Le medie salgono, le bici migliorano così come le preparazioni, le strade peggiorano, sia come manutenzione, sia per la presenza di elementi di arredo urbano che non tengono conto della possibilità che prima o poi passi una corsa. E la sicurezza ovviamente diventa una chimera. La statistica realizzata da procyclingstats.com mostra come la media oraria delle corse WorldTour nel 2025 sia stata di 42,913 chilometri orari. Fra il 2001 e il 2020 si era arrivati a sfiorare i 40 orari, mentre dopo l’anno del Covid, i valori hanno preso a salire.
Dovendo metterci un freno, l’UCI si è infilata in un vespaio, imponendo una serie di limitazioni. Prima quella per arginare la rotazione delle leve dei freni. Poi quella per limitare la tendenza di stringere i manubri. Quindi imponendo un limite all’altezza dei cerchi. Infine cercando di avviare dei test per studiare la limitazione nello sviluppo metrico dei rapporti, fermata però dal garante per la concorrenza del Belgio, perché apparentemente avrebbe limitato solamente Sram.
Ai campionati del mondo di Kigali 2025, il presidente Lappartient ha difeso le misure dell’UCI che tuttavia non incidonoAi campionati del mondo di Kigali 2025, il presidente Lappartient ha difeso le misure dell’UCI che tuttavia non incidono
Come la bici di Coppi
Intervistato di recente su tutt’altro argomento, Stefano Garzelli ci ha regalato uno spunto che si inserisce benissimo nel discorso.
«Lo scorso fine settimana – ci ha detto – mi sono trovato a fare la discesa di Pizzo Sant’Angelo in Costiera Amalfitana e mi sono ricordato di quando la feci per la prima volta alla Tirreno-Adriatico del 1999. Mi ricordo proprio la fatica della discesa. Molte volte la gente mi chiede quanto vadano forte quelli di adesso. E io rispondo che è vero, ma darei loro le biciclette che avevamo noi 20 anni fa e secondo me si scoprirebbe che non andavamo tanto più piano. Solo che la differenza di frenata tra i freni di una volta e quelli a disco è abissale.
«A casa ho la Bianchi con cui vinsi il Giro del 2000 e sembra la bici di Coppi. Oggi non potrei più usarla. Per andare a 40 all’ora in pianura, devi andare a tutta, ora invece a 40 all’ora ci vai quasi senza pedalare, grazie alle ruote, i cuscinetti in ceramica, l’aerodinamica, i profili. Le cadute ci sono perché con il freno a disco stacchi sempre dopo, quindi vuol dire che arrivi sempre più veloce alla curva e non puoi sbagliare. Se sbagli, cadi. Invece una volta si frenava 50 metri prima e nelle curve entravi con più margine».
Giro 2000, cronoscalata decisiva: la bici di ogni giorno con la protesi: sembra la bici di Coppi?Giro 2000, cronoscalata decisiva: la bici di ogni giorno con la protesi: sembra la bici di Coppi?
Alto profilo, parliamone…
Vogliamo ridurre davvero le velocità? Non potendo limitare la capacità di prestazione dell’atleta, che anche grazie alla nutrizione ormai è sempre al top, bisogna intervenire sulle biciclette, ma non nel modo cervellotico e vano ipotizzato dall’UCI per non scontentare nessuno.
Non si può tornare indietro dai freni a disco e dai perni passanti che rendono la bici e la frenata più rigidi? Va bene. I telai in carbonio sono i più performanti, sicuri e confortevoli? Va bene. Si torni allora indietro sulle ruote. Il limite di 65 millimetri è troppo alto: fatte salve le cronometro e senza toccare i cuscinetti, si scenda a un profilo da 30. L’UCI dice di aver scelto la misura limite, notando che al Tour nessuno utilizzava cerchi più alti di 65. Se però le velocità sono troppo alte, qual è il senso di aver mantenuto lo status quo?
A questo punto si potrebbe ragionare anche sulle posizioni in sella, che attualmente proiettano il corridore così in avanti da rendere la bici difficilmente manovrabile. Il limite imposto un tempo all’avanzamento della sella, per arginare le posizioni troppo estreme, avrebbe oggi una nuova ragione di essere.
Sul Colle delle Finestre con la bici aero e ruote da 30-37 mm. Un assetto che potrebbe diventare la regola per tutti?Sul Colle delle Finestre con la bici aero e ruote da 30-37 mm. Un assetto che potrebbe diventare la regola per tutti?
Bici più comode e sicure
Il traguardo finale dovrebbe essere avere biciclette più comode, con una distribuzione dei pesi che eviti squilibri e soluzioni tecniche che non trasformino l’atleta in un proiettile incontrollabile. Se il ritorno delle medie sotto il tetto dei 40 può ridurre il numero degli incidenti fatali (che purtroppo ci saranno sempre), crediamo che qualche sacrificio in questo senso possa essere accettabile. Se contemporaneamente si diventasse più intransigenti nella scelta dei percorsi e delle dotazioni di sicurezza per gli arrivi, i passi in avanti sarebbero anche maggiori.
Il Giro 2000 di Garzelli fu un raccoglitore di emozioni fortissime e venne corso a 37,548 di media. Assolutamente nulla da invidiare all’ultimo conquistato da Yates a 41,728 chilometri orari e anch’esso deciso da un capolavoro nelle tappe finali.
II Tour de France ha svelato ieri il suo percorso 2026 al Palazzo dei Congressi di Porte Maillot, a Parigi. La Grande Boucle prenderà il via il 4 luglio da Barcellona, per concludersi il 26 luglio a Parigi, dopo 3.333 chilometri. Subito i Pirenei che passeranno rapidissimi. Poi un bel po’ di pianura, come ai vecchi tempi. Le montagne, prima del confermato circuito conclusivo di Montmartre in occasione della frazione finale.
Ieri c’erano tanti campioni a Parigi, ma meno rispetto al solito. La stagione è appena terminata e molti sono già in vacanza. Per dire, mancavano persino Tadej Pogacar e Jonas Vingegaard, vincitori delle ultime sei edizioni e già favoriti anche per la prossima maglia gialla. Noi ne parliamo con Stefano Garzelli. Ma prima diamo un occhio rapidissimo al percorso.
Christian Prudhomme è il direttore del Tour dal 2007 (foto Nice Matin)Christian Prudhomme è il direttore del Tour dal 2007 (foto Nice Matin)
Le cinque catene montuose
Il 2026 segnerà il ritorno del Tour in Spagna, dopo le partenze da Bilbao (2023) e San Sebastian (1992). Barcellona offrirà uno scenario iconico, con la cronosquadre inaugurale davanti alla Sagrada Familia. Una scelta suggestiva ma anche complessa, perché il tracciato cittadino sarà tecnico e nervoso. La seconda tappa, con l’arrivo sul Montjuic, offrirà subito un terreno insidioso per chi non vuole perdere secondi preziosi.
Da lì, la corsa entrerà rapidamente in territorio francese per affrontare i Pirenei, primo banco di prova vero. Poi si scaleranno, nell’ordine, Massiccio Centrale, Vosgi, Giura e infine le Alpi. Un percorso che toccherà tutti e cinque i grandi massicci del Paese, rispettando la tradizione della “Francia in miniatura” voluta da Christian Prudhomme. L’arrivo al Plateau de Solaison, già teatro di duelli memorabili, precederà le due giornate regine sull’Alpe d’Huez. Nella 19ª tappa di sale dal versante classico di Bourg d’Oisans, nella 20ª dall’incantevole quanto selvaggio e duro Col de Sarenne. Queste due frazioni decideranno la Grande Boucle.
Mentre le crono saranno solo due: quella a squadre inaugurale di 19 chilometri, e quella individuale di 26 alla frazione 16.
Le quattro tappe chiave (anche secondo Garzelli). Iniziamo con la 14ª frazione la Mulhouse-Le Markstein…La 16ª tappa è la crono individuale di 26 kmEcco l’Alpe: 19ª tappa, appena 128 km con 3 GPM più la classica scalata dell’Alpe dal versante dei 21 tornantiUltimo tappone: 20ª frazione ancora con arrivo all’Alpe. Si sale dal terribile Sarenne e prima il GalibierLe quattro tappe chiave (anche secondo Garzelli). Iniziamo con la 14ª frazione la Mulhouse-Le Markstein…La 16ª tappa è la crono individuale di 26 kmEcco l’Alpe: 19ª tappa, appena 128 km con 3 GPM più la classica scalata dell’Alpe dal versante dei 21 tornantiUltimo tappone: 20ª frazione ancora con arrivo all’Alpe. Si sale dal terribile Sarenne e prima il Galibier
La linea a Garzelli
Come accennato, passiamo la linea all’ex maglia rosa e oggi voce tecnica della Rai, Stefano Garzelli. Lui ha commentato gli ultimi Grandi Giri e conosce anche bene il tracciato francese e le sue insidie.
Stefano, insomma, cosa ne pensi?
