Garosio ringrazia la Biesse e sogna la Eolo

26.10.2022
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Nel marasma della situazione che attanaglia le squadre continental e professional, cadute per alcuni casi in una crisi d’identità, c’è chi come Andrea Garosio ha saputo trovarci un’opportunità e ridimensionare gli obiettivi per poi rilanciarsi in un futuro prossimo che vede sullo sfondo il ritorno in professional. Non è un segreto infatti che il nome del classe ’93 lombardo sia stato accostato alla Eolo-Kometa

Dopo il mancato rinnovo con la Bardiani nel 2021, Garosio ha raccolto il contratto con la Biesse Carrera che seppur continental gli ha dato la possibilità di gareggiare e ritrovare nuove ambizioni e condizione. A febbraio per motivarci la sua scelta ci disse: «Il mio motto è stato: faccio un passo indietro per farne due avanti». E sembra che l’obiettivo finale sia proprio a un passo. Andrea raccontaci…

Andrea Garosio ha militato in questo 2022 nel team continental Biesse Carrera
Andrea Garosio ha militato in questo 2022 nel team continental Biesse Carrera
Finalmente stagione finita, hai messo la bici in garage per un po’?

Da lunedì ho staccato e non toccherò la bici per almeno due settimane. 

Riposo e ferie…

Oggi vado da un mio amico a pranzo, poi mi prenderò del tempo per rilassarmi.

Hai avuto un anno particolare, sei passato da una professional ad una continental. Con tutte le differenze del caso che bilancio fai alla tua stagione?

Direi positivo, perché il mio obiettivo era partire bene e sono riuscito perché ho raggiunto una top ten alla Per Sempre Alfredo. Poi alla Coppi e Bartali sono riuscito a mettermi in mostra con un po’ di fughe e vincendo la maglia degli scalatori. Sono state gare dove c’era tanta qualità come del resto in tante corse che ho disputato. Poi ho fatto il Giro di Sicilia, dove è mancato il risultato, ma ero sempre con i primi. Mi è dispiaciuto un po’ al Giro dell’Appennino che ero davanti con Meintjes e sono caduto in discesa, sennò anche li sarei riuscito a raccogliere qualcosa di buono. La prima parte di stagione che si è chiusa con l’italiano, dove ho concluso con i primi, tutto sommato è andata bene. 

Nella seconda hai sofferto un po’?

Non ho corso molto, ma quando ho avuto l’opportunità sono sempre riuscito ad essere presente con i primi. Anche perché essendo in una continental ci sono state maggiori difficoltà. Poi anche dal punto di vista del calendario, le gare con gli under e con gli elite non potevo farle tutte. Nel finale di stagione forse mi è mancata un po’ di brillantezza. C’è da dire che erano anche corse meno adatte a me. 

Garosio in testa al gruppo quest’anno ha trasmesso un po’ della sua esperienza ai giovani
Garosio in testa al gruppo quest’anno ha trasmesso un po’ della sua esperienza ai giovani
Hai detto che correre in una continental è più difficile, perché?

Perché stare davanti quando ti ritrovi con le WorldTour e nove o dieci professional si fa dura. Quasi impossibile, direi. Si posizionano loro in blocco e di lì non passi. Di conseguenza in salita e nei momenti decisivi, ti ritrovi sempre dietro e in rimonta, spendendo energie in più. Poi i miei compagni essendo più giovani non riuscivano a dare quell’aiuto che una squadra più strutturata sarebbe in grado di garantire. 

Oltre allo stare in gruppo hai subito anche un po’ di condizione fisica in alcuni frangenti?

Mancavano i fuorigiri della gara. Soprattutto perché ho corso poco. Il ritmo che riuscivo a trovare correndo lo perdevo dopo poco, perché tra un appuntamento e l’altro passa molto. Nonostante sia riuscito ad allenarmi bene sempre e a farmi trovare sempre pronto. Dai rilanci, alle frustate e nei momenti importanti o anche banalmente nelle discese, mi sono mancati i colpi di pedale. Sono dettagli tecnici che in allenamento non riesci a replicare. 

La scelta di “scendere” in una Continental che cosa ha rappresentato per te?

