Vuelta, tappa bellissima mozzata dalla protesta. Vince Bernal

09.09.2025
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Gianmarco Garofoli, che stamattina ha lasciato la Vuelta a causa di un virus intestinale che lo ha colpito nella notte, lo aveva detto: «Qui in Spagna la questione palestinese è molto sentita, specie al Nord». E così oggi una tappa che si stava annunciando interessante e anche emozionante, vista la durezza del percorso, è stata mozzata sul più bello.

Per la cronaca ha vinto Egan Bernal, ma certo annunciare così una sua vittoria dispiace. Dispiace perché in fuga c’era con lui Mikel Landa. Due scalatori di rango, entrambi con un conto aperto con il destino e le cadute. Viene dunque da pensare cosa sarebbe potuto essere senza l’interruzione.

Il forcing di Bernal mette tutti in fila. Alla fine resteranno solo il colombiano (che otterrà la sua 22ª vittoria da pro’) e lo spagnolo
Il forcing di Bernal mette tutti in fila. Alla fine resteranno solo il colombiano (che otterrà la sua 22ª vittoria da pro’) e lo spagnolo

La vittoria triste di Bernal

Mancavano circa 16 chilometri quando la direzione di corsa ha ufficializzato l’accorciamento della tappa. «A causa di una protesta che ha bloccato la corsa, il vincitore di tappa e i tempi della classifica generale saranno decisi a 8 chilometri dal traguardo», così informava La Vuelta sul proprio sito ufficiale.

Stop dunque al cartello dei -8, proprio laddove iniziava la scalata finale verso Castro de Hervillo. A circa 3 chilometri dall’arrivo i manifestanti avevano occupato la sede stradale: la corsa non sarebbe potuta passare.

Landa e Bernal restavano in due grazie alla foratura che aveva fermato il terzo fuggitivo, Clement Braz Afonso. I tre avevano fatto la differenza sull’Alto de Prado, una scalata durissima con punte al 18 per cento. Bernal mostrava grande gamba: quando tirava lui, il gruppetto si allungava e anche i colli degli altri fuggitivi. Landa era uno dei pochissimi a resistere, ma con fatica.

In volata, come previsto, non c’è stata storia. Landa non è mai stato uno sprinter e per di più, trovandosi davanti al momento del lancio in leggera discesa, ha finito per offrire il colpo di grazia al rivale in un arrivo che tanto sembrava quello di una corsa di cicloamatori di terzo ordine, tanto era improvvisato, senza transenne, senza tifo…

Vingegaard sereno dopo l’arrivo. Nella generale nulla di fatto a parte Pellizzari che sale al quinto posto. Mentre Almeida insegue sempre a 48″
Vingegaard sereno dopo l’arrivo. Nella generale nulla di fatto a parte Pellizzari che sale al quinto posto. Mentre Almeida insegue sempre a 48″

Vingegaard, un altro passetto

E poi c’è la battaglia per la classifica generale. Apparentemente nessun grande movimento, ma a guardare bene Jonas Vingegaard è parso brillante e disteso in volto come nei giorni migliori. Pedalava leggero anche in piedi sui pedali. Bene anche Joao Almeida, più agile del danese.

La UAE Emirates si è trovata scoperta dopo il forcing della Bahrain-Victorious, preoccupata per il rientro in classifica di Bernal, e ha richiamato Marc Soler che era davanti. Giusto una precauzione, più che l’idea di un attacco. L’unico vero brivido è stata la foratura di Vingegaard sull’Alto de Prado: immediato il cambio bici con quella di Ben Tulett, senza conseguenze.

A conti fatti, questa protesta ha fatto gioco al leader della Vuelta. E’ passata un’altra tappa e Vingegaard resta in maglia roja, evitando il pericolo dell’ultima scalata. Avrebbe potuto anche affondare il colpo lui, sia chiaro. Dopo il “traguardo” Jonas era sorridente, salutava le telecamere e festeggiava con i compagni.

L’assembramento lungo la salita finale. Già verso le 16,30 mentre salivano i mezzi quello della Israel-Premier Tech era stato bloccato (foto Marta Brea)
L’assembramento lungo la salita finale. Già verso le 16,30 mentre salivano i mezzi quello della Israel-Premier Tech era stato bloccato (foto Marta Brea)

La protesta inarrestabile

La notizia del giorno resta però la protesta palestinese. La percezione in Spagna sembra diversa dalla nostra, sia per impatto mediatico che per approccio politico e sociale a 360°. Lo aveva detto Garofoli, lo si vede dalle immagini trasmesse dalla Vuelta e dalle prese di posizione del premier Pedro Sanchez.

Il primo ministro spagnolo, giusto ieri, aveva rincarato la dose contro Israele e Benjamin Netanyahu. Aveva chiuso gli spazi aerei e navali per eventuali carichi di rifornimenti militari, dato supporto alla Global Simud Flotilla e preso posizione netta.

Ieri erano state fatte delle riunioni per la sicurezza in vista di queste tre tappe in Galizia, con l’obiettivo di blindare soprattutto la frazione 17, quella di domani con arrivo al Alto de El Morredero, secondo le fonti quella più a rischio. Era stata prevista una task force ulteriore di 147 agenti tra Guardia Civil, Unità di Mobilità e Polizia locale. I manifestanti, però, hanno anticipato.

Il direttore della Vuelta, Javier Guillen, ha ammesso di trovarsi davanti all’edizione più difficile dei suoi 16 anni di direzione. L’Israel-Premier Tech resta al centro della bufera. Fa da capro espiatorio, ma la sensazione (ripetiamo sensazione) è che la protesta sulle strade iberiche ci sarebbe lo stesso proprio perché c’è un’altra visone in merito alla guerra in Medio Oriente.

Guillen si trova in una posizione difficile. Non hai mai incentivato la Israel a lasciare, ma neanche si è espresso affinché restasse in gara. L’UCI da parte sua ha diramato un comunicato molto neutro: «La squadra ha il diritto di partecipare, non possiamo vietarlo». Di fatto tutto è in sospeso e questi sono i risultati.

Stefano Zanini (classe 1969) diesse della XDS in questa Vuelta
Stefano Zanini (classe 1969) diesse della XDS in questa Vuelta

Dalla Spagna, Zanini…

Abbiamo intercettato a caldo Stefano Zanini, direttore sportivo della XDS-Astana, per provare a capire quale atmosfera si vive sul campo.
«In effetti – ha detto Zazà – oggi c’erano tantissimi manifestanti lungo il percorso. Sembra quasi che la protesta cresca. Ci hanno avvertiti dello stop via radio mentre eravamo sulla quella salita durissima, l’Alto de Prado (quindi poco prima rispetto a noi, ndr) e lo abbiamo comunicato ai ragazzi».

Stefano, gli atleti hanno la sensazione di correre rischi?

Se bloccano la strada come oggi no, ma se succede come qualche giorno fa nella cronometro, o come quando quel tizio si è gettato addosso a Romo (oggi non partito per i traumi di quella caduta), allora sì: un po’ di timore credo lo abbiano.

I tuoi corridori ne parlano tra loro?

Abbiamo orari differenti, ma almeno negli ultimi due giorni non ne hanno discusso.

Avete mai condiviso l’hotel con la Israel-Premier Tech?

Sì, anche nel giorno di riposo e non ci sono mai state proteste. Tutto molto tranquillo.

Personalmente che sensazioni hai? E’ stata persino messa in discussione la tappa finale di Madrid… Cosa succederà?

La sensazione è che il problema c’è e non sarà facile. Parlavo con un giudice e mi diceva che anche tecnicamente riorganizzarsi ogni volta è complicato. Dover prendere i tempi a mano all’improvviso è come tornare a 40 anni fa. Quindi la mia sensazione è: “speriamo che vada bene”. Non so cos’altro dire. E’ una situazione insolita, in cui lo sport subisce la politica.

E’ così: questa è politica e il ciclismo si corre sulla strada. Storicamente è sempre stato così. Oggi parlare solo di sport è difficile, forse anche fuori luogo. Staremo a vedere quel che succederà e se davvero questa Vuelta ferita arriverà a Madrid. Qualcuno in Spagna inizia davvero a chiederselo, come è accaduto in un dibattito su Marca, il maggior quotidiano spagnolo, e anche in altre trasmissioni. Intanto domani c’è un altro arrivo in salita… forse.

