Dal 2013 al 2022: Quintana è ancora là. Tenace, tosto, sensibile

17.07.2022
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Sono passati quasi dieci anni da quando abbiamo visto quel duello mitico sul Mont Ventoux tra Chris Froome e Nairo Quintana. Chris era nel pieno del suo “frullatore” e Nairo era un ragazzino che non moriva, per poco, alla sua ruota. Ma anche l’unico in grado di resistere a quelle accelerazioni tremende. Sembrava che i successivi cinque Tour de France fossero già suoi. Invece…

Invece non è andata così. Eppure eccoli entrambi ancora qui. Sulle Alpi si sono visti a corrente alternata. Sul Granon è toccato al colombiano e sull’Alpe al britannico.

In un certo modo possiamo dire che la classe supera l’età. Supera l’età ma non i watt e i ragazzini, anche se Quintana è in ottima posizione nella classifica generale. E rischia seriamente di giocarsi il podio. Proprio su di lui vogliamo concentrarci.

La sfida del Ventoux che lanciò Quintana al grande pubblico. Alla sua ruota Froome
La sfida del Ventoux che lanciò Quintana al grande pubblico. Alla sua ruota Froome

Differenze e similitudini

Il corridore dell’Arkea-Samsic per certi aspetti è cambiato molto, per altri è totalmente identico a quello del 2013.

In cosa è cambiato? E’ senza dubbio più maturo. Rispetto a molti suoi predecessori sudamericani ha pagato meno il salto di qualità. Spesso molti suoi conterranei una volta raggiunta l’agiatezza economica tendevano a mollare, se non a sparire proprio. Uno degli esempi più lampanti è stato Josè Rujano. 

Quintana questa fase l’ha superata. Forse l’ha attraversata nel periodo dei suoi anni migliori, ma sta di fatto che è ancora lì. E sì che poteva rimetterci di più visto che alla fine è stato il primo sudamericano a vincere un grande Giro. E questo gli ha dato una visibilità enorme. Anche una certa pressione mediatica, oltre che economica. Ma ormai è andata e a due terzi del Tour de France è sesto ad un centinaio di secondi dal podio. 

Quella che invece non è cambiata è la sua pedalata. Quella è identica, così come la sua espressione. Che sia “a tutta” o a spasso, Quintana è impassibile. Ed è incredibile. Resta sempre bella la sua cadenza da scalatore, con la gamba che spinge bene il rapporto. Quel femore così lungo che gli consente di girare rapporti da passista… e infatti si difende anche a crono.

E non è cambiata neanche la sua capacità di cavarsela nei ventagli e nelle situazioni difficili di corsa. La maglia rosa del 2014 è sempre rimasta davanti anche in questo Tour.

Anche sul pavè, nonostante sia uno scalatore, il colombiano se la cava alla grande
Anche sul pavè, nonostante sia uno scalatore, il colombiano se la cava alla grande

Un altro ciclismo

Rispetto a quel Nairo del 2013, più che lui è cambiato il ciclismo. Gli attori protagonisti sono altri. Questo sport ha visto uno step ulteriore dal punto di vista scientifico e anche tattico se vogliamo. Una volta c’era la Sky e tutti a ruota, a saltare man mano come birilli sotto il suo forcing. 

Adesso bisogna essere pronti magari a 80 chilometri dall’arrivo e bisogna esserlo nel testa a testa. Chiaramente la questione gambe resta centrale. Ma per chi è cresciuto in un certo modo adattarsi al cambiamento non è così scontato.

«Adesso – ha raccontato Quintana nelle interviste dopo gli arrivi – è così. Un giorno ne salta uno e una volta ne salta un altro. In questo Tour spero che la mia brutta giornata sia passata. E’ vero, spesso sono rimasto solo, sia nella tappa del Granon che in quella dell’Alpe d’Huez. E che ci crediate o no, si consuma molto in queste situazioni. Spero di no, ma penso che alla fine pagherò tutto questo».

Sull’Alpe d’Huez Nairo ha vissuto la sua giornata più dura, staccandosi quasi subito dai big
Sull’Alpe d’Huez Nairo ha vissuto la sua giornata più dura, staccandosi quasi subito dai big

Tra caldo e podio

Nelle sue interviste più volte Nairo ha parlato del caldo. Lui lo soffre molto. Addirittura Michele Bartoli, che lo seguiva fino alla passata stagione, ci parlò di problemi di respirazione al limite dell’asma per il colombiano, quando la colonnina di mercurio sale.

E a ben pensare molte sue grandi vittorie le ha ottenute col freddo: la tappa del Terminillo sotto la neve alla Tirreno del 2015, la frazione di Val Martello con la bufera dello Stelvio l’anno prima. 

«Io e la mia squadra – dice Quintana – continueremo a lottare. Sulle Alpi tutto sommato è andata bene. Mi sono solo un po’ distratto nei primi momenti quando mi sono staccato sull’Alpe d’Huez, ma il ritmo era più alto rispetto al giorno del Granon.

«Guardiamo avanti ma non è facile, perché sui Pirenei sono previste temperature oltre i 35 gradi e questo un po’ mi preoccupa».

Fermo restando che tutto è ancora aperto, e ipotizzando che la maglia gialla sia un discorso a due fra Vingegaard e Pogacar, per il terzo gradino del podio la lotta è ancora di più incerta.

«Sull’Alpe ho pagato un po’, ma il podio resta nella mira», ha detto Quintana.

Secondo Bartoli, Quintana per rendere non deve solo stare bene fisicamente, ma deve sentire anche un buon ambiente in squadra
Per Bartoli, Quintana per rendere bene non deve solo stare bene fisicamente, ma deve sentire anche un buon ambiente in squadra

Questione di clima

La rincorsa a questo podio passa anche dall’esperienza e dalla tranquillità. Non che nei giorni del Tour (e anche in passato) Nairo sia stato un super chiacchierone, però nei momenti dedicati alla stampa non si è mai tirato indietro. E questo è indice di tranquillità. La stessa che ha mostrato nel post tappa di Megeve.

Quel giorno i corridori per tornare ai bus dovevano percorrere i 7 chilometri finali del percorso al contrario. In fondo c‘era una rotatoria e il caos totale. Nessuna indicazione per i bus.

