Laura Martinelli: «Una crono da fare… a secco»

14.05.2023
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E’ oggi il grande giorno della crono di Cesena che potrebbe essere addirittura decisiva per il Giro d’Italia. Di certo dopo questa tappa avremmo la classifica con la quale si determinerà l’andamento tattico del resto della corsa rosa. E una tappa così importante va preparata al meglio in ogni suo aspetto, tra questi l’alimentazione.

Laura Martinelli, nutrizionista della Jayco-AlUla, lo scorso hanno ci ha spiegato nel dettaglio il pre-crono. Come ci si alimenta, quanto, quando… E abbiamo imparato l’importanza di tenere a bada il peso soprattutto con la gestione di carboidrati e fibre. Va tenuta sotto controllo la ritenzione idrica. Pertanto poche verdure e i carboidrati quelli giusti al momento più opportuno. Ma nel durante? Cosa mangia un corridore in quei circa 40′ di sforzo?

Per darvi una piccola anticipazione vi consigliamo di notare la foto di apertura. Nell’immagine Eddie Dunbar, uomo di classifica della Jayco, è senza borraccia nella crono dei Trabocchi.

Una crono da fare “a secco”. Oggi pomeriggio probabilmente non vedremo le borracce per De Marchi e compagni
Una crono da fare “a secco”. Oggi pomeriggio probabilmente non vedremo le borracce per De Marchi e compagni
Laura, la crono da Savignano sul Rubicone a Cesena è tutta piatta e misura 35 chilometri. Come si alimenteranno i tuoi atleti?

Ci sono diverse scuole di pensiero per una crono di questa durata: alimentarsi o non farlo. Io ovviamente riporto quanto facciamo noi in Jayco-AlUla. E i nostri atleti per una crono così non mangeranno, né berranno nulla. In teoria la durata, sulla carta, potrebbe prevedere un’idratazione ma le temperature non sono così elevate, quindi si può fare anche senza.

Addirittura una crono così senza bere…

Può capitare di doverlo fare, ma in una crono più calda. Ed è già capitato in prove di simile lunghezza, ma con altre temperature. Però non è questo il caso di oggi (tra l’altro dovrebbe piovere, ndr). Il progetto è quello di non assumere nulla e massimizzare al massimo la prestazione (sia aero che metabolica, ndr). E si può fare perché se anche il corridore arrivasse in uno stato di lieve disidratazione, avremmo comunque tantissimo tempo per recuperare in vista della tappa successiva.

Tanto più che subito dopo c’è il giorno di riposo…

Esatto. Ma comunque in 40 minuti di sforzo il corridore non potrà mai disidratarsi così tanto, soprattutto se l’avvicinamento è stato fatto bene.

La crono Savignano sul Rubicone-Cesena (Technogym Village) misura 35 km
La crono Savignano sul Rubicone-Cesena (Technogym Village) misura 35 km
Immaginiamo che a questo punto il pre-crono assuma maggior importanza…

Esatto, bisogna impostare un pre-gara sapendo che in corsa non si dovrà né bere, né mangiare.

E quindi come ci si comporta?

Il pre-crono alimentare varia ed è più rinforzato: sia sotto l’aspetto dei carboidrati che dei liquidi – sali minerali e acqua – mentre il timing è sempre lo stesso. Di fatto aumentano le porzioni.

E di quanto aumentano queste quantità?

Del 20-30 per cento, un bel po’.

Come mai così tanto visto che comunque parliamo di uno sforzo di 40′-45′?

Proprio perché ce la giochiamo al limite. Andiamo senza mangiare e senza bere, dobbiamo essere pronti fisicamente. Ma in qualche modo andiamo ad “ingannare “ anche il cervello: lo possiamo fare perché si ha la certezza di non raschiare il barile in quanto la durata dello sforzo è limitata. Quando c’è una rapida diminuzione delle scorte di glicogeno il cervello invia un segnale di allarme al corpo, come se gli dicesse: “Vai più piano, perché l’energia non basta”. Pertanto l’obiettivo è proprio quello di partire con la gamba pienissima.

Alla Vuelta 2022 la crono di Alicante era di 31 km, con temperature più alte. I corridori (qui Sivakov) utilizzavano le borracce e le malto
Alla Vuelta 2022 la crono di Alicante era di 31 km, con temperature più alte. I corridori (qui Sivakov) utilizzavano borracce e malto
Chiaro…

In questo modo anche se c’è una riduzione rapida delle scorte di carboidrati a livello cerebrale, non arriva questo segnale di allarme, che inconsciamente farebbe rallentare il corridore, perché c’è molta più scorta. Sia chiaro: non è una teoria scientifica, ma si tratta di tante esperienze raccolte sul campo nel corso degli anni.

E chi invece appartiene all’altra scuola? Quella dell’alimentazione durante questa crono?

E’ presumibile che metta delle maltodestrine da sorseggiare nella borraccia o possa prendere anche un gel. Di certo non c’è bisogno, né spazio per un’alimentazione solida. 

E in questo caso l’alimentazione pre-crono com’è?

Più lineare. Il corridore resterà più leggero nel suo avvicinamento. Farà un avvicinamento standard perché compenserà il dispendio energetico e idrico durante prova.

Arteria iliaca, l’incubo del ciclista? Chiediamo al dottore

13.05.2023
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Stybar ha dichiarato pochi giorni fa di essersi sottoposto all’intervento chirurgico per risolvere la patologia dell’endofibrosi dell’arteria iliaca. Un’operazione che come le pedine di “indovina chi” coinvolge gli atleti del gruppo. Negli ultimi anni ha coinvolto, restando in Italia, Erica Magnaldi, Nicola Conci, Luca Chirico, Eugenio Alafaci, Fabio Aru e Alessandro Monaco. Vista la sua natura, legata perlopiù allo sport, agli occhi ignoranti di chi osserva viene vista come un’ultima spiaggia. 

Risponde Guardascione

Nulla di tutto questo. Carlo Guardascione, medico del Team Jayco-AlUla, ci ha infatti spiegato cosa porta alla diagnosi ma sopratutto chi e perché si decide di operare questa parte del corpo ai più sconosciuta. E forse di incubo non si deve parlare…

«Devo premettere due cose – chiarisce Guardascione – perché sono fondamentali. Esiste una predisposizione anatomica, perché non tutti hanno l’arteria iliaca che fa un’ansa, che fa una specie di curva o di ginocchio a livello inguinale. Il secondo fattore predisponente è proprio l’attività ciclistica intensiva. Quindi riguarda i ciclisti, dilettanti, professionisti e quant’altro che praticano da parecchi anni l’attività di endurance».

Il dottor Carlo Guardascione in carriera ha avuto a che fare molte volte con questa patologia
Il dottor Carlo Guardascione in carriera ha avuto a che fare molte volte con questa patologia
Che patologia è?

La patologia si chiama endofibrosi dell’arteria iliaca. Ed è una patologia vascolare ovviamente dovuta all’ispessimento e al restringimento di alcune zone dell’arteria Iliaca, che però sono già anatomicamente anomale. Nel senso che si inspessisce la parete arteriosa nella zona inguinale in soggetti che fanno questo tipo di sport di endurance da parecchi anni (nei giovani, a parte qualche caso eccezionale, non si vede). Hanno quindi un’arteria che fa una specie di ansa, una specie di curva, fisiologicamente. Per cui inspessendo la parete sotto sforzo, si ha un restringimento del flusso sanguigno. Durante lo sforzo fisico deve aumentare il flusso sanguigno agli arti inferiori, se questo flusso sanguigno deve passare in una zona che è stenotica, perché l’inspessimeto restringe il lume, è ovvio, il sangue non arriva e come conseguenza come sintomo prioritario si ha la difficoltà a mantenere lo sforzo e una sofferenza vascolare.

