Maurizio Mazzoleni si trova sul Teide. Il capo dei preparatori dell’Astana Qazaqstan è in altura col gruppo del Giro d’Italia. Gianni Moscon invece è a casa. Il trentino della Val di Non domenica scorsa dopo il Giro delle Fiandre, ha chiuso la prima parte della campagna del Nord.
Il suo inizio di stagione è stato davvero in salita. Un peccato, perché le motivazioni in seguito al cambio di squadra erano altissime. Aveva finito alla grande il 2021 con una super quanto sfortunata Roubaix. Poi si è beccato il Covid nel pieno della preparazione e tutto si è incredibilmente complicato.
Maurizio Mazzoleni segue tutti i corridori dell’Astana QazaqstanMaurizio Mazzoleni segue tutti i corridori dell’Astana Qazaqstan
Scorie di pandemia
Lo stesso Mazzoleni, al via di una tappa della Tirreno, ci aveva detto che bisognava gestire al meglio la situazione post Covid. Adesso con lo stesso preparatore facciamo il punto su come sarà gestito il recupero di questo talento.
«Abbiamo optato per una ripresa soft – spiega Mazzoleni – leggendo gli articoli di cronaca vedo che a livello di popolazione ci sono delle complicazioni che negli sportivi sottoposti a stress fisici vengono amplificate. Il fatto che in appena 59 atleti abbiano finito la Parigi-Nizza sia indicativo. Così come che una squadra WorldTour che sia costretta a rinunciare ad una Classica Monumento (la Israel-Premier Tech al Fiandre, ndr). E’ un fatto storico. Inedito.
«Usciamo da una pandemia, i virus classici sembrano avere più forza e le difese immunitarie degli atleti sono più basse. L’insieme di questi tre fattori complica molto le cose».
Nessun allarme quindi per il fatto che Gianni non abbia dato segnali di ripresa neanche nelle corse del Nord, quelle che in teoria sarebbero più congeniali a lui. In Astana lo sapevano, lo sapeva l’atleta. E verrebbe quasi dire che era tutto parte del percorso di rientro soft.
«Nessuno si aspettava questa situazione – continua Mazzoleni – l’uscita dalla pandemia è nuova per tutti. Anche per gli staff medici, non c’è uno storico di riferimento. E’ una situazione di emergenza per le squadre e per gli atleti. Poi c’è chi da segnali di ripresa in tempi più brevi ed chi ha bisogno di più tempo.
«Idem sulla ripresa della condizione. E’ qualcosa di nuovo e si va passo dopo passo. Senza fretta».
Per Gianni di certo non una campagna belga da ricordare. Esserci è stato comunque importantePer Gianni di certo non una campagna belga da ricordare. Esserci è stato comunque importante
Niente fretta
Fretta. Potrebbe essere questo il nemico numero per il ritorno, in grande di Moscon. Ma anche per questa evenienza Mazzoleni e l’Astana hanno le idee chiare. Se non chiarissime. Non forzeranno i tempi.
«Abbiamo le idee molto chiare sulla ripresa di Gianni. Adesso osserverà un periodo di recupero. Un recupero che dovrà essere totale. Successivamente, solo se i parametri fisici e le sensazioni del corridore saranno ideali si procederà al secondo step, il ri-allenamento. E così via per quelli successivi. Si procederà solo se si saranno raggiunti al meglio i livelli e i parametri precedenti».
Quando Mazzoleni parla di ri-allenamento intende la fase di risalita in bici. Una nuova base nella quale non è esclusa neanche la palestra, visto che è un modo per sviluppare la forza. «E’ una progressione di carico ben calibrata e individualizzata. In base ai test, come detto, si procederà allo step successivo. E se tutto andrà regolarmente Gianni farà anche l’altura. In teoria abbiamo già programmato tutto per venire qui sul Teide».
Gianni Moscon (classe 1994) è alla prima stagione alla corte di VinokourovGianni Moscon (classe 1994) è alla prima stagione alla corte di Vinokourov
Verso il Tour
Per fortuna, alla fine, il calendario originario di Moscon non sarà troppo stravolto. Perderà alcune classiche okay (il programma prevedeva anche la Roubaix e qualcosa nelle Ardenne), ma ora quel conta è guardare avanti e farlo con ottimismo.
«Gianni – conclude Mazzoleni – non era previsto per il Giro. Avrebbe dovuto fare le classiche, quindi il collaudato iter: stacco, ripresa, altura, Delfinato e Tour de France. E tutto sommato il tempo gioca dalla sua. Spiace sia andata in questo modo. Nessuno, Gianni per primo, si aspettava un inizio così».
Mentre si corre la Strade Bianche, le classiche sono sempre più nel vivo e un po’ tutti hanno iniziato a correre (salvo Van der Poel e Bernal), ci si chiede a che punto sia la preparazione di Primoz Roglic.
Il campione sloveno rispetto allo scorso anno ha già attaccato il numero sulla schiena. Ha preso parte infatti alla Faun-Ardèche Classic e alla Drome Classic, due corse di un giorno a fine febbraio. Due eventi insoliti per lui e così isolati che chiaramente sono parte integrante della preparazione.
Ed è forse la prima volta che vediamo Roglic andare ad una gara per prepararsi. Ha concluso al 26° posto la prima gara e al 28° la seconda. Non troppo lontano dalla testa.
Mathieu Heijboer è il preparatore che segue Roglic da diversi anni (foto Jumbo-Visma)Mathieu Heijboer è il preparatore che segue Roglic da diversi anni (foto Jumbo-Visma)
Mathieu, quest’anno Primoz ha iniziato la sua stagione un po’ prima del solito. L’anno scorso è partito con la Parigi-Nizza: perché? Vuole un miglior picco di forma in vista delle classiche delle Ardenne?
Volevamo che Primoz facesse una gara per essere più pronto per le prime frenetiche tappe alla Parigi-Nizza (6-13 marzo, ndr). Sebbene l’anno scorso non fosse nei guai, sentiva di aver bisogno di un po’ più di ritmo gara per essere completamente pronto per la Parigi-Nizza, che è sempre molto intensa.
C’è qualcosa che hai cambiato nella sua preparazione?
No, quest’anno non abbiamo cambiato cose significative nei suoi allenamenti. Ha invece iniziato la preparazione di questo 2022 con un livello migliore rispetto al 2021.
Chiaro, l’anno scorso ha avuto un finale di stagione più lineare… Toglici una curiosità: perché Primoz corre a piedi?
E’ sempre stata parte della sua preparazione. Una sua abitudine. Correre, fare jogging o semplicemente una breve passeggiata al mattino presto sono cose che gradisce.
Stare nel gruppo e “farsi tirare” il collo: di questo aveva bisogno Roglic per completare la preparazione invernaleStare nel gruppo e “farsi tirare” il collo: di questo aveva bisogno Roglic per completare la preparazione invernale
Quanto è cresciuto il suo “motore” negli ultimi anni?
E’ difficile definire tutto ciò in numeri, ma posso dire che in termini di potenza Primoz sta ancora migliorando in allenamento. Anche dopo essere stato uno dei migliori corridori del WorldTour per diversi anni.
Tu, Mathieu, segui Primoz da vicino: come fai a sapere quando sta davvero bene?