Quintana è stato l’unico che ha chiesto le indicazioni con calma e gentilezza e anche dopo aver imboccato una strada sbagliata non si è alterato, come invece hanno fatto molti suoi colleghi che magari neanche lottavano nelle posizioni di vertice. Una piccola cosa, che però magari conta.

«Quintana – racconta Bartoli – per andare forte ha bisogno del flusso giusto. E il flusso giusto è l’ambiente che funziona in squadra. Un po’ come ero io. Se sente la squadra come una famiglia Nairo rende e bene.

«Per me se sta bene, può ancora lottare a livelli alti, molto alti. Anche perché so come si allena, so che fa la vita da atleta ed è un pro’ vero»

Bettiol, un grande sogno durato troppo poco

16.07.2022
6 min
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Si gioca tutto in pochi secondi ed è paradossale, a capo di una tappa di 192 chilometri e di una fuga partita da lontano. La salita dell’aeroporto di Mende è il teatro perfetto perché Bettiol torni alla vittoria. Matthews ha il destino segnato.

La grande illusione

C’è andato in qualche modo vicino a Megeve e adesso Alberto ha la bici che gli scappa di sotto. La gente ai lati è folle, accaldata, colorata e rumorosa. I corridori ne percepiscono la presenza attraverso i suoni e gli odori. La strada è un budello, la loro presenza in qualche modo li opprime. E ora finalmente Alberto aggancia Matthews. Povero australiano, dovrà nuovamente accontentarsi del secondo posto, come già a Longwy e Losanna.

Bettiol ha tirato tutto il giorno e in finale ha corso per sé: abbiamo davvero creduto che stesse vincendo
Bettiol ha tirato tutto il giorno e in finale ha corso per sé: abbiamo davvero creduto che stesse vincendo

Il tempo perché prenda fiato, adesso lo lascia lì. Tre. Due. Uno. Bettiol si alza sui pedali e scatta col rapporto più lungo. Come l’anno scorso a Stradella, come al Fiandre, come il gatto che mangia il topo. Neanche si volta, copione già scritto. E Matthews si siede. Bettiol vincitore a Mende sul traguardo di Jalabert, finalmente un italiano al Tour dopo Nibali nel 2019.

«Si era messo tutto male come l’anno scorso a Stradella – racconta – credevo che arrivassero i quattro che si erano avvantaggiati. Poi mi sono sbloccato, in questa fase di Tour con le sensazioni che vanno e vengono. Un continuo up and down. E così sono scattato secco, anche per dargli una botta morale…».

Matthews non molla

Ma la botta non arriva. Si gioca tutto in pochi secondi ed è paradossale, a capo di una tappa di 192 chilometri e il rodimento interiore per l’occasione sfumata ieri a Saint Etienne, quando la sua sola Bike Exchange-Jayco si è messa a tirare, quasi per espiare l’erroraccio di aver lasciato andar via la fuga.

La salita di Mende con lui non c’entra niente, pensa Matthews mentre la addenta, dopo essere stato il primo a evadere dalla grande fuga. La fatica si fa sentire, ma il baccano della gente copre anche il mal di gambe e questo tutto sommato è un bene. Fanno così tanto rumore che quasi non ha sentito arrivare Bettiol. E quando l’italiano gli è dietro, Matthews ha giusto il tempo di guardarlo in faccia e intuirne la fame. Ma sarà profonda quanto la sua? Bettiol attacca. Le gambe sono dure e quel senso di crampo rende Matthews fragile. Però amico, pensa stringendo i denti, oggi non vai da nessuna parte…

«Questa tappa è la storia della mia carriera – racconta – ho avuto così tante montagne russe, su e giù. Mia moglie e mia figlia hanno sempre creduto in me. Ma ogni volta sono stato buttato giù. Ogni volta la stessa storia. E mi hanno detto: alzati. E anche io questa volta mi sono detto: alzati!».

All’ultimo round

Si gioca tutto in pochi secondi, che durano una vita e tutto sommato la raccontano. Bettiol è davanti, come Trentin al mondiale del 2019, serbando in cuore quel senso di vittoria tanto a lungo rincorsa che invece ti tradisce, perché in qualche modo ti fa abbassare la guardia. Oppure per staccarlo ha fatto un fuori giri di troppo, mentre Matthews non è mai affondato del tutto. Si è gestito e appena la strada si fa meno cattiva, cambia ritmo e si fa nuovamente sotto.

Sfinito al traguardo, Matthews ha dimostrato di non essere un velocista e ha dedicato parole toccanti alla famiglia
Matthews ha dimostrato di non essere un velocista e ha dedicato parole toccanti alla famiglia

E poi, come Evenepoel che se ne è andato col rapporto nella parte più morbida della Redoute, Matthews passa al contrattacco. E questa volta la botta morale si abbatte sul toscano. La gente intorno è quella ai piedi del ring, che percepisce il riscatto del pugile che finora le ha solo prese e tifa perché lo spettacolo duri a lungo. Non tengono per uno in particolare, vorrebbero solo che non finisse mai.

«In pianura – ammette Bettiol – ha avuto uno scatto in più che a me è mancato. Ho avuto via libera dai compagni e mi dispiace non aver ripagato la loro fiducia. Avevo una grande gamba, ma quando non si vince girano le scatole. Sto bene. Ho la fiducia dei compagni e dei direttori di questa squadra meravigliosa. E spero nei prossimi giorni di ripagarli».

Per le sue donne

Matthews si volta, Bettiol è sparito. Le mani sul casco. Sugli occhi. Le braccia larghe ad abbracciare il pubblico e riempirsi il petto di ogni scheggia dispersa di emozione. Difficile dire dove abbia pescato la forza per non andare a fondo, forse semplicemente ha avuto il coraggio di farsi più male di quanto gliene stesse facendo il suo avversario.

Così Matthews sul traguardo, assorbendo la luce di questo sole torrido e stupendo
Così Matthews sul traguardo, assorbendo la luce di questo sole torrido e stupendo

«Questo è per mia figlia – dice e trattiene le lacrime – ha quattro anni e volevo solo mostrarle che tutto il tempo in cui sono via e ogni cosa la faccio per lei. E oggi era quel giorno e sono riuscito a dimostraglielo. Ieri è stata una grande occasione persa. La squadra ha tirato per portare allo sprint me o Dylan (Groenewegen, ndr), ma ci siamo svegliati troppo tardi. Era davvero una tappa buona per me in questo blocco di tre giorni cui il nostro team mirava nella seconda settimana. Dovevo fare qualcosa.