L’arteria iliaca è un vaso sanguigno di grandi dimensioni che si trova nella regione pelvica del corpo umano
L’arteria iliaca è un vaso sanguigno di grandi dimensioni che si trova nella regione pelvica del corpo umano
Qual’è il principale sintomo?

Dolore alle gambe e la mancanza di forza, la perdita di potenza a livello di gamba perché c’è uno strozzamento del flusso di sangue che deve arrivare agli arti inferiori.

Quindi la la diagnosi non è così difficile…

La diagnosi è duplice. Innanzitutto è clinica, nel senso che l’atleta racconta i suoi problemi che hanno tutti una caratteristica comune: il fatto di manifestarsi solo sotto sforzo intensivo. Non avviene a riposo. Poi la diagnosi viene confermata da un esame diagnostico che è un angiografia, quindi un esame con un mezzo di contrasto in cui praticamente viene verificato e visualizzato com’è il decorso dell’arteria iliaca. Generalmente si scopre appunto che a livello inguinale l’arteria ha una malformazione anatomica. Può presentare un’eccessiva lunghezza o una specie di curva che ovviamente, stando seduti sulla bicicletta, quando la posizione di flessione forzata della schiena comprime la zona, dà origine al problema. 

L’intervento chirurgico in cosa consiste?

Consiste nel togliere quest’ansa mettendo uno stent, generalmente in materiale sintetico, con cui si elimina questo strozzamento dell’arteria e il sangue ritorna a fluire normalmente. 

Monaco ha subito la stessa operazione l’estate scorsa, ora è in mezzo al gruppo in forza al team Technipes
Monaco ha subito la stessa operazione l’estate scorsa, ora è in mezzo al gruppo in forza al team Technipes
Con l’operazione si ha la certezza di risolvere il problema al cento per cento?

In grandissima percentuale l’operazione risolve. Nella mia carriera ricordo soltanto di un caso che ha dovuto essere operato due volte, a causa dello scollamento post operatorio nel punto in cui era stata messa la protesi biologica, che ha richiesto un secondo intervento. Però questo fa parte della casistica operatoria di questo tipo di interventi.

Che tempi di recupero si hanno?

Non brevi, perché ci vuole almeno un mese di immobilità assoluta per consentire alle strutture anatomiche di adattarsi al nuovo stent, a questa nuova protesi che è stata inserita e poi una riabilitazione. Per cui, chi va veloce impiega tre mesi. Poi da tre a sei mesi per la guarigione completa.

Lei ha avuto molti casi di atleti con questo tipo di problema?

Certamente sì. Le caratteristiche sono proprio queste, una malformazione anatomica congenita e un’attività ciclistica o di endurance che può capitare anche ai triatleti. Ma anche sciatori di fondo, podisti. Si parla sempre di un’attività prolungata per tanti anni. Due anni fa abbiamo avuto Amanda Spratt che è una donna. La Van Vleuten è stata operata anche lei, che non era una mia atleta, però questo si sa. Così come Aru.

La posizione in sella non è la causa ma è un fattore che può favorire la patologia
La posizione in sella non è la causa ma è un fattore che può favorire la patologia
Quanto passa dai primi sintomi/sospetti alla effettiva diagnosi e decisione di operarsi?

Inizialmente è una cosa che viene piano piano, perché l’endometriosi è il restringimento dell’arteria e non è repentino, ma lento e progressivo. Quindi si parla di settimane e mesi. L’atleta sente un qualcosa di strano poi, magari per un mese non sente più niente. Poi gli ricapita di nuovo… Quindi arrivare alla diagnosi non è mai repentino. Un’angiografia con mezzo di contrasto non è un esame di routine, per cui bisogna farla con una certa cognizione di causa. Quindi la diagnosi non è immediata perché la malattia è progressiva e molto lenta anche nel progredire. Diciamo che ci sono dei fattori predisponenti e anatomici, anche di viscosità, nel senso che se si ha il sangue molto denso si può avere uno stimolo a l’irrigidimento dell’arteria. Un po’ come capita con l’arteriosclerosi coronarica o l’arteriosclerosi cerebrale nelle persone normali. 

In futuro l’atleta può riprendere al cento per cento la sua carriera al massimo livello?

Diciamo che la prognosi è sempre molto buona. Al 100% no, ma almeno un 90% dei ritorno alle prestazioni precedenti alla patologia ci si arriva. Perché è un problema praticamente meccanico, una volta risolto il problema del sangue, in base alle sue qualità ritorna a essere quello che era prima.

Tra podi e vittorie, De Pretto sta cambiando pelle

09.05.2023
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Se si vanno a leggere i resoconti ciclistici di ogni fine settimana, il nome di Davide De Pretto c’è pressoché sempre. Persino sabato, al Giro di Castiglion Fiorentino, il portacolori della Zalf ha scortato verso la vittoria il compagno Manlio Moro esattamente come aveva fatto lo scorso anno. Eppure si sa che nel ciclismo tanti piazzamenti non fanno una vittoria e il sapore di questa a Davide mancava, finché al Trofeo General Store non è toccato il suo turno (in apertura, foto Rodella) e la stagione ha preso un’altra piega.

Il fatto è che il corridore di Thiene è un altro della generazione dei Pogacar: non parte mai per essere una semplice comparsa, ogni corsa a prescindere dal suo valore deve vederlo protagonista, possibilmente nell’ordine d’arrivo. Non è un caso se tra gare nazionali e internazionali su 12 giorni di gara (tutti di corse d’un giorno) è nella Top 10 ben 7 volte con la perla del podio conquistato alla Liegi-Bastogne-Liegi.

Il podio del Trofeo General Store, dove De Pretto ha preceduto il russo Gonov e Epis
Il podio del Trofeo General Store, dove De Pretto ha preceduto il russo Gonov e Epis

Quella vittoria però ha un po’ cambiato il suo modo di vedere le cose: «Non posso certo dire che non fossi contento visto il mio rendimento generale, ma vincere ci voleva dopo tanti podi. Nel ciclismo è così, quando finisci su quei gradini che non sono il più alto, qualcosa in fondo all’anima ti rimane…».

Sei stato sul podio al Piva, al Belvedere e alla Liegi considerando solo le gare più prestigiose. Qual è quella che ti ha lasciato con più rammarico?

Probabilmente il Belvedere perché quel giorno stavo particolarmente bene, ma mi sono trovato contro una vera armata della Jumbo-Visma. Erano in 3 contro di me, magari con due potevo giocarmela… Al Piva ho sbagliato la volata, lo ammetto, mentre alla Liegi obiettivamente non potevo fare molto di più, quel podio ha un grande valore. Il Giro del Belvedere era la gara di casa per il nostro team e volevo onorarla con il risultato migliore.

Il veneto con la maglia azzurra sul podio della Liegi U23, vinta da Busatto sul francese Huby
Il veneto con la maglia azzurra sul podio della Liegi U23, vinta da Busatto sul francese Huby
Tu stai acquisendo sempre più esperienza nel correre contro i migliori elementi stranieri, anche all’estero. C’è davvero una tale differenza con i nostri?

