Al pari di altri presidenti d’oltre Oceano, Cordiano Dagnoni si insedia oggi per un altro quadriennio alla guida della Federazione ciclistica italiana. Come vi abbiamo raccontato ieri, l’elezione non ha avuto sorprese e la superiorità del presidente è stata chiara sin dal primo turno. In qualche modo, avendolo visto accanto a figure chiave dello sport italiano come Giovanni Malagò, già dal Giro d’Onore nella sua sicurezza avevamo colto dei segni premonitori.
Ragionando a caldo e poi ancora stamattina, si rifletteva su cosa abbia favorito un candidato rispetto all’altro. Ieri si è parlato di paura del cambiamento e proprio da questo vorremmo iniziare il ragionamento, che sarà breve per lasciare spazio al ciclismo pedalato.
Martinello può aver pagato la vicinanza di figure di spicco del ciclismo di qualche anno fa, non più amate come un tempo?Martinello può aver pagato la vicinanza di figure di spicco del ciclismo di qualche anno fa, non più amate come un tempo?
Quale cambiamento?
Non è stato forse segno di cambiamento aver scelto Dagnoni al precedente turno elettorale, preferendolo a Di Rocco, Isetti e Martinello? Nel 2021 Silvio, come ieri Dagnoni, ottenne la maggioranza al primo turno e fu solo per una precisa indicazione dei candidati sconfitti che non riuscì a mantenere il primato nel ballottaggio.
Ma ieri, nel testa a testa fra lui e Dagnoni, avere accanto i riferimenti della precedente gestione non può essere stato letto come una restaurazione, piuttosto che come aria di cambiamento? Il coinvolgimento di Mario Valentini, dopo le vicende che hanno portato al suo allontanamento dalla nazionale paralimpica, non potrebbe essere sembrato un ritorno al passato, da cui gli atleti fuggirono con quella lettera di sfiducia? Probabilmente sì ed è stato lo stesso Martinello a rivelarlo. E perché i delegati di Daniela Isetti, il cui programma è parso forse il più organico, non hanno ricevuto l’indicazione di confluire su di lui?
Cordiano Dagnoni ha conquistato la presidenza con una maggioranza prossima al 60 per cento (foto FCI)Cordiano Dagnoni ha conquistato la presidenza con una maggioranza prossima al 60 per cento (foto FCI)
Gli impegni da prendere
Dagnoni ha davanti quattro anni per dimostrare di saper fare quello che ha ripetutamente annunciato. Finalmente avrà a disposizione un Consiglio federale che remerà nella stessa direzione e questo indubbiamente non è poco. I temi sul tavolo ci sono e sarebbe sbagliato non vederli e non raccogliere le segnalazioni di allerta sollevate dagli altri candidati. Così come sarebbe saggio accogliere alcuni correttivi contenuti nei loro programmi. Non si tratterebbe di ammetterne la superiorità o di copiare: si tratta di lavorare per il bene del ciclismo.
Reclutamento. Presenza sul territorio. Promozione sociale. Presenza nelle scuole. Sicurezza. Impiantistica. Statuto da riscrivere. Gli obiettivi sono tanto evidenti che sembra persino superfluo annotarli. Noi di bici.PRO ci saremo, osservando, raccontando, elogiando e criticando, ma sempre con spirito costruttivo. Abbiamo narrato le storie degli atleti e della loro gestione e ci siamo anche soffermati su ciò che non ci convinceva. Siamo certi che questo sport meriti il meglio e la sua ricerca dovrà orientare il lavorodi chi ieri è stato scelto dall’Assemblea. Abbiamo davanti quattro anni in cui rimettere la nave su una rotta più virtuosa. Se non dovesse accadere, le conseguenze potrebbero essere pesanti. Al pari delle responsabilità.
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FIUMICINO – Questa volta Martinello è scosso. La sconfitta ci può stare, ma erano tali i numeri di coloro che gli avevano assicurato il loro appoggio, che mandarne giù la defezione o il tradimento richiede una notevole dose di autocontrollo. Cordiano Dagnoni è stato da poco rieletto presidente della Federazione con numeri inoppugnabili, sono semmai quelli di Martinello e Isetti a sottolineare l’inatteso capovolgimento di fronte.
Il campione olimpico di Atlanta ragiona al piccolo tavolo della sala stampa, dove ci ha raggiunto per raccontare il suo punto di vista. Nella sala dell’Assemblea stanno ancora votando le ultime cariche, ma ormai è stato detto tutto.
«Delusione, chiaramente – dice – ma grande rispetto per il risultato. Delusione perché è stato fatto un lavoro importante e molto capillare sul territorio. Non si è trattato di andare a intercettare i delegati, i soggetti che contano. Sono andato a monte, quindi nelle regioni più importanti, con un lavoro che aveva l’obiettivo di responsabilizzare la società, che da queste dinamiche sono escluse a tutti gli effetti…».
L’Assemblea di Fiumicino è stata aperta dalla relazione di Dagnoni (foto FCI)L’Assemblea di Fiumicino è stata aperta dalla relazione di Dagnoni (foto FCI)
Un lavoro importante?
Un lavoro importante che ha portato anche qualche risultato. Sapere che in diverse assemblee provinciali qualcuno si è alzato per chiedere ai delegati come avrebbero utilizzato la loro delega, è già un risultato. Poi speriamo che finalmente queste regole di rappresentanza vengano affrontate seriamente, lavorando per avere uno Statuto più funzionale alle esigenze di una Federazione complessa come quella ciclistica.
Ti aspettavi che già al primo turno il margine fosse così ampio?
Mi ha sorpreso molto. Al primo turno ho preso meno voti di quattro anni fa, invece ero convinto di avere un sostegno maggiore. Cosa possa essere accaduto non lo so, magari a bocce ferme ci sarà la possibilità di fare una valutazione più serena. Ho il sospetto che ci siano state alcune delegazioni che avevano garantito una certa posizione e che poi abbiano modificato il loro atteggiamento. Ci può stare, per carità, anche io ho avvicinato qualche delegato e c’è stato chi mi ha ribadito di essere su posizioni diverse dalle mie.
Ti sei pentito di aver frequentato le società e non i delegati?
No, rifarei la stessa scelta. Ho ricevuto tanta vicinanza e tanta attenzione, però evidentemente le dinamiche vanno in altre direzioni. Prendiamo l’esempio del Veneto, dove abbiamo lavorato in modo capillare e i risultati si sono visti dal punto di vista dei numeri a disposizione. Su altre regioni ho provato a fare lo stesso lavoro, però entrano in gioco dinamiche difficilmente controllabili per chi si propone. A Stefano Bandolini non davo un centesimo, invece è diventato vicepresidente vicario. Sicuramente ci sono stati molti anche che hanno lavorato contemporaneamente su più posizioni, per tenersi aperte entrambe le porte, ma anche questo ci può stare.
Renato Di Rocco, che nel 2021 aveva ricevuto la vicepresidenza onoraria dell’UCI, ha supportato MartinelloRenato Di Rocco, che nel 2021 aveva ricevuto la vicepresidenza onoraria dell’UCI, ha supportato Martinello
Puoi aver pagato la scelta di avere accanto a te Renato Di Rocco?
Da quando mi ha manifestato la volontà di lavorare insieme, mettendosi a disposizione per portare acqua (probabilmente un’operazione che non ha mai fatto in vita sua), devo riconoscere che Renato si è impegnato moltissimo. Qualsiasi cosa abbia fatto, mi ha prima chiesto il benestare. Poi c’è stato Mario Valentini, che non è un semplice delegato. E’ uno che fa rumore, alza il telefono, chiama a destra e a sinistra. I nove atleti della Lombardia, che fanno parte del settore paralimpico, avevano ricevuto dal loro presidente Ercole Spada l’indicazione di venire con noi. Invece al ballottaggio hanno cambiato idea, per la paura che tornasse in gioco proprio Valentini. Non so che danni abbia fatto Mario sul settore paralimpico francamente, ma è andata così. Non sarebbero stati quei nove voti, sarebbe comunque arrivato prima Dagnoni.
Può darsi che certe alleanze siano state per te un boomerang?
Quando ho fatto la conferenza stampa in cui presentavo la mia squadra, sapevo che nel momento in cui avessi annunciato Di Rocco, le domande sarebbero andate in quella direzione. Eppure quello di Renato è stato un percorso correttissimo. Non ho mai disconosciuto il suo peso, ma ammetto che quando ho sentito l’applauso dopo l’intervento di Marco Toni, mi è scattato un alert (nella sua dichiarazione il dirigente lombardo ha fatto riferimento a candidati alle cui spalle agisce chi ha governato la Federazione per vent’anni, ndr).
Pensavi che il ballottaggio potesse ribaltare l’esito del primo turno?
No, quando ho visto che Dagnoni è passato al primo turno con 110 voti, sono andato a fargli i complimenti e lui ha fatto gli scongiuri. Allora gli ho detto che se non avesse raccattato sei voti al ballottaggio, non avrebbe meritato la riconferma. Perché a quel punto entrano in ballo altre dinamiche. C’è chi magari al primo turno ha avuto il coraggio di votare da una parte e poi passa di là. Sono passaggi che ci stanno in un sistema come questo.
L’intervento di Marco Toni e il successivo applauso hanno dato la misura dell’orientamento dell’Assemblea contro MartinelloL’intervento di Marco Toni e il successivo applauso hanno dato la misura dell’orientamento dell’Assemblea contro Martinello
Una sconfitta che brucia più o meno della volta precedente?