Matteo, non più “l’altro Turconi”. Arriva un nuovo scalatore

18.08.2025
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Mai considerarlo “l’altro Turconi” non è più il caso. Perché Matteo Turconi si sta costruendo la propria strada e al suo secondo anno junior è ormai un riferimento per la categoria, se si considera che ha portato a casa nella stagione 5 vittorie, tutte inserite nel calendario nazionale. A queste si aggiungano 12 Top 10 con presenze sul podio anche in gare a tappe come la classifica finale del Giro d’Abruzzo. Un corridore completo, con l’instinct killer giusto per emergere anche nelle categorie superiori.

L’impressione è quella di un ragazzo che non solo vuole affrancarsi dall’ombra del fratello Filippo e non solo (sua madre Moira Tarraran ha fatto il Giro d’Italia nel 1999, suo zio è Stefano Zanini che non ha certo bisogno di presentazioni) ma che abbia dentro qualcosa in più, una straordinaria voglia di emergere.

Matteo insieme a suo zio Stefano Zanini, vincitore dell’Amstel nel ’96 e oggi diesse alla XDS Astana
Matteo insieme a suo zio Stefano Zanini, vincitore dell’Amstel nel ’96 e oggi diesse alla XDS Astana

«Forse viene da come sono andate le cose nell’anno scorso, il mio primo da junior – racconta il corridore della Bustese Olonia – la stagione non era andata come speravo, avevo ottenuto poco. Anch’io sono stupito positivamente da come sta andando, perché 5 vittorie non le avevo mai fatte neanche nelle categorie precedenti ma io guardo anche al fatto di fare tante gare di alto livello come quella di domenica scorsa. Ho anche ottenuto altri piazzamenti, quindi devo dire che sono veramente contento di come sta andando».

La tua vittoria principale, quella che ti ha dato più soddisfazione e ha fatto salire di livello la tua stagione?

Per me è stato importante il campionato regionale, anche se magari tra tutte era quello col livello più basso, ma è comunque un titolo che dà importanza. Anche se quella che magari mi è piaciuta di più è quella di sabato scorso, il Memorial Salvatico perché c’era tanta salita e mi sono potuto esprimere al meglio. Poi devo dire anche quella al Pistolesi, perché comunque è su una salita che faccio spesso in allenamento perché vicino a casa mia.

Per Turconi già 5 vittorie in stagione, tutte in gare nazionali. Ora punta alla convocazione azzurra (foto Instagram)
Per Turconi già 5 vittorie in stagione, tutte in gare nazionali. Ora punta alla convocazione azzurra (foto Instagram)
Che differenze ci sono con tuo fratello dal punto di vista tecnico?

Secondo me anche come caratteristiche siamo più o meno simili. Forse lui è più scattoso e io un po’ più regolarista, salgo sul passo. Abbiamo due stili diversi ma entrambi possiamo considerarci degli scalatori.

E quanto conta avere Filippo come riferimento attuale nel ciclismo, cioè un fratello che gareggia nella categoria superiore?

Non nascondo che è un vantaggio, sicuramente conta tanto cioè avere uno che può darti consigli perché c’è già passato da poco e comunque sta dimostrando anche nelle categorie superiori che sa dire la sua. Diciamo che mi ritengo fortunato anche perché con lui ho un ottimo rapporto, molto amicale.

Foto di gruppo con la Bustese Olonia dopo la conquista del titolo lombardo a Manerba del Garda
Foto di gruppo con la Bustese Olonia dopo la conquista del titolo lombardo a Manerba del Garda
Tu hai avuto occasione di vedere gareggiare tua madre e tuo zio?

No, perché mia mamma si è ritirata prima della nostra nascita, mentre mio zio forse ha fatto qualche gara quando ero nato, ma ero così piccolo che neanche posso ricordarmi. Però ho sentito un po’ di racconti delle sue imprese, ho visto qualcosa sui social di quando correva.

E che cosa pensi quando senti quei racconti, quel loro ciclismo che dicono tutti essere così diverso da quello che viviamo adesso e che vivete voi ragazzi?

A me devo dire che tutti i racconti di mio zio mi affascinano. Mi ritengo anche fortunato ad avere uno zio come lui, che ha fatto corse e soprattutto vinto corse di altissimo livello, che può darmi consigli. I suggerimenti di un familiare magari sono diversi dai consigli che può darti uno dello stesso settore, che non ha un legame, perché lo fa con il cuore. Parliamo di una persona che anche oggi è nel vivo dell’attività, che sa come si vive in quell’ambiente, è un riferimento a prescindere dal team dove lavora lui e dove posso militare io.

Lo scalatore lombardo è pronto al passaggio di categoria, puntando a traguardi importanti nelle prove più impegnative
Lo scalatore lombardo è pronto al passaggio di categoria, puntando a traguardi importanti nelle prove più impegnative
Con una madre che ha fatto il Giro d’Italia e con uno zio come Zanini, la vostra strada era un po’ obbligata verso il ciclismo?

Sicuramente quello ha contribuito, ma è stata una passione che è cresciuta dentro di noi, non ci siamo mai sentiti costretti. Diciamo che in casa si è sempre respirato ciclismo, anche mio padre ha corso fino ai dilettanti. L’ambiente era quello, ci ha coinvolto, ma poi abbiamo continuato esclusivamente per nostra volontà e seguiamo la nostra strada, prendendo sì i consigli ma decidendo noi.

Adesso cosa ti aspetta nella seconda parte di stagione?

Arrivano 5 settimane di fuoco, dalla corsa di Sestriere e poi due classiche internazionali come Vertova e Paganessi, che non so se farò entrambe. Spero in una convocazione per il Lunigiana e il Trofeo Buffoni per riuscire a essere convocato al campionato europeo, che mi dicono essere molto duro e quindi adatto alle mie caratteristiche.

Matteo e Filippo Turconi si ritroveranno insieme dal prossimo anno alla VF Group Bardiani
Matteo e Filippo Turconi si ritroveranno insieme dal prossimo anno alla VF Group Bardiani
E l’anno prossimo?

Raggiungerò mio fratello alla VF Group Bardiani. Il fatto che lui era già lì ha pesato nella mia scelta, vedo come si sta trovando, la squadra mi ha fatto veramente una buona impressione. E poi correre con mio fratello è una cosa che io ho sempre voluto, ma con due anni di differenza non era mai stato possibile fare. Già questo è un sogno che si realizza…

Zanini e lo spirito ritrovato tra le pietre del Nord

18.04.2025
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Un anno fa raccontavamo del Giro delle Fiandre concluso con il ritiro dell’ammiraglia da parte dell’Astana Qazaqstan. Qualcosa che rimane dentro e che ha ferito l’animo del team e del suo staff. 365 giorni dopo, più o meno, i ragazzi della XDS Astana Team sono tornati sulle pietre di Fiandre e Roubaix per prendersi la rivincita. Il risultato è stata una campagna del pavé vissuta in prima linea e con il coltello tra i denti, guidati in macchina da uno Stefano Zanini che da queste parti ha lasciato un pezzo di cuore e tante emozioni. Lo sentiamo mentre si trova in macchina e ha appena ritirato l’ammiraglia dal tagliando.

«Anche i veicoli – dice Zanini con un sorriso – devono fare un controllo dopo due settimane nelle Classiche del Nord. Per fortuna tutto a posto. Ora torno a casa e mi godo un periodo di riposo prima di ripartire con le gare nel mese di maggio».

La XDS Astana Team ha corso un Fiandre d’attacco anticipando i favoriti e cogliendo un decimo posto con Ballerini
La XDS Astana Team ha corso un Fiandre d’attacco anticipando i favoriti e cogliendo un decimo posto con Ballerini

L’altra faccia del pavé

Quest’anno la XDS Astana ha un altro spirito, lo si è capito fin dalle prime gare in Spagna e la campagna del Nord ne ha dato conferma. La rincorsa ai punti ha portato tutti a fare un salto a livello mentale e di approccio alle corse. La ciliegina sulla torta è arrivata al Fiandre e alla Roubaix, dove la squadra ha corso da protagonista. 

«Abbiamo avuto l’impressione di un cambio di mentalità fin da dicembre – racconta Zanini – l’ambiente dei corridori era diverso. L’arrivo di ragazzi nuovi ha portato qualcosa in più e lo si è visto. C’era tanta motivazione e il riscontro lo abbiamo avuto fin da subito. Nel 2024 le pietre ci erano rimaste indigeste, un anno dopo posso dire che è andata in maniera totalmente diversa e il grazie va a tutti. Anche ragazzi giovani come Romele e Toneatti si sono dimostrati all’altezza della situazione. Da questo punto di vista siamo contenti perché per loro si prospetta un bel futuro. Con il mix di corridori esperti e giovani sono convinto che in futuro potremo fare delle belle cose».

Dicevi della mentalità che è cambiata, ci spieghi meglio?

