Campionati europei 2014, Guadalupe, Elia Viviani, Marco Villa

Villa e Viviani, 15 anni di successi riassunti in 8 minuti

02.11.2025
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Villa e Viviani hanno reinventato la pista italiana a partire dal 2010 e l’hanno portata sul tetto del mondo. E oggi che il veronese ha appeso la bici al chiodo e il tecnico è stato spostato alla strada, si potrebbe pensare che il ciclo si sia concluso. Invece la loro eredità è viva più che mai. Villa è passato alla strada, ma pochi giorni fa ha guidato le ragazze all’oro del quartetto. E Viviani, che si sta godendo le vacanze in Colombia, sembra lanciato verso un ruolo di primo piano in nazionale. 

Chi meglio di Villa può dunque raccontare che cosa abbia significato Viviani per la pista azzurra? Per questo lo abbiamo… sequestrato per quasi un’ora fra racconti e aneddoti, che successivamente abbiamo dovuto asciugare per non tenere anche voi così a lungo davanti allo schermo (in apertura i due sono in Guadalupe per gli europei del 2014).

Quando è stata la prima volta che hai scoperto l’esistenza di Elia Viviani?

Correvo ancora e ricordo il nome di questo ragazzino che correva e vinceva facilmente nella sua categoria. Mi pare che ci siamo anche incrociati in una gara a Aigle, lui portato lassù da Chemello, il tecnico regionale, che me lo presentò. Dopo me lo sono ritrovato quando ero collaboratore di Colinelli e ho cominciato a conoscerlo. Aveva già le idee precise e la predisposizione a programmare, a mettere tutto in fila: appuntamenti, progetti, ambizioni.

Le Olimpiadi di Londra 2012 furono davvero un’avventura come la racconta lui?

Era un progetto in atto, Elia stava inseguendo la qualifica e l’aveva ottenuta. A Londra avevamo un box piccolissimo e i nostri orari di allenamento. Per cui facevamo la nostra parte e poi ci fermavamo a guardare come era organizzata l’Inghilterra, che aveva un box più grande, in cui David Brailsford comandava e dominava, dopo gli anni dell’Australia. E noi eravamo lì a guardarli tutti con un po’ di invidia, ma anche con la voglia di crescere. Sembravano irraggiungibili, qualcosa di inimitabile.

Campionati europei Apeldoorn 2011, Elia Viviani, Marco Villa
E’ il 2011, primo anno di Villa cittì della pista: eccolo con Viviani agli europei di Apeldoorn
Campionati europei Apeldoorn 2011, Elia Viviani, Marco Villa
E’ il 2011, primo anno di Villa cittì della pista: eccolo con Viviani agli europei di Apeldoorn
La pista azzurra era messa così male?

In quel momento arrivavano più i risultati nel femminile, che aveva un budget più alto. Io col maschile facevo fatica a chiedere soldi, perché non facevamo risultati. Per fortuna sono arrivati i primi sponsor. Pinarello ci ha fatto le bici aerodinamiche sull’onda del Record dell’Ora di Wiggins, che non avremmo mai potuto comprare. Avevamo Viviani, Bertazzo, Scartezzini, Consonni, ai tempi c’era Buttazzoni. Un gruppo di ragazzi promettenti, che avevano delle doti. Però andavamo alle Coppe del mondo ed eravamo indietro con tutto, anche nella metodologia.

Era tutto da costruire?

Sono partito copiando gli altri, nessuno mi ha spiegato come dovessimo fare. Passavo più tempo in pista che in hotel, perché dopo l’allenamento mi fermavo a guardare gli altri, che tipo di lavori facessero. Giravo nei box a studiare i materiali, facevo le foto col telefonino per capire qualche aspetto tecnico da chiedere ai nostri partner.

A Londra 2012, Viviani ha 23 anni: corre su strada ed è sesto nell’omnium in pista
A Londra 2012, Viviani ha 23 anni: corre su strada ed è sesto nell’omnium in pista
Qual è stato il ruolo di Viviani in questa fase?

Abbiamo iniziato assieme. Io facevo le mie cose e lui mi dava i suoi feedback. Veniva in pista anche se doveva allenarsi e correre su strada e per questo è stato un esempio. Gli altri lo vedevano fare quel che gli chiedevo e poi vincere su strada e si sentivano più sicuri nel rispondere alle convocazioni e chiedere di andare in Coppa del mondo. C’erano squadre che dicevano di no e loro rispondevano che se lo faceva Viviani e poi vinceva su strada, probabilmente avrebbe fatto bene anche a loro. In questo Elia è stato preziosissimo.

Nella Liquigas in cui correva, il team manager era Amadio che ora ricopre lo stesso ruolo in nazionale…

Alla pista credeva più Amadio dei suoi direttori sportivi. Una volta mi ritrovai in un pranzo organizzato da Lombardi con Paolo Zani, che era il proprietario della squadra. Per i primi dieci minuti, mi mise al muro: «Quindi cosa volete voi della Federazione? Sapete che Viviani lo paghiamo noi?». Allora cominciai a dirgli che il giovedì era venuto in pista e poi la domenica aveva vinto su strada. «Non voglio il merito – gli dissi – però non mi dica che gli ha fatto male. E nel frattempo ha fatto secondo al mondiale nello scratch». Alla fine sono riuscito ad ammorbidire anche una persona di grande temperamento come Zani. Ma devo dire che senza i risultati di Elia, nessuno avrebbe capito che la cosa poteva funzionare.