«Per me erano finite le occasioni. Allora ho deciso di mostrare a tutti che non sono solo un velocista. Posso anche correre come ho fatto oggi. E l’ho fatto pensando a mia figlia su quell’ultima salita fino al traguardo. A mia moglie e a quanti sacrifici faccia per realizzare i miei sogni. Spero che questa volta ho mostrato loro il motivo per cui abbiamo rinunciato a così tante cose».

Pogacar ha attaccato poi ha fatto la volata, ma alle sue spalle Vingegaard è stato una presenza molto lucida
Pogacar ha attaccato poi ha fatto la volata, ma alle sue spalle Vingegaard è stato una presenza molto lucida

Cercasi dèja vu

Alle loro spalle sostanzialmente il nulla. Un paio di attacchi di Pogacar su una salita per lui breve e la difesa d’ufficio di Vingegaard, con il finale allo sprint già visto anche negli ultimi giorni. Gli altri sbriciolati o quasi, a dimostrare che il Tour è una partita a due. Ci saranno occasioni migliori, forse già domani verso Carcassonne o più probabilmente nei tre giorni sui Pirenei.

Se anche non riuscirà a riprendersi la maglia gialla in salita, l’obiettivo per Pogacar potrebbe essere arrivare alla crono con meno di un minuto di ritardo, per ripetere se possibile il miracolo del 2020. Quando vestiva la maglia bianca. E aveva davanti di 57 secondi un corridore della Jumbo Visma ugualmente vestito di giallo.

Ganna inventa e Pedersen conclude nell’afa di Saint Etienne…

15.07.2022
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A fugare il dubbio che Pedersen abbia fatto una furbata ad attaccare mentre cercava di prendere qualcosa dalla tasca ha pensato lo stesso Ganna, abituato a dire le cose come stanno.

«Volevamo andare in fuga anche oggi – dice il piemontese dopo l’arrivo – e fare una bella cosa per il secondo giorno consecutivo dopo la vittoria di Pidcock. Per questo sono partito, ma quando Pedersen ha attaccato, non ne avevo più tanta. Al momento del suo scatto avevo la mano in tasca per prendere un gel, ma non credo che se l’avessi avuta sul manubrio, sarei riuscito a stargli dietro».

Pippo che tira per i suoi leader alla Ineos Grenadiers. Pippo che manda giù la crono sfumata e si infila nelle fughe. Poi Pippo che punta all’ultima crono, ma forse non gli basta. Infine Pippo che nel primo Tour prende le misure e porta via la fuga con la stessa sicurezza con cui fino a ieri l’ha fatto Van Aert. Pippo che ancora non ha detto tutto.

Un Tour incredibile

E così Mads Pedersen, corridore di 26 anni in maglia Trek-Segafredo, fa sventolare la bandiera danese sul traguardo del Tour, unendosi alla maglia gialla Vingegaard. Lo fa con un’azione che ci ha ricordato i mondiali di Harrogate. Ma mentre in quell’occasione si nascose e puntò sull’effetto sorpresa, questa volta ha indossato i panni del favorito. Ha scremato la fuga. Ha rintuzzato gli allunghi di Houle e Wright e poi li ha staccati in volata. A conferma che gli arrivi ristretti sono il suo forte. Come imparammo a spese di Trentin (e anche nostre, avendoci creduto tanto) in quel mondiale fradicio di tre anni fa.

«E’ un Tour incredibile – dice il vincitore – e vincere questa tappa lo è di più. Sapevo di essere in buona forma e di aver perso alcune opportunità nella prima settimana. Non c’erano molte altre opportunità, per questo è davvero bello essere sul gradino più alto. Non solo per me, ma anche per tutta la squadra. Siamo venuti qui solo con cacciatori di tappe e ora ci siamo riusciti».

La Trek family

La squadra è il filo conduttore. Per questo nei giorni scorsi l’annuncio del rinnovo del contratto è stato celebrato quasi come una vittoria.

«Questa squadra – ha detto nei giorni scorsi – mi ha dato l’opportunità di salire al livello WorldTour. Questo è il mio sesto anno con la Trek-Segafredo e ne ho aggiunti altri tre. Stare con una squadra per nove anni è speciale e questa per me è una seconda famiglia. Ecco perché sono voluto restare. Il nostro gruppo per le classiche si rafforza ogni anno. Aiutare la squadra a migliorare è per me importante».

Partendo da Copenhagen, era lecito aspettarsi che Pedersen pensasse di lasciare il segno. Tuttavia la cifra del Tour 2022 è la follia di certi giorni e di certe andature e occasioni per lui non si sono presentate.

Ganna e Kung, due dei motori più potenti del Tour hanno portato via la fuga
Ganna e Kung, due dei motori più potenti del Tour hanno portato via la fuga

La scelta giusta

Oggi Pedersen ha approfittato del grande forcing di Ganna e Kung, poi ha chiesto a Quinn Simmons di farsi portare nel tentativo e di tirare fino a che ne avesse. E quando il ragazzone di Durango si è spento sull’ultima salita che ha tagliato definitivamente fuori le chance dei velocisti, Pedersen si è ricordato d’essere stato campione del mondo e ha fatto da sé.

«Se la fuga fosse stata composta da più di quattro persone – ha spiegato – il piano era che ci fossimo anche noi. Che ci fossi io. Non sapevamo come le altre squadre avrebbero affrontato l’ultima salita a 45 chilometri dal traguardo e se fossi stato nel gruppo con gli altri velocisti, magari sarei rimasto staccato. Per parecchi chilometri ho pensato che fosse un errore essere in fuga, perché avevamo solo due minuti, ma alla fine si è rivelata la scelta giusta».

La resa di Caleb

I poveri velocisti infatti hanno alzato presto bandiera bianca. Il solo che avrebbe potuto tenere era Caleb Ewan, che però è caduto.

