A Magenta sbuca Lamperti: beffato Bruttomesso

13.06.2023
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MAGENTA – Il gruppo, visto da lontano, arriva sul traguardo come un’onda pronta ad infrangersi sugli scogli. Tutto si risolve in un batter d’occhio, in un colpo di reni. Attimi racchiusi nella mente di Luke Lamperti (in apertura foto LaPresse), il quale tagliata la linea bianca e non esulta. La sfida con Bruttomesso è stata così incerta da necessitare del fotofinish. Tutti i corridori fanno la stessa domanda: «Chi ha vinto?». 

Lamperti sul traguardo di Magenta ha anticipato Bruttomesso di mezza ruota (foto LaPresse)
Lamperti sul traguardo di Magenta ha anticipato Bruttomesso di mezza ruota (foto LaPresse)

La stoccata di Lamperti

Sul gradino più alto del podio, alla fine, sale Lamperti, l’americano che ha imparato a fare tutto con la bici: soprattutto a vincere. Il Giro Next Gen è arrivato a Magenta, città nella quale, nel mese di giugno del 1859, si combatté la famosa battaglia, da cui partì poi l’unificazione dell’Italia. Il fatto che la corsa rosa under 23 passi in questi territori ha un bel significato ed è giusto sottolinearlo. La battaglia di oggi l’ha vinta la Trinity Cycling, i corridori di Kennaugh hanno avuto il treno migliore

Lamperti in una recente intervista ci disse di non essere uno sprinter puro, invece oggi si è trovato a vincere la tappa più piatta del Giro Next Gen. 

«E’ vero – racconta nel caos post tappa – oggi era la classica frazione dedicata ai velocisti. La squadra ha giocato un bel ruolo e negli ultimi chilometri sono stati eccellenti. Siamo riusciti ad arrivare in tre negli ultimi 500 metri, così ho sfruttato al meglio il lavoro dei compagni. In arrivi del genere bisogna sempre stare attenti, ci sono tante rotonde e molti ostacoli da superare».

Crescita graduale

Il tema di queste prime tappe di Giro Next Gen è come certe gare vengano dominate da corridori abituati a gareggiare in contesti di alto livello. Lamperti arriva da 32 giorni di corsa, tra i quali conta ben cinque corse a tappe: tutti step che gli hanno permesso di crescere ed arrivare pronto qui in Italia. 

«Fare tante corse a tappe – spiega – mi ha aiutato ad arrivare pronto a questo Giro. E’ stato molto utile correre molto ed entrare in forma gradualmente. Ho iniziato dal Gran Camino in Spagna a febbraio e sono arrivato fino al Tour of Japan di fine maggio. Correre in tutte le parti del mondo mi ha dato una grande mano, soprattutto per confrontarmi con tanti atleti diversi. E’ chiaro tuttavia che il sogno è partecipare alle grandi classiche, come Fiandre e Roubaix». 

Bruttomesso: rimpianto e rivincita

All’ultima curva, lontana dal traguardo, Bruttomesso era nelle prime posizioni, ma la fatica fatta per rimanere a galla nel gruppo alla fine gli è rimasta sulle gambe. Il corridore del Cycling Team Friuli ha lanciato lo sprint da solo e tutto sommato questo secondo posto vale oro. Soprattutto gli è stato utile per prendere le misure. 

«Secondo di poco – sbuffa – anche in rimonta, ma ho perso di mezza ruota. Oggi c’era da chiudere gli occhi e buttarsi, abbiamo fatto una lotta mai vista per le posizioni. Il finale era un po’ insidioso: con rotonde e strade strette. Sono uscito anche giusto, ma loro (la Trinity, ndr) erano in di più e si sono fatti valere. Peccato, ma ci saranno ancora due o tre occasioni per riprovarci: l’ultima a Trieste, ma anche quella di casa a Povegliano. Forse anche quella di Manerba».

«Gestire una tappa del genere in cinque non è semplice – continua – appena abbiamo visto che la fuga aveva troppo margine ci siamo messi a tirare. Ho parlato con la Colpack e la Trinity, i bergamaschi hanno messo davanti un paio di uomini, la Trinity no. Hanno preferito così ed aspettare l’arrivo».

Giro NextGen, dieci nomi per il successore di Hayter

10.06.2023
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AGLIE’ – Domani alle 12,50 – col primo corridore che scenderà dalla pedana della crono inaugurale – si accenderanno i riflettori sul Giro NextGen, ovvero il Giro d’Italia U23 targato RCS Sport. Inizio in Piemonte, ad Agliè, con una prova contro il tempo di 9,4 chilometri e finale domenica 18 giugno a Trieste.

Otto tappe ben distribuite dove ogni tipologia di atleta potrà confrontarsi sul proprio terreno preferito che alla fine premierà il più completo (o regolare, se preferite) come successore di Leo Hayter. Tra le 35 formazioni al via (ognuna composta da 5 corridori), abbiamo provato a battezzare dieci nomi che potrebbero fare classifica, pur sapendo che nel mondo dei “dilettanti” la sorpresa – in positivo o in negativo – è sempre dietro l’angolo e che controllare la corsa con così pochi elementi sarà dura per tutti. Si va in caccia del trono di Leo Hayter, che nel 2022 conquistò la maglia rosa davanti a Van Eetvelt e Lenny Martinez (foto di apertura).

Jordan Labrosse ad agosto passerà pro’ nel team WT ma al Giro NextGen vuole lasciare il segno (foto twitter)
Labrosse ad agosto passerà pro’ nel team WT ma al Giro NextGen vuole lasciare il segno (foto twitter)

Jordan Labrosse

Il classe 2002 della AG2R-Citroen U23 è sicuramente un cacciatore di tappe ed uno adatto a gare dure di un giorno, come confermano la vittoria a Terranuova Bracciolini ed il terzo posto al Piccolo Lombardia dell’anno scorso. Tuttavia il ragazzo nativo di Roanne – e che come idolo sportivo guarda caso ha Michael Jordan (nomen omen) – arriva da due buoni piazzamenti nelle due gare a tappe che ha disputato.

Dopo il sesto posto ad aprile al Tour du Loir et Cher (con contenute difficoltà altimetriche), Labrosse due settimane fa ha aggiunto un quinto posto di più pregevole fattura in Polonia all’Orlen Nations Grand Prix, centrando un podio di tappa. Per lui (che ha già in tasca un triennale con la formazione WorldTour a partire da agosto) il Giro NextGen può rappresentare l’ennesimo step nella sua crescita e non ci sarebbe da sorprendersi se chiudesse bene nella top ten.