Coppa Bernocchi 2014, Elia Viviani, Filippo Pozzato
Viviani vince su pista e vince su strada: qui alla Bernocchi del 2014
Coppa Bernocchi 2014, Elia Viviani, Filippo Pozzato
Viviani vince su pista e vince su strada: qui alla Bernocchi del 2014
La multidisciplina che funziona…

Che ha reso grandi Van der Poel e Van Aert con il cross e ha reso Viviani il miglior corridore italiano su strada negli anni che preparava le Olimpiadi di Rio e in quelli subito dopo. Non è stato per caso, come non è un caso che Ganna sia uno dei migliori su strada e a crono. E non è un caso che Milan oggi sia uno dei migliori su strada e anche lui viene dalla pista.

Rio 2016 e arriva l’oro di Viviani nell’omnium.

Sapevamo che stava bene, però anche a Londra si era presentato primo all’ultima prova, anche se l’omnium aveva una disposizione diversa e l’ultima prova era il chilometro, che girò tutte le carte. E alla fine da primi che eravamo, ci ritrovammo sesti. Anche a Rio eravamo davanti nell’ultima prova, così quando Elia cadde, mi parve di rivivere la maledizione di Londra. Invece lui ha reagito subito, ha vinto un paio di volate e si è portato in testa. Alla penultima volata aveva la vittoria in tasca e ci siamo goduti gli ultimi dieci giri. Io gli dicevo di stare tranquillo, bastava che non cadesse. E lui mi guardava come per dire: sono in controllo e mi sto godendo gli ultimi giri.

Avete mai litigato?

Abbiamo sempre parlato apertamente, abbiamo sempre avuto le idee quasi uguali e l’idea di lavorare nella stessa direzione. Probabilmente ha sempre seguito quello che gli dicevo perché era in sintonia e si fidava. Litigato mai, solo ai mondiali di Londra prima di Rio, nell’ultima volata sembrò che Cavendish e Gaviria gli avessero fatto il biscotto. Scese di bici, sparì e non l’ho visto per tre ore. Per fortuna c’era Elena (Cecchini, sua moglie, ndr), che è stata per tutto il tempo con lui.

Che cosa era andato a fare?

E’ sparito, è andato giù nei box e poi quando l’ho rivisto mi ha detto. «Ma io a Rio che cosa ci vado a fare se non sono capace di vincere?». Gli risposi che a Rio ci sarebbe venuto e avrebbe corso per vincere. In quel momento una grossa mano la diede ancora Elena. Elia ha sempre avuto attorno le persone giuste, che ha voluto lui per primo. Elena, Lombardi, forse anche io. E vi assicuro che sa scegliere benissimo le persone di cui contornarsi.

Campionati del mondo pista 2016, Londra, Elia Viviani, Fernando Gaviria
Ai mondiali pista del 2016 a Londra, la rivalità tra viviani e Gaviria esplose fortissima
Campionati del mondo pista 2016, Londra, Elia Viviani, Fernando Gaviria
Ai mondiali pista del 2016 a Londra, la rivalità tra viviani e Gaviria esplose fortissima
Pensavi che sarebbe arrivato in Cile con la possibilità di vincere?

Se parliamo di eliminazione e lui ha la gamba, può vincere contro chiunque, perché ha acquisito una tecnica che pochi hanno. Mi sarebbe dispiaciuto se si fosse ritirato, come volevano che facesse quando non trovava la squadra. Invece Elia mi ha sempre detto che avrebbe smesso quando l’avesse deciso lui. E quando ha trovato la Lotto, sin da gennaio ha detto che avrebbe chiuso dopo i mondiali del Cile, provando a vincere un’ultima volta. E’ quello che ho ricordato l’altro giorno quando l’ho visto vincere: un anno fa mi ha detto così e alla fine ce l’ha fatta. Ha dimostrato di saper vincere ancora su strada e ha chiuso con una maglia iridata su pista.

A Tokyo venne l’oro del quartetto: quel è stato il ruolo di Viviani in quel caso?

E’ stato presentissimo e da campione olimpico ha cercato di portare il suo carisma. Di quel quartetto Elia era la riserva e quando capì che pensavo di farlo correre in finale, si è messo di traverso. «Marco – mi ha detto – se vuoi vincere l’oro, devi andare avanti con questi quattro. Non pensare minimamente di mettermi dentro perché mi sono allenato con loro, non mi interessa la medaglia. Mi piacerebbe partecipare, ma il quartetto che può vincere è quello che ci ha portato in finale e ha fatto il record del mondo. Battere la Danimarca sarà difficile, ma i quattro più forti sono loro». Aveva ragione e comunque dopo qualche giorno si è preso anche lui la medaglia di bronzo nell’omnium.

Olimpiadi di Rio 2016, quartetto azzurro in allenamento: Elia Viviani, Omar Bertazzo, Jonathan Milan, Filippo Ganna
A Tokyo 2021, Viviani è riserva del quartetto come Bertazzo: è Elia a chiedere a Villa di far correre i 4 che conquisteranno l’oro
Olimpiadi di Rio 2016, quartetto azzurro in allenamento: Elia Viviani, Omar Bertazzo, Jonathan Milan, Filippo Ganna
A Tokyo 2021, Viviani è riserva del quartetto come Bertazzo: è Elia a chiedere a Villa di far correre i 4 che conquisteranno l’oro
Abbiamo sintetizzato 15 anni di vita insieme in 8 minuti, sarà strano andare a Montichiari e non vedere più Elia Viviani?

Sono sicuro che qualunque incarico avrà, la telefonata me la farà sempre. Anche nel mio ruolo di tecnico della strada, ogni dieci giorni mi chiamava e mi chiedeva come fossi messo e se avessi avuto le risposte che aspettavo. Ci siamo confrontati e mi è sempre stato vicino. Vi confesso che in una tappa della Vuelta non riuscivo a parlare con un corridore e gli ho chiesto di andarci a scambiare due parole per capire come stesse. Mi ha dato una mano anche lì.

