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Verso il 2024: date un Morkov al soldato Jonathan

18.05.2023
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Avevamo parlato con Martinello a proposito di Milan dopo la vittoria di San Salvo, prima che di volate ce ne fossero altre e avessimo la possibilità di osservare più da vicino come si muove Johnny nelle mischie del Giro. Dal suo stile, i rapporti, le distanze e le traiettorie, è evidente che il friulano stia scoprendo se stesso. Così siamo tornati da Silvio per riprendere il discorso. Nel commento alla tappa di ieri, nel Giro che sta seguendo ancora per Radio Uno, è venuto fuori che Jonathan deve tanto alla pista, ma non ha fatto le varie specialità di situazione, quindi è inesperto nel prendere posizione e trovare la linea.

«L’inesperienza a questi livelli certamente c’è – spiega Martinello – ma ha tutto il tempo per farsela. E’ vero anche che il suo bagaglio, per quanto riguarda la pista, non includa specialità di situazione, che diventano fondamentali quando non hai un compagno che ti supporti. Ieri da quella curva ai 450 metri è uscito dodicesimo e in frenata, perché si vede dell’elicottero che qualcuno gli è passato all’interno, lui si è impaurito e lo ha lasciato passare. Può capitare anche al più esperto di ritrovarsi chiuso, ma sono convinto che se Milan avesse a disposizione un treno, ne perderebbe poche. Tra quelli che vediamo qui al Giro, non ce ne sono in grado di rimontarlo…».

Il problema forse è proprio il treno?

Ora è difficile trovare formazioni che investano sul velocista, come tanti anni fa ha fatto la Saeco con Cipollini e la Fassa Bortolo con Petacchi. Nei Giri si corre con meno uomini e poi i percorsi sono sempre più duri, quindi diventa complicato portare il velocista se hai uno di classifica.

E’ possibile che gli errori nel calcolare le distanze o scegliere il rapporto dipendano dal fatto che a sua volta si sta scoprendo?

Sta prendendo le misure, certo. Sta cercando di capirsi e di conoscersi. E’ molto giovane, in certe situazioni sembra ingenuo. Nella volata di Napoli aveva il 54×13, ma ragazzi… Sei al Giro d’Italia, non è una corsetta. Ed era là che ballava su quel rapportino, invece di spingere. Quella tappa poteva vincerla tranquillamente. Per cui, nel momento in cui avrà inquadrato se stesso, un po’ alla volta limerà questi limiti e diventerà più performante.

Milan fa tutte le volate in piedi, ci sta che arrivi stanco agli ultimi 50 metri?

No, a maggior ragione quando hai certi rapporti. Spingere il 55 non è una passeggiata, quindi devi alzarti sui pedali. Può anche capitare di scomporsi, perché in certi momenti spingi con parti muscolari che normalmente non utilizzeresti. Quello che conta è il risultato, non i fattori con cui ci arrivi. E quando si conoscerà meglio, sarà anche in grado di ricercare la posizione più redditizia.

A Napoli, Jonathan ha sprintato con il 54×13, girando le gambe a una cadenza pazzesca e poco produttiva
A Napoli, Jonathan ha sprintato con il 54×13, girando le gambe a una cadenza pazzesca e poco produttiva
Roberto Bressan, che l’ha lanciato al CT Friuli, dice che certe cose avrebbe potuto impararle restando fra gli U23 anche nel 2021…

A Roberto la cosa non è andata mai giù, ma comunque mi sembra abbastanza obiettivo e anche io credo che un anno in più certamente gli sarebbe servito. Però ormai è qua in mezzo a velocisti fortissimi, quella è una pagina chiusa e l’esperienza se la farà tra i professionisti.

L’anno prossimo cambierà squadra.

E io mi auguro, visto che è diventato un pezzo pregiato del mercato, che si facciano per lui le scelte più giuste. Alla sua età guardare il soldo è importante, perché è un professionista, ma sarà importante anche valutare l’ambiente e che abbia a disposizione tutto quello di cui ha bisogno per crescere e vincere.

Quindi inizieresti sin d’ora a cercare il suo ultimo uomo?

L’ultimo uomo e anche il penultimo. Se deve lottare per la posizione, a parte l’episodio di ieri che può capitare a chiunque, spreca energie nervose e fisiche. Insomma, se io gestissi un corridore come Milan e puntassi a fargli avere un discreto ingaggio, lavorerei anche per garantirgli almeno due uomini di una certa levatura. Chiaramente anche quello è un investimento, però magari rinuncio a qualcosa di tasca mia affinché siano contenti loro.

Morkov è l’ultimo uomo di Jakobsen (nella foto) e Merlier: il suo contratto è in scadenza
Morkov è l’ultimo uomo di Jakobsen (nella foto) e Merlier: il suo contratto è in scadenza
Un nome?

Ne butto là uno: Morkov. Se Milan avesse uno come Morkov di volate ne perderebbe poche. Questi sono i ragionamenti che lui magari ancora non può fare e toccano a chi lo gestisce, a Quinziato che mi sembra tutt’altro che sprovveduto. La carriera dura il giusto, gli anni buoni vanno sfruttati a dovere.

Cosa ti pare del Giro finora?

Purtroppo sta pagando le varie infezioni. E’ chiaro che senza Evenepoel e Geoghegan Hart che era in forma strepitosa e molto motivato, perde molto. Vediamo se quelli che sono rimasti possono arrivare integri sino alla fine. Se così sarà, avremo una corsa interessante, perché sia Thomas che Roglic, Almeida e anche il nostro Caruso hanno la possibilità di rendere la corsa interessante e spettacolare

Per Milan una volata da pistard? Risponde Martinello

08.05.2023
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Silvio Martinello di volate sull’asfalto e sul parquet ne ha fatte un’infinità e pochissimi come lui possono dare un giudizio sull’imperioso sprint di Jonathan Milan sul rettilineo di San Salvo.

Il gigante della Bahrain-Victorious ha scavato un solco proprio negli ultimi metri e ha disputato uno sprint con una cadenza pazzesca, ben oltre le 120 rpm. Una volata così ci è parsa molto da pistard. Pensieri che abbiamo condiviso con Martinello appunto.

Sappiamo che il friulano aveva un 55-40 anteriore e un 11-30 al posteriore. Jonathan non ha fatto la volata con l’11 al posteriore, almeno fino al momento in cui gli si è aperto il varco e ha iniziato a spingere a tutta. Ma ci dicono che a fine gara avesse l’11 in canna, pertanto è lecito pensare che lo abbia inserito negli 50 metri (probabilmente, quando abbassa la testa per l’ultima volta).

La cosa bella è che pur con un dente in più mantiene quella cadenza. Ma al netto di queste congetture ponderate, partiamo da quel che c’è di concreto.

Il solco che ha scavato Milan negli ultimi metri è pari ad una bici
Il solco che ha scavato Milan negli ultimi metri è pari ad una bici
Silvio, rivedendo la volata dall’alto Milan fa una differenza pazzesca negli ultimi 30-40 metri. In quel frangente dà una bicicletta di vantaggio a tutti…

Vero, quella differenza che Jonathan è riuscito a fare negli ultimi metri è perché ha mantenuto la frequenza di pedalata molto elevata. La stessa che era riuscito ad esprimere fin dal momento in cui ha deciso di partire. Gli altri invece non ci sono riusciti.