Mi sorprendono i numeri, perché ho preso meno voti dell’altra volta, dopo aver avuto la possibilità di lavorare sul territorio con strumenti diversi rispetto al 2020, quando a causa del Covid non ci si poteva neanche spostare. Questa scotta un po’ di più, ma il risultato va rispettato: l’Assemblea fa le proprie scelte e quelle sono. L’impegno è stato tanto, pensavo francamente di essere riuscito ad andare un po’ più in profondità, ma evidentemente non è bastato. Ho avuto due tentativi. Se la prima volta la scelta di ricandidarsi fu una scelta automatica per le modalità con cui avevo perso, adesso è difficile immaginare di farlo ancora.
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FIUMICINO – Cordiano Dagnoni sarà per altri quattro anni il presidente della Federazione ciclistica italiana. Così ha stabilito il ballottaggio. Al lombardo sono andati 138 voti, pari al 59,74 per cento. Lo sfidante Martinello si è fermato a quota 99, il 39,83 per cento. Gli elettori di Daniela Isetti, che al primo turno aveva raccolto 43 voti, sono stati l’ago della bilancia.
«Speravo di avere già la maggioranza al primo turno – dice Dagnoni – invece per usare un termine calcistico, ho preso il palo e non ho fatto goal. Tutto sommato però è ancora più gratificante vincere al secondo turno con un consenso ancora maggiore. Significa che chi aveva sposato una candidata, poi si è rivolto a me. Per cui va bene così, è durata solo un pochino di più.
«E’ stata una campagna meno velenosa della volta precedente, soprattutto da parte di Martinello. Quattro anni fa probabilmente sul piano della comuncazione era assistito da qualcuno che aveva toni più aggressivi. Questa volta, pur manifestando sempre la sua parte critica nei confronti dell’operato della Federazione, è stato molto più soft. Daniela Isetti invece si è mantenuta sempre sobria, come nel suo stile».
L’Assemblea si svolge all’Hilton di Fiumicino. La stampa segue da una stanza a parteL’Assemblea si svolge all’Hilton di Fiumicino. La stampa segue da una stanza a parte
Apertura alle 7,30
La sveglia all’alba. Le operazioni di accredito sono state anticipate alle 7,30, la hall dell’Hotel Hilton a due passi dall’aeroporto è silenziosa. Un sottile brusio di sottofondo proviene dai capannelli di addetti ai lavori che aspettano la giornata campale. Un grosso display scandisce la registrazione dei delegati che voteranno il presidente della Federazione ciclistica italiana. I candidati sono tre, con Daniela Isetti e Silvio Martinello a sfidare Cordiano Dagnoni, che ha guidato il ciclismo nelle ultime tre stagioni.
Le considerazioni si susseguono, ma sono tutti concordi nel dire che il prossimo quadriennio dovrà segnare una svolta: il ciclismo italiano non ha più bonus da giocare. Quel che colpisce, nel frattempo, è rendersi conto che l’assemblea è popolata da anni dalle stesse facce. Oltre questo non ci è dato di vedere: la stampa ha a sua disposizione una stanza con una connessione internet e un monitor che mostra – quando funziona – le operazioni preliminari e poi quelle di voto.
Il presidente dell’Assemblea è stata Silvia Salis, vicepresidente vicario del CONIL’assemble si svolge a porte chiuse: all’interno soltanto candidati ed elettoriIl presidente dell’Assemblea è stata Silvia Salis, vicepresidente vicario del CONILa stampa è in una sala a parte e segue le operazioni di voto attraverso uno schermo
Botte e risposte
Gli interventi dei tre candidati durano dieci minuti ciascuno e fra le righe si coglie la tensione che neppure si cerca di stemperare. Il debutto spetta per sorteggio a Martinello. Dice di aver posto subito la sua candidatura: nonostante una carriera passata spesso a ruota, dice, questa volta ha preferito prendere un po’ di vento. Fa un cenno alla vicenda delle provvigioni irlandesi che ha portato alle dimissioni Norma Gimondi, non invitata all’assemblea. Poi aggiunge che i numeri dimostrano la sofferenza dell’attività di base e che per questo bisognerebbe stare accanto alle società e fare in modo che i Comitati regionali siano soggetti più efficienti.
Dagnoni risponde punto su punto. Dice che per la storia dell’Irlanda sono stati indagati e prosciolti in ogni sede giudicante. Dice che Norma Gimondi non è stata invitata perché non aveva il titolo per esserci. Il presidente uscente ha già raccontato il suo programma nel fare la relazione di fine mandato e mostra grande sicurezza. La perfetta introduzione per Daniela Isetti, che invoca una Federazione più vicina alla base e parla di storia e pari opportunità, rievocando i nomi di Alfredo Martini e Alfonsina Strada.
Dieci minuti per Martinello, il primo a intervenireE dopo la replica di Dagnoni, ci sono i dieci minuti di Daniela IsettiDieci minuti per Martinello, il primo a intervenireE dopo la replica di Dagnoni, ci sono i dieci minuti di Daniela Isetti
Dagnoni presidente
Il tempo per tre interventi – da parte di Salvatore Bianco, Claudio Santi e Marco Toni – e poi si può votare. La spiegazione è chiara: avviene tutto in digitale e la votazione comincia. Il risultato del primo turno vede Dagnoni con 110 voti, Martinello con 77, Isetti con 43. C’è circa mezz’ora per l’avvio del ballottaggio, come annuncia Silvia Salis: la presidente dell’assemblea. E’ da poco passato mezzogiorno quando lo spoglio del ballottaggio proclama la vittoria di Dagnoni.
«Sono stati quattro anni molto impegnativi – prosegue Dagnoni – ma quando si vuole cambiare, bisogna anche rischiare. Per cui si è sbagliato anche qualcosa, si è fatto qualche passo falso, ma restare nella zona di comfort e non fare nulla era troppo facile. La Federazione non aveva bisogno di questo, per cui sono veramente grato per la fiducia che mi è stata rinnovata. Credo che la continuità sia la strada migliore per raccogliere i migliori frutti nei prossimi quattro anni. Su due piedi direi che per la parte tecnica, bisogna continuare sulla strada che abbiamo intrapreso. I risultati si sono visti da subito per cui non si abbassa l’asticella e si continua in quel senso.
«Per il resto, ci sono da affrontare altri settori più delicati, come quella della sicurezza che è legata all’impiantistica. Per cui il mio grido di allarme è sempre rivolto alle Amministrazioni che devono investire in infrastrutture e impiantistica, per fare sì che il nostro sport possa essere praticato in ambienti protetti e sicuri».
Il nuovo Consiglio federale. Da sinistra: Saia, Ragosta, Acquasanta, Checchin, Metti, Vietri, Puccetti, Confalonieri. Sotto, Dagnoni e Cornegliani (foto FCI)Il nuovo Consiglio federale: Saia, Ragosta, Acquasanta, Checchin (foto FCI)Si porsegue con Dagnoni e accanto a lui Cornegliani. Sopra Metti, Bandolin, Vietri (foto FCI)Ancora Vietri, Puccetti e Maria Giulia Confalonieri (foto FCI)
Il nodo dei cittì
I temi sul tavolo sono tanti, ma è evidente che Dagnoni non voglia entrare troppo nello specifico, non sapendo ancora quale sarà la composizione del prossimo Consiglio federale.
«Le cose che vanno bene – prosegue – bisogna lasciarle stare e credo siano state tante. Ci sono stati passi falsi. Come mi hanno sempre insegnato, un leader deve fare tanti errori, l’importante è che non faccia gli stessi. Per cui cercherò di fare tesoro dell’esperienza di questi quattro anni e le metterò a frutto. Non ho mai pensato di non ricandidarmi. Ha prevalso lo spirito dell’atleta, per cui la grinta c’è sempre stata. Ci sono stati invece dei momenti di tensione, dovuti anche a un Consiglio federale molto disomogeneo, in quanto rappresentanza di tre fazioni diverse. Molto spesso ci siamo trovati in posizioni di disequilibrio. Spero e auspico di avere un Consiglio più coeso e omogeneo, per lavorare in modo più sereno.
«Proprio per questo è ancora presto per parlare dei nomi dei commissari tecnici. Ho incontrato Bennati pochi giorni fa. Si mantiene un buon rapporto, ma ovviamente vediamo come saranno distribuite le varie deleghe all’interno del Consiglio. E poi ci saranno caselle da sistemare, come quella del CT dei professionisti, quello delle donne e quello della pista disabile. Ho detto a Silvano Perusini, come a Bennati, che le porte non sono chiuse».
Dagnoni presidente della Federazione: la proclamazione è appena avvenuta (foto FCI)Dagnoni presidente della Federazione: la proclamazione è appena avvenuta (foto FCI)
La Federazione che verrà
Per parlare del resto ci sarà tempo, così come ci sarà da parlare con Martinello per capire che cosa a suo avviso non abbia funzionato. Il rischio c’era. Il padovano ha incontrato le società, Dagnoni intanto incontrava i delegati che poi avrebbero votato. Questo ci ha ricordato una battuta di Giancarlo Ceruti, che sfidato da Francesco Moser nel 2001, vinse e fece un commento di grande realismo politico: «Moser si è fatto fotografare con tante gente, ma tutta gente che non votava».
«In questo quadriennio – chiude il neo presidente della Federazione – mi sento più sicuro anche nell’aver imparato tante dinamiche gestionali all’interno di una Federazione che credo sia una veramente delle più complesse per il numero di discipline e specialità. Comunque una Federazione che ha bisogno davvero di essere riportata a livello che merita».