Non ci sono figli e figliastri, ma si può dire che Viviani sia stato l’azzurro con cui hai legato di più?

Non si tratta di avere preferenze. Anche perché se doveste chiedere a Ganna la stessa cosa, vi direbbe che anche lui con Elia si confida come se fosse un suo tecnico. E così gli altri. Gli hanno riconosciuto il ruolo che merita e che lui si è costruito negli anni con la sua coerenza, semplicemente essendo… Elia Viviani.

La nuova casa di Garmin premia cinque storie speciali

07.12.2024
5 min
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MILANO – Martedì 3 dicembre Garmin ha celebrato la nona edizione dei suoi Beat Yesterday Awards, un’iniziativa nata nel 2016 per premiare storie e progetti straordinari compiuti da persone comuni. L’edizione di quest’anno merita di essere raccontata, non solo per le storie speciali che abbiamo avuto la fortuna di ascoltare, ma per la location che ha ospitato l’evento. Per l’edizione 2024 dei suoi Beat Yesterday Awards, Garmin ha dato appuntamento presso la sua nuova “casa” di Viale Ghisallo a Milano. Una “casa” che, come ha tenuto a sottolineare Stefano Viganò, Amministratore Delegato di Garmin Italia, è un concentrato di tecnologia e sostenibilità, e dove al centro di tutto c’è il benessere dei dipendenti, la vera forza dell’azienda.

Ogni sala della nuova sede è stata dedicata ad un’impresa sportiva realizzata anche grazie al supporto della tecnologia Garmin. Quella che ha ospitato la premiazione di quest’anno è stata dedicata alla prima ascesa invernale del Nanga Parbat, compiuta da Simone Moro nel 2016.

Giovanna Micol e Maria Vittoria Marchesini con Ruggero Tita e Caterina Banti
Maria Vittoria Marchesini, Giovanna Micol con Ruggero Tita

Con qualche novità

L’edizione di quest’anno dei Beat Yesterday Awards è tornata alla sua formula originale con la serata dedicata esclusivamente al racconto delle storie premiate. Rispetto al passato, per l’edizione di quest’anno Garmin ha però optato per un mix di storie che hanno visto come protagonisti persone comuni e sportivi famosi. 

E’ stato così premiato il team femminile di Luna Rossa che ha conquistato il titolo della Puig Women’s America’s Cup. Una vittoria che ha messo in evidenza l’eccellenza tecnica e tattica del gruppo. La squadra era rappresentata per l’occasione da Maria Vittoria Marchesini e Giovanna Micol.

Federica Gasperi con Mara Navarria e Dalia Dameno
Federica Gasperi con Mara Navarria e Dalia Dameno

Viaggi e Olimpiadi

La seconda storia è stata quella di Roberto Ragazzi, libero professionista che ha affrontato un viaggio di 160 chilometri in Islanda, camminando e trainando delle slitte con gli sci, le tende artiche e tutto l’occorrente per sopravvivere in mezzo al ghiaccio, con condizioni meteo davvero proibitive. Roberto ha affrontato tutto questo per sensibilizzare l’opinione pubblica sullo scioglimento dei ghiacciai e raccogliere fondi per realizzare un acquedotto utile a portare acqua corrente in un villaggio di 1700 persone in Burundi.

La terza storia premiata è stata quella di Francesca Gasperi, che ha attraversato in moto dodici Stati da Imperia a Jedda, in Madagascar, evitando le rotte inaccessibili a causa delle guerre. La meta del suo viaggio è stata raggiungere una zona segnata da grandi difficoltà. Ad accoglierla un missionario davvero speciale, Padre Floriano. Obiettivo del viaggio quello di raccogliere fondi attraverso i social per costruire una strada in grado collegare il villaggio di Padre Floriano con l’ospedale più vicino, distante 80 chilometri.

Dopo Francesca Gasperi ecco Claudio Pellizzeni che, da dipendente di banca, si è riscoperto viaggiatore solitario. Lasciato il posto in banca ha viaggiato 3 anni senza mai prendere aerei e con un budget di 15 euro al giorno. Suo compagno di viaggio il diabete di tipo 1. Per lui il viaggio è stato rinascita e terapia. Oggi Pellizzeni ha un tour operator che vuol far vivere alle persone le stesse emozioni da lui provate nei suoi tanti viaggi in solitaria in giro per il mondo.

La storia che ha chiuso la serata è stata quella di Diego Pettorossi, salito alla ribalta alle recenti Olimpiadi di Parigi. Pettorossi ha 27 anni, è di Bologna e prima delle Olimpiadi lavorava per un’azienda software di San Antonio, in Texas. Qualificato a Parigi 2024, unico atleta non professionista della nazionale Italiana, ha preso due mesi di aspettativa dal suo lavoro proprio per essere presente alle Olimpiadi. Ha mancato la finale per pochi centesimi ma il suo sguardo oggi è già proiettato alle Olimpiadi di Los Angeles 2028.

Claudio Pelizzeni con Alice Bellandi e Nicola Savino
Claudio Pelizzeni con Nicola Savino

Premiano le medaglie di Parigi

La storia di Diego Pettorossi ci porta direttamente a parlare di chi quest’anno ha avuto l’onore di consegnare i Beat Yesterday Awards. Per premiare le imprese straordinarie compite da persone comuni, Garmin ha chiamato alcune tra le medaglie più belle che hanno infiammato l’estate italiana nella storica cornice olimpica di Parigi 2024: Nicolò Martinenghi, medaglia d’oro nei 100 metri a rana, Gabriel Soares, medaglia d’argento nel canottaggio nel doppio pesi leggeri, Ruggero Tita e Caterina Banti, medaglia d’oro con i Nacra 17, Daila Dameno, medaglia di bronzo nell’arco composto alle Paralimpiadi, Alice Bellandi medaglia d’oro nel judo e Mara Navarria medaglia d’oro nella prova a squadre femminile della spada.