Una volata di personalità…

Si è scoperto un velocista importante. Per carità, Milan le sue volate le aveva già vinte, ma in contesti completamente diversi. Quello del Giro d’Italia è un palcoscenico di maggiore rilevanza, con sprinter di grande spessore. Credo che questo successo lo proietti in una nuova dimensione. Ora chiaramente dovrà riconfermarsi perché il ciclismo è così.

Spiegaci meglio…

Il giorno dopo si riparte e si rimette in gioco tutto. Siamo di fronte ad un atleta che se conferma queste belle cose potrà offrire qualcosa di molto, molto interessante. E cosa non secondaria, ieri per me ha acquisito grande consapevolezza.

Torniamo al discorso della cadenza, l’elemento che più ci ha colpito del suo sprint… Sembrava quasi che spingesse un dente in meno degli avversari…

Non ho informazioni sul rapporto che ha utilizzato. Ma teniamo in considerazione che quello di ieri era un rettilineo senza difficoltà quindi da potenza, da forza pura. Senza contare che lo sprint è stato disputato leggermente controvento. La Alpecin-Deceuninck ha fatto un ottimo lavoro e Jonathan è stato abilissimo a sfruttarlo in qualche modo.

Cioè?

Per me, lui la la volata l’ha vinta in due frangenti. Il primo: all’ultima curva, grazie anche al lavoro di Pasqualon, quando è riuscito a portarsi sulla ruota di Kaden Groves, il quale aveva due compagni di squadra che lo hanno lanciato. Il secondo: è stato bravo/fortunato, nel momento in cui è partito lo sprint. Si è dato qualche spallata con Bonifazio che ha perso il duello fisico. Questo poteva indurlo ad andare sulla destra (alle transenne, ndr) e restare chiuso.

Milan invece si è buttato al centro…

Esatto, ma soprattutto in quel modo si è aperta la strada davanti a lui. In quell’istante ha scaricato tutta la sua potenza e ha fatto la differenza (ed è vero, dall’inquadratura aerea si vede un netto cambio di ritmo, ndr). Ieri era indubbiamente il più forte. Ripeto: mi auguro che questo successo gli dia quella consapevolezza nei propri mezzi che serve molto… soprattutto al velocista. E lo stesso alla sua squadra. Merita fiducia anche per i prossimi traguardi.

Martinello (a sinistra) impegnato con Villa nella madison. Silvio si augura che Milan possa portare avanti questa disciplina della pista
Martinello (a sinistra) impegnato con Villa nella madison. Silvio si augura che Milan possa portare avanti questa disciplina della pista
Parliamo invece dello stile di Milan. Facendo un’analisi quasi estetica, non è ancora compostissimo. Per esempio al suo fianco c’era Groves che era schiacciato sul manubrio. Jonathan invece era più alto e muoveva moltissimo le spalle. Forse c’è ancora qualcosina da migliorare?

L’atteggiamento estetico è relativo. Che Milan si muova parecchio è vero, ma comunque ha un ottimo stile. Nello sprint viene abbastanza naturale scomporsi, soprattutto quando – come lui ieri – ti stai rendendo conto che stai vincendo e subentra anche un po’ il timore di essere rimontato. Pertanto vai a cercare tutte le energie che hai a disposizione, utilizzando anche la parte superiore del corpo. Quando prima parlavo di consapevolezza nei suoi mezzi, mi riferivo anche a questo aspetto: le volate gli diventeranno più naturali e resterà più composto. Ma alla fine quello che conta nel ciclismo è passare per primo sulla linea d’arrivo!

Milan nei mesi scorsi in pista in via non ufficiale ha fatto anche delle madison, che richiedono un altro colpo di pedale rispetto ai più “statici” inseguimenti siano essi a squadre o individuali: secondo te gli hanno dato questa brillantezza ulteriore?

Sicuramente sì e mi auguro che continui su questa strada. Le madison lo aiuteranno a migliorare aspetti che negli sprint di gruppo sono determinanti: come la velocità, il momento in cui partire, il colpo di pedale… 

Ti ricorda qualche velocista del passato? Anche per il suo stile?

Mi ricorda un po’ Marcel Kittel. C’è anche una certa somiglianza nella struttura fisica. Ma è anche vero che ha vinto con una tale differenza che col tempo potrei paragonarlo anche a Petacchi e poi ancora a Cipollini. Loro due vincevano con questi margini. Nel ciclismo è bello e curioso fare accostamenti, però sono accostamenti che possono anche diventare ingombranti, quindi aspettiamo un po’.

Martinello, il tempo massimo, i velocisti e i rapporti

10.02.2023
5 min
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Qualche giorno fa ragionando con Silvio Martinello si parlava di rapporti e di velocisti. La scelta degli ingranaggi o le nuove soluzioni che i corridori hanno a disposizione non riguardano però solo le volate. Il campione olimpico della corsa a punti a Atlanta 1996 ha spostato l’attenzione anche sui rapporti e il tempo massimo.

Stavolta il discorso velocisti-rapporti è letto a parti inverse: salite e rapporti corti, anziché volate, tappe pianeggianti e mega padelloni come il 58.

Silvio Martinello (classe 1963) è stato un grande pistard. Due medaglie olimpiche nella corsa a punti: oro ad Atlanta, bronzo a Sidney (in foto)
Silvio Martinello (classe 1963) ha vinto due medaglie olimpiche nella corsa a punti: oro ad Atlanta, bronzo a Sidney (in foto)

Volata da ultimo

Per portarvi in questo discorso vi proponiamo un esempio concreto: Fabio Jakobsen al Tour 2022.  L’atleta della Soudal-Quick Step verso Peyragudes era al limite del tempo massimo. Talmente al limite – viaggiava sul filo dei secondi – che i direttori sportivi per non rischiare di lasciare fuori gli altri corridori che lo scortavano, li avevano mandati avanti. Almeno loro sarebbero ripartiti il giorno dopo.

Gli stessi compagni aspettavano il loro velocista appena un metro dopo la linea d’arrivo (nella foto di apertura). Lo tifavano come se si stesse giocando la vittoria… quando in realtà era ultimo. Fabio ce la fece per una manciata di secondi. Poi cadde stremato.

Probabilmente qualche anno fa Jakobsen non ce l’avrebbe fatta. Non sarebbe rientrato nel tempo massimo. E non ce l’avrebbe fatta perché non avrebbe avuto a disposizione i rapporti più corti con cui “salvarsi”. Rapporti che in qualche modo oggi gli consentono di sviluppare parte della sua forza, contro il peso dei suoi muscoli, che invece in salita gli remano contro. Con un 39×25 Jakobsen si sarebbe “incatramato” su stesso.