Sì, è innegabile, nelle classiche fine a se stesse forse si vede meno, ma quando ce ne sono a stretto giro te ne accorgi. Faccio un esempio: Belvedere e Recioto si corrono a distanza di 24 ore, lì mi sono accorto che mentre molti dei nostri mostravano le scorie del giorno prima, i team “devo” avevano invece la stessa brillantezza e questa deriva dall’abitudine a correre gare a tappe, che ti danno un’altra gamba.

A proposito di gamba, il tuo rendimento è cambiato rispetto allo scorso anno?

Sì, indubbiamente, mi sento molto meglio in gara. L’anno scorso quando arrivavo ai -50 pensavo “oddio, non finisce mai…”. Oggi no, sono più tranquillo e arrivo più fresco, anche mentalmente e questo pesa nella gestione della corsa. Ora la lunghezza non mi pesa, anche i 200 chilometri non mi fanno paura e questo significa che ormai sono da questo punto di vista pronto per il mondo professionistico.

Come nel 2022, De Pretto ha fatto da scorta a Manlio Moro sul traguardo di Castiglion Fiorentino (foto Scanferla)
Come nel 2022, De Pretto ha fatto da scorta a Manlio Moro sul traguardo di Castiglion Fiorentino (foto Scanferla)
Quando si parla di De Pretto, emerge sempre il discorso ciclocross legato al tuo passato. All’estero la doppia attività viene vista molto più favorevolmente che in Italia. Un impegno nel ciclocross anche solo come preparazione per la strada è contemplabile?

Obiettivamente lo vedo difficile. So che serve per avere una buona condizione per l’inizio della stagione su strada, anche senza pensare di tornare ai livelli di quand’ero junior. Io penso che dopo una stagione lunga e stressante come quella su strada ci sia bisogno di staccare la spina e riprendere gradatamente. Poi molto dipende da quella che sarà l’impostazione dell’attività in seno alla squadra (a fine anno De Pretto dovrebbe passare definitivamente al Team Jayco, ma non c’è ancora l’ufficialità, ndr).

De Pretto con i ragazzi del Team Jayco nel 2022. Uno stage che gli ha insegnato molto
De Pretto con i ragazzi del Team Jayco nel 2022. Uno stage che gli ha insegnato molto
Che tu sia un grande prospetto per il movimento italiano per le classiche è ormai chiaro, ma la tua dimensione nelle corse a tappe qual è?

Dipende dalla condizione e dalla mia crescita. Attualmente si potrebbe pensare a me come a un cacciatore di tappe, ma sono convinto che se miglioro ancora in salita posso dire la mia anche in qualche classifica generale, in base al tipo di gara e alla sua lunghezza.

Che cosa ti ha lasciato l’esperienza alla Liegi?

Bellissima. All’estero si corre in modo diverso, attaccano tutti, sembra più una corsa delle categorie inferiori, ma bisogna saper interpretare quello che c’è dietro, perché le squadre fanno sentire la propria presenza e il proprio controllo. Il livello è più alto, si corre a un altro ritmo, è chiaro che facendoci l’abitudine la condizione cresce.

Per De Pretto, bronzo europeo lo scorso anno, ora i fari sono puntati sul Giro d’Italia di categoria
Per De Pretto, bronzo europeo lo scorso anno, ora i fari sono puntati sul Giro d’Italia di categoria
Tu hai già fatto un’esperienza alla Jayco, c’era tanta differenza rispetto a quel che si fa qui?

Ci si allena di più. Mi sono ritrovato a fare anche più di 6 ore e mezza in bici, qui è impensabile. Si fanno normalmente tre blocchi di allenamento, di 4, 5 e 6 ore, poi c’è lo scarico. Quando si fa distanza non ci sono particolari tipi di lavori mentre nelle altre giornate si fanno più richiamo di forza e lavori in soglia. E’ un’impostazione diversa.

Che cosa vorresti ora?

Vincere almeno una tappa al Giro e magari andar bene nella generale, poi guadagnarmi la convocazione per il mondiale che si corre su un tracciato che sento molto mio come caratteristiche. Se riuscissi a strappare una maglia vincendo una gara all’estero sarebbe ancora più bello…

Con Zana, lampo tricolore nella vittoria di Matthews

08.05.2023
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Secondo sprint a ranghi ristretti (per salita questa volta, non per caduta) e vittoria di Michael Matthews che davvero questa volta la vittoria è proprio andato a cercarsela. Se diversa è la dinamica del finale, identica è l’intensità degli abbracci, anche se il contesto non è quello assolato ed effervescente di ieri a San Salvo, ma quello più duro e bagnato di Melfi.

Zana ha lavorato sodo in salita, come il resto della squadra, per la vittoria di Matthews
Zana ha lavorato sodo in salita, come il resto della squadra, per la vittoria di Matthews

Un po’ di tricolore

Quando Matthews si ritrova davanti Filippo Zana, l’abbraccio col tricolore veneto è ad altissima intensità. Il lavoro dell’altro “Pippo nazionale” sulla salita è stato encomiabile. E anche quando il campione italiano non ce l’ha più fatta, prima di mollare ha stretto ancora i denti, risultando decisivo per il compagno australiano.

«Siamo partiti per fare esattamente quello che avete visto – ha detto – e tutto è filato per il meglio. Sono contentissimo che abbia vinto Michael, anche per il grande lavoro di squadra che abbiamo fatto ed è stato ripagato. Prendere così tanto vento se poi si vince è davvero bellissimo».

E in queste ultime parole c’è la differenza fra correre il Giro in una WorldTour con uomini capaci di finalizzare e in altre squadre in cui il risultato devi portarlo tu, contro avversari che sembrano sempre più grandi di te.

Il vento poteva essere un’insidia, ma non lo è statt. La corsa si è accesa negli ultimi 50 chilometri
Il vento poteva essere un’insidia, ma non lo è statt. La corsa si è accesa negli ultimi 50 chilometri

Maledetta primavera

Matthews ha vissuto una primavera maledetta. Il suo primo obiettivo sarebbe dovuto essere la Milano-Sanremo, ma il ritiro dalla Parigi-Nizza per positività al Covid ha portato con sé la rinuncia alla Classicissima. Tornato in condizioni precarie per il Giro delle Fiandre, la caduta nella corsa dei muri fiamminghi ha compromesso la partecipazione alle classiche delle Ardenne e ha determinato un avvicinamento scombinato al Giro d’Italia.

«Sono senza parole – commenta mentre rivede le immagini – dopo tutto quello che ho passato in questi mesi per aver trovato con una vittoria con la squadra. Nelle ultime settimane non sono andato bene come speravo a causa dell’infortunio. Abbiamo lavorato tutto il giorno e i compagni si sono impegnati a fondo con me per farmi vincere la tappa. Non ho parole, la stagione è stata un ottovolante e la vittoria è arrivata già al terzo giorno, più di quanto potessi sognare».

L’uovo di Remco

Intanto passa accanto un sorridente Remco Evenepoel, che domani dovrebbe lasciar andare la maglia rosa. Tuttavia, visto il lavoro della sua squadra sulla salita, il pensiero che gli convenga e preferisca correre davanti un po’ ti assale.