La Circus ReUz Technord per la generale punterà su Alexy Faure Prost ma attenzione a Busatto
La Circus ReUz Technord per la generale punterà su Alexy Faure Prost ma attenzione a Busatto

Alexy Faure Prost

Tra gli atleti della Circus ReUz Technord vorremmo mettere Francesco Busatto – per risultati ottenuti e non solo per patriottismo – ma proviamo ad indicare il 19enne talento francese così come ci aveva anticipato il loro diesse Claeys a metà maggio. Se il veneto vincitore della Liegi U23 potrebbe sfruttare la sua grande condizione per fare classifica (un po’ come fece Alaphilippe al Tour 2019), Faure Prost nei piani del team belga dovrebbe essere l’uomo deputato a curare la generale.

Nonostante sia al primo anno nella categoria, il giovane della Circus ha conquistato due successi ad inizio annata e nell’ultima gara disputata si è messo alla prova (ed in luce) tra i pro’ nella selettiva Classic Alpes Maritimes vinta da Carapaz.

Brieuc Rolland può ritagliarsi il giusto spazio tra i vari contendenti alla maglia rosa finale (foto Groupama-Fdj)
Rolland può ritagliarsi il giusto spazio tra i vari contendenti alla maglia rosa finale (foto Groupama-Fdj)

Brieuc Rolland

La rivoluzione generazionale che quest’anno ha vissuto la Groupama-FDJ di riflesso ha toccato anche la sua formazione continental U23. Tutte le loro giovani stelle del 2022 sono passate pro’ e così il vivaio appare meno forte rispetto all’anno scorso ma è giusto tenere la squadra francese in considerazione. Al Giro NextGen la Groupama-FDJ avrà l’età media più bassa di tutti (19 anni e 4 mesi) e il loro leader potrebbe essere Brieuc Rolland.

Il classe 2003 bretone di Rennes ha corso diverse piccole gare a tappe e ultimamente all’Alpes Isere Tour, ha chiuso al sesto posto nella generale, ottenendo lo stesso piazzamento nel tappone finale di 160 chilometri con oltre 4.800 metri di dislivello. Da seguire.

Giulio Pellizzari ha messo nel mirino la generale del Giro NextGen da tanto tempo
Pellizzari ha messo nel mirino la generale del Giro NextGen da tanto tempo

Giulio Pellizzari

Tutti e cinque i corridori della Green Project-Bardiani-Csf-Faizanè sarebbero da considerare per la generale però ne scegliamo uno per una serie di motivi. A più riprese infatti Giulio Pellizzari ha dichiarato di puntare forte sul Giro NextGen sacrificando una sua possibile convocazione in quello dei grandi. Finora in stagione il 19enne scalatore non è riuscito a centrare quella (meritata) vittoria che gli avrebbe dato ulteriore morale ma i risultati e le prestazioni ottenuti dimostrano che ha avuto un avvicinamento mirato alla corsa rosa dei giovani.

Oltre al secondo posto al Recioto o nella generale della Carpathian Couriers Race, è il terzo posto conquistato nella quarta tappa del Tour of the Alps che pone il marchigiano tra i candidati alla vittoria finale.

Santiago Umba finora si è visto pochissimo ma al Giro NextGen potrebbe essere una sorpresa
Umba finora si è visto pochissimo ma al Giro NextGen potrebbe essere una sorpresa

Santiago Umba

Negli ultimi quindici anni è quasi un obbligo inserire un colombiano tra i favoriti del Giro “dilettanti”. Un po’ perché quando la strada sale sanno entusiasmare e scombinare le carte dei rivali, un po’ per tradizione riuscendo talvolta a vincere la corsa o salire sul podio. Fra loro, ci sentiamo di segnalare Santiago Umba della GW Shimano-Sidermec.

Il ventenne scoperto da Gianni Savio tre anni fa, in questa stagione ha giocato un po’ a nascondino correndo prevalentemente in Colombia e riaffacciandosi all’Appennino tra i pro’ la settimana scorsa. Al Giro NextGen Umba ha la possibilità di rinverdire i grandi risultati registrati nel 2021 quando seppe vincere in salita a La Planche des Belles Filles al Tour Alsace o una frazione del Tour Savoie Mont Blanc.

Antonio Morgado al primo anno tra gli U23 vuole stupire anche al Giro NextGen (foto Hagens Berman Axeon)
Morgado al primo anno tra gli U23 vuole stupire anche al Giro NextGen (foto Hagens Berman Axeon)

Antonio Morgado

Il portoghese della Hagens Berman Axeon è un altro atleta al primo anno tra gli U23 che ha già fatto vedere di andare forte vincendo due gare, l’ultima in Polonia all’Orlen Nations Grand Prix. Per la verità il team continental guidato da Axel Merckx per la generale può contare anche sull’irlandese Darren Rafferty ma mettiamo Antonio Morgado sotto la lente di ingrandimento.

A scapito di un aspetto fisico per cui dimostra molto più della sua età, il classe 2004 nelle ultime stagioni è cresciuto in modo esponenziale e l’anno scorso da junior ha saputo prendersi il Lunigiana un po’ a sorpresa. Perché non potrebbe fare (quasi) altrettanto al Giro NextGen?

Tijmen Graat ha vinto il Recioto davanti a Pellizzari e Pinarello. L’olandese può fare classifica al Giro NextGen
Tijmen Graat ha vinto il Recioto davanti a Pellizzari e Pinarello. L’olandese può fare classifica al Giro NextGen

Tijmen Graat

Risultati alla mano, sulla carta la squadra-faro del Giro NextGen è senza dubbio la Jumbo-Visma Development Team, sempre ammesso che non si crei una concorrenza interna. I gialloneri schierano una piccola corazzata dove ognuno di loro potrebbe essere capitano in altre formazioni. I norvegesi Staune-Mittet e Hagenes sono corridori piuttosto completi che non hanno bisogno di presentazioni e che saranno davanti nei momenti decisivi. Loe Van Belle è uno scalatore che si difende a crono, mentre Menno Huising è un uomo da classiche dure.

