto. Insomma, di carne al fuoco ce n’è tanta…
Il podio finale della Course de la Paix, vinta da Jackowiak (POL) con 2″ su Herzog (ER) e 10″ su CapelloIl podio finale della Course de la Paix, vinta da Jackowiak (POL) con 2″ su Herzog (ER) e 10″ su Capello
Un podio arrivato a sorpresa
Mentre Magagnotti e Agostinacchio lottavano per le tappe, c’era però Roberto Capello che guardava alla classifica e il suo podio è forse l’esito più sorprendente della corsa a tappe in terra ceka: «Sinceramente il podio non me l’aspettavo, anche se precedentemente, al GP West Bohemia avevo chiuso al 6° posto, ma era una corsa diversa e soprattutto con una partecipazione di livello molto differente. La cosa che mi ha stupito è stato il mio rendimento a cronometro: non ne avevo mai fatte eppure ho chiuso in Top 10. Nella tappa regina mi sono difeso attaccando, ho provato un paio di volte ad andar via e alla fine ho chiuso 6°. Alla fine il terzo posto è un grande traguardo».
Scaturito anche senza cercarlo troppo…
La squadra era giustamente più improntata sulla caccia alle tappe, ma io ho visto che tenevo e la classifica si metteva sempre meglio. Così man mano il team mi ha aiutato, soprattutto nella penultima tappa e in quella finale avevamo anche pensato a cercare il colpo a sensazione, ma non ci siamo riusciti.
Capello con il team Grenke Auto Eder. L’esperienza internazionale sta già portando i suoi fruttiCapello con il team Grenke Auto Eder. L’esperienza internazionale sta già portando i suoi frutti
Con i compagni di squadra ti conoscevi?
Sì, tranne Agostinacchio. Con gli altri ci troviamo spesso alle gare, succedeva così sin da quand’eravamo allievi quindi anche militando in squadre diverse ci si ritrovava spesso a parlare. Si è formato un bel gruppo, io credo che sia stato il primo ingrediente per i risultati che abbiamo portato a casa perché eravamo molto amalgamati.
Quanto influisce il militare nel team inserito nella filiera Red Bull, quanto ti ha cambiato finora?
E’ un aspetto fondamentale perché si lavora tantissimo sulla fiducia reciproca. Sai che se un giorno lavori per far vincere un compagno, poi verrà il momento che ricambierà e correrà per farti vincere. Questo clima si è ricreato in nazionale, con corridori con i quali normalmente si è in competizione e questo credo sia molto importante. Nel team internazionale sono già cresciuto molto, sia a livello tecnico che tattico, ma i bilanci si fanno a fine stagione. Io ora aspetto la prima vittoria, sto lavorando per quello.
Per Capello (numero 60) ora sono in programma prove italiane da affrontare senza il supporto del teamPer Capello (numero 60) ora sono in programma prove italiane da affrontare senza il supporto del team
Che cosa stai imparando in particolare?
C’è una mentalità diversa, per la quale si corre sempre per vincere, non importa come sia il percorso e chi ci sia come avversario. Questo mi fa capire come sia stata la scelta giusta. Ora mi aspettano un po’ di gare in Italia dove sarò solo, ma questo non mi pesa, perché è qualcosa che ho già fatto in passato e so come muovermi, come sfruttare il lavoro degli altri team. E’ chiaro però che quando ci sono i miei compagni di squadra, è molto meglio…
Bilancio sontuoso per gli azzurri ai mondiali juniores di Apeldoorn. Tredici medaglie (sei ori) in un settore che funziona bene. Un modello da esportare
TAGLIACOZZO – Ad eccezione di Ayuso e Del Toro, abbastanza giovani e sfrontati da minacciare le certezze dei più grandi, fra i primi otto della tappa di ieri ci sono i corridori più titolati di questo Giro d’Italia. Gli altri sono appena più indietro, ma la classifica ora ha finalmente una forma. Damiano Caruso e i suoi 37 anni sono la voce più autorevole del primo gruppo. Ancora una volta il siciliano ha tagliato il traguardo accanto ad Antonio Tiberi. Franco Pellizotti dice che non lo vedeva da un pezzo così in forma e Damiano e le sue prestazioni gli danno ogni giorno ragione.
Con Tiberi quarto a 27 secondi da Roglic, Caruso viaggia in undicesima posizione e mantiene lo sguardo fisso su ciò che gli accade intorno, a metà tra il fratello maggiore e l’angelo custode. «E’ andata anche bene – dice – per essere un arrivo così esplosivo. Per quanto mi riguarda sono super soddisfatto sia della prestazione della squadra, della mia e anche per quella di Antonio. Non è una sorpresa, sta facendo quello che ha promesso. Ma di Roglic non mi fido, lui la sa lunga, nell’arco delle tre settimane può ancora dire molto…».