E’ un Tour interessante, più o meno simile a quelli che abbiamo vissuto negli ultimi anni. Ci sono 53.000 metri di dislivello che non sono pochi. Un Tour duro, perché alla fine come cronometro hai solo una prova individuale, che tra l’altro è complicata, con salita e discesa: un dettaglio da non sottovalutare. La cronosquadre del primo giorno a Barcellona, poi, è un appuntamento da non prendere alla leggera.
Con la formula vista lo scorso anno alla Parigi-Nizza, quindi con il tempo preso individualmente…
Una formula interessante. Però quella di Barcellona è una cronosquadre complicata, piena di curve. Sono prove molto delicate: non vinci il Tour, ma puoi comprometterlo. Bisogna partire bene, con una condizione solida, come in tutte le grandi corse degli ultimi anni. E’ una prima settimana tecnica, difficile anche da gestire tatticamente: ci sarà da stare molto attenti.
E il Montjuic alla seconda tappa?
A livello di altimetria non è una tappa dura, però alla seconda giornata del Tour ogni dettaglio pesa. Il Montjuic è uno strappo dove prenderlo davanti è fondamentale. Sono quelle tappe che tutti temono: magari non succede nulla a livello di distacchi, ma la tensione è alta, le cadute sempre dietro l’angolo. Sono giornate molto, molto delicate come dicevo prima.
A Le Markstein Pogacar vinse nel 2023, ma quel Tour andò a Vingegaard. Fu una magra consolazione per lo slovenoA Le Markstein Pogacar vinse nel 2023, ma quel Tour andò a Vingegaard. Fu una magra consolazione per lo sloveno
Abbiamo notato che torna ad esserci un buon numero di tappe per velocisti. Giusto così?
Cinque sono chiaramente destinate ai velocisti: quinta, settima, ottava, undicesima e dodicesima. Poi ce ne sono un paio miste, dove ci sarà battaglia fra sprinter e cacciatori di tappe. Togliendo Parigi, che ormai con Montmartre è diventata una frazione per attaccanti, è un buon numero per i percorsi moderni. E direi che va bene così, specie con quelle due in bilico.
Passiamo al nocciolo della questione: le salite. Okay la doppia scalata all’Alpe d’Huez e il fatto che Prudhomme abbia detto che si toccheranno tutte e cinque le catene montuose francesi, però non ci è sembrato così impossibile questo Tour nel complesso. Tu cosa ne dici?
E’ duro, ma non impossibile. La ventesima tappa, con oltre 5.500 metri di dislivello, è una di quelle giornate dove può succedere di tutto. Ci sarà questa doppia scalata all’Alpe d’Huez… Una tappa molto tosta, secondo me, è quella di Le Markstein. C’è anche quella inedita del Col du Haag: 11 chilometri con una pendenza media importante. Si scollina e non si scende, quindi è come un arrivo in quota, a meno di dieci chilometri dal traguardo. E siamo solo alla 14ª tappa. Anche la frazione successiva presenta tanto dislivello.
Però sono salite da Tour: poca pendenza…
Sono salite da Tour, è vero. Ma in questi ultimi anni, anche per via del dominio di Pogacar, abbiamo fatto fatica a valutare la difficoltà della Grande Boucle, perché ammazza tutto lui. I percorsi sono stati più o meno simili, ma lui cancella ogni strategia. Se non ci fosse Vingegaard vincerebbe con venti minuti sul secondo. Non ci sono tappe durissime, escluse le due o tre che abbiamo nominato, ma il dislivello non manca e alla lunga emerge sempre l’uomo di fondo. Paradossalmente, farebbe più caos una tappa piatta con arrivo secco in salita.
In totale 45 km contro il tempo (di cui 19 a squadre): poco margine per Remco per segnare differenze significative ai fini della classifica secondo GarzelliIn totale 45 km contro il tempo (di cui 19 a squadre): poco margine per Remco per segnare differenze significative ai fini della classifica secondo Garzelli
E delle crono cosa ci dici?
Mi incuriosisce quella individuale dopo il giorno di riposo: sarà una tappa molto delicata e impegnativa, sia altimetricamente che planimetricamente.
Ieri a Parigi hanno chiesto a Prudhomme se non fosse un Tour disegnato per Remco. Lui ha risposto che non è un Tour “anti qualcuno”. Tu, Stefano, a chi lo vedi più adatto?
A Pogacar! Se va come ha fatto finora, il percorso è perfetto per lui, duro o meno che sia. Non credo invece che favorisca Evenepoel: c’è una sola crono, dura ma non lunga, quindi non per i puri specialisti dell’aerodinamica. Se Pogacar va come nel 2024 o nel 2025, c’è poco da fare. Personalmente mi sarei aspettato meno divario fra lui e Vingegaard quest’anno, ma alla fine se la giocheranno ancora loro due. E voi chi vedete come terzo uomo?
Fai tu le domande! Per una suggestione ci viene in mente Seixsas…
Un po’ azzardato portare un ragazzo così giovane, con tutte le pressioni di essere francese al Tour. Un conto è il Delfinato, l’Europeo o il Lombardia, un conto è la Grande Boucle. I numeri contano, certo… Watt, VO₂ Max, soglia, ma il Tour è un’altra cosa. Serve una tenuta mentale e fisica mostruosa. Vedremo… Io dico Lipowitz.
Ci sta. E’ salito sul podio finale quest’anno…
E il fatto che dopo il podio di Parigi non l’abbiano quasi più fatto correre (ha inanellato pochissimi giorni di gara, ndr) mi è piaciuto. Se la scelta è stata fatta per farlo recuperare e crescere, è giusta. Ma, in soldoni, se la giocheranno ancora loro due, Vingegaard e Pogacar, secondo me.
Marion Rousse ha invece presenziato il Tour Femmes, in scena dall’1 al 9 agostoMarion Rousse ha invece presenziato il Tour Femmes, in scena dall’1 al 9 agosto
Tour Femmes: c’è il Ventoux
In tutto ciò è stato presentato anche il percorso del Tour de France Femmes avec Zwift 2026, alla presenza della direttrice Marion Rousse. La corsa partirà dalla Svizzera, conterà nove tappe per un totale di 1.175 chilometri, record per la manifestazione. Le frazioni sono state così suddivise: tre pianeggianti, tre mosse, due di montagna e una cronometro individuale di 21 chilometri che avverrà nella quarta tappa.
La corsa toccherà tre grandi catene: Jura, Massiccio Centrale e Alpi, con un dislivello complessivo di 18.795 metri, altro primato. L’arrivo simbolo sarà quello sul Mont Ventoux, tanto caro alla nostra Marta Cavalli, vetta più alta del percorso (1.910 metri) e palcoscenico della settima tappa, destinata a diventare la “regina” di questa quinta edizione.
Attesa alle stelle per le beniamine di casa: la campionessa uscente Pauline Ferrand-Prevot, super gettonata ieri, e la svizzera Marlen Reusser, che correrà sulle strade di casa. L’ultima frazione, la più lunga con 175 chilometri tra Sisteron e Nizza, chiuderà un Tour Femmes sempre più completo e spettacolare, in perfetta sintonia con quello maschile.
Jasper Philipsen anticipa Van Aert a Carcassonne. Il racconto di Kristian Sbaragli che lo ha pilotato. Il grande caldo. E lo stress immotivato del gruppo
Le vicende del ciclismo italiano continuano a tenere banco, la vittoria del campionato italiano da parte di Filippo Conca ha aperto un cassetto pieno di problemi fino ad adesso tenuti nascosti. Come quando nel fare pulizia si ritrovano carte appallottolate e piegate in malo modo, messe in un angolo nella speranza che qualcuno se ne dimenticasse. Ma come accade con le multe il tempo accumula, non dimentica. Ci siamo così trovati, in una calda domenica di fine giugno, con un ciclista che ha deciso di aprire quel cassetto ormai nascosto dalla polvere. Ma il problema è ben più radicato e parte dai giovani
Era necessario prima o poi venire a patti con la realtà. Le parole che lo stesso Conca ci ha regalato qualche giorno dopo ci hanno permesso di fermarci e cercare delle risposte. Un ragazzo di 26 anni, scaricato dal ciclismo professionistico con la fretta che ormai lo contraddistingue, ha avuto la forza di non arrendersi e ripartire. Gli è costato tanto: fatica, impegno e tanti bocconi amari da mandare giù.
Il tricolore di Conca ha aperto il dibattito, il ciclismo è a un punto di svolta?Il tricolore di Conca ha aperto il dibattito, il ciclismo è a un punto di svolta?
Una piramide che crolla
La deriva del movimento è partita però dal ciclismo giovanile, la sua gestione è ormai in mano a pochi soggetti che non sempre fanno il bene dell’atleta. Si vanno a cercare i talenti in categorie che prima servivano a raccontare quanto i giovani amassero andare in bici. Ora quei giovani amano ancora andare in bici? La risposta per certi versi è “sì” ma non dobbiamo farci ingannare.
«Quello che ci ha dimostrato la storia di Conca – analizza Stefano Garzelli, in questi giorni impegnato con il commento tecnico della RAI al Tour de France – è che un corridore di 26 anni è considerato vecchio. Nel dirlo provo un gran senso di rabbia. La sua carriera è un insieme di episodi che si possono ripetere e possono coinvolgere tutti. Una serie di problemi fisici e in quattro anni Conca si è trovato fuori dal ciclismo professionistico. Un ragazzo come lui non ha trovato nessuno che lo facesse correre, nemmeno una continental».