Roberto Ragazzi con Lino Zani, conduttore di Linea Bianca

Parola a Garmin

Lasciamo la chiusura al “padrone” della nuova casa di Garmin Italia, Stefano Viganò. 

«Ci piace pensare che i riflettori sul palco del Beat Yesterday non si spengano mai – dice Viganò – che le storie continuino a essere raccontate e che i protagonisti le portino avanti giorno dopo giorno, anche una volta finita la festa. Nove anni di Beat Yesterday non sono solo un traguardo incredibile, rappresentano anche l’impegno che l’azienda mette in campo da nove anni per celebrare lo Sport in ogni sua forma. Ciò che ci accomuna non sono i risultati, le performance, le grandi vittorie o quelle sconfitte che hanno sempre una storia da insegnare».

«Ciò che ci accomuna – conclude – sono i valori che lo sport sa trasmettere: la dedizione, l’impegno, il coraggio, la sfida con sé stessi e con gli altri, la passione e la capacità di non arrendersi mai. Vedere tutto ciò rappresentato sul nostro palco, quest’anno addirittura a Casa nostra, è stata la più bella conclusione di un anno che ha regalato grandi gioie sportive».

Durante la serata di martedì Stefano Viganò ha dichiarato che quella di quest’anno potrebbe essere l’ultima edizione dei Beat Yesterday. Una simpatica “minaccia” che si ripete ogni anno. Nel 2025 c’è però un traguardo da festeggiare, quello delle dieci edizioni. Un traguardo che non può essere mancato. Appuntamento quindi al prossimo anno con altre storie straordinarie realizzate da persone comuni.

Garmin

Mozzato: annata dal doppio volto. L’analisi del veneto

05.11.2024
5 min
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Luca Mozzato è stato uno dei nostri portacolori alle Olimpiadi di Parigi, un bel traguardo per il corridore dell’Arkea-B&B Hotels, che dopo il podio al Fiandre era, ed è, entrato ufficialmente tra i grandi del ciclismo italiano. Tuttavia, proprio dopo i Giochi era lecito attendersi qualcosa di più da lui. Ma non sempre le cose vanno secondo programma.

In questi giorni Mozzato è alle prese con un trasloco. Tra scatoloni, immancabili scorribande da Ikea e mobili da spostare, ci ha raccontato come è andata e, in parte, come andrà la prossima stagione.

Per Mozzato una grande stagione fino a primavera
Per Mozzato una grande stagione fino a primavera
Insomma Luca, se dovessi tracciare un bilancio di questo tuo 2024 ciclistico cosa diresti?

Una stagione dai due volti. Quindi un bilancio molto positivo nella prima parte, fino alle classiche. E dire che non era iniziata benissimo, ma laddove avevamo segnato il cerchio rosso ci sono arrivato bene. L’idea era di andare forte tra marzo e aprile. Poi, anche in virtù del mio modo di correre, non avevo fatto molto. Non sono un tipo che può andare in fuga da solo. Magari cerco di restare nel primo gruppo e poi, a seconda di come va la corsa, cerco di cogliere l’occasione, forte anche del mio spunto veloce.

Chiaro…

Quel che mi è piaciuto è stata la crescita costante che ho avuto in quel periodo. Una crescita che è stata suggellata dal podio al Giro delle Fiandre. Io poi sono sempre stato parecchio legato al risultato. Non sono di quelli che si accontentano di andare forte. Magari preferisco soffrire tutta la gara, restare davanti con uno sforzo grande ma poi cogliere un risultato, piuttosto che stare bene in gara e poi restare con un pugno di mosche in mano.

Dopo le classiche del Nord hai staccato. E ti sei preparato per il Tour e le Olimpiadi. E da qui in poi ti abbiamo visto meno…

Esatto. È stata un’estate impegnativa. Io per primo mi aspettavo di essere più presente e cogliere qualcosa in più. E me lo aspettavo non tanto al Tour, dove ero consapevole che per me sarebbe stato difficile ottenere un risultato, ma per il dopo Tour. Fare la Grande Boucle quest’anno per me era importante, con la partenza dall’Italia e, appunto, le Olimpiadi subito dopo.

Perché era difficile fare di più?

Perché la mia presenza era per stare vicino a Demare e perché dovevo svolgere un certo lavoro in vista delle Olimpiadi. Ma in generale ho fatto più fatica di quel che mi aspettavo. Ho sofferto di più rispetto agli anni precedenti, specie nella terza settimana. Le altre volte, da quella, seppur stanco, ne uscivo con una bella gamba, in crescita. Stavolta invece non è andata così. Un giorno avevo sensazioni positive e un giorno negative. Non è stata una bella situazione.

Dal Tour in poi le cose non sono andate benissimo, ma il veneto non ha mai mollato e forse questo suo troppo insistere è stato l’errore chiave
Dal Tour in poi le cose non sono andate benissimo, ma il veneto non ha mai mollato e forse questo suo troppo insistere è stato l’errore chiave
E questo aspetto ha avuto ripercussioni sulle Olimpiadi?

Sulle Olimpiadi ma anche sul resto: la gamba non era piena e il morale non era alto. Chiaro che a Parigi si sarebbe potuto fare qualcosa di meglio, ma non era facile. Poi io sono uno che ha bisogno di correre per dimostrare quel che ha fatto, quanto ha lavorato. E questa cosa mi ha fatto più danni che bene.