«Eravamo a dieci chilometri dal traguardo – spiega – e volevamo fare la discesa davanti perché la pioggia rendeva la strada bagnata e insidiosa. Ho visto che andando verso il traguardo volante, Roglic era dietro di noi. Non ci è costato molta fatica stare lì davanti e prendere qualche secondo fa sempre piacere. E’ stata una buona giornata, soprattutto dopo una giornata abbastanza tranquilla e un finale frenetico».

Poi Remco si è soffermato per commentare con una risata l’episodio dell’uovo che alla partenza gli ha regalato Velasco. «Non ho idea di cosa significasse – ha scherzato il campione del mondo – forse è umorismo italiano? Ora mi pento di non aver testato sul suo casco se fosse un uovo sodo o crudo».

Con quella di Melfi, il bottino di Matthews al Giro sale a tre tappe, dopo quelle del 2014 e del 2015
Con quella di Melfi, il bottino di Matthews al Giro sale a tre tappe, dopo quelle del 2014 e del 2015

Volata su Pedersen

Ancora due risate e poi Matthews ha completato il racconto della sua giornata, svelando che malgrado il ritmo dei primi chilometri non sia stato esaltante, la sua intenzione è sempre stata quella di vincere una tappa, avendone cerchiate otto a suo vantaggio nel percorso del Giro.

«Ho sentito che Pedersen si era staccato in salita – dice – quindi ho immaginato che sarebbe stato un po’ stanco allo sprint. Sapevo comunque che avrei dovuto anticiparlo, facendo la volata su di loro e ha funzionato. Sono venuto qui da questo Giro solo per divertirmi, per andare in bici su strade molto belle e stare con i miei compagni di squadra. Oggi abbiamo fatto un tale sforzo di squadra che la vittoria è tutta per loro».

Dal Romandia a Pescara, la settimana di Zana

06.05.2023
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Come ci si alimenta tra Romandia e Giro d’Italia? A guidarci in questo “viaggio” è Filippo Zana (in apertura foto Pizzorni, ndr) che ci parla della sua esperienza. Il corridore della Jayco-AlUla da quest’anno lavora con Laura Martinelli, nutrizionista che spesso chiamiamo in causa.

Il campione italiano si appresta dunque ad affrontare il Giro. La settimana che precede una grande corsa a tappe è sempre particolare, dal punto di vista sia della preparazione che dell’alimentazione. C’è chi è ancora un po’ indietro col peso, chi non è la top con la forma. Ma di base quel che è fatto è fatto e quindi non si possono improvvisare né diete, né chissà quali allenamenti.

Il campione italiano in azione al Romandia. Per lui, che veniva direttamente dall’altura, un buon 17° posto
Il campione italiano in azione al Romandia. Per lui, che veniva direttamente dall’altura, un buon 17° posto
Filippo, raccontaci come è andata e come sta andando questa settimana dal punto di vista alimentare. Cosa hai mangiato subito dopo il Romandia?

Domenica sera sono tornato a casa, tra l’altro all’una di notte perché dopo la tappa sono rientrato da Ginevra al Veneto in macchina. Quindi ho mangiato sul bus la pasta che aveva preparato la squadra, poi strada facendo mi sono fermato a prendere un panino. Non il massimo, ma era chiaramente una necessità.

Dal lunedì come hai iniziato a regolarti?

Ho cercato di tenermi basso con le calorie e con i carboidrati soprattutto. Quindi ho dovuto mangiare poco.

Problemi di peso?

No, no… perché facendo poco bisognava mangiare poco. Ho cercato di aumentare un po’ le proteine e di affiancarci delle verdure. Però i carboidrati non li ho tolti del tutto perché bisognava anche recuperare tra una corsa a tappe ed l’altra. E non è facile, perché dopo una gara si ha sempre fame, ma bisogna mantenere il buon peso raggiunto.

Quindi rispetto alla tua colazione standard, per dire, cosa è cambiato?

A colazione direi non molto, semmai a pranzo. Come ho detto ho ridotto i carboidrati. Quindi ho tolto un po’ di pasta ed eliminato il pane.

Soprattutto nella prima parte della settimana, Zana ha aumentato l’introito di verdure
Soprattutto nella prima parte della settimana, Zana ha aumentato l’introito di verdure
Pasta in bianco o condita?

Con pomodoro semplice.

E in bici cosa hai fatto?

Lunedì ho fatto un’ora e mezza, super tranquilla. Martedì invece riposo totale. E per questo ho cercato di mangiare ancora un po’ meno. Mercoledì ho fatto due ore e mezza e poi sono partito per il Giro. A pranzo ho mangiato del salmone e delle gallette e anche in serata mi sono concesso un secondo.

E a quel punto dal giovedì ti sei affidato alle cure del team, sia per gli allenamenti che per il il cibo…

Esatto. E abbiamo ripreso a mangiare anche dei carboidrati. In pratica, fino al mercoledì c’è stato uno scarico di carboidrati, mentre da giovedì si è invertita la rotta. Anche perché giovedì abbiamo fatto tre ore abbondanti con dei piccoli lavori sui 5′ più intensi. Giusto per risvegliare l’organismo dopo tre giorni tranquilli.

Come è stato  questo aumento di carboidrati?

E’ un po’ particolare in questo caso perché il ritorno in corsa è una crono e alla fine si tratta di uno sforzo sì intenso, ma anche breve. Non è che si spreca chissà quanto. E anche le prime tappe non sono difficili e non essendoci un consumo esagerato non si esagera poi tanto con i carboidrati.

Zana e i suoi compagni quando prendono la pasta dal buffet della squadra la pesano già cotta
Zana e i suoi compagni quando prendono la pasta dal buffet della squadra la pesano già cotta
Facciamo allora un esempio concreto. Se di solito mangi 120 grammi di pasta, in questi casi quanta ne mangi?

Di solito per il peso quando siamo in squadra ci basiamo sulla pasta già cotta, perché quando ci arriva sul buffet chiaramente la troviamo così. Quindi prendo circa 300 grammi… e spero che non sia condita così significa che è di più!

Quanto varia questo apporto di carboidrati, tra la fase di scarico e quella di carico e ancora nei giorni in cui si inizia a correre?

Nella fase di scarico l’apporto dei carbo si riduce di un terzo (cosa che ribadisce anche la nutrizionista Martinelli, ndr). Durante le tappe molto dipende dalla lunghezza e dalla durezza della tappa. Perché anche se è corta ma ci sono 4.500 metri di dislivello è chiaro che il dispendio energetico varia. Per questo è difficile stabilire una quantità precisa. Bisogna mangiare per recuperare bene. L’obiettivo è avere le energie per il giorno successivo.

A livello di integratori invece, questa settimana come è stata gestita?

Classici aminoacidi e proteine e anche vitamina C e multivitaminici che vanno sempre bene.

Se quindi dovessi dire una cosa differente di questa particolare settimana pre-Giro d’Italia, che cosa diresti?

Che ho mangiato poco! E’ stata duretta, ma ho visto che in generale questi sacrifici fatti ne sono valsi la pena. L’ho visto anche in altura. Ho ottenuto dei miglioramenti. Quindi sono contento e lo faccio volentieri.

Con prof Pinotti le tre crono rosa ai “raggi X”

29.04.2023
7 min
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Pochi giorni alla partenza del Giro d’Italia. La corsa rosa 2023 è stata ribattezzata da qualcuno anche come il Giro delle crono. Saranno ben tre: la prima tappa, la nona e la penultima, per un totale di 73,2 chilometri. Pertanto c’è da giurare che avranno un peso importante nell’economia della gara.