Vedere cassette posteriori 11-34 non è così raro
Vedere cassette posteriori 11-34 non è così raro

Rapporti corti

«Oggi – dice Martinello – le nuove scale posteriori aiutano moltissimo gli atleti più pesanti e i velocisti in particolare. E lo si vede quando ci sono le grandi salite. In quei casi anche gli scalatori usano dentature molto agili. Ai miei tempi il 95 per cento delle corse le facevi con il 39×23 come rapporto più leggero. Potevi montare il 25 giusto quando c’erano il Gavia, il Mortirolo, il San Pellegrino in Alpe… La differenza era che lo scalatore quel rapporto in qualche modo lo girava, noi velocisti molto meno».

Con i rapporti attuali sono cambiate anche le preparazioni. Oggi tutti i velocisti lavorano in salita. E tutti vanno, chiaramente, alla ricerca della cadenza. Le 60 rpm dei velocisti negli ’90 sono un ricordo. Oggi come minimo si ragione su 15 rpm in più. Poi magari non si riesce a rispettarle, ma la base di riferimento è ben più alta.

«Oggi i velocisti lavorano in salita – va avanti Martinello – sia perché i percorsi sono diversi (mediamente più duri, ndr), sia perché c’è quasi sempre una salitella prima della volata. Soprattutto da quando ci sono le 12 velocità, i corridori hanno scale più ampie che gli consentono di avere rapporti più agili.

«Rapporti come il 34 all’anteriore (e pignoni come il 32-30-28 al posteriore, ndr) ti permettono di tutelare le fibre muscolari, quelle che servono fresche per lo sprint. Se le stesse fibre sono 5-6 ore in tensione, quasi come una Sfr, e per tanti giorni consecutivi (Jakobsen fu ultimo anche il giorno dopo, ndr) alla fine quella forza esplosiva per lo sprint viene meno».

L’arrivo di Peyragudes: Jakobsen arrivò ultimo a 36’48” da Pogacar. Si salvò dal tempo massimo (il 18% della tappa) per soli 15″
Peyragudes: Jakobsen arrivò ultimo a 36’48” da Pogacar. Si salvò dal tempo massimo (il 18% della tappa) per soli 15″

Tempo massimo

Ma oggi un velocista se la cava meglio in salita non solo per i rapporti più corti. Il tempo massimo è aumentato e può arrivare anche al 18% della durata della tappa. Una volta si creava la famosa “rete”, il gruppetto, perché se si finiva in tanti fuori tempo massimo l’organizzatore era “costretto” a reinserire tutti gli atleti. Era una sorta di mossa sindacale!

«Rispetto ai miei anni – va avanti Martinello – il tempo massimo oggi si è dilatato. E giustamente mi sento di aggiungere… L’obiettivo di un organizzatore qual è? Dare spettacolo e per farlo deve portare più corridori possibili al traguardo. Come per esempio gli sprinter all’ultima tappa di un grande Giro. E questo incide parecchio. Noi avevamo tempi massimi più ristretti e facevamo una grande fatica per starci dentro. Una volta avevi 30′-35′, oggi arrivano anche ad un’ora.

«Spesso si sentono critiche verso i velocisti nelle tappe di montagna perché vanno troppo piano. Ma loro fanno bene a sfruttarlo il più possibile. Questo significa che il giorno dopo hanno più energie per disputare un buono sprint».

Nella tappa di Verona al Giro 2021, lunghe chiacchierate in gruppo e ritmi blandi per quasi 190 chilometri sui 199 della tappa
Nella tappa di Verona al Giro 2021, lunghe chiacchierate in gruppo e ritmi blandi per quasi 190 chilometri sui 199 della tappa

La “rivolta” di Verona

E questo è verissimo. Proponiamo ancora due esempi concreti. Uno riguarda ancora Jakobsen che quel giorno a Peyragudes spese talmente tanto che poi non ebbe le gambe per fare lo sprint sui Campi Elisi, nonostante la “crono di recupero” nel mezzo.

L’altro esempio è una “semi querelle” rimasta nascosta risalente alla tappa di Bagno di Romagna al Giro d’Italia 2021.

Quel giorno il dislivello dichiarato era di circa 3.600 metri e la tappa era classificata di media montagna. All’arrivo un po’ tutti i corridori lamentarono invece un dislivello superiore ai 4.400 metri. La tappa, dunque, sarebbe dovuta essere classificata di alta montagna e di conseguenza sarebbe dovuto cambiare il tempo massimo (più ampio). I velocisti si lamentarono con l’organizzazione.

Furono infastiditi anche perché il giorno dopo c’era uno sprint annunciato: tappa totalmente piatta verso Verona. Una tappa che fu parecchio noiosa. Nessuno si mosse e il gruppo di fatto passeggiò fino ai -10 dall’arrivo, quando poi iniziarono le manovre per lo sprint. Sembra che questo immobilismo fosse una sorta di protesta mascherata.

«Ci sta – commenta Martinello – un velocista ci tiene molto. In certe tappe spende tantissimo e se giustamente aveva la possibilità di risparmiare qualche energia perché non sfruttarla? Una volata richiede molta forza e farla con le gambe stanche non è facile. Tanto più che le occasioni per fare gli sprint sono sempre meno».

Sprint: parliamo ancora di cadenze e rapporti

03.02.2023
4 min
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Rapporti, cadenze, volate… dalla  Vuelta a San Juan ne è uscito un bel calderone. C’è chi arrivava troppo agile, chi non riusciva a girare il suo rapporto. Alla fine il discorso è meno scontato di quel che si possa immaginare e per questo Silvio Martinello ci aiuta a capire meglio.

Non è un caso che abbiamo scelto l’ex corridore veneto. Silvio è stato sia un grande della strada che un gigante della pista e poiché il tema emerso a San Juan riguardava sia gli stradisti che i pistard quale interlocutore meglio di lui?

Martinello Villa 1999
Marco Villa e Silvio Martinello durante una Sei Giorni utilizzavano il 52×16. Oggi sarebbe impensabile
Martinello Villa 1999
Marco Villa e Silvio Martinello durante una Sei Giorni utilizzavano il 52×16. Oggi sarebbe impensabile
Silvio, partiamo dall’articolo che riguardava appunto volate e rapporti. Si parlava addirittura di 58 denti all’anteriore…

Oggi si tende a spingere rapporti sempre più lunghi che ti consentono di fare maggiore velocità, ma al tempo stesso tutto ciò implica la capacità di poterlo spingere, vale a dire la forza necessaria. Il 53×11 o 54×11, rapporti che utilizzavo anche io, erano già piuttosto duri, tanto che molto spesso avevi la sensazione di non spingerli in modo efficace. Oggi invece si va verso un ciclismo che si confronta sempre di più con la forza, anche quella a secco.

La palestra è aumentata molto…

Si fa anche durante la stagione, quando invece ai miei tempi si faceva solo d’inverno quando iniziavi a fare la base. Questo ha portato all’evoluzione a cui stiamo assistendo. Una normale evoluzione direi. Certo, leggere di certi rapporti fa un po’ effetto. Io ho smesso 20 anni fa, ma a vedere certe cose sembra sia passato un secolo. Marco Villa ed io con il 51×15 vincevamo il mondiale nell’americana. Con il 52×16 primeggiavamo nelle sei giorni. E questo è il rapporto degli allievi. E’ tutto relazionato alle velocità maggiori che ci sono.