«In realtà oggi mi sentivo davvero bene – dice dopo l’arrivo – avevamo mandato avanti due uomini per controllare la fuga. Poi non so cosa sia successo in quella curva. Non ho potuto evitare la caduta, quindi adesso mi fanno male il ginocchio e la spalla. Ho capito subito che non ce l’avrei fatta. Finora ci sono stati solo due sprint di gruppo, non è sicuramente un buon Tour per i velocisti. In più metteteci la sfortuna! Sono certo che mi riprenderò e speriamo che il vento cambi».

Ewan è caduto e affranto: il Tour non sorride agli uomini veloci
Ewan è caduto e affranto: il Tour non sorride agli uomini veloci

La voce del padrone

Il colpo di grazia agli altri due Pedersen l’ha dato prima attaccando e poi nella volata, anche se Trentin da casa con un messaggio in risposta al nostro ha sottolineato che gli altri due non lo abbiano attaccato davvero a fondo. Forse è vero, forse semplicemente non ne avevano più.

«Non volevo arrivare con troppi corridori – dice – perché altrimenti sarebbe stato troppo difficile controllarli, quindi ho provato ad attaccare e per fortuna il gruppo di testa si è spezzato. Eppure non sono stato sicuro di vincere finché non ho tagliato la linea».

Per Pedersen all’arrivo anche il numero rosso di più combattivo
Per Pedersen all’arrivo anche il numero rosso di più combattivo

Nel segno di Jaja

E mentre nei 31 gradi di Saint Etienne si festeggia un velocista nel giorno in cui i velocisti sono usciti di scena, gli sguardi degli uomini di classifica sono puntati sulla tappa di domani, piena zeppa di salite. Con questo caldo che squaglia l’asfalto e fa scappare le ruote e dopo le fatiche alpine, il giorno di Mende promette di fare male. In quei 3 chilometri al 10 per cento di pendenza media, su cui il 14 luglio del 1995 si impose Laurent Jalabert, l’esplosività di Pogacar potrebbe vedere la prima rivincita su Vingegaard. Anche domani, ragazzi, ci sarà ben più di un motivo per seguire la Grande Boucle.

Con Mazzoleni il punto sulla stagione balorda di Moscon

15.07.2022
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L’impegno e la voglia di tornare ai livelli che gli competono non sono bastati a Gianni Moscon. Quest’anno il trentino proprio non riesce ad ingranare. Il Covid ad inizio stagione gli ha segato gambe e, finora, i sogni di gloria.

Il corridore dell’Astana Qazaqstan ha dovuto lasciare il Tour de France ben prima del previsto. Si era nel corso della tappa con arrivo a Losanna e Gianni ha detto basta. La “foto” del suo Tour è tutta nella tappa del pavè (in apertura). Lui che potenzialmente poteva essere uno dei favoriti per quella frazione è arrivato ultimo.

Maurizio Mazzoleni, segue Moscon da quest’anno…
Maurizio Mazzoleni, segue Moscon da quest’anno…

Parola a Mazzoleni

Durante i giorni del Tour ne abbiamo parlato con il suo preparatore, Maurizio Mazzoleni.

«In effetti – spiega Mazzoleni – è una stagione un po’ particolare per tutti, anche per altri atleti di altri team e di altri sport, non solo per Gianni. Bisogna allargare la discussione un po’ più in generale per capirla e analizzarla al meglio».

E questo è vero. Agli imminenti mondiali di atletica leggera, per esempio, ci sono stati molti forfait e si sono viste prestazioni altalenanti nel corso della stagione da parte di atleti che avevano avuto il Covid. E anche ai mondiali di nuoto ci sono stati ragazzi e ragazze con dei “buchi” pazzeschi.

«Con i nostri medici stiamo facendo tutti gli approfondimenti del caso e presto faremo il punto della situazione. Gianni comunque è un atleta propositivo e ha sempre provato durante l’anno a trovare la migliore condizione per correre. Questa non è arrivata e sta anche alla nostra equipe trovare una soluzione.

«Ma serve pazienza. Siamo un team di professionisti e sicuramente una soluzione la troveremo».

A Copenhagen Moscon (che saluta) aveva grande entusiasmo. La voglia non è mai mancata (foto Instagram – @gettysport)
A Copenhagen Moscon (che saluta) aveva grande entusiasmo. La voglia non è mai mancata (foto Instagram – @gettysport)

Ritiro ponderato

Pertanto il ritiro di Moscon è stato concertato. Non si è trattato di un fulmine a ciel sereno. Inutile continuare in quel modo. Inutile insistere se ogni giorno il corridore va più piano e fa più fatica. E’ solo un trascinarsi verso non si sa cosa.

Nonostante al Giro di Svizzera c’erano stati dei segnali positivi. Prestazioni non costanti, è vero, ma quelle buone avevano dato fiducia a Gianni e al suo staff. La speranza è che le cose con qualche giorno in più si sarebbero definitivamente sistemate al Tour. Non è andata così.

«Né l’atleta, né la squadra vorrebbero mai ritirarsi da una competizione – riprende Mazzoleni – Però quando ci si trova davanti a una situazione in cui la soluzione migliore è quella del ritiro, la si analizza insieme, la si valuta e infine la si prende. Anche se dispiace».

Il morale di Moscon chiaramente non è alto, tanto più che il trentino, anche se non sembra, è alquanto sensibile. Però è proprio qui che bisogna tenere duro e per farlo è importante guardare avanti, come di fatto stanno già facendo Mazzoleni e l’Astana.

Per Moscon (classe 1994) si è trattato del settimo ritiro in stagione su 12 gare disputate, quelle a tappe incluse
Per Moscon (classe 1994) si è trattato del settimo ritiro in stagione su 12 gare disputate, quelle a tappe incluse

Quale piano di rientro?

Proprio con Mazzoleni già alla Tirreno si parlava del recupero lento e senza fretta di Moscon. Un rientro che assolutamente non voleva forzare i tempi.

«Abbiamo provato a rispettare questa tabella di marcia – dice il tecnico – E in effetti, dopo la sosta, tra l’altro uno stacco davvero importante che solitamente non si fa in quel periodo della stagione (primavera, ndr), qualche buona risposta c’è stata. 

«Abbiamo attivato un protocollo di riavvicinamento alle gare molto graduale. Abbiamo pensato un’altura in maniera proporzionata a quelle che erano le sue condizioni… ma non è bastato e quindi proveremo altre strade. E ci riusciremo sicuramente».