Mi riferisco all’approccio a questo tipo di gare. Tatticamente la strategia non cambia, negli anni ci troveremo sempre a competere contro i soliti Pogacar, Van der Poel, Pedersen e Van Aert. Però l’atteggiamento dei ragazzi deve essere quello di dire: «Non vedo l’ora che arrivino queste gare». Solo così ti viene la voglia di soffrire e di provarci fino in fondo. 

Hai rivisto la corsa?

Lunedì, una volta rientrato a casa. Abbiamo corso bene, fin dai primi tratti eravamo davanti. La Roubaix è una corsa nella quale serve fortuna ma anche tanta calma, tra cadute e forature il gruppo esplode ma poi si ricompatta sempre. Bisogna avere una gran dose di fortuna ma la si deve anche cercare. I momenti difficili vanno gestiti e interpretati. Non si può correre solamente quando tutto va bene. 

Mike Teunissen si è dimostrato solido e tenace, per lui un 12° posto al Fiandre e il 16° alla Roubaix
Mike Teunissen si è dimostrato solido e tenace, per lui un 12° posto al Fiandre e il 16° alla Roubaix
Chi è rimasto dall’anno scorso, a partire da voi dello staff, ha cercato di instillare questa voglia di rivincita anche nei nuovi arrivati?

Per quanto mi riguarda no. I corridori sanno che queste sono le mie corse preferite, chi viene qui capisce che è un altro modo di vivere il ciclismo. Forse inconsciamente riesco anche a trasmettere questa mia passione. Le Classiche del pavé le senti maggiormente rispetto alle altre, sarà per l’ambiente o altro, ma non c’è bisogno di tante parole. Chi viene a fare queste gare percepisce nell’aria il ciclismo.

I due punti di riferimento quest’anno per il Nord erano Ballerini e Bettiol…

Sì, poi purtroppo Bettiol ha avuto un’infiammazione ai polmoni e ha saltato tutta la campagna del pavé. Ballerini, invece, ha fatto una buona serie di gare con ottimi risultati: sesto alla Gand, decimo al Fiandre. Peccato per la Roubaix dove è stato messo fuorigioco dalla sfortuna e da un incidente con uno spettatore. 

La forza (ancora grezza) di Fedorov ha impressionato Zanini
La forza (ancora grezza) di Fedorov ha impressionato Zanini
La squadra, nonostante l’assenza di quello che poteva essere il leader, non si è disunita. A testimonianza di quanto dicevi sulla mentalità giusta.

E’ stato un modo per capire quanto valgono anche gli altri, da Ballerini a Bol e passando per Teunissen. Quest’ultimo mi ha sorpreso in positivo, ha dimostrato una grande professionalità ed è stato un perfetto capitano in corsa. Perché a volte c’è il capitano che trascina con la sua personalità, altre invece servono corridori come Teunissen. Dotati di carisma e di una grande gestione dei momenti di gara. 

Fedorov ha fatto degli ottimi passi in avanti rispetto allo scorso anno.

A mio avviso è fortissimo, ha una forza sovrumana. Deve imparare a correre meglio e leggere le fasi di gara. Alla Roubaix fino alla Foresta di Arenberg è rimasto tra i primi, poi ha speso troppo per rientrare su un gruppetto e da lì è mancato. Sono passi naturali da fare, ha comunque venticinque anni. Non voglio dimenticarmi nemmeno di Gazzoli, è stato una pedina importante e di supporto alla squadra.

La cosa più importante che portate a casa?

Che la stagione non finisce con le Classiche del Nord. Quello che abbiamo fatto fino ad ora è solamente l’inizio e dobbiamo proseguire su questa strada.

Pogacar a Roubaix: è davvero un rischio? L’opinione di Zanini

31.03.2025
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Pochi giorni fa è arrivata la conferma ufficiale forse più attesa degli ultimi lustri: tra meno di due settimane Tadej Pogacar parteciperà alla Parigi-Roubaix. La notizia è tanto più clamorosa perché l’ultimo vincitore di Tour de France a fare sua la Regina della Classiche è stato Bernard Hinault nel 1981, qualcosa come 44 anni fa. La notizia era nell’aria da diverse settimane, almeno da quando la UAE Emirates aveva postato quel video, in cui il campione del mondo si cimentava – con molta classe, ça va sans dire – sulle pietre della foresta di Arenberg.

Dalla squadra però, fino all’annuncio arrivato dopo la Milano-Sanremo, era trapelato più di qualche scetticismo. Mauro Gianetti ancora dopo la Strade Bianche aveva dichiarato che sperava che il campione del mondo desistesse, aspettando magari ancora un anno. Troppo alto il rischio di una caduta che avrebbe potuto compromettere il resto della stagione, Tour de France in testa. Ma, ci siamo chiesti, davvero la Parigi-Roubaix è così pericolosa rispetto alle altre gare?  Per cercare di capire meglio abbiamo parlato con Stefano Zanini, DS dell’XDS Astana Team, che nella sua carriera da professionista vanta due top 5 sulle pietre francesi.

Zanini è stato uno specialista delle classiche: qui nel 1996, mentre taglia vittorioso il traguardo dell’Amstel Gold Race
Zanini è stato uno specialista delle classiche: qui nel 1996, mentre taglia vittorioso il traguardo dell’Amstel Gold Race
Stefano, andiamo dritti al sodo: davvero la Roubaix è così pericolosa? Specie ora che la famigerata entrata alla Foresta di Arenberg è stata modificata.

La grande differenza ovviamente la fa il percorso, cioè il pavé, che è un pavé diverso da quello del resto del mondo. Alcuni tratti sono messi davvero male, nonostante la manutenzione costante, primi fra tutti il Carrefour de l’Arbre e la Foresta, nonostante il nuovo ingresso. Che poi sia pericolosa o meno dipende da come i corridori si comportano in bici. Comunque io non la vedo molto più pericolosa delle altre gare, che al giorno d’oggi sono tutte complicate con gli spartitraffico e i paletti che si trovano ovunque. 

Quindi molto dipende dai corridori?

Sento dai miei ragazzi che c’è chi rischia più del dovuto, quando a volte basterebbe aspettare un attimo per passare in certi frangenti. Tante volte le cadute sono dovute a questo, al fatto che per la foga non si frena più, anche quando sarebbe giusto.

La foresta di Arenberg, da sempre uno dei punti più delicati della Roubaix. Per il secondo anno però una deviazione obbligherà i corridori ad entrarci più lentamente
La foresta di Arenberg, da sempre uno dei punti più delicati della Roubaix. Per il secondo anno però una deviazione obbligherà i corridori ad entrarci più lentamente
Immaginiamo che però non sia facile dire a chi si gioca una classica monumento di tirare i freni…

Sono gare importanti, io quello che dico è: «E’ un momento importante e bisogna essere in buona posizione», come fanno anche tutti gli altri direttori sportivi. Poi ovviamente davanti non c’è spazio per tutti e lì vengono fuori i problemi. In passato ci siamo sentiti dire che è colpa nostra (dei DS, ndr) se i corridori cadono, ma questo non lo accetto. Ai miei tempi i tecnici ci dicevano lo stesso e però si cadeva meno. 

Perché secondo te?

Non dico che non si cadesse, per carità, però non c’erano tutte queste cadute. Forse c’era un po’ più di rispetto tra i corridori. Il motivo preciso non saprei dirlo, non sto dentro al gruppo, ma sento i miei ragazzi che mi dicono che tal corridore non frena, che un altro rischia troppo.

Il Carrefour de l’Arbre è l’altro punto cruciale della gara: qui nel 2023 Van Aert ha forato lanciando Van der Poel verso la vittoria
Il Carrefour de l’Arbre è l’altro punto cruciale della gara: qui nel 2023 Van Aert ha forato lanciando Van der Poel verso la vittoria
Torniamo a Pogacar. Anche tu come Gianetti avresti delle remore sul fargli correre la Roubaix?

Forse sì. Poi è anche vero che se stai a vedere il rischio delle cadute non corri più, perché possono capitare sempre come abbiamo visto anche negli ultimi anni. Lui per esempio due anni fa è caduto alla Liegi, dove nessuno se lo aspettava, cosa che gli ha compromesso il Tour. Capisco anche che alcune squadre rispetto ad altre debbano pensare a tutelare i loro atleti, se possono giocarsi le grandi corse a tappe. Giustamente devono mettere tutto sul piatto e poi decidere. Piacerebbe anche a me avere di questi pensieri, ma purtroppo almeno per il momento non ce li abbiamo.

Può avere senso dire che alla Roubaix è più facile cadere, ma meno difficile farsi male?