Marco Pinotti è un tecnico in forza alla Jayco-AlUla, ma soprattutto è un esperto di cronometro e di materiali. L’ex tricolore contro il tempo ci porta dunque in sella a scoprire nel dettaglio i chilometri di queste tre, fondamentali, tappe.

Marco Pinotti (classe 1976) è uno dei tecnici della Jayco-AluLa
Marco Pinotti (classe 1976) è uno dei tecnici della Jayco-AluLa
Marco, tre crono ma c’è chi dice che siano due, perché l’ultima è un po’ particolare?

Ma è anche la più affascinante secondo me! Ieri De Marchi è andato a vederla: me ne ha parlato e mi ha mandato il video. Ritengo sia la più bella e proporrà una grande sfida.

Ma partiamo dalla prima cronometro: quella con partenza da Pescara…

E’ una versione estesa di quella di Budapest (nella foto di apertura) dello scorso anno. E non tanto perché sia relativamente tortuosa, quanto per la gestione dello sforzo. C’è una parte tutta piatta sulla ciclabile lungo il mare ed è parecchio esposta. E poi c’è la parte di salita verso Ortona. Non è dura. E’ pedalabile e prevede tre tornanti nei quali bisogna rilanciare. E qui serve la gamba per spingere ancora di più.

Ma sono sempre i cronomen i favoriti: è così?

Sì, sì, però quello strappo nel finale spezza il ritmo e può fare la differenza per coloro che sono i più forti in pianura.

1ª tappa: crono Fossacesia Marina – Ortona, Costa dei Trabocchi: km 18,4
1ª tappa: crono Fossacesia Marina – Ortona, Costa dei Trabocchi: km 18,4
Visto che ne hai parlato, riguardo alla gestione dello sforzo come si fa? Si va al “100 per cento” sin da subito, o si arriva all’imbocco della salita al “99 per cento”?

Io andrei al 99 per cento. O meglio, partirei a 100, poi probabilmente cercherei di respirare. Diciamo che un chilometro prima della salita “recupererei” un pochino. Prenderei quel tanto di fiato che basta per quello sforzo di quel chilometro e 200 metri di salita.

Quanto dura lo strappo?

Un paio di minuti, due minuti e 20”. Quindi forse andrei anche al 98 per cento prima. Il discorso è questo: se vai al “risparmio” al 98-99 per cento magari perdi 1” al chilometro, mentre solo su quello strappo puoi perdere 10”.

A livello di materiali, si farà con una bici da crono chiaramente…

Sì, sì… bici da crono assolutamente. Bisogna azzeccare il rapporto che ti consenta di fare la salita con la corona grande. Penso ad un 56 o anche ad un 58 e un rapporto adeguato dietro. Poi credo che in tal senso conterà anche il vento. Per quel che ho monitorato fino adesso, in quel punto il vento arriva dal mare e può spingere un po’ il corridore. Più raramente è trasversale da Nord o da Sud.

9ª tappa: crono Savignano sul Rubicone-Cesena (Technogym Village): km 35
9ª tappa: crono Savignano sul Rubicone-Cesena (Technogym Village): km 35
Passiamo alla seconda crono. A Cesena è proprio crono pura! Se ci fossero stati 10 chilometri in più sarebbe stata una prova contro il tempo stile anni ’90…

Eh sì, una decina di minuti di sforzo in più e sarebbe stata proprio una crono anni ’90. Si tratta di una prova piatta. Ci sono due, tre cavalcavia e un sottopassaggio. Se proprio vogliamo spaccare il cappello in due possiamo dire che i primi 13 chilometri, fino a Cesena, sono in leggerissima, impercettibile discesa. Mentre andando verso l’interno, verso gli Appennini, tende a tirare, appena, appena…

In questi casi secondo te queste pendenze sono talmente impercettibili che si va con lo stesso rapporto oppure c’è un dente di differenza?

Secondo un dente di differenza c’è. Alla fine si sentono queste “pendenze” se si spinge a tutta. Quindi se nel tratto a scendere si gira il 56×12, nel tratto opposto si andrà di 56X13. E per me conta anche la distribuzione dello sforzo. Watt e cadenza vanno a braccetto. Magari nel tratto che “scende” qualche watt e qualche rpm in meno, il contrario quando si “sale”. Anche per questo è molto importante riuscire a fare una distribuzione dello sforzo negativa.

Cioè più watt nella seconda parte…

Esatto. E non è facile. Sono 35 minuti, quasi 40, di fatica e non sono pochi da fare a tutta.

Vista la zona, più ampia tra mare e montagne rispetto alla prima crono in Abruzzo, qui il vento può anche essere da Nord/Sud o comanda ancora quello che spira dal mare?

Con precisione ancora non lo so, ma di base la mattina viene da Nord-Est e il pomeriggio da Sud-Est. Saranno interessanti gli orari di partenza dei favoriti per la crono e per la generale, anche se questi ultimi dopo la frazione di Campo Imperatore dovrebbero essere tutti vicini. La classifica sarà già abbastanza assestata. Mentre il cronoman magari potrebbe risparmiare qualcosa per questa frazione nei giorni precedenti.

20ª tappa: crono Tarvisio-Monte Lussari: km 18,6
20ª tappa: crono Tarvisio-Monte Lussari: km 18,6
Arriviamo così all’ultima crono, quella del Monte Lussari. Una cronometro che solitamente “fanno in venti”: vale a dire specialisti e uomini di classifica.

Quella del Lussari è una frazione contro il tempo davvero difficile da gestire: è una cronoscalata, ma prima ci sono 11 chilometri di pianura. Poi si gira a sinistra e si sale. La parte centrale di questa salita è molto dura: 5 chilometri micidiali e su sfondo particolare che molto ricorda quello di Plan de Corones di qualche anno fa, ma dovrebbe essere un po’ più scorrevole. Il finale molla un po’ ed è abbastanza veloce: intorno al 4 per cento.

Il cambio bici è “obbligatorio” dunque?

Si cambierà sicuro. Non so ancora bene quale sarà la logistica perché da terra non si può sostituire la bici ma non so come gestiranno le ammiraglie al seguito: non so se possano salire. Io credo che i corridori salteranno sulla bici da strada 100-200 metri dopo l’inizio della salita, quando la velocità è bassa e si perde meno tempo.


Come ci si adatta ad una bici così tanto diversa? Secondo te i big si sono allenati a questo cambio?

Non lo so, ma spero di no, perché i miei di big ci sono allenati!


C’è qualche accorgimento sulla bici tradizionale per questa scalata finale? Non so, spostare tutta la sella in avanti, montare un’attacco manubrio corto… Insomma un’assetto da pura salita.

Le posizioni oggi sono già tutte abbastanza estreme, soprattutto per gli scalatori. Io non cambierei tanto perché alla fine sono già efficienti nella loro posizione abituale. Sì, da un da un punto di vista biomeccanico portare la sella avanti di 2 centimetri avrebbe senso, ma c’è il rischio (elevato) che poi il corridore non riesca ad essere efficiente, tanto più dopo tanti giorni di gara consecutivi. E poi bisogna considerare che ci deve stare un bel po’. Parliamo di mezz’ora almeno, non di una manciata di minuti.