Sempre più forza. I richiami si fanno anche a ridosso delle gare. Qui, Attilio Viviani poche ore prima di partire per San Juan
Sempre più forza. I richiami si fanno anche a ridosso delle gare. Qui, Attilio Viviani poche ore prima di partire per San Juan
Chiaro: ho più forza, spingo un rapporto più lungo, vado più forte… Eppure non è tutto così scontato o lineare, perché proprio a San Juan abbiamo visto come in tanti abbiano avuto problemi di cadenza. C’è anche chi andava sopra le 130 rpm. Esiste dunque una cadenza ottimale?

Una cadenza ottimale non esiste. Almeno ragionando sulla base delle mie esperienze dico di no. Ci sono sensibilità che variano di continuo: come stai quel giorno, come arrivi allo sprint… Io ho sempre dato precedenza alla cadenza piuttosto che alla forza.

Da buon pistard…

Non ero super potente. Se prendevi i miei rivali: Cipollini, Abdujaparov, Zabel… avevano più forza pura rispetto a me. Io ero bravo a destreggiarmi in gruppo, a farmi trovare nel momento giusto nella posizione giusta… Ma se avessimo fatto uno sprint su quattro corsie distinte sarei arrivato quarto. Ma il ciclismo è diverso e non si corre ognuno sulla propria corsia. Quindi analizzando questa evoluzione è chiaro che si è lavorato più sulla forza e non sulla cadenza.

Eppure le differenze di rapporti viste in Argentina sono state piuttosto ampie. C’è chi aveva il classico 53×11, vedi proprio i pistard italiani, e chi il 58×11…

Ai miei tempi mettevi l’11 e l’istante dopo maledicevi quel momento… perché appunto era molto duro. In questa analisi va considerato il rapporto anteriore che ti permette di “giocare” dietro, perché sinceramente faccio fatica a pensare che abbiano fatto lo sprint con il 58×11. Lo devi spingere poi…

Nelle volate, come nelle crono, si vedono più rapporti monster, ma non significa che vengono utilizzati sempre. Anzi…
Nelle volate, come nelle crono, si vedono più rapporti monster, ma non significa che vengono utilizzati sempre. Anzi…
Quello che pensavamo anche noi. Magari hanno fatto lo sprint con il 58×12…

Con il 58×12 ma forse più con il 58×13. Alla fine è lo stesso concetto di quel che abbiamo visto nei “padelloni” delle crono. Utilizzano il 58 o il 60 per spingere poi il 14 o il 15 e avere la catena che lavora più dritta, quindi ha meno attriti e meno inerzia. Vai a limare qualcosa in questo modo.

Tornando alla cadenza, Silvio, si sono viste differenze marcate. Tu hai detto che quella perfetta non esiste, ma un range ottimale ci sarà…

Quando correvano mi avevano inculcato nella testa che le cadenze erano: 60 rpm per la salita e 100 per la pianura. Ma questi ritmi non sempre eri in grado di rispettarli. Specie se c’era una salitella nel finale. Provavi a tenere, ma per andare con quelle cadenze ti ritrovavi ad essere troppo duro e finivi presto in acido lattico. In volata, come detto, ci sono molto variabili…

Okay ma poniamo un sprint “lineare” in pianura…

Diciamo che con il “vecchio” 53×11 se andavi a 110-115 rpm lottavi per qualcosa di molto importante. Ma dovevi arrivare fresco allo sprint.

Un’altra specialità per Milan? Martinello dice scratch

26.10.2022
4 min
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Ancora Jonathan Milan nei nostri discorsi. Un talento così non si può tenere fermo neanche “su carta”, in questo caso sugli schermi dei nostri device. L’ultima volta avevamo chiesto a Milan quale altra specialità del parquet gli sarebbe piaciuto fare. 

Il friulano della Bahrain Victorious però era stato molto realista. Oltre al fatto che aveva ribadito che l’inseguimento, individuale e a squadre, non si toccavano, aveva sottolineato come per ogni altra disciplina servisse una certa dose di esperienza. 

Silvio Martinello, Giro d'Italia
Martinello (classe 1963) è stato un pro’ per 15 stagioni, ma al tempo stesso un grande pistard (5 titoli iridati e un oro olimpico)
Silvio Martinello, Giro d'Italia
Martinello (classe 1963) è stato un pro’ per 15 stagioni, ma al tempo stesso un grande pistard (5 titoli iridati e un oro olimpico)

Parola a Martinello 

Abbiamo chiamato in causa Silvio Martinello, grande ex della pista e con un occhio sempre tecnico e preparato. E siamo partiti dalla questione “altra specialità in ottica Parigi 2024”, tanto più che Marco Villa in virtù dei nuovi regolamenti a Parigi potrà schierare cinque atleti e non più sei.

«Se parliamo di slot in chiave olimpica – dice Martinello – oltre all’inseguimento a squadre che non si tocca, parliamo di omnium e madison. Scartato l’omnium, troppo dispendioso, resta la madison

«E dico subito che per me Jonathan ha la qualità per correre “l’americana” appunto. Ha lo spunto veloce che serve per quella prova. E’ chiaro però che l’aspetto legato all’esperienza in una specialità simile è fondamentale».

«E’ fondamentale non solo per il gesto tecnico del cambio, ma anche per la capacità di trovarsi al posto giusto nel momento giusto e lanciare il compagno al meglio. E per fare questo serve tanta esperienza».

Scartezzini e Consonni nel momento del cambio. I due azzurri sono forse i nostri più esperti interpreti della madison
Scartezzini e Consonni nel momento del cambio. I due azzurri sono forse i nostri più esperti interpreti della madison

Madison da sogno…

Esperienza dunque è la parole chiave. Lo ha detto Milan, lo ribadisce Martinello.

«Per forza – va avanti Silvio – il gesto del cambio lo puoi allenare. Ti metti dietro derny e ogni volta che lungo la pista ritrovi il compagno gli dai il cambio. A forza di ripetere affini il gesto. Ma un conto è farlo quando si è da soli e un conto è farlo in gara con altri 15 team.

«Quindi serve esperienza e questa si acquisisce solo correndo. Facendo le Sei Giorni. E vedo che non ne fanno, anche Villa lo sa visti i tanti impegni, e per questo per Parigi credo sia un po’ tardi».

Martinello aggiunge che in questa specialità l’Italia può fare un vero salto di qualità visti gli interpreti che ha. E fa i nomi di Viviani, Consonni, Ganna

«Io però non conosco né i piani di Villa, né del ragazzo. Perché non dimentichiamo che Milan può essere molto forte anche su strada. Ma proviamo a pensare una madison Ganna-Milan…».

Martinello tira fuori dal cilindro il vero coniglio: una coppia così sarebbe mostruosa in quanto a potenza. Magari non sarebbero super agili rispetto ad un duo con un baricentro più basso e leve più corte, quindi potrebbero essere un filo più lenti nei cambi, ma una volta lanciati… Per non parlare della caccia al giro. Valli a prendere due così!

A tutto scratch

La scelta della madison è stata fatta in relazione alle Olimpiadi, il cui il programma della pista è fortemente limitato. Ma se invece Martinello con Milan avesse carta bianca, in quale altra specialità lo vedrebbe bene?  Anche in questo caso l’ex pro’ veneto non ha dubbi: lo scratch.