Secondo me no, dipende sempre dalla caduta. Anche in discesa si può fare solo una scivolata senza conseguenze, mentre a volte andando a terra a velocità bassa ci si può rompere un polso o la clavicola. Va molto a fortuna. A me è capitato sia di non farmi niente cadendo ad alta velocità sia di avere conseguenze cadendo in modo sciocco. Le variabili sono davvero tante.

Però è vero che ci sono corridori che cadono più di altri, o no?

Non saprei nemmeno io, certo c’è la sfortuna, poi forse qualcuno è un po’ meno abile a guidare la bici, meno reattivo, cosa che li porta ad essere più coinvolti di altri. 

Pogacar si è già cimentato sul pavè della Roubaix al Tour 2022, dove è sembrato molto a suo agio sulle pietre
Pogacar si è già cimentato sul pavè della Roubaix al Tour 2022, dove è sembrato molto a suo agio sulle pietre
Invece, forare è sempre solo sfortuna o può essere anche imperizia?

Secondo me è solo casuale, perché alla Roubaix spesso si fora quando si è in fila indiana dietro a qualcun altro, senza avere nessuna colpa. Poi anche lì, ci sono delle variabili. Per esempio è importante stare al centro della strada il pavé è migliore, soprattutto quando è bagnato, e se si va di lato dentro le pozzanghere non puoi mai sapere cosa c’è sotto.

Ultima domanda. Avere Pogacar in gara cambia qualcosa per voi?

A noi cambia poco, andiamo per fare la nostra gara il meglio possibile con Ballerini e Bol. La presenza di Pogacar da un lato potrebbe essere positiva, potremmo sfruttare il lavoro della sua squadra all’inizio e poi cercare fortuna nei momenti chiave, quando come si diceva prima è fondamentale essere in buona posizione. Se stai davanti è tutto più facile, se ti trovi dietro devi sempre recuperare, spendi tanto, e anche le possibilità di cadere si moltiplicano.

Nella nuova Astana, Ulissi ritrova l’entusiasmo e il Giro

08.01.2025
7 min
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Immagina una volata a due, Ulissi contro Pogacar: come la gestisci? Diego scoppia a ridere, è l’ultima domanda di una lunga conversazione sui giorni nuovi con la XDS-Astana. «Bella domanda! Essere lì con Tadej a fare la volata – dice – sarebbe già una bella vittoria, ma bisogna vedere quante gambe mi rimarrebbero. Tadej è estremamente veloce. E’ il corridore più forte al mondo, nonostante anche io abbia un bel picco di velocità. Insomma, sarebbe una volata persa…».

Mancano pochi giorni alla ripartenza per il secondo ritiro in Spagna, che Ulissi raggiungerà con qualche giorno di ritardo per l’influenza dei giorni scorsi. Le Feste le hanno passate tutti insieme a Lugano. Viola è nata da appena due mesi e non era il caso di farla viaggiare, perciò questa volta il viaggio è toccato ai nonni. Il toscano è di buon umore – la bimba sta bene, mangia e soprattutto dorme – e lui può concentrarsi sugli allenamenti e la nuova squadra.

Diego Ulissi, classe 1989, è stato dal 2010 al 2024 nello stesso gruppo: prima Lampre, poi UAE
Diego Ulissi, classe 1989, è stato dal 2010 al 2024 nello stesso gruppo: prima Lampre, poi UAE
Com’è ricominciare da capo in un ambiente tutto nuovo?

Proprio da capo, non direi. Un po’ di esperienza ce l’ho, ho cambiato ambiente, ma conosco tutti ed è stato facile inserirsi. Abbiamo fatto le riunioni di routine che si fanno in tutte le squadre. Poi ci siamo conosciuti con gli allenamenti, passando tutta la giornata insieme. La routine di tutti i giorni è perfetta per conoscersi bene.

Chi è ora il tuo allenatore?

E’ arrivato quest’anno, si chiama Helmut Dollinger, è austriaco. Ci siamo parlati per la prima volta quando ci siamo trovati a ottobre. Abbiamo iniziato il percorso insieme e mi sto trovando veramente bene. Non è che ho rivoluzionato più di tanto quello che stavo facendo, anche perché la vera rivoluzone a livello atletico è stata fatta nel corso degli ultimi anni. Adesso è più una questione di mantenere i cambiamenti che ci sono stati in questi anni.

Formolo ci ha raccontato che nel primo anno alla Movistar ha pagato il fatto di non essere seguito com’era alla UAE Emirates: pensi che potresti avere lo stesso problema?

Bisogna sapersi adattare alle persone, capire quali sono le loro esigenze. Magari ci sono preparatori che vogliono avere tutti i giorni il feedback del lavoro, qualcuno cui invece basta averlo due o tre volte a settimana. Vedendo che mi so gestire bene, mi hanno sempre lasciato abbastanza tranquillo. Sono uno che non ama sentirsi il fiato sul collo, però da quello che ho visto in questi primi mesi ho trovato una squadra super professionale che non lascia niente al caso. Questo è sicuro.

Hai anche trovato tanti italiani, molti di più rispetto a quelli rimasti alla UAE, che effetto fa?

Un bell’effetto. Mi ricorda gli anni alla Lampre, dove veramente avevo trovato il mio ambiente e ci stavo da Dio. Ritrovare un bel gruppo di italiani fa un certo effetto e alla fine anche i ragazzi stranieri si inseriscono alla grande, proprio perché il gruppo italiano è forte e coeso e permette a tutti di amalgamarsi.

Velasco e Scaroni sono solo due dei 12 italiani (su 30 corridori in totale) della Astana
Velasco e Scaroni sono solo due dei 12 italiani (su 30 corridori in totale) della Astana
Ti hanno detto cosa si aspettano da Diego Ulissi?

In pratica quello che già facevo e che continuerò a fare. Cercando di mettere insieme più punti possibili e aiutando anche i giovani, visto che ce ne sono tanti.

La differenza è che di là i punti servivano per essere primi al mondo, qui per evitare la retrocessione…

Innanzitutto per fare le cose fatte bene, è meglio non mettersi troppa pressione, altrimenti parti già col piede sbagliato. Questa è una cosa che ho imparato negli anni e l’ho sempre fatto. L’importante è lavorare bene, dare il 100 per cento. E visto che un po’ di esperienza sulle spalle ce l’ho, ho imparato ad affrontare qualsiasi gara, anche la più piccola, allo stesso modo. Concentrato, cercando di fare il massimo. Quando si arriverà a fine anno, si tireranno le somme.

Ti è stato chiesto a quali gare vorresti partecipare? Come è nato il tuo calendario?

Abbiamo condiviso, ci siamo confrontati. Tornerò a fare un Grande Giro, cosa che l’anno scorso non mi è stato permesso di fare. E poi più o meno sarà il calendario che facevo tutti gli anni, senza grandi stravolgimenti. Non partirò dall’Australia, probabilmente partirò dalle gare a Mallorca.

Grande Giro: stiamo parlando del Giro d’Italia?

Ma certo! E’ la gara in cui mi sono espresso meglio. L’anno scorso hanno deciso che facessi un altro tipo di stagione. E quando è stata presa la decisione, mi sono concentrato sul mio programma, quindi al Giro dopo un po’ ho smesso di pensarci. E comunque negli anni precedenti, mettendo da parte le mie ambizioni personali, sono stato di grande aiuto per miei compagni. Quindi ci tenevo a farlo anche solamente per aiutare la squadra, ma è stato deciso che facessi un altro calendario per fare più punti possibili. Visto che l’anno prima eravamo stati tutto l’anno testa a testa fino all’ultima gara con la Jumbo, si ipotizzava che sarebbe stato lo stesso. Invece è venuta fuori una stagione dominata e magari, col senno di poi, potevo andare tranquillamente al Giro d’Italia. Tanto Tadej lo avrebbe vinto ugualmente.

Diego Ulissi ha vinto 8 tappe al Giro d’Italia: qui a Monselice nel 2020, davanti ad Almeida in rosa
Diego Ulissi ha vinto 8 tappe al Giro d’Italia: qui a Monselice nel 2020, davanti ad Almeida in rosa
Ad aprile parteciperai a qualche classica del Nord?

Sì, dovrei fare le Ardenne. Magari non l’Amstel, ma probabilmente la Freccia e la Liegi. Dopo ci sarà il Giro e poi vediamo, speriamo che tutto fili liscio a livello di salute. Purtroppo ho già dovuto interrompere la preparazione, per questa influenza.

Quando un corridore esperto come te cambia squadra si porta dietro qualche esperienza dalla squadra precedente?