La caccia agli juniores porta a una professionalizzazione della categoria, non sempre un bene per dei ragazzi giovaniLa caccia agli juniores porta a una professionalizzazione della categoria, non sempre un bene per dei ragazzi giovani
E’ il segno che forse si sta esagerando in questo continuo ricambio?
I corridori giovani non hanno tempo per crescere, ora stiamo vedendo test di ragazzi giovani (juniores, ndr) con numeri impressionanti. Ma poi, in corsa, come riesci a gestire il tuo potenziale se ti mettono a fare il lavoro sporco? La vera domanda è cosa stiamo chiedendo ai giovani? Perché poi se non performi e non porti punti, ti lasciano a casa.
Il rischio è di vedere sempre più ragazzi come Conca.
Sì, ma a 25 anni un corridore non è finito, anzi. E’ appena entrato nella sua completa maturazione fisica e mentale. Non si guarda più a ragazzi di questa età, ma agli juniores. La cosa più spaventosa è che sono ragazzi giovani trattati come campioni, ma non lo sono. Esistono delle eccezioni, come è stato Evenepoel e ora Seixas. Anche se su quest’ultimo qualche dubbio sul fatto che stiano facendo un calendario esagerato ce l’ho.
Il problema è che alle corse degli allievi ora trovi i procuratori, i tecnici non vanno più a vedere le categorie giovanili, si accontentano dei test…
Si fa credere ai ragazzi di essere entrati nel mondo del professionismo e poi non è vero. Non lo sono. C’è una lotta sfrenata per entrare nelle squadre development di formazioni WorldTour già dagli allievi. Per me il male più grande è l’aver lasciato carta bianca per i team juniores. Red Bull, Decathlon e tutti gli altri. Siamo davanti a specchietti per le allodole.
I devo team juniores rischiano di creare una spaccatura all’interno del movimento (foto Instagram/ATPhotography)I devo team juniores rischiano di creare una spaccatura all’interno del movimento (foto Instagram/ATPhotography)
Sembra che senza procuratore non puoi correre, anche a 17 anni.
Ognuno guarda al suo interesse, questo meccanismo che si è creato è incontrovertibile. Si dovrebbe lavorare per renderlo meno pressante. Ma se le squadre WorldTour continueranno a creare team giovanili, il sistema continuerà a prendere ragazzi sempre più giovani.
Tanti ragazzi poi decidono di abbandonare la scuola.
Questo è un tema importante. Quando hai 16 anni la tua priorità devono essere gli studi. Invece adesso ti trovi davanti ragazzi che hanno delle vie “facilitate” o comunque che mettono in secondo piano l’istruzione. Anche io sono padre e mio figlio, che corre in Spagna (dove Garzelli e la sua famiglia vivono, ndr) si è trovato più volte a gareggiare contro ragazzi che si allenano 22 ore a settimana. Se vai a scuola e studi non hai tutto quel tempo per allenarti. Vi faccio un esempio.
Prego…
Qualche settimana fa mio figlio era a una gara riservata agli juniores in Spagna, erano in quarantotto al via, pochissimi. Il perché era presto detto, la settimana successiva c’era una gara più prestigiosa. Il rischio è di non avere più gare perché un organizzatore non avrà più interesse a fare una corsa per neanche cinquanta ragazzi. Tutti vogliono correre con la nazionale o con i devo team. Non esisteranno più le altre squadre, quelle “normali”.
Certe esperienze, come le prove di Nations Cup dovrebbero offrire la possibilità a tanti ragazzi di crescere e confrontarsi (foto Eroica Juniores/Guido Rubino)Certe esperienze, come le prove di Nations Cup dovrebbero offrire la possibilità a tanti ragazzi di crescere e confrontarsi (foto Eroica Juniores/Guido Rubino)
Tutti vogliono emergere, ma non c’è spazio.
Come possono starci tutti? Anche se un giorno tutte le diciotto squadre del WorldTour avranno dei team juniores, comunque i posti saranno limitati. E poi che calendario faranno? Scusate, ma a me la gara in cui i primi cinque erano gli atleti della Grenke Auto Eder (vivaio juniores della Red Bull, ndr) non ha senso. Cosa vuol dire andare alle corse e competere contro chi fa la vita di un diciassettenne “normale”?
Senza considerare che anche la nazionale sta diventando una cosa circoscritta a pochissimi.
Sono dell’idea che le federazioni nazionali dovrebbe dare la possibilità di correre al maggior numero di giovani possibile e non di lavorare con un cerchia di dieci ragazzi. Tutti si caricano di aspettative e si credono già arrivati, poi fanno interviste, eventi, foto. Sta anche ai media non esagerare in proclami e titoloni.
Vero…
Poi tutto diventa dovuto e si creano delle classi in base al talento. Ma a 16 anni, come detto prima, ci sono diversi fattori che incidono. Io sono contro queste esclusioni e alla creazioni di gruppi ristretti. E’ chiaro che se poi le diciotto formazioni WorldTour creano le squadre juniores e prendono i migliori allora il sistema si inceppa.
Perché i team WorldTour al posto di creare formazioni non possono sostenere i team locali aiutandoli nella gestione? (foto ufficio stampa Nordest)Perché i team WorldTour al posto di creare formazioni non possono sostenere i team locali aiutandoli nella gestione? (foto ufficio stampa Nordest)
Ci sarebbero tanti modi per far crescere in maniera uniforme i ragazzi.
Nel calcio le squadre hanno i loro team giovanili, ma anche una serie di squadre locali che fungono da team satellite. Il ciclismo non ha questa capillarità, ma grandi sponsor che possono permettersi di fare il WorldTour potrebbero dare una mano alle squadre giovanili senza surclassarle. Magari distribuendo la ricchezza (o anche organizzando corse così da tenere vivo il movimento, ndr). Sono contento per Conca, il suo risultato fa capire che certe dinamiche sono irreali, bisogna sperare che questo avvenimento non si asciughi come una goccia d’acqua nel deserto.
L’analisi è lunga e articolata, e a farla con noi è Stefano Garzelli.L’ex maglia rosa e oggi commentatore tecnico della Rai ci aiuta a capire che squadre vedremo, i punti di forza e le (poche) debolezze in vista del Tour de France. Chiaramente per le formazioni definitive bisognerà attendere ancora qualche giorno, e ci sarà qualche innesto dal Tour de Suisse, che Garzelli sta seguendo con attenzione.
Al Delfinato si è vista un’ottima Visma, compattissima attorno al suo leader VingegaardAl Delfinato si è vista un’ottima Visma, compattissima attorno al suo leader Vingegaard
Stefano, dacci una prima impressione sulle due formazioni. Partiamo dalla Visma?
Partiamo dalla Visma! E’ andata molto bene nel complesso. Sono mancati alcuni momenti, alcuni corridori nei frangenti finali, ed è normalissimo: Jorgenson ha avuto una giornata di crisi e ci sta. Ricordiamoci che eravamo al Delfinato, non già al Tour. Però la corsa l’hanno fatta loro fin dal primo giorno. Su quello strappetto di 800 metri è partito Tullet, poi Jorgenson e infine Vingegaard. Corrono bene, sono uniti e compatti. Immagino che ci sarà l’innesto di Simon Yates e Wout Van Aert. E anche Edoardo Affini. Corridori che alzano il livello di tutta la squadra.
Li vedi equilibrati?
E’ una squadra molto forte, ben organizzata anche in pianura con Van Aert, Affini, Benoot, e forse Campenaerts. In pratica sono tutti capitani! In salita, oltre a Vingegaard, ci saranno Jorgenson, Simon Yates e Sepp Kuss.
Chiaro…
E tutti questi possono ancora migliorare. Jorgenson è una sicurezza, ha avuto solo un giorno difficile. A volte è meglio avere una crisi ora: vuol dire che sei ancora in fase di crescita. Simon Yates? Era stato preso per aiutare Vingegaard al Tour, ma hanno fatto un’imboscata al Giro, convincendo tutti che lo stessero preparando per quello. Invece adesso, sulle ali dell’entusiasmo, andrà fortissimo al Tour… quando dovrà esserci.
E quando dovrà esserci?
Nei momenti chiave in salita. Non tutti i giorni. Questo vuol dire molto anche in termini di energie, specie nervose, per un corridore del suo livello.
Kuss potrà crescere ancora e con le frazioni più lunghe del Tour uscirà alla distanzaKuss potrà crescere ancora e con le frazioni più lunghe del Tour uscirà alla distanza
E gli altri?
Immagino che cercheranno di tenere Jorgenson in classifica. Van Aert sta bene, al Giro si è ritrovato. Gente come Affini, Campenaerts e Benoot sono una garanzia anche in pianura. La Visma è una squadra fortissima. E sembra che negli ultimi anni abbiano corretto anche alcune situazioni critiche.
A cosa ti riferisci in particolare?