Per me è stato un anno tanto complicato. La gente forse non lo sa, ma è stato un inferno. Cominciando dall’inizio quando mi sono ritrovato a cercare da solo squadre e a non trovarle. Mi è pesato il fatto che mentre mi allenavo guardavo il telefono per vedere se qualcuno mi aveva chiamato. Finché non è arrivata la Biesse. Poi è stato difficile mantenere il fisico allenato e correre poco. In più mi sono lasciato con la mia ragazza a inizio anno e anche questo a inciso sull’aspetto mentale. 

Qui il post Instagram di Garosio dove ringrazia la squadra e i diesse
Qui il post Instagram di Garosio dove ringrazia la squadra e i diesse
A livello mentale è stata dura?

Credo che mentalmente, me lo dicono in tanti, sono stato forte nonostante tutte le sfide che ho dovuto affrontare. Sono riuscito nel mio obiettivo di trovare una sistemazione professional per il 2023 e ripartire per una stagione nel ciclismo a cui aspiro. Adesso mi sento davvero meglio rispetto a qualche anno fa. Mi è servito anche per una maturazione mentale che mi tornerà utile in futuro, sia nella mia carriera ciclistica che nella vita di tutti i giorni. 

La Biesse-Carrera che cosa ha rappresentato per te?

Non mi hanno mai fatto mancare nulla nel loro piccolo. Certo non si può confrontare con una professional. Sapevo che ci sarebbero stati dei sacrifici da fare, ma ero pronto. Ne approfitto per ringraziare la squadra, il presidente Roberto Bicelli, e i direttori Milesi e Nicoletti che mi hanno dato questa possibilità. E’ stato davvero bello dal punto di vista umano, perché andavo alle gare senza stress ed eravamo un bel gruppo tra ragazzi e staff. Devo dire che mi dispiace comunque salutare questo team. Correre con i giovani e dare consigli è stato bello

L’obiettivo per il 2023 è tornare in professional e ambire alla vittoria
L’obiettivo per il 2023 è tornare in professional e ambire alla vittoria
Sei al quinto anno di professionismo, 29 anni, cosa ti aspetti a questo punto della tua carriera?

L’obiettivo è quello di riuscire a vincere. Magari il livello delle gare sarà sempre più alto, ma so che con la crescita che ho avuto sia livello fisico che mentale posso ambire a giocarmela. 

Il tuo nome è stato accostato alla Eolo-Kometa per il 2023, senti che potrebbe essere la scelta giusta?

Sì perché ho visto questa squadra crescere in questi anni. Mi sembra una formazione ben strutturata come se fosse una World Tour ma con qualche pressione in meno. Da fuori sembra una delle migliori professional al mondo. Poi ci sono due manager come Ivan Basso e Alberto Contador. Il campione spagnolo è sempre stato il mio idolo fin da piccolo sia perché mi piaceva il suo modo di correre e anche perché è nato il mio stesso giorno

Cosa ti aspetti dalla prossima stagione?

Credo che diesse come Zanatta potrebbero farmi crescere e darmi i mezzi per i miei e loro obiettivi. Vedendo e parlando con miei amici come Fortunato e Maestri che corrono in quel team, ho capito che c’è un ambiente ideale in cui si può lavorare molto bene. 

Faizanè, un sogno chiamato Tour de France

04.04.2022
5 min
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«A Tonelli devo fare un monumento! Sette ore di diretta televisiva, 285 chilometri di fuga alla Milano-Sanremo col nostro marchio sempre ben in vista. Per noi vale più di una vittoria». Musica e parole di Martino Dal Santo (in apertura con Zana, Modolo, Visconti e Fiorelli), patron della Faizanè, azienda vicentina di Zanè che opera nella rivendita di articoli industriali e nella lavorazione di materie plastiche e gomme. Nonché sponsor (e terzo nome) della Bardiani-Csf-Faizanè, appunto.