Qualcosa mi hanno chiesto, soprattutto i compagni. Ma questo ambiente è una novità anche per me e servono mesi per capire le persone che hai di fronte. I meccanismi li conosci bene solo gareggiando, ma sto ripetendo ai più giovani che l’atteggiamento è quello di andare alle gare mentalizzati, senza pensare che l’appuntamento più importante sia tutto, ma considerando importanti tutte le gare che andiamo a fare.

Una regola d’oro…

Il solo modo perché i ragazzi crescano. In più, i regolamenti, le promozioni e le retrocessioni sono diventati importantissimi e non si può lasciare niente al caso. Però ci sono persone veramente preparate che guidano la squadra, cui ho poco da insegnare. Basta vedere lo storico, fino a qualche anno fa l’Astana è stata una delle più forti al mondo, quindi ho poco da insegnargli.

Hai un direttore sportivo di riferimento?

Sì, Zanini. Lo conoscevo già, ci stavamo simpatici da anni, ci siamo ritrovati ed è stata una grande gioia. Ci sentiamo periodicamente, ci confrontiamo, è veramente una grande persona.

Come ti trovi con la nuova bicicletta?

Bene. E’ molto rigida, aerodinamica, quindi le prime sensazioni sicuramente sono estremamente positive. E’ una grande azienda, sanno fare le biciclette. 

Andrai in altura durante l’anno?

Al momento non ce l’ho in programma, forse ad aprile, prima delle Ardenne, ma non so. Non sono un grande amante dei ritiri, preferisco correre. Anche perché ho fatto altura in passato e non ho mai trovato grandi risultati. Per quello che devo fare io, non serve poi a molto.

Qual è secondo te il più grosso cambiamento di questo ciclismo moderno?

L’alimentazione sì, ma anche i lavori e la preparazione in se stessa. I ritmi di allenamento sono totalmente cambiati, almeno per quanto mi riguarda. Faccio molti meno lavori al medio, prediligendo la Z2 e la soglia. In più è cambiata tantissimo l’alimentazione. Si assumono molti più carboidrati, perché per stare a regimi più alti, bisogna assumere più carboidrati, sennò rimani in mezzo alla strada. Da quando sono passato, era il 2010, è cambiato tutto.

Che effetto ti ha fatto metterti davanti allo specchio con una maglia diversa?

Bello perché è stato un cambiamento che ho preso in maniera positiva. E’ una cosa che ho voluto io e mi vedo bene con quella maglia indosso, anche se i bellissimi momenti che ho passato in UAE non li dimenticherò mai. Non posso che ringraziarli, sono rimasto in ottimi rapporti con tutti. Li sento settimanalmente, compagni, anche ragazzi dello staff e tutto gli altri.

Una tappa, la classifica a punti e la generale al Giro d’Austria nel 2024 di Ulissi (foto EXPA/Groder)
Una tappa, la classifica a punti e la generale al Giro d’Austria nel 2024 di Ulissi (foto EXPA/Groder)
Hai 35 anni, qual è secondo te il punto di forza di Diego Ulissi?

L’anno scorso ho dimostrato di essere ancora competitivo e costante nei risultati durante la stagione. Vuol dire che vado ancora bene e questo grazie al fatto che ho cambiato le mie idee di lavoro, le idee di preparazione e tutto il resto. Sono riuscito stare un al passo con i tempi, accettando il cambiamento di questo sport. Sto ancora bene, quindi spero di fare gli ultimi anni della carriera ed essere ancora competitivo, per cercare di dare una mano a chi investito su di me.

Pogacar e il grattacapo Sanremo: sentiamo tre diesse

17.12.2024
6 min
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Manca ancora tanto, tantissimo, eppure già si parla della Milano – Sanremo come abbiamo visto qualche giorno fa con i 20 anni del trionfo di Petacchi, ma lo si fa anche in ottica futura e soprattutto sul grande atteso: Tadej Pogacar. Come dovrà fare per vincerla? Secondo molti, per non dire tutti, nell’ambiente del ciclismo la Classicissima potrebbe essere la spina nel fianco dell’asso della UAE Emirates, la gara più difficile da conquistare per lui. E in effetti viste le caratteristiche fisiche di Pogacar e visto il percorso si fa fatica a non essere d’accordo.

Ma allora come potrebbero fare Pogacar e la sua squadra a vincere la Sanremo? Con che tattica? Lo abbiamo chiesto ad alcuni direttori sportivi che con la Classicissima hanno ed hanno avuto, anche come corridori, un certo feeling.

Pareri discordanti emergono sulle tattiche da impostare, ma su una cosa sono d’accordo: il meteo avverso. Freddo, pioggia e vento, potrebbe essere gli alleati più preziosi per lo sloveno, se non l’unica chance di vittoria.

Piva ipotizza una corsa dura sin dal Turchino. Ma alla UAE servirebbe una squadra super e anche una seconda punta che possa dare garanzie
Piva ipotizza una corsa dura sin dal Turchino. Ma alla UAE servirebbe una squadra super e anche una seconda punta che possa dare garanzie

Piva, attacco lungo

Lo scorso anno, con il secondo posto di Michael Matthews, la Jayco-AlUla ha dimostrato di avere una solida conoscenza della gara, ma è evidente che c’è una componente di incertezza che può cambiare radicalmente le sorti della corsa. Per Valerio Piva, è stata addirittura l’occasione mancata del 2024.

«Secondo me – dice Piva – la chiave sta nel fare una selezione precoce, anticipando gli attacchi e cercando di sfondare già prima del Poggio. La difficoltà principale di Pogacar alla Sanremo è che l’idea di una volata finale a ranghi ristretti è davvero difficile per lui. La salita del Poggio è corta e le possibilità di un attacco vincente sono limitate e se non ha già staccato i velocisti più potenti… gli diventa dura poi.

«Penso che la soluzione migliore per Pogacar potrebbe essere quella di cercare un attacco solitario, o almeno un attacco in un piccolo gruppo che sia in grado di arrivare al traguardo facendo la Cipressa veramente forte, forte».

Piva dunque è per una selezione precoce. Lui ipotizza qualche mossa addirittura sul Turchino o la sua discesa. La discesa Turchino, o anche quella del Poggio, possono essere un trampolino di lancio, Pogacar potrebbe avere la possibilità di fare la differenza se le condizioni meteo sono brutte. La Sanremo è una corsa che non si vince mai facilmente e Pogacar dovrà farci i conti.

«Il meteo avverso è sicuramente una componente fondamentale – riprende Piva – In passato abbiamo visto come un po’ di fortuna, unita a un attacco deciso, possa fare la differenza. Ricordo quando vinse Chiappucci, io avevo Argentin. Pogacar avrà bisogno di sfruttare questa variabile al meglio, ma anche la sua condizione fisica e mentale dovranno essere impeccabili. E lo stesso vale per la sua squadra. Uno dei grandi problemi è che tutti lo aspettano e tutti sanno quel che può fare. Servirebbe una seconda punta molto importante, un vice che potrebbe vincerla veramente. In quel modo correre del tutto contro di lui potrebbe un po’ cambiare le cose.

«Credo che la Sanremo per Pogacar rimarrà una delle corse più difficili da vincere. Serve anche un po’ di fortuna. Io ho avuto Gilbert che era uno specialista e non ci è mai riuscito. Al contrario Cavendish l’ha vinta alla prima partecipazione. Pensate che a Cav dissi: “L’hai vinta oggi, rischi di non vincerla più”. E infatti…».

Cipressa a tutta? Okay, ma andare via da solo lì è dura anche se ti chiami Pogacar
Cipressa a tutta? Okay, ma andare via da solo lì è dura anche se ti chiami Pogacar

Zanini, sul Poggio ma…

«La Milano-Sanremo è una corsa che ha sempre avuto un fascino particolare, anche quando ero corridore. A differenza di altre classiche, qui non basta essere veloci o forti sulle salite. La Sanremo è una gara che richiede molto più di una semplice gamba in salita. Pogacar, ha sicuramente le caratteristiche fisiche per vincere questa corsa, ma ci sono una serie di variabili che entrano in gioco. Il percorso è sempre lo stesso, ma il livello di velocità è aumentato, così come la preparazione dei corridori, che ora hanno un approccio completamente diverso rispetto al passato»:  Stefano Zanini, direttore dell’Astana-Qazaqstan, va direttamente al nocciolo della questione.