Penso a quel famoso cambio di bicicletta caotico: un corridore a destra, uno a sinistra, uno lungo la strada, l’altro che attraversava… bici che non arrivava. Ora mi sembrano più precisi.
Quale potrà essere secondo te il ruolo di Van Aert? Quello a cui siamo abituati o tornerà a cercare le volate?
Non so se deciderà di buttarsi nelle volate, lo capiremo presto. Anche se il suo obiettivo potrebbe essere la maglia verde. Ma io lo vedo diversamente. Quest’anno la Visma-Lease a Bike vuole vincere il Tour come squadra. L’obiettivo di Vingegaard è un obiettivo collettivo. Penso a Van Aert, ma anche a Simon Yates. Poi Wout, come ha fatto al Giro, potrà togliersi qualche soddisfazione. Avrà segnato 4 o 5 tappe adatte a lui. E la sua presenza tattica è importantissima. L’abbiamo visto sul Colle delle Finestre, ma anche al Tour in passato: i suoi movimenti sono stati decisivi per vincere.
Kuss sarà ancora l’ultimo uomo o avrà un ruolo diverso?
Quando lavorava per Roglic o per Vingegaard e tirava, dietro restavano solo Pogacar e Jonas. Ha vinto una Vuelta… ma anche per lui gli anni passano. Sarà importante, ma forse non più decisivo come tre anni fa. Poi magari mi smentisce! Ma come ultimo uomo vedo più Jorgenson e, in alcune giornate, Simon Yates. O anche Van Aert, a seconda di come andrà la corsa.
UAE Emirates fortissima con alcuni elementi, ma meno dominante del solito nel complesso. Mancano però gli innesti (pesanti) del Tour de SuisseUAE Emirates fortissima con alcuni elementi, ma meno dominante del solito nel complesso. Mancano però gli innesti (pesanti) del Tour de Suisse
Passiamo alla UAE Emirates. Al Delfinato avevano Pogacar, Novak, Politt, Wellens, Narvaez, Sivakov e Soler.
Fortissimi anche loro. Ma qui c’è il gregario, mentre alla Visma fai fatica a trovarlo. Sono tutti capitani. Analizziamo Marc Soler: al Delfinato era uno dei primi a staccarsi. Secondo me in UAE hanno ancora qualche dubbio sulla formazione finale. E ci sta: puoi fare la squadra, ma poi il corridore per vari motivi non rende. Anche Sivakov non è stato eccezionale. Poi è vero che anche loro devono ancora crescere. Io credo che guarderanno molto il Tour de Suisse.
Lì c’è Almeida che sarà sicuro al Tour. Devono arrivare a otto: al Delfinato erano in sette. Manca Adam Yates…
Provo a fare la formazione: Pogacar, Wellens, Politt, Almeida e Adam Yates sicuri. Anche Narvaez. Siamo a sei. Novak, Soler e Sivakov mi convincono meno. Io inserirei Michael Bjerg: quando va forte, tiene anche in salita. E poi porterei il ragazzo svizzero Jan Christen.
Difficile che lo facciano esordire nei grandi Giri al Tour…
Ma è molto forte e sa tirare bene. Terzo al GP Aargau, lo scorso anno ha controllato oltre mezzo Giro di Lombardia da solo. Comunque dallo Svizzera, oltre ad Almeida, penso arriverà Bjerg. Poi vedremo uno tra Soler e Novak. Bisogna capire perché Soler ha reso meno: magari ha avuto un virus intestinale. Io mi baso su quello che ho visto in corsa. In alternativa porterei Del Toro o Ayuso!
Non dimentichiamo che in rosa e in corsa al Tour de Suisse c’è anche Grossschartner…
Però a quel punto meglio Bjerg. Altrimenti in pianura sarebbero leggeri. E’ vero che Narvaez si muove bene, ma muoversi è una cosa, tirare per chiudere un ventaglio è un’altra. Quindi dico: Pogacar, Almeida, Adam Yates, Narvaez, Sivakov, Wellens, Politt e Bjerg.
Wellens e Narvaez hanno dimostrato di saper fare accellerazioni devastantiWellens e Narvaez hanno dimostrato di saper fare accellerazioni devastanti
Come hai visto muoversi la UAE al Delfinato?
Bene, ma gli altri mi hanno dato più compattezza di squadra. Per carità, hanno grandi corridori. Oltre a Pogacar, basta nominare Jonathan Narvaez o Tim Wellens. Il giorno di Combloux, quando Tim tirato in salita, erano rimasti in otto. L’accelerata l’ha data Narvaez su ordine di Pogacar. Tadej avrà detto: “Fai male a me. Perché se fai male a me, fai male a tutti”. Ora Pogacar ha capito che quelle accelerazioni violente all’inizio salita chiedono il conto alle gambe di Vingegaard. Per quello attacca subito.
Interessante. Li manda in acido e poi se la giocano sul passo…
I rivali hanno visto questa tattica e cercheranno di migliorare su quel tipo di sforzo. Poi è chiaro: se migliora anche Tadej, cosa puoi fare? Se uno ti fa 480 watt per 20 minuti, come lo batti? Tuttavia Vingegaard non è lontano. Per me ha lavorato per avere ancora margini, altrimenti non avrebbe fatto quella crono.
Spiegati meglio…
Voglio dire che sta già bene, ma gli mancano dei lavori specifici per resistere all’accelerazione violenta di Pogacar in salita. E quelli li fai adesso. Ora Vingegaard torna in quota: lui e la squadra hanno ancora due settimane di lavoro. Ripenso anche all’accelerazione in pianura nella prima tappa: per me è in “work in progress”. La parte finale del Tour è fra più di un mese. E’ presto per essere già al top. Parlo in base alla mia esperienza.
Se Narvaez può garantire quelle strappate, chi può farle in casa Visma?
Dipende dalla tappa. Quel giorno al Delfinato è arrivato un gruppetto e le tappe erano corte. In molti le soffrono. In tappe più lunghe cambia tutto. Quelle strappate potrebbe farle Simon Yates. Ma per queste accelerazioni e tattiche bisogna vedere come stanno le gambe dopo 13, 14, 18 tappe e 200 chilometri: è tutta un’altra storia.
I Campi Elisi celebrano gli ultimi due vincitori. Van Aert autore di una volata straordinaria e Pogacar padrone della maglia gialla per il secondo anno
La vittoria alla penultima tappa di Pogacar al Tour de France ha costretto gli uomini di Deda Elementi a partire alla volta di Parigi con alcuni manubri dal colore speciale
Una volta svelato il percorso del Giro Next Gen è stato chiaro a tutti che la tappa decisiva sarà quella con arrivo a Prato Nevoso. La settima frazione del Giro d’Italia degli under 23 apparecchia la tavola per un finale da vivere metro dopo metro. 4.000 metri di dislivello in 160 chilometri senza mai trovare un metro di pianura. Se è vero che la categoria under 23 sta diventando l’antipasto al professionismo, ecco un bel boccone da masticare per i ragazzi delle 35 squadre che prenderanno il via domenica 15 giugno da Rho.
Il profilo della settima tappa del Giro Next Gen: 163 chilometri e 4.000 metri di dislivelloIl profilo della settima tappa del Giro Next Gen: 163 chilometri e 4.000 metri di dislivello
Con voglia e rabbia
Sulla salita di Prato Nevoso il Giro è passato tre volte (una anche il Tour): una di quelle che rimane negli occhi degli appassionati e nel cuore di chi l’ha vissuta ha visto come protagonista Stefano Garzelli. Nella corsa del 2000, esattamente venticinque anni fa, lo scalatore varesino trovò la sua prima vittoria al Giro d’Italia. Mentre qualche giorno dopo tolse la maglia rosa dalle spalle di Francesco Casagrande e la portò fino a Milano.
«Era una salita adattissima alle mie caratteristiche – ricorda Stefano Garzelli che in questi giorni è impegnato con le dirette del Delfinato con la RAI – ovvero quelle di uno scalatore con un buon spunto veloce. La strada sale costantemente tra il 7 e l’8 per cento con qualche punta al 9. In generale è una salita dove a ruota si sta bene. Di quel giorno ricordo la voglia che avevo di vincere, chiusi su tanti attacchi negli ultimi tre chilometri mi sono mosso tantissimo. Nella volata finale, in cui arrivò un gruppetto di una decina di corridori, vinsi per distacco».
La scalata di Prato Nevoso ha delle pendenze regolari tra il 7 e l’8 per cento ed è lunga 13 chilometriLa scalata di Prato Nevoso ha delle pendenze regolari tra il 7 e l’8 per cento ed è lunga 13 chilometri
Il fatto che sia arrivato un gruppo ristretto ci fa pensare che sia una salita in cui si fa fatica a fare selezione…
Sono convinto che se dovessero farci arrivare il Giro nei prossimi anni arriverebbero a giocarsi la corsa quindici corridori. Le bici sono sempre più veloci e l’aerodinamica conta tanto anche in salite del genere. Questo mi fa pensare che anche al Giro Next Gen sarà difficile vedere trionfare un atleta da solo.
Nei chilometri precedenti saliranno tanto prima di arrivare alla salita finale.
