All’ennesimo scatto di Vingegaard, la maglia gialla affonda

13.07.2022
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Cinque chilometri alla vetta. Il Col du Granon è solo l’ultimo di una tappa in cui i corridori della Jumbo Visma hanno messo in mezzo Pogacar, ricavandone ogni volta risposte sconfortanti. Sul Galibier gli scatti di Vingegaard e Roglic lo hanno preoccupato giusto il tempo di reagire e poi metterli a sua volta in riga. Il gesto di dare gas in favore di telecamera è ancora oggetto di dibattito in sala stampa. Ma lassù Pogacar stava bene, al punto che Roglic l’ha pagata cara e si è staccato.

Manca così poco all’arrivo con Majka che tira e Pogacar che gestisce, da pensare che anche oggi attaccheranno domani. Invece Vingegaard parte ancora e questa volta alle sue spalle qualcosa si rompe. I trenta gradi e la quota si fanno sentire. Pogacar di colpo abbassa la lampo sul torace bianco e la sua pedalata perde consistenza.

«Solo quando ho fatto l’ultimo ultimo attacco sul Granon – dice Vingegaard – ho capito che me ne ero andato. Mi sono voltato, ho visto che non veniva. Poco prima avevo fatto un semplice pensiero: se non ci provi, non lo saprai».

Tutto in un quarto d’ora

Come sia stato che in un quarto d’ora sia crollato il dominatore dell’ultimo Tour è qualcosa che resterà nell’aria fino a che stasera in hotel la UAE Emirates non avrà approfondito il discorso. Intanto Vingegaard spinge con tutto se stesso, con la forza che il suo allenatore Zeeman ha spiegato ieri dopo il traguardo.

«Pogacar ha ancora molta esplosività – ha detto cercando di spiegare quel che ci attendeva – che può esprimere dopo una salita più breve. Jonas in proporzione ne ha meno, ma sulle salite più lunghe si avvicina a Tadej. I valori che ha espresso qui al Tour sulle salite più brevi sono i migliori che abbia mai avuto. Questo ci dà fiducia per il resto del Tour. Presto ci saranno salite dove non puoi nasconderti. E’ lì che si deciderà il Tour».

Solo quando si è voltato sul Granon, Vingegaard ha avuto la certezza di aver staccato Pogacar
Solo quando si è voltato sul Granon, Vingegaard ha avuto la certezza di aver staccato Pogacar

Il sogno di una vita

Vingegaard ha mollato la proverbiale agilità e porta sul Granon i suoi 60 chili con una cadenza cattiva, messa lì per scavare il solco profondo. Alle sue spalle Pogacar deve vedersela con Thomas che gli va via e poi anche con Yates. E come succede in questi casi, la fatica del fuggitivo porta solo buone sensazioni, mentre dietro sta trascinando lo sloveno a fondo.

«Penso che sia davvero incredibile – dice Vingegaard – è difficile per me metterci le parole. Questo è quello che sognavo. Ho sempre sognato una vittoria di tappa al Tour e ora è venuta anche la maglia gialla. E incredibile. Abbiamo preparato un piano dall’inizio della tappa e immagino che abbiate capito quale fosse. Volevamo fare una gara super dura e ne ho ricavato molto vantaggio. Non ci sarei riuscito senza i miei compagni, li devo ringraziare. Sono stati incredibili oggi.

«Negli ultimi due chilometri ho sofferto tanto, volevo solo finirlo – prosegue – ero già totalmente al limite da un chilometro e ho dovuto lottare fino alla fine. A dire il vero, quando abbiamo fatto la ricognizione dei passi con il team, non avevo provato quest’ultima salita, ero salito in macchina. Quindi non avevo grandi sensazioni. Ma ora che l’ho provato, posso dire che è stato duro».

Prima di ritirarsi, Van der Poel non ha resistito all’ultima punzecchiatura ed è andato in fuga con Van Aert
Prima di ritirarsi, Van der Poel non ha resistito all’ultima punzecchiatura ed è andato in fuga con Van Aert

Il giorno perfetto

Fra i compagni c’è sicuramente Van Aert, partito in fuga di buon mattino con il suo… amico Mathieu Van der Poel, che ha concluso il Tour con un ritiro.

«Quando mi sono girato – racconta la maglia verde – ho visto Mathieu ed è stata una bella sorpresa. Siamo subito andati a tutta. E’ stato divertente. Io volevo soprattutto vincere il traguardo volante, ho preso i punti e ora abbiamo anche la maglia gialla. E’ stata una giornata perfetta per la squadra. Eravamo pronti per questo giorno, ma non è stato facile. Pogacar è riuscito a stroncare ogni attacco sul Galibier. Ho pensato che sarebbe stata un’altra giornata dura. Gli stavamo già mettendo pressione dall’inizio del Tour. Avevamo già fatto degli sforzi, ma dovevamo andare oltre. Volevamo farlo soffrire. E alla fine Jonas è riuscito a staccarlo».

Jumbo al settimo cielo

In casa Jumbo Visma il buon umore è contagioso, anche se il Tour è ancora lungo e Pogacar potrebbe ancora rivestire i panni del cannibale.

«Questo era il piano – dice il manager Richard Plugge – i nostri direttori e i corridori lo avevano pianificato da un pezzo ed è riuscito al 90 per cento. Il programma infatti era che Roglic se la cavasse sulla Galibier, ma questo sfortunatamente non ha funzionato. Ma era caldo ed erano sopra i 2.000 metri. Vedendo Pogacar contrattaccare, ho pensato che avrebbe speso tanto…».

“Spallone” Kruijswijk al traguardo era fra i più contenti, dopo anni a tirare per conquiste spesso sfumate.

«Abbiamo cercato di demolire Pogacar – dice l’olandese che vide naufragare la sua maglia rosa al Giro del 2016 – è stata davvero una bella giornata. Lo aspettavamo da molto tempo. Speravamo anche in un risultato migliore, perché volevamo riportare davanti anche Primoz (Roglic, ndr). Abbiamo cercato di mettere su Pogacar. Tadej è davvero forte, ma non poteva rispondere a tutti. Avevamo molta fiducia in Jonas e adesso siamo pronti a difendere la maglia».

Bardet ha attaccato sulla salita finale: è arrivato 3° a 1’10” e ora è secondo in classifica a 2’16”
Bardet ha attaccato sulla salita finale: è arrivato 3° a 1’10” e ora è secondo in classifica a 2’16”

Fino a Parigi

Dopo l’arrivo Vingegaard è crollato in un pianto coinvolgente, anche se fra le immagini più belle di questo pomeriggio sulle Alpi, ci sono state le congratulazioni da parte di Pogacar mentre il danese faceva girare le gambe sui rulli.

«E’ molto difficile per me esprimere a parole quello che penso – ha detto il danese – tutto questo è incredibile. Sul Galibier, Tadej mi ha fatto paura. Era molto forte e ripreso tutti. Ero insicuro se valesse la pena provarci. Poi mi sono scosso. Arrivare secondi è un bel risultato, ma l’ho già fatto l’anno scorso e ora voglio puntare alla vittoria in classifica generale. Per fortuna oggi ci sono riuscito e ora ho la maglia gialla.

«Ovviamente Pogacar reagirà. Lo vedo ancora come uno dei miei principali avversari – dice Vingegaard – è un grande corridore, probabilmente il migliore al mondo. Togliergli la maglia gialla era impensabile. Mi aspetto che cerchi di attaccarmi ogni giorno, ogni volta che ne ha la possibilità. Sarà una gara difficile fino a Parigi, cercheremo di fare del nostro meglio ogni giorno per vincerla. Sarà una bella battaglia».

Jonas Vongegaard è nato il 10 dicembre 1996. E’ altro 1,75 e pesa 60 chili. E’ pro’ dal 2019
Jonas Vongegaard è nato il 10 dicembre 1996. E’ altro 1,75 e pesa 60 chili. E’ pro’ dal 2019

Meritato riposo

L’ultima parola è per il direttore sportivo Grischa Niermann, che ha seguito Vingegaard dalla prima ammiraglia ed è fra coloro che hanno elaborato la strategia di attacco.