La ditta veneta è nata nel 1968 ed ha legato il proprio nome al mondo dello sport a partire dal 1980, quando Pietro Dal Santo, il fondatore e padre di Martino, ha iniziato a sponsorizzare il Veloce Club Schio (società ciclistica nata ad inizio del Novecento). L’accordo è durato circa dieci anni, dopo di che la Faizanè (che in origine si chiamava solo F.A.I. come acronimo di Forniture Articoli Industriali) ha collaborato con società di volley, atletica, hockey su pista e calcio prima di tornare in modo graduale nel ciclismo.

Tonelli alla Milano-Sanremo è stato in fuga per 285 chilometri
Tonelli alla Milano-Sanremo è stato in fuga per 285 chilometri

Nel mondo del web

Le lunghe fughe, portate a termine o meno, hanno sempre fatto la storia del ciclismo, ma anche dei marchi degli sponsor. Figurarsi ora poi che il modo di comunicare e mostrarsi al mondo si è allargato con l’avvento di internet, social network ed altre piattaforme. Per questo motivo con Martino Dal Santo abbiamo voluto trattare l’argomento.

Come mai siete tornati al ciclismo?

Piccola premessa. Nel 2017 eravamo sponsor nel retro delle maglie del Vicenza Calcio in serie B. A fine stagione sono retrocessi in C, ma noi volevamo fare qualcosa in grande nel 2018 per i cinquant’anni di attività della azienda e la categoria non ci soddisfaceva. Così, visto che qui in Veneto il ciclismo è pane quotidiano ed io sono molto appassionato, siamo entrati in contatto con la Nippo-Vini Fantini. Abbiamo messo solo il nostro marchio sulle divise. Siccome che ci eravamo trovati bene, abbiamo aumentato il budget l’anno successivo, diventando il terzo nome della squadra. L’incredibile vittoria di Damiano Cima al Giro a Santa Maria di Sala, praticamente vicino a casa nostra, ci aveva ripagato subito.

Nel 2020 siete passati con la Bardiani-Csf.

Sì, siamo stati costretti perché la Nippo ha chiuso. Peccato, c’erano dei progetti. Ma non è stato un problema. Mi sono fatto avanti con i Reverberi, con i quali mi trovo benissimo, e abbiamo trovato l’accordo. Abbiamo anche modificato i colori delle maglie per dare un tocco di rinnovamento. Fino al 2023 saremo con loro, ma da quest’anno abbiamo una collaborazione in più.

Di cosa si tratta?

Abbiamo siglato una sponsorizzazione col Sandrigo Bike Sport Team, formazione che fa attività dai giovanissimi agli junior. Sono molto orgoglioso di questo accordo perché il ciclismo giovanile è fondamentale ed è bello poterlo sostenere. Organizzeremo anche una gara per giovanissimi.

Dopo il 2023 che propositi avete? Potremmo vedervi nell’orbita del WorldTour?

Ho due obiettivi. Il primo è che la nostra azienda cresca e aumenti il fatturato, come normale che sia per un titolare. Infatti stiamo già operando un ampliamento. Il secondo è che voglio fare il Tour de France. Non nascondo che vorrei entrare nella massima serie del ciclismo professionistico, ma capendo prima come procedere. Già nel 2020 avevo avuto un ammiccamento con una squadra WT, ma decisi di non andare fino in fondo. Mi è spiaciuto, forse magari ho fatto un errore però in quel momento dovevo guardare ciò che conveniva di più alla mia azienda.

Quanto vi sta aiutando il ciclismo in termini di visibilità?

Tantissimo. Per la verità dovremmo vincere un po’ di più o comunque fare più risultati. Però con le fughe ci guadagniamo sempre tanto spazio in televisione. Abbiamo un’agenzia di marketing e comunicazione di Torino che ne capisce di ciclismo e ci aiuta a realizzare contenuti sui nostri canali social per ogni gara che facciamo. E’ importante avere un ufficio che sappia ottimizzare il tutto anche quando vinci poco. Ed in questo devo rendere merito e grazie a Francesco Pelosi (ex general manager della Nippo, ndr) che con la sua agenzia ci aveva fatto fare il salto di qualità, ridisegnando anche la grafica del nostro logo.

E’ convinto di aver scelto lo sport giusto con la sua azienda?