All’inizio della sua carriera con noi, a volte poteva mostrare segni di insicurezza o di non sentirsi bene. Ma negli ultimi anni sembra essere perfettamente in equilibrio. Primoz è sempre felice di salire e scendere dalla bici. Resta modesto quando vince le gare e al tempo stesso è umile e riconoscente quando i suoi concorrenti sono più forti. Perciò non è molto facile trovare segnali chiari nel suo stato di forma, se sia buono o non buono.
C’è qualche lavoro specifico che non gli piace e qualcuno che invece ama particolarmente?
Non esiste uno specifico che non gli piaccia o un altro che gli piaccia davvero. In generale posso dire che le sessioni intensive, i lavori più duri, non sono i suoi preferiti, tuttavia sa bene che sono necessari. Ma di base gli piace davvero stare in bicicletta. Stare all’aria aperta, nella natura. E quindi per me può mantenere questo livello a lungo.
Roglic è sempre sorridente. Chi lo conosce sa che appena può si “rifugia” in famigliaRoglic (classe 1989) è alla sua 10ª stagione da professionista
E poi la Sanremo…
E’ quindi un fatto l’impenetrabilità di Roglic. A volte anche il suo coach è quasi in difficoltà nell’interpretare il suo stato di forma: chissà come sarebbe difficile il suo lavoro senza i numeri del potenziometro.
Detto ciò, dalla disamina di Heijboer emergono due elementi: l’esigenza di mettere nelle gambe un po’ di ritmo gara e la stato di partenza migliore del 2022.
Apparentemente le due cose sono contrastanti. Se sta meglio, Primoz non avrebbe bisogno di correre, in realtà però bisogna capire che cosa significhi questo stare meglio. E’ più magro? La sua base aerobica è migliore? E’ migliorato nell’esplosività?
Dall’altra parte c’è l’esigenza di allenarsi un po’ di più. Di fatto Roglic va per i 33 anni e rispetto ai suoi principali contender è un “vecchietto”. E si sa che con il passare degli anni bisogna sempre implementare un po’ il volume di lavoro. Correndo di più Primoz mostra grande intelligenza.
Una cosa è certa: Roglic ha puntato il dito sulla Parigi-Nizza, gli altri sono avvertiti. E poi occhio: è inserito nella lista per la Sanremo, corsa che in carriera ha affrontato una sola volta, nel 2017, quando non era il Roglic attuale. Come la vorrà interpretare? Quali scenari tattici si aprono con Van Aert per la Jumbo Visma?
Con l’Omloop Het Nieuwsblad inizia oggi la stagione delle classiche. Da Gent sede della Omloop, appunto, a Liegi saranno due mesi intensi. Un’altalena fra monumenti, grandi corse e corse di un giorno meno importanti che comunque danno prestigio… e gamba. Già, la gamba. Ne servirà tanta. Ma come ci si prepara? Stare in condizione per due mesi non è facile. Non è facile mantenere il famoso picco di forma.
E quest’anno con lo slittamento della Parigi-Roubaix più avanti è ancora più difficile. Gli altri anni di solito, nella prima parte andavano di scena i bestioni da pavé e poi toccava agli assi delle “cotes”. Davide Ballerini che lo scorso anno vinse proprio l’Het Nieuwsblad ha detto che entrerà in gara un po’ più tardi proprio per non perdere energie in vista della Roubaix. La vuole centrare in pieno.
Pino Toni da quest’anno segue la preparazione della Bardiani Csf FaizanèPino Toni da quest’anno segue la preparazione della Bardiani Csf Faizanè
Bisogna allora concentrarsi sul picco di forma. Che nel ciclismo moderno è sempre più importante per fare la differenza. Una differenza sempre più sottile e complicata da cogliere. E lo facciamo con Pino Toni, coach di lungo corso e oggi coordinatore dei preparatori della Bardiani Csf Faizanè.
Pino, prima di tutto: cos’è il picco di forma?
Il picco di forma è quello che ti permette di raggiungere il massimo delle tue prestazioni. Ma dipende da moltissime cose, come l’obiettivo per cui lo si vuol raggiungere. Se è per una prestazione secca, per un giorno… è difficilissimo da cogliere. Tu puoi stilare il tuo programma di avvicinamento, le tue tabelle, ma poi bastano “mezza malattia”, cinque giorni di pioggia che non ti consentono di allenarti al meglio e già si mette tutto in discussione. Quindi non dipende totalmente dal corridore.
E se invece si punta ad un grande Giro?
E’ un po’ più “facile”. Volendo puoi programmare il tuo picco anche durante quelle tre settimane. Puoi costruire la tua condizione durante la corsa. E puoi scegliere: puoi decidere di presentarti alla prima tappa già al top o cercare di arrivare con più energie all’ultima settimana, che solitamente è la più dura e la più decisiva.
Davide Ballerini re dell’Omloop Het Nieuwsblad dello scorso anno vuol dosare al meglio le energie per essere super alla RoubaixBallerini re dell’Het Nieuwsblad dello scorso anno vuol dosare al meglio le energie per essere super alla Roubaix
Però abbiamo visto che in questi ultimi anni a decidere è stata la seconda settimana e non l’ultima. Nella terza spesso i valori sono più livellati. Guardiamo Bernal e Pogacar lo scorso anno…
Perché nella terza controlli: cambiano le tattiche, anche di testa se non ne hai bisogno ti poni in altro modo. E poi se c’è l’occasione di attaccare la devi cogliere, anche se è alla seconda settimana.
Quanto dura la finestra temporale del picco?
Di base direi una settimana o poco più, ma dipende da tante cose. Quanto stai correndo? E’ una corsa a tappe? Perché puoi puntare ad aver un picco super o anche un picco di forma che miri a limitare l’accumulo di fatica. Faccio un esempio: lo scorso anno Damiano Caruso al Giro d’Italia alla terza settimana non era più forte che all’inizio, ma erano gli altri che erano calati. Lui aveva recuperato meglio.
Quindi nel caso di Ballerini tra Fiandre e Roubaix, o per altri corridori magari che puntano alle Ardenne si può essere al top per tutto il periodo che gli interessa?
Sì. Ci sono stati corridori che in otto giorni, da domenica a domenica, hanno vinto grandi classiche. Diciamo che alternando corse di un giorno e il recupero si può arrivare a 15 giorni. In un grande Giro invece, punti ad avere un altro tipo di picco. Un picco che più che alla prestazione miri al recupero. Per esempio imposti una preparazione che prevede una grande base aerobica. Magari hai punte di prestazione leggermente inferiori, ma recuperi meglio. E il recupero è il “Sacro Graal” per chi mira alle corse a tappe.
Gilbert, come Rebellin qualche anno prima, nel 2011 ha vinto Amstel, Freccia (in foto) e Liegi in una settimanaGilbert, come Rebellin qualche anno prima, nel 2011 ha vinto Amstel, Freccia (in foto) e Liegi in una settimana
La tecnologia consente di arrivare al meglio più facilmente oggi…
Sì, ma per me incidono molto anche le motivazioni nel discorso del picco di forma. Alcuni corridori dicono prima del via: questa è la mia corsa. Per tanti motivi: economici, per aspettative del team, per motivi personali… Ricordo nella Vuelta del 2012 che Contador fece fare delle magliette con su scritto: “E’ la mia Vuelta”. E le fece fare all’inizio, non a Madrid. Alberto rientrava dalla squalifica. Era super convinto e motivato. Andò a fare l’Eneco Tour… vi rendete conto: Contador all’Eneco, una corsa in cui non ci azzecca niente… E sì che aveva di fronte il miglior PuritoRodriguez di tutti i tempi.