Noi però, anche per non essere scontati, siamo curiosi di vedere all’opera Tijmen Graat. Il classe 2003 nativo di Boxmeer quest’anno ha conquistato tre gare (tra cui il Recioto) e concluso all’undicesimo posto la Coppi e Bartali. Potrebbe ricoprire lui il ruolo di leader per la generale.

William Junior Lecerf al Giro NextGen vuole migliorare il quarto posto nella generale ottenuto l’anno scorso (foto twitter)
Lecerf al Giro NextGen vuole migliorare il quarto posto nella generale ottenuto l’anno scorso (foto twitter)

William Junior Lecerf

Così come la formazione maggiore, anche la Soudal-QuickStep Devo Team si presenta ai nostri di partenza della corsa rosa di categoria con l’intenzione di centrare il bersaglio grosso. Per farlo punta su William Junior Lecerf, arrivato in inverno dalla attuale Lotto-Dstny U23, cui quest’anno è mancato solo l’acuto pur avendo mostrato una grande crescita anche su lunghe distanze.

Bisogna seguirlo perché l’anno scorso il classe 2002 fiammingo è arrivato ai piedi del podio finale conquistando prima un bel sesto posto nella terribile tappa di Santa Caterina Valfurva (quella con Tonale, Aprica e Mortirolo) e poi una terza piazza di qualità in cima al Colle Fauniera. Insomma, quando la strada si inerpica fin sotto il cielo, lui c’è. E sullo Stelvio alla quarta frazione potrebbe mettere un bel mattoncino per la vittoria del Giro NextGen.

Finlay Pickering ha cercato di fare classifica al Tour of the Alps in funzione del Giro NextGen (foto Trinity Racing)
Pickering ha cercato di fare classifica al Tour of the Alps in funzione del Giro NextGen (foto Trinity Racing)

Finlay Pickering

Nella Trinity Racing che dominò il Giro U23 nel 2020 con Tom Pidcock ci sono un paio di nomi interessanti (entrambi inglesi classe 2003) da appuntarsi per la vittoria finale. Il primo è Lukas Nerurkar, scalatore cresciuto in Etiopia che vive tra Brighton (in cui è nato) e Girona, che ha vinto una tappa all’Orlen Nations Grand Prix e che a febbraio aveva chiuso sesto nella generale del Gran Camino conquistato da Vingegaard.

Al suo fianco ci sarà Finlay Pickering che al Tour of the Alps stava facendo fondo per il Giro NextGen, così come ci aveva confidato il suo diesse Peter Kennaugh. Pickering finora ha ottenuto piazzamenti nelle brevi corse a tappe ma arriva dalla Groupama-FDJ con cui l’anno scorso aveva vinto il Tour Alsace e la sua volontà è quella di ripetere quelle prestazioni.

Obiettivo classifica. Hannes Wilksch sarà il leader della Tudor U23 al Giro NextGen (foto twitter)
Obiettivo classifica. Hannes Wilksch sarà il leader della Tudor U23 al Giro NextGen (foto twitter)

Hannes Wilksch

La Tudor Pro Cycling Team U23 parte per il Giro NextGen con una squadra ben attrezzata. Se il diciannovenne francese Mathys Rondel può essere considerata la seconda punta, il leader dovrebbe essere Hannes Wilksch, altro atleta che ha cambiato casacca ad inizio stagione ed ultimo in ordine di dorsale della nostra lista di favoriti.

Il classe 2001 tedesco va tenuto sotto osservazione sia per la forte crescita che ha fatto sia per i risultati conquistati. Nel 2022 infatti riuscì a concludere settimo sia al Giro U23 che al Tour de l’Avenir. Partirà con un buon morale: due settimane fa è salito sul podio finale dell’Orlen Nations Grand Prix.

Healy, l’irlandese naif che non sente ragioni

23.05.2023
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In un Giro d’Italia finora piuttosto scarno di storie belle, chi certamente non ha deluso le aspettative della vigilia è stato Ben Healy. L’irlandese è arrivato alla corsa rosa sull’onda delle due prestazioni nelle Classiche del Nord. Si capiva che i suoi piazzamenti all’Amstel dietro Pogacar e alla Liegi di Evenepoel non erano stati casuali. In Italia l’irlandese dell’EF Education EasyPost ha corso con autorità, da vero cacciatore di tappe senza sprecare un’oncia di energia, portando a casa una vittoria e un secondo posto che sa di occasione perduta. E potrebbe non essere finita qui.

Healy, irlandese dal 2016 ma precedentemente britannico, è la colonna sulla quale poggia il ciclismo dell’Isola, che nel corso della storia ha sempre avuto, pur a fronte di un movimento molto ridotto, grandi campioni, da Kelly a Roche per citarne qualcuno. Proprio il figlio di Stephen, quel Nicolas che per molti anni è stato protagonista nel circo delle due ruote, conosce bene Healy e può darne un ritratto inedito.

Rintracciamo Roche a Dallas, ennesima tappa di un autentico giro del mondo da novello Phileas Fogg, al seguito del massimo circuito mondiale del gravel che gli ha restituito la voglia di correre dopo il ritiro dello scorso anno e l’approdo al Trinity Racing, proprio dove ha conosciuto Healy.

Nicolas Roche, tecnico del Trinity Racing ma ancora in attività nel gravel
Nicolas Roche, tecnico del Trinity Racing ma ancora in attività nel gravel

«Effettivamente in Irlanda abbiamo avuto spesso corridori di spicco – afferma Roche – pur senza un grande movimento alle spalle. Non c’è solo Healy, non dimentichiamo Bennett che ha collezionato vittorie e sta tornando in auge. Oppure Dunbar, che reputo uno dei migliori per le corse a tappe. A dir la verità c’era stato un buco dai tempi di mio padre e Kelly, ma nel nuovo secolo siamo spesso riusciti a metterci in mostra».

Hai citato Bennett e Dunbar, rispetto a loro vedi differenze in Healy?

Il primo è un velocista, il secondo un corridore da classifica, Healy non è così facilmente inquadrabile. E’ un corridore moderno, di quelli che non ha paura e al Giro lo sta dimostrando. Per certi versi è un corridore un po’ atipico e dal carattere tutto particolare.

Healy ha un’ottima propensione per le crono. Lo scorso anno è stato 6° agli Europei
Healy ha un’ottima propensione per le crono. Lo scorso anno è stato 6° agli Europei
Quando lo hai conosciuto?