La Planche des Belles Filles fu fatale per Roglic (in foto) al Tour 2020. Quella del Lussari è simile. Primoz magari ci avrà preso le misure
La Planche des Belles Filles fu fatale per Roglic (in foto) al Tour 2020. Quella del Lussari è simile. Primoz magari ci avrà preso le misure

Caspita! In effetti calcolando distanza e pendenze la durata della salita è quella…

Potenzialmente questa è la crono più lunga delle tre. Anzi, sicuramente è la più lunga come durata: 40′ ipotizzo. Ha il potenziale della crono che tre anni fa stravolse il Tour de France, quella della Planche di Belles Filles, tanto cara a Pogacar. Questa è un po’ più corta come chilometraggio, ma se vai in crisi… sei da solo. Non ti puoi inventare molto.


Se verso Ortona si andava al 98-99 per cento prima dello strappo, qui a quanto si deve andare prima del Lussari?

A non più del 90 per cento. Devi arrivare ai piedi della salita col serbatoio pieno. Consideriamo che il primo tratto dura poco più di una decina di minuti. In quel tratto cerchi di fare velocità sfruttando la bici da crono. Un Ganna che spinge a tutta può guadagnare anche un minuto e mezzo in quella porzione, ma poi ne perde almeno quattro in salita. Non è facile. E’ una crono che può cambiare le carte in tavola e può stravolgere il Giro. Io mi aspetto differenze di un minuto e mezzo anche tra i big.

Come hai detto tu: sei lì da solo…

Ripeto, penso alla crono delle Belles Filles. Quella durava 55′ minuti e prevedeva più pianura, qui c’è più salita. Ma il concetto è quello.

Quindi i favoriti sono?

Nella seconda crono c’è “già scritto” Ganna! Nella prima Ganna o Kung. Nella terza vedo un uomo di classifica.

Debutto nelle Ardenne: Sobrero diventa cacciatore

15.04.2023
6 min
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Ieri il primo giro sulle stradine dell’Amstel, domani il debutto. E poi sarà così anche per la Freccia Vallone e la Liegi-Bastogne-Liegi. Matteo Sobrero da queste parti non ha mai corso, per cui quando gli è stato detto che sarà anche il leader del Team Jayco-AlUla, la sola cosa che gli è venuta da fare è stato un bel sorriso. Andiamo a vedere.

Il 2023 del piemontese ha preso un bell’andare. E’ mancata la vittoria, ma sono venuti tre piazzamenti fra i primi 4 al Giro dei Paesi Baschi, dove tutti andavano veramente forte. E Sobrero, che non era mai partito in modo così brillante, si è rimboccato le maniche e ha accettato anche la sfida del Nord. A 25 anni, queste sono le svolte che fanno crescere.

«Speravo di raccogliere qualche risultato in più – spiega – ma alla fine sono contento perché l’obiettivo principale di questa prima parte di stagione erano i Baschi, poi le Ardenne e il Giro. Quindi per adesso va bene, l’importante è che la condizione sia buona».

Vigilia Amstel, il Team Jayco-AlUla alloggia al Kasteel Bloemendal, prima dimora, collegio e lazzaretto
Vigilia Amstel, il Team Jayco-AlUla alloggia al Kasteel Bloemendal, prima dimora, collegio e lazzaretto

La vigilia nel castello

L’hotel Kasteel Bloemendal in cui alloggia la squadra australiana vale da sé il prezzo del biglietto. Doveva essere la residenza di un nobile produttore di tessuti di Aquisgrana, fornitore dello zar di Russia, che iniziò a costruirlo nel 1791, salvo poi morire nel 1795. I lavori furono così ultimati dal figlio, ma nel 1846 il castello passò di mano e divenne un collegio dell’ordine femminile del Sacre Coeur.

Durante l’occupazione nazista fu quindi trasformato in un lazzaretto con una capacità di 350 posti letto, per poi tornare collegio fino al 1970. Passato nel controllo del Comune di Vaals, nel 1990 è stato trasformato in hotel. E proprio qui, in questo punto in cui si uniscono i confini di Olanda, Belgio e Germania, ieri pomeriggio è arrivato anche Sobrero.

Seconda tappa nei Paesi Baschi a Leitza: vince Schelling, Sobrero è secondo
Seconda tappa nei Paesi Baschi a Leitza: vince Schelling, Sobrero è secondo
Partiamo dai Baschi allora. Un secondo posto e due quarti, quale brucia di più?

Più che il secondo posto, mi brucia il quarto posto nella tappa vinta da Higuita, perché lì una vittoria ci stava tutta. Invece ho preso la volata parecchio indietro e ho rimontato forte, ma tardi. Per quello mi girano un po’ di più le scatole. Diciamo però che ho fatto sei tappe senza mai uscire dai primi 20. Peccato solo che nell’ultimo giorno ho pagato e sono uscito di classifica. Ero quinto, mi sono ritrovato sedicesimo. Magari la top 10 nella generale sarebbe stata una bella soddisfazione in una corsa dura come i Baschi.

Questa brillantezza è figlia della condizione o di una preparazione diversa?

Abbiamo deciso di cambiare qualcosa. Questo inverno insieme a Pinotti ho lavorato un po’ di più sulle distanze, sull’endurance. Mi sono concentrato di più sulla strada e non solo sulle cronometro. E poi penso che una stagione in più da professionista mi abbia dato una maturità superiore. Alla fine tutti gli anni ti migliori un po’ e alla fine la somma è quello che mi ha portato a certi piazzamenti.

Al Giro dello scorso anno, ancora campione italiano, Sobrero vinse la crono finale di Verona
Al Giro dello scorso anno, ancora campione italiano, Sobrero vinse la crono finale di Verona
L’idea di fare di te un uomo da Giri quindi resta, ma ci si arriverà semmai aspettando la necessaria maturazione?

Esatto. Non voglio mettermi troppa pressione e il discorso vale anche per queste classiche. Correrò come capitano, perché Matthews non ci sarà. Il capitano designato sarebbe stato lui, ma è caduto nelle corse in Belgio e ha preferito focalizzarsi sull’altura in vista del Giro. A quel punto la squadra ha visto che sto bene, che nei Paesi Baschi sono andato forte e semplicemente mi ha detto che faranno la gara per me. Io queste corse non le ho mai fatte, però sono tanti anni che dico di volerci provare, perché mi dicono che siano adatte. Perciò adesso vedremo, classica per classica, giorno per giorno.

Facciamo un passo indietro: hai lavorato di più sulla strada, alla vigilia di un Giro che propone tre crono?

A ottobre ci siamo trovati con la squadra per preparare questa stagione e definire gli obiettivi. Alla presentazione del Giro avevo visto che ci sono sì tre crono, però è difficile trovarne una come quella di Verona dell’anno scorso (nel 2022, Sobrero ha vinto l’ultima crono del Giro, ndr). Come caratteristiche, la prima in Abruzzo potrebbe essere simile a quella di Budapest, forse anche più veloce. Quindi magari è l’unica in cui io possa provarci, anche se comunque ci saranno Ganna, Remco e anche Foss. La seconda è molto piatta, mentre l’ultima è una cronoscalata.

Ieri per Sobrero il primo test sulle cotes della Amstel Gold Race, la classica del Limburgo Olandese
Ieri per Sobrero il primo test sulle cotes della Amstel Gold Race, la classica del Limburgo Olandese
Dei pessimi compagni di viaggio, insomma…

Ci sarà tanta qualità e allora Pinotti, ridendo, mi ha detto: «Potresti entrare fra i primi 10 in tutte e tre le crono, senza però raccogliere il risultato pieno». Dopo questa osservazione, abbiamo confermato che farò il Giro, ma con un approccio differente. Abbiamo lasciato un po’ perdere la cronometro e deciso che punterò alle singole tappe andando in fuga. Per questo è un po’ cambiata la preparazione.