Il diesse Stangelj sa che Caruso, qui sui rulli, è l’uomo che può fare la differenza nel Giro di TiberiLa Bahrain Victorious verso Tagliacozzo in testa al gruppo ha fatto il primo forcingIl diesse Stangelj sa che Caruso, qui sui rulli, è l’uomo che può fare la differenza nel Giro di TiberiLa Bahrain Victorious verso Tagliacozzo in testa al gruppo ha fatto il primo forcing
Tiberi che cresce
La Bahrain Victorious ha preso in mano la corsa poco prima dell’ultimo bivio verso Marsia, la località sciistica ormai dismessa che ha ospitato il traguardo della settima tappa del Giro d’Italia.
«Siamo atleti che lavorano insieme da tanto – spiega Caruso – quindi è un gruppo affiatato. La squadra ci dà fiducia, quindi è giusto ricambiarla. Si vede anche da come corriamo, in gara non c’è bisogno nemmeno di parlare. Ci guardiamo e ognuno sa quello che deve fare e questo è gratificante. In questo quadro, Antonio sta crescendo nella personalità e in tutti gli aspetti, quindi il progetto va avanti. E alla fine è andata bene anche per me. Era un finale molto impegnativo, perché gli ultimi due chilometri erano abbastanza tosti. Tutta la tappa, specialmente la partenza, è stata corsa a ritmi veramente importanti. E’ venuta fuori una giornata impegnativa, ma anche soddisfacente per me, per la squadra e per il nostro leader, quindi oggi (ieri, ndr) andiamo a riposarci contenti».
Nonostante l’arrivo esplosivo, Tiberi ha risposto bene agli attacchi di Bernal e Ciccone. Poi tutti si sono arresi ad AyusoLa Bahrain Victorious è un gruppo ben affiatato. Pasqualon ieri verso l’arrivo, dopo aver lavorato nei primi chilometriNonostante l’arrivo esplosivo, Tiberi ha risposto bene agli attacchi di Bernal e Ciccone. Poi tutti si sono arresi ad AyusoLa Bahrain Victorious è un gruppo ben affiatato. Pasqualon ieri verso l’arrivo, dopo aver lavorato nei primi chilometri
Un livello altissimo
E’ mancato Roglic, dice Caruso. Ieri tutti lo aspettavano, invecePrimoz non ha risposto all’attacco di Ayuso e neppure ai precedenti di Ciccone e Bernal. Ha preferito o è stato costretto a starsene alla finestra e alla fine ha perso un’occasione.
«Siamo andati forte tutto il giorno – racconta – regolari e a tutta. L’accelerazione è una delle caratteristiche di Ayuso, lo scatto secco, più di quanto lo abbia Antonio. L’importante però è che ci sia stata una reazione da parte di entrambi. Sono felice di questo, perché ho risposto anch’io bene, nonostante i miei 37 anni. Se tutto va bene e uno ha voglia di correre e continuare a fare sacrifici, può ancora correre ad alti livelli. Però devono esserci questi presupposti, altrimenti non si va più avanti. C’è da dire che si va davvero forte. Si potrebbe pensare che non sia stato un grande arrivo, dato che non ha fatto differenze notevoli. L’arrivo invece era giusto, il fatto però è che tutti i corridori sono preparatissimi e il livello è così alto che certi giorni i percorsi non bastano più…».
Per Sciandri l'occasione mancata dell'anno è la tappa del Mottolino con Nairo Quintana. Se avesse spinto di più durante la fuga avrebbe preso il margine sufficiente per contrastare Pogacar?
TAGLIACOZZO – Se Roglic avesse avuto la stessa prontezza quando è scattato Ayuso, probabilmente oltre ad aver conquistato la maglia rosa, avrebbe vinto anche la tappa. Invece lo sloveno ha esitato, mentre è stato rapidissimo a lasciare la conferenza stampa quando l’interruzione di corrente ha fatto spegnere le luci. In montagna può capitare, lui si è alzato subito di scatto, ha lasciato la risposta a metà e si è precipitato giù dalla scaletta verso l’antidoping. Per certi versi c’è da capirlo. Dopo la discesa al piazzale dei pullman, li attendono due ore di viaggio fino alla costa adriatica, ma i modi lasciano a desiderare. Chiamiamola originalità.
Dopo l’arrivo di Ayuso, l’abbraccio col massaggiatore Paco: è la prima vittoria in un Grande GiroDopo l’arrivo di Ayuso, l’abbraccio col massaggiatore Paco: è la prima vittoria in un Grande Giro
La prima di Ayuso
Il primo arrivo in salita del Gironon ha fatto male come tradizione vorrebbe. Gli ultimi due chilometri della scalata finale che da Tagliacozzo conduce a Marsia erano i più ripidi, ma la sensazione è che non siano bastati per fare azioni di classifica. Fra quelli più attesi, soltanto Pidcock e Piganzoli hanno pagato più di quanto fosse lecito aspettarsi (rispettivamente 34″ e 38″). Fra i primi invece si è risolto tutto in una serie di provocazioni. Prima il forcing della Bahrain Victorious. Quindi i due attacchi violenti di Ciccone, poi rimasti nelle gambe. Quindi il forcing di Bernal e solo alla fine, con lo sforzo di 35-40 secondi che sapeva di avere nelle gambe, la rasoiata di Ayuso che ha lasciato tutti sul posto.