Quanti picchi si possono fare in una stagione?
Oggi direi non più di due. Ma anche in questo caso dipende da tanti fattori: motivazioni, capacità di recupero, calendario. Se tu, come Ballerini, prevedi un picco in primavera, poi diventa più difficile trovare le stesse motivazioni per il resto della stagione. Pensateci: finiscono le classiche e poi stacchi. E cosa c’è? Il Giro, Il Tour… Non fai il picco per il Lombardia. Il Lombardia non si programma. Al Lombardia si arriva con le energie al lumicino. Poteva programmarlo Bartoli, ma perché aveva grandi motivazioni.
Il secondo picco per il cacciatore di classiche dipende molto dalle caratteristiche del mondiale…
Sì, ma nel mezzo se non ha ambizioni di classifica nei grandi Giri come trovi le motivazioni giuste per lavorare? Perché per raggiungere il picco devi lavorare duramente. Le motivazioni, ripeto, sono fondamentali, soprattutto se nel primo picco hai raccolto i risultati.
Lo scorso anno Caruso emerse nella terza settimana perché era meno affaticato di tanti altriLo scorso anno Caruso emerse nella terza settimana perché era meno affaticato di tanti altri
Perché? Se non hai raccolto quanto pensavi non dovresti essere più motivato, più “arrabbiato”?
Se hai fatto bene sei più sicuro di te stesso e mentalmente al via ti poni in una fascia alta tra i pretendenti.
A livello di numeri qual è il picco che dà più watt?
Non si tratta solo di watt. Il picco è quello stato psicofisico che ti permette di staccare gli altri e non è sempre apprezzabile dagli strumenti. E’ un qualcosa di fisiologico. Da come si è capito, in quei giorni di ottima forma l’organismo reagisce meglio agli sforzi nel suo insieme. Tu, per esempio, puoi fare i tuoi migliori valori sui 20′ in un altro momento ma magari avevi solo svolto il riscaldamento e poi il test. Quando sei nel picco puoi farlo anche dopo 3-4 ore di gara, perché hai l’energia giusta.
Energia giusta…
Sì, perché il picco è una condizione fisiologica. E’ la tua chimica. E’ la tua chimica che ti permette di utilizzare al meglio gli zuccheri per le gambe e per il cervello, hai un’altra attenzione mentale, una certa sicurezza, ti senti forte… la tua chimica è perfetta.
Visconti glielo ha dritto chiaramente: per vincere, spetti di pensare come un velocista. così Filippo Fiorelli è al Sibiu Tour per provare a sbloccarsi
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Appena dopo un exploit le aspettative si alzano e la domanda che tutti si pongono è: riuscirà a mantenerle con gli occhi di tutti puntati addosso? Gli sguardi pesano e quando corri in bici, dove la leggerezza (in tutti i sensi) la fa da padrona, si sentono. Ti curvano la schiena, ti riempiono la mente di domande e a volte rischi di dubitare anche delle tue qualità. E se gli sguardi pesano, le parole di più e anche quelle possono far male. Ne parliamo con Damiano Cunego, uno che di aspettative se ne intende. Gli chiediamo come faranno Colbrelli e Caruso a lavorare serenamente cercando di ripetere la stagione passata.
Caruso e Colbrelli saranno chiamati al difficile compito di ripetere gli ottimi risultati ottenuti nel 2021 (foto Instagram) Caruso e Colbrelli saranno chiamati al difficile compito di ripetere gli ottimi risultati ottenuti nel 2021 (foto Instagram)
Il rapporto con se stessi e gli altri
«La prima cosa che cambia – incalza Damiano Cunego – e che il corridore nota, è la preparazione. L’anno precedente si ha avuto modo di poterla fare con calma preparando gli appuntamenti che più si desideravano. Ora, invece, viene il bello. Forte e consapevole dei risultati fatti il corridore alza l’asticella. Sei tu per primo che hai aspettative più alte su te stesso e quello che hai fatto l’anno precedente lo consideri la base dalla quale ripartire. Poi si aggiungono le aspettative e le pressioni di sponsor e tifosi, alla fine ci sono due ipotesi…».
La prima è quella che anche lavorando bene, con delle ottime sensazioni a livello di numeri, poi arrivi in gara e ti accorgi che ti manca la sicurezza. Non riesci a rendere come l’anno precedente e fai fatica, è la testa che pesa, piena di pensieri. Il cervello lavora il doppio e alla fine la paghi.
La seconda?
E’ quella secondo la quale anche con le pressioni che ti circondano rimani lucido e concentrato. C’è da aggiungere un particolare importante, questa piccola percentuale di corridori che non soffre le pressioni entra nella categoria dei campioni. Che è quella in cui spero rientrino Sonny e Damiano.
Colbrelli farà il suo esordio stagione alla Omloop Het Nieuwsblad sabato 26 febbraio Colbrelli farà il suo esordio stagione alla Omloop Het Nieuwsblad sabato 26 febbraio
Caruso cambia obiettivo, dal Giro al Tour, mentalmente potrebbe essere come ripartire da zero?
Ripartire nella stagione nuova con un nuovo obiettivo aiuta a resettare mentalmente, questa è una giusta chiave di lettura. Alla fine fare una competizione nuova potrebbe porlo ancora in una situazione di vantaggio, nessuno sa cosa aspettarsi da lui lì. E’ anche vero che la squadra gli ha alzato l’asticella, questo vuol dire che crede nelle sue potenzialità. Vedremo cosa succederà.
Al contrario di Sonny che torna subito dove ha vinto, in Belgio.
Per lui non c’erano molte scelte viste anche le sue caratteristiche.
La differenza è anche che lui ha vinto, deve difendere il titolo…
Nelle corse di un giorno hai anche un “obbligo” verso i tifosi, l’organizzazione e gli sponsor. In più una volta vinta hai anche voglia di dimostrare che non lo hai fatto per caso, poi dipende anche dalla mentalità dei corridori. C’è anche chi si sente più sereno e la vittoria non la vede come una pressione ma una carica in più, pensa: «Ho dimostrato di poter vincere una volta, lo posso fare ancora».
Colbrelli e Caruso, il loro 2022 culminerà in estate col Tour, in base alle esigenze di squadra Per Caruso e Colbrelli due approcci differenti alla nuova stagione
Di sicuro in gruppo non passano inosservati.
Lo senti che in corsa hai gli occhi tutti su di te, sia del pubblico che degli avversari. Cambia anche il modo di correre, non puoi nasconderti o tentare di anticipare perchè ora sanno tutti della tua forza e non ti lasciano libertà di azione.
Colbrelli e Caruso hanno avuto questo exploit rispettivamente a 31 e 34 anni che è diverso rispetto ad averlo da giovani.
Mentalmente sono più maturi e questo li potrebbe aiutare. Si dice che superati i 30-32 anni si abbia un calo fisiologico, si ha meno esplosività ma più fondo e scaltrezza. Sai correre meglio e posizionarti nei posti giusti senza sprecare energie.
I social hanno cambiato il rapporto con il pubblico, ora i corridori sono sempre sotto la lente d’ingrandimentoI social hanno cambiato il rapporto con il pubblico, ora i corridori sono sempre sotto la lente d’ingrandimento
Una cosa che è cambiata è anche il rapporto con i tifosi, ora ci sono i social, prima i corridori li vedevi solo alle gare ora sai sempre cosa fanno.