Assolutamente sì. Anzi lo suggerisco sempre anche ad amici o colleghi che vogliono investire nello sport con la loro attività. Il ciclismo può dare tanto. Guardate ad esempio Mapei o Lampre, che prima di entrare nel ciclismo le conoscevano in pochi e poi hanno unito il loro nome a grandi successi, sia sportivi che aziendali.

Nei mesi scorsi si vociferava che Cassani e i Reverberi volessero fare una WorldTour italiana. Ci sareste anche voi dietro quel progetto?

C’è stata qualche chiacchierata fra loro, ma io non ho mai partecipato. Personalmente ritengo che fare il salto diretto nel World Tour così presto sia ancora prematuro. L’ideale sarebbe seguire l’esempio della Alpecin-Fenix. Restare professional con un paio di corridori forti che ti garantiscano sempre la partecipazione. Non è semplice da realizzare questa cosa, ma anche così potrei andare al Tour.

Zana, il cambio di programma e le gerarchie del gruppo

29.03.2022
4 min
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Filippo Zana, accento vicentino e voce sfinita, sta tirando il fiato dopo un avvio di stagione piuttosto intenso. Per i suoi 23 anni, questi primi 23 giorni di corsa, fra cui Oman, Gran Camino e Coppi e Bartali, sono un bello zaino da portare. Il tempo di rifiatare, però, e già da sabato sarà sul Teide in vista dell’Amstel. Andrà da solo, dice, poiché lassù troverà il suo preparatore Paolo Artuso.

«Abita a due chilometri da casa mia – racconta e sorride – ma non lo conoscevo. Ci ha presentato Moreno Nicoletti, il mio procuratore e adesso lavoriamo insieme. Mi ha trovato un posto lassù. Mentre forse un altro periodo di altura lo farò dopo il Tour of the Alps, ma sul Pordoi, prima del Giro».

All’Oman con Canaveral e Zoccarato, per Zana 7° posto nella classifica dei giovani
All’Oman con Zoccarato, per Zana 7° posto nella classifica dei giovani

Cambio di programma

Zana, che già nel 2019 aveva vinto il Gp Capodarco in maglia Sangemini, è salito agli onori della cronaca lo scorso anno con il terzo posto al Tour de l’Avenir. Nella Bardiani-CSF-Faizané che punta sui giovani e ha perso Visconti, il suo è uno dei nomi più spendibili. Il programma iniziale prevedeva, nell’ottica di una crescita progressiva, che a questo punto salisse sull’Etna e da lì andasse a giocarsi qualche carta al Giro di Sicilia. Un buon risultato (possibile) sulla strada del Giro d’Italia, sarebbe stato certamente un buon viatico e avrebbe accresciuto in lui la fiducia. Il cambio di programma lo porterà al Tour of the Alps, dove probabilmente le occasioni per mettersi in luce saranno minori.

«Il Tour de l’Avenir – dice – mi ha dato più consapevolezza nei miei mezzi. La squadra punta su di me e non è facile ripagarli, ma io do il massimo in ogni corsa e speriamo di andare forte. Il cambio di programma c’è stato e non nego che al Sicilia avrei trovato tappe e avversari più alla mia portata. Per contro, il Tour of the Alps potrebbe darmi un ottimo stato di forma in vista del Giro. Mi manca non correre per il risultato, ma del resto andare contro le WorldTour è dura, sempre di più. Noi facciamo quel che si può, sperando di stare con i migliori».

Prepotenza WorldTour

Torna un tema messo sul tavolo da Giovanni Visconti al momento di salutare il gruppo: la convivenza con gli squadroni non è per niente facile. Non solo per il notevole divario atletico, ma anche per lo scarso rispetto che viene riservato ai corridori delle professional.

«Far vedere la maglia per noi è importante – ammette – ma se ti metti davanti, vengono e ti tirano via. Si può resistere, ma si tratterebbe di lottare tutto il giorno, sprecando energie che è meglio utilizzare per andar forte. E’ chiaro che correndo davanti soffri di meno, penso soltanto ai rilanci dopo una curva. Sono tutte energie che risparmi e che ti trovi nel finale. Certo, dà fastidio, ma ugualmente ci proviamo a stare davanti. E magari capita anche la volta che ci riusciamo».