«Uno come Milan – dice Martinello – può fare bene in tutte le specialità, ma se dovessi scegliere, e lo farei anche in base alle specialità che più piacciono a me, direi lo scratch.

«Jonathan ha le caratteristiche tecniche e fisiche che servono per questa specialità: è veloce, ha tanta potenza ed è resistente. Certo, non conosco il suo colpo d’occhio, perché noi lo abbiamo visto all’opera sempre in specialità di prestazione e non di situazione, ma con quel motore che si ritrova sarebbe funzionale allo scratch».

Peyragudes, fuori una. Sul Tour pesa il verdetto del Granon

20.07.2022
6 min
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«Forse anche chi lo gestisce pensava di vincere facile – riflette Martinello – e invece hanno commesso sul Galibier l’errore che sta costando a Pogacar il Tour. Ci sono ancora domani e poi la crono, per carità, ma quando l’ho visto fare il segno di dare gas prima del Granon, ho pensato che fosse troppo spavaldo e l’avrebbe pagata. Senza tutti gli errori di quel giorno, il Tour si risolverebbe per secondi. E probabilmente Pogacar avrebbe ancora la maglia. Ma nulla toglie che Vingegaard sia davvero una roccia».

Un Tour che secondo Martinello è stato fortemente condizionato dal giorno del Granon
Un Tour che secondo Martinello è stato fortemente condizionato dal giorno del Granon

Pirenei, tappa a Pogacar

Come quando vai a vedere il film del secolo, poi esci e hai quasi paura di dire che non t’è piaciuto. La prima tappa pirenaica del Tour si è risolta in una bolla di sapone, ricalcando l’equilibrio che era costato al Giro bordate di critiche e qui si risolve invece in una grandeur oggi (forse) immotivata. Pogacar ha vinto la tappa (risultato che tanti sognano e pochi raggiungono), ma Vingegaard ha fatto un altro passo verso Parigi.

Chi viene da lontano, si aspettava i dieci scatti e il brillantino fatto saltare e sarà rimasto certamente deluso. C’è chi dice che al posto del brillantino ormai si guardi il misuratore di potenza e quando quello dice che sei al massimo, ti fermi. E poi per fortuna c’è chi fa un’analisi meno di pancia e conclude che semplicemente le forze in campo sono queste e sarebbe stato illogico aspettarsi di più.

Abbiamo scelto Martinello come avvocato del Tour, cercando di capire cosa sia successo finora e cosa potremo eventualmente aspettarci nei quattro giorni che restano.

McNulty fenomenale: ha portato i primi due fino ai 300 metri. Forse dietro non c’erano grandi gambe
McNulty fenomenale: ha portato i primi due fino ai 300 metri. Forse dietro non c’erano grandi gambe
Se un gregario come McNulty porta i primi due del Tour ai 300 metri di una tappa di montagna, forse dietro non c’erano tante gambe…

Stanno interpretando un Tour di alto livello, ma si vede che sono tutti morti. Oggi La UAE Emirates ha provato con le ultime forze a disposizione e Pogacar ha giocato d’astuzia. Ha finto di non averne più e poi ha vinto la tappa perché è più veloce.

Nell’unico giorno in cui Vingegaard è rimasto davvero solo.

Oggi la Jumbo non era quella dei giorni scorsi, Kuss non ha avuto una grande giornata. Semmai ci si poteva aspettare un atteggiamento diverso da parte della Ineos, ma è chiaro che siano tutti lì a difendere le posizioni. Il caldo li sta ammazzando. E McNulty è stato superlativo, però chi può dire se domani anche lui non pagherà?

La vittoria di Pogacar è stata figlia del suo grande cambio di ritmo: in volata fra i due non c’è partita
La vittoria di Pogacar è stata figlia del suo grande cambio di ritmo: in volata fra i due non c’è partita
Vingegaard isolato non ha tremato, si poteva pensare che accadesse?

Hanno raggiunto l’obiettivo di privarlo dei compagni, ma non ha mostrato cedimenti. Il vantaggio inizia a essere rassicurante. E se domani non cambia nulla, l’ultima crono sarà un fatto di energie rimaste e lui ha forza e sa difendersi contro il tempo. Non credo che arrivi a perdere più di 2 minuti da Pogacar.

Tanti hanno criticato la Jumbo Visma.

Non sono d’accordo neanche un po’. Possono aver commesso qualche sbavatura, ma nei giorni decisivi, da quello del Galibier alla tappa di ieri, la maglia gialla si è sempre ritrovata sul percorso i compagni mandati in fuga. Davanti hanno un Pogacar che non fa la differenza, perché finora Vingegaard non ha perso un millimetro. Sta diventando determinante davvero il giorno del Granon.

Dopo la tappa mirabolante di ieri (al pari di McNulty oggi), Kuss ha pagato pesantemente dazio
Dopo la tappa mirabolante di ieri (al pari di McNulty oggi), Kuss ha pagato pesantemente dazio
Spiega, per favore…

Hanno corso con troppa spavalderia, giocando come il gatto col topo. Si sono gestiti con superficialità. Perché inseguire Roglic sul Galibier, quando dopo il pavé ha già 2’36” di ritardo? Lascialo andare. E se Pogacar voleva inseguirlo perché ha 23 anni ed è esuberante, doveva intervenire l’ammiraglia.

Che cosa dovevano fare?

Fallo andare, hai attorno ancora tutta la squadra, lo riprendi quando vuoi. Anzi, vedrai che torna indietro da solo ben prima del Granon. Invece ha fatto lo spavaldo ed è andato in crisi perché ha gestito male l’alimentazione in una tappa durissima, in cui sono passati più volte sopra i 2.000 metri. Se avessero corso con un minimo di intelligenza tattica, avevano ancora il Tour in mano. E comunque anche in quell’occasione, Tadej si è rivelato un fenomeno.

Nonostante fosse decimata, oggi la UAE Emirates è stata maiuscola. Qui con Bjerg
Nonostante fosse decimata, oggi la UAE Emirates è stata maiuscola. Qui con Bjerg
In cosa?

Il giorno dopo, all’Alpe d’Huez, non lo avrà staccato, però era già in palla. Non ho mai creduto che avesse altro, quella è stata una crisi di fame. Ed essere così forti il giorno dopo è cosa da numeri uno.

Anche Vingegaard non usa la squadra quando scatta Pogacar.

L’ho notato e per me sbaglia anche lui. Ma forse pensa che l’attacco di Pogacar possa essere decisivo. Insomma, Pogacar è Pogacar… Però se invece di saltargli a ruota, lo inseguissero di squadra, correrebbero meno rischi.

Thomas ha difeso alla grande il suo terzo posto dal possibile ritorno di Quintana e Bardet
Thomas ha difeso alla grande il suo terzo posto dal possibile ritorno di Quintana e Bardet
Perché Pogacar ha corso così sul Galibier?

Forse perché si era abituato a vincere facilmente. Se alla Planche des Belles Filles ha davvero dichiarato che Vingegaard è lo scalatore più forte al mondo, forse il giorno del Granon avrebbe potuto essere più attento.