Al campionato irlandese del 2020. Al venerdì era in programma la prova a cronometro, lui gareggiava fra gli under 23 ma vinse con un tempo di 45” migliore del mio, utile per vincere fra gli elite. Quando lo vidi non mi capacitavo come facesse ad andare così forte: casco messo male in testa, i capelli lunghi che uscivano fuori da tutte le parti, un manubrio super stretto che non capivo come facesse a tenere la posizione. Due giorni dopo ci siamo trovati di fronte nella gara in linea, ma non c’è stata storia: è andato via dopo 30 chilometri e se n’è fatti 120 da solo. Dietro chiedevo aiuto per andarlo a prendere, ma nessuno tirava così ho chiuso secondo a 2’37”. Io venivo dal Tour, ero un po’ stanco, ma la verità è che aveva fatto un numero impressionante. E aveva appena compiuto vent’anni…

Poi lo hai rivisto?

L’anno dopo è approdato al Trinity Racing, con cui ero già in contatto. Vinse una tappa al Giro d’Italia di categoria, si vedeva che correva in maniera facile. Nell’ambiente dicevamo che era una vera bestia, per come tirava… Tutti parlano della sua esplosione di quest’anno, io certamente non ne sono rimasto stupito.

La caratteristica dell’irlandese è la voglia di attaccare, provando a sgretolare il gruppo
La caratteristica dell’irlandese è la voglia di attaccare, provando a sgretolare il gruppo
Secondo te che prospettive ha, corridore da classiche o da grandi giri?

Io penso che abbia davanti tutte le possibilità. E’ uno che a cronometro va forte e questo è un aspetto fondamentale se vuoi fare classifica. Bisogna vedere che cosa sa fare in alta montagna, ma non è questo Giro il test ideale, vista anche la classifica e soprattutto le sue scelte di queste due settimane. Infatti ha giustamente privilegiato la caccia alle fughe giuste per le tappe. Per il resto è uno molto bravo a limare e, come si è visto anche nelle classiche, è anche molto furbo il che non guasta. C’è però un aspetto da considerare…

Quale?

E’ diverso correre pensando alla classifica. Se ti poni obiettivi saltuari puoi puntare tutto per quelli, essere al 120 per cento nel giorno giusto. Se punti alla maglia devi essere sempre almeno al 99 per cento, non puoi permetterti errori, cedimenti. Devi essere sempre davanti, portarti addosso il peso della responsabilità che non è poco. La squadra a quel punto gira per te, non puoi tradirla. Io penso che su di lui si possa investire, ma deve farlo lui stesso, in questi 3-4 anni, per capire se può diventare un corridore da grandi giri.

Nelle classiche del Nord Healy ha colto il podio alla Freccia del Brabante e all’Amstel
Nelle classiche del Nord Healy ha colto il podio alla Freccia del Brabante e all’Amstel
Dicevi che il Giro attuale non è un test probante in tal senso…

A parte che ha speso molto, bisogna vedere se se la sente di spremersi per aiutare Carthy, se ne ha le forze fisiche ma soprattutto mentali. Io dico che la Vuelta potrebbe essere un banco di prova ideale in tal senso, una corsa dura ma con salite più corte. Potrebbe provare a vedere come va ampliando il raggio delle sue aspettative.

Caratterialmente che tipo è?

Non è uno che parla tanto, è molto discreto, fa un po’ di testa sua. Lo scorso anno agli europei ero stato chiamato come manager della nazionale. Ricordo che il giorno della cronometro pioveva, io lo seguivo ma non stava molto ad ascoltare. Si organizzava per conto suo, ha una maniera d’interpretare il mestiere un po’ naif, ma evidentemente funziona…

Lamperti, cognome italiano e spirito yankee

05.05.2023
5 min
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Sono già un paio di stagioni che scorrendo gli ordini di arrivo delle gare under 23 e non solo, spunta un nome italiano che italiano non è. Luke Lamperti (nella foto di apertura di Alexis Dancerelle) ha la bella abitudine di farsi vedere ogni volta che sale su una bicicletta e mette il numero. Il suo divertimento si traduce in risultati, non corre mai per essere una semplice presenza.

Due vittorie lo scorso anno, già il doppio in questa stagione dove su 23 giorni di gara ha centrato la top 10 ben 15 volte. Va bene nelle corse d’un giorno come nelle gare a tappe, al Tour de Bretagne ha centrato il podio finale risultando il migliore dei giovani. E poi ha quel cognome che incuriosisce. Eppure la prima particolarità che emerge dalla chiacchierata non riguarda le sue origini, ma la sua provenienza sportiva.

«Ho corso nel motocross quando ero solo un ragazzino – racconta – poi ho iniziato ad allenarmi in bicicletta a circa 10-11 anni, ma pensando sempre in funzione delle moto. Solo che mi sono innamorato della bicicletta, così ho deciso di cambiare e non ho più mollato la presa».

La volata vincente nella prima tappa del Tour de Bretagne, chiuso al 3° posto (foto Vincent Michel)
La volata vincente nella prima tappa del Tour de Bretagne, chiuso al 3° posto (foto Vincent Michel)
Il tuo cognome tradisce le origini italiane. Quale legame hai con l’Italia?

A dir la verità mi chiamo Luciano Glenn Purdy, quindi anche il mio primo nome è italiano, ma le mie radici sono lontane, risalgono a miei bisnonni che emigrarono da Lucca. La connessione, al di là del nome, è lontana. La lingua si è persa, ma sono sempre convinto che qualcosa resti con il grande Paese dal quale provengo. In Italia non ho gareggiato lo scorso anno, ma nel 2021 ho svolto molta attività e mi piace sempre molto.

Quest’anno hai già ottenuto 4 vittorie, che cosa è cambiato, ti senti più maturo?

Sì, indubbiamente. Rispetto a un anno fa vedo una grande differenza, mi sento più intelligente, più forte, più reattivo. E’ stato davvero un bell’inizio di stagione per me e per il team, faccio parte di un gruppo di ragazzi molto forte e ben amalgamato, questo mi permette di ottenere molte più vittorie.

Sei più un corridore da corse a tappe o classiche di un giorno?

Diciamo che le corse in linea mi piacciono di più e sono un obiettivo, ma credo di essere ancora molto giovane e dovermi costruire. Faccio un po’ di tutto, vado bene negli sprint come in salita, quindi non sono certo un velocista puro, ma ho armi per tutti i percorsi e per questo le corse d’un giorno sono le più adatte.