Non è facile correre fra le WorldTour: viene sempre qualcuno a reclamare il suo posto
Non è facile correre fra le WorldTour: viene sempre qualcuno a reclamare il suo posto

Una tappa al Giro

Dopo tre anni con Reverberi, anche Filippo dovrebbe approdare in una WorldTour dal prossimo anno: non quella in cui lavora il suo preparatore. Preferisce non fare nomi, tuttavia perché non si pensi che il suo impegno verrà meno.

«Cerco sempre di dare il massimo – precisa – non voglio sedermi. Il posto al Giro d’Italia voglio meritarmelo. Anche quella sarà una bella sfida. Cercheremo di tenere duro, magari non di fare classifica ma di andare in fuga e vincere una tappa. Per la squadra sarebbe il massimo, per me sarebbe un sogno. Ci potrebbe essere l’obiettivo della maglia bianca, provare a vestirla, non so se sarei in grado di portarla a Verona. Ho tante persone che mi seguono, che mi scrivono. Spero di dare qualche soddisfazione anche a loro».

Sarà curioso, quando anche lui correrà fra i grandi, vedere in che modo si muoverà nel gruppo. La strafottenza di spostare un avversario perché corre in una squadra più piccola devi averla in qualche modo dentro. Filippo Zana e il suo accento vicentino trasudano simpatia e umiltà. Forse nel suo caso sarà diverso.

Quindici neopro’ azzurri: Amadori, raccontaceli

23.12.2021
5 min
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Ogni anno, a inizio stagione, arrivano in gruppo i neopro’. C’è chi passa calcando il “red carpet” iniziando la propria avventura nelle squadre WorldTour, gli altri invece iniziano dalle squadre professional. C’è chi lo ritiene il modo migliore di approcciarsi a questo mondo, i team hanno (o dovrebbero avere) più pazienza ed i corridori più chance per mettersi in mostra.

I ragazzi italiani che nel 2022 entreranno nel mondo del professionismo sono 15: tre lo faranno in squadre WorldTour, gli altri con le professional. Si tratta di ragazzi che sono passati sotto la lente di Marino Amadori, per questo ce li facciamo descrivere direttamente da lui.

Baroncini ed Hellenmose, i due correranno insieme con la Trek nella prossima stagione
Baroncini ed Hellenmose, i due correranno insieme con la Trek nella prossima stagione

Parola al cittì

Filippo Baroncini (Trek Segafredo, 2000): «Colui che avrà tutti gli occhi puntati addosso, vista la vittoria al mondiale di Leuven. Anche uno dei tre a passare in una squadra WorldTour. Le aspettative saranno alte, è un ragazzo molto determinato e sicuro di sé. Sarebbe potuto passare pro’ lo scorso anno in una professional, ma ha aspettato la grande chiamata».

Gabriele Benedetti (Drone Hopper, 2000): «Altra maglia importante che però non potrà sfoggiare, quella di campione italiano. Come ha dimostrato nella vittoria al campionato italiano è un attaccante nato, non si tira mai indietro. E’ un po’ discontinuo. Con Savio può lavorare bene e mettersi in mostra in qualche fuga».

Gazzoli si è messo in mostra con ottimi risultati nel 2021, tra cui la vittoria al GP Liberazione
Gazzoli si è conquistato la maglia dell’Astana grazie ad buon 2021

Luca Colnaghi (Bardiani CSF Faizanè, 1999): «Un vincente nato ed una ruota veloce che tiene bene anche in salita, le caratteristiche giuste per un corridore moderno. Ha ottenuto degli ottimi risultati negli under 23 con delle belle vittorie internazionali».

Omar El Gouzi: (Bardiani CSf Faizanè, 1999): «Mi sarebbe piaciuto portarlo con me al Tour de l’Avenir ma una caduta glielo ha impedito. Non è riuscito ad esprimersi sempre ad alti livelli, è uno dei ragazzi che ha bisogno di maturare. Le somme dovremo farle tra un paio d’anni».