«Gianni è un ragazzo determinato che ha un grande talento: sono certo che otterremo dei successi anche con lui. 

«Per adesso la tabella è di attenerci, come sempre, ai nostri protocolli sanitari. Pertanto farà tutti gli accertamenti necessari e una volta trovata la causa, vedremo cosa fare per il rientro agli allenamenti. Le tempistiche però potremo determinarle solo dopo questi esami. Per adesso Gianni non pedala».

Marcato, un altro Tour e sempre… in fuga

15.07.2022
5 min
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La sua ultima volta al Tour fu nel 2020, quando si ritrovò a lavorare per il giovane sloveno che al penultimo giorno ribaltò il trono di Roglic e conquistò la maglia gialla. Pochi se lo aspettavano, qualcuno poteva sperarlo. Marco Marcato era già nella fase in cui il corridore si chiede se valga la pena continuare, ma di fronte a quella ventata di entusiasmo rimase in sella per un altro anno e poi scelse di scenderne per salire sull’ammiraglia.

Ritorno in Francia

Il suo ritorno al Tour è avvenuto quest’anno, sull’ammiraglia che quotidianamente anticipa la tappa e svela trappole e segreti ai direttori sportivi. Un ruolo che ha preso piede da qualche anno, come in primavera ci raccontò Vittorio Algeri. Un ruolo in cui il padovano può mettere ancora a frutto il suo occhio di corridore, in una sorta di viaggio verso l’età adulta. Oltre alle strade infatti, Marcato ha iniziato a scoprire tutto ciò che c’è intorno ai corridori. E ha capito di aver vissuto per anni in una bolla estranea a tutto il resto.

Ieri a Briançon, breve summit fra Marcato, Hauptman, Agostini e Gianetti, prima di partire
Ieri a Briançon, breve summit fra Marcato, Hauptman, Agostini e Gianetti, prima di partire

«Ho visto un’organizzazione – racconta – che da corridore magari non vedevo. La gestione di tutti i mezzi, ad esempio. Anche il semplice fatto che per ogni tipo di targa, c’è un parcheggio dedicato. C’è una via di uscita dedicata ai mezzi fuori corsa e un punto prestabilito per rientrarci. Anche andare alla feed zone, alla zona rifornimento, non è così semplice. Insomma, tante cose che da corridore non riesci a vedere, non te ne accorgi. Sei impegnato a correre, quindi non vedi quello che ti succede attorno. Pensi ai chilometri e a dove sia la borraccia, ma per far sì che la borraccia sia lì, la squadra fa un grosso sforzo. Ci sono tanti che lavorano dietro».

Cosa ti pare del tuo ruolo?

Nuove esperienze, un punto di vista diverso. Anche il fatto che io sia davanti alla corsa per dare indicazioni a chi è dietro mi permette di capire tutta l’organizzazione. Quanto a me, segnalo le strade o se c’è qualche punto tecnico. Quindi ad esempio le rotonde da prendere a destra o sinistra, in base alla via più veloce. Le curve più pericolose. Poi anche il vento, che nelle prime tappe ha dato fastidio.

Tappa di Longwy vinta da Pogacar. Marcato è già al pullman e accoglie Soler
Tappa di Longwy vinta da Pogacar. Marcato è già al pullman e accoglie Soler
La tappa del pavé?

Ho cercato di dare più informazioni possibili, lo faccio ogni giorno. Affinché i corridori abbiano chiara la situazione che li aspetterà nei chilometri successivi. Per la tappa del pavé sapevamo che Pogacar potesse fare bene, ma ugualmente ho segnalato le possibili cause di cadute o forature.

Di quanto tempo anticipi la partenza ufficiale?

Raggiungo la squadra per il meeting. Quindi ascolto un po’ quelli che saranno i programmi della giornata. E poi mi avvio davanti alla corsa, appunto per segnalare eventuali pericoli e situazioni che potrebbero creare appunto dei problemi durante la tappa.

Quindi la riunione si fa la mattina?

Si, normalmente la facciamo la mattina quando arriviamo al parcheggio dei bus. Di solito siamo lì un’ora e tre quarti prima della partenza, così abbiamo tempo per fare la riunione che dura circa mezz’ora. E poi restano il foglio firma e la partenza.

Sul pullman la riunione del mattino è gestita da Matxin e Hauptman (foto Fizza/UAE)
Sul pullman la riunione del mattino è gestita da Matxin e Hauptman (foto Fizza/UAE)
Fra voi direttori si fa un meeting dopo la tappa?

Sì, di solito si parla la sera, finita la tappa. Per capire quello che è stato e quello che sarà il giorno dopo. E come improntare la strategia della corsa. Ragioniamo da squadra, tutti dicono la loro opinione, poi è logico che alla fine le decisioni le prende il primo direttore. Giustamente si prende anche la responsabilità. Si dà ascolto a tutti e si fa sintesi.

Quando sul Granon si è staccato Pogacar avevi segnalato qualcosa?

C’erano dei punti pericolosi con delle rotonde anche per prendere la salita dei Lacets de Montvernier. Non ero tanto avanti, quindi la fuga non era ancora partita e nel caso in cui i corridori fossero arrivati a quel punto tutti in gruppo, sarebbe stato importante prenderla davanti, perché poteva dare dei problemi. Devi pensare anche a queste situazioni. Anche a fine discesa c’erano dei tratti tecnici. Le macchine dietro queste cose non possono saperle.

Le indicazioni di Marcato arrivano all’ammiraglia e da qui ai corridori
Le indicazioni di Marcato arrivano all’ammiraglia e da qui ai corridori
Ci sono anche gli strumenti per sapere come andrà la strada?

Abbiamo tutto quello che serve per vedere col computer le strade, le pendenze, tutto quanto. Però avere qualcuno avanti al momento giusto ti può dare delle indicazioni anche in base a come si sta evolvendo la corsa. Penso sia importante.

Dov’eri quando Tadej si è staccato?

Ai 6 chilometri. Stava ancora bene. Gli ho passato la borraccia e ho aspettato il momento di andare su. Non potete immaginare la sorpresa quando mi hanno raccontato come fosse finita…

Pidcock come Harry Potter. Magie in discesa, vittoria sull’Alpe

14.07.2022
5 min
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Questa mattina al via Thomas Pidcock era molto serio. Molto più del solito. Era uno dei pochi che stava facendo i rulli sulla sottile striscia di ombra del suo bus. Torso semi-nudo e pantaloncini, mulinava gambe e pensieri nella testa.