Finite le Olimpiadi di Tokyo, facciamo il punto con Silvio Martinello sulla spedizione azzurra della pista. Bene il settore endurance, velocità dimenticata
PADOVA – Quasi Natale, un mese alle elezioni federali di Roma. Tre anni fa Martinello fu sconfitto da Cordiano Dagnoni per lo spostamento di voti durante il secondo turno di votazioni e già allora si ripromise di tornare. Che cosa è cambiato in lui nel frattempo? E che cosa è cambiato nel ciclismo italiano? Partiamo da qui, dal chiedergli la fotografia, secondo lui, del nostro movimento.
Martinello ha 61 anni. Da corridore è stato un grande pistard e un ottimo velocista. In pista ha vinto un oro e un bronzo alle Olimpiadi e cinque titoli mondiali. Da quando nel 2000 smise di correre ha aperto la sua palestra a Tencarola, alle porte di Padova, ed è stato opinionista televisivo e ora radiofonico in RAI.
Martinello sicuro: l’Italia ha raggiunto livelli di eccellenza in ambito maschile e femminileMartinello sicuro: l’Italia ha raggiunto livelli di eccellenza in ambito maschile e femminile
Che cosa ti sembra del ciclismo italiano oggi?
In alcuni settori, pensiamo alla pista, abbiamo un movimento di vertice molto importante. Siamo a tutti gli effetti un riferimento a livello internazionale, in ambito maschile e femminile. Nel settore endurance sono stati fatti dei progressi come pure nel settore velocità dove si è iniziato a lavorare, dato che per tanti anni non si era fatto nulla. I progressi ci sono stati, c’è un margine ancora ampio per arrivare ai massimi livelli che sarà colmabile solo ed esclusivamente con un progetto serio. E’ un ciclismo che in ambito professionistico ha delle eccellenze. Poi però c’è una base in grande sofferenza. Alcune categorie, la juniores, la under 23 e l’ambito continental, ci vedono ai margini del contesto internazionale. Abbiamo impiegato del tempo a capire la riforma entrata in vigore a metà degli anni 90, siamo in grave ritardo ed è un movimento che sotto questo punto di vista sta soffrendo molto.
Si potrebbe obiettare che negli juniores si sta tornando a vincere anche su strada.
Quando si parla di malessere e criticità del nostro ciclismo, di solito a chi lo gestisce salta la mosca al naso. Non sto negando i risultati che ci sono stati, fermo restando che bisognerebbe avere l’umiltà, la capacità e la razionalità di leggerli e interpretarli. Sottolineare certi numeri torna utile al megafono della propaganda, me ne rendo conto. E a quel punto, non serve neanche andare a vedere che il numero dei tesserati e delle società è in calo ed è un dato incontestabile. Si capisce che nel medio-lungo periodo, questo creerà delle gravissime difficoltà.
E cosa si fa?
Si può decidere di lasciare andare la barca o si decide di intervenire con politiche di attenzione. La Federazione ha il compito di creare le condizioni per arginare questa tendenza e poi per cercare di invertirla. Dovrebbe creare i presupposti – dal punto di vista economico, delle normative e della promozione – perché il movimento torni a crescere. Un serio piano di promozione, che magari parta dalle scuole, aiuterebbe le società nel reclutare gli atleti. Nei giovanissimi abbiamo dei bei numeri, negli esordienti si comincia a soffrire. Quando cominciano le categorie agonistiche, il ciclismo su strada soffre vari problemi, fra cui la sicurezza. Per fortuna ci sono tante altre discipline anche più accattivanti. Pensiamo al fuoristrada, per fare un esempio.
Trofeo Ekoi Body Energie a Villafranca di Verona, partenza degli esordienti: la categoria che registra i primi cali (photors.it)Trofeo Ekoi Body Energie a Villafranca di Verona, partenza degli esordienti: la categoria che registra i primi cali (photors.it)
Non credi che l’attuale Federazione stia facendo qualcosa del genere?
Per natura non sono un pessimista, però vedo la mancanza di visione e di una certa intraprendenza anche nel cercare di battere strade nuove. Serve il coraggio di andare in nuove direzioni, che non vuol dire rottamare il passato. Ma bisogna prendere atto che il mondo sta cambiando e dobbiamo adattarci, mettendo in atto delle tutele per questi ragazzi, a fronte di un movimento che va a intercettare l’eccellenza in età sempre più giovanile. Ne stiamo bruciando tanti, sia perché magari non hanno la capacità di rispettare le attese, ma soprattutto dal punto di vista psicologico. Le pressioni cui sono sottoposti in età ancora non matura a un certo punto li porta a fermarsi. E questo è un problema che non riguarda solo noi, ma il movimento internazionale.
I tesseramenti in calo riducono anche la base da cui vengono fuori i talenti?
Non c’è dubbio, è riconosciuto da chiunque si occupi di statistiche. Dobbiamo fare attenzione a questa base che si sta assottigliando e che ci obbliga a guardare con attenzione a un futuro non più lontanissimo. Sono problemi che stiamo già toccando con mano e che saranno sempre più reali e presenti. Aggiungiamo il calo demografico e il fatto che al momento di scegliere, le famiglie hanno decine di opportunità con cui il ciclismo deve mettersi in concorrenza. Pertanto dobbiamo anche modificare il nostro approccio, senza sbandierare in modo eccessivo la fatica che spaventa le persone. Non è un caso che il settore del fuoristrada abbia numericamente un riscontro maggiore, perché ha un approccio più divertente che aiuta a reclutare i ragazzini, oltre a poter togliere dal discorso i problemi legati al traffico.
La Federazione ha creato una super struttura per le nazionali e la sensazione è che la maggior parte delle risorse sia stata messa lì.
Questo tipo di assetto è lo stesso che avevo indicato nel mio programma di quattro anni fa. Di fatto lo hanno riproposto e realizzato. L’alto livello della struttura non dipende dal fatto che viaggino o meno col pullman, quello è relativo. Tutto ciò che è stato costruito intorno alle squadre nazionali nasce anche da scelte del passato, lo stesso Davide Cassani andava in questa direzione. Pertanto quello è un aspetto assolutamente da consolidare. Semmai mi sarei aspettato che le esperienze tecnico-scientifiche raccolte fossero trasmesse anche in basso, invece il Team Performance è un club chiuso, da cui non trapela nulla come per il rischio di spionaggio industriale. Sarebbe importante invece che questo lavoro, tra l’altro molto efficace, potesse essere veicolato anche alla base.
I bike park del fuoristrada rendono, come conferma Martinello, il ciclismo divertente e anche più sicuroI bike park del fuoristrada rendono, come conferma Martinello, il ciclismo divertente e anche più sicuro
Si torna sempre a parlare della base…
Io credo che la vera priorità sia quella, anche economicamente. Le medaglie sono importanti e credo di parlare con cognizione di causa, visto che so cosa c’è dietro alla conquista di una medaglia, ma le medaglie vanno pesate. Quindi concentriamoci ed inseguiamo quelle che servono, ma per il resto dedichiamoci a sostenere la base che è la priorità del futuro prossimo. Serve gente qualificata anche nel Consiglio federale. Non dimentichiamo che lo Statuto ci impone di lavorare alla composizione di una squadra di qualità e di competenza certificata. Perché è vero che il presidente Dagnoni qualche problema l’ha avuto e ha trasmesso qualche segnale di inadeguatezza, ma purtroppo per lui non era accompagnato da una squadra in grado di aiutarlo a commettere meno errori. E allora una cosa ve la dico: il 10 gennaio sarà indetta una conferenza stampa anche per presentare la mia squadra.
Da chi sarà composta?
Proporrò soggetti di chiara e certificata competenza, perché io non ho nessuna intenzione di circondarmi di persone che mi diano le pacche sulle spalle e mi dicano quanto sono bravo. Io ho bisogno di gente che ascolterò con grande attenzione, che rompa molto le scatole. Sul tavolo ci sono dei problemi enormi e mi piacerebbe che si trovassero le soluzioni, non per la gloria di Silvio Martinello, ma per l’interesse del ciclismo italiano.
Che cosa hai imparato dalle elezioni precedenti?
Mi sono portato via gli errori che ho commesso, non ho problemi a riconoscerli. Furono un’assemblea e una campagna particolari, condizionate dall’emergenza sanitaria in cui eravamo coinvolti. Arrivai con grande determinazione e non feci la necessaria attenzione a non scivolare nei tranelli che nel frattempo erano stati tesi, rispondendo punto su punto ad ogni provocazione. Questo ha consentito a qualcuno di veicolare il messaggio che io fossi un soggetto autoritario, egocentrico, ancora con il numero sulla schiena.
Il quarto Consiglio Federale del 2024 ha approvato il bilancio consuntivo 2023, ratificato dal Coni solo pochi giorni fa (foto FCI)Il quarto Consiglio Federale del 2024 ha approvato il bilancio consuntivo 2023, ratificato dal Coni solo pochi giorni fa (foto FCI)
In che senso?
Nel senso che mi sentissi ancora corridore e fossi ancora lì a sgomitare. Nulla di tutto questo, ho il mio carattere, certamente, ma sono uno a cui piace molto ascoltare. Prendo decisioni, ma dopo aver valutato e analizzato. Credo che questi messaggi abbiano fatto presa e condizionato il voto di alcuni presenti nell’assemblea, dove solo pochi prendono decisioni per un movimento invece molto complesso. Eppure ritengo quel primo turno fu molto soddisfacente, nonostante i tanti condizionamenti che ci sono stati. Mi ha permesso di capire che un’ampia parte del movimento credesse e ancora crede nella necessità di voltare pagina.