Se fossi il direttore sportivo della UAE, la mia strategia sarebbe quella di puntare su un attacco deciso sul Poggio. Come detto, la corsa è sempre più veloce, quindi non ha senso tentare qualcosa di lontano, come attaccare dalla discesa del Turchino o dalla Cipressa, come avveniva in passato. Oggi il ritmo è talmente alto che se provi ad andare via da lontano, rischi di bruciarti troppo presto. Invece, l’idea è quella di fare un attacco secco, deciso, sull’ultimo tratto del Poggio. Pogacar può essere in grado di anticipare i rivali con uno scatto potente, come fece Van der Poel due anni fa. Ma non è facile».

Per “Zazà” il Poggio è il punto chiave, ma anche su quella salita ormai tutti si aspettano l’attacco. Se Pogacar aspetta troppo rischia di non fare la differenza. «La mia idea sarebbe quella di attaccare prima del punto classico, quando spiana per intenderci, ma un po’ prima a metà della salita. Intorno al chilometro e mezzo dalla cima, in modo da avere un vantaggio un po’ più ampio quando inizia la discesa. Chiaro che anche la squadra lo deve portare ottimamente all’imbocco del Poggio e anche prima deve impostare un ritmo che faccia male».

Anche Zanini insiste poi sulla questione meteo: «Se ci fosse la pioggia, ad esempio, sarebbe più difficile mantenere un ritmo elevato sulla Cipressa e sul Poggio e quindi ci sarebbe un po’ più di possibilità di fare la differenza. Tra l’altro abbiamo visto che lui sa guidare bene anche in queste condizioni. Potrebbe essere il momento giusto per provare a staccare gli altri: col maltempo cambia tutto».

Il meteo avverso potrebbe essere l’alleato speciale di Pogacar. Ci vorrebbe una Sanremo tipo quella del 2013 quando addirittura nevicò
Il meteo avverso potrebbe essere l’alleato speciale di Pogacar. Ci vorrebbe una Sanremo tipo quella del 2013 quando addirittura nevicò

Pellizotti, all-in sul Poggio

La Milano-Sanremo è una delle gare più affascinanti e complicate da vincere, anche per i direttori sportivi, cosa che però Franco Pellizotti è riuscito a fare tre anni fa, ormai, con Mohoric.

«Come corridore – racconta Pellizotti – non era la mia corsa, ma mi è sempre piaciuta moltissimo. Credo che Pogacar abbia tutte le potenzialità per vincerla, ma deve affrontarla con una strategia molto mirata. La Sanremo è una corsa che si decide sui dettagli, e ci sono diversi modi per tentare di conquistarla, ma bisogna essere estremamente lucidi nella scelta dei momenti giusti per attaccare».

«Oggi non si può più pensare di fare la corsa da lontano. La Cipressa è diventata troppo veloce per essere un punto utile per fare selezione. Oggi si deve puntare al Poggio. Il segreto è riuscire a fare il vuoto prima dell’ultimo tratto, ma senza bruciarsi troppo presto. Qui entra in gioco anche la gestione della squadra, che deve essere impeccabile. Bisogna arrivare al Poggio con gli uomini giusti, e non è mai facile trovare il giusto equilibrio. Ne servono almeno tre per il Poggio. Quello che tira in pianura sull’Aurelia, quello che ti porta all’imbocco vero e proprio, perché quella fase è cruciale per le velocità che si sviluppano: quel corridore spenderà tantissimo e non sarà in grado di aiutare Tadej successivamente. E appunto un terzo compagno che lo aiuti nella prima parte del Poggio. Altro aspetto: Pogacar non deve stare oltre la quinta, sesta posizione. Altrimenti con i tornanti del Poggio ad ogni uscita prenderebbe delle frustate e avrebbe già 2″-3″ di ritardo dalla testa».

«Alla Sanremo – conclude il diesse della Bahrain Victorious – il meteo può fare la differenza. Se piove, se c’è vento, allora le cose cambiano, e la corsa si fa più selettiva. In quel caso Pogacar potrebbe sfruttare le condizioni meteo per fare il vuoto prima del Poggio. Col bagnato, se il gruppo è allungato, allora l’attacco può avvenire anche sulla Cipressa, magari con l’aiuto della squadra, cercando di guadagnare terreno prima che il gruppo si riorganizzi. Andare via tra Cipressa e Poggio? E’ quasi impossibile, anche perché poi tutti lo marcherebbero».

L’occasione mancata: quando Zanini ha fermato l’ammiraglia

17.11.2024
4 min
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Continuiamo la nostra serie di racconti sulle occasioni perse, sugli errori tattici o, come in questo caso, su eventi quasi impossibili. Stavolta il protagonista è Stefano Zanini, per tutti Zazà. Il direttore sportivo dell’Astana-Qazaqstan, riflettendo, non punta il dito su una tappa o una corsa in cui si sia veramente mangiato le mani, ma su un ricordo legato alla pura sfortuna.

«Vi parlo di quella volta in cui ho dovuto ritirare l’ammiraglia al Giro delle Fiandre», racconta Zanini. Questa è una di quelle storie invisibili, sommerse dal frastuono della corsa dietro ai vincitori, agli sconfitti, alle dinamiche tattiche. Ma è una storia di ciclismo puro. Quel giorno eravamo ad aprile scorso, nessun corridore dell’Astana-Qazaqstan tagliò il traguardo di Oudenaarde.

Da ormai 12 anni, Stefano Zanini è sull’ammiraglia dell’Astana
Da ormai 12 anni, Stefano Zanini è sull’ammiraglia dell’Astana
Stefano, ci dicevi del ritiro dell’ammiraglia. Raccontaci…

Il Giro delle Fiandre per me rimane una delle gare più belle, insieme alla Milano-Sanremo. Perciò, le aspettative sono sempre molto alte, anche se sai già che magari non puoi giocartela per il podio. Tuttavia, puoi fare un’ottima corsa con i tuoi ragazzi, c’è sempre una speranza in più, specialmente in Belgio, dove le gare possono cambiare fino all’ultimo. Ma quell’anno siamo stati veramente sfortunatissimi.

Cosa è successo?

Attorno al chilometro 190, ora non ricordo con precisione, è caduto Cees Bol, l’ultimo dei nostri atleti in gara. Si è agganciato con uno dei tanti spettatori a bordo strada. Cees è ripartito, ma aveva preso una bella botta. Ha rincorso e ha tenuto duro, ma ormai era fuori dai giochi. A quel punto insistere era inutile: abbiamo pensato alle gare successive. Però certo, non terminare il Fiandre…

È stata una bella botta al morale…

Eh, un bel po’. Al morale sì, perché anche i ragazzi volevano fare una buona gara. Solo che sai, quando la sfortuna ci si mette, quelle gare lì sono sempre difficili da interpretare. Non avevamo più nessun corridore in gara: tra chi si era staccato, chi era caduto e chi aveva avuto problemi meccanici, eravamo fuori. E la sfortuna già ci attanagliava, visto che avevamo faticato per mettere insieme la formazione per il Fiandre. Avevamo gli uomini contati.

Il Fiandre di Zanini e dei suoi non era iniziato bene visto che la squadra aveva gli uomini contati (foto Instagram)
Il Fiandre di Zanini e dei suoi non era iniziato bene visto che la squadra aveva gli uomini contati (foto Instagram)
Chi si era fermato prima di Bol?

L’ordine dei ritiri di preciso non lo ricordo, ma l’altro atleta che era rimasto in gara era Fedorov. Quel giorno oltre a Bool e Fedorov, avevamo schierato Gidich, Gruzdev, Syritsa, Morkov e Selig. Alcuni non erano al top e si sa quanto siano dure certe gare. Ma Bol, fino a quel momento, circa 60 chilometri dall’arrivo, era nel gruppetto che poi ha fatto la corsa.

Cosa vi siete detti quella sera dopo la gara?

Molto poco, sul bus. Poi la sera abbiamo riflettuto: contro la sfortuna si può fare poco, ma non dovevamo abbatterci. Dovevamo reagire subito. Chiaro, un’analisi di cosa non aveva funzionato l’abbiamo fatta, ma in quel momento serviva soprattutto tenere alto il morale. Certo, l’umore fa fatica a risalire: hai comunque delle aspettative per certe gare. Alla fine, però, ci siamo ripresi bene. Qualche giorno dopo, infatti, Bol ha chiuso quarto alla Scheldeprijs, dietro a corridori come Merlier, Philipsen e Groenewegen.

Bella come sempre la cornice di pubblico fiamminga, ma Bol è stato messo ko proprio da un tifoso
Bella come sempre la cornice di pubblico fiamminga, ma Bol è stato messo ko proprio da un tifoso
Ti era mai capitato di ritirare l’ammiraglia?

Sì, mi era capitato all’inizio della mia carriera da direttore sportivo con la Fuji-Servetto TMC, la squadra di Giannetti, nel 2009.