Il californiano è al terzo anno al Trinity Racing. Ora aspetta la chiamata di un team WorldTour
Il californiano è al terzo anno al Trinity Racing. Ora aspetta la chiamata di un team WorldTour
C’è qualche tipo di percorsi dove ti trovi più a tuo agio?

Quelli belgi sono il mio ideale, dove mi diverto di più e posso fare meglio. A me piacciono i percorsi vallonati, quelli dove non ti annoi mai, devi stare sempre all’erta, non amo quando c’è calma piatta prima dello sprint. Come detto non sono un velocista puro e per fare bene devo prima mettere in difficoltà chi è più specializzato. Sui percorsi belgi questo mi riesce meglio.

Sei al terzo anno nel Trinity Racing: come ti trovi nel team?

E’ davvero una bella squadra. C’è molto supporto. Abbiamo ottimi sponsor e siamo tutti ragazzi molto forti, non c’è un vero e proprio leader, inoltre andiamo tutti d’accordo e quando vince uno, abbiamo vinto tutti. Abbiamo un bel calendario di gare con molte opportunità, mi piace molto la squadra e sarò sicuramente triste quando alla fine dovrò abbandonarla.

Lamperti è nato il 31 dicembre 2002. E’ al terzo anno fra gli U23 ed è andato sempre migliorando
Lamperti è nato il 31 dicembre 2002. E’ al terzo anno fra gli U23 ed è andato sempre migliorando
Peter Kennaugh, il vostro team manager ci raccontava di come voi del team chiediate proprio tutto prima di una corsa, anche i più piccoli particolari. Anche tu sei molto pignolo nell’avvicinamento a una corsa?

Credo sia normale perché è uno sport piuttosto complicato, quindi ovviamente devi essere molto attento a sapere su quali strade stai correndo o conoscere con certezza la concorrenza, perché è molto competitivo. Non si tratta di pignoleria, ma fa parte della professionalità, questo è un mestiere e devi prenderlo molto sul serio se vuoi emergere e lo si fa già da queste cose, prima della corsa.

Molti corridori sono passati dal Trinity per approdare nel WorldTour, come Tom Pidcock. Tu pensi di fare subito il salto o attenderesti ancora un anno?

Questo è il mio terzo anno nella categoria, sto imparando molto ma inizio a sentirmi pronto per il grande salto quindi spero che già nel 2024 sarò in un team di primo piano. E’ ancora presto per dire quale, ma sono molto ottimista, d’altronde sappiamo tutti che questo è un passaggio, siamo un team giovane con tutti ragazzi che puntano a questo.

Volta ao Alentejo, primo successo in stagione favorito anche da Walker (a destra, terzo alla fine)
Volta ao Alentejo, primo successo in stagione favorito anche da Walker (a destra, terzo alla fine)
Qual è la vittoria che ricordi con più piacere?

La prima di quest’anno, sì, davvero una bella vittoria. Era la prima tappa della Volta ao Alentejo in Portogallo, la squadra ha fatto un lavoro perfetto dandomi praticamente un vantaggio sugli altri che ho potuto sfruttare quando il gruppo si è spaccato e con Max Walker (finito terzo, ndr) ho completato l’opera consegnando al team il successo. E’ stata la mia prima vittoria della stagione, quindi sì, resta speciale.

Come viene considerato il ciclismo negli USA oggi?

Non è così grande, non come una volta. Abbiamo molti sport più importanti, sport dove girano cifre pazzesche. Quindi il ciclismo non è così diffuso negli Stati Uniti, ha poche gare di alto livello e poche possibilità per emergere. Ho capito presto che se volevo far qualcosa, dovevo spostarmi.

Quali sono i tuoi obiettivi adesso?

Vorrei vincere qualcuna delle grandi classiche. So che è un azzardo ed è più facile a dirsi che a farsi, considerando anche i grandi campioni che ci sono in questo periodo. Ma parliamo di un sogno e tante volte i sogni diventano realtà. Io lavoro ogni giorno per quello e ogni giorno mi ci avvicino un po’.

Ricordate Peter Kennaugh? Ora guida la Trinity Racing

25.04.2023
6 min
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ROVERETO – Nel 2020 grazie al dominio di Tom Pidcock al Giro U23, abbiamo imparato a conoscere la Trinity Racing: in pratica un serbatoio di talenti, molti dei dei quali sono protagonisti ora in diversi team WorldTour. Da due stagioni alla sua guida c’è Peter Kennaugh, un ragazzo che era considerato una delle stelle più promettenti fra i corridori che stavano rilanciando il ciclismo britannico.

Il 33enne nativo dell’Isola di Man nel 2012 era riuscito a conquistare su pista un oro mondiale e uno olimpico con l’inseguimento a squadre. Su strada aveva raccolto belle soddisfazioni (su tutte spiccano due tappe al Delfinato), ma meno di quelle che gli avrebbero consentito le sue potenzialità. In totale ha corso per dieci stagioni fra Team Sky e Bora-Hansgrohe, nella quale quattro anni fa decise di smettere. O meglio, inizialmente doveva essere una sorta di pausa di riflessione, ma nel giro di poco tempo divenne una scelta definitiva. Il motivo è (sempre) lo stesso dei giorni nostri: lo stress. Al Tour of the Alps abbiamo incontrato Kennaugh ed è stata l’occasione per parlare con lui sia del suo ruolo sia della sua squadra, oltretutto sempre ben riconoscibile in gruppo per effetto di maglie a piccoli rombi bianconeri.

Peter saresti stato ancora oggi un corridore forte e tutto sommato giovane. Sei pentito di esserti ritirato così presto?

Non ho rimpianti, sono contento della mia decisione. Devo dire la verità che ci sono stati giorni in cui pensavo e ripensavo che mi sarebbe piaciuto essere lì a gareggiare a questo livello. Poi riflettevo con calma e mi accorgevo che non mi dispiaceva aver smesso. Ero arrivato in un momento della mia vita in cui non ero più felice. Era stata una decisione a caldo, difficile, magari per fermarmi per uno o due anni. Non avevo più passione per fare risultato e così nel frattempo ho iniziato a fare questo lavoro come tecnico di giovani corridori. E stare con loro mi ricorda l’amore che avevo alla loro età e anche il motivo per il quale avevo iniziato a pedalare.