Alla luce di tutto questo, poteva starci che stesse tramando qualcosa. La riunione in casa Ineos-Grenadiers l’avevano già fatta.

E noi? Il tempo di montare in auto per fare il trasferimento da Briançon all’Alpe d’Huez e appena arrivati in sala stampa ce lo siamo ritrovati a fare pieghe da MotoGp con Froome a ruota.

Al via di Briancon, l’inglese era concentrato sui rulli, uno dei pochi a farli
Al via di Briancon, l’inglese era concentrato sui rulli, uno dei pochi a farli

Biker inside

Pidcock ha sempre dichiarato di essere un biker, prima ancora di uno stradista. La scorsa domenica si è disputata una super classica di Coppa del mondo: il cross country di Lenzerheide, tra l’altro vinta dal nostro Luca Braidot. Una bolgia con i suoi 50.000 e passa spettatori. Lenzerheide, in Svizzera, corrisponde ad un Fiandre per il Belgio o a una Roubaix per la Francia.

«Mi sarebbe molto piaciuto esserci», aveva detto il campione olimpico in carica. Chissà se adesso dopo questa vittoria prestigiosa sull’Alpe d’Huez, tappa regina del Tour de France, la pensa ancora così?

«Sono davvero felice – ha raccontato l’inglese – ho vinto su una salita iconica. Tutta quella gente lungo la scalata. E’ stata una delle esperienze più belle e folli della mia vita. E’ incredibile».

Dopo l’arrivo, al termine comunque di una scalata gestita con coraggio, Tom crolla. Non proprio sulla linea, come Vingegaard alla Planche, ma appena lo portano nella zona transennata del podio. Lì, si siede. Abbraccia il massaggiatore che lo ha sostenuto e per qualche istante sembra scoppiare in lacrime. Poi mette la testa tra le mani e respira profondamente.

Una discesa storica

Nella discesa che conduceva dal Galibier alla valle della Maurienne, Pidcock ha regalato emozioni. Si è vista tutta la sua classe nel guidare la bici. Non si è campioni olimpici di mtb per caso! Curve rotonde, fatte ad un velocità di entrata pazzesca e una d’uscita altrettanto elevata. Sfruttava tutta la strada.

«Per me è naturale. Credo di essere sceso sempre in sicurezza – dice Pidcock – ho sempre avuto un buon feeling con la bici, con le gomme. Sì – aggiunge scherzando – ogni tanto mi ritrovavo Froome in frenata!».

Sir Bradley Wiggins che lo seguiva era in estasi. Non credeva ai suoi occhi. Un vero show. Specie dopo che ha toccato e superato i 100 chilometri orari in più di un’occasione. Volava. Ha tirato delle curve che sono state delle vere magie. Magie degne del suo connazionale Harry Potter!

Voglia di vincere

Questa tappa però la voleva. La voleva lui e la voleva la sua squadra. A conti fatti era l’unico che poteva fare qualcosa. Thomas era troppo marcato e gli altri non avevano gamba a sufficienza su un percorso simile.

«In realtà la volevo già da un po’ – dice Pidcock – Avrei voluto fare bene anche nella quinta tappa (quella del pavè, ndr). Ma non era facile azzeccarla e azzeccare la fuga in quelle successive. Anche oggi all’inizio la Jumbo-Visma ha controllato molto, non ha lasciato spazio. E infatti in cima al Galibier il distacco dai fuggitivi non era tanto e così ci ho provato».

Giustamente Pidcock ha pensato che Vingegaard e i suoi non si sarebbero presi troppi rischi per rintuzzarlo. Alla fine lui aveva pur sempre 11’12” di ritardo dalla maglia gialla. E ha pensato bene.

Ma anche la sua scalata è stata ottima al pari (quasi) delle sue discese.

«Una scalata folle. Con tutta quella gente non riuscivo a sentire la radiolina, non capivo nulla. Però è stata un’emozione, una spinta pazzesca».

Non capiva nulla ma l’ha gestita alla grande. Non ha esagerato nelle prime rampe e dopo la sua accelerazione è stato più di 4 chilometri con Meintjes a 5″-10″, il che non è una bella sensazione per chi cerca di scappare. Ti senti sempre il fiato sul collo e non hai la certezza di essere il più forte. Poi pian piano il baratro si è aperto e il campione di Leeds ha potuto spiccare il volo anche in salita.

«Fino ai 2 chilometri dall’arrivo – ha concluso Pidcock – non sapevo cosa stesse succedendo. Se davvero potevo vincere. Non sapevo se andare duro, se andare agile e quanto spingere».

Rudy Project Egos, nuovo al Tour per la Bahrain Victorious

14.07.2022
3 min
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Per i più attenti non sarà una novità, per tutti gli altri è una piacevole sorpresa. Durante questo Tour de France, il Team Bahrain Victorious sta utilizzando il nuovo casco Egos firmato Rudy Project. L’azienda trevigiana ha infatti fornito in dotazione esclusiva il nuovo prodotto agli atleti in attesa che venga lanciato sul mercato a settembre.

Egos è un casco disegnato per fendere l’aria e farla scivolare al suo interno, realizzato per ottimizzare tutte le sue caratteristiche di ventilazione, comfort e sicurezza. La gamma Rudy Project ora vanta un prodotto top sotto tutti gli aspetti in grado di solcare i Pirenei e le strade francesi al fianco degli atleti professionisti. 

Il design è accattivante e studiato per fare della leggerezza e del comfort le sue caratteristiche dominanti
Il design è accattivante e studiato per fare della leggerezza e del comfort le sue caratteristiche dominanti

Morbidezza

La sicurezza non è il solo aspetto che rende questo casco un top di gamma degno della Grande Boucle. Il comfort su questo prodotto è impareggiabile anche grazie al sistema Dual Density. La calotta interna di Egos si distingue per la sua duplice funzione.