A cosa è servito invece lo scattino di oggi al Gpm di Val Louron?

Ci ha provato. Oppure lo ha fatto perché è un corridore che un po’ concede allo spettacolo. Oppure magari ha in mente anche la maglia a pois. E’ terzo in classifica a 18 punti da Geschke e magari domani potrebbe puntare a prenderla.

Entrambi sfiniti dopo l’arrivo: Pogacar ha vinto, ma la giornata è positiva anche per Vingegaard
Entrambi sfiniti dopo l’arrivo: Pogacar ha vinto, ma la giornata è positiva anche per Vingegaard
Ci si poteva aspettare un finale come fra Pantani e Tonkov a Montecampione?

Pantani fece una serie di scatti e Tonkov alla fine si staccò, ma Pantani era molto più scalatore di Tonkov. Qua invece la sensazione è che Vigegaard sia molto più scalatore di Pogacar. Mentre lo sloveno è più abile a limare e più veloce.

Ti aspettavi un Vingegaard così?

L’anno scorso ha vinto la Coppi e Bartali e tre mesi dopo ha fatto il podio al Tour. Quest’anno è cresciuto ancora, dall’inizio dell’anno è sempre davanti. Non è un predestinato, ha dovuto lavorare sodo ed è migliorato tanto fisicamente e mentalmente. Una situazione come questa, con la maglia gialla, potrebbe destabilizzarti e logorarti. Invece mi pare ben saldo sulle gambe. Insomma, domani se la giocano ancora. Ma Vingegaard sembra avere le carte in regola per tenere ancora duro.

Radio Rai ci apre le porte. Come lavora la squadra del Giro?

24.05.2022
6 min
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Anche nell’era dei social e della tv in 4K il fascino della radio resta unico. Senti le voci e puoi immaginare ciò che accade, come quando leggi un libro. E se i commentatori (tecnici e giornalisti) sanno il fatto loro, tutto assume un altro sapore.

Il ciclismo alla radio è un ping pong di collegamenti. Microfoni, moto, caschi, cabine, furgoncini mobili… è la “piccola” ma super tecnica squadra di Radio Rai 1 Sport. E’ grazie a loro che ascoltiamo in diretta il Giro d’Italia, mentre magari ci spostiamo di fretta per lavoro o per andare a prendere i figli a scuola. O proprio perché ci piace seguirlo così.

E allora come lavora questa squadra? A guidare le fila della truppa è Cristiano Piccinelli. Toscano, il ciclismo era una passione di famiglia.

«Da bambino – racconta Piccinelli – lo seguivo in tv e ogni volta che passava, poche a dire il vero, scendevo in strada per assistere al Giro».

Silvio Martinello e Cristiano Piccinelli (a destra) nella cabina di commento sulla linea d’arrivo. Alle loro spalle Roberto Speranza
Silvio Martinello e Cristiano Piccinelli (a destra) nella cabina di commento sulla linea d’arrivo. Alle loro spalle Roberto Speranza
Cristiano, innanzi tutto quanti siete al Giro?

In tutto siamo nove. Due giornalisti, Manuel Codignoni ed io, e due commentatori tecnici, Silvio Martinello e Massimo Ghirotto. Io e Silvio siamo nella postazione sulla linea d’arrivo, mentre Manuel e Massimo sono in moto. Ci sono poi cinque tecnici suddivisi in due gruppi. Uno, prettamente tecnico, composto da tre persone che curano la postazione per la diretta. Questo team va diretto all’arrivo. E un altro, composto da altri due tecnici, a più stretto contatto con noi, che segue il coordinamento e la parte social.

Come avviene la scelta dei giornalisti per il Giro?

La scelta è del caporedattore generale Filippo Corsini. E a dire il vero non è una scelta così vasta, visto che oltre a me a seguire il ciclismo c’è Giovanni Scaramuzzino, il quale però fa anche il primo campo di Tutto il Calcio Minuto per Minuto e spesso è in studio.

Tu come sei arrivato al ciclismo?

Da buon toscano seguivo più il ciclismo che il calcio. Ma lo seguivo in tv, non ho mai corso. In bici ci andavo per piacere. All’inizio in Rai Sport in redazione seguivo il calcio e lì è un compartimento più stagno, nel senso che se sei su quello fai solo calcio. Con il passaggio alla radio c’è stata sin da subito una certa richiesta di “multidisciplinarietà”, in più con Manuele Dotto che è andato in pensione si è aperto uno spiraglio nel ciclismo. Ho fatto delle prove per arrivare sin qui.

Massimo Ghirotto, è sulla moto 1, solitamente quindi segue la fuga. Altimetria e lista dei partenza sono sempre a portata di mano
Massimo Ghirotto, è sulla moto 1, solitamente quindi segue la fuga. Altimetria e lista dei partenza sono sempre a portata di mano
Prove, nel senso che hai fatto dei test in studio?

Più che altro ho fatto delle prove a casa. Prendevo dei filmati e commentavo. Ho inviato i file audio a chi di dovere e poi sono stato buttato nella mischia, allo sbaraglio se vogliamo. E sono anche stato fortunato: la prima corsa che ho commentato è stato il Giro delle Fiandre vinto da Bettiol!

Come vi muovete, Cristiano?

Allora, il gruppo dei tre tecnici va direttamente all’arrivo e non è quasi mai con noi: loro dormono anche nei pressi dell’arrivo. Uno di loro come detto conduce il mezzo con attrezzature e strumentazioni necessari per i servizi e la diretta e gli altri due si spostano con un altro mezzo e curano la postazione per la diretta. Poi ci siamo noi sei: Codignoni, Ghirotto, Martinello, io e gli altri due tecnici: Roberto Speranza e Mauro Lorenzo. Anche noi abbiamo due macchine e dormiamo però in prossimità della partenza.

Una logistica diversa dunque per l’intero gruppo…

Esatto. Soprattutto perché Manuel Codignoni e Massimo Ghirotto devono prendere le moto. E ci regoliamo affinché possano entrare in corsa nel momento in cui la cronotabella dice che i corridori passeranno in quel punto per le 14 circa. I due tecnici che sono con noi li lasciano in quel punto e poi vengono all’arrivo. Martinello ed io, che abbiamo un’altra macchina, andiamo all’arrivo di tappa. Il sabato e la domenica iniziamo già alle 13:30, mentre durante la settimana alle 15.

Manuel Codignoni, è sulla moto 2, solitamente sul gruppo, ma chiaramente tutte le posizioni sono relative all’andamento della corsa
Manuel Codignoni, è sulla moto 2, solitamente sul gruppo, ma chiaramente tutte le posizioni sono relative all’andamento della corsa
Tutto è ben cadenzato.

Colazione tutti insieme e poi ognuno nel suo mezzo. Durante la colazione dalla sede centrale di Radio Rai ci arrivano gli spazi per gli spot e la scaletta. Da lì come detto ci regoliamo per essere in zona traguardo in abbondante anticipo così quando arriviamo abbiamo il tempo per verificare che tutto funzioni perfettamente. Pranzo veloce, che a volte si salta, e via in diretta.

E qui come funziona?