Che cosa è successo negli ultimi tre anni?
Sono passati a vuoto. Sarebbero stati l’occasione per fare scelte ragionate, che ora dovranno essere necessariamente coraggiose, perché il tempo non è tantissimo. Scelte condivise, soprattutto. Il Consiglio federale, se sarò investito di questa responsabilità, verrà chiamato a un lavoro importante. Colgo l’occasione per ripetere che sarà utilizzato solo ed esclusivamente il criterio della competenza. Ci saranno commissioni snelle, composte da soggetti competenti per la materia specifica. La nostra Federazione è molto complessa, io ho il mio percorso personale che spazia fra la pista e la strada e non mi permetto nemmeno di ragionare su altre discipline che non sono in grado di affrontare con la competenza necessaria.
Hai parlato dello statuto: non si era detto che riscriverlo fosse una necessità?
Tre anni fa tutti i candidati ne avevano proposto la modifica. Solo uno ha avuto la possibilità di farlo, ma ha spiegato la scelta di non farlo con due motivazioni inconsistenti. La prima pare sia stato il fattore economico. Ha parlato di 400 mila euro per organizzare un’assemblea straordinaria, mi chiedo se volesse organizzarla in resort esclusivo. Un’assemblea ha dei costi, ma francamente ritengo che siano ben al di sotto di quella cifra. La seconda giustificazione invece mi sembra molto grave e certifica, a mio avviso, l’inadeguata della guida federale.
Le precedenti elezioni federali videro in lizza Dagnoni, Isetti, Di Rocco, Martinello (foto Fci)Le precedenti elezioni federali videro in lizza Dagnoni, Isetti, Di Rocco, Martinello (foto Fci)
Quale è stata?
Dato che dalla scorsa assemblea il movimento è uscito con una divisione piuttosto netta tra le fazioni di Dagnoni, Isetti e Martinello, il presidente ha dichiarato che non sarebbe stato certo di poter portare in assemblea straordinaria lo statuto che aveva in mente lui. Domanda: lo statuto è lo strumento di cui il movimento deve dotarsi per essere più funzionale alle proprie esigenze oppure viene realizzato per le esigenze di una sola parte? Nella commissione che lavorerà al nuovo statuto, a parte i nomi di saggi che tutti conosciamo e che possono lavorare ad uno strumento così delicato, vorrei gli uomini e le donne indicati dai singoli candidati. Deve essere lo strumento della Federazione, non di Dagnoni, di Martinello o di chiunque sarà.
Perché è necessario cambiare lo statuto?
La composizione del Consiglio federale è anche un esercizio di equilibri geografici territoriali e le dinamiche assembleari possono risultare un limite. La Federazione ha bisogno di un nuovo strumento di rappresentanza, per cui entro la fine del 2026 sarà indetta un’assemblea straordinaria per il nuovo statuto. Bisogna dare voce alle società, c’è poco da fare e questo è un impegno chee mi sento di prendere.
Tu hai girato parecchio, che cosa hai visto sul territorio?
Ho voluto incontrare le società, non per caso. I miei competitor invece si stanno dedicando a incontrare i delegati. Sono quelli che votano, per carità, il ragionamento non fa una piega. Ma io fin dal momento in cui ho ufficializzato la mia candidatura, ancora nello scorso mese di giugno, ho parlato di scelte responsabili e consapevoli. Significa che le nostre società, che sono la spina dorsale del movimento, in realtà vengono considerate un problema. Non vengono tenute in considerazione nell’Assemblea nazionale, dove sono presenti tramite i delegati eletti nelle provinciali. Il fatto di girare per esempio in Veneto, Friuli, Lombardia, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Lazio è servito, per spiegare alle società i punti fondamentali del mio programma. Sono stati momenti utilissimi, ho un quaderno alto così, perché c’è voglia di confronto. Fare scelte consapevoli significa che le società hanno il diritto di chiedere ai delegati quale sarà il loro voto, cosa che poi è accaduta di molte assemblee provinciali. Aggiungo un dettaglio…
Martinello ha girato l’Italia, come si può notare dagli appuntamenti sul suo sito, incontrando le societàMartinello ha girato l’Italia, come si può notare dagli appuntamenti sul suo sito, incontrando le società
Quale?
Questo tanto girare, ribadisco un dettaglio non banale, io l’ho fatto a spese di Silvio Martinello. Sono consapevole che in assemblea un delegato possa cambiare opinione venti volte, ma nell’attesa di avere un nuovo statuto che permetta alle società di esprimere la propria preferenza anche a livello nazionale, è giusto pretendere che i delegati rispondano del loro voto.
Il presidente Dagnoni ha detto di aver fatto molto per agevolare le società.
Io ho percepito una lontananza siderale. Non dimentico che siamo un popolo che si lamenta molto ed è abituato a scaricare le responsabilità sugli altri, però c’è una grande distanza, certificata dai comportamenti di questa Federazione. Vogliamo parlare di trasparenza? Vogliamo parlare di coinvolgimento? Basta leggere i comunicati ufficiali dopo i Consigli federali. Nessuno di noi sa cosa effettivamente viene deciso. Nel momento in cui, ai primi di giugno, il Consiglio federale ha certificato il bilancio del 2023, che poi è stato certificato dal CONI qualche settimana fa, nel comunicato pubblicato sul sito federale se ne dava un minimo cenno e si parlava invece del nuovo accordo con Infront. Si costruiscono comunicati ad arte per distogliere l’attenzione dai veri problemi. Il confronto e la trasparenza sono fondamentali in una macchina complessa come la Federazione, anche per legittimare chi è stato investito dalla responsabilità di guidarla. Tutto questo c’è stato pochissimo nei primi mesi, mentre è completamente scomparso dopo le nostre vicende dell’estate del 2022.
Cosa successe?
Si sono sentiti accerchiati per una vicenda che non è mai stata spiegata del tutto, quella dei contributi irlandesi, e si conoscerà solo ed esclusivamente nel momento in cui qualcuno andrà ad aprire quei cassetti. Per l’opinione pubblica magari è una vicenda chiusa, ma non lo è per chi ha sempre mantenuto l’attenzione sul caso. E si tratta della conferma che lo stesso Consiglio federale non fosse informato di quelle scelte. I componenti hanno dovuto firmare una dichiarazione di riservatezza. Potevano essere tutti più coraggiosi e pretendere di sapere, come Norma Gimondi, invece sono rimasti tutti buoni al loro posto.
Le dimissioni di Norma Gimondi (qui con Giovanni Malagò) sono rimaste una pagina critica nella gestione federaleLe dimissioni di Norma Gimondi (qui con Giovanni Malagò) sono rimaste una pagina critica nella gestione federale
Ritroveremo nella contesa elettorale con ruoli diversi anche personaggi come l’ex presidente Di Rocco e Lino Secchi, candidato alla presidenza.
A Secchi ho fatto una corte spietata, mi sarebbe piaciuto averlo a disposizione. Lino è stato il riferimento di tanti presidenti regionali per la sua esperienza, la sua capacità di dialogo e la sua conoscenza. Nel momento in cui mi ha comunicato la scelta di candidarsi, gli ho augurato buona fortuna. Quanto a Di Rocco, ci siamo dati qualche sportellata, però è impossibile non riconoscere il suo profilo dirigenziale. Un dirigente di alte qualità che potrebbe aiutare molto a portare avanti le nostre istanze sui tavoli internazionali. Le nostre e quelle di altri movimenti nazionali, come quello spagnolo che è pure in grande sofferenza. Se avessi vinto quattro anni fa, non mi sarei privato della sua esperienza e certo non avrei mai pensato a un suo allontanamento con le modalità con cui è avvenuto. Non credo che rottamare persone valide sia una strada da seguire, cosa ben diversa invece è pretendere di avere solo persone competenti. Il fatto che chi vince prende tutto e chi non vince è fuori dai giochi è stata una scelta che ci ha impoverito.
Perché ti sei ricandidato?
Con il nuovo statuto dovremo cercare maggiori collegialità e condivisione. Non ho altri obiettivi, tutelerei meglio i miei interessi personali continuando a occuparmene. Nella vita mi sono realizzato, anche nel post carriera. Grazie al cielo e sempre grazie al ciclismo, conduco una vita dignitosa, ma è arrivato il momento in cui voglio restituire qualcosa. Mettere la mia esperienza a disposizione dei tanti che mi hanno spinto in questa direzione e sono riusciti a convincermi che io possa dare qualcosa. Ebbene, Se posso dare qualcosa, io ci sono. Se invece dobbiamo andare avanti in modo che nulla cambi, allora non è una cosa che mi interessa.
Il 19 gennaio 2025, presso l’Hotel Hilton Rome Airport di Fiumicino, si eleggerà il nuovo presidente della FCI. I candidati sono venuti allo scoperto nelle scorse settimane. Il presidente federale Dagnoni ha ammesso di sentirsi in campagna elettorale da tre anni e ha previsto per il 20 dicembre una conferenza stampa a Milano in occasione del Giro d’Onore. A sfidarlo troverà Silvio Martinello, Daniela Isetti e Lino Secchi, con l’annunciata frammentazione del voto che, in caso di ballottaggio e in base agli accordi dell’ultima ora, sposterà il baricentro verso un candidato o l’altro. Anche l’ultima volta andò così e Martinello, che in proporzione aveva ottenuto più voti, si vide sconfitto proprio per gli accordi consumati in quello stesso hotel.