La forma permette una maggiore ventilazione nella parte superiore della testa, garantendo così una maggiore sensazione di comfort. Per questo elemento protettivo gli ingegneri hanno studiato un sistema d’areazione che favorisca la freschezza senza però andare a discapito dell’aerodinamica. La struttura invece è caratterizzata da una densità più morbida rispetto alla calotta interna, che assicura così un maggiore assorbimento degli urti ed un abbassamento del peso del casco.  

La calotta interna lavora in sinergia con quella esterna donando comfort di utilizzo in ogni condizione
La calotta interna lavora in sinergia con quella esterna donando comfort di utilizzo in ogni condizione

Sicurezza a 360°

Il mantenimento del casco in posizione durante l’uscita e soprattutto durante l’impatto è fondamentale per la resa complessiva d’efficienza di sicurezza. Grazie alla geometria del nuovo Ergo Devider, il ciclista è in grado di regolare una sola volta il lacciolo e mantenere così una posizione costante e “pulita” per l’intera uscita.

La nuova chiusura del lacciolo è pensata per essere più veloce e sicura grazie al un sistema di aggancio magnetico Fidlock, pratico e sicuro. Con queste due tecnologie implementate la sicurezza e il comfort sono stati migliorati ed elevati ad un livello successivo sotto tutti gli aspetti. Il peso si differenzia in base alla taglia: S (51-55cm) 230 grammi, M (55-59 cm) 250grammi, L (59-63 cm) 280 grammi. 

Il sistema di regolazione, permette attraverso il rotore di trovare il fitting perfetto
Il sistema di regolazione, permette attraverso il rotore di trovare il fitting perfetto

Aerodinamica intelligente

In gruppo si vedono forme e design di ogni tipo, l’efficienza aerodinamica spesso viene estremizzata a scapito di una freschezza d’utilizzo che soprattutto nei mesi estivi non deve essere trascurata. L’Egos dispone dell’Airframe Band, uno spoiler posizionato nella parte frontale a contatto con la fronte e nascosta dal casco. Questa banda permette di incanalare il flusso dell’aria all’interno agevolando così la ventilazione ed un raffreddamento ottimale della testa.

La struttura estetica è realizzata in simbiosi con quella interna in particolare con il Sistema Antiscalzamento RSR11. Questa tecnologia permette una calzata ottimale grazie alla struttura avvolgente e alle regolazioni micrometriche sia in altezza che in larghezza. A completare la sua intelligenza ingegneristica rivolta a comfort e sicurezza, Egos è dotato anche di una nuova imbottitura e di bugstop padding con retina anti insetti. Mentre per una maggiore visibilità sono presenti due adesivi riflettenti sulla parte posteriore. 

RudyProject

Impressioni al debutto. Bagioli e il suo primo Tour

14.07.2022
5 min
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D’Italia sin qui ne abbiamo vista poca al Tour, è vero. Ma quella che c’è è tutta di ottima qualità e in qualche caso anche di grande, grandissima speranza. Come quella che i tifosi possono riporre in Andrea Bagioli, gioiellino della Quick Step-Alpha Vinyl, alla sua prima Grande Boucle.

Ieri ha provato ad andare in fuga. Ha messo la testa fuori e tutto sommato non ne siamo rimasti così sorpresi. Avevamo parlato con lui la sera di Megeve e finalmente dopo qualche giorno così, così lo avevamo visto fiducioso e sorridente.

Nella crono di Copenhagen Andrea (classe 1999) ha chiuso al 56° a 52″ dal compagno Lampaert
Nella crono di Copenhagen Andrea (classe 1999) ha chiuso al 56° a 52″ dal compagno Lampaert

Inizio tosto

«In Danimarca stavo anche bene – racconta Bagioli – poi dopo il primo giorno di riposo ho iniziato a stare un po’ male. I tamponi però erano negativi e poi sono emersi problemi di stomaco. Non mangiavo quasi niente, neanche in gara.

«Ma da domenica sera sto migliorando. Lo sento».

Un inizio non facile per Andrea, ma con la tenacia ha superato questo momento di difficoltà. Per fortuna che lunedì scorso c’è stato un altro giorno di riposo: una manna in questi casi.

«Ho riposato totalmente. Non sono uscito in bici. Ne avevo bisogno sia sul piano fisico, che mentale. Sono rimasto in hotel, ho preso un po’ di sole e ho cercato di non appesantirmi troppo con il cibo. Mi è servito. E la differenza l’ho sentita subito alla ripresa delle tappe.

«Anzi, l’ho sentita alle prime pedalate, ma anche prima. Anche da come mi sono alzato dal letto. Avevo un altra gamba. E anche un altro umore».

«E infatti verso Megeve sono stato con i migliori fino agli ultimi 7 chilometri, poi mi sono staccato per stare tranquillo».

Andrea Bagioli verso il Col du Granon. Era stato anche in fuga ad inizio tappa
Andrea Bagioli verso il Col du Granon. Era stato anche in fuga ad inizio tappa

Dal Bernina al Tour

Inizialmente però i programmi di Andrea prevedevano altro. C’era il Giro e non il Tour, ma poi i malanni della primavera, un grande affaticamento, hanno scombussolato tutto.

«Non dovevo fare il Tour – riprende Bagioli – poi però in primavera la squadra mi ha detto che ero nella lista dei 12 da selezionare per la Francia e allora mi sono preparato bene. Mi sono messo giù deciso. Al Delfinato sono andato forte e mi hanno portato».

La notizia del Tour è arrivata dopo la corsa francese che fa da antipasto alla Grande Boucle. Bagioli era in ritiro in altura, sul Bernina. Era appena partito in allenamento, quando il telefono ha squillato e: «”Brama” mi ha detto che mi avrebbero portato. E’ stata una gran bella emozione. L’ho detto subito alla mia fidanzata e poi alla mia famiglia. Tra l’altro dovevo fare un giretto facile quel giorno e quindi me la sono proprio goduta.

«Il Tour è la gara che ho sempre sognato di fare. La corsa più importante al mondo, con i migliori ciclisti al mondo».

Sul pavè Bagioli non aveva grande esperienza, in più non stava bene e aveva anche forato (foto Instagram – @gettysport)
Sul pavè Bagioli non aveva grande esperienza, in più non stava bene e aveva anche forato (foto Instagram – @gettysport)

Impressioni del debutto

«E’ quello che mi aspettavo – spiega Bagioli – velocità alte, tanto stress in gruppo, tutti i giorni si va forte… La prima settimana ci sono state velocità folli, col gruppo sempre in fila indiana».