Sei alla mercé di tutti i tifosi: buoni o cattivi, gentili o maleducati. I commenti negativi si cerca di non leggerli ma alla fine quasi ci inciampi. Quelli positivi possono darti più motivazione e alzare il morale oppure metterti ancora più pressione, non è un mondo facile.
Anche la squadra deve cambiare modo di correre?
Sì, anche la squadra deve trovare un modo differente di correre, più di controllo e di presenza. Devi avere i compagni giusti al tuo fianco, soprattutto nei momenti cruciali altrimenti gli avversari ti mettono in mezzo. E’ capitato tante volte che il corridore dovesse vincere la grande corsa ma la squadra non lo ha supportato a dovere.
Girmay vince la terza, ma l'arrivo è scosso dalla caduta di Roglic che perde 2'27" e le chance di giocarsi il Tour. Errore o sfortuna? Medici al lavoro
Recentemente Domenico Pozzovivo ci ha detto che anche lui oggi è molto più legato ai numeri, che è portato sempre più spesso a superare i suoi limiti e che qualche anno fa non c’erano le stesse tecnologie e le stesse metodiche di allenamento. La preparazione, insomma, è cambiata: questo ci vuol dire il “Pozzo” .
E si sapeva. Ma quanto? E in quanto tempo? Quali sono queste tecnologie e metodologie? Il discorso può essere vastissimo, ma al tempo stesso molto sottile, visto che si lavora sempre più di fino, si aggiustano dettagli… Negli ultimi anni c’è stata un’evoluzione, ma non una rivoluzione.
Claudio Cucinotta, classe 1982, è uno dei preparatori dell’Astana QazaqstanClaudio Cucinotta, classe 1982, è uno dei preparatori dell’Astana Qazaqstan
L’avvento del potenziometro
La vera rivoluzione della preparazione c’è stata 10-15 anni fa, come sostiene Claudio Cucinotta, coach dell’Astana Qazaqstan, da quando cioè è arrivato in maniera massiccia il potenziometro. Cerchiamo dunque di capire come si è ulteriormente evoluto il tema dell’allenamento negli ultimi cinque anni, senza andare troppo indietro nel tempo.
«Il misuratore di potenza – dice Cucinotta – c’era già cinque anni fa, ma sicuramente l’analisi dei dati oggi è più accurata. Si dà più importanza ai numeri rispetto a quello che accadeva solo pochi anni fa. In più i giovani, al contrario di Pozzovivo, hanno iniziato ad usare il power meter presto e non in età avanzata. Fino al 2010 il potenziometro non ce lo avevano tutti. Diciamo che ne era in possesso il 50-60% dei ciclisti. Poi la percentuale è cresciuta in modo esponenziale, fino alla totalità.
«I ragazzi giovani ci si allenano da anni, da quando sono juniores se non allievi. Hanno quindi un bel vantaggio in termini di conoscenze (e, aggiungiamo noi, è anche per questo che raggiungono i loro massimi livelli molto prima, ndr). La generazione di Pozzovivo ha iniziato ad usarlo più tardi, ha avuto un periodo di rodaggio prima di sfruttarlo al 100%. Cose che oggi si danno per scontate, prima non lo erano».
«La grande utilità del potenziometro è stata quella di capire veramente ciò che succedeva in gara. Questo descrive il modello prestativo in corsa e mostra veramente ciò di cui ha bisogno l’atleta per prepararsi alla gara. Prima c’era solo il cardio. E potevi sapere: oggi ho fatto 20′ di fuorisoglia, un’ora fra 170 e 180 battiti, 90′ al medio… dico numeri a caso. Ma in realtà la risposta cardiaca è molto più lenta rispetto a quella della potenza. Certe variazioni d’intensità non si vedevano, o comunque si apprezzavano molto meno che guardando la potenza. E lì ci si è accorti che ci sono picchi doppi, tripli rispetto alla potenza di soglia indicata dal cardio».
«E tutto ciò ha inciso tantissimo. Un detto recita: puoi migliorare solo ciò che puoi misurare. Se prima una cosa non la conoscevo, neanche mi ponevo il problema».
Oggi ogni cosa è ponderata. Un porridge (in foto) è fatto con ricette personalizzate stilate in base all’atleta e alle esigenze del momentoOggi ogni cosa è ponderata. Un porridge (in foto) è fatto con ricette personalizzate stilate in base all’atleta e alle esigenze del momento
L’alimentazione
E’ qui che si sono fatti i passi da gigante. E si sono fatti soprattutto negli ultimi anni. «Un’altra cosa che ha inciso moltissimo, anche se non è prettamente il mio campo, è l’alimentazione – continua Cucinotta – E negli ultimi tre anni c’è stato un cambiamento enorme. In tutti i frangenti… non solo in gara».
In effetti oggi il nutrizionista è presente in ogni team. Nessuno ne fa più a meno. Sono importanti per il recupero, per la performance, per il peso… e persino per l’aspetto psicologico, con il cuoco che imbastisce i piatti in un certo modo pensando anche ai colori delle pietanze.
Ma Cucinotta, chiaramente si riferisce soprattutto all’alimentazione in corsa, quella più vicina al preparatore qual è.
«E’ stato appurato che durante la corsa si possono mangiare molti più carboidrati di quelli che si pensava (qui un approfondimento, ndr). E questo consente di andare più forte. Una volta si pensava che il limite fosse 50-60 grammi, invece si può andare ben oltre i 100 grammi. Anche 140-150 grammi… allenandosi a questa pratica».
«Come si allena? Mangiando in allenamento molti più carboidrati a cui si è abituati. Chiaramente serve tempo e non lo si fa dall’oggi al domani. Una, due, tre volte a settimana si simula quel che si mangia e si consuma in gara. Nel giorno in cui magari si fa la distanza nelle tre ore centrali si spinge di più. L’atleta fa i suoi lavori specifici, quelli più intensi. E si sforza d’ingerire 100 e passa grammi di carboidrati per ora. Vale a dire il corrispettivo di tre barrette. Che può essere ripartito in una barretta, un gel e una borraccia con degli zuccheri. Tutto ciò è un bell’incremento per la performance».
Il dischetto sotto la manica e il sensore Supersapiens che rileva la glicemia in tempo reale (foto Twitter). Utilissimo nella preparazioneIl dischetto sotto la manica e il sensore Supersapiens che rileva la glicemia in tempo reale (foto Twitter). Utilissimo nella preparazione
Il Supersapiens
Pozzovivo parlava di metodologie e di tecnologie della preparazione. Oltre al potenziometro una delle trovate più discusse è stato il Supersapiens, il misuratore in tempo reale di glicemia nel sangue, si dice che c’è chi si allena in base al consumo di zuccheri e non della potenza.
«Allenamenti così specifici non ne ho sentiti – riprende Cucinotta – tuttavia il consumo calorico è direttamente proporzionale alla potenza espressa e sapendo quanto si è incamerato si sa quanti carboidrati si bruciano.
«L’utilizzo del Supersapiens non è permesso in gara, tranne che per i ragazzi diabetici, è uno strumento utile per i confini di studio. Aiuta a vedere come reagisce l’organismo di ognuno all’ingerire nutrienti diversi. Però la sua affidabilità non è totale. E’ utile, come era utile il misuratore di potenza quando era appena uscito».