«Jonas questa mattina – racconta – mi ha detto che poteva vincere. La strada è ancora lunga, ci sono ancora dieci tappe e alcune sono molto dure. Dipenderà dalla situazione se nei prossimi giorni gareggeremo in modo offensivo o difensivo. Jonas ha fatto molti passi avanti negli ultimi anni, anche come leader. Sono convinto che guiderà bene la squadra nella prossima settimana. I piani non sempre funzionano, ma stasera potremo andare a letto soddisfatti».

Tadej Pogacar, Col du Granon 2022

Il crollo di Pogacar e i retroscena di una UAE stupita

13.07.2022
6 min
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Cinque chilometri che Tadej Pogacar ricorderà a lungo. Cinque chilometri che potrebbero segnare il destino di questo Tour de France. Verso il Col du Granon la (ex) maglia gialla vive il primo momento di difficoltà della carriera.

La sconfitta è sonora. Tra distacco e abbuono l’asso sloveno incassa 3’02” dal rivale danese. Jonas Vingegaard e la Jumbo-Visma ora hanno il coltello dalla parte manico e la “frittata” si è totalmente rigirata.

Ma cosa è successo a Tadej? Troppi sforzi nei giorni precedenti? Troppe energie spese per rispondere agli attacchi sul Galibier? Cattiva alimentazione?

L’ex maglia gialla sul Galibier si è difeso alla grande ma ha speso tanto
L’ex maglia gialla sul Galibier si è difeso alla grande ma ha speso tanto

Doccia fredda

I corridori giungono ai bus parcheggiati all’imbocco della scalata, proprio sulla strada che porta al Lautaret dove domani passeranno di nuovo, ma in salita. Rafal Majka, uno dei protagonisti, piomba veloce quasi un’ora dopo il termine della tappa. “Lancia” la bici ad un meccanico e s’infila nella “casa viaggiante” della UAE Emirates. La sua espressione non è delle migliori.

Proprio Majka aveva fatto tremare. Prima positivo al Covid, poi per la carica batterica molto bassa e per essere asintomatico era partito. Esattamente come era successo Jungels. Però sul Galibier aveva sofferto. Si era staccato presto. Mentre sul Granon ha compiuto un altro capolavoro da gregario.

«Io ho passato ai ragazzi l’ultima borraccia ai 6 chilometri dall’arrivo – racconta Marco Marcato, uno dei diesse UAE – internet non prendeva e non avevo idea di cosa stesse succedendo. Quando sono passati erano ancora tutti insieme. In effetti ho visto i miei, Rafal e Tadej, un po’ affaticati, ma più o meno come gli altri.

«Poi mentre scendevo per tornare qui, sentivo dai tifosi a bordo strada che aveva vinto Vingegaard, ma non credevo così».

Sino all’attacco del danese, Pogacar era stato perfetto. Era rimasto isolato. Aveva risposto agli attacchi e anzi aveva contrattaccato lui stesso per placare gli animi degli avversari. Non poteva assolutamente lasciarsi scappare né Roglic, né tantomeno Vingegaard con Laporte e Van Aert davanti sul Galibier.

Mauro Gianetti spiega cosa è accaduto e come si rimboccheranno le maniche
Mauro Gianetti spiega cosa è accaduto e come si rimboccheranno le maniche

Gianetti placa gli animi

A tenere banco, a metterci la faccia, con grande signorilità, è il team manager della UAE Emirates, Mauro Gianetti. Il ticinese si presta ai microfoni che lo assalgono.

«Questo è lo sport – dice serio, ma non affranto – abbiamo assistito ad una tappa storica. Oggi abbiamo perso. La Jumbo-Visma è una squadra fortissima e avete visto tutti come ha corso. Ci hanno attaccato sin da subito e da lontano. Oggi hanno fatto qualcosa di straordinario».

Non solo, ma con due uomini in meno, Majka che all’inizio non stava bene, Pogacar ha dovuto rispondere a tutti gli scatti in prima persona.

«Chiaro – riprende il manager – che con un Laengen e un George Bennett in più le cose sarebbero potute andare diversamente e per questo sono ancora più orgoglioso dei miei ragazzi. Ma la forza della Jumbo resta. Tuttavia noi sull’ultima salita avevamo un uomo col capitano e loro no. Ma ci aspettavamo un loro attacco con tutti quei campioni».

Pogacar a pochi chilometri dall’imbocco del Granon scherzava con la telecamera imitando il gesto di quando si dà gas alla moto. La sua squadra rilanciava quel momento con un tweet, sottolineando come Tadej fosse rilassato.

«Mah sapete – spiega Gianetti – a Pogacar piace quando c’è la lotta. Si gasa. Evidentemente stava bene per davvero.

«Poi non so se abbia pagato gli scatti degli Jumbo, ma in quel momento non poteva fare altro. Non so se sia andato in crisi di fame, se abbia sofferto il caldo (per la prima volta si è aperto la maglia, ndr). Di certo noi non possiamo rimproverargli nulla. Non abbiamo l’obbligo di vincere, siamo qui se vogliamo per imparare ancora vista la sua età».

«Cosa gli dirò stasera? Nulla, lo abbraccerò. Anche perché durante l’ultima scalata ci ha messo il cuore, ha dato l’anima. Questo è lo spirito della nostra squadra».

Pogacar a tutta verso il Granon, per la prima volta aveva la maglia aperta
Pogacar a tutta verso il Granon, per la prima volta aveva la maglia aperta

Paura del Covid

Più di qualcuno però teme che questo calo così repentino di Pogacar possa attribuirsi al Covid. In fin dei conti la UAE Emirates lo sta schivando già da prima del Tour con Trentin. Due atleti sono stati costretti ad andare a casa, Majka comunque è risultato positivo: il cerchio si fa sempre più stretto.

«La pressione in tal senso c’è – dice Gianetti – Il Covid è entrato in squadra, due ragazzi sono andati via… In più c’è anche la pressione della corsa, dello stare attenti al virus fuori dalla corsa, della conferenza stampa e dei controlli che ogni sera ti fanno arrivare in hotel sempre dopo le 21,30-22». 

I leoncini del leader della generale sul bus della UAE Emirates. Che non siano stati troppi per difendere a lungo la maglia gialla?
I leoncini del leader della generale sul bus della UAE Emirates. Che non siano stati troppi per difendere a lungo la maglia gialla?

Quella maglia gialla…

«Noi – aggiunge Andrea Agostini, altro dirigente del team arabo – facciamo davvero di tutto per prevenire il Covid. Abbiamo comprato non so quante mascherine, i ragazzi mangiano separati, dormono in camere singole. Indossiamo le mascherine sempre. Solo di lampade speciali per la sanificazione abbiamo speso 15.000 euro. Disinfettiamo tutto, bus, ammiraglie… più di così proprio non possiamo fare. Se poi è Covid… ad oggi i nostri non lo avevano».

Tornando alle parole di Gianetti una cosa però va approfondita: «Arrivare ogni giorno più tardi in hotel aggiunge stress e stanchezza». Verissimo. Ma a quel punto non conveniva lasciare la maglia?

Più di qualcuno nel team ci fa capire che l’intento c’era. E ci avevano anche provato, ma con l’esuberanza di un ventritreenne c’è poco da fare! Insomma è stato Pogacar che non la voleva cedere.

Ed in questo è stato coerente con quanto detto nella conferenza stampa prima di Copenhagen: «Non è facile lasciare la maglia gialla. Non è facile lasciare andare via qualcosa per cui si lotta».

Lo sloveno in maglia bianca, sorridente sul podio dopo la batosta
Lo sloveno in maglia bianca, sorridente sul podio dopo la batosta

Non è finita

Pogacar ha preso la più grossa (e unica) batosta della sua carriera. Forse è da stasera in poi che si vedrà davvero quanto è grande. Che è fenomeno lo sappiamo. Per diventare un gigante gli serviva l’occasione di una sconfitta. Eccola…

E a un primissimo impatto a caldo, anche stavolta sembra essere sulla strada giusta. Sul podio per la maglia bianca sorrideva. Ha fatto i complimenti a Vingegaard.