Questo può cambiare le carte in tavola. Se all’inizio della tappa si mette tanta fatica nelle gambe allora poi la scalata finale cambia volto. Penso il gruppo arriverà a prenderla con una velocità costante e per fare selezione si deve partire forte fin da subito.
A Prato Nevoso nel 2018 Simon Yates perse 30 secondi da Froome, la maglia rosa il giorno dopo andò incontro alla crisi sul Colle delle FinestreA Prato Nevoso nel 2018 Yates perse 30 secondi da Froome, la maglia rosa il giorno dopo andò in crisi sul Colle delle Finestre
Sarà difficile gestire la salita visto che le squadre avranno solo cinque corridori e saremo alla fine del Giro Next Gen?
Pensare di coprire tutti e 13 i chilometri di salita con due o tre atleti intorno al capitano è difficile. Si dovranno capire le mosse dei team e quello che potrà succedere. Se si dovesse arrivare ad avere solo gli uomini di classifica davanti si apre uno scenario da uno contro uno. In questo caso potremmo vedere tanti attacchi, ma attenzione che in una salita del genere solo uno può essere quello decisivo.
Cioé?
Che è difficile prendere tanto margine in una salita del genere con pendenze abbordabili. I distacchi potrebbero aggirarsi intorno ai venti secondi. E’ importante trovare il momento giusto e questo può arrivare o da molto lontano, anche se è difficile, o quando si è negli ultimi due chilometri. Però con tutto quel dislivello prima qualcuno potrebbe andare in crisi.
Prato Nevoso è stato anche arrivo di tappa nel Giro d’Italia Internazionale Femminile 2021 vinse Van Der Breggen in maglia iridataPrato Nevoso è stato anche arrivo di tappa nel Giro d’Italia Internazionale Femminile 2021 vinse Van Der Breggen in maglia iridata
E cosa cambierebbe?
Se ti pianti, non vai più su. Pensateci, su quali salite si fa maggiore differenza quando un corridore va in crisi? Quelle con pendenze dove si riesce a fare velocità. Prato Nevoso è una scalata da fare a 22 o 23 chilometri orari, ma se uno va in crisi si sale a 14 all’ora. Cambia tutto. I divari si possono fare davvero ampi.
Come correresti?
A ruota del primo gruppo, respirando e risparmiando qualcosa. Poi una volta che si decide di attaccare bisogna farlo fino in fondo, senza pensare al giorno dopo. Nel finale di una corsa a tappe tra andare al 90 per cento o andare al 100 per cento non cambia nulla. Anche perché in una salita come quella di Prato Nevoso la differenza la si può fare solo con uno scatto secco, convinto.
Le fatiche del Giro sono alle spalle e Stefano Garzelli, in attesa dei prossimi impegni è tornato nel suo “buen retiro” spagnolo per godersi un po’ la famiglia. Il suo primo Giro da opinionista Rai è alle spalle e l’esperienza è stata molto positiva.
«E’ stato qualcosa di realmente diverso dal solito – dice – non è la stessa cosa che qualsiasi altro ruolo televisivo. A me piaceva raccontare la corsa pensando che mi rivolgevo a chi non è del mestiere, non segue tutta la stagione e sa tutto di ruote, mozzi, allenamenti e strategie. Ho cercato di raccontare questo evento come qualcosa di nuovo».
Primo Giro da primo opinionista in postazione per Stefano Garzelli: una corsa divertente perché sempre incertaPrimo Giro da primo opinionista in postazione per Stefano Garzelli: una corsa divertente perché sempre incerta
Giro esaltante, mai scontato
E’ stato un Giro molto particolare e riviverlo adesso, a qualche giorno di distanza permette di sottolineare e cogliere aspetti che magari sono stati un po’ coperti dal grande risalto dettato dal suo epilogo a sorpresa: «Diciamo che il primo vincitore del Giro è… il Giro. Perché è stato sempre incerto, diverso, mai monotono. Non è facile dare giudizi, sento parlare di fallimenti, ma bisogna anche guardare le singole storie e il Giro ne ha raccontate tante. Un esempio: come si fa a criticare Tiberi? La sua corsa è stata totalmente condizionata dalla caduta, dopo non era più lui perché la botta era stata forte».
E’ vero ma come si fa a non giudicare negativamente (se proprio non vogliamo usare la parola fallimento) la corsa della UAE, per quanto il secondo posto di Del Toro sia carico di prospettive? Non è che la squadra non era abituata a gestire una situazione diversa non avendo Pogacar in corsa?
Yates e Van Aert, un sodalizio che ha funzionato alla perfezione nella penultima tappaYates e Van Aert, un sodalizio che ha funzionato alla perfezione nella penultima tappa
La UAE e le gerarchie non rispettate
«Con Tadej è facile correre, praticamente non devi fare nulla… Io credo che qualche errore ci sia stato, innanzitutto nella gestione della gerarchia. Ayuso, per quel che aveva fatto a Tirreno-Adriatico e Catalunya, era il capitano. Alla tappa delle strade bianche è caduto, a quel punto perché Del Toro ha allungato? Era con Bernal e Van Aert, ma non doveva esserci perché la gerarchia imponeva che stesse col capitano. Ciò ha dato a lui la maglia ma ha tolto tranquillità al gruppo, ha mostrato crepe che alla fine sono esplose».
La vittoria di Yatesti ha sorpreso? «So che lui preparava la tappa del Colle delle Finestre da novembre, aveva un conto in sospeso. Ha corso in maniera intelligente, sempre coperto, ma la sua forza è stata soprattutto essersi gestito prima del Giro. Non è un caso che sul podio sono finiti corridori che in primavera non si sono praticamente visti, salvo la vittoria di Del Toro alla Milano-Torino. Ad eccezione di Pogacar, chi va forte a marzo poi a maggio paga dazio. Lui è stato attento, poi la squadra lo ha supportato al meglio».
Una delusione forte per Ayuso, arrivato al Giro come leader dopo le vittorie in serie in primaveraUna delusione forte per Ayuso, arrivato al Giro come leader dopo le vittorie in serie in primavera
Pellizzari tutelato dalla Red Bull
Sulla Visma-Lease a Bike Garzelli ha parole di miele: «Hanno saputo tenere la corsa sempre sotto controllo. Van Aert è stato portato per la tappa delle strade bianche e l’ha vinta, poi avrebbe anche potuto tirare i remi in barca, invece è rimasto in gruppo e si è messo a disposizione. Yates dal canto suo aveva provato a Champoluc, ma ha subito capito che non c’era spazio per sovvertire la classifica e ha rinviato al giorno dopo, è stata una scelta molto saggia. Al sabato è stato un capolavoro di strategia, con Van Aert in avanscoperta che poi ha fatto da fantastico pesce pilota. Tattica indovinata, niente da dire».
Nell’ultima settimana del Giro e anche dopo è stato un fiorire di giudizi su Pellizzari, parlando di quel che avrebbe potuto fare se non fosse stato al servizio di Roglic… «Torniamo al discorso di prima: in un team ci devono essere gerarchie definite e la Red Bull le ha fatte rispettare. Pellizzari il Giro non doveva neanche farlo, è stato Roglic che lo ha voluto in squadra. Lui ha fatto il suo dovere e quando lo sloveno è caduto si è messo al suo servizi perché è questo che fa un luogotenente. Mi ha ricordato il Giro del ’97, quando Pantanicadde e perse 15 minuti. Io rimasi con lui, finii quel Giro 9° ma senza quel quarto d’ora sarei stato 4°. Eppure non mi sono mai pentito, neppure per un istante, di quella scelta, perché in quel momento il mio posto era accanto a Marco».
Roglic e Pellizzari: lo sloveno ha insistito per avere il giovane con séRoglic e Pellizzari: lo sloveno ha insistito per avere il giovane con sé
Il Giro degli italiani
Alla Red Bull avranno ora capito che Pellizzari è un leader? «Lo sapevano già da prima – sentenzia Garzelli – anzi io dico che lo hanno preso proprio con quell’idea. Non avevano preso uno qualunque, ma un prospetto per le corse a tappe, capace di vincerle. Per questo non avrebbero voluto neanche portarlo al Giro, ma come detto Roglic la pensava diversamente, poi le cadute sua e di Hindley hanno cambiato i rapporti in squadra. Ora sanno che tiene anche le tre settimane, il Giro ha dato loro ulteriori risposte».
In generale come giudichi questo Giro in chiave italiana? «Si potrebbe pensare che, con una sola vittoria di tappa, sia stato deficitario ma non è così. Io dico che è stato buono, ma molto sfortunato viste le cadute di Ciccone e Tiberi. Però abbiamo avuto Caruso che ha fatto un capolavoro e io l’ho sottolineato subito perché a 37 anni finire in top 5 ha un valore enorme. Era giustamente l’uomo di Tiberi, poi ha saputo sfruttare la sua esperienza, ma soprattutto ha mostrato di avere una grande condizione perché senza di quella non vai avanti».