All’inizio, ogni 30′ abbiamo dai 5′ ai 7′ di spazio, dipende dal palinsesto, mentre dalle 16:30 con Scaramuzzino che è in sede, c’è la diretta. Coinvolgiamo sempre degli ospiti, solitamente ex corridori, tecnici, atleti che magari non sono in corsa e chiaramente commentiamo la tappa. La diretta va avanti fino alle 18. Nel week end finiamo un po’ prima, in quanto ci sono altri eventi sportivi, inoltre nella diretta del fine settimana si “palleggia” anche con il calcio, la Formula 1, la MotoGp…

La diretta dunque va avanti anche dopo il termine della tappa…

Sì, soprattutto con Manuel Codignoni che sceso di moto va in mix zone e intervista i protagonisti. Di solito vincitore e maglia rosa non mancano mai.

A fine tappa giornalisti e tecnici si radunano nel furgoncino con le strumentazioni per realizzare i servizi per i radiogiornali
A fine tappa giornalisti e tecnici si radunano nel furgoncino con le strumentazioni per realizzare i servizi per i radiogiornali
E dopo?

Chiusa la diretta ci mettiamo sui servizi da mandare in onda la sera. Abbiamo uno spazio interno nei radiogiornali delle 19, di mezzanotte e in quello delle 8 del mattino successivo. Mentre per il fine settimana abbiamo un po’ di spazio in più: 6′-7′ in cui fare dei riassunti, degli approfondimenti…

Quanto durano questi servizi e quanto tempo vi impiegano?

Durano un minuto, un minuto e dieci secondi, sono i tempi della radio. Per realizzarli cerchiamo di essere molto veloci, non perché si vuol essere sbrigativi, ma perché poi ci sono sempre dei lunghi trasferimenti da affrontare. Comunque ci vuole circa un’ora e mezza per quel minuto e poco più di servizio. E anche noi, come voi giornalisti, scriviamo quel che poi diciamo a voce. Solitamente mi preparo il testo a mente, mentre dalla postazione di commento sull’arrivo mi sposto al camioncino tecnico. Ogni tanto, se ci sono delle emergenze e tempi super stretti invece si va a braccio. Ma devo dire che i nostri tecnici sono bravissimi e se impieghiamo poco il merito è anche loro. Oltre ai servizi se c’è qualcosa di particolare inviamo anche un’intervista più lunga che poi in redazione utilizzano come meglio credono.

E quindi vi rispostate verso la partenza successiva…

Esatto e la sera stiamo a cena tutti e sei. Siamo un bel gruppo, affiatato. E a tavola ci rilassiamo scherzando e ridendo.

L’arte del colpo di reni. A lezione da Silvio Martinello

14.04.2022
5 min
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La scorsa domenica Benoit Cosnefroy ha perso l’Amstel Gold Race al colpo di reni. Le immagini al rallentatore evidenziano in modo anche abbastanza netto come Michal Kwiatkowski sia stato più bravo in questo famoso gesto finale. Con un colpo ben assestato il polacco ha guadagnato quella manciata di centimetri che gli hanno consentito di alzare le braccia al cielo.

E il corridore della Ineos-Grenadiers è davvero bravo, pur non essendo un velocista puro, ma avendo corso per anni su pista. Basta ricordare la Sanremo del 2017 vinta in quel mitico arrivo a tre con Sagan e Alaphilippe (foto di apertura). Forse i brevilinei sono più abili nell’eseguirlo. Il vantaggio è che sono più rapidi, lo svantaggio è che hanno meno leva una volta lanciata la bici.

Di questo spettacolare gesto parliamo con Silvio Martinello, grande ex velocista e anche grande ex pistard. Silvio in quanto a tecnica sa il fatto suo. E anche lui ha esaminato bene il finale dell’Amstel.

Amstel 2022. A destra, Kwiato dà un colpo perfetto: sella sullo sterno e sguardo verso Cosnefroy, che a sua volta è molto più statico
Silvio, Cosnefroy ha sbagliato il colpo di reni: è così?

Può starci. Di certo non lo ha fatto bene, questo è fuori di dubbio. Ed è un gesto che può fare la differenza come abbiamo visto.

Nella tua carriera ti saranno capitate situazioni in cui lo hai dovuto fare in modo decisivo…

Tante volte. Ricordo per esempio la mia vittoria al Giro d’Italia del 1991 in volata contro Allocchio a Castelfranco Veneto. Lui era già pronto ad alzare le braccia al cielo e io lo infilai. Stessa cosa ad un Giro del Trentino contro Baffi, sempre nel 1991, quella volta si arrivava a Trento sul pavè. Ma ci sono state anche occasioni in cui ho perso al colpo di reni.

Racconta…

Per esempio al Giro del 1998. Quell’anno feci quattro volte secondo, tre dietro Cipollini e una dietro Magnusson. Si arrivava a Vasto, battei Mario ma Magnusson mi infilò proprio al colpo di reni. Arrivò meglio sulla linea e vinse lui.

“Arrivò meglio sulla linea”: come si capisce dunque il momento per darlo?

Non è tanto una questione di calcolo, ma di feeling, di abitudine col gesto e con le volate. E molto dipende anche da quante energie si hanno e anche dalla posizione durante lo sprint.

La volata vinta da Magnusson (al centro) su Martinello (a sinistra) e Cipollini (a destra) al colpo di reni al Giro 1998 (screenshot da video)
La volata vinta da Magnusson (al centro) su Martinello (a sinistra) e Cipollini (a destra) al colpo di reni al Giro 1998 (screenshot da video)
Posizione?

Se sei davanti o se sei in rimonta. E generalmente al colpo di reni è avvantaggiato chi è in rimonta perché è più veloce, che sia tanto o poco, ma è più veloce e riesce a gettare in modo più rapido la bici sul traguardo, sfrutta l’attimo, perché poi bisogna ricordarlo: quando si dà il colpo di reni si smette di pedalare, quindi devi azzeccare il momento giusto. Non puoi essere né troppo corto, né troppo lungo. Per questo dico che è un gesto che s’impara facendolo, sfruttando le occasioni quando diventa necessario.

Hai detto che chi è rimonta generalmente è avvantaggiato perché più veloce, ma influisce anche il colpo d’occhio? In fin dei conti ci si può regolare non solo sulla distanza dalla linea del traguardo ma anche sull’avversario…

Credo che sia qualcosa di soggettivo. Quando sei davanti per osservare i tuoi avversari guardi sotto le braccia. Io almeno facevo così. Chi vince in rimonta invece deve solo guardare avanti. Però forse sì: calcola un po’ meglio i tempi.

Quanto aiuta essere stati dei pistard?

Molto. Come in tutte le cose in cui serve velocità e destrezza la pista aiuta molto. Aiuta soprattutto nello sviluppare questa abilità motoria, anche perché in pista il colpo di reni è ancora più difficile. Con il rapporto fisso non puoi smettere di pedalare. Di conseguenza non ti puoi buttare con il sedere dietro la sella, altrimenti cadi, ma devi restare più in avanti. E infatti è un colpo di reni diverso. Un colpo se vogliamo meno potente, ma più rapido.