Alex Tolio è uno dei nove corridori ingaggiati dal team Bardiani
Alex Tolio è uno dei nove corridori ingaggiati dal team Bardiani

Michele Gazzoli: (Astana Pro Team, 1999): «Il secondo a passare in una squadra World Tour. E’ un predestinato, negli juniores ha fatto molto bene, negli under 23 un po’ meno. L’ho portato al campionato del mondo perché era un percorso adatto a lui, infatti è arrivato quarto. L’Astana è una squadra ambiziosa ma con gente con le sue caratteristiche dai quali imparare».

Martin Marcellusi (Bardiani CSF Faizanè, 2000): «Un finisseur, è un terzo anno, molto talentuoso. Anche lui per varie vicissitudini non è riuscito ad esprimersi al cento per cento. E’ un corridore da côte, da semiclassiche. Con me ha corso il Piccolo Lombardia, dove ha fatto abbastanza bene (undicesimo all’arrivo, ndr)».

Alessio Martinelli (Bardiani CSF Faizanè, 2001): «E’ un secondo anno, come sappiamo la giovane età può essere un’arma a doppio taglio. Ha fatto un bellissimo Giro d’Italia U23 in appoggio ad Ayuso. Nonostante sia un 2001 è molto intelligente tatticamente».

Alessio Nieri (Bardinai CSF Faizanè, 2001): «Uno scalatore nel vero senso della parola, leggero ed agile. Al Giro d’Italia U23 è arrivato settimo nella tappa Aprica-Andalo, rimanendo con i migliori. Ci vuole pazienza nel far crescere ragazzi così giovani, data l’età farà qualche gara internazionale under 23 con la Bardiani».

Luca Rastelli (Bardiani CSF Faizanè, 1999): «Ha fatto una buona stagione, con la nazionale ha corso alla Coppa delle Nazioni. Ha già fatto qualche gara con i pro’ ma senza grandi acuti, ha fatto il passaggio nel momento giusto essendo un quarto anno».

Edoardo Zambanini, Zalf Desiree Fior, Giro d'Italia Under 23, 2020
Edoardo Zambanini al suo primo anno da under 23 ha conquistato la maglia bianca al Giro d’Italia 2020
Edoardo Zambanini, Zalf Desiree Fior, Giro d'Italia Under 23, 2020
Zambanini nel 2020 ha conquistato la maglia bianca al Giro U23

Filippo Ridolfo (Team Novo Disk, 2001): «L’unico che non ho avuto il piacere di vedere da vicino. Corre nel team giusto per lui, quello riservato ad atleti diabetici. Un 2001 anche lui, sarà tutto da scoprire».

Alessandro Santaromita Villa (Bardiani CSF Faizanè, 1999): «Un fondista nel vero senso della parola, le gare under forse per lui erano addirittura troppo corte. Sono curioso di vederlo sulle distanze che gli appartengono».

Manuele Tarozzi (Bardiani CSF Faizanè, 1998): «E’ cresciuto anno dopo anno. E’ molto discontinuo, bisognerà lavorare su questo. Ha dimostrato di essere un’attaccante nato, una dote molto apprezzata nelle squadre professional».

Alessandro Verre, uno dei migliori scalatori, passerà all’Arkea Samsic, dove potrà correre con atleti del calibro di Nairo Quintana
Alessandro Verre, classe 2001 correrà con la maglia dell’Arkea la prossima stagione

Alex Tolio (Bardiani CSF Faizanè, 2000): L’anno prossimo sarà ancora under quindi vale il discorso di Nieri e Martinelli. Ha già fatto delle bellissime gare ed altrettante vittorie. Con la nazionale lo avevo portato alla Settimana Internazionale Coppi e Bartali, stava andando bene ma poi è caduto, è molto determinato e può fare davvero bene».

Alessandro Verre (Arkea Samsic, 2001): «Miglior scalatore under 23 che abbiamo in Italia. Ha fatto un discreto Tour de l’Avenir, è passato nella miglior squadra professional che c’è. Con la possibilità di correre accanto ad uno scalatore vero come Quintana dal quale può imparare tanto. Mi auguro di lavorarci ancora insieme, magari al prossimo Tour de l’Avenir».