Tiberi e Caruso. Sfortunatissimo il primo, bravo il siciliano a prendere le redini del teamTiberi e Caruso. Sfortunatissimo il primo, bravo il siciliano a prendere le redini del team
Caruso, un capolavoro a 37 anni
Non è che il suo risultato è passato un po’ troppo sotto silenzio? «Non credo – afferma Garzelli – noi alla Rai l’abbiamo sempre sottolineato. Poi lo so bene, anch’io fui 5° a 37 anni vincendo due tappe e farlo con gente molto più giovane di te significa molto. Ma ci sono stati anche altri italiani che mi sono piaciuti, come Affini, Garofoli pur abbastanza sfortunato, senza dimenticare Fortunato vincitore della maglia azzurra. Non dimentichiamo poi che è stato un Giro condizionato dalle cadute, almeno 5 da primissime posizioni sono stati messi fuori gioco e questo, sull’esito finale, ha contato molto, ma si sa che per vincere anche la fortuna ha un suo peso».
L’ultimo fu Bugno e prima di lui Adorni. Andando indietro con la memoria, fu proprio l’indimenticato Gianni l’ultimo vincitore di Giro chiamato a commentare… il Giro d’Italia in tivù. Per questo l’arrivo di Stefano Garzelli accanto a Francesco Pancani porterà al pubblico del ciclismo un tocco di maglia rosa che non farà certo male.
In questi giorni, Stefano è stato impegnato con i sopralluoghi delle tappe: ultimo step prima di volare a Tirana per la partenza della corsa. Quando lo chiamiamo ha appena concluso la scalata del Mortirolo, in un rincorrersi di chilometri e ore che non concede respiro. Gli chiediamo che cosa pensi del Giro d’Italia e allora il discorso prende il largo fra l’occhio del corridore e l’opinione di chi nella sua gavetta di opinionista ne ha visti ormai tanti.
«E’ un Giro d’Italia da vivere alla giornata – dice – per cogliere l’occasione, secondo me fin dalla dall’Albania (in apertura, foto La Presse, ndr). Se lo analizziamo, è vero che ci sono dei tapponi. Quello di Saint Vincent. Ieri ho fatto la tappa di San Valentino (Brentonico). Chiaramente il Colle delle Finestre e Sestriere. Però credo che nel complesso non sia solo un Giro di tapponi. Se fossi ancora un corridore, vivrei alla giornata, perché ci sono tante occasioni…».
Stefano Garzelli, classe 1973, ha vinto il Giro nel 2000 (Foto Duz Image / Michele Bertoloni)Stefano Garzelli, classe 1973, ha vinto il Giro nel 2000 (Foto Duz Image / Michele Bertoloni)
A cominciare dai traguardi volanti Red Bull?
Quelli davvero non sono da sottovalutare, danno 6 secondi ogni giorno. Quando hai due corridori un gradino sopra e dietro altri 4-5 sullo stesso livello, gli abbuoni possono essere decisivi.
Due cronometro, una già il secondo giorno.
Ayuso a crono è forte, alla Tirreno è andato bene. Roglic ha vinto le Olimpiadi della specialità, sulla carta è forte anche lui. Hanno qualcosina in più, però se prendiamo come terzo uomo Tiberi, non ci dimentichiamo che anche lui finora ha fatto i migliori risultati proprio a cronometro. Antonio non è tanto secondo a loro. Può perdere 5-10 secondi, ma non è uno di quei corridori, come ad esempio Landa, che perde un minuto.
Un Giro da vivere alla giornata, quindi il Roglic che di solito colpisce in finale rischia qualcosa?
Non ti puoi permettere di restare troppo a lungo alla finestra. Se ti attaccano Ayuso, Tiberi, Pidcock o Bernal, non puoi stare a guardare. Secondo me vedremo diversi tentativi di corridori che proveranno ad anticipare. Ci sono arrivi in salita e abbuoni che da corridore avrei cercato ogni giorno, per quel famoso vivere alla giornata. Spero che gli squadroni non corrano togliendo importanza a certi traguardi. Perché è certo anche che vedremo davanti i blocchi di quelle 4-5 squadre che terranno in mano la corsa, ormai il modo di correre è quello.
Roglic, vincitore del Giro 2023, non potrà pensare di attendere il finale. Con lui Pellizzari, Aleotti, Martinez e HindleyRoglic, vincitore del Giro 2023, non potrà pensare di attendere il finale. Con lui Pellizzari, Aleotti, Martinez e Hindley
Spesso lo spettacolo ne risente, soprattutto se non qualcuno fra i grandi con il coraggio per attaccare…
Per come correvo io, se potevo vincere la tappa o prendere l’abbuono, la mia squadra tirava. Poi potevo vincere o perdere, non è che vinci sempre. Però quello che mi piacerebbe vedere sono squadre che non regalano le tappe e che lottino per i traguardi intermedi.
Fra gli squadroni che tengono in mano la corsa, solo la Red Bull-Bora negli anni ha dimostrato di saper correre per far saltare i piani. Ci aspettiamo qualche invenzione di Gasparotto?
In realtà, credo che Gasparotto con il suo nuovo incarico non seguirà il Giro. Tuttavia sono certo che, pur non essendo presente, seguirà la squadra nei meeting e nei briefing. “Gaspa” è uno che ha una mentalità simile alla mia, magari l’ha trasmessa ai suoi direttori sportivi.
La UAE Emirates e la Red Bull hanno organici notevoli…
La prima accanto ad Ayuso avrà Del Toro e Adam Yates, dei gregari niente male… La Red Bull porta Hindley, Martinez e anche Pellizzari. Quando l’ho visto al Catalunya, ho capito subito che Giulio lo avrebbero portato al Giro. In come si è mosso nella tappa che poi vinse Ayuso, mi sono rivisto al Giro dei Paesi Baschi 1997 con Pantani, quando decisero di farmi debuttare al Giro.
Roglic in corsa lo voleva al suo fianco, ha capito la qualità dell’atleta e del ragazzo…
Roglic non è uno sprovveduto, sa che se lo porta al Giro, avrà un corridore che farà di tutto per il suo capitano. E in quel momento hanno pensato di risparmiargli il Giro dei Paei Baschi, per dirottarlo sul Giro.
La coppia Ayuso-Del Toro ha funzionato benissimo alla Tirreno vinta dallo spagnolo. In aggiunta la UAE avrà Adam YatesLa coppia Ayuso-Del Toro ha funzionato benissimo alla Tirreno vinta dallo spagnolo. In aggiunta la UAE avrà Adam Yates
La seconda settimana inizia col riposo, poi la crono e il mercoledì si sale il San Pellegrino in Alpe…
Io su quella salita ho ipotecato il Giro del 2000, anche se arriva a metà tappa. Se qualcuno ha il coraggio di muoversi in anticipo, davanti restano i big e poi trovi il modo per giocarti la tappa. Non c’è da aspettare il finale. Magari la UAE Emirates può far partire De Toro e la Red Bull può anticipare con un altro. Chi pensa di poter vivacchiare, potrebbe avere un brusco risveglio.
Il resto della settimana servirà a recuperare un po’?
E’ abbastanza interlocutoria. Viadana è facile, Vicenza sarà spettacolare ma non farà grossi danni e Gorizia è facile. Poi però arriva Asiago e prima c’è il Monte Grappa e lì si ricomincia a ballare, perché la salita è lunga, poi c’è la discesa e subito altri 15 chilometri all’insù a 20 chilometri dall’arrivo. Poi il riposo e poi si ricomincia…
E si ricomincia con la tappa di San Valentino, che proprio semplice non è.
Infatti ho voluto inserirla fra le ricognizioni da fare. Sono 5.000 metri di dislivello con 5 salite. Viene dopo il terzo giorno di riposo. La prima parte della salita finale è facile fino a Brentonico, poi arrivano rampe anche al 20 per cento. Questo è un tappone, non va tanto in alto, ma è duro. E il giorno dopo ci sono Tonale e Mortirolo.
Giro 2024, Tiberi e il Grappa. La scalata tornerà anche quest’anno e Antonio torna con ben altre ambizioniGiro 2024, Tiberi e il Grappa. La scalata tornerà anche quest’anno e Antonio torna con ben altre ambizioni
Per un ragazzo giovane come Ayuso può esserci un problema di tenuta nella terza settimana?
E’ arrivato sul podio della Vuelta a vent’anni, credo sia abbastanza preparato. Conosco Juan da quando è bambino, dai suoi 10 anni, visto che praticamente è di Valencia. Il suo massaggiatore è Paco Lluna, che era con Pantani e con me alla Mercatone Uno. Se sono andato a vivere a Valencia fu per lui, quindi siamo amici. Alla Valenciana ero con l’organizzazione e un giorno Paco mi dice che, finita la corsa, andrà a Sierra Nevada con Ayuso. E allora gli chiedo: come va? E lui: «Fa paura!». Infatti Matxin voleva portarlo alla Valenciana, ma Juan ha detto di no.
Perché?