Una cosa del genere proposta a un cronoman destabilizza o stimola?

La verità è che per me la cronometro ci sarà sempre. E’ una cosa che rimane, perché comunque ci lavoro tutte le settimane. Però mi sono detto che posso sacrificare un allenamento specifico, facendo un giorno più sulla bici da strada. E questo sicuramente è anche uno stimolo in più a migliorarmi e crescere su un fronte diverso. Del resto Filippo (Ganna, ndr) ha dimostrato che se uno va forte a crono, va forte anche su strada.

La sesta tappa del Giro dei Paesi Baschi gli è costata il piazzamento in classifica, passando da 5° a 16°
La sesta tappa del Giro dei Paesi Baschi gli è costata il piazzamento in classifica, passando da 5° a 16°
Per cui correrai quassù fino alla Liegi e poi cosa farai nelle due settimane prima del Giro?

Ho poco tempo. Per qualche giorno ho guardato di andare in altura, ma alla fine sarebbe una cosa troppo tirata, troppo stressante. Dovrò comunque stare via per le tre settimane del Giro e allora mi sono detto che alla fine conviene fermarsi a casa. Non cambia niente fare 10 giorni in più di altura.

Invece per la prossima settimana resterai in Belgio?

Così pare, ma sono dieci giorni. Viene bene perché avrò modo di allenarmi sui percorsi delle gare. Ieri abbiamo fatto la ricognizione sulle strade dell’Amstel, che assieme alla Freccia Vallone forse è quella che più mi si addice…

Matteo Sobrero è nato nel 1997, è alto 1,77 e pesa 63 chili. E’ professionista dal 2020
Matteo Sobrero è nato nel 1997, è alto 1,77 e pesa 63 chili. E’ professionista dal 2020
Durante l’inverno l’UCI ha cambiato la normativa sulle misure delle bici. Per te c’è stata qualche variazione, essendo per giunta un cronoman?

In realtà no. Su strada ho cambiato bici, nel senso che è arrivata la Propel, il nuovo modello della Giant e adesso penso che userò sempre quella. E’ una bici più completa, però la posizione è sempre la stessa. Ed è rimasta uguale anche a cronometro, perché alla fine hanno cambiato le regole per quelli più alti. Io sono sotto il metro e 80, quindi per me la posizione per me è rimasta invariata. Pinotti mi ha spiegato che mi mancano quei tre centimetri per poterla cambiare. Ho detto a mia mamma che poteva impegnarsi di più (ride, ndr), ma ormai è fatta…

Felix Engelhardt, signori. Uno che andrà lontano…

27.03.2023
5 min
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Quando Felix Engelhardt ha vinto la Per Sempre Alfredo, alcuni sono rimasti sorpresi. Dimenticando che parliamo del campione europeo U23 in carica. Di un corridore finito nella top 10 del Giro d’Italia di categoria. Uno di quelli appartenenti a buon diritto alla nidiata di campioni in erba che popolano il ciclismo europeo e tedesco in particolare, se pensiamo all’ancor giovane Kamna da una parte e all’iridato junior Herzog dall’altra.

Su Engelhardt il Team Jayco Alula aveva messo gli occhi da tempo, lo ha inserito in squadra facendogli fare subito esperienze importanti se si pensa che ha già fatto 20 giorni di corsa e ha in programma un evento importante come l’Amstel Gold Race. Un corridore che ha anche forti legami con l’Italia: ad esempio è qui da noi che è sbocciata la sua passione.

La volata vincente alla Per Sempre Alfredo, battendo Stewart (Bolton Equities) e Foldager (Biesse Carrera)
La volata vincente alla Per Sempre Alfredo, battendo Stewart (Bolton Equities) e Foldager (Biesse Carrera)

«Molto ha influito la mia famiglia – racconta il 22enne di Ulm, la città natale di Einstein – vengo da una famiglia di granfondisti, mio nonno e mio padre hanno partecipato spesso alla Maratona dles Dolomites e alla Nove Colli. Ci si trasferiva con tutta la famiglia e vederli così entusiasti, vedere quel tipo di gare mi contagiava. Prendevo il roadblog di mia madre e cominciavo a girare con la mia bici: mi piaceva, ma volevo anche provare l’agonismo. Così ho contattato il club della mia città. Andavo sempre meglio, cominciavo a vincere, sono arrivato anche in nazionale junior. Poi ho fatto 4 anni nel Ktm Tirol Team».

Tu sei stato lì 4 anni, quanto è stato importante per la tua crescita?

Molto, abbiamo disputato una gran quantità di gare in Italia, dal Giro Baby al Tour of the Alps, ma anche prove più piccole e posso garantire che tutte sono state importanti per imparare. Ma quel che è contato di più è che era una squadra nella quale dovevi metterci del tuo, impegnarti in prima persona, non era tutto scontato come avviene nelle WorldTour. E’ servito molto per crescere non solo come atleta, ma anche come persona, mi ha permesso di maturare.

Engelhardt è già riconosciuto dai tifosi, anche in Italia. Un po’ la sua seconda patria
Engelhardt è già riconosciuto dai tifosi, anche in Italia. Un po’ la sua seconda patria
Sei arrivato quest’anno in un team WorldTour: quali differenze hai trovato?

Tantissime, sono un professionista a tutti gli effetti, qui capisci che è un lavoro vero e proprio, dove tutto viene fatto per metterti nelle condizioni migliori ma dove anche tu devi impegnarti al massimo per ottenere risultati. Quando ho corso la Strade Bianche, confrontandomi con tutti quei campioni ho capito che il livello limite è altissimo, raggiungerlo non è semplice. A quei livelli anche una piccola cosa fa la differenza. Non ci sono solo i campionissimi, vanno tutti incredibilmente forte e il ritmo è sempre molto alto. Credo che il principio sia questo: nelle gare normali ci sono almeno 30-40 corridori che vanno davvero forte, in quelle WorldTour ce ne sono 200…

Tu sei un corridore molto veloce, ti consideri uno sprinter o pensi di avere altre caratteristiche?

No, non credo di essere un velocista. Ho un buono sprint, questo è certo, ma che può servire per volate di 30, massimo 40 corridori, al termine di corse difficili, con un po’ di salite brevi. Un po’ come sono i percorsi in Germania.

A proposito della Germania, il ciclismo quanto è popolare nel tuo Paese?

Diciamo che sta crescendo e tornando ai tempi dei grandi campioni che hanno arricchito la storia del ciclismo tedesco. Questo grazie anche alle classiche di Amburgo e Francoforte che sono molto seguite e anche al Giro di Germania. Il fatto che sia tornata una corsa a tappe è davvero un bene per lo sport tedesco. Ora è trasmesso dalla rete Tv principale, questo serve molto alla sua popolarità.

Per 4 anni alla Ktm Tirol, il teutonico è sempre andato in crescendo, gareggiando molto da noi
Per 4 anni alla Ktm Tirol, il teutonico è sempre andato in crescendo, gareggiando molto da noi
Molti ti considerano un corridore per gare d’un giorno, ma tu sei stato 6° al Giro d’Italia. Pensi di poter emergere anche nelle corse a tappe?