Troppa voglia di fare, ma spiegaci meglio…

Per esempio, dopo Parigi, mi sono impuntato con la squadra per fare il Limousin, gara nella quale in passato ero andato bene. Invece ero a corto di fiato e quella corsa, a conti fatti, è stata la mazzata finale. Sono stato come nella terza settimana del Tour: un giorno mi svegliavo bene e l’altro male. Giusto nel finale di stagione mi sono un po’ ripreso. E infatti la miglior corsa, per sensazioni avute, è stata la Parigi-Tours, l’ultima gara dell’anno. Questo per dire che alla fine non ho mai mollato e ho cercato fino alla fine di fare bene, di riprendermi.

Quali insegnamenti hai dunque ottenuto da questa stagione?

Innanzitutto che non devo esagerare. Che non sono Superman: se non sono al meglio, devo recuperare un po’. E poi che forse devo ascoltare un po’ di più chi mi sta vicino. Penso proprio al Limousin: dovevo ascoltare la squadra che invece mi consigliava di rifiatare in vista del finale di stagione.

Che poi la questione è proprio questa, Luca: davvero ti si è visto poco, specie in relazione a quanto mostrato in primavera…

Sì, sì e ne sono consapevole. Quello solitamente è un periodo buono per me: nelle corse di secondo livello di fine stagione ci sono sempre stato. Stavolta invece ho fatto fatica.

Mozzato si appresta ad affrontare la terza stagione in questo team
Mozzato si appresta ad affrontare la terza stagione in questo team
Complimenti per l’onestà! E invece in squadra come vanno le cose?

Per ora sembra tutto bene. Non navighiamo nell’oro ma tutto procede come gli altri anni. Faremo tre giorni in Bretagna a fine mese con sponsor e fan, poi a dicembre e a gennaio andremo in Spagna per i ritiri, dove prepareremo la stagione cercando di difendere il posto nel WorldTour.

Conosci già il tuo calendario?

Non di preciso, ma più o meno è il solito. Quindi già so che la mia prima parte di stagione si concluderà con la Parigi-Roubaix. Poi non so le corse specifiche, ma più o meno è quello. Da lì in poi, invece, si vedrà.

Ti piacerebbe fare il Giro d’Italia?

Da italiano assolutamente sì, specie perché il Giro non l’ho mai fatto. Tra l’altro, si vocifera ci sia una tappa con arrivo a Vicenza, la mia città.

Scopriamo la Look P24, bici medaglia d’oro nell’Omnium a Parigi

25.09.2024
5 min
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Look P24 è una bici avveniristica in tutto e per tutto. Ha vinto la medaglia d’oro a Parigi grazie a Benjamin Thomas nella prova dell’Omnium, una bici ammirata anche dai brand competitor in questo settore.

E’ difficile paragonare questo mezzo ad altri della stessa categoria e anche per questo motivo Look si conferma un punto di riferimento. Siamo andati nel cuore del progetto a abbiamo chiesto a Romain Simon, responsabile del settore bike di Look.

Benjamin Thomas, medaglia d’oro a Parigi con la P24
Benjamin Thomas, medaglia d’oro a Parigi con la P24
Quanto tempo è stato necessario per sviluppare questa bici?

Look P24 rappresenta il nostro impegno profuso ai massimi livelli e per la categoria top del ciclismo, mi riferisco anche alla ricerca tecnologica. Il ciclismo su pista prevede molte competizioni durante l’anno, ma l’evento più grande si tiene ogni 4 anni. I risultati guidano le nostre scelte per il prossimo sviluppo e partiamo da lì. Poi un lungo processo di ricerca, sviluppo e progettazione porta ai prototipi, ai test, alla prima serie. Un anno prima delle prossime Olimpiadi dobbiamo essere pronti con una bicicletta competitiva. Per essere chiari ci sono voluti 4 anni, dalle prime idee, fino ad arrivare alla consegna.

Nelle prime fasi dei test è stato coinvolto anche Benjamin Thomas, che poi ha vinto la medaglia d’oro a Parigi?

Non solo Benjamin, diciamo che la P24 è il risultato di un enorme lavoro di squadra, eseguito in diversi momenti. Abbiamo lavorato con i nostri partner delle federazioni e con gli atleti, durante tutto lo sviluppo. Benjamin è una delle persone migliori a cui affidarsi per lo sviluppo della bici, sia su pista che su strada, con risultati di grande successo. Non è l’unico atleta coinvolto nel nostro processo, ma è un corridore e una persona sulla quale si può fare affidamento, sempre.

Il primo elemento che ha richiesto uno sforzo generoso in fase di sviluppo, carro posteriore e supporto sella
Il primo elemento che ha richiesto uno sforzo generoso in fase di sviluppo, carro posteriore e supporto sella
Sono stati utilizzati nuovi modelli anche per i calcoli e l’applicazione del carbonio?

Abbiamo utilizzato una base del know-how della precedente piattaforma Look T20, una bici all’avanguardia proprio per l’utilizzo del carbonio. Sapevamo di poter contare sulla migliore stratificazione del carbonio esistente, quindi ci siamo concentrati maggiormente sull’aerodinamica per la LOOK P24. Tuttavia, arrivati ad un certo punto abbiamo dovuto innovare e cambiare nuovamente il modo in cui utilizzare la fibra di carbonio per adattarci al design della P24.

Il secondo è tutto l’avantreno ed il manubrio
Il secondo è tutto l’avantreno ed il manubrio
Look P24 è monoscocca?

No, la bici è assemblata da diversi elementi in carbonio, essi stessi nati da un layup complesso.

Quanto tempo è necessario per costruire un singolo telaio?

Complessivamente sono necessarie 52 ore per costruire un telaio Look P24.

Due sezioni risaltano più delle altre, l’avantreno/forcella e il reggisella. Cosa ha portato a definire queste forme?