Tuttavia proprio quest’anno in qualche occasione la fuga è andata via al primo scatto. C’è stato un pizzico in più di tranquillità.

«In Danimarca sì. E infatti sono rimasto un po’ sorpreso e mi sono detto: ah, è anche facile il Tour! Ma quando siamo arrivati in Francia è cambiata la musica. Poi si sapeva che lassù sarebbe arrivata la volata e quindi era un po’ inutile tentare la fuga».

Grande sintonia tra Bagioli e Cattaneo (a sinistra): i due condividono anche la camera
Grande sintonia tra Bagioli e Cattaneo (a sinistra): i due condividono anche la camera

Sognando la fuga

Nella tappa del pavè quindi le cose non sono andate benissimo. Bagioli era nel pieno dei suoi malanni e in più ci si è masse anche la sfortuna.

«Ho forato – dice il lombardo – nel terzo settore. E ora che cambi la ruota, aspetti l’ammiraglia, gli altri sono già sul settore successivo. Quindi ho finito nel gruppetto. 

«Di solito si prende bene il gruppetto qui. Siamo sempre in 10-15. Il brutto è quando resti proprio nell’ultimo drappello in quattro, cinque. Allora lì è dura. Però c’è Cattaneo, con cui sono in camera, che mi dà tanti consigli. Con Mattia parlo molto. E anche nei giorni in cui le cose non andavano bene, di testa mi ha tenuto su».

Ma il Tour non è finito anzi. Ieri intanto Bagioli ha dato un bel segnale, poi si vedrà.

«Il sogno è vincere una tappa, magari trovare la fuga giusta e giocarmi le mie carte. Per il resto prevedo… un Tour duro!

«Anche per chi è davanti. Pogacar lo davo per favorito, ma come ho sempre detto avrebbe contato molto anche la squadra, tanto più che la UAE Emirates già ha perso due uomini».

Pogacar, per Hinault è stata fringale. «E oggi subito all’attacco»

14.07.2022
4 min
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Il Villaggio a Briancon deve ancora aprire, per questo c’è meno gente e Bernard Hinault ha qualche minuto in più da dedicarci. Il Tasso è al Tour per godersi lo spettacolo e non si può dire che ieri questo sia mancato.

Il vincitore di cinque Tour, tre Giri e due Vuelta ha 67 anni e appare in splendida forma. Si scusa ridendo per il cappello e dice che non vuole bruciarsi sotto questo sole che, malgrado siamo fra le montagne, picchia già sodo. E’ il giorno della Festa Nazionale francese e fra poche ore l’Alpe dHuez sarà giudice di una parte importante della corsa.

«Ieri è stato meraviglioso – dice con un sorriso – questi ragazzi mi ricordano il nostro modo di correre. Sono presenti all’inizio dell’anno, in estate e poi fanno il finale. E’ quello che facevano i corridori anziani come me ed è fantastico».

Al Villaggio di Briancon, un Hinault in veste di turista con bici.PRO
Al Villaggio di Briancon, un Hinault in veste di turista con bici.PRO
Si aspettava il crollo di Pogacar?

Proprio no, non ci aspettavamo che la maglia gialla avesse una defaillance così grande. Ma questo promette scenari molto interessanti per il Tour che sta arrivando. 

Pensa ci sia un motivo per questo crollo?

Penso che sia stata più una fringale, un calo di zuccheri. Non credo a un calo fisico. Quando lo abbiamo visto sul Galibier e poi ai piedi dell’ultima salita, non sembrava affatto sulla porta di una crisi. Ha recuperato tutti gli attacchi senza troppi problemi. Poi sull’ultimo scatto, ha ceduto di schianto. Bene, lo vedremo oggi e poi nei giorni che vengono

Si aspetta che possa attaccare già oggi?

Se fossi io al suo posto, attaccherei per riprendermi un minuto, non per la maglia. Per un po’ quella sta bene dov’è.

Vingegaard ha attaccato a 5 chilometri dall’arrivo, il crollo di Pogacar è stato istantaneo
Vingegaard ha attaccato a 5 chilometri dall’arrivo, il crollo di Pogacar è stato istantaneo
Si parla di Pogacar come del nuovo Hinault…

Ci sono cose in comune. Perché non ha paura, attacca. E penso che sarà ancora più pericoloso ora che è terzo piuttosto che se fosse primo. Opinione mia, sia chiaro…

Ha una squadra alla sua altezza?

No, no. Ed è la cosa che lo penalizza di più. Lo rallenta. Ecco perché deve lasciare la maglia a Vingegaard. Così potrà approfittare per risalire dei Pirenei e della cronometro.

Cosa pensa di Van Aert?

E’ un corridore eccezionale. Puoi pensare che sia più un corridore da classiche, invece anche oggi sarebbe capace di fare dei numeri in montagna. E la strategia che avevano ieri non è stata malvagia (sorride, ndr). Tutti pensano che non sarebbe dovuto andare davanti, invece nella valle si è rivelato un’ottima staffetta. L’abbiamo visto. Ha lottato per scalare il Galibier e dopo il Galibier ha aspettato i suoi leader in fondo. E’ lui che ha fatto tutto…

Pogacar è parso in forma fino al Galibier: questo il gesto del dare gas, colto dalle telecamere della tivù
Pogacar è parso in forma fino al Galibier: questo il gesto del dare gas, colto dalle telecamere della tivù
L’Alpe d’Huez all’indomani di una tappa dura come quella di ieri conviene o è rischiosa più a Vingegaard o a Pogacar?

A entrambi. Credo che entrambi rischiano di pagare della fatica di ieri. Oppure al contrario potrebbero approfittarne per guadagnare ancora. Lo potremo dire stasera, lo sapremo fra qualche ora.

Si allontana richiesto da un poliziotto per un selfie. E’ l’ultimo corridore ad aver vinto la Roubaix e il Tour nello stesso anno, un gigante, un concentrato di forza e coraggio. Uno di quelli che ancora adesso guardi con ammirazione e ascolti sempre volentieri. E la sensazione è che in cuor suo il grande bretone pensi ancora che il Tour lo vincerà Pogacar.