Credo che sia una domanda alla quale potrà rispondere solo il tempo. Sono ancora giovane e in crescita. Nel ciclismo di oggi devi essere in grado di fare tutto. A me le corse a tappe piacciono, ma non posso certo considerarmi uno scalatore, sono un po’ troppo pesante fisicamente. Posso magari emergere nelle corse a tappe brevi e in qualche tappa specifica, entrando in un gruppo ristretto. Poi vedremo come evolverò.

C’è un corridore di oggi o del passato al quale ti ispiri, che ti è più simile?

Ho sempre ammirato Michael Matthews, ha caratteristiche molto simili alle mie. Diciamo che credo sia un po’ più veloce, ma per il resto mi ci rivedo. E’ un corridore completo, può fare qualsiasi cosa: emergere in brevi corse a cronometro come in tappe davvero difficili come ha fatto lo scorso anno al Tour. E’ straordinario e l’ho sempre ammirato. Un altro che mi piace molto e a cui credo di somigliare è Daryl Impey. Chiaramente anche lui è un po’ più forte di me, spero di raggiungere i suoi livelli.

Il tedesco alla Coppi & Bartali. Nato il 19 agosto 2000, lo scorso anno ha vinto l’oro agli europei U23
Il tedesco alla Coppi & Bartali. Nato il 19 agosto 2000, lo scorso anno ha vinto l’oro agli europei U23
In Italia hai corso spesso, anche negli anni scorsi. Come ti trovi qui?

Mi piace molto l’Italia e mi piacciono le corse italiane. Mi sento un po’ a casa, anche perché mio nonno era italiano, abbiamo ancora dei parenti nelle Dolomiti e trascorro molto tempo in Italia. Mi piace molto la cultura che si respira da queste parti.

Quali sono i tuoi obiettivi e quale pensi sia una gara più adatta a te?

Penso che l’importante sia continuare a crescere, acquisire sempre maggiore esperienza e feeling con la squadra. Abbiamo iniziato bene, anche meglio del previsto per quel che mi riguarda, la squadra ha molta fiducia in me e mi offre grandi opportunità e io voglio continuare a sfruttarle.

Manubri e crono: la riforma Rogers riletta con Pinotti

11.03.2023
5 min
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Durante l’inverno parecchi atleti di taglia alta, fra cui Kung (foto di apertura) e Ganna, hanno dovuto rimettere mano alla posizione da crono. La riscrittura del regolamento tecnico da parte dell’UCI ha infatti permesso a diversi corridori di ottenere una miglior posizione aerodinamica. Redditizia almeno quanto quella degli atleti più bassi. Il grosso problema infatti lo avevano quelli alti fra 1,80 e 1,90 e la rilettura delle regole da parte di Michael Rogers ha in parte sanato il difetto. Lo sa bene Marco Pinotti, con cui abbiamo provato a sviscerare l’argomento.

Marco Pinotti è uno dei tecnici del Team Jayco AlUla, con un occhio in più per le crono
Marco Pinotti è uno dei tecnici del Team Jayco AlUla, con un occhio in più per le crono

Il punto con Pinotti

Il bergamasco ha seguito la storia con interesse, avendo sotto mano i cronoman del Team Jayco-AlUla. E dato che alle squadre le novità sono arrivate prima che fossero ufficializzate, il lavoro di revisione è iniziato da dicembre.

«La sensazione che ho avuto io – spiega Pinotti – è che il cambiamento ci sia stato da quando Michael Rogers ha preso in carico questo settore. Mi pare che stia mettendo un po’ di ordine, portando l’esperienza da corridore e quelle che sono le esigenze degli atleti. La regola di prima penalizzava proprio la categoria da 180-190, soprattutto i corridori alti da 185 a 190. Hanno creato una categoria intermedia e come interpretazione mi pare corretta».

Durbridge è alto 1,87 e grazie alle nuove regole riesce a essere più aerodinamico
Durbridge è alto 1,87 e grazie alle nuove regole riesce a essere più aerodinamico

Tre categorie

L’UCI ha diviso il gruppo in categorie determinate dall’altezza: Categoria 1 fino a 179,9; Categoria 2 fino a 189,9; Categoria 3 oltre 190. Per ciascuna di esse ha poi riscritto le misure della bicicletta da cronometro.

Per quelli più alti di 190 centimetri ha disposto che la distanza fra la punta della sella e quella delle protesi possa arrivare fino a 850 millimetri e che la punta delle stesse protesi possa innalzarsi fino a 140 millimetri rispetto al piano orizzontale.

I ciclisti alti fino a 1,79 possono arrivare a 800 millimetri di lunghezza e altezza di 100.

Quelli fino a 189,9 avranno invece il limite di lunghezza a 830 millimetri e altezza di 120 millimetri.

In questo modo Ganna, che grazie alla nuova posizione ha appena vinto la crono della Tirreno-Adriatico, ha potuto inclinare le protesi di 30° rispetto all’orizzontale (nel 2022 il massimo consentito era invece di 15°). Di conseguenza, Pippo ha potuto allungarsi e contemporaneamente chiudere lo spazio fra mani e testa

«Sapevamo già di questa modifica a giugno – spiega Pinotti – ma è stata annunciata tardi. Abbiamo saputo da dicembre del cambio di inclinazione da 15 a 30 gradi e a dicembre abbiamo potuto metterci mano. Intendiamoci, quei 15° non incidono tantissimo, però ad esempio consenti a quelli più alti di arrivare con le punte del manubrio a 140 di altezza senza bisogno di allungarsi per forza fino a 85. L’obiettivo è chiudere al meglio la superficie fra le mani, la testa e il tronco. Che è un po’ la posizione che portò Landis per la prima volta nel giro di California 2006 e poi Leipheimer. Diciamo che i veri precursori di quel tipo di filosofia sono loro due, secondo me. Ma adesso quelli che sono vicini al limite, tipo quelli alti 1,88, hanno la possibilità di stare bene in bici. Prima invece erano tanto penalizzati».

Dai poggioli al manubrio

Fra i cambiamenti dettati dall’UCI, è stata regolamentata anche la distanza fra i poggioli per gli avambracci e la punta delle protesi: minimo 180 millimetri. Non è un caso che nessuno vi poggi ormai i gomiti, ma siano diventati punto di contatto per gli avambracci.

Fu Landis al California del 2006 a inclinare le protesi marcatamente verso l’alto
Fu Landis al California del 2006 a inclinare le protesi marcatamente verso l’alto

«La vera differenza per i più alti – conferma Pinotti – è la variazione nella distanza fra l’appoggio dei gomiti e la fine del manubrio. Diciamo che forse per Ganna, che ha inclinato di più le protesi, non è cambiato molto, perché lui aveva già intelligentemente messo gli appoggi molto alti. Adesso c’è un limite anche lì, visto che oggi devono stare almeno a 18 centimetri. Nella nostra squadra, Sobrero non ha dovuto rivedere nulla. Invece è toccato a Durbridge, Scotson, Hamilton…

«A dicembre, i medici hanno raccolto le misure dei corridori e sono state messe in un modulo. L’ho firmato io e l’ha firmato il medico. Poi è stato mandato all’UCI, affinché alla verifica delle misure della bici, si sappia a quale categoria di altezza si appartiene. Non ho mai visto i giudici misurare gli atleti alla partenza di una crono, diciamo che basta l’autocertificazione».