Da Metti a Selleri
In attesa di raccontare i quattro programmi elettorali, è interessante segnalare la candidatura di due uomini della base per il ruolo di vicepresidente federale. Dalla Toscana arriva l’ex presidente regionale Saverio Metti, mentre dalla Romagna si segnala Marco Selleri: l’uomo del Giro d’Italia Giovani U23, del mondiale di Imola e del Giro di Romagna (foto di apertura). Se la prima è il prosieguo di un cammino iniziato da anni, la discesa in campo di un organizzatore costituisce un’anomalia. Perché Selleri vuole scendere in politica?
«E’ una candidatura tecnica – precisa – più che per la politica federale in sé. Credo di aver raggiunto la maturità per sviluppare delle idee. Ho un’esperienza a 360 gradi. Ho vissuto prima da organizzatore del Giro delle Pesche Nettarine. Poi il Giro d’Italia U23, le settimane tricolori e i campionati del mondo. Quando è così, a un certo punto decidi di metterci del tuo, ma devi conoscere la materia al 100 per cento. Cioè il punto di vista dei corridori, dei direttori sportivi, di chi organizza le gare. Ho imparato a riconoscere parecchie lacune del nostro movimento, che non produce ricambio. C’è bisogno di un cambiamento profondo. Di ragionare in maniera diversa. Sfruttare i ragazzi che smettono a 22-23 anni perché non hanno i mezzi, però mantengono la passione. Ci lamentiamo perché non andiamo a fare reclutamento nelle scuole, ma se in questi giorni si guardano le persone che partecipano alle assemblee regionali, si vede che l’età media è molto alta. Siamo bloccati e non riusciamo a superare il modo di fare ciclismo degli ultimi 20 anni, che non funziona più».
Marco Selleri è stato il direttore generale del Giro U23: si candida come vicepresidente federaleMarco Selleri è stato il direttore generale del Giro U23: si candida come vicepresidente federale
Quando qualcuno si candida per la vicepresidenza, cosa fa?
Per il momento non faccio parte di nessuna squadra. Anche se, navigando nei programmi e nella storia delle persone che hanno fatto il ciclismo negli ultimi 10-15 anni, l’unico che a mio avviso possa cambiare qualcosa è Silvio Martinello. Sostengo lui perché vedo che è molto più vicino alle mie idee. Siamo di fronte a sfide importanti come la riscrittura dello statuto federale. Qualcosa per fortuna si sta muovendo nella Lega Ciclismo Professionistico con Roberto Pella, che si è buttato capofitto in questo settore nuovo per lui. E io vedendo tutto questo mi sono chiesto: perché stare sempre alla finestra? Le cose non cambiano da sole. In caso di mancata elezione, nessun problema. Nel caso invece di un esito positivo a mio favore, lavorerò con il Consiglio Federale, dando il massimo come quando si lavorava con Davide Cassani.
Davide ormai non c’è più da un pezzo…
Negli anni in cui rilanciammo il Giro d’Italia U23, con lui era partito un programma ben dettagliato. Era lui che trovava le risorse per portare avanti il Giro e di conseguenza anche noi ci siamo ritirati perché la presenza di Cassani non era più prevista dalla Federazione di Dagnoni. Quel programma è stato sostituito da altre strategie e anche il nostro impegno si è arrestato.
Alla fine del 2021 si è interrotta la collaborazione tra la Federciclismo di Dagnoni e Davide CassaniAlla fine del 2021 si è interrotta la collaborazione tra la Federciclismo di Dagnoni e Davide Cassani
Dici che i giovani non si avvicinano alla politica sportiva: c’è un consiglio che potresti dare al futuro presidente?
I giovani andrebbero innanzitutto inseriti in un contesto completamente diverso da quello che si sta portando avanti. Devono essere formati per parlare con i bambini e fare le stesse cose che si stanno attuando in altri sport, come il tennis o la pallamano. C’è un ragazzo del mio paese, stipendiato dalla Romagna Handball, una squadra di A2 a Mordano, che viene mandato nelle scuole a fare lezioni e appassionare i bambini. Stessa cosa fa Davide Bulzamini, che abita nella stessa zona ed è il capitano della nazionale. Capisco che il ciclismo sia un po’ diverso, però dal punto di vista politico bisogna formare e mettere a libro paga i giovani più volenterosi, perché vadano in giro a raccontare lo sport a ragazzi poco più giovani di loro. Quattro in Romagna, quattro in Lombardia, quattro in Veneto, da una parte bisogna pure cominciare, anche perché le nascite stanno diminuendo ed è ovvio che va fatto un lavoro più profondo. Prima il ciclismo era lo sport numero due in Italia, adesso non lo è più. E a me sinceramente non interessa dire che non abbiamo la squadra WorldTour. Neanche in Slovenia ce l’hanno, eppure qualcosa hanno fatto. Qualcuno è andato a studiarlo? Qualcuno è andato a vedere come lavorano in Inghilterra?
Tu hai qualche conoscenza in questo senso?
Il mondiale di Imola mi ha fatto conoscere in maniera abbastanza profonda le persone dell’Unione Ciclistica Internazionale, dove ho dei rapporti buonissimi. Abbiamo lavorato insieme agli organizzatori del Tour de l’Avenir perché siamo rimasti ovviamente amici con Laurent Bezault e Philippe Colliou, le due persone che mi hanno affiancato a Imola per venti giorni. L’anno scorso mi chiesero se potevano fare qualcosa qui da noi e le conoscenze e la serietà delle persone hanno fatto sì che abbiamo portato il Tour de l’Avenir in Italia e ci tornerà fino al 2027.
Il Tour de l’Avenir 2024 si è chiuso in Italia, sul Colle delle Finestre, con vittorie di Blackmore e BunelIl Tour de l’Avenir 2024 si è chiuso in Italia, sul Colle delle Finestre, con vittorie di Blackmore e Bunel
E’ piuttosto raro che organizzatori diversi collaborino fra loro.
Perché noi siamo un po’ guerrafondai, un popolo spesso invidioso. Anziché lavorare insieme, è sempre una gara. La politica è diventata come il Milan contro la Juve: sempre in lite, con la quasi impossibilità di collaborare davvero. Porto l’esempio del mio vicino di casa, Adriano Amici. Ha ceduto alla Coppa Agostoni la data del Memorial Beghelli, piuttosto di prendere il telefono e telefonarmi, dato che avevamo in ballo il Giro di Romagna. Non si poteva collaborare per tenerle vicine? In qualche modo bisognerebbe essere chiamati a rispondere del capitale che si ha in mano, perché le corse hanno una storia ed è un capitale pure quello. E poi c’è una cosa che ho detto alla riunione del comitato regionale emiliano romagnolo.
Che cosa?
Che sponsor privati non ce ne sono più, quindi ci troviamo spesso a organizzare con soldi pubblici e questo vuol dire avere una base economica solida, perché i soldi pubblici arrivano dopo. Il problema è che nessuno ha costruito qualcosa con l’Istituto per il Credito Sportivo, per immaginare di concedere un fido agli organizzatori che così potrebbero portare avanti le loro corse. Si è preferito far smettere Moreno Argentin, che si trovava in questa stessa posizione e voleva organizzare le sue gare. Avrebbe avuto bisogno di ossigeno, invece si è preferito affossarlo e far sparire la sua corsa. Anche noi abbiamo avuto bisogno, però c’era una gestione federale attenta, che ha trovato il sistema di aiutarci anziché affossarci.
Morgado vince il Giro di Romagna 2024: la corsa è organizzata da Marco Selleri per Extra GiroMorgado vince il Giro di Romagna 2024: la corsa è organizzata da Marco Selleri per Extra Giro
Sei dalla parte di Martinello, hai ricordi evidentemente positivi della gestione Di Rocco, perché non sostenere Lino Secchi che fa parte della stessa storia sportiva?
Perché abbiamo bisogno di ringiovanire, sono già vecchio io. Però ovviamente io sono un romagnolo di sangue caldo, di conseguenza dico quello che penso. Oggigiorno se vuoi andare avanti e sbloccare situazioni devi dire quello che pensi. Possiamo prendere delle persone che abbiano fatto il bene del ciclismo, d’accordo, però attenzione secondo me è davvero necessario cambiare direzione.
Dopo il crescente successo delle ultime due edizioni, c'è curiosità per il prossimo Giro Donne. Però di ufficiale si sa poco e le squadre vogliono sapere
Dopo lo sfogo di Selleri, sul Giro U23 abbiamo chiamato Cassani per capire il suo punto di vista. Si corre troppo e male. E la fretta si porta via i talenti
Ci sono tre punti fra cui, mettendo mano a questo editoriale, la mente continua a rimbalzare. La fine dei mondiali su pista di Ballerup, il pubblico e una canzone degli Stadio del 1988. Saranno in qualche modo collegati? Andiamo con ordine e cerchiamo di capire.
Il miracolo di Villa
L’Italia è un Paese (in cui il ciclismo è) fondato sulla strada, quantomeno nel gusto popolare. Il miracolo di Marco Villa e di chi gestiva la Federazione dopo Londra 2012 fu quello di intravedere le potenzialità di una generazione di pistard e dare fiducia alla cocciutaggine di Viviani. Con il velodromo di Montichiari appena aperto, si iniziò a soffiare su quella brace che nel giro di 12 anni ha portato titoli olimpici e mondiali, con il testimone raccolto dalla successiva gestione che ha agito in continuità con la precedente. Al netto di tutte le considerazioni di merito che si possono fare, senza il lavoro di chi c’era prima, sarebbe toccato ai nuovi partire da zero e oggi magari parleremmo d’altro.