Come è stato il momento del ritiro?

In pratica, prima del secondo passaggio sull’Oude Qwaremont, ho tirato dritto verso il bus, sono uscito dal percorso.

Cosa hai detto? Cosa ti passava per la testa?

Cosa ho detto è meglio non ripeterlo! Per il resto, tanta delusione. Per radio, tanto silenzio. Anche in ammiraglia, dove con me c’era il meccanico, Morris Possoni.

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L’occasione mancata: Cozzi, la Tudor e il Giro d’Abruzzo

L’occasione mancata: Zanatta e la fuga di Pietrobon a Lucca

La nuova Astana a trazione italiana. Zanini si frega le mani…

03.11.2024
5 min
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Ci sono grandi cambiamenti in atto all’Astana Qazaqstan Team e non potrebbe essere altrimenti. Archiviata la rincorsa al record di tappe al Tour di Cavendish ,c’è da fare i conti con una situazione ranking assolutamente deficitaria, che rischia di far retrocedere la squadra fra le professional a fine 2025. Per questo, come succede anche nel calcio, si è proceduto a una profonda rivoluzione nel roster, portando in squadra sia elementi giovani che avanti con gli anni ma dotati di grande esperienza e soprattutto capaci di conquistare quei punti che servono.

Per l’Astana il 2025 sarà cruciale: servono tanti punti – e quindi vittorie – per raggiungere la salvezza
Per l’Astana il 2025 sarà cruciale: servono tanti punti – e quindi vittorie – per raggiungere la salvezza

Questa rivoluzione ha marchiato ancora di più di tricolore il team kazako, considerando che ora gli italiani sono ben 12 su 29, di gran lunga la percentuale di gran lunga più altra fra le nazioni rappresentate, compresa quella di casa. E proprio guardando alla compagine italiana si nota quel mix di età e di esperienza di cui si parlava prima.

Stefano Zanini, confermato nello staff dei direttori sportivi, sente già la voglia di gettarsi nella mischia con la nuova compagine: «Siamo tutti molto carichi e il fatto che Vinokourov e la dirigenza abbiamo investito così tanto sui corridori italiani è segno che il nostro movimento è ancora forte e apprezzato, considerato ricco di corridori in grado di vincere e portare punti che sarà l’esigenza principale».

Ulissi cambia squadra dopo ben 14 anni nello stesso team. Vincendo ogni stagione
Ulissi cambia squadra dopo ben 14 anni nello stesso team. Vincendo ogni stagione
Vista la situazione di classifica, dovrete raccogliere sin dall’inizio…

La priorità è molto chiara a tutti, a noi come staff e ai corridori. E’ la nostra strategia e per questo sono stati presi corridori magari avanti con gli anni ma che sanno come si fa. Io poi sono di vecchia scuola, per me nel ciclismo conta vincere, tutto il resto viene di conseguenza. Inutile stare a guardare le classifiche, pensiamo a raccogliere il più possibile perché le vittorie portano tranquillità che aiuta a lavorare meglio.

E’ chiaro però che la campagna acquisti è stata fatta pensando proprio al ranking, prendendo corridori motivati ma anche esperti…

Esatto, Ulissi ne è l’esempio. Io sono convinto che questo cambio gli sarà utile perché potrà correre libero da pressioni e da obblighi. E’ uno che ha portato ogni anno risultati, ha vinto sempre e qui potrà concentrarsi su quello, anche se un corridore come lui resta un riferimento, capace di trasmettere tanto a chi è più giovane, di fare gruppo che è un fattore importante. Diego è fortissimo nelle corse a tappe medio-brevi, ma penso che potrà portare risultati anche nelle gare d’un giorno che, come si sa, danno più punti.

Per Malucelli approdo nel WorldTour a 31 anni, ma dopo il 2024 esplosivo con 10 vittorie
Per Malucelli approdo nel WorldTour a 31 anni, ma dopo il 2024 esplosivo con 10 vittorie
L’arrivo di Malucelli rappresenta per lui un cambio di passo, di livello. Viene da una stagione nella quale è stato tra i 10 più vincenti, ma molto ha influito il calendario…

Sa bene che il suo programma di gare sarà diverso, più qualificato e quindi emergere sarà più difficile, ma guardate quel che ha fatto: ha anche battuto fior di velocisti in questo 2024. L’anno prossimo avrà più responsabilità, ma anche più motivazione. All’inizio forse farà più fatica, ma questa esperienza gli darà stimoli per fare ulteriori passi avanti.

C’è un altro giovane che entra nel vostro gruppo ed è Kajamini, forse il miglior prospetto degli U23 per le corse a tappe. Lo portate subito in prima squadra, che cosa vi aspettate da lui?

Avrà il tempo di crescere. Ricordate quel che ho detto a proposito di Ulissi? Io credo che stargli vicino, seguire un corridore così esperto gli sarà di giovamento, proprio per quel discorso legato alle corse a tappe brevi, da lì seguirà il suo percorso. Uno che vince all’Avenir ha grandi doti, non avviene per caso e poi Samuel ha mostrato grande continuità. Io penso che possa far bene e inserirsi ad alti livelli, ma deve avere il tempo di maturare.

Kajamini, a sinistra, ha colto la Top 10 sia al Giro Next Gen che al Tour de l’Avenir
Kajamini ha colto la Top 10 sia al Giro Next Gen che al Tour de l’Avenir
L’Astana 20125 è una squadra senza leader, questo non è strano?

Non nella nostra dimensione, anzi. Teniamo presente che ci saranno settimane con in giro anche tre gruppi impegnati in gare diverse. Noi dobbiamo essere pronti a essere competitivi sempre. Io mi porto dietro l’esperienza di quando correvo, di quand’ero alla Mapei. Erano tutti campioni, tutti vincenti ma erano anche tutti corridori che lavoravano di gruppo e quindi in certe gare, per certi target si mettevano a disposizione. Ognuno aveva la sua occasione, sarà così anche qui e bisognerà farsi trovare pronti, sia per lavorare per i compagni che per finalizzare guardando all’obiettivo comune del team. Tutti avranno occasione per emergere e penso anche a gente come Masnada, Ballerini e gli altri.

Bettiol è approdato all’Astana già nell’agosto scorso. Ora vuole la prima vittoria con la nuova maglia
Bettiol è approdato all’Astana già nell’agosto scorso. Ora vuole la prima vittoria con la nuova maglia
Abbiamo lasciato per ultimo Bettiol. E’ il campione italiano, ma la sensazione è che non vinca quanto le sue capacità gli permetterebbero…

Alberto quando è in giornata è a livelli altissimi, deve solo fare quel passo in più per concretizzare. Da che cosa dipende? Difficile dirlo, questione di sicurezza di sé, di fortuna spesso, di sostegno del gruppo. Intanto vogliamo che stia bene, perché quando è in condizione può fare davvero di tutto. Io dico che deve solo crederci e allora vincerà e non sporadicamente, io sono pronto a scommetterci…

La nuova vita di Bettiol all’Astana, iniziata a Ferragosto

04.09.2024
7 min
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Più che il cambio della bici, racconta Bettiol, la parte più originale è stato il cambio delle tacchette. Alla Ef Education usava le Speedplay, alla Astana le Shimano. Non è semplice dopo sei anni passare fra due sistemi così diversi.

«E a quel punto – sorride Alberto – ho chiesto un intervento di emergenza ad Alessandro Mariano, che era in barca a vela all’isola d’Elba. Così ho dato le scarpe a Gabriele Balducci, che era venuto a trovarmi a Livigno per qualche giorno. Le ha portate in Toscana. E’ andato a Piombino. Ha chiamato un suo amico col gommone e le hanno portate all’Isola d’Elba: ho la foto che lo testimonia, ho anche il video. Alessandro ha montato le scarpe sulla barca a vela mentre gli altri due facevano un bagno. Gliele ha ridate. E a quel punto poi, Gabriele le ha date al mio amico Andrea che veniva a Livigno a fare cinque giorni di vacanza. Lui me le ha portate e io le ho provate».

Se non è un film, poco ci manca. Bettiol è per qualche giorno in Toscana e se i giorni in bici non gli sembrano troppo diversi è solo perché i colori della maglia tutto sommato sono rimasti gli stessi. Era tricolore quella della EF Education che ha indossato fino al 14 agosto ed è tricolore quella di adesso, su cui tuttavia c’è scritto Astana. Che qualcosa bollisse in pentola ce lo aveva fatto capire l’8 agosto proprio Gabriele Balducci, da sempre suo mentore e amico comune. In partenza per Livigno con la Mastromarco, si era sentito dire da Alberto di grosse novità in arrivo, ma nessuno avrebbe immaginato che avrebbe cambiato squadra nel bel mezzo dell’estate.