Pensi che ci sia troppa pressione nel ciclismo attuale come ci ha detto il tuo ex compagno Sagan nelle settimane scorse?

Assolutamente sì. Adesso la ricerca del risultato è molto cambiata. Ogni cosa è monitorata e si conosce, dall’allenamento a quello che mangi. Obiettivamente per me è un po’ troppo. Credo che Peter abbia ragione, ma è così che va lo sport in generale. Anzi, lo sport di adesso lo trovo completamente differente da quando sono passato io professionista. I giovani corridori attuali non riescono a notare o comprendere questa importante diversità.

Per quale motivo?

Tutto è legato alla tecnologia. I ragazzi vogliono sapere tutto. Loro pensano che i risultati dipendano solo da questo. Lo vedo durante le riunioni pre-gara sul bus. Quando correvo io, bastavano meno informazioni. Prendevamo il road book e ci dicevano ad esempio dove erano i punti della salita al 10 per cento, dove si iniziava a salire o dove si scendeva e dove era l’arrivo. Ora io – dice mentre indica il suo tablet – mi trovo a dare tutte le informazioni del giorno. Su questa “app” possiamo vedere dove sono posizionate le nostre zone rifornimento oppure mostriamo foto di come sarà la strada o altre cose di questo genere. Ogni informazione per ogni singolo giorno. E’ cambiata la cultura, quasi che non esista più il diritto all’errore.

Secondo te è un bene questo aspetto?

Diciamo che adesso, con questo cambiamento, il ciclismo è diventato uno sport dove tutti possono provare a dare il loro meglio o trarre i migliori vantaggi in tanti modi. Si può sostenere lo sviluppo di questo cambiamento in una buona maniera. E in un certo senso questo è un bene perché ad esempio non abbiamo più casi di doping come prima. Ora si può puntare a nuovi obiettivi laddove ce n’è più bisogno, anche in piccole percentuali. Ricordo che quando il Team Sky aveva iniziato la sua attività, faceva già queste cose, che poi sono diventate sempre più stressanti.

E’ un argomento contraddittorio alla fine…

Non so dirvi se tutto ciò sia una buona o una cattiva notizia per il ciclismo ma, come dicevo prima, è lo sport che si è sviluppato così. Chiaramente il corridore ogni tanto può fare qualcosa di meno a causa dello stress. Bisognerebbe restare entro un certo limite perché altrimenti non ci si diverte più. Però attenzione, ci sono ragazzi a cui piace ricevere tante informazioni o numeri. Sono situazioni figlie delle generazioni. Io appartengo a quella di Peter (riferendosi sempre a Sagan, ndr) e insieme abbiamo vissuto questa transizione.

Il progetto della Trinity Racing invece cosa prevede?

E’ una bella domanda. Possiamo considerarci come un devo team, con la nostra filosofia ben precisa di allevare corridori. Tuttavia nei prossimi due anni la società vorrebbe diventare un team professional. Ora come ora, vogliamo far crescere i nostri ragazzi per poi mandarli nelle squadre professionistiche più importanti, come hanno già fatto molti di loro negli anni precedenti. Sto pensando a tanti programmi di corse, di allenamenti per i corridori e di altri lavori. Fare gare come il Tour of the Alps è importantissimo per noi. Ci fa migliorare davvero tanto.

Cosa insegna Peter Kennaugh ai suoi ragazzi?

Al momento sono team manager e diesse e cerco di trasmettere con enfasi l’esperienza che ho guadagnato da pro’. Voglio mostrare loro cosa devono fare in corsa. Ad esempio al “TotA” dicevo a Pickering di stare attento per portare a casa il miglior piazzamento possibile nella generale. Ma in generale dico ai ragazzi di… chiudere gli occhi e seguire la ruota davanti a loro (dice ridendo mentre ci saluta e raggiunge la sua squadra per gli ultimi dettagli pre-gara, ndr).

Grinta, sfacciataggine e gambe: ecco Ben Healy

30.03.2023
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Uno dei primi ricordi dal vivo di Ben Healy risale al Giro d’Italia under 23 del 2021. Eravamo nella fornace afosa di Castelfranco Veneto. Ultima fatica della corsa dominata da Ayuso. Dieci tappe e quella finale era un piattone che ripercorreva le mura della cittadina trevigiana.

Healy partì a diverse tornate dal termine. Sulla linea d’arrivo ci si chiedeva dove volesse andare “questo qui”. E lui in tutta risposta vinse la tappa, rispondendo coi fatti!

Ben Healy (classe 2000) vince a Larciano dopo un finale corso da vero dominatore
Ben Healy (classe 2000) vince a Larciano dopo un finale corso da vero dominatore

Primavera magica

Healy, irlandese, classe 2000 è professionista dallo scorso anno. Da U23 Correva con la Trinity, la stessa squadra di Pidcock, ora è con la EF Education-EasyPost. Dopo una prima stagione fra i grandi di adattamento, in questa primavera sta esplodendo.

Il corridore è da scoprire. Difficile stabilire se si tratti di uno scalatore. Di certo in salita va forte, ma se la cava anche sul passo. E’ campione nazionale a cronometro in carica e anche quel giorno a Castelfranco, tutta pianura, andò via di forza.  Anche se i suoi numeri (175 centimetri per 64 chili) fanno legittimamente pensare ad un grimpeur. Ma è il ciclismo moderno. Sono i corridori moderni: si va e si deve andare forte dappertutto.

E Healy forte ci è andato sia alla Coppi e Bartali che al Gp di Industria e Commercio di Larciano. Una settimana che ha cambiato non poco i suoi orizzonti. Terzo nella generale e vincitore di una tappa nella corsa dedicata ai due campioni, primo nella classica toscana.

L’irlandese viene dalla scuola di Wiggins e dal team Trinity. Anche per questo è molto bravo sia in mtb che contro il tempo
L’irlandese viene dalla scuola di Wiggins e dal team Trinity. Anche per questo è molto bravo sia in mtb che contro il tempo

Attaccante dentro

Se lo guardi, non sembra un corridore che “morde”, in realtà in bici è cattivissimo, determinato e non guarda in faccia nessuno (lo sa bene Pozzovivo).

«Questo è il modo in cui mi piace vincere – ha detto l’irlandese dopo il successo di Larciano –arrivando da solo. In questo modo sei sicuro che ce la farai», come a voler ritornare proprio al finale di Forlì contro Pozzovivo (Padun era suo compagno).