Tutte le sezioni e parti che compongono l’avantreno sono progettate per allineare il corpo del ciclista alla bici. È stato il cambiamento dell’aerodinamica nel ciclismo su pista che ci ha portato ad ottenere miglioramenti impressionanti, evoluzioni positive che sono state tradotte al mondo reale. Atleta e bicicletta combinati tra loro in una cosa sola. Abbiamo progettato la Look P24 per diventare un tutt’uno con il ciclista.

In qualche modo possiamo ipotizzare un collegamento con la vostra 796 Monoblade, oppure le due piattaforme sono completamente agli estremi?

Le regole non sono le stesse per ogni disciplina e le bici da crono non sempre possono beneficiare del lavoro svolto nel ciclismo su pista e viceversa. Ma le conoscenze acquisite e l’innovazione che abbiamo apportato per raggiungere i risultati ottenuti con la P24, ci hanno fatto capire che la strada è quella giusta, sotto diversi punti di valutazione. Saranno e sono utili per molti dei nostri sviluppi futuri, questo è certo.

La sezione frontale impressiona per il suo disegno e combinazione degli elementi
La sezione frontale impressiona per il suo disegno e combinazione degli elementi
Se volessimo individuare una caratteristica del P24 che risalta su tutte le altre, quale potrebbe essere?

E la bici più veloce che potremmo costruire per i ciclisti su pista, consideriamo atleti da Olimpiadi. La P24 è da record poiché otteniamo guadagni impressionanti in termini di risparmio di watt. Per un ciclista che vuole pedalare più veloce per un tempo più lungo è di gran lunga la bici più aerodinamica che abbiamo mai sviluppato.

La catena e la sua registrazione non sono le classiche di una bici standard
La catena e la sua registrazione non sono le classiche di una bici standard
Look P24 dà l’impressione di essere leggera, una piuma. E’ così?

Se contestualizzata al suo ambiente ideale, la pista, Look P24 è straordinariamente leggera. E’ l’unica bici di questo segmento a combinare elementi larghi a costruzione rigida, senza flessioni e con sezioni frontali risicatissime.

P24, Made in France in ogni singolo pezzo
P24, Made in France in ogni singolo pezzo
E’ possibile dare un valore economico alla bici che ha vinto a Parigi?

Difficile quantificare in modo preciso, ma indicativamente siamo appena al di sotto dei 40.000 euro. E’ molto, ma non è una cifra iperbolica se consideriamo il contesto pista e tutto il lavoro, la tecnologia e la ricerca che c’è alle spalle del progetto P24. Ci sono bici di questa fascia che costano molto di più.

Le Olimpiadi da dentro (e da fuori). Torniamo a Parigi con Cecchini

25.08.2024
6 min
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Le Olimpiadi di Parigi sono finite da un paio di settimane. Sembra un’eternità, ma certi ricordi e certe emozioni sono ancora forti. Specie per chi come Elena Cecchini le ha vissute da dentro. Ed è proprio l’azzurra, che ha disputato la prova su strada, a guidarci nella Parigi olimpica nascosta. Quella dei pass per muoversi, delle logistiche particolari, delle cerimonie.

In due settimane spesso abbiamo sentito atleti e giornalisti raccontare anche di come non sempre fosse facile spostarsi, mangiare alla mensa del villaggio o al contrario ci dicevano dell’atmosfera magica che in quei giorni a cinque cerchi si respirava nella Ville Lumiere.

Uno scatto con le ragazze impegnate su strada e il cittì Sangalli
Uno scatto con le ragazze impegnate su strada e il cittì Sangalli
Elena torniamo a Parigi. La sede azzurra ciclistica era a Versailles, fuori dal centro della città…

Esatto, avevamo l’hotel sulla strada del percorso, del tratto in linea per la precisione e questo era molto comodo per poterci allenare rispetto al Villaggio Olimpico che invece era in centro. Scelte come questa, di prendere un altro hotel sono del Coni. Il Villaggio per esempio era ideale per i ragazzi dell’atletica che in 5′ a piedi erano allo stadio. Il Coni per i giorni delle gare su strada aveva affittato per noi un appartamento in centro proprio vicino alla partenza. Era un appartamento per persone non vedenti ed era molto comodo in quanto a logistica pre gara. Lì avevamo il cuoco italiano, gli spazi con le nostre bici, i rulli. I ragazzi e le ragazze della crono si sono potuti distendere prima delle gare, oltre che dormirci tutti noi dalla sera prima. Una logistica molto comoda, anche perché non avevamo i bus, ma c’erano degli stand per i team. Mentre il villaggio olimpico distava almeno 45′ dalla sede di partenza. 

E quindi al Villaggio Olimpico non ci sei stata?

Un giorno. Sono andata a farci una passeggiata, a curiosare. Elia (Viviani, il marito, ndr) invece ci è stato. Era andato a fare una sessione in palestra, che era a disposizione degli atleti, dopo la cerimonia d’apertura. Mi ha detto che in mensa c’erano code lunghissime e che per questo aveva mangiato in uno dei bar del villaggio. Lì la scelta alimentare era comunque buona e ne aveva approfittato. Un po’ mi dispiace non aver vissuto di più il villaggio olimpico. Mi ricordo di quello di Rio, dove c’era una palazzina per Nazione. Anche quella fu una bella esperienza. Al villaggio ci siamo ritrovati con tutti gli azzurri prima di andare alla cerimonia di chiusura.

Una foto, molto parigina, di Elena Cecchini in corsa
Una foto, molto parigina, di Elena Cecchini in corsa
Dopo la tua gara sei rimasta però a Parigi…

Il 4 agosto ho corso e poi la mattina dopo ero già al velodromo per vedere Elia e Vittoria Guazzini, che è una mia grande amica. Avevo preso a suo tempo, privatamente, un Bed&Breakfast in zona. Avendo già gareggiato potevo accedere al villaggio olimpico ma non ci potevo dormire. 