«Non so cosa sia successo – ha detto Pogacar – di certo non è stata la mia miglior giornata. Non avevo energie nel finale. Pensavo a guardare avanti, ma altri ragazzi mi superavano. La Jumbo oggi ha giocato le sue carte davvero bene. E’ stato molto difficile controllare gli attacchi».

 

«Però voglio continuare a lottare. Il distacco è ampio, ma mancano ancora diverse tappe importanti fino alla fine e farò di tutto per non avere rimpianti. Come ho preso io oggi quasi tre minuti, li può prendere anche lui».

Giorno di riposo tra cappuccino, sgambate e app per il cibo

11.07.2022
5 min
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E venne il giorno di riposo al Tour de France. Un riposo meritato, vista l’intensità con cui sono state disputate le tappe. Anche se rispetto al passato, forse in fase di avvio, c’è stata meno bagarre del solito. In qualche occasione è andata via la fuga al primo tentativo. 

Però, proprio come al Giro, i finali sono stati super intensi. E a lottare ci sono stati, volate a parte, gli uomini di classifica. Anche ieri per esempio, alla fine Tadej Pogacar una “bottarella” l’ha data.

Come hanno vissuto le squadre dei leader questo riposo? Andiamo a casa di Jumbo-Visma, UAE Team Emirates e Ineos-Grenadiers

Pogacar, un selfie con McNulty (a sinistra) e George Bennet (a destra), durante la sgambata (immagine Instagram)
Pogacar, un selfie con McNulty (a sinistra) e George Bennet (a destra), durante la sgambata (immagine Instagram)

Sgambatina Tadej

E partiamo proprio dalla maglia gialla. 

Il giorno di riposo è sempre delicato e se l’indomani c’è una tappa di montagna lo è ancora di più. Ma anche in questo caso tutto sembra essere filato liscio per Pogacar e compagni. Tutto sotto controllo.

«Una giornata molto tranquilla – ha detto Tadej – sveglia con calma. Un’uscita molto “easy” di un’ora e mezza. Pranzo, massaggi e (tra poco, ndr) la cena. Tutto molto regolare e senza chissà quali stravolgimenti neanche dal punto di vista alimentare».

Nessuno stravolgimento dice Pogacar, però attenzione c’è stata, specie per quel che riguarda la parte dei carboidrati e quella dell’idratazione. L’obiettivo principale era quello di non gonfiarsi troppo in vista dello start di domani.

Per il resto le domande che lo hanno coinvolto nella conferenza stampa hanno riguardato di più temi come la rivalità con Vingegaard, che appare super pericoloso, e un eventuale eccessivo lavoro della squadra. Ma lui non ha mostrato mezza incertezza neanche con le parole.

Gli olandesi sembrano essere all’avanguardia anche sul fronte alimentazione (foto Twitter, Jumbo-Visma)
Gli olandesi sembrano essere all’avanguardia anche sul fronte alimentazione (foto Twitter, Jumbo-Visma)

In casa Jumbo…

Uscita con sosta al bar invece per i rivali della UAE Emirates, i Jumbo-Visma. Per Van Aert e Vingegaard un cappuccino e un paio di ore rilassanti. Un paio di ore a cavallo dell’ora di pranzo, così da non sballare troppo gli orari. Tuttavia non si sono voluti perdere il pranzo.

E proprio per restare in tema, di pranzo, il Team Jumbo-Visma assume la proprietà della piattaforma #Foodcoach. Una App, ma forse sarebbe meglio dire un programma per controllare l’alimentazione degli sportivi a tutti i livelli. Alimentazione quantomai delicata nel giorno di riposo.

Per quel che riguarda i gialloneri si è discusso di tattiche, di attacchi insensati, di un “non fronte comune” per battere Pogacar.

«Questo giorno di riposo – ha detto Van Aert a Rtbf – mi permette di realizzare quello che sono riuscito a fare questa settimana. Ho messo questa settimana molto in alto nella classifica delle cose che ho conquistato nella mia carriera.

«Dopo la seconda tappa in Danimarca, avevo appena preso la maglia gialla. Eravamo bloccati nel traffico e siamo stati scortati dalla polizia. In quel momento mi sono sentito un po’ una superstar! Ieri comunque ho speso molto. In fuga neanche volevo andarci, mi ci sono ritrovato. Ero stanco e questo giorno di riposo è stato ideale».

«La lotta per la maglia gialla? Pensavamo che Roglic ne uscisse meglio e invece ha perso terreno. Però Vingegaard è in buona forma ed ogni volta riesce a stare dietro a Pogacar».

Come squadra sono i più forti e lo stesso Vingegaard lo ha sottolineato.

«Il giorno del pavè – ha detto il danese – ho sbagliato io a cambiare. La catena si è allentata e ho dovuto mettere piede a terra. Ma Van Hooydonck, Van Aert, Laporte e Benoot e sono stati incredibilmente forti nell’inseguimento e alla fine ho perso solo pochi secondi».

I ragazzi della Ineos-Grenadiers sul Col du Corbier, la “salitella” che diceva Cioni (immagine Instagram)
I ragazzi della Ineos-Grenadiers sul Col du Corbier, la “salitella” che diceva Cioni (immagine Instagram)

Ineos sul Corbier

Infine, non vanno eliminati dalla lotta per la maglia gialla gli Ineos-Grenadiers. In particolare con Adam Yates e Geraint Thomas.

Uno dei loro tecnici, Dario David Cioni, ci spiega da un punto di vista più tecnico come hanno gestito il riposo.

«Il giorno di riposo – spiega Cioni – è approcciato in modo soggettivo da ogni corridore. E varia  soprattutto tra gli uomini di classifica e gli altri. Quelli di classifica fanno un po’ d’intensità comunque. Di solito noi ci regoliamo su un percorso di un paio d’ore. Scegliamo una salitella e lì ognuno svolge il “lavoro” che deve fare. E vista la tappa non facile che li attende era un aspetto molto importante».

Gli Ineos sono usciti verso le 11. L’obiettivo primario era lasciar dormire i ragazzi più a lungo possibile.

«O comunque – riprende Cioni – avere una sveglia tranquilla. Sono usciti verso le 11 e alle 13 erano di ritorno. A pranzo non hanno stravolto le abitudini. Alla fine venivano da un giorno intenso e li aspetta un giorno intenso: non è detto che le scorte di glicogeno dei singoli corridori erano reintegrate totalmente.

«Sì, hanno mangiato un po’ di carboidrati, ma non così tanti di meno. Semmai evitano le fibre per non gonfiarsi troppo. E la stessa cosa vale per la cena».

Tom Pidcock si rilassa così. Da buon biker mette il divertimento al primo posto
Tom Pidcock si rilassa così. Da buon biker mette il divertimento al primo posto

Clima e tappa

Cioni entra poi nel dettaglio e ci spiega ancora meglio questo particolare giorno di recupero.

«E poi bisogna considerare due cose: com’è la tappa il giorno dopo e il clima. Il caldo rende tutto più facile. Discorso diverso con il freddo. Anche se si dovesse essere un po’ più “gonfi” le temperature alte aiutano ad espellere liquidi.

«Inoltre domani i primi 40 chilometri sono “in discesa”, c’è una salitella ma niente di che. I primi 20 soprattutto. Difficilmente partirà la fuga lì, quindi non si ha la necessità di essere sul pezzo sin dalla prima ora. Hai un po’ di tempo per rimetterti in sesto». Discorso diverso se ci fosse stata la tappa di dopodomani con il Galibier in avvio.

«Questo – conclude Cioni – semplifica le cose. Ma come ho detto il giorno di riposo è molto soggettivo. Generalmente va meglio a giovani, che si adattano più facilmente ai cambiamenti, mentre i corridori più esperti hanno più bisogno della loro routine. Ma molto dipende anche dallo stato di forma del corridore stesso. Se vola, sarebbe meglio che non ci fosse il riposo, ma se invece è stanco, gli fa bene eccome».