Sembra passato un secolo, sono appena due mesi. Bettiol vittorioso al tricolore con la sua SuperSix Evo LAB71
Sembra passato un secolo, sono appena due mesi. Bettiol vittorioso al tricolore con la sua SuperSix Evo LAB71
Che cosa è successo nell’estate?

Così alla svelta, neanche noi ce l’aspettavamo. E’ andato tutto molto veloce. Io ero in vacanza quando abbiamo preso questa decisione, quindi anche Gabriele non sapeva niente. Avevamo parlato un po’, è da un annetto buono che parliamo. Però si ragionava comunque sempre del 2025, finché Vinokourov ha chiesto la possibilità di avermi subito e Giuseppe (Acquadro, il suo manager, ndr) ha trovato subito le porte aperte da parte di Vaughters, perché comunque non è facile soprattutto dal punto di vista burocratico. C’è da fare un sacco di richieste in modo molto rapido, perché l’UCI ti dà dei tempi molto stretti e se non li rispetti, non puoi fare niente. Quindi devo ringraziare la EF, perché avrebbero avuto tutto il diritto di aspettare. E poi l’Astana ha fatto un grande lavoro. Insomma, io ero in vacanza: hanno fatto tutto loro.

Com’è stato andare a dormire con una squadra e risvegliarsi il giorno dopo con l’altra?

E’ una cosa che adesso, a questa età e in questo periodo della mia vita, in cui insomma sono un po’ più consapevole di quello che voglio, non mi ha creato grossi problemi. Se mi fosse successo qualche anno fa, in cui ancora avevo da assestarmi bene, magari l’avrei patito. Da un punto di vista di atteggiamento mentale, non mi ha smosso per niente. E’ anche vero che l’Astana è una squadra kazaka, ma ci sono tantissimi italiani e tanti che conoscevo già. Quindi alla fine il passaggio non è stato brusco, come magari andare in una squadra dove non conoscevo nessuno. Per il resto, mi è cambiato poco. Avevo già programmato di andare a Livigno per tre settimane e sarei stato da solo. L’idea di andare al Renewi Tour è venuta fuori durante questo ritiro, non era programmata e voi sapete quanto mi dessero fastidio un tempo le cose non programmate…

Bettiol accanto a Van der Poel: entrambi in rotta sui mondiali di Zurigo
Bettiol accanto a Van der Poel: entrambi in rotta sui mondiali di Zurigo
Quindi hai tenuto lo stesso calendario?

Ho fatto una settimana in meno a Livigno, che forse è stato anche meglio. Ero andato su dopo le Olimpiadi perché comunque sarei andato alle gare in Canada e poi eventualmente al mondiale, quindi io avevo bisogno di recuperare e allenarmi. Insomma sembra un cambio radicale e in parte lo è stato, però è stato facile da gestire, mettiamola così.

Delle scarpe ci hai detto, per la bici e l’abbigliamento?

Anche questo è stato tutto improvvisato e devo ringraziare l’Astana per l’impegno che ci hanno messo. Per l’abbigliamento il loro referente è Bruno Cenghialta e ci siamo trovati a metà strada tra la Toscana e Livigno, perché io tornavo dalle vacanze e stavo andando su. Abbiamo provato l’abbigliamento e abbiamo fatto anche due foto per il comunicato stampa. Quanto alla bici, Michele Pallini che era a Parigi con noi aveva tenuto a casa quella con cui avevo corso le Olimpiadi, per cui ha preso le misure in videochiamata con il meccanico Tosello. Lui ha sistemato la Wilier e alla fine l’ha data a Panseri, altro meccanico italiano che me l’ha portata a Livigno.

Decimo nella crono di Tessenderlo al Renewi Tour, Bettiol deve trovare confidenza con i nuovi materiali
Decimo nella crono di Tessenderlo al Renewi Tour, Bettiol deve trovare confidenza con i nuovi materiali
In tempi non sospetti, forse proprio al mondiale di Wollongong, dicesti che ti trovi bene in nazionale perché ti ricorda l’ambiente della Liquigas. L’Astana non è la Liquigas, però ci sono davvero tanti italiani. Può essere un fattore importante?

Sì, è un ambiente familiare. C’è Michele Pallini, c’è il dottor Magni, tante figure che già conoscevo proprio dalla Liquigas. Ci sono i meccanici Borselli e Panseri. Poi gli atleti, che conosco benissimo. Velasco e Ballerini. Con Ballero siamo vicini di casa a Lugano e ci alleniamo spesso insieme, quindi cambia veramente poco. E’ un ambiente in cui mi sono trovato bene, almeno in questa settimana e scommetto ancora di più l’anno prossimo. Adesso è un po’ tutto improvvisato, anche come metodologie. Quelle loro sono un po’ diverse dalla EF, per cui per ora si tratta di adattarsi l’uno agli altri. La bicicletta, le tacchette, ma anche la nutrizione, l’integrazione, le barrette. Ci sono tante cose diverse. Però l’ambiente è bello, c’è tanta voglia di migliorare e quindi l’anno prossimo sono ottimista che faremo belle cose.

Perché cambiare?

Io avevo ancora due anni di contratto e sarei stato anche lì, non ho cambiato perché stavo male alla EF o perché mi mancassero gli stimoli. E’ solo che mi si è presentata questa occasione, mentre prima erano solo parole. Quando sono passati ai fatti, ho fatto le mie valutazioni. E se un corridore come Diego Ulissi, che ha fatto più anni di me nella stessa squadra, ha deciso di cambiare, allora poteva andare bene anche a me. Avevo visto che c’è tanto potenziale ed erano un po’ di anni che anch’io riflettevo sul fatto di rimanere nella stessa squadra  e sui pro e i contro di cambiare. Rischi di rimanere seduto, di veder attutire gli stimoli. Ho il mio piccolo staff che mi supporta sempre, indipendentemente dal colore della maglia, però anche trovare un ambiente nuovo può essere uno stimolo. Ma non volevo cambiare perché stavo male.

Fianco a fianco con Evenepoel, reduci dal Tour e dalle Olimpiadi, ovviamente con esiti diversi
Fianco a fianco con Evenepoel, reduci dal Tour e dalle Olimpiadi, maovviamente con esiti diversi
Come è stato il dopo Olimpiadi? Evenepoel ha raccontato di grosse difficoltà a recuperare…

Ho recuperato bene, semmai ho vissuto un periodo di spossatezza durante il Tour, soprattutto la seconda settimana quando ho avuto un calo di forma. A Parigi non ho stravinto l’Olimpiade come Remco, ma comunque ero lì davanti a giocarmi la top 10, non è che sono andato piano. Quando sono tornato a casa, ho staccato una settimana poi però a Livigno ho trovato subito delle belle sensazioni. Mi sono allenato veramente bene e infatti si è visto al Renewi Tour. Era una corsa a tappe che richiedeva degli sforzi opposti a quello che ho fatto a Livigno. Lassù si parlava di salite lunghe e tante ore in bici a bassa intensità. Invece il Renewi era tutto scatti e strappi corti su cui sono andato bene, quindi vuol dire che il mio fisico aveva recuperato e sono contento. E’ chiaro che non si possa fare il paragone con Remco. Lui è partito dal Delfinato, ha corso il Tour per fare la classifica, poi ha tirato dritto. Ero nel suo stesso hotel a fine aprile a Sierra Nevada, lo vedevo lavorare ed erano bello concentrati.

In Astana conosci i corridori, forse un po’ meno staff e tecnici?

Non è stato un salto nel vuoto, perché già in Belgio i compagni hanno lavorato per me. Mi sono scoperto ben allineato con Zanini in ammiraglia e anche per lui è stato un piccolo passettino per capire come andremo in Belgio il prossimo anno, anche per i materiali. I meccanici hanno cominciato a capire come mi piace fare le cose. Michele Pallini ormai mi conosce da tanto, con tutti i mondiali e le due Olimpiadi che ho fatto con lui. Poi quando veniva a Lugano, spesso Vincenzo (Nibali, ndr) mi chiamava per sapere se volevo fare anch’io un massaggio con lui. Ci si conosce da tanto. Invece meccanici e direttori no. Anche Bruno Cenghialta, Giuseppe Martinelli… Sono tutte facce che conoscevo, ma non ci avevo mai lavorato insieme. Però siamo un bel gruppo, anche a Lugano con Ulissi e Ballerini. La EF è stata un bel periodo della mia vita. Staremo a vedere, spero di aver fatto la scelta giusta. Per ora ne sono molto convinto.