Tenere sotto controllo i watt è fondamentale per certi lavori. Il misuratore di potenza è ormai il pilastro della preparazioneTenere sotto controllo i watt è fondamentale per certi lavori. Il misuratore di potenza è ormai il pilastro della preparazione
Poca base?
Tornando alle metodologie, Cucinotta parla in generale dell’incremento dei lavori più brevi e intensi. Cosa più che appurata ma…
«Una cosa che vedo è che si tende comunque ad andare troppo all’opposto. Qualche scuola di pensiero sottovaluta il lavoro di base aerobico, che comunque è importante. Il ciclismo resta pur sempre uno sport di endurance, visto che le sue gare vanno da 4 ore fino alle 7 ore delle classiche. Ma questo è un mio parere. L’allenamento non è una scienza esatta e non è detto che ciò che faccio io sia sbagliato o giusto. Magari va bene per me, ma non per te. Va bene in questo momento, ma non in quello.
«I lavori a intensità elevata sono aumentati. Come ho detto, si tende a sottovalutare il volume sotto soglia, il ritmo medio o, come dicono gli anglosassoni, la Z3. Mentre 15-20 anni fa si faceva quasi solo il medio, quantomeno era in netta maggioranza.
«Adesso devi saperli mixare nelle giuste quantità. Devi comunque portare avanti i lavori a bassa intensità e quelli ad alta intensità. Il segreto di una buona preparazione è questo. E non è poco. Va valutato caso per caso, atleta per atleta.
Tra gli elementi che stanno influendo di più sulle prestazioni, c’è anche un maggior ricorso alla palestra e ai suoi nuovi metodiTra gli elementi che stanno influendo di più sulle prestazioni, c’è anche un maggior ricorso alla palestra e ai suoi nuovi metodi
Più intermittenti
«Rispetto a cinque anni fa magari si fanno un pochino meno di SFR. Qualcuno dice che peggiorano la performance, per me no. O almeno, se tu le fai per sviluppare la forza massima allora non vanno bene, ma possono essere utili per altro. Di certo, oggi non è l’unico lavoro di forza (ci sono anche le partenze da fermo, più palestra… ndr), come in passato.
«Si fanno più lavori intermittenti ad intensità elevata: 20”, 30”, 40” con tempi di recupero molto brevi. E lo stesso discorso vale per le partenze da fermo. Non che cinque anni fa non c’erano, io le faccio fare da molto più tempo, solo che il livello medio della bontà dell’allenamento è aumentato. Prima certi lavori li facevano in pochi, adesso li fanno tutti».
I numeri hanno cambiato il modo di andare in bicicletta, di allenarsi e di interpretare la gara. Non è solo il power meter con i suoi dati a condizionare le tattiche di gara. Nei numeri della performance è incluso tutto: il recupero, il carico di lavoro nel breve, medio e lungo periodo, il miglioramento, ma anche la flessione prestazionale. Abbiamo interpellato Luca Bianchini, allenatore di fama internazionale che non opera solo nel campo del ciclismo. Bianchini è head coach di MagneticDays, formatore FITRI e professore dell’Università di Roma Scienze Motorie del Foro Italico che collabora direttamente con il CONI.
Il confronto dei test e la sovrapposizione dei numeri, alla base delle valutazioni (foto Mauro Nicita, MagneticDays)Il confronto dei test e la sovrapposizione dei numeri, alla base delle valutazioni (foto Mauro Nicita, MagneticDays)
I numeri hanno cambiato il modo di allenarsi?
Sì, i numeri hanno cambiato lo sport in genere, ma è necessaria una premessa. La fase di cambiamento e di evoluzione risale a 30 anni fa, era il tempo del cardiofrequenzimetro. Poi è arrivato il power meter. C’è stato un periodo dove la tecnologia di lettura dei dati era limitata, non era ottimale e i numeri, talvolta, non trovavano dei riscontri attendibili. Molto è cambiato negli ultimi 7 anni, dove l’affidabilità della tecnologiaha contribuito alla svolta vera e propria. Il segreto sta nella giusta interpretazione dei numeri, perché loro sono apolitici e non hanno religione».
I grafici e le comparative dei numeri hanno permesso di far evolvere il sistema del training, indoor e outdoorI grafici e le comparative dei numeri hanno permesso di far evolvere il training
In un certo senso i numeri sono una chiave di lettura?
I numeri non sono solo quelli del power meter, ma tanti valori messi insieme che arrivano da più parti. C’è la potenza che è uno strumento di valutazione del carico esterno e ci sono i bpm, che si riferiscono al carico interno. Li avevamo quasi dimenticati, ma poi sono stati ripresi, per fortuna e ci aiutano a controllare i carichi di lavoro dell’atleta. Le diverse situazioni devono collimare alla perfezione. Cercando di fare un breve esempio: 200 watt sono 200 watt, ma cambia il modo in cui si ottiene questo numero. E l’intreccio dei vari dati ci aiuta a quantificare nella giusta maniera.
Cosa significa e cosa comporta allenarsi tenendo fede ai numeri?
Quando ci alleniamo dobbiamo sempre considerare le variabili in gioco, che sono diverse e creano situazioni differenti. Paradossalmente la variabile più grande è l’allenatore, che eroga l’allenamento e legge i numeri del training. Il preparatore deve saper leggere anche attraverso i freddi numerie spessoguardare in faccia l’atleta. Nei numeri è racchiusa anche un po’ di psicologia, ci sono le sensazioni e la capacità di fornire dei feedback. Il coach deve stimolare il corridore anche quando il miglioramento non c’è, dopo un periodo di preparazione mirata, situazione che si può verificare, per lo meno a livello numerico.
Luca Bianchini, durante un corso formativo in Sicilia (foto Mauro Nicita, MagneticDays)Luca Bianchini, durante un corso formativo in Sicilia (foto Mauro Nicita, MagneticDays)
Quali sono le cause principali del non miglioramento?
La prima colpa è quella del preparatore che non ha saputo leggere nel modo corretto i dati, i numeri e feedback dell’atleta. Poi ci sono tutte le variabili proprio di chi si allena e la quotidianità è una di queste. E poi ci sono anche quelli che emulano senza avere dei riferimenti precisi e personalizzati. Quelli ad esempio che utilizzano le tabelle di altri atleti.
Come i numeri del training indoor hanno cambiato il modo di allenarsi sulla bicicletta in esterno?
I numeri hanno cambiato prima di tutto il modo di suddividere il training. Il paradosso è che i numeri ci permettono di concentrarci meglio sulle alte e sulle basse intensità. I numeri ci permettono di quantificare il riposo, per fare un esempio. Non esistono solo i watt, ma in questo senso anche il TSS (training stress score), l’IF (intensity factor) e altri campi che troviamo ormai su tutti i devices. Questi sono particolarmente utili per quantificare i carichi di lavoro, soprattutto nel medio e lungo termine. I numeri del training hanno permesso di far entrare l’allenamento specifico indoor nel mondo professionale, a prescindere dalla disciplina. Molte nozioni che vengono utilizzate outdoor, sono state sviluppate proprio grazie ai numeri rilevati indoor.
Alessandro Vanotti collabora con MagneticDays (foto MagneticDays)Alessandro Vanotti collabora con MagneticDays (foto MagneticDays)
Indoor contro outdoor, quali sono le differenze da considerare?