Voleva prepararsi per vincere in Francia e ha vinto la Faun Dome Classic. Il Laigueglia e lo ha vinto. La Tirreno che ha vinto. E adesso vuole provare a vincere il Giro. Mentalmente è preparato, magari bisognerà tenerlo a freno in alcune situazioni, perché non esageri nel farsi prendere dall’entusiasmo. Però io nella mia carriera non ho conosciuto un altro atleta con quella determinazione. Ed è così da quando era un bambino. Allievo di primo anno e allievo di secondo anno, campione di Spagna crono e strada. Juniores primo anno juniores secondo anno, campione di Spagna crono e strada. E anche quando ha vinto il Giro di Italia U23, il vantaggio sul secondo fu di 3 minuti. E’ davvero forte.
Anche Red Bull ha bei nomi…
Hanno Hindley che il Giro l’ha vinto nel 2022. Martinez, secondo nel 2024 che quest’anno ha cominciato a correre tardissimo e sarà freschissimo. Hanno ovviamente Roglic, il vincitore del 2023. E hanno Pellizzari. Magari Roglic rischia di sentirsi stretto, è una situazione che a me non esalterebbe, ma è innegabile che la squadra ci sia.
Giro d’Italia 2021, Bernal e la sua maglia rosa, fra Caruso e Simon Yates: il colombiano avrà quello stesso livello?Giro d’Italia 2021, Bernal e la sua maglia rosa, fra Caruso e Simon Yates: il colombiano avrà quello stesso livello?
E Ciccone?
Deve assolutamente far classifica, come Carapaz, Landa, Gee e anche Piganzoli, che penso possa fare un buon Giro. E’ un ragazzo costante, si è allenato bene, poi chiaramente con i consigli di Ivan (Basso, ndr) e di Contador può gestirsi benissimo.
Cosa diciamo del gran finale in Val d’Aosta?
Il gran finale è il gran finale, la Val d’Aosta non ti regala niente. Il primo giorno, si fanno Tzecore, Saint Panthaleon, Col de Joux e Antagnod. Il San Panthaleon si fece nel 1997, nella tappa di Cervinia la vinse Gotti, secondo Miceli, terzo io. Fu il mio primo risultato importante e ricordo che attaccai. All’inizio ci stavano riprendendo, ma con me avevo Gotti. Non dico che quel giorno gli feci vincere il Giro, ma quasi. Io attaccai, lui mi venne dietro in discese e alla fine vinse. Ho un bel ricordo di quella salita, perché c’era anche nell’unico Giro della Valle d’Aosta che abbia mai fatto. Sono 5.000 metri di dislivello ed è il 19° giorno.
E l’indomani, casomai fosse poco, si arriva a Sestriere dopo il Colle delle Finestre…
Il Finestre è duro, lungo e sterrato. Ventesima tappa, può cambiare ancora tutto.
La 20ª tappa del Giro d’Italia si concluderà a Sestriere dopo la scalata del Colle delle Finestre e potrebbe cambiare ancora tuttoLa 20ª tappa del Giro d’Italia si concluderà a Sestriere dopo la scalata del Colle delle Finestre e potrebbe cambiare ancora tutto
Emozionato di raccontare un Giro così con Pancani?
Avevo già fatto due Tour come primo commento: uno con Andrea De Luca e uno con Rizzato. Con Pancani abbiamo fatto altre corse, però per me commentare il Giro dopo 12 anni di gavetta è una bella soddisfazione. Si dice che per gli italiani il Giro è il Giro, lo è anche per noi commentatori italiani. E per me che il Giro l’ho vinto, ha davvero un sapore speciale…
Tiberi conquista il terzo posto alla Tirreno-Adriatico e fa ora rotta sull'altura, prima di Tour of the Alps e Giro. Il confronto con Ayuso. La crono e la salita
Con la cronometro individuale di oggi è scattata la Tirreno-Adriatico, una delle gare più attese dell’intera stagione. La Tirreno è ormai un appuntamento che in tanti segnano in rosso e al tempo stesso un viatico per chi insegue il Giro d’Italia, più di rado per chi punta al Tour de France.
Tosta, tortuosa nelle strade, con un parterre di rango elevatissimo, abbiamo chiesto a Stefano Garzelli (nella foto di apertura con Scarponi), uno degli ultimi vincitori italiani della Corsa dei Due Mari che cosa sia appunto la Tirreno. Perché è così difficile da vincere. E il “Garzo” tra aneddoti e spunti tecnici ci ha dato sotto!
Lotta ai traguardi volanti nell’ultima tappa della Tirreno 2010. Sfida fra l’Acqua e Sapone di Garzelli e l’Androni di ScarponiLotta ai traguardi volanti nell’ultima tappa della Tirreno 2010. Sfida fra l’Acqua e Sapone di Garzelli e l’Androni di Scarponi
Stefano, sei stato uno degli ultimi vincitori italiani della Tirreno. Che significa vincere questa corsa? Quanto è importante?
Prima di tutto è una grandissima soddisfazione. Io mi ricordo che arrivai terzo nel 1999, secondo nel 2009 dietro a Michele Scarponi e primo nel 2010. Per me la vittoria della Tirreno ha tantissimi significati, sia sportivi che affettivi. E’ una corsa che si svolge in un periodo particolare dell’anno, con le prime vere battaglie tra i grandi campioni. Vincere qui vuol dire avere gamba e astuzia. E per un corridore italiano, avere il nome nell’albo d’oro della Tirreno-Adriatico è qualcosa di speciale.
Quali sono nello specifico questi significati sportivi ed emotivi?
Quelli sportivi mi riportano al 2010: avevo 37 anni e non ero più un ragazzino. L’anno prima l’avevo sfiorata, duellando con Michele (Scarponi, ndr). Lui fu nettamente più forte. Nel 2010 però volevo giocarmela fino in fondo, specie con i tanti ragazzini che arrivavano su forte, anche se poi fu ancora una sfida con Michele. Iniziammo quella edizione scherzando su fatto che sarebbe stato ancora un duello fra di noi e la finimmo con Michele arrabbiatissimo, tanto che non mi parlò per qualche tempo.
A Lido di Camaiore, Ganna ha appena vinto la crono di apertura a 56,174 di media con 22″ su AyusoA Lido di Camaiore, Ganna ha appena vinto la crono di apertura a 56,174 di media con 22″ su Ayuso
Perché? Raccontaci…
Al termine dalla penultima tappa, quella di Macerata, ero secondo a 2″ da Scarponi. Quel giorno non riuscii a vincere e ormai davo per persa la corsa. Poi quella sera arrivò in camera Luca Paolini e mi disse: «Stefano, domani ci sono i traguardi volanti con gli abbuoni. Ce la possiamo fare». E così abbiamo deciso di provarci: arrivai terzo nel primo traguardo e andai a -1″, terzo nel secondo traguardo volante e andai pari con Michele. Così la Tirreno si decise sul traguardo finale di San Benedetto: chi fosse arrivato davanti, avrebbe vinto. Fu un thriller. Io arrivai prima di lui e conquistai la Tirreno. Fu incredibile, noi di due “squadrette” italiane battemmo squadroni come Sky o Bmc. Tra l’altro quel 2010 fu il primo anno in cui come premio diedero il tridente. Ce l’ho a casa in bella vista.
E a livello affettivo?
Questa gara mi lega a tanti ricordi. E’ una corsa che si disputa in territori meravigliosi, con tifosi calorosi che ti spingono su ogni salita. Ricordo la folla che ci aspettava a Chieti o sui muri marchigiani, le emozioni che ti dà il passaggio da un versante all’altro d’Italia. Vincere qui ti fa sentire dentro un pezzo importante della storia del ciclismo.
Strade ondulate e poche tappe: la Tirreno non è una corsa attendistica secondo GarzelliStrade ondulate e poche tappe: la Tirreno non è una corsa attendistica secondo Garzelli
Quanto pesa la Tirreno nel percorso di avvicinamento al Giro?
Quando correvo io, poco o nulla. Oggi è tutto cambiato. Ai miei tempi chi vinceva la Tirreno difficilmente vinceva anche il Giro nello stesso anno. Oggi invece abbiamo fenomeni che possono riuscirci. Però in generale, arrivare al top della forma a marzo e poi esserlo ancora a maggio è complicato. La Tirreno può servire per trovare la condizione, ma deve essere gestita bene. Il mio favorito per il Giro è Ayuso: lui potrebbe anche vincere la Tirreno, ma parliamo di un talento straordinario, e non è detto che ci riesca.
Chiaro…
Negli ultimi anni la Tirreno è diventata sempre più dura e selettiva. Ha frazioni adatte agli scalatori, tappe per velocisti e giornate mosse che strizzano l’occhio ai cacciatori di tappe. Una vera mini-corsa a tappe completa, un banco di prova perfetto per capire a che punto si è della preparazione. Ed è per questo che ormai tanti big non la trascurano più.
Nella storia solo Nibali nel 2013 e Roglic (maglia blu in foto) nel 2023 sono riusciti a vincere Tirreno e Giro nello stesso annoNella storia solo Nibali nel 2013 e Roglic (in foto) nel 2023 sono riusciti a vincere Tirreno e Giro nello stesso anno
Se dovessi fare un paragone con la Parigi-Nizza?