EDITORIALE / A questi fenomeni si perdona ogni errore

11.07.2022
5 min
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Quando ha vinto alla Planche des Belles Filles, il giorno dopo la vittoria di Longwy, abbiamo iniziato a guardarci intorno, cercando nelle altre squadre quegli sguardi. Non poteva lasciar vincere Kamna? Eppure non una voce in questo senso si è alzata dal gruppo o sui media. Al contrario, si è detto: è giusto che il più forte corra sempre per vincere. E’ il ciclismo dei giovani fenomeni e del pubblico che va di fretta. Sarebbe servito che Pogacar vincesse ieri a Chatel per averne la controprova. 

Perché del Pantani che vinse anche a Campiglio non si disse che fosse il più forte ed era giusto che vincesse, e si disse al contrario che stava esagerando, mentre lo sloveno può fare quel che vuole e nessuno trova da ridire? Una catena di ipermercati romagnoli era meno gradita al cospetto dei grandi, rispetto alla squadra degli Emirati? Niente di tutto questo, almeno non oggi. La sensazione è che sia tutto cambiato.

Kamna in fuga alla Planche des Belles Filles non ha avuto scampo contro Pogacar
Kamna in fuga alla Planche des Belles Filles non ha avuto scampo contro Pogacar

Tutto cambiato

Il ciclismo è cambiato. Sono cambiate le persone che ci lavorano, è cambiato il modo di starci dentro. Per certi versi è tutto così inquadrato, che è venuto meno un certo tipo di stress (sostituito da altre tipologie).

Prima c’era il direttore sportivo che faceva tutto da sé. Non aveva Velo Viewer e nemmeno le radioline. Per cui doveva costruirsi la tattica un pezzettino per volta, parlando con i corridori e sommando la sua e la loro esperienza. La sera in hotel, aspettava l’arrivo dei comunicati e li spulciava riga dopo riga, per capire che cosa avessero fatto i suoi corridori e gli avversari. Sapeva tutto di tutti. E i suoi ragionamenti tenevano conto dei suoi uomini e delle prestazioni dei rivali.

Oggi il direttore sportivo entra nella riunione del mattino dopo che i suoi colleghi hanno fatto la loro parte, svelando tutte le insidie del percorso e come spingere e mangiare per superarle. Lui aggiunge qualcosa della sua esperienza, poi sale in ammiraglia e spera che le cose vadano come ha previsto. Ammette Martinelli che ai tempi di Pantani, un corridore che potrebbe stare nella galleria dei fenomeni di tutti i tempi, non si usavano le radioline e forse alcune corse le avrebbero gestite diversamente.

Van Aert in fuga verso Longwy: un evidente errore tecnico, raccontato come gesto spettacolare
Van Aert in fuga verso Longwy: un evidente errore tecnico, raccontato come gesto spettacolare

L’errore di Van Aert

Vi siete divertiti a vedere Van Aert in maglia gialla, in fuga dal mattino? Chi scrive non si è divertito per niente. Okay, la Jumbo Visma non ha lavorato per tutto il giorno, ma puoi dirlo col senno di poi. Quella tappa con Van Aert dovevano vincerla correndo in altro modo: quella fuga non sarebbe mai arrivata. In tre, poi, figurarsi. Con Fuglsang che ancora non si è ripreso. Ma se chi racconta le tappe ne parla come di un’impresa, è ovvio che la gente sia contenta. Poi spegne la televisione e non ci pensa più.

Noi ci divertivamo anche a vedere Pantani contro Ullrich o contro Tonkov, ma in quegli anni c’era più gente che poi rimuginava e la vittoria non era mai foriera di sola serenità. Sono sparite le seghe mentali, dicono in gruppo, che non è poco.

«Pantani non voleva vincere a Madonna di Campiglio – ricorda Martinelli – e ci eravamo adoperati perché arrivasse la fuga. Dietro si era deciso così, invece Jalabert mise la squadra a tirare forse perché voleva vincere lui. E a fronte di quel comportamento, Pantani perse la pazienza e vinse lui».

Era il più forte, era giusto che vincesse. Come la prese il gruppo? Con voci e commenti sull’ingordigia di Marco e chissà cos’altro. E quando il giorno dopo il sole cadde dal cielo, ci fu anche chi si diede di gomito. Fra le squadre, soprattutto. E nel palazzo.

A Madonna di Campiglio l’ultima vittoria di Pantani al Giro d’Italia. Era il 4 giugno del 1999
A Madonna di Campiglio l’ultima vittoria di Pantani al Giro d’Italia. Era il 4 giugno del 1999

Sparita l’invidia

Oggi fra le squadre non ci sono più gelosie, ai fenomeni si perdona tutto. Proprio Martinelli racconta di aver scritto di recente al suo preparatore Mazzoleni che una volta piaceva a tutti curiosare in casa degli avversari, mentre oggi dopo l’arrivo si fa un reset e si guarda al giorno dopo. E proprio il non avere più il comunicato da studiare fa sì che il tecnico abbia una conoscenza diversa del gruppo. Se gli serve un’informazione, va su internet e tira fuori vita, morte, miracoli e piazzamenti di chiunque. Paradossalmente è un modo di fare che porta a una conoscenza meno approfondita del corridore, che prima avrebbero dovuto osservare, incontrare, parlarci e capire se ci fosse margine per costruirci qualcosa.

Oggi si va più di fretta. La gente vuole divertirsi e non farsi pensieri dopo. Per questo avere fenomeni come Pogacar, Van Aert, Van der Poel è bello e coinvolgente. Ma siamo sicuri che tutto quello che fanno sia oro? Ogni loro gesto viene dipinto come prodigioso, ma spesso certe fughe illogiche andrebbero bollate come errori.

Pogacar ha corso da padrone con Bennett e Majka: gregari formidabili, ma si hanno occhi solo per lo sloveno
Pogacar ha corso da padrone con Bennett e Majka: gregari formidabili, ma si hanno occhi solo per lo sloveno

L’appassionato di ciclismo

Chi è oggi l’appassionato di ciclismo? Quelli di ieri conoscevano anche corridori di cui negli ordini di arrivo non c’era traccia e sapevano inquadrare il risultato di oggi ricordando i piazzamenti di ieri. Oggi basta andare su Procyclingstats per avere le informazioni, ma non la conoscenza. Quanti sanno dire chi ci sia dietro a quei fenomeni?

«Una volta – dice Martinelli – incontravi per strada quello che ti chiedeva di Fontanelli. Secondo me oggi se chiedete a un telespettatore chi sia O’Connor, non tutti lo sanno. Ma sanno di Pogacar, Van Aert, Van der Poel e gli altri fenomeni. Si tocca con mano e per certi versi è bello che sia così».

Oggi quanti sanno chi siano i gregari di Pogacar o Van der Poel e perché siano speciali? All’opinione pubblica piace così perché probabilmente vi è stata portata dal racconto televisivo. Se Pogacar avesse vinto ieri a Chatel si sarebbe detto che per farlo avesse spremuto troppo la squadra (come tanti di noi hanno pensato, a prescindere dal risultato), oppure se ne sarebbe esaltata ancora una volta la forza?

Le storie della Planche e Vingegaard sulla strada di Tadej

08.07.2022
6 min
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Quassù c’è qualcosa di magico. Forse è la leggenda delle ragazze che 400 anni fa si lasciarono annegare nel lago per sfuggire agli stupri dei mercenari svedesi durante la Guerra dei Trent’anni. Oppure è la storia di destini che si incrociano a La Planche des Belles Filles e raccontano storie di corsa.