E i biglietti per il velodromo?

Li ho acquistati come una persona normale a suo tempo. Aprivano degli “slot temporanei”, una o due volte al mese: dovevi starci dietro, c’era già una lista d’attesa. Poi in realtà ho visto che si potevano acquistare anche sul momento.

Chiaro…

All’inizio li avevo presi solo per l’omnium di Elia e per i ragazzi del quartetto. Mentre mi sono persa la madison d’oro di Vittoria e Chiara (Consonni, ndr). E’ che dopo tre giorni di velodromo ero distrutta. Faceva un caldo tremendo, la musica, lo speaker, il caos… ogni sera avevo il mal di testa. Solo che poi non essendo andata e avendo loro vinto, per scaramanzia ho detto ad Elia: “Non so se venire alla tua madison, resto in appartamento”. Ma Elia, che scaramantico non è, mi ha detto di andare. E’ stata quasi più faticosa la settimana da spettatrice che quella da atleta. Ma così mi sono goduta le Olimpiadi dai due punti di vista.

Abbiamo visto in effetti anche dai tuoi social che l’hai vissuta appieno, specie alla cerimonia di chiusura…

Quel giorno siamo stati fuori dalle 16 a mezzanotte. Alle 18 c’era il ritrovo al villaggio, faceva un caldo con quelle tute… ma dovevamo attenerci al codice che ci aveva inviato il Coni. Però è stata un’esperienza bellissima stare in quello stadio. Ti dava veramente il senso di cosa siano le Olimpiadi. Un’emozione fortissima.

Casa Italia: com’era?

Ci sono stata, anche se è più per gli atleti medagliati che non per gli altri. Se ci andavi nessuno ti cacciava, ma non potevi decidere di andare liberamente. Quando Chiara Consonni e Vittoria Guazzini hanno vinto l’oro, dal velodromo sono andate a Casa Italia direttamente con tutto lo staff con i mezzi del Coni. Invece abbiamo ricevuto lì Elia e Simone con la loro medaglia d’argento della madison. Quando gli atleti medagliati arrivavano a Casa Italia gli veniva fatto un video emozionale, poi passavano alle interviste e quindi si mangiava. Anche noi abbiamo mangiato con loro e a seguire c’è stata una festa. Casa Italia era bellissima. Aveva un design particolare, dettagli curatissimi. Il Coni ha recuperato questa villa e l’ha risistemata a nuovo. Ora sarà restituita alla cittadinanza. 

E poi Elena c’eravate voi, i protagonisti, gli atleti. Chi hai incontrato?

Alla Cerimonia di chiusura ho visto bene Noah Lyles, lo sprinter americano che ha vinto i 100 metri. Era ben disposto, simpatico e alla mano, come tutti quelli della squadra statunitense. Avevano queste divise bellissime, colorate. Loro erano dei guasconi, con occhiali improbabili, dei veri casinisti… davvero belli da vedere. E poi le Farfalle della ginnastica ritmica. Ho rivisto Pauline Ferrand-Prevot, una mia amica…

E tra campioni, tra atleti, ci si riconosce?

Non tutti, ma sì direi. Io ed Elia abbiamo incontrato Gregorio Paltrinieri e Rosella Fiamingo (anche loro coppia nella vita, ndr). Elia e Gregorio già si conoscevano. Avevano vinto l’oro a Rio nello stesso giorno: interviste, Casa Italia anche lì ed erano rientrati dal Brasile con lo stesso volo. Da quel momento sono rimasti in contatto. Senza contare che ci si era incontrati anche a Livigno: anche Gregorio nuotava in quota. Mentre La Fiamingo sapeva che io ero la moglie di Elia e cosa facevo: anche lei è stata molto alla mano. E poi sì, ci siamo incontrati e visti con i ragazzi dell’atletica. Nadia Battocletti per esempio o Filippo Tortu. Ecco, Tortu è super tranquillo e super appassionato di ciclismo. Conosce tutti. Anche in questi incontri c’è il bello delle Olimpiadi.

Una settimana dopo, le pagelle olimpiche del team manager

18.08.2024
8 min
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Sembra passato un secolo, ma le Olimpiadi si sono chiuse appena da una settimana. Ci saranno ancora storie e approfondimenti, questo però è il momento di fare il punto con Roberto Amadio, team manager della nazionale. I Giochi di Tokyo dell’Italia andarono in archivio con l’oro del quartetto e i bronzi di Viviani nell’omnium ed Elisa Longo Borghini nella gara su strada. Tre anni dopo, Parigi ha portato l’oro di Consonni-Guazzini nella madison, l’argento di Ganna nella crono e quello di Consonni-Viviani nella madison e il bronzo del quartetto. Non ai livelli di Atlanta, ma un bel passo avanti: un allargamento delle medaglie, la presenza del settore velocità e qualche passo indietro su cui ragionare.

La prima medaglia azzurra a Parigi è stata l’argento di Ganna nella crono
La prima medaglia azzurra a Parigi è stata l’argento di Ganna nella crono
Amadio, quanto è stato difficile organizzare e mettere insieme tutto quello che serve per un’Olimpiade?

La differenza rispetto a un mondiale, anche se già Glasgow era stato un bel test, è che hai tutte le specialità concentrate nelle stesse due settimane. Quindi devi conciliare le richieste dei vari settori e dei tecnici. Però con l’aiuto del CONI, che ci è stato molto vicino, è andato tutto bene.

Bene in tutti i settori?