Sono sincero: ho fatto 15-16 Tirreno-Adriatico, però mai la Parigi-Nizza. Però la Tirreno ha una caratteristica: non è attendista, in cui puoi “metterti comodo”. No, è sempre tirata. Il percorso è insidioso, attraversa il Centro Italia con strade tecniche e imprevedibili. Devi stare sempre attento, trovare l’attimo giusto, non incappare nei trabocchetti. Oggi poi tutti conoscono ogni dettaglio del percorso, quindi è più difficile inventarsi qualcosa, ma resta una corsa dura. La Parigi-Nizza ha un’altra natura: ha un meteo spesso più rigido, il vento che fa selezione e un percorso che varia molto di anno in anno. La Tirreno ha un’identità ben precisa, con le sue tappe intermedie insidiose e le salite secche che fanno selezione. Se vinci qui, vuol dire che sei pronto per grandi cose.
Quindi la corsa come s’interpreta nelle strade del Centro Italia?
Come sempre direi. Chi deve andare forte deve stare davanti. La verità è che dopo un po’ i corridori capiscono la natura delle strade e si adeguano. Chiaro che poi serve la gamba. Penso alla tappe marchigiane e ai muri che sono durissimi.
Per Garzelli Ayuso è il favorito del Giro e, quasi sicuramente, anche della TirrenoPer Garzelli Ayuso è il favorito del Giro e, quasi sicuramente, anche della Tirreno
Quanto è difficile da vincere la Tirreno?
Molto. Dopo i tre Grandi Giri e il Giro di Svizzera, è la corsa a tappe più importante. Il livello è sempre stato alto e quando il livello è alto, la corsa diventa più difficile. E questa la prima difficoltà. Anche perché arriva in un momento della stagione in cui tanti sono già in forma: chi punta alle classiche è al 100 per cento, chi mira al Giro è almeno all’80 per cento. Questo alza il livello medio e rende tutto più competitivo.
Che poi rispetto ad un Grande Giro, con un tracciato tanto variegato e la crono iniziale, resta aperta ad un ventaglio di corridori più ampio (togliendo il fenomeno della situazione come Vingagaard l’anno scorso o Pogacar)…
La difficoltà sta anche nella varietà delle tappe. Devi essere completo: forte a cronometro, resistente sulle salite, scaltro nelle tappe miste. Non puoi avere punti deboli, perché chi ce l’ha, qui paga dazio. È una corsa che premia i corridori completi e con grande fondo. Ma anche attaccanti non per forza da grandi Giri.
La Tirreno-Adriatico sarà un bel test anche per Tiberi, oggi 4° a 28″ da GannaLa Tirreno-Adriatico sarà un bel test anche per Tiberi, oggi 4° a 28″ da Ganna
Cosa ti aspetti da questa edizione?
Vorrei vedere bene Antonio Tiberi, che sta preparando il Giro. E’ un bel banco di prova per lui. E poi sono curiosissimo di vedere Juan Ayuso: lui ha un solo obiettivo in testa ed è vincere il Giro d’Italia, ma sono convinto che vorrà vincere. Alla Valenciana ho incontrato il suo massaggiatore, che fu anche il mio, e mi ha detto che non è mai andato così forte. Mi aspetto che anche Van der Poel ci faccia divertire. Vedremo se giocherà a nascondino come quando vinse poi la Sanremo nel 2023 o se attaccherà. Sarà una settimana spettacolare. E poi occhio agli outsider: la Tirreno è una corsa che ha regalato vittorie inaspettate, come Van Avermaet o Kwiatkowski (e prima ancora Pozzato o Cancellara, ndr), gli attaccanti che dicevo prima.
La Volta a la Comunitat Valenciana è riuscita ad andare avanti, meglio: a ripartire. Dopo i danni provocati dalla DANA (l’alluvione che ha colpito la Regione di Valencia a fine ottobre) in pochi pensavano che gli abitanti di quella zona sarebbero ripartiti. Invece la comunità, unita, ha messo insieme le forze e radunato quel poco che era rimasto per rialzarsi. Ne avevamo parlato con Stefano Garzelli, il quale aveva raccontato e riportato storie e foto di un popolo colpito duramente. Pochi mesi dopo, esattamente tre, i danni si contano ancora ma la strada sembra meno in salita.
La 76ª Volta a la Comunitat Valenciana ha portato una grande sfida sulle strade colpite dalla DANAI segni nelle città attraversate dalla corsa sono ancora evidentiNel corso dell’ultima tappa, da Alfafar a Valencia una pila di macchine distrutteLa 76ª Volta a la Comunitat Valenciana ha portato una grande sfida sulle strade colpite dalla DANAI segni nelle città attraversate dalla corsa sono ancora evidentiNel corso dell’ultima tappa, da Alfafar a Valencia una pila di macchine distrutte
Riprendere
Stefano Garzelli, che a Valencia vive da anni ha costruito legami forti con questa terra. In questi giorni è stato in gara, ha visto e riassaporato il ciclismo prima di iniziare un’altra stagione ai microfoni della RAI come commentatore tecnico. Ma in questi giorni la corsa è stata un contorno, bello ed entusiasmante, ma i protagonisti sono stati altri.
«Nei giorni di oggi (venerdì per chi legge, ndr) e domenica – spiega Stefano Garzelli appena rientrato a casa dopo la vittoria di Ivan Romeo ad Alpuente – le sedi di partenza di tappa sono due città colpite pesantemente dalla DANA. In totale sono quattro o cinque i Comuni colpiti che la corsa ha attraversato. Solitamente quando le città ospitano la partenza o l’arrivo di una tappa pagano, in questo caso la partenza alle due cittadine colpite (Algemesì e Alfafar, ndr) è stata lasciata gratuitamente. Tra l’altro due magazzini che contenevano materiale della corsa erano proprio in questi comuni. Casero, l’organizzatore della Volta a la Comunitat Valenciana, ha subito preso la situazione in mano con la voglia di ripartire».
Ogni anno tra dicembre e gennaio le squadre WT vengono in ritiro in queste zoneFar ripartire la corsa è stato un modo per mostrare cosa ha dovuto vivere gli abitanti di Valencia e non soloOgni anno tra dicembre e gennaio le squadre WT vengono in ritiro in queste zoneFar ripartire la corsa è stato un modo per mostrare cosa ha dovuto vivere gli abitanti di Valencia e non solo
Toccare con mano
Il ciclismo è uno sport che permette di valorizzare il territorio, questo lo si dice da anni quando si parla dei Grandi Giri, ma può anche essere un modo per non essere invisibili agli occhi del mondo. Lo si era fatto con il terremoto dell’Aquila, anche se poi questa iniziativa non aveva scosso le istituzioni nell’accelerare i tempi di ricostruzione. Tuttavia la Regione di Valencia ha un legame profondo con il ciclismo.
«Le immagini – prosegue Garzelli – mostrano che la gente non si è arresa, si è rialzata e ha lavorato ancora più duramente per ripartire. Far vedere certe immagini in televisione serve anche per far capire l’entità dei danni subiti e le perdite materiali. Ma una cosa del genere se non la si vede dal vivo si fa fatica a comprenderla. La vita qui continua, però si capisce che la gente ha vissuto qualcosa che si porterà dentro per sempre. Durante tutte le tappe si sono visti tanti bambini sulle strade, le scuole hanno voluto salutare il passaggio della corsa. E’ stato un modo per dare loro qualcosa di bello dopo mesi difficili.
«Dall’altro lato – dice ancora Garzelli – a Valencia il ciclismo lo si vive intensamente, soprattutto in questo periodo. Tra dicembre e gennaio sono venuti ad allenarsi su queste strade tutti i team WorldTour. Sia loro che gli staff hanno avuto modo di vedere e capire cos’è successo».
Sulle strade si sono riversati tanti bambini e ragazzi, per respirare finalmente un po’ di festa e spensieratezzaIl fango nei Comuni attraversati dal gruppo è ancora presente, come un tatuaggioSulle strade si sono riversati tanti bambini e ragazzi, per respirare finalmente un po’ di festa e spensieratezzaIl fango nei Comuni attraversati dal gruppo è ancora presente, come un tatuaggio
Le cicatrici
I danni si vedono ancora, basta guardare attraverso lo schermo e si vedono i segni della distruzione. Le strade sono risultate libere e pronte ad accogliere la sfida tra gli atleti, ma bastava spostare gli occhi sulle città per capire come il fango segnasse ancora muri e case.
«L’altro giorno – conclude Garzelli – le telecamere hanno inquadrato una pila di duecento o trecento auto distrutte. Quelle sono tutte persone che hanno perso qualcosa, anche solo un mezzo per andare al lavoro. I segni sono ancora evidenti, il fango segna fin dove l’acqua è arrivata spazzando via tutto. Tanti negozi hanno ancora la serranda giù, oppure funzionano ma vedi le conseguenze di quanto successo. Il concessionario che fornisce le auto all’organizzazione ha perso trecento auto nuove in una notte, pensate al danno economico. Tanti ponti sono ancora impraticabili, con l’esercito che ha costruito vie alternative. La Volta a la Comunitat Valenciana è ripartita e ha fatto in modo che questa parte di Spagna non fosse invisibile, sta a noi non chiudere gli occhi».
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