Anche in questo giorno caldo di grandi attese mantenute, uomini di valore si sono arrampicati portando con sé ricordi e missioni da compiere. Solo uno è riuscito a mantenere il voto dichiarato ieri dopo la vittoria di Longwy, ma stavolta ha dovuto stringere i denti contro il giovane Vingegaard che già sul Mont Ventoux lo guardò negli occhi senza timori. Anche lui lo ha fissato nel momento di passarlo, si esercita così la pressione del leader. Sugli altri è calato lo stesso silenzio di quel giorno crudele, quando le ragazze di Plancher les Mines scelsero una morte dignitosa per sfuggire a una ben più terribile.

Ritorno sul luogo del delitto

Qui Pogacar spodestò Roglic e chissà se nella sua determinazione di vincere sia passata anche la voglia di dimostrare che non fu per la fortuna. C’era la sua famiglia, c’erano motivazioni speciali, ma per vincere ha dovuto pescare nella tasca dell’orgoglio.

«Da quando è stato annunciato il percorso – ha detto – ho voluto vincere quassù. Vingegaard è stato davvero forte. Ha corso alla grande, ma io non potevo rinunciare. Per Urska al traguardo, per la mia famiglia ai piedi della salita, per la mia squadra che ha lavorato così duramente. Ho dovuto davvero spingere a fondo per superarlo. Questa è una vittoria molto speciale. Anche perché oggi abbiamo lanciato una fondazione per la ricerca sul cancro. Per questo ho indossato per la prima volta queste scarpe speciali».

Vingegaard oggi ha fatto soffrire Pogacar. Non ha paura e riproverà
Vingegaard oggi ha fatto soffrire Pogacar. Non ha paura e riproverà

Un avversario vero

Ma forse stavolta Tadej potrebbe aver trovato un degno avversario. Quantomeno uno che non ha paura di sfidarlo in campo aperto, comunque andrà a finire.

«E’ stato sicuramente un finale brutale – racconta il giovane danese della Jumbo Visma, l’unico a non avere conti aperti con la Planche, ma avendone appena aperto uno – ma penso di poter essere felice. Ci ho provato, ma sono arrivato a 20 metri dalla fine e poi basta. Ero davvero vicino al traguardo e ora spero di stare meglio sulle salite più lunghe. Le gambe hanno risposto bene quindi sono felice».

Pogacar lo ha definito il miglior scalatore al mondo circondato da una squadra fortissima. Il danese sorride e si dirige verso il bus. Per oggi altro da dire non ce l’ha.

Roglic sta tornando. Arriva nella scia di Pogacar e promette battaglia
Roglic sta tornando. Arriva nella scia di Pogacar e promette battaglia

La risposta delle gambe

Roglic ha preferito dire poche parole, lasciando che a dare il suo messaggio fossero le gambe. Il terzo posto a 14 secondi da Pogacar dice che forse le botte dei giorni scorsi si stanno assorbendo e che altre montagne potrebbero diventare sue amiche. Chissà se salendo ha riconosciuto qualche scorcio di quel giorno in cui aveva gli occhi sbarrati e la vita contro.

«Sapevo cosa stava succedendo – ha detto alla partenza – ma non potevo più spingere. Stavo lottando contro me stesso per ogni metro. Oggi non sapevo cosa aspettarmi. Ho abbastanza esperienza dopo le cadute. Ogni spinta del pedale è come un coltello che mi taglia la schiena. Mi fa male la parte bassa, ma non sono qui per piangere, sono qui per combattere».

La Planche questa volta non lo ha respinto e chissà che non cedendo al forcing del giovane connazionale non abbia ritrovato la fiducia che sprofondò con lui nel lago quel giorno.

Ancora una volta nella stessa fuga, Teuns e Ciccone stavolta si arrendono
Ancora una volta nella stessa fuga, Teuns e Ciccone stavolta si arrendono

Teuns e Ciccone, deja vu

Curiosamente nella fuga si sono ritrovati i due uomini che se la giocarono nel 2019. Teuns vincendo la tappa, Ciccone prendendo la maglia gialla.

«Avevo già previsto questo scenario ieri sera – ha detto il belga del Team Bahrain Victorious – sapevo che c’erano buone possibilità che Pogacar volesse vincere oggi e alla fine è andata così. Ho capito presto che non saremmo riusciti ad arrivare alla fine. Se il gruppo ti concede solo un massimo di due minuti e mezzo, sai che hai poche possibilità. Sulla salita finale, Kamna era chiaramente anche il più forte. Ma per me ci sono ancora molte opportunità in questo Tour».

Forse è stato per questo senso di impotenza che Ciccone a un certo punto ha preferito mollare?

«Era una tappa adatta agli attacchi quindi ci ho provato. Il fatto che fosse una salita che aveva già detto qualcosa di importante cambiava poco. Quando sei lì per giocartela, ogni salita più o meno diventa uguale. La fatica è quella, neanche me la ricordavo benissimo».

Teuns è arrivato a 3’52”, Ciccone a 16’30”. Si fa così quando si vuole entrare liberamente nelle fughe. Ma forse l’abruzzese non ha ancora ritrovato la gamba di fine Giro.

Dieci anni dopo, non è più lo stesso Froome. Solo la testa è identica
Dieci anni dopo, non è più lo stesso Froome. Solo la testa è identica

Dieci anni così lunghi

Parlando davanti al bus grazie ai buoni uffici del suo addetto stampa, Chris Froome ieri aveva sorriso ripensando alla salita che nel 2012, giusto 10 anni fa, gli portò la prima vittoria di tappa, in quel Tour di tensioni che fu poi vinto da Wiggins.

«Ho dei bei ricordi del 2012 – ha detto – in quel Tour fu anche la prima occasione per misurare la mia condizione e credo che sarà così anche domani. Mi aspetto che gli scalatori cercheranno di recuperare il terreno perso nella crono, per poi cominciare una rimonta nei giorni successivi. Alcuni dei miei rivali cercheranno di recuperare tempo e di passare all’offensiva sin da domenica».

Ha concluso prevedendo distacchi contenuti fra i primi del Tour. Quei dieci anni non sono stati facili da colmare, ma l’esperienza ha visto giusto. Froome è arrivato a 3’48” da Pogacar, in questo primo Tour senza i legacci dell’infortunio, rincorrendo le sensazioni del campione che fu. Sapremo nei prossimi giorni quanto il tempo avrà scavato a fondo. E per fortuna non ci sarà da aspettare troppo.

Un cenno di Pogacar e UAE in testa. Poi l’esplosione allo sprint

07.07.2022
5 min
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Rafal, cosa pensi quando Pogacar vi chiede di tirare? «Mamma mia – risponde Majka sfinito – quando chiede di tirare è un problema. Non è mai per caso. E’ un corridore che veramente va fortissimo. Quest’anno va anche più dell’anno scorso. Mi sono allenato con lui quasi due mesi prima del Tour, non mi sorprende quello che sta facendo, perché si sa che è veramente un fenomeno. E quando ci ha chiesto di passare davanti nel finale, era già tutto scritto. Ce l’aveva nelle gambe».

La tattica di Van Aert

Pogacar ha vinto la tappa di Longwy, iniziata nel segno della maglia gialla in fuga. Adesso sulla tattica di Van Aert e dei suoi si comincia a mugugnare. La battuta più ricorrente che si sente è che una volta si pensava che fosse Van der Poel quello delle fughe illogiche, ma forse anche Wout a volte si fa prendere la mano.

«Credo di aver capito la sua tattica – ha appena detto Pogacar nella conferenza stampa – l’ha fatto perché era l’unico modo per vincere senza distruggere la squadra. Sapeva che per arrivare in volata, avrebbero dovuto tirare tutto il giorno. Ma devo dire che è stata una mossa ardita, era impossibile in tre resistere al ritorno del gruppo. Non abbiamo neppure dovuto tirare troppo. E una volta lì davanti, ho seguito il mio istinto».

Qualunque mossa faccia Van Aert, accenna Gianetti tornando verso il pullman, diventa credibile. Per questo alla fine erano tutti attenti. Non preoccupati, mancava ancora troppa strada.