L’Italia è un Paese fondato sulla strada, per cui la scelta di Viviani di puntare così forte sulla pista ha avuto per lui, almeno negli ultimi tre anni, conseguenze sulla carriera da stradista. Vuoi gli anni che passano, vuoi aver lasciato l’infallibile treno della Quick Step, vuoi pure il Covid, il veronese ha visto calare drasticamente la propria quotazione: in termini di punti e di riflesso agli occhi del pubblico che non lo ha più visto lottare per la vittoria. Dall’essere il corridore numero 9 al mondo a fine 2019 con 2.392 punti, Elia chiude il 2024 in 425ª posizione con 212 punti.
Nel 2023 di questi tempi Viviani vinceva a Guangxi. Quest’anno ha puntato sulla pista con l’argento nell’eliminazioneNel 2023 di questi tempi Viviani vinceva a Guangxi. Quest’anno ha puntato sulla pista con l’argento nell’eliminazione
Fra Martinello e Milan
Come lui, sono nel mirino altri nomi di riferimento. Ganna viene messo spesso in discussione per il rendimento nelle classiche, sebbene continui a volare in pista e nelle crono. La necessità di farsi trovare sempre pronto lo ha portato a un 2024 che lo ha lasciato sulle ginocchia. Chi lo gestisce dirà pure che non è vero, ma dovendo accontentare la squadra e la nazionale – per la strada, le crono e la pista – Pippo probabilmente non ha mai raggiunto veramente il top in una specialità o l’altra. L’argento è meglio del bronzo, ma vedere che altri hanno preso gli ori, concentrandosi su una specialità per volta, potrebbe indurre in riflessione. Mentre Milan, fresco di iride nell’inseguimento individuale con tanto di record del mondo, si salva per le sue volate su strada (11 nel 2024).
Silvio Martinello, candidato alla prossima presidenza federale, ha vinto su strada 14 volte in 14 stagioni da professionista. Ha però vinto un oro olimpico e 5 mondiali su pista, convertendosi nel frattempo nell’ultimo uomo di Cipollini. Quello che in qualche misura sta facendo Simone Consonni, che lancia Milan in volata e cerca gloria personale in pista. Martinello però ha sempre goduto di un credito eccezionale e la celebrazione del suo oro olimpico del 1996 è sempre parsa più solenne di quanto accada negli ultimi tempi. Forse l’oro di Viviani a Rio ha avuto un’eco simile, non certo quello del quartetto a Tokyo.
Dopo l’oro di Atlanta nella corsa a punti, per Martinello il bronzo di Sydney nella madison con Villa: la pista è il suo manifestoDopo l’oro di Atlanta nella corsa a punti, per Martinello il bronzo di Sydney nella madison con Villa: la pista è il suo manifesto
Multidisciplina a rischio?
Oggi è diverso e accade qualcosa di insolito. A fronte di stradisti italiani che faticano a farsi vedere, il tifoso italiano non si lega a quelli che vanno forte altrove. La vittoria di Milan al mondiale e il suo record del mondo, che gli ha permesso di battere il primato di Ganna, vale quando un successo di Sinner. Eppure passa sul giornale, il pubblico applaude e il giorno dopo sparisce. Addirittura, sui social ci si chiede quando finiranno i mondiali della pista. Non perché domani ci sia un’altra corsa su strada, ma semplicemente perché non si ha voglia o non si è in grado di seguirli e di conseguenza non si coglie la grandezza dei loro protagonisti.
La conseguenza più immediata di questo è che la multidisciplina, che a fatica si stava facendo largo, piano piano viene rimessa in discussione. E se già avevamo incassato, ad esempio, il ritiro dal cross di De Pretto e Olivo, siamo prossimi a registrare anche quello di Paletti, dopo aver visto mollare Silvia Persico. Casi distinti, ciascuno con la propria motivazione, incluso lo scarso gradimento di certe squadre nei confronti di chi vuole dedicarsi ad altro rispetto alla strada. E’ chiaro che su questo la FCI deve tenere alta l’attenzione, ma un ruolo pedagogico potrebbero averlo anche i media. Il pubblico va in qualche modo abituato, si potrebbe dire persino educato. E qui veniamo alla canzone degli Stadio.
Alfredo Martini ha sempre ribadito la necessità di costruire il futuro guardando avanti e non cercando ponti col passatoAlfredo Martini ha sempre ribadito la necessità di costruire il futuro guardando avanti e non cercando ponti col passato
Chi erano i Beatles
«Chiedi chi erano i Beatles»: questo il suo titolo. Se incontri una ragazzina di 15 anni di età e gli chiedi chi fossero i Beatles – questo in sintesi il testo del brano – lei ti risponderà che non lo sa. Non lo sa perché non conosce la storia, sa a malapena quello che le succede attorno. Non sa di Hiroshima, suo padre le ha detto che quaranta anni fa l’Europa bruciava nel fuoco. Ha la memoria breve dei ragazzi che volano lievi su tutto.
Quando la canzone fu scritta, non c’erano i social, per cui si era quantomeno capaci di ascoltare il racconto di chi sapeva chi fossero i Beatlese si leggevano i giornali. «Voi che li avete girati nei giradischi e gridati – prosegue la canzone come un appello dei ragazzi a chi c’era – voi che li avete ascoltati e aspettati, bruciati e poi scordati. Voi dovete insegnarci con tutte le cose non solo a parole: chi erano mai questi Beatles, ma chi erano mai questi Beatles?».
Oggi l’informazione arriva attraverso canali non convenzionali ma potentissimi e l’assenza dei media diventa ancora più rumorosa. Una volta la presenza dei giornalisti italiani a un mondiale era oceanica, oggi ci conti sulle dita della mano. Alcuni hanno rinunciato al ciclismo, altri lo seguono con mezzi non più competitivi e limitano la loro azione a un pubblico non più giovane.
Pogacar è forte, non parla del passato e si rivolge ai bambini con la freschezza dei suoi 26 anniPogacar è forte, non parla del passato e si rivolge ai bambini con la freschezza dei suoi 26 anni
Il linguaggio dello sport
«Con tutte le cose – dice la canzone – non solo a parole». Non si tratta più di spiegare al pubblico più giovane chi fossero i Beatles, come Pantani oppure Indurain. Alfredo Martini, che non smette di insegnare neanche adesso che non c’è più, diceva che un giovane ha bisogno di sentirsi dire cosa accadrà, non cosa accadeva. Però chi ha l’esperienza di ieri, deve rendere fighi il presente e il futuro. Pretendere di imporre le regole del passato fa crollare il ponte che da sempre unisce le varie epoche dello sport. Mostrare una via alternativa per lo sviluppo ha invece un senso diverso. Occorre una visione. Serve gente competente, nei media e nei palazzi.
La sensazione invece è che si mettano i dischi dei Beatles per non ascoltare la musica del presente. Che è sincopata, dialettale e sghemba, ma è viva e forte. E non retrocede certo in onore della memoria: semplicemente preferisce ignorarla e andare avanti. Il ciclismo si inchina a Pogacar perché è forte, giovane e figo: la FCI in che modo può rendere giovane e attraente la sua proposta? Le società giovanili chiudono perché sono ferme al passato e chi le guida non ha i piedi nel presente né lo sguardo nel futuro. Sta a noi, con garbo e il linguaggio giusto, spiegare al pubblico e ai giovani atleti che le radici, sia pure lontane, fanno parte dello stesso albero. E allora magari scopri che tua figlia è fissata per Geolier, ma quando meno te la aspetti canta parola per parola quella canzone di De André che tu avevi quasi dimenticato.
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Dopo i mondiali pista, una bella intervista con Elia Viviani per capire che cosa significhi fare pista e strada. I consigli a Milan e Ganna. E il suo futuro
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LaSei Giorni di Gand della prossima settimana apre la stagione invernale dei velodromi. E’ un mondo tutto da scoprire, nel quale ci accompagna un vero esperto: Silvio Martinello. Oggi in realtà le Sei Giorni non se la passano benissimo, non c’è più un calendario vero e proprio. Ne sono rimaste poche e l’unica di un certo livello è proprio quella belga, che si terrà dal 14 al 17 novembre. Ma il format resta quello. Divertimento, gare, testa a testa, spettacolo.
Tra presente e passato, il campione olimpico su pista di Atlanta 1996, che di Sei Giorni ne ha vinte 28 (tre più del mitico Nando Terruzzi), ci introduce nei meandri di queste splendide kermesse sul parquet. Si evocano, a volte quasi con un filo di emozione, amici e ricordi.
La pista diventa il mondo per sei giorni e sei notti: lo show è assicuratoAll’interno dell’anello e sugli spatli birra a volontàLa Sei Giorni delle Fiandre Gand è l’evento maggiore. Ci saranno molti campioni e molte campionesse al viaLa pista diventa il mondo per sei giorni e sei notti: lo show è assicuratoAll’interno dell’anello e sugli spatli birra a volontàLa Sei Giorni delle Fiandre Gand è l’evento maggiore del calendario attuale
Gand resiste
«Attualmente – va avanti il padovano – di Sei giorni di livello c’è solo Gand, anche Berlino è stata portata a tre giorni e Rotterdam è stata ridotta. Ci sono sempre degli ottimi corridori, ma non del livello che c’era un volta. Gand è un ambiente caldo. Conosciamo bene la tradizione ciclistica di quelle zone, sia su strada che su pista».