«Non è una semplice vittoria – dice lo spagnolo della UAE Emirates – è la mia prima vittoria in un Grande Giro, quindi è una di quelle che ricorderò per sempre. Ricordo la prima da professionista a Getxo e questa è la prima tappa in un Grande Giro, siate certi che la porterò sempre con me. Nel finale ho sempre seguito Roglic perché in questi arrivi lui è il più forte e vince praticamente sempre. Quando è iniziato l’attacco, non sapevo se stesse aspettando che partissi o stesse giocando. Ma quando la mia distanza è arrivata, ho attaccato e non mi sono fermato finché non è finita. Prima di muovermi ho lasciato che gli altri sprecassero un po’ di energia. Più o meno sono azioni che hai in mente, ma dipende sempre da come arrivi e dalle gambe. Mi sentivo bene. Sapevo di poter fare un attacco di circa 30-45 secondi, che più o meno è quello che ho fatto, forse un po’ di più. Era importante fare un attacco solo, anziché provare e poi voltarsi e poi rifarlo ancora. Un attacco solo e possibilmente vincente».
Si partiva in salita verso Roccaraso, Roglic e la Red Bull sui rulliDopo Tirana, un’altra rosa per Roglic, che però non sembra assillato dalla difesa a tutti i costiPellizzari ha tirato per tutto il giorno e nel finale ha ceduto 14 secondiSi partiva in salita verso Roccaraso, Roglic e la Red Bull sui rulliDopo Tirana, un’altra rosa per Roglic, che però non sembra assillato dalla difesa a tutti i costiPellizzari ha tirato per tutto il giorno e nel finale ha ceduto 14 secondi
La fuga di Roglic
Pizzicato al riguardo, Roglic ha giocato, ma probabilmente dietro il tanto sorridere e mostrarsi gioviale c’è stato qualche minuto di buco, che gli ha impedito di rispondere agli attacchi finali. Il leader della Red Bull-Bora ha perso ieri l’appoggio di Hindley, ma si ritrova accanto un Pellizzari solido e pimpante e starà a lui essere all’altezza del compito che lo attende. La maglia rosa è tornata dopo quella di Tirana, ma la sensazione è che neppure questa volta, Roglic si svenerà per difenderla.
«Non sono più così giovane – dice – i giovani invece si accendono subito. Io ho bisogno di un po’ di tempo per iniziare a carburare, ma me ne vado da questa salita con la maglia rosa. Ancora una volta lo ripeto: è un privilegio. Gli avversari sono sempre più vicini e non so quando me la porteranno via. So però che oggi la nostra squadra ha corso bene per tutto il giorno. Mi sto godendo la giornata, non si sa mai quanto durerà. Essere qui a lottare con i migliori è meraviglioso, anche se quando è partito l’attacco non ero nella posizione in cui dovevo essere. Forse ho dormito un po’».
A questo punto, approfittando dell’interruzione di corrente, la maglia rosa se ne è andata, covando forse il sottile fastidio per non essere riuscito a vincere sull’arrivo che lo chiamava da giorni e su cui non è andato oltre un pur lodevolissimo quarto posto, alle spalle di Ayuso, Del Toro e Bernal.
«Del Toro è un compagno di squadra e un amico – ha detto Ayuso dopo la vittoria – mi fido totalmente di lui»«Del Toro è un compagno di squadra e un amico – ha detto Ayuso dopo la vittoria – mi fido totalmente di lui»
L’attesa degli sterrati
Ayuso invece ha la calma serafica di chi vuole stringersi forte il momento e farne parte finché ci sarà luce. Risponde alle domande e non evita quelle scomode. Anche quando gli chiedono chi secondo lui vincerà il Giro. E poi lo spagnolo butta lo sguardo sulla tappa di Siena, la meno prevedibile.
«Siamo venuti con l’ambizione di vincere – dice – io per primo ho l’ambizione di vincere. Ma penso che la responsabilità e il peso della gara si vedranno sulla strada. Oggi è solo un primo passo, già domenica sugli sterrati ci sarà una tappa forse più temibile. Sarà sicuramente una delle più impegnative di questo Giro. Non avremo bisogno soltanto di buone gambe, di una buona posizione o di una squadra forte. Servirà anche la fortuna perché le forature possono rovinare l’intero Giro. Bastano una foratura o un brutto momento e mesi di lavoro andranno in fumo».
Le auto hanno iniziato la discesa. Prima le ammiraglie, poi quelle del Giro-E. La Polizia e lentamente tutti quelli che non vedono l’ora di tornare a valle e riprendere l’autostrada. Il livello del gruppo è così alto che nessuno degli uomini di classifica ha perso terreno. Sono saliti in gruppo, col paradosso che anche in salita ormai si sta bene a ruota. Non era un arrivo risolutivo, ma ha confermato che i migliori sono tutti lì. Ha ceduto Pidcock, inaspettatamente. Anche Piganzoli ha ceduto, ma non stava bene. Invece Fortunato, che ieri è caduto, oggi ha sofferto ma ha tenuto duro. Fra una schermaglia e l’altra, il vero Giro deve ancora cominciare.