Anche in squadra cominciano a prendere coscienza del suo potenziale. Ken Vanmarcke, uno dei diesse della EF sapeva che Healy stesse bene: «Prima della gara di Larciano guardando TrainingPeaks, era chiaro che Healy stesse volando, che fosse ad un certo livello».

E poi ha aggiunto un dettaglio affatto secondario, che appunto dice della grinta di Ben: «Le gare italiane come Larciano non sempre vanno a chi ha le gambe più forti, ma a chi riesce ad adattarsi, a capire le situazioni e a proporsi». E Healy sulla scalata finale si è proposto bene: con gambe, con grinta e tempismo. Ma soprattutto senza paura.

Al momento del suo scatto, il traguardo distava una quindicina di chilometri e all’inizio i secondi di vantaggio erano pochi. Lui però ha insistito, non si è voltato e alla fine ha vinto con margine.

Dopo l’Amstel Gold Race dovrebbe tornare in altura prima del Giro (foto Instagram)
Dopo l’Amstel Gold Race dovrebbe tornare in altura prima del Giro (foto Instagram)

Verso il Giro

La EF Education-EasyPost ha previsto un calendario man mano sempre più impegnativo ed importante per il ragazzo. Dopo queste corse di “seconda fascia” in Italia, ne farà altre in Francia, ma poi l’asticella si alzerà. E non poco.

Ben prenderà parte all’Amstel Gold Race e poi al Giro d’Italia, il suo primo grande Giro. Tra le due gare dovrebbe tornare in altura a Sierra Nevada. Proprio lì ha costruito, o forse sarebbe meglio dire ha affinato la condizione per la Coppi e Bartali e il resto. Come un po’ tutti i ragazzi di oggi, Healy ha la capacità di entrare presto in condizione.

Visto il suo potenziale e sapendo che al Giro la EF Education-EasyPost non porterà Carapaz, chissà che Healy non possa essere un outsider, una sorpresa. Magari non salirà sul podio, ma se dovesse entrare nei dieci non saremmo così stupiti.

Teocchi: bronzo, tecnica, alimentazione… Olimpiadi

13.10.2022
5 min
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Non solo l’argento di Daniel Oss, il campionato mondiale gravel ci ha regalato anche il bellissimo bronzo di Chiara Teocchi. La biker della  Trinity Racing, e dell’Esercito per quanto concerne gli impegni “istituzionali”, anche un po’ inaspettatamente è stata protagonista di una gara lunga per le sue caratteristiche. Mentre i dubbi non c’erano per la durezza, che la Teocchi sia una tosta non è certo una novità.

Come è stato dunque questo primo mondiale gravel al femminile? E’ la stessa azzurra che ci porta alla scoperta.

Nella fuga a quattro anche la tedesca Treffeisen, quarta. La Teocchi in testa a fare l’andatura
Nella fuga a quattro anche la tedesca Treffeisen, quarta. La Teocchi in testa a fare l’andatura
Chiara, prima di tutto complimenti! Abbiamo visto che tra gli uomini c’è stato un dominio degli stradisti, mentre tra le donne voi biker avete “massacrato” tutte le altre…

Sì, però è anche vero che se andiamo ad analizzare il podio maschile sono tutti ragazzi che hanno o hanno avuto a che fare con la mtb e il cross. Vermeersch è un crossista, Daniel (Oss, ndr) ha fatto cross e non era nuovo del gravel, e Van Der Poel… lo conosciamo. Ciò che ho notato io è che nella prima parte di gara le stradiste perdevano molto nei tratti di sterrato, in curva e nei tratti più guidati. Non erano abituate e si vedeva proprio che frenavano di più. E credo che sia anche per questo motivo che la fuga poi abbia preso tanto vantaggio.

E voi l’avevate capito? Meglio approfittarne subito?

Più che altro quando ho visto che si erano mosse la Ferrand-Prevot e la Frei, mi sono mossa anche io. Le stradiste hanno preso la cosa sotto gamba. «Ma si, lasciamole andare queste biker che tanto 140 chilometri non li tengono». In realtà poi li abbiamo tenuti! Abbiamo chiuso la gara a 33 di media, e su sterrato e in 140 chilometri di corsa non è proprio poco.

Come hai fatto ad allungare così tanto questo range d’azione?

In realtà ero rimasta delusa per la non convocazione per europei e mondiali e quindi mi sono detta: «Devo prendermi una rivincita. Devo essere convocata per il mondiale gravel”. Nell’ultimo periodo mi ero focalizzata molto sul gravel. E volevo anche divertirmi. E poi essendo una cosa nuova l’ho affrontata con meno ansie e forse anche per questo è andata bene.

Come è andata la corsa? Cosa passava nella tua testa e nelle tue gambe?

Continuavo a ripetermi di non staccarmi, assolutamente. Perché se avessi perso cinque metri sarei rimasta al vento. Poi ci siamo un po’ parlate e soprattutto Pauline continuava ad incitarmi: «Andiamo, andiamo». Ma quando mancavano 40 chilometri e avevamo un minuto, sono stata un po’ titubante, pensavo ci venissero a prendere. Però vedevo che continuavamo a pedalare bene. A quel punto ho pensato: se ci vengono a riprendere pazienza, però ci proviamo.

La tua bici rispetto a quella di Argenta era settata diversamente?

In realtà posso dire di aver davvero corso un mondiale gravel, perché la Specialized Diverge è una bici gravel. Non avevo una bici da strada o una Roubaix (in riferimento alle altre Specialized, ndr) con le gomme da cross. E mi fa piacere essere salita sul podio con una vera bici gravel che pesava tre chili più delle altre. Senza contare che per questo avevo rapporti da gravel, quindi un monocorona, mentre la Frei per esempio aveva una doppia da strada. Poteva usare rapporti più lunghi.

Pensi che ti avrebbero fatto comodo quei rapporti?

Sì, perché ogni tanto mi mancava qualche dente. Però, ripeto, io sono partita con una bici gravel al campionato del mondo gravel. Sono stata coerente.

Sul podio tre grandi biker: Pauline Ferrand-Prevot, Sina Frei e la nostra Teocchi
Sul podio tre grandi biker: Pauline Ferrand-Prevot, Sina Frei e la nostra Teocchi
Che futuro può avere per te il gravel?