E il motivo per cui le Sei Giorni sono calate è sostanzialmente economico. Non è un motivo di calendario, dovuto magari anche all’avvento della Track Champions League. Villa stesso ci ha detto che avrebbero ancora la loro valenza, ma che manca il tempo per farle.
«Se avessero l’impatto di un tempo i corridori andrebbero alle Sei Giorni e non lì, ve lo assicuro. Marco Villa ha fatto una valutazione tecnica, giustamente. Ma in una sei Giorni non c’è solo l’aspetto agonistico. C’è anche quello del business. Viene da chiedersi perché sia diminuito l’interesse. Io credo per i costi: il solo affitto del velodromo per dieci giorni, tra allestimento, gare e riconsegna, è altissimo.
«Le Sei Giorni più importanti erano tutte o quasi tedesche: Berlino, Monaco, Stoccarda, Brema, Colonia, Dortmund… ognuna aveva una sua peculiarità. A Monaco il pubblico era competente e prevaleva la parte tecnico-agonistica, a Brema quello della festa. Indirettamente hanno pagato i problemi di doping che hanno avuto in Germania all’inizio degli anni 2000 e successivamente la maggiore difficoltà a reperire sponsor(specie dopo la crisi finanziaria del 2008, ndr). Una volta i corridori – e non solo loro – erano molto interessati a parteciparvi, gli ingaggi erano davvero buoni. Lo dico senza problemi».
Il derny, una delle specialità che in una Sei Giorni proprio non può mancareIl derny, una delle specialità che in una Sei Giorni proprio non può mancare
Tutto diverso
E allora oggi chi vedremo in pista? Chi sono e come vengono formate le coppie? Secondo Martinello i metodi con cui vengono allestite le coppie è quello di un tempo, ma cambiano gli interpreti. Una volta c’erano i grandi campioni e gli organizzatori si affidavano a quelli per richiamare il pubblico e rientrare delle spese. Adesso i corridori sono sempre abili, ma hanno un appeal più locale.
«Di grandi coppie attuali – riprende Martinello – non ce ne sono, per il semplice fatto che non ci sono più le Sei Giorni. L’organizzatore pertanto ingaggia gli atleti e forma le coppie secondo criteri tecnici, ma anche di appeal. E allora si punta sull’appeal locale, dai parenti ai tifosi, e in Belgio è ancora buono. In generale oggi si punta più sui giovani e di sicuro vedremo ottime prestazioni. Andranno forte».
Una coppia stellare: Bettini, Zabel due dei nomi alla Sei Giorni di Milano del 2008Oggi le coppie sono rappresentate da atleti giovani, spesso specialisti della pistaMartinello e Villa hanno vinto a Gand nel 1998. Qui invece, sempre a Gand, ma nel 2001Bruno Risi (a sinistra) e Kurt Betschart: due dei più gradi interpreti di tutti i tempi delle Sei GiorniUna coppia stellare: Bettini, Zabel due dei nomi alla Sei Giorni di Milano del 2008Oggi le coppie sono rappresentate da atleti giovani, spesso specialisti della pistaMartinello e Villa hanno vinto a Gand nel 1998. Qui invece, sempre a Gand, ma nel 2001Bruno Risi (a sinistra) e Kurt Betschart: due dei più gradi interpreti di tutti i tempi delle Sei Giorni
Villa e Martinello, indimenticabili
A questo punto si fa un passo indietro. Si parla di vecchie coppie e Martinello sfoggia, ricorda e inanella emozioni. Mostra di fatto che la pista “è casa sua”. Lui e Marco Villa negli anni ’90 soprattutto ci hanno fatto divertire. Chi scrive, per esempio, all’epoca era un adolescente e ricorda la mamma che dall’altra stanza diceva: «Spegni la tv». Ma quelle nottate a godersi i duelli Villa-Martinello contro Risi-Betschart restano indelebili.
«Io e Marco – racconta Martinello – abbiamo rappresentato una bella fetta delle Sei Giorni. E parlano i numeri. Ne abbiamo vinte 16. Prima di noi in Italia c’erano stati Ferdinando Terruzzi e Severino Rigoni, ma parliamo degli anni ’50-’60. Sin lì eravamo sempre rimasti in seconda linea».
«Le Sei Giorni erano in Germania e, soprattutto dopo il mio titolo olimpico, mi chiamavano nelle principali gare tedesche… e non solo. Non essendo tedesco, a volte ho avuto ingaggi importanti anche con altri compagni. Ho corso con il povero Kappes, con Zabel, con Aldag… ».
Due miti in una foto: Eddy Merckx e Patrick SercuDue miti in una foto: Eddy Merckx e Patrick Sercu
C’era persino Merckx
Ma certo i duelli storici erano quelli con gli svizzeri Risi-Betschart, due grandissimi interpreti secondo Silvio. E poi il fatto che erano di madrelingua tedesca li avvicinava molto al pubblico della Germania.
«Fu un dualismo importante, grande. Ci fu anche l’idea di farmi correre con Risi, ma poi non si concretizzò».
Altre coppie del passato sono state formate da stradisti e pistard. Lo stesso Martinello ha corso anche con Bjarne Riis, dopo che aveva vinto il Tour.
In passato, forse, la coppia delle coppie fu Patrick Sercu ed Eddy Merckx, neanche a dirlo: entrambi belgi.
«Ricordo – conclude Martinello – aneddoti divertenti di Sercu quando raccontava le sue Sei Giorni con il Cannibale. Diceva che Merckx voleva fare come su strada. Sapete che in pista basta un giro per vincere? Ebbene, Eddy voleva vincere con minuti di distacco anche sul parquet, non gli bastava “solo” il giro».
Dopo il ritorno trionfale della Tre Giorni di Grenoble e con la Champions League che distoglie atleti e riflettori, la Sei Giorni di Gand lancia la stagione delle notti in pista. L’antica capitale delle Fiandre ospita l’evento dal 1922 (il velodromo di Kuipke è invece del 1927) e basta scorrerne l’albo d’oro per capire che si tratta di una manifestazione al top degli specialisti. L’ultimo italiano ad averla vinta fu Elia Viviani nel 2018, in coppia con Iljio Keisse che proprio quest’anno saluterà il suo velodromo. Andando più indietro, tuttavia, il 1998 salta agli occhi per la vittoria di Silvio Martinello e Marco Villa.
Proprio con il cittì della pista azzurra allora abbiamo voluto riprendere il discorso, partendo da due affermazioni opposte di Elia Viviani e Benjamin Thomas, entrambi grandi specialisti della pista, lanciati verso le Olimpiadi di Parigi. Viviani ha detto di voler correre di più su pista durante l’inverno, ma che le Sei Giorni non gli danno quello di cui ha bisogno, dovendo lavorare soprattutto sull’omnium. Il francese ha detto di volervi prendere parte. A dire il vero, se non fosse caduto nella penultima tappa in Cina, avrebbe corso anche a Gand. In ogni caso, ci ha detto che, avendo disputato soltanto tre madison durante la stagione, la Sei Giorni è quel che serve per riprendere l’occhio e i meccanismi della specialità.
Martinello e Villa hanno vinto a Gand nel 1998. Qui invece, sempre a Gand, ma nel 2001Martinello e Villa hanno vinto a Gand nel 1998. Qui invece, sempre a Gand, ma nel 2001
Caro Marco, le Sei Giorni sono ancora utili per un pistard che svolge attività olimpica?
Dipende dai programmi delle Sei Giorni. Ai miei tempi nel calendario ce n’erano 12, i programmi erano diversi, l’intensità in gara era diversa. Però qualcuna fa sempre comodo, non solo a Benjamin Thomas, ma anche a noi. Stiamo facendo poche madison. Scartezzini e Consonni hanno corso abbastanza assieme. Viviani e Consonni hanno corso pochissimo e mi piacerebbe vederli fare un’americana. Un conto è farla per vincere una medaglia o da coppia che vuole vincere la gara, un conto è allenarsi. Più ne fai, meglio è. A volte essere in testa alla classifica di una Sei Giorni aiuta anche a capire come devi correrla per vincere. Un conto è fare una volata ogni tanto, quando stai bene. Un conto è fare una volata o saltarla perché devi difendere la testa della classifica in caso di qualche attacco. Quando attacca uno che è indietro in classifica, chi è davanti deve andare a prenderlo.
Quindi come valuti il ragionamento di Elia e di Thomas?
Bisogna vedere Elia in che contesto l’ha detto, cosa intendesse. Magari teneva conto anche del fatto di dover chiedere l’autorizzazione alla squadra e, volendo fare anche le Coppe del mondo, magari deve moderare le richieste. Se anche Thomas ha fatto solo tre madison, vuol dire che ha avuto gli stessi problemi di Viviani. Il calendario della pista e l’impegno con la squadra sono notevoli per entrambi.
Hai parlato di Sei Giorni che si corrono a intensità diverse.
E’ vero. L’affinità tecnica della coppia resta, ma è cambiato il modo di correre. La prima cosa che vedo è che prima si usava un rapporto più agile che permettesse di arrivare fino alle due di notte. Adesso ci sono meno gare, si finisce prima e le medie sono più alte. Quindi se prima si parlava di gare intense nel periodo di off season, adesso l’impegno è notevole. Non vai lì a girar le gambe. Si corre con rapporti più lunghi, non è più una corsa a tappe, ma una serie di gare singole, se vogliamo fare l’esempio della strada.