La prima differenza sono i Newton (la torque), controllabile, più affidabile solo in un contesto indoor. Il secondofattore, molto importante è quello ambientale. Questo non condiziona solo la mente, ma anche la biomeccanica e il modo di pedalare. Se è vero che la potenza espressa è sempre quella, il gesto cambia la sua dinamica. Indoor è come se pedalassimo quasi sempre in pianura. All’esterno le variabili sono infinite: il vento, il traffico e le distrazioni, le pendenze della strada che cambiano continuamente. Concettualmente: indoor stimoliamo il corpo ad erogare potenza, in outdoor sta all’abilità dell’atleta saper sfruttare quello che si è costruito al chiuso.
Il Team Beltrami TSA-Tre Colli utilizza il sistema MagneticDays in fase di riscaldamento e per il training indoorIl Team Beltrami TSA-Tre Colli utilizza il sistema MagneticDays
Esiste il pericolo che i numeri condizionino in modo negativo la performance atletica quando siamo in gara?
Sì, il pericolo esiste. Qui entrano in gioco le categorie di atleti, quelli ligi ai numeri e quelli che invece pensano solo alla gara senza curarsi dei range prestativi ottimali. Quindi possiamo dire che il pericolo di finirsi in gara esiste, ma è relativo. Il pericolo più grande è quello di sovraccaricare, oppure lavorare al di sotto delle potenzialità in allenamento. In gara non ci si inventa nulla e si mette in pratica quello che il tuo fisico ha metabolizzato e prodotto durante il training.
Pascal Ackermann approda al UAE Team Emirates. Abbiamo chiesto a Giuseppe Archetti, meccanico della squadra, in che maniera viene scelta la sella giusta
Tutti i corridori che abbiamo intervistato nell’arco di questo inverno ci hanno detto di aver incrementato l’allenamento in palestra. Non solo, ma molti, e non necessariamente i velocisti, ci hanno anche detto di aver intenzione di non mollarla del tutto nel corso della stagione.
Che si andasse verso un cambiamento era chiaro in questi anni, ma questa svolta è alquanto decisa. Ne parliamo con Marco Compri, che fa parte dello staff Performance della FCI e lavora trasversalmente con tutte le squadre nazionali.
Marco Compri ha seguito il raduno di BMX della nazionale che si è tenuto qualche giorno fa a PadovaMarco Compri ha seguito il raduno di BMX della nazionale che si è tenuto qualche giorno fa a Padova
Marco, cosa succede dunque?
Forse sta cambiando la cultura dell’allenamento. Quando si parla di preparazione, non c’è più solo la dimensione dell’aspetto metabolico, ma il comparto della forza assume maggiore rilevanza. E questo vale tanto più quando un atleta ha un certo tipo di fibre muscolari e può esaltare le sue qualità..
Altre idee insomma…
Più che altre idee è che non si può lavorare su ciò che non si è, ma si preferisce esaltare appunto le qualità che già si hanno. Ecco allora che sempre più atleti si avvicinano e danno continuità al lavoro sulla forza in palestra. L’idea prevalente, in particolare negli stradisti, è ancora quella di allenarsi eseguendo tante ripetizioni: poche serie e basso carico. Il che può inizialmente andar bene, ma si deve essere consapevoli che in questo modo alla fine si allena sempre la resistenza, non certo la forza massima. Lo step successivo, pertanto, è quello di pensare: faccio palestra per allenare ciò che non posso fare in bici: la forza massima, che condiziona tutte le altre qualità di forza.
In tanti ci hanno parlato dei richiami anche nel corso della stagione agonistica. Come faranno?
Facciamo un distinguo: di che specialità parliamo? Pista endurance? Strada? Velocità su pista? Tutto va contestualizzato… Se l’ambito è la strada allora, alleno la forza come una qualsiasi qualità nel corso della stagione, ma devo fare dei picchi di volume di lavoro.
I balzi con i pesi servono ad accrescere l’esplosività. Ed oggi sembra essere una caratteristica sempre più richiesta. Qui, Jonathan MilanI balzi con i pesi servono ad accrescere l’esplosività. Ed oggi sembra essere una caratteristica sempre più richiesta. Qui, Jonathan Milan
Intendi dei periodi più intensi?
Periodi con maggior volume di lavoro. Si chiama tonnellaggio. Il carico totale di pesi che si solleva durante l’anno. Nel corso dei 12 mesi osservo dei periodi (di carico) in cui devo concentrare il 20% del tonnellaggio. Se, per esempio, ho due picchi di forma, devo prevedere due momenti ad elevato tonnellaggio. Questi sono momenti molto significativi nell’insieme del lavoro di preparazione sulla forza generale (lo stesso accade anche per le altre qualità metaboliche).
E come si effettua questo carico?
È un lavoro aspecifico. Squat, stacchi per fare alcuni esempi o la pressa per chi è meno esperto o meno capace di gestire elevati carichi con esercizi complessi. Si lavora con carichi prossimi ai massimali. Quando invece ci si avvicina alle gare si cerca di lavorare più sull’esplosività. Anche se non sarebbe male fare un richiamo aspecifico con i pesi ad elevato carico oltre a quelli con carico naturale anche nel corso della stagione.
Perché?
Perché anche se sono vicino al top della forma, la forza massima va stimolata. Questo concetto potrebbe anche essere “trascurabile” per un passista e per uno scalatore, ma non per un velocista. Lo sprinter è bene che li riprenda con una certa continuità, altrimenti nell’arco di due mesi c’è un decadimento significativo della forza.
Marco, hai parlato di lavoro aspecifico: cosa intendi?
Per lavoro aspecifico intendo quello che non si fa in bici. Le SFR, le partenze da fermo… sono un lavoro di forza specifico per il ciclista. Mentre sollevare i pesi, fare squat, fare dei balzi… sono un lavoro aspecifico.
Marco Canola alle prese con la pressa. Questo macchinario resta tra i più usati dai ciclistiMarco Canola alle prese con la pressa. Questo macchinario resta tra i più usati dai ciclisti
Come si fa a fare palestra durante l’anno tra una gara e l’altra?
Come detto, chi non è un velocista durante l’anno può fare dello squat a carico naturale eseguendo esercizi quali i balzi, pistols o squat jump, ma uno sprinter no. Lui lavora ancora con l’80% del massimale, anche se riduce un po’ il tonnellaggio (lo ricordiamo, il totale dei chili sollevati, ndr). Questa soluzione per me può andare bene anche per il passista e lo scalatore. E questi richiami andrebbero fatti due volte a settimana.
Due volte? Ma non è tanto nel pieno della stagione?
Perché è tanto? Se un atleta lo fa con regolarità da 7-8 anni, se ha dimestichezza con certi volumi di tonnellaggio, non ha problemi. L’importante aumentare il tonnellaggio in certi momenti e ridurlo in altri. E poi secondo voi un lavoro in palestra quanto dura? Non dovrebbe andare oltre i 40’-50′.
Come mai?
Quando si parla di forza bisogna considerare due aspetti: l’allenamento del sistema ormonale e quello del sistema nervoso. Quest’ultimo è quello che si stimola prevalentemente sopra una certa percentuale di carico. Il sistema ormonale invece dopo 40′ va a decadere e il lavoro di forza non è più produttivo. Un body builder per esempio lavora in palestra anche per due ore e mezza, ma va alla ricerca dell’ipertrofia, non la forza. Va alla ricerca di un’estetica muscolare. Mentre al ciclista serve una forza funzionale.