L’occhio di Marcato

Il pullman del UAE Team Emirates è il primo che si incontra in cima al rettilineo. Appena lo sloveno ha tagliato il traguardo, Gianetti è corso verso il traguardo. Marcato invece si è messo ad accogliere i corridori. Prima McNulty, poi Majka, che nel finale hanno aperto la strada per la volata di Tadej. Le pacche sulle spalle sono davvero fragorose.

«Stiamo ricevendo un po’ di critiche dai media riguardo alla squadra – dice l’ex corridore padovano – però oggi abbiamo dimostrato che quando serve, noi ci siamo. E’ andata bene. Ora che lo osservo da fuori, vedo che Tadej è consapevole che sta bene e può fare bene. E’ arrivato qui determinato, ha preparato questo Tour al 100 per cento. E adesso dobbiamo raccogliere un po’ i frutti di tutto.

«Noi all’interno sapevamo che ieri poteva far bene, perché sappiamo come approccia quel tipo di corse e che la bici la guida bene. Il punto di domanda era per possibili cadute o forature, ma per quanto riguarda le sue capacità sul pavé eravamo tranquilli. Magari pensavamo che arrivasse la fuga, ma è andata così. Di sicuro fra lui e Van Aert c’è un po’ di rivalità e si vede…».

Matxin è il “tecnico dei tecnici” in casa UAE Emirates. A fine tappa ride dietro la mascherina
Matxin è il “tecnico dei tecnici” in casa UAE Emirates. A fine tappa ride dietro la mascherina

La calma di Matxin

Arriva l’ammiraglia, altri abbracci. Da una parte scende Hauptman, che non ha mai grande voglia di parlare. Dall’altra spunta Matxin, che viene preso d’assalto da Eurosport e poi dal resto.

«Stamattina nella riunione – racconta – ci siamo detti che era difficile lavorare tutto il giorno per tenere una fuga a distanza. Per cui abbiamo fatto la nostra corsa, credendo ai nostri corridori. Abbiamo aspettato Bennett che ha bucato due volte e Hirschi che ha male al ginocchio, anche se c’era Van Aert davanti. Sapevamo che potevamo andare a prenderlo.

«Aveva due minuti e per far rientrare tutti lo abbiamo fatto arrivare anche a quattro. Erano in tre, abbiamo chiesto di stare calmi e di non tirare. Poi ci siamo riuniti e abbiamo iniziato a menare. Ovviamente ci ha aiutato anche la EF Education-EasyPost che puntava alla maglia. Sarebbe stato perfetto per Powless prenderla, ma per un fatto di abbuoni non ci è riuscito ed è venuta da noi quasi senza volerla. Credo che la vittoria sia stata il suo modo di sdebitarsi con i compagni».

Anche allo sprint Tadej è imbattibile. Per lo sloveno tappa e maglia. E domani ha già detto che vuole il bis
Anche allo sprint Tadej è imbattibile. Per lo sloveno tappa e maglia. E domani ha già detto che vuole il bis

Alla Planche per vincere

Pogacar si guarda intorno e ascolta le domande, rispondendo col tono pacato di uno che non ha speso chissà quanto. Ma domani si arriva in salita e allora forse si vedranno altri sguardi.

«Domani voglio vincere – dice subito Tadej – perché ci sarà la mia famiglia per cui la tappa sarà più importante. E’ chiaro però che se andrà via la fuga e non riusciremo a controllarla, non sarà un disastro. In questi giorni è andato tutto bene e domani iniziano le montagne e sono contento di arrivarci in buona posizione. Se terrò o meno la maglia non posso dirlo ora, saranno le circostanze. Ma certo non è facile lasciarla andare».

La sesta tappa del Tour finisce in tasca al vincitore delle ultime due edizioni. Domani La Planche des Belles Filles risveglierà ricordi particolari di certo per Ciccone che lassù conquistò la maglia gialla, in Roglic che la perse e in Froome che là in cima si rivelò ormai 10 anni fa. Su tutti loro si allunga l’ombra di Pogacar. Il fatto che abbia detto di voler vincere ha già alzato la temperatura dello scontro.

Il morso di Pogacar prima delle salite. Processo alla Jumbo

06.07.2022
7 min
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In qualche modo un botta e risposta. Dal trionfo di Van Aert, ai dubbi sulla corsa dello squadrone olandese. Nel giorno in cui la Jumbo Visma ha lasciato affondare Roglic, Pogacar ha dato il primo morso a questa enorme mela che è il Tour. A 20,2 chilometri dall’arrivo, sul settore di pavé numero 3 da Tilloy les Marchiennes a Sars et Rosiers, lo sloveno ha rotto gli indugi seguendo Stuyven, allo stesso modo in cui ieri Van Aert ha dato fondo alle sue energie. E anche se non ha vinto la tappa, ha fatto in modo che tutti gli avversari vedessero le sue spalle allontanarsi e sparire in una nuvola di polvere.

«Il primo obiettivo oggi – dice il diesse UAE, Andrej Hauptman – era correre davanti per difendersi. Però con Tadej è così: quando trova l’occasione, lui parte. Oggi per noi è una buona giornata e andiamo avanti, perché il Tour è ancora lungo. Sapevamo che fosse bravo sul pavé. Ha fatto le sue ricognizioni, però in tappe come questa, devi avere anche fortuna. Oppure non devi avere sfortuna. Roglic ad esempio ha perso tanto, però questo è il ciclismo. E in una giornata come questa, ci poteva anche stare».

A 20,2 chilometri dall’arrivo, l’attacco di Stuyven e Pogacar: il gruppo esita
A 20,2 chilometri dall’arrivo, l’attacco di Stuyven e Pogacar: il gruppo esita

Lo stile di Tadej

Vederlo andare sul pavé non ha la poesia dei grandi della Roubaix. Di Cancellara, Ballerini oppure Boonen. Non ha l’armonia di una struttura disegnata per galleggiare sulle pietre, neanche tiene sempre le mani in basso o al centro del manubrio, il più delle volte le mette sulle leve dei freni. Però va dannatamente forte e dannatamente facile.

«Avevo paura che mi succedesse qualcosa – dice lui al termine delle formalità da sbrigare – ma ho scoperto di avere grandi sensazioni. Quando Stuyven ha attaccato, ho cercato di seguirlo. Andava davvero forte e sono contento di essere arrivato con lui al traguardo. Oggi doveva essere sopravvivere e non perdere terreno, invece alla fine ho guadagnato. Non troppo, ma posso essere soddisfatto. Ho sentito delle varie cadute, non sapevo di Primoz. Dopo due settori, c’era un gruppo davvero piccolo. Andavamo davvero forte sulle pietre. Stavano cominciando gli attacchi e io ho fatto la mia corsa cercando di non cadere».

Pogacar contento di aver guadagnato qualcosa, ma sfinito per seguire Stuyven
Pogacar contento di aver guadagnato qualcosa, ma sfinito per seguire Stuyven

Pasticcio Jumbo

Sono caduti invece quelli della Jumbo Visma, entrata in gara per schiacciare tutti e uscita dalla giornata con l’amaro in bocca. Van Aert caduto e ancora in maglia gialla. Vingegaard caduto e attaccato alla sua scia. Roglic caduto e sprofondato nell’ennesimo episodio sfortunato. Se il compito di Van Aert era quello di tenerli entrambi fuori dai guai, la squadra evidentemente ha fatto la sua scelta. E aveva ragione Garzelli: se hai due leader e uno ha problemi, dividi la squadra a metà perdendo efficacia? Oggi è andata così.

«E’ stato proprio diverso dalle classiche – ammette Van Aert dopo esserci tolto la polvere dalla faccia – io sto bene fisicamente, ma gestire il rientro dalla caduta non è stato facile. Abbiamo inseguito duramente, ma quando ho capito che non avremmo potuto fare quello per cui eravamo venuti, ho smesso di pensare alla maglia gialla. Ho dato per scontato che l’avrei persa. E quando Jonas (Vingegaard, ndr) ha avuto il guasto e ci sono stati problemi di comunicazione per darlgi la bici, mi sono messo al suo servizio. Roglic è lontano, non ci voleva. Ma il Tour è appena cominciato e sulle montagne tutto può ancora succedere».