Edoardo Zambanini (Bahrain Victorious, 2001): «Terzo corridore a passare in una squadra WorldTour. Negli under 23 ha fatto grandi cose, al primo Giro d’Italia U23, nel 2020 è arrivato decimo nella classifica generale. Quest’anno si è ripetuto, è un atleta che appare sempre nell’ordine d’arrivo e questa cosa le World Tour la notano subito».

WorldTour e professional, un gap sempre più grande

19.03.2021
6 min
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Strade Bianche e Tirreno-Adriatico hanno evidenziato una volta per tutte la grande differenza tra squadre WorldTour e professional. Quando la corsa entra nel vivo davanti restano quasi solo corridori appartenenti alla massima categoria, Van der Poel escluso. 

Con Roberto Reverberi, manager e diesse della Bardiani Csf Faizanè, tra l’altro una delle professional meglio attrezzate sotto ogni punto di vista, ne è emersa un’analisi interessante: certi gap non riguardano tanto (o solo) le squadre, ma anche i corridori.

Roberto Reverberi, classe 1956, è diesse e dirigente della Bardiani
Roberto Reverberi, classe 1956, è diesse e dirigente della Bardiani
Dopo la Strade Bianche eri “contento” perché due dei tuoi corridori erano riusciti a concludere la corsa: una frase che ci ha colpito.

Vero, può sembrare poca cosa, ma non è mica una situazione solo nostra. Alcune squadre WorldTour non lo dicono, ma spesso anche loro hanno corridori che non arrivano davanti o che semplicemente finiscono le gare. Solo che loro investono 25 milioni di euro. C’è da pensare, no? Con quelle cifre, se davanti sono in venti dovrebbero avere due-tre corridori come minimo.

E’ un punto di vista che spesso da fuori si tende a trascurare…

Che poi noi puntiamo soprattutto sui giovani. E ti può capitare il ragazzo che ti arriva davanti, penso a Modolo quarto alla sua prima Sanremo. Più che altro non è una questione di professional e WorldTour.

E di cosa?

Di fatto ci sono 5-6 squadre che vincono tutto e portano via forza al ciclismo. Tutto il resto non fa nulla o quasi. Non tutte hanno le strutture per fare bene in tutte le gare. A loro, come a noi professional, se va bene vincono una tappa in un grande Giro, perché nelle corse di un giorno è più difficile fare il colpaccio. Ma con un investimento ben diverso dal nostro. Per me il ciclismo non può supportare 19 squadre WorldTour. Alcune non ce la fanno. Con la seconda o terza squadra, le scelte secondarie per intenderci, fanno fatica anche nelle corse di secondo livello, dove noi magari andiamo con i nostri migliori atleti. Ci sono team che lo scorso anno a fronte di 21 milioni di euro d’investimento hanno raccolto 7 vittorie e non erano tutte gare di primo livello. Una vittoria gli costava 3 milioni di euro, ne vale la pena? Noi con un budget sei volte inferiore ne abbiamo vinte nove.

E quindi quale potrebbe essere la soluzione?

E’ un ciclismo gonfiato, 19 squadre WorldTour sono troppe. Ognuna deve avere minimo 25 corridori, alcune ne hanno anche 30, e fanno fatica a farli correre tutti. E noi professional, che non abbiamo diritto e certezza di correre, dobbiamo tenerne minimo 20. Perché? Se avessi 8-9 milioni di budget non farei la WorldTour, anche se poi l’Uci mi spingerebbe a farla e di conseguenza a fare sforzi enormi, piuttosto cercherei di prendermi, o se ce l’ho già di tenermi, il corridore buono e con il resto ci faccio una discreta squadra. Punto alla classifica Uci delle professional e se la vinco ho diritto a fare le corse più importanti. E non sarebbe una cosa impossibile, basta vedere la Alpecin Fenix con Van der Poel.