Secondo me si svilupperà tantissimo e non è detto che non diventerà disciplina olimpica a Los Angeles. Le aziende ci investiranno tantissimo, altrimenti atleti come Van der Poel e Ferrand-Prevot non sarebbero venuti. E poi è una bici che ti permette tanto. Durante la preparazione nei giorni che dovevo andare a fare la distanza montavo le ruote da strada e via. Nei giorni che volevo fare un’uscita più tecnica mettevo le ruote da gravel. Chiaro non fai le discese da enduro, ma se non ci sono troppe insidie ci vai tranquillamente. Per me è la bici del futuro.

Alla luce di quanto detto, cioè che bastavano poche curve per guadagnare terreno sulle stradiste, con un pizzico di tasso tecnico in più il biker è molto avvantaggiato?

Sì. E da quel che ho sentito il prossimo anno la gara sarà meno lunga, ma più selettiva dal punto di vista tecnico: più salita, più discesa e più fuoristrada guidato.

Dal punto di vista alimentare come ti sei regolata?

Il mio piano erano di assumere 70 grammi di carboidrati l’ora. Avevo un piccolo schema: sempre una borraccia di malto e una di acqua, anche per “sciacquare” la bocca. Ogni 20′ mandavo giù qualcosa. Poi dei gel, uno di malto e uno alla caffeina nei 20 chilometri finali, poi le gelatine e una barretta che ho mangiato metà nella prima ora e metà dopo la terza ora.

Il sorriso della Teocchi. Guai alle spalle e tricolori cx in testa

13.12.2021
4 min
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Il sorriso è tornato quello di un tempo e forse è ancora più pronunciato. Chiara Teocchi infatti si è definitivamente lasciata alle spalle i suoi problemi con il cuore. La lombarda aveva dovuto rinunciare persino alle Olimpiadi a causa di questo problema.

Da quest’anno ha potuto riprendere al meglio la sua attività ed entrare definitivamente negli ingranaggi della sua squadra, la Trinity Racing. Quella che ritroviamo è una “Teocchi 2.0”, la ragazzina in grado di vincere due europei di cross e di salire sul podio iridato nella mtb col team relay.

Chiara Teocchi impegnata in Val di Sole, presto per lei altre gare internazionali nel cross
Chiara Teocchi impegnata in Val di Sole, presto per lei altre gare internazionali nel cross
Chiara, ti abbiamo vista finalmente tornare in piena attività. Vieni da un bel reset generale…

Esatto, qualche mese fa ho fatto degli esami col dottore (Della Bella, ndr) che mi aveva operato a distanza di un anno e questi esami sono andati molto bene, lui era davvero contento. Mi ha rilasciato una lettera con la quale diceva che non avrei avuto neanche bisogno di ulteriori controlli.

Bello! E come mai?

In pratica la mia aritmia si è totalmente cancellata. Il medico stesso mi ha detto che è un qualcosa di estremamente raro, quasi impossibile. Ho tenuto l’holter per 24 ore e nell’arco della giornata ha registrato zero aritmie. Tutto è andato alla perfezione.

Immaginiamo che anche per te, a livello di testa, conti molto…

Vero, adesso non ci penso più e posso concentrarmi solo sulle corse.

In apertura dicevamo del tuo approdo alla Trinity Racing: adesso finalmente sei sempre più dentro in questo team. Com’è andata con loro?

È un bel progetto. Sono arrivata in questa squadra l’anno scorso e quest’anno nel team sono arrivati dei nuovi atleti. È un ambiente molto stimolante. In più dopo sette anni ho cambiato il mio preparatore. Adesso mi segue Florian Vogel (un grande ex della mtb, anche campione europeo, ndr) e per questo, se vogliamo, ho stretto ancora di più il mio rapporto con Specialized.

Cosa intendi?

Florian segue il team Factory di Specialized e questo vuol dire avere un certo legame per quel che riguarda le scelte tecniche, il setup… E poi il fatto che sia stato lui a farsi avanti per me è una grande opportunità. Vogel segue pochissimi atleti.

Adesso come si articolerà la tua stagione? Quali sono i tuoi obiettivi?

Il primo obiettivo sono senza dubbio i campionati italiani di ciclocross. Sinceramente vorrei tornare a vestire una maglia tricolore. A novembre mi sono presa una pausa e sono partita in modo più tranquillo… Sono stata poi dieci giorni a Calpe con il team. Ho vissuto un’esperienza molto bella e mi sono allenata bene. Pensate che nella prima settimana ho accumulato 24 ore di allenamento.

Beh possiamo immaginare. Dai social abbiamo visto anche che vi siete divertiti. Sulla spiaggia di Calpe avete simulato Baywatch!

Ah, ah… Sì, abbiamo prodotto dei contenuti simpatici. Comunque è stato un bel training camp. E per una ragazza allenarsi con i ragazzi è stato davvero importante. Tornando alla stagione invece, dopo questa esperienza in Val di Sole, sotto il periodo di Natale passerò due-tre settimane in Belgio con il team per allenarmi bene, rifinire la preparazione, gareggiare.

E con la strada? In squadra ne avete parlato?

Bella domanda, sicuramente mi piacerebbe fare qualcosa su strada, però si è parlato anche di Cape Epic (importantissima gara a tappe in mtb, ndr). Vedremo quali programmi usciranno fuori dopo la stagione del cross.

Sei in un team inglese, nel quale ha militato anche Pidcock: si sente qualche traccia del suo passaggio?

Il suo manager, Andrew McQuaid, è anche il team manager della nostra squadra, e posso dire che in quel periodo che passerò in Belgio staremo vicini perché dovrebbe esserci anche lui. In più abbiamo lo stesso massaggiatore. Questo team è nato un po’ per lui… cercheremo di raccogliere la sua eredità!

Chiara Teocchi resta una biker però…

Assolutamente! Sono nata biker e tutto quello che faccio è in previsione della mountain bike. Il mio sogno continua ad essere quello di andare alle Olimpiadi.

Hai parlato con Celestino?

Sì. Con lui ho fatto due chiamate. Mi spiace che non potrò essere ad un piccolo ritiro che so che sta organizzando proprio per il periodo in cui sarò in Belgio. Mi piace il suo progetto. Un progetto di lunga durata che si basa su una cerchia allargata di atleti, 5-6 donne in questo caso, da seguire sotto ogni aspetto: multidisciplinarietà, preparazione, alimentazione… Un po’ quello che si è fatto e si è visto con le ragazze della pista.