Ho visto miglioramenti. Poco fa parlavo con Ghirotto del quarto posto di Braidot nella mountain bike, che ci sta un po’ stretto a causa della foratura nel momento cruciale dell’attacco di Pidcock. Quella poteva essere una medaglia. Nella BMX Race siamo arrivati in semifinale con il nono posto, che conferma che la scelta di Bertagnoli sia stata giusta, come pure l’avvicinamento e il modo in cui abbiamo lavorato. Nella crono, Ganna è sicuramente uno dei migliori atleti al mondo, però non è mai facile fare il giusto avvicinamento, programmarla e arrivare giusti. Poi la pista ci ha dato tante soddisfazioni e devo dire che abbiamo ottenuto dei risultati importanti. In altre specialità forse si poteva fare qualcosa in più, però considerando tutto, direi che è andata molto bene.

Durante gli ultimi due anni si è visto che tutti i settori hanno collaborato con il team performance di Diego Bragato.

Stavo arrivando proprio lì. E’ un tipo di lavoro che abbiamo esteso a tutti e ha permesso di seguire una certa programmazione, un certo tipo di allenamenti e di preparazione atletica, non solo limitati alla bici. Come si è visto dai risultati, anche le altre nazionali hanno lavorato così. Per arrivare a questi risultati, a certi tempi, non puoi tralasciare assolutamente niente. Devi crescere sui materiali, sulla preparazione, sull’alimentazione e anche sull’aspetto psicologico. Insomma abbiamo curato ogni dettaglio. In più c’è stato scambio di programmi e idee, che secondo me è positivo per la crescita dei vari settori.

Marco Villa ha espresso il desiderio di una squadra italiana in cui i ragazzi italiani possano essere valorizzati nel modo giusto. E’ un auspicio oppure un progetto?

Diciamo che sta diventando una necessità. Strada e pista possono andare a braccetto e lo abbiamo dimostrato. Anzi, il lavoro su pista va a beneficio della strada e viceversa. Purtroppo in Italia, ma anche nelle squadre, si dà priorità alla strada e anche gli atleti a questo punto vedono solo quel tipo di sbocco. Invece secondo me se ci fosse una squadra italiana di un certo livello, non sarebbe utile solo a Villa, ma a tutto il movimento. Dobbiamo ricreare una mentalità vincente nei nostri atleti. Il fatto che i migliori siano sparsi nelle varie squadre WorldTour e purtroppo siano quasi sempre sacrificati a favore di altri capitani fa perdere quell’attitudine. E di riflesso nelle competizioni internazionali, ci troviamo spesso in difficoltà.

Villa, qui con Ganna, alla partenza dell’ultimo quartetto, ha espresso il desiderio di un team italiano
Villa, qui con Ganna, alla partenza dell’ultimo quartetto, ha espresso il desiderio di un team italiano
E’ necessario e sta diventando un progetto, oppure è necessario ma rimarrà un auspicio?

E’ necessario e ce lo diciamo da anni, ma i progetti non sono facili, perché comunque ci vogliono molti soldi. Serve anche un percorso per arrivare a una squadra WorldTour. Anche se avessi i soldi subito, la licenza non arriverebbe automaticamente. Forse c’è bisogno anche di un intervento politico e non solo per il ciclismo. Tutti gli sport professionistici in Italia sono in difficoltà a livello di sponsorizzazioni. Quindi sarebbe opportuno avere una squadra di matrice nazionale che dia la possibilità di supportare i nostri ragazzi affinché facciano l’attività che meritano. Vediamo se potrà nascere qualcosa.

Gli australiani hanno polverizzato il record del quartetto, noi siamo peggiorati rispetto a Tokyo.

Villa ha parlato con i tecnici australiani. Per fare 3’40” devi allenarti assieme a lungo e fare un certo percorso. Loro sono stati insieme per dieci settimane, quindi più di due mesi a preparare solo la pista. Il nostro quartetto maschile è riuscito a farlo per una quindicina di giorni e il problema viene fuori anche con le donne. Anzi, forse è stato più complicato che con gli uomini. Anche quel quarto posto ci sta stretto. Al di là dell’incidente che ha avuto la Balsamo, che è stata bravissima a recuperare ed essere presente, quello è un quartetto che poteva puntare tranquillamente al podio.

Si va avanti ancora con il gruppo della Valcar. Tolte Paternoster e Fidanza, le altre ragazze di Parigi venivano tutte dalla stessa squadra che permetteva loro di lavorare in sintonia fra strada e pista.

Ed è l’esempio perfetto di cosa significherebbe avere una squadra italiana costruita in questo modo. Fino a quando erano tutte in una squadra che collaborava con la Federazione, c’era un percorso condiviso. Lavoravano su pista e ugualmente su strada vincevano corse a livello internazionale. Poi con l’esplosione del WorldTour femminile, perché davvero è stata un’esplosione, le cose sono cambiate di colpo. Dobbiamo arrivare ad avere un team, sia uomini sia donne, che possa raggruppare tutte le nostre migliori. Come accade in diverse strutture WorldTour europee.

Perché secondo te, nonostante le bici nuove, i body nuovi e tutto quello che s’è fatto, il nostro quartetto è andato più piano che a Tokyo?

Perché non hanno lavorato come prima di Tokyo, non ne hanno avuto la possibilità. Il 3’43” che hanno fatto è un tempo di tutto rispetto, alla pari dell’Inghilterra. Pensavamo che il 3’42” dell’Australia fosse il loro massimo, invece hanno stampato un 3’40” e, se lo rifacevano, magari miglioravano ancora. Vuol dire che hanno veramente preparato questo quartetto in maniera perfetta. Per fare quei tempi, devi spingere un dente in più e quindi devi lavorare di più in palestra. Noi non l’abbiamo potuto fare, perché abbiamo tre atleti di squadre