Roglic è arrivato a 2’59”. Se le sue condizioni sono buone, magari potrebbe tentare di riaprire il discorso, ma sul coriaceo sloveno sembra abbattersi ogni volta una maledizione. Quasi che il Tour non gli abbia perdonato quel crollo nell’ultima crono del 2020. Chissà se tornare fra due giorni sulla salita dove tutto ebbe inizio (o dove cominciò la fine) lo aiuterà a scacciare i demoni di quel 19 settembre di due anni fa.

Caruso, storia già vista

Ancora una volta i migliori italiani sono stati Mozzato e Dainese, arrivati come Cattaneo, Pasqualon e Caruso nel gruppo di Van Aert. Per il siciliano, in particolare, la giornata segna l’inizio di un nuovo Tour, secondo lo stesso copione che lo scorso anno lo portò sul podio del Giro. La caduta e il ritiro di Jack Haig, al pari di quella di Landa di allora, privano la Bahrain Victorious del suo leader per la generale.

«Cadute e forature – dice Caruso – l’hanno fatta da padrone. Siamo stati sfortunati perché abbiamo perso Jack, io invece sono stato fortunato e bravo perché sono rimasto fuori dai problemi. Ho avuto anche buone sensazioni. Un ostacolo importante che abbiamo superato. Continuiamo giorno per giorno, siamo solo all’inizio

«Questa tappa ero venuto a provarla due volte soprattutto per i materiali. Però paradossalmente ho avuto sensazioni migliori in gara che durante la ricognizione. E’ stato difficile all’inizio quando il gruppo era numeroso, poi si è andato assottigliando ed è diventato meno stressante. Ma alcuni tratti erano veramente sconnessi».

Il miracolo di Clarke

Piuttosto, la tappa da Lille alla miniera di Arenberg l’ha vinta Simon Clarke, australiano classe 1986, sopravvissuto con il gruppetto in fuga ai vari inseguimenti di giornata. Anche a quello più inquietante da parte di Pogacar.

«Sapevamo del distacco – racconta al settimo cielo – e sapevamo anche che in un finale come questo è difficilissimo recuperare un simile vantaggio. Per prenderci, sarebbero dovuti andare super veloci. Ero sicuro che saremmo arrivati, mentre non ero sicuro che avrei vinto la tappa. La volata è stata lunghissima, è cominciata all’ultimo chilometro. Powless ha fatto un allungo pazzesco e ha preso margine. Per me aveva vinto lui. Poi Boasson Hagen si è messo a chiudere con un rapportone, mentre io continuavo a ripetermi di non andare in panico e stare calmo. E quando ha lanciato la volata e Taco Van der Hoorn gli si è messo dietro, io ho preso la sua scia. Non so come ho fatto, ma sono uscito e l’ho saltato. Non è stato niente di scontato».

«Che stagione – conclude – l’anno scorso ero senza squadra. Ho continuato ad allenarmi come se ci fosse. Quando stamattina mi hanno detto che toccava a me andare in fuga, ho pensato che le due tappe vinte alla Vuelta e la maglia rosa al Giro del 2015 erano tutte nella prima settimana. Per questo ci ho creduto. Ma quando ho dato il colpo di reni, ve lo giuro, ho solo pregato che fosse abbastanza».

Gianetti, un giorno pericoloso e il naso rotto 35 anni fa

06.07.2022
5 min
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Non dovrebbe piovere, pensa Gianetti guardando il cielo. Ugualmente la tappa che prenderà il via da Lille all’ora di pranzo si annuncia piena di insidie. Tra polvere, buche e pietre sconnesse, anche una foratura potrebbe rivelarsi fatale. Ieri Van Aert ha colto tutti in castagna, sorprendendo anche Pogacar (che in apertura taglia il traguardo di Calais). Oggi nella tappa che si conclude vicino alle vecchie miniere di Arenberg potrebbe succedere la stessa cosa?

«Le tappe del Tour rendono nervosi – dice Gianetti – ogni giorno c’è vento, pavé, poi altri tranelli. Il Tour de France è questo e bisogna essere concentrati e pronti in ogni momento. E’ chiaro che se dovesse anche piovere, sarebbe un altro problema. Vorremmo tutti che il Tour si giocasse per le forze in campo e non tanto per le sfortune e le disavventure che possono arrivare. Sarebbe bello che tutti i migliori si potessero confrontare sul pavé e nelle tappe di montagna e che nessuno avesse sfortune…».

Vigilia della tappa sul pavè, ieri dopo l’arrivo a Calais. Gianetti non sta mai fermo
Vigilia della tappa sul pavè, ieri dopo l’arrivo a Calais. Gianetti non sta mai fermo

In casa UAE Emirates è giorno di esami. Ed è soprattutto l’imponderabile a destare qualche apprensione in più. Finché si tratta solo di pedalare, Pogacar non ha problemi: prendete la crono di Copenhagen, stava per vincerla. Ma per la legge dei grandi numeri e il fatto che finora la sfortuna si sia abbattuta soltanto sui suoi avversari, l’ansia viene da sé.

Mauro, in questi giorni Tadej ha fatto da sé, ma sul pavé la squadra potrebbe essere decisiva?

La squadra serve tantissimo e serve sempre. Oggi, come poi nelle tappe di salita, oppure quelle col vento. Ci sono squadre più attrezzate per le tappe mosse e quelle più attrezzate per le montagne. La squadra è fondamentale qui al Tour.

Nella scorsa primavera, Pogacar e Trentin in ricognizione sul pavé, pensando a Fiandre e Tour: per Gianetti una fase cruciale
Nella scorsa primavera, Pogacar e Trentin in ricognizione sul pavé, pensando a Fiandre e Tour
Però intanto aver corso sul pavé ad aprile ha dato a Tadej ancora un po’ di fiducia?

E’ stato un passaggio fondamentale. Prima, perché potesse capire le sue capacità. E poi perché verificasse le sue capacità di fronte agli altri. E’ arrivato quarto al Fiandre, adesso sa che pedala bene sul pavé e questo è importante.

Si farà sentire l’assenza di Trentin?

Tantissimo (lo dice senza lasciarci finire la domanda, ndr)! Soprattutto pensando a queste tappe. La scelta era di avere Matteo Trentin con un’idea ben chiara e ben precisa. Ora abbiamo Marc Hirschi che potrà essere più utile di quanto sarebbe stato Matteo sulle montagne, ma qui il disagio per l’assenza di Matteo sarà evidente.

Il maxi schermo sul pullman del UAE Team Emirates è ogni giorno il ritrovo dei giornalisti
Il maxi schermo sul pullman del UAE Team Emirates è ogni giorno il ritrovo dei giornalisti
Come hai reagito quando ti hanno detto che non ci sarebbe stato?

Incavolarsi serve a poco. Dispiace per la squadra. Dispiace per Matteo, perché anche lui ci credeva. Ho allargato le braccia, c’era poco da fare. La cosa peggiore è che Matteo sta benissimo. E’ semplicemente positivo, senza nessun sintomo. Neanche mal di gola e mal di testa. E’ disarmante pensare che un ragazzo che ha investito dei mesi di lavoro, le emozioni, la famiglia… Per andare al Tour, c’è da fare un investimento personale. Fai dell’altura da solo, stai tanto lontano da casa. E il giorno prima ti dicono che non puoi partire… Non è facile.

Come ti sentiresti, corridore da 62 chili, dovendo fare una tappa come questa?

Direi parole irripetibili. Mi è già capitato una volta, mi pare fosse il 1989. Il giorno prima addirittura caddi e mi ruppi il naso. Ricordo che affrontai il pavé con il naso rotto e gli ultimi due settori, visto che ormai ero ultimo e staccato, li feci a piedi per quanto mi faceva male il naso. Pensavo di ritirarmi e intanto il direttore sportivo mi ripeteva che ormai potevo arrivare a Parigi. Eravamo alla seconda tappa, ma ebbe ragione lui. Fatta Roubaix, arrivai a Parigi.