C’è un momento in cui il lavoro massimale in palestra stimola una certa produzione ormonale che massimizza quello stesso lavoro, insomma. E anche alla luce di tutto ciò cosa ne pensi della trasformazione? Perché quello che sembrava un dogma, non è più così. Abbiamo sentito chi, dopo la palestra, non usciva in bici o faceva i rulli…
Dipende molto dalla storia dell’atleta. A mio avviso è molto efficace fare la palestra prima (lavoro aspecifico) e poi continuare con la forza massima in bici (lavoro specifico). L’uscita in bici a seguire è breve e deve includere lavori di partenza da fermo, a bassa velocità o anche lanciati.
I bilancieri però stanno sostituendo proprio la pressa. Qui, Davide CimolaiI bilancieri però stanno sostituendo proprio la pressa. Qui, Davide Cimolai
E in questa uscita non si fanno SFR? Se parli di forza massima…
E’ universalmente riconosciuto che le SFR allenano soprattutto la componente di resistenza. E io preferisco distinguere le due tipologie di forza nell’allenamento: la forza massima in una seduta e la resistenza in un’altra seduta. Quindi dopo la palestra farei volate, partenze da fermo o da bassa velocità… Mentre le SFR le farei in un altro momento, in un altro giorno, magari anticipando il lavoro metabolico al giorno precedente.
Abbiamo parlato principalmente di stradisti, ma un Viviani che deve fare la spola tra pista e strada?
Elia Viviani è un velocista, pertanto anche durante la stagione può andare in palestra due volte alla settimana. E poi va chiarito anche il concetto di settimana. Sarebbe meglio parlare di microciclo, che è il periodo più breve della periodizzazione, piuttosto che di settimana. Il microciclo può coincidere con la settimana, ma non è scontato. Tornando ad Elia, lui fa endurance in pista e non ha grandi problemi a fare due sedute. Un velocista su pista, invece, dovrebbe fare anche tre o quattro sedute in palestra nell’arco del microciclo.
Ma è vero che si fanno dei richiami anche durante un grande Giro o è una leggenda metropolitana?
Durante no. Io almeno non l’ho mai sentito. Durante un grande Giro d’Italia si fa una fatica importante, ma forse potrebbe esserci un aspetto da valutare per i velocisti. In una corsa a tappe di tre settimane diventa esponenziale la richiesta di resistenza e questa fa appiattire l’esplosività. Se il velocista ne sente il bisogno, qualche balzo a carico naturale o un qualcosa che sia meno stressante dal punto di vista dell’impegno nervoso/ormonale, può farlo. E poi dipende ancora dall’obiettivo del velocista di cui parliamo. E’ uno che va a casa dopo una settimana? E’ uno che punta alla volata finale dell’ultima tappa? Nel primo caso non c’è nessun problema, nel secondo è un pò da valutare. Alla fine se dovesse fare dei balzi si tratterebbe di un impegno breve. Ma certo non è facile.
Il passaggio dalla categoria juniores a quella under 23 è delicato, ci si confronta con ragazzi più grandi e competitivi. Alle difficoltà agonistiche si aggiunge che i ragazzi che affrontano il primo anno di under 23 sono alla fine del loro percorso scolastico. Scuola che, com’è giusto che sia, viene messa in primo piano rispetto all’attività agonistica. Ma come fanno i team ad organizzare gli allenamenti nel periodo scolastico?
«Gianni Faresin ha previsto tabelle specifiche di allenamenti e gare per noi che andiamo ancora a scuola – ci ha detto giorni fa Alberto Bruttomesso – d’altronde loro vogliono che prima pensiamo ad andare bene lì, poi dopo gli esami mi concentrerò solo sulla bici».
Edoardo Faresin si è spinto addirittura oltre e dopo essersi diplomato si è laureato in ingegneria biomedica. Edoardo Faresin si è laureato in ingegneria biomedica.
Fino ad inizio giugno i ragazzi vanno a scuola, come si organizza l’attività?
Innanzitutto bisogna scindere fra inverno e primavera. In inverno gli allenamenti sono più brevi visto che le giornate sono molto corte, generalmente alle 16,30 è già buio. Appena le giornate si allungano si può iniziare a lavorare in maniera più profonda.
E per dicembre e gennaio i ragazzi come lavorano?
La maggior parte di loro frequenta istituti tecnici o professionali quindi escono molto tardi da scuola, alle 14 o 14,30. Avendo a disposizione solamente un paio d’ore per l’allenamento si fanno lavori specifici. Il “lungo” lo si fa la domenica mattina.
Al secondo ritiro della Zalf a Castelfranco è intervenuto anche il cittì Amadori (foto Scanferla)Al secondo ritiro della Zalf a Castelfranco è intervenuto anche il cittì Amadori (foto Scanferla)
E con il clima rigido delle vostre parti come vi relazionate?
Quando c’è brutto tempo si sostituisce il lavoro in settimana con degli allenamenti in palestra o con delle sessioni di spinning. Per fortuna il clima quest’anno è stato più gentile.
E quando iniziano le corse?
Gareggiare è più allenante e quindi la domenica corrono sempre, facendo noi la doppia attività (elite e under 23, ndr) possiamo gestirli nel migliore dei modi. Trattandosi di ragazzi al primo anno di esperienza nella categoria li facciamo correre con gli under. E’ anche una questione mentale…
In che senso?
Se dovessimo mandarli a correre con i pro’ non riuscirebbero nemmeno a finire la corsa e il morale calerebbe.
I ritiri brevi vicino casa sono comodi anche per gli studenti (foto Scanferla)I ritiri brevi vicino casa sono comodi anche per gli studenti (foto Scanferla)
Immaginiamo sia fondamentale che i ragazzi vadano bene a scuola, anche perché hanno la maturità da affrontare.
Sarebbe da irresponsabili non farli concentrare adeguatamente sull’obiettivo scolastico. Per il loro futuro, è giusto che completino il percorso scolastico nel migliore dei modi. Così poi a giugno, quando il calendario si fa più fitto hanno la possibilità di correre e divertirsi.
Sono aumentati i ragazzi che dopo il diploma continuano il percorso scolastico, questo influisce sulla attività?
Se è un percorso universitario che prevede l’obbligo di frequenza non cambia molto rispetto alle superiori, anzi, aumentando il carico di studi diventa più complicato. Se, invece, non c’è l’obbligo di frequenza si tratta solamente di trovare un equilibrio: la mattina ci si allena e il pomeriggio si studia.
Per Gianni Faresin e la Zalf l’impegno scolastico viene prima di quello agonistico Per Gianni Faresin e la Zalf l’impegno scolastico viene prima di quello agonistico
A giugno, finiti gli esami fate un ritiro di squadra?
Sì, lo facciamo in altura. Nei mesi invernali facciamo qualche giorno in corrispondenza delle vacanze e degli impegni scolastici. Di solito facciamo i ritiri nel weekend così tutti i ragazzi possono essere presenti e si inizia a formare il gruppo. Anche se una cosa bisogna dirla…
Cosa?
In alcuni Paesi, che hanno i ragazzi che si affacciano al mondo under 23 hanno già finito il percorso scolastico. Affrontare un primo anno a mente “libera” aiuta nel non subire troppo il cambio di categoria.
Giro d’Italiae Tour de France: è la doppietta che aspetta Giulio Ciccone questa estate. L’abruzzese della Trek-Segafredo quando ci sono nuove sfide, quando c’è da buttare il cuore oltre l’ostacolo non si tira mai indietro e, come sempre, il suo entusiasmo è già alle stelle. Anzi, quasi quasi, ascoltando Josu Larrazabal, il suo preparatore, bisogna frenarlo!