E su strada?

Su strada puoi sprigionare tutta la tua forza in quel gesto. Potendo smettere di pedalare non sei limitato e ti puoi buttare indietro e far arrivare la sella sullo sterno.

A tuo avviso si può anche allenare? Vediamo che oggi i corridori fanno molta ginnastica, curano la mobilitò con fitball, stretching, Trx…

Su questo aspetto non ho l’esperienza diretta e non saprei dire. Ai miei tempi la palestra si faceva una volta ogni tanto. Tuttavia, vedendo il gesto mi verrebbe da dire che non cambia nulla. Ma ripeto: vado un po’ a naso.

Ultima domanda, Silvio: ai tuoi tempi c’era qualche corridore famoso proprio per il colpo di reni?

Mah, di base lo erano un po’ tutti i velocisti. Soprattutto quelli che facevano le volate da soli in rimonta. Mi viene in mente Nicola Minali. Lui era molto bravo in questo tipo di volate, anche se ha vinto corse importanti pur facendo volate di testa, ma era davvero efficace in questo gesto.

6 Giorni Rotterdam

Martinello: «Le Sei Giorni hanno bisogno di un rilancio»

12.11.2021
4 min
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Silvio Martinello è il detentore italiano del primato di successi nelle Sei Giorni, ben 28 su 99 corse, fra il 1989 e il 2002. Ha quindi vissuto l’ultima epopea dei grandi eventi in pista, delle serate che univano sport e mondanità perché il mondo delle 6 Giorni è qualcosa che va al di là del puro aspetto agonistico, spesso non era neanche quello principale: andare a una serata della Sei Giorni di Milano, cenare al tavolo guardando una gara dopo l’altra aveva un gusto simile a quello di una serata al Lido di Parigi…

Le cose sono da allora profondamente cambiate: la prossima settimana si disputa la Sei Giorni di Gand che forse è quella più prestigiosa rimasta in calendario, un’espressione del bel tempo che fu e in queste giornate il cuore di Martinello per certi versi sanguina, proprio pensando al passato: «Il circo delle Sei Giorni come lo conoscevamo è in grande difficoltà, direi in agonia e la causa affonda ai tempi del ciclismo malato: a cavallo del secolo l’epicentro dell’attività era la Germania, con le prove di Dortmund, Monaco, Berlino, Stoccarda. Lo scandalo doping che coinvolse la Telekom diede una frenata terribile all’intero ciclismo tedesco, che non si è più ripreso e anche il mondo delle 6 Giorni ne ha risentito, perdendo i suoi riferimenti».

Martinello e Villa (qui a Sydney 2000): nelle Sei Giorni hanno collezionato ben 16 vittorie in coppia
Martinello e Villa (qui a Sydney 2000): nelle Sei Giorni hanno collezionato ben 16 vittorie in coppia
Quali sono state le ripercussioni?

La mancanza di credibilità del ciclismo ha fatto scappare gli sponsor e gli organizzatori sono rimasti a corto di fondi: allestire una Sei Giorni è molto oneroso, non si tratta solo di pensare ai corridori, ma c’è tutto il contorno da curare, dove investire per avere un ritorno economico, dal catering agli spettacoli d’intrattenimento alternati alle gare. Se non hai fondi sufficienti non puoi fare niente.

Eppure una formula come quella in voga ai tuoi tempi avrebbe ancora riscontri, almeno in una società libera dal Covid…

Sicuramente, ma va considerato anche il fatto che perdurando la crisi delle Sei Giorni, vengono meno i personaggi ed è sempre più difficile coinvolgere i campioni della strada come avveniva ai miei tempi e prima, quando i Moser, i Saronni, i Gimondi non facevano mancare la loro presenza. Io spero che non sia una crisi irreversibile, anche se di appuntamenti importanti ne sono rimasti davvero pochi.

Viviani Keisse Gand 2018
Viviani insieme a Keisse a Gand nel 2018: la gara belga scatterà martedì ed è ormai la più famosa
Viviani Keisse Gand 2018
Viviani insieme a Keisse a Gand nel 2018: la gara belga scatterà martedì ed è ormai la più famosa
La televisione non potrebbe essere un veicolo per rilanciarle?

Anzi, secondo me è stata un danno e spiego il perché: in nome dell’audience televisiva i programmi delle Sei Giorni sono stati disegnati a suo uso e consumo, dimenticando che si trattava di gare di resistenza. Non dico che dovessero avere i regolamenti di una volta, nei quali un ciclista della coppia doveva sempre essere in azione, ma i programmi di gara erano più ricchi e diluiti nelle giornate, dalla mattina alla sera. Ora si concentra tutto quando c’è la Tv, è un’altra cosa che toglie fascino alla competizione. Poi c’è un’altra cosa…

Quale?

La Sei Giorni è una corsa che devi seguire dal vivo perché accade sempre qualcosa, magari non in testa alla corsa. Quando ho fatto il telecronista per Raisport ho capito quanto sia difficile cogliere da fuori ogni aspetto di una gara ciclistica, in una 6 Giorni è impossibile. Devo però dire che Eurosport ha il merito di seguire le poche gare rimaste, dà un contributo importante del quale gliene va dato atto.

Che tipo di gare erano quelle che disputavi tu?

Erano gare di resistenza pura. Ti trovavi a disputare una madison di 90 minuti, oppure una corsa di 100 chilometri e stavi in pista per ore. Si finiva quasi sempre alle 3 del mattino salvo alla domenica che gareggiavi solo al pomeriggio. Le gare a eliminazione erano sempre le più amate dal pubblico. Era un altro mondo, che rimpiango molto. Ora di quel mondo l’unica Sei Giorni rimasta è proprio quella di Gand, che fa leva su una sua cultura.

6 Giorni Milano 2004
Il parterre dell’ultima Sei Giorni di MIlano nel 2004, caratterizzato da un grande ristorante
6 Giorni Milano 2004
Il parterre dell’ultima Sei Giorni di MIlano nel 2004, caratterizzato da un grande ristorante
Che cosa bisognerebbe fare per rilanciarle?

Andrebbero innanzitutto ripensate, in base al ciclismo attuale. I rapporti che si usano oggi ad esempio erano impensabili un tempo. Io penso che se ben strutturate possano ancora avere un futuro richiamare anche grandi nomi. Pensate un momento a che cosa significherebbe avere il ritorno della Sei Giorni a Milano, con Viviani e Ganna: sarebbe un richiamo eccezionale, che andrebbe anche oltre i confini del ciclismo. Ma questo non basterebbe ancora: io credo che il movimento abbia anche bisogno di ricreare quel mondo di specialisti come erano un tempo Sercu, Pijnen, Fritz, Thurau, vedette che sapevano come coinvolgere il pubblico.

Non dimenticando che le Sei Giorni non sono solo un evento sportivo…

No, sono anche molto di più: gli organizzatori guadagnano soprattutto con l’indotto, dalle cene al merchandising, in Germania e nel Nord Europa in genere scorrono veri fiumi di birra. In Italia a Milano erano un appuntamento mondano quasi come andare alla Scala. Anche questo è un aspetto da considerare se si vuole rilanciare questo bellissimo mondo.