Viviani è stato l’ultimo italiano a conquistare la Sei Giorni di Gand, nel 2018 con KeisseViviani è stato l’ultimo italiano a conquistare la Sei Giorni di Gand, nel 2018 con Keisse
Ti aspetti che qualche specialista andrà a farle?
Dipende dalle esigenze e dal tempo. Vedo ad esempio che Reinhardt sta facendo la Champions League e potrebbe andare a fare le Sei Giorni. Kluge, che è il suo compagno della madison (i due sono campioni europei in carica, ndr), è meno impegnato su strada e credo che adesso anche lui abbia più tempo per la pista. Credo che in genere quelli che non sono nelle squadre WorldTour potrebbero esserci, mentre altri, come ad esempio lo stesso Benjamin Thomas, faranno le Coppe del mondo cercando di farle coincidere con i momenti senza corse su strada.
L’Italia riparte da Noto o prima da Montichiari?
Ufficialmente da Noto, però Montichiari in teoria è disponibile. Ce l’hanno riconsegnata martedìe qualche giorno fa ho fatto girare Lamon e Galli. Lamon perché è rientrato dalle ferie e voleva girare, Galli perché lo porteremo proprio alla Sei Giorni di Gand con gli under 23, dato che ci è stato anche lo scorso anno. Li accompagnerà Masotti, io penso di andare qualche giorno verso la fine, perché prima sarò a Noto.
I francesi andranno in altura sul Teide intorno al 10 dicembre.
Potrebbero avere in testa gli europei (Apeldoorn, Olanda, 10-14 gennaio, ndr), più che la prima Coppa del mondo in Australia (Adelaide, 2 febbraio, ndr) che mi sembra lontana. Noi dobbiamo giostrare le presenze degli atleti che abbiamo a disposizione, cercando di dividere tra chi farà il Tour Down Under e quindi potrà correre la prima Coppa del mondo e chi invece farà gli europei. Dobbiamo unire i programmi della nazionale e quelli delle squadre. Ad esempio la Ineos dovrebbe portare Viviani e Ganna in Australia e lo stesso la Movistar con Manlio Moro. La partenza per il Down Under è negli stessi giorni dell’europeo, quindi loro non ci saranno. Però si fermeranno qualche giorno di più ad Adelaide e la settimana dopo la corsa ci sarà la Coppa del mondo. Non credo invece che ci andranno Milan, che ha corso fino alla Cina, e neppure Consonni, che voleva partire più tranquillo. Quindi loro due potrebbero fare l’europeo.
Kluge e Reinhardt sono i campioni europei in carica della madisonKluge e Reinhardt sono i campioni europei in carica della madison
Con i team è già tutto definito? Ad esempio con la Lidl-Trek visto che Milan e Consonni dal 2024 saranno con loro?
Abbiamo già parlato, Amadio da team manager ha avuto i suoi colloqui con Luca Guercilena, io da tecnico ho già dato il programma a Josu (Josu Larrazabal, responsabile area performance della Lidl-Trek, ndr). Nei giorni scorsi in America stavano sistemando il calendario dei ragazzi, quindi abbiamo anticipato la nostra pianificazione per condividere con loro un programma affidabile, sia per gli uomini, sia per le donne. Lo abbiamo mandato a tutti. Ho messo in evidenza le date in cui ci saranno le convocazioni e dove vorrei tutte le ragazze e i ragazzi. Sono momenti in cui non ci sono impegni su strada, per cui non dovremmo avere problemi.
Manca poco alle Olimpiadi, hai trovato collaborazione?
Molta. Anche le squadre sanno che gli atleti fanno la pista volentieri e le Olimpiadi sono un obiettivo dell’anno più che rispettabile per la loro carriera, senza trascurare gli impegni delle squadre. Si stanno dimostrando tutti collaborativi, ma non avevo dubbi.
Avevamo parlato con Martinello a proposito di Milan dopo la vittoria di San Salvo, prima che di volate ce ne fossero altre e avessimo la possibilità di osservare più da vicino come si muove Johnny nelle mischie del Giro. Dal suo stile, i rapporti, le distanze e le traiettorie, è evidente che il friulano stia scoprendo se stesso. Così siamo tornati da Silvio per riprendere il discorso. Nel commento alla tappa di ieri, nel Giro che sta seguendo ancora per Radio Uno, è venuto fuori che Jonathan deve tanto alla pista, ma non ha fatto le varie specialità di situazione, quindi è inesperto nel prendere posizione e trovare la linea.
«L’inesperienza a questi livelli certamente c’è – spiega Martinello – ma ha tutto il tempo per farsela. E’ vero anche che il suo bagaglio, per quanto riguarda la pista, non includa specialità di situazione, che diventano fondamentali quando non hai un compagno che ti supporti. Ieri da quella curva ai 450 metri è uscito dodicesimo e in frenata, perché si vede dell’elicottero che qualcuno gli è passato all’interno, lui si è impaurito e lo ha lasciato passare. Può capitare anche al più esperto di ritrovarsi chiuso, ma sono convinto che se Milan avesse a disposizione un treno, ne perderebbe poche. Tra quelli che vediamo qui al Giro, non ce ne sono in grado di rimontarlo…».
Dopo la rimonta lunghissima di ieri a Tortona, il secondo posto di Jonathan ha fatto capire la sua grande forzaEppure era uscito 12° dall’ultima curva ed è stato costretto a una volata di 450 metriDopo la rimonta lunghissima di ieri a Tortona, il secondo posto ha fatto capire la sua grande forzaEppure Jonathan era uscito 12° dall’ultima curva e ha fatto una volata di 450 metri
Il problema forse è proprio il treno?
Ora è difficile trovare formazioni che investano sul velocista, come tanti anni fa ha fatto la Saeco con Cipollini e la Fassa Bortolo con Petacchi. Nei Giri si corre con meno uomini e poi i percorsi sono sempre più duri, quindi diventa complicato portare il velocista se hai uno di classifica.
E’ possibile che gli errori nel calcolare le distanze o scegliere il rapporto dipendano dal fatto che a sua volta si sta scoprendo?
Sta prendendo le misure, certo. Sta cercando di capirsi e di conoscersi. E’ molto giovane, in certe situazioni sembra ingenuo. Nella volata di Napoli aveva il 54×13, ma ragazzi… Sei al Giro d’Italia, non è una corsetta. Ed era là che ballava su quel rapportino, invece di spingere. Quella tappa poteva vincerla tranquillamente. Per cui, nel momento in cui avrà inquadrato se stesso, un po’ alla volta limerà questi limiti e diventerà più performante.
Milan fa tutte le volate in piedi, ci sta che arrivi stanco agli ultimi 50 metri?
No, a maggior ragione quando hai certi rapporti. Spingere il 55 non è una passeggiata, quindi devi alzarti sui pedali. Può anche capitare di scomporsi, perché in certi momenti spingi con parti muscolari che normalmente non utilizzeresti. Quello che conta è il risultato, non i fattori con cui ci arrivi. E quando si conoscerà meglio, sarà anche in grado di ricercare la posizione più redditizia.
A Napoli, Jonathan ha sprintato con il 54×13, girando le gambe a una cadenza pazzesca e poco produttivaA Napoli, Jonathan ha sprintato con il 54×13, girando le gambe a una cadenza pazzesca e poco produttiva
Roberto Bressan, che l’ha lanciato al CT Friuli, dice che certe cose avrebbe potuto impararle restando fra gli U23 anche nel 2021…
A Roberto la cosa non è andata mai giù, ma comunque mi sembra abbastanza obiettivo e anche io credo che un anno in più certamente gli sarebbe servito. Però ormai è qua in mezzo a velocisti fortissimi, quella è una pagina chiusa e l’esperienza se la farà tra i professionisti.
L’anno prossimo cambierà squadra.
E io mi auguro, visto che è diventato un pezzo pregiato del mercato, che si facciano per lui le scelte più giuste. Alla sua età guardare il soldo è importante, perché è un professionista, ma sarà importante anche valutare l’ambiente e che abbia a disposizione tutto quello di cui ha bisogno per crescere e vincere.
Quindi inizieresti sin d’ora a cercare il suo ultimo uomo?
L’ultimo uomo e anche il penultimo. Se deve lottare per la posizione, a parte l’episodio di ieri che può capitare a chiunque, spreca energie nervose e fisiche. Insomma, se io gestissi un corridore come Milan e puntassi a fargli avere un discreto ingaggio, lavorerei anche per garantirgli almeno due uomini di una certa levatura. Chiaramente anche quello è un investimento, però magari rinuncio a qualcosa di tasca mia affinché siano contenti loro.
Morkov è l’ultimo uomo di Jakobsen (nella foto) e Merlier: il suo contratto è in scadenzaMorkov è l’ultimo uomo di Jakobsen (nella foto) e Merlier: il suo contratto è in scadenza
Un nome?
Ne butto là uno: Morkov. Se Milan avesse uno come Morkov di volate ne perderebbe poche. Questi sono i ragionamenti che lui magari ancora non può fare e toccano a chi lo gestisce, a Quinziato che mi sembra tutt’altro che sprovveduto. La carriera dura il giusto, gli anni buoni vanno sfruttati a dovere.
Cosa ti pare del Giro finora?
Purtroppo sta pagando le varie infezioni. E’ chiaro che senza Evenepoel e Geoghegan Hart che era in forma strepitosa e molto motivato, perde molto. Vediamo se quelli che sono rimasti possono arrivare integri sino alla fine. Se così sarà, avremo una corsa interessante, perché sia Thomas che Roglic, Almeida e anche il nostro Caruso hanno la possibilità di rendere la corsa interessante e spettacolare.
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