Al Trofeo Laigueglia nel finale si è vista la differenza tra le WT e le altre squadre
Al Trofeo Laigueglia nel finale si è vista la differenza tra le WT e le altre squadre
Dover avere un certo numero di corridori senza certezza del calendario non è facile…

Qualche anno fa, dirigenti dell’Uci ci dissero che “avevamo diritto ad essere invitati”. Cioè diritto a niente, nessuna certezza. Guardate che è una frase molto fine. Per me bisognerebbe ridurre i team WorldTour perché non c’è la qualità sufficiente. Le associazioni dei corridori vogliono assicurarsi il “posto di lavoro”, ma qui siamo nello sport e se non c’è qualità che lavoro assicuri? Se io potessi terrei dieci corridori, ma buoni, e investirei su di loro. Vedete che adesso le grandi squadre schierano tutti capitani? Perché? Perché li devono far correre. Le corse sono poche e ogni volta è un campionato del mondo, basta vedere l’ordine di partenza che c’era a Laigueglia o a Larciano. Quando dico della qualità non lo dico a caso. Facciamo due conti. In tutto, tra WorldTour e professional, le squadre sono 38. Ma in realtà sono di più. Le WorldTour con 30 corridori è come se fossero tre squadre e noi con 20 è come se ne fossimo due. Se si fanno i conti alla fine è come se di squadre ce ne fossero 120-130. E quando riesci a farli correre tutti? Per questo dico che è un discorso di atleti di qualità e non di squadre.

Ho più soldi, prendo i corridori più forti: si può riassumere così. E tornando alla Strade Bianche: la gara senese è stato lo specchio di tutto ciò?

Alla Strade Bianche alla fine ci siamo anche fatti vedere. Siamo stati in fuga e due dei nostri l’hanno finita. Uno come Zana era alla sua prima partecipazione ed è stato un successo dal punto di vista dell’esperienza per lui. E per noi che puntiamo sui giovani è stata una soddisfazione. Poi se si va a vedere, specie con quei tre che hanno dominato, molti team ben attrezzati partivano già battuti in partenza. Voi da fuori guardate chi è più forte rispetto a noi. Ma noi guardiamo anche chi va più piano. E quando vedo che in corsa restano dieci ammiraglie e noi ci siamo mi fa piacere. Prendendo ad esempio sempre la Strade Bianche della situazione, il signor Bardiani mi dice: come mai in quegli otto là davanti non c’era nemmeno uno dei nostri? Io gli rispondo: sai quanto costano quegli otto? Costano 30 milioni di euro. Noi ci facciamo la squadra per dieci anni.

Spesso le WT nelle corse di minor livello, fanno fatica contro le professional
Spesso le WT nelle corse di minor livello, fanno fatica contro le professional
Ma allora da cosa manca? Alla fine anche i ragazzi delle professional hanno due gambe, una bici, due polmoni… perché tanta differenza quando davvero si apre il gas?

A noi non manca nulla, eppure in gruppo qualcuno sfotte. Senza fare nomi, dico che spesso per andare in centro gruppo o per mettersi davanti tra i vari treni se non hai l’uomo giusto che ti introduce non ci vai. L’anno scorso, a Fiorelli per un paio di volte che si è buttato nelle volate al Giro, hanno rotto le scatole. E i velocisti certe manovre le fanno da sempre. Se fosse stato in una WorldTour non avrebbero detto nulla.

Quando i tuoi ragazzi si ritrovano ad affrontare queste grandi corse li vedi più spaventati o più gasati?

Noto che oggi i giovani in generale sono più freddi. Una volta prima di una Sanremo si sentiva proprio la tensione nell’aria. Adesso non so se perché sono proprio più freddi o per qualche altro motivo, ma sembra non colgano la storicità della corsa, la sua grandezza. Sembra quasi la normalità.

E tu cosa gli dici?

La si butta un po’ sullo scherzo e nella riunione gli faccio: ohi, non siamo mica alla corsa della parrocchia! Cavolo, siamo alla Sanremo! Poi chiaramente, cerco di motivarli, gli mostro i punti in cui è necessario stare davanti e altri dove invece possono stare più tranquilli. E quando è così vedo nelle loro facce che è il corridore esperto a sentire ancora la corsa. La sento io che ne ho fatte non so quante di Sanremo. A volte, specie se ho un corridore che può far bene, ancora non ci dormo la notte.