La stessa bici

Intanto dal camion dei meccanici, Alessandro Mazzi fa sapere che per la tappa di stamattina, Pogacar utilizzerà la stessa Colnago dei giorni scorsi, con l’unica variazione del reggisella, che sarà quello di serie. Per le altre tappe, la squadra sta utilizzando invece una versione Darimo alleggerita per Colnago.

«Avrà poi ruote tubeless Bora WTO da 45 millimetri con pneumatici da 30 millimetri – dice – con un inserto all’interno, mentre ad aprile per il Fiandre ha usato le 28. Davanti terrà il 39-54 e dietro un 11-29. La stessa sella e anche il nastro manubrio sarà il solito. Ha fatto delle ricognizioni con la bici settata a questo modo e si è trovato a suo agio».

Il Covid, l’esclusione, Pogacar: parla Trentin

04.07.2022
5 min
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«Quando ho saputo di essere positivo al Covid non sono cascato dal pero. Lo sarei stato molto più se i motivi fossero stati altri». Matteo Trentin è uno scrigno di filosofia nell’apprendere e metabolizzare la sua positività al Coronavirus e il conseguente abbandono anzitempo del Tour de France.

Il corridore della UAE Emirates doveva essere parte della squadra che avrebbe aiutato Tadej Pogacar alla conquista del terzo Tour e invece è rimasto casa. A guardare, neanche così tanto assiduamente (per ora), la Grande Boucle “dal divano”. Una volta saputo della sua positività al Covid, Matteo ha salutato tutti, ha fatto gli in bocca ai suoi compagni ed è uscito dalla chat.

«Neanche volevo disturbarli troppo. Vi assicuro che soprattutto i primi giorni sono molto frenetici e nervosi».

Sul palco gli UAE erano in 7 anziché 8. Mancava Trentin e il suo sostituto Hirschi era in viaggio
Sul palco gli UAE erano in 7 anziché 8. Mancava Trentin e il suo sostituto Hirschi era in viaggio

Matteo a casa

Mentre parliamo con Trentin, il Tour saluta la Danimarca.

E’ arrivato in Francia con dei voli charter. I corridori si sono “riposati” e hanno tirato un primo micro-bilancio.

Un bilancio che parla di stress, cadute e di volate.

«Come dicevo – racconta Trentin – non sono stato totalmente sorpreso dal mio Covid. Alla fine sono due anni che c’è questa situazione e siamo tutti appesi ad un filo. Ci può stare.

«Da parte mia non ho mai avuto assolutamente niente: totalmente asintomatico. La cosa buona è che per fortuna, avendo corso l’italiano in Puglia, sarei dovuto arrivare un giorno dopo e quindi di fatto non ho avuto contatti con i ragazzi, non ho creato scompiglio con il Covid».

Il morale di Matteo è buono, l’ha presa bene. Certo, quando gli diciamo che il suo spirito è positivo lui ribatte, scherzando: «Non dire positivo che porta sfortuna!».

«Chiaro che non è stato bello – riprende il trentino – Ovviamente mi è dispiaciuto tantissimo, sia per me che per la squadra. Anche per me sarebbe stata una bella esperienza andare al Tour con Tadej. E’ l’uomo che ne ha vinti due e punta al terzo. D’altra, parte purtroppo è andata così. Ma le regole sono queste. E alle regole dobbiamo sottostare in tempo di Covid. Sappiamo che sparando nel mucchio dei controlli può starci».

«E poi non mi è andata male se penso agli altri corridori che hanno preso questo “long Covid”, che sembrerebbe funzionare come una mononucleosi, piò o meno».

Grande intensità nelle prime tappe del Tour, anche se nella terza frazione gli stessi corridori hanno parlato di fasi tranquille
Grande intensità nelle prime tappe del Tour, anche se nella terza frazione gli stessi corridori hanno parlato di fasi tranquille

Trentin uomo in più

In queste prime fasi di Tour, come abbiamo accennato, abbiamo visto parecchie cadute. Persino nella crono inaugurale ce ne sono state. E poi nelle prime due frazioni in linea. Il solito nervosismo. Abbiamo visto blocchi per team compatti: se cade un corridore in un determinato spicchio di gruppo cade mezza squadra. E in tutto ciò Pogacar, stando in “semi-autonomia, si è già giocato due o tre jolly. Se l’è cavata da solo.

In queste condizioni Trentin ci sarebbe stato bene. Sarebbe stato oro.

«Quale sarebbe stato il mio ruolo? Aiutare! Stare vicino a Tadej nei momenti in cui si era nel “mio campo”: pianura, tappe mosse, vento, pavè… Avrei dovuto portare gli scalatori nella posizione consona prima delle salite».

«Sin qui ho dato uno sguardo al Tour, ma non è stato uno sguardo troppo assiduo. Ho visto bene la crono. Quel giorno Pogacar ha fatto una super prova. E per “azzurrità” ho tifato Pippo Ganna. E vi dirò che tutto sommato sono anche contento che abbia preso la maglia gialla Lampaert: se lo merita ed è un gran bel corridore».

«Nelle due tappe in linea ho visto che Tadej è incappato in una transenna e se l’è cavata».

«Insomma – aggiunge dopo una breve pausa – l’ho presa con filosofia okay, ma mi serve pur sempre una settimana per riprendere a guardare il Tour con serenità!».

In primavera Matteo era andato in avanscoperta anche dei tratti di pavè che avrebbe affrontato il Tour (foto Instagram – Fizza)
In primavera Matteo era andato in avanscoperta anche dei tratti di pavè che avrebbe affrontato il Tour (foto Instagram – Fizza)

Verso il pavè

Ma adesso si va verso quello che Trentin ha chiamato “il suo campo”: pianura e pavé. Un uomo come lui sarebbe stato super importante per lo sloveno. 

«Con Pogacar abbiamo corso abbastanza poco insieme – riprende Trentin – soprattutto per calendari diversi. Io ho fatto la Parigi-Nizza e lui la Tirreno. Quest’anno ci siamo incontrati al Fiandre e lo scorso anno allo Slovenia. E anche quando siamo a casa (Monaco, ndr) non ci vediamo così tanto. Primo, perché abbiamo altri orari. Io avendo i bambini esco prima. E secondo, perché lui è col gruppo degli scalatori e fa altri lavori».

«Da un punto di vista tecnico, ero andato a vedere la tappa del pavè. E posso dire che i primi cinque settori sono veramente brutti. A meno che non li abbiano sistemati. Magari li hanno sistemati in questi mesi. Non ho un aggiornamento dell’ultimo momento».

Al termine delle frazioni, Pogacar ha ringraziato i compagni che gli erano vicino. Segno che c’era tensione
Al termine delle frazioni, Pogacar ha ringraziato i compagni che gli erano vicino. Segno che c’era tensione

Ma quali consigli?

Insomma Trentin sarebbe stato a Pogacar, come Van Aert a Roglic. L’asso delle pietre al servizio dello scalatore.

«Tadej – dice Trentin – ha dimostrato però di essere uno scalatore atipico. E lo abbiamo visto anche al Fiandre, dove si è districato egregiamente. Ovvio, le pietre della Roubaix non sono le pietre del Fiandre, sono più cattive. Senza salite diventano più veloci. E’ un po’ diverso ed essendo anche leggero rimbalzerà un po’ di più».

 

La UAE ha sostituito Matteo con Hirschi. Ma sarà più Laengen, gigante norvegese da 1,95 metri, a stargli vicino in queste prime frazioni tra vento e pavè. E lo stesso vale per Bjerg (forse un po’ troppo poco esperto). Anche se Pogacar sembra più seguire i “consigli” di Garzelli in diretta tv, cioè accodarsi alle squadre più quotate.

«Però sin qui Tadej si è difeso talmente bene su ogni terreno che si fa fatica a dargli dei consigli. Sì, magari qualche dritta sulla posizione, su come mettere le mani sul manubrio, su come pedalare… ma probabilmente non ne ha neanche bisogno».