“Cicco” però non viene da un super periodo. La scorsa stagione si era conclusa con il ritiro alla Vuelta a causa dei problemi ad un ginocchio dopo una caduta, sempre in Spagna. E anche per questo la sua sosta è stata più lunga del solito.
L’abruzzese riparte da qui, dal ritiro alla Vuelta 2021: Giulio sa trarre la grinta da momenti difficili L’abruzzese riparte da qui, dal ritiro alla Vuelta 2021: Giulio sa trarre la grinta da momenti difficili
Partenza tranquilla
La sua pausa invernale è stata più lunga del solito. Lui stesso ha detto di aver faticato più degli anni passati a riprendere il ritmo. Ma la stagione è lunga e questo non lo preoccupa. Ciccone ha parlato molto con il suo preparatore Josu Larrazabal e anche con il team manager Luca Guercilena.
«Abbiamo lavorato molto sulla resistenza – ha detto Ciccone – e con Josu abbiamo deciso di rimandare il lavoro di qualità. L’obiettivo è una crescita graduale perché quello che mi aspetta è un calendario molto impegnativo».
Un qualcosa di logico se il Giro e il Tour sono i tuoi obiettivi principali. Eventi da affrontare uno alla volta: prima il Giro e poi il Tour.
«Se iniziassi a pensare già ad entrambe le gare, non riuscirei a lavorare con la giusta serenità. Dopo il Giro traccerò una linea e mi concentrerò sul Tour».
Cicco non fa dichiarazioni specifiche di vittorie, di podi, di questa o quella tappa, ma vuol tornare ai suoi livelli. A rendere al massimo e, chiaramente, anche a vincere.
Josu Larrazabal, tecnico basco della Trek-Segafredo segue la preparazione di Ciccone (foto Jamie L. Forrest)Josu Larrazabal, tecnico basco della Trek-Segafredo segue la preparazione di Ciccone (foto Jamie L. Forrest)
Parola a Larrazabal
Ma tutto ciò lo analizziamo proprio con coach Larrazabal. Ci sono molti aspetti che ci incuriosiscono al riguardo. Come per esempio la scelta di fare Giro e Tour. C’è un progetto di crescita dietro?
«Certo che c’è un progetto di crescita – dice Larrazabal – “Cicco” continua il suo percorso per fare vedere che sta crescendo. Per far vedere che è pronto a nuove sfide. Già nel 2019 quando arrivò in squadra fece Giro e Tour, quindi non è la prima volta, ma quello che cambia è l’approccio. Nel 2019 li fece entrambi in appoggio ad altri corridori, ma con la libertà di andare a caccia di tappe. Ne ha vinta una al Giro e ha fatto secondo in un’altra al Tour dove ha preso la maglia gialla.
«Nel 2020 poi per il Covid, non c’era tempo per fare due grandi Giri. Quella di quest’anno perciò non è una scelta a caso. E lo stesso fu nel 2019 quando arrivò da noi: alla Bardiani Csf Faizanè già aveva tre Giri nelle gambe. Nel 2021, ha fatto due grandi Giri (Giro e Vuelta): in entrambi ha provato a fare classifica ma è dovuto tornare a casa per una caduta».
«Fare due Giri uno dopo l’altro puntando alla classifica è troppo. E si è visto anche con campioni affermati. Con Giro e Vuelta lo puoi fare, con Giro e Tour no. In questo caso puoi fare classifica in uno e puntare alle tappe nell’altro. Il tutto senza limitare il suo fiuto nell’andare alla ricerca delle tappe, visto il suo buon finale e la sua capacità vincente».
Larrazabal ha cercato di tenere tranquillo Cicco negli allenamenti invernali (foto @rossbellphoto)Larrazabal ha cercato di tenere tranquillo Cicco negli allenamenti invernali (foto @rossbellphoto)
Una base solida
Ciccone quindi, come era pronosticabile, cercherà di fare classifica in Italia e sarà un battitore libero in Francia. Ma per questa sfida così corposa, come detto, serve un’ottima base di partenza. Larrazabal ci spiega bene come ha impostato la preparazione invernale.
«Non siamo partiti più piano per resettare il suo motore, ma per lavorare sulle sue parti meno forti. Durante l’inverno si hanno tempi più lunghi per modificare la preparazione. Ciccone, anche per carattere, ha la tendenza di fare ritmi alti, di scattare, di “giocare in bici”…
«Questa è la sua forza durante le gare, ma non è ideale per la preparazione invernale dove si ha invece l’opportunità di fare il contrario, di lavorare sulla base, di aumentare il carico di lavoro a ritmi più bassi. E questo ti permette di migliorare la tua endurance e la tua efficienza per costruirci poi il lavoro specifico successivo. E qui lui si trova a suo agio».
Ciccone si gode ogni uscita in bici… (foto Instagram)Ciccone si gode ogni uscita in bici… (foto Instagram)
Giulio l’indomabile?
Ma questo è un lavoro di lungo corso a quanto pare.
«Abbiamo cercato di farlo sin dal 2019, da quando Giulio è arrivato in Trek-Segafredo. E’ stato motivo di discussione costante durante l’inverno. Giulio faceva fatica ad allenarsi con calma. Ma crescendo ha trovato delle conferme in queste strategie di lavoro vedendone i benefici e finalmente quest’anno ha svolto bene questo lavoro appunto. E siamo sicuri che ci darà dei frutti durante la stagione».
Larrazabal parla con passione. Di sicuro il coach spagnolo ha scoperto quanto sono tosti gli abruzzesi! Ma come lui stesso ha detto, questa cocciutaggine è anche la sua forza. In fin dei conti il motore c’è. Eccome…
«Il motore di Cicco è da scalatore top – afferma Larrazabal – ha un alto consumo di ossigeno e una soglia elevata. Lasua soglia si trova in una percentuale alta del Vo2 Max (il massimo consumo di ossigeno, ndr) ed è quello che fa la differenza negli sport di endurance».
La sfida con Ballerini al Tour de Provence lo scorso anno. Larrazabal vuole esaltare lo spunto dell’abruzzeseLa sfida con Ballerini al Tour de Provence lo scorso anno. Larrazabal vuole esaltare lo spunto dell’abruzzese
Ma lo spunto veloce…
«La sua caratteristica – riprende il coach spagnolo – è che oltre ad essere uno scalatore potente, ha un bello scatto, un bel finale. Riesce a sviluppare alte velocità che gli permettono di fare un testa a testa con Ballerini come al Tour de Provence, o come battere Hirt in volata a Ponte di Legno, o di duellare con Bernal a Campo Felice.Nel ciclismo di oggi in cui c’è grande parità di livello, avere lo spunto veloce ti consente di fare la differenza e di diventare un corridore speciale».
Infine una bella chiosa da parte di Larrazabal, una chiosa che ci fa incrociare le dita per il Giro d’Italia. Quest’anno con poca crono e tanta salita, l’occasione è d’oro.
«Da un annetto – conclude il tecnico spagnolo – stiamo lavorando molto anche sulla bici da cronoper le classifiche generali. E questo sarà un passaggio importante per la sua crescita. Ma la cosa più importante è riuscire a farlo correre secondo lo stile del suo carattere: vivace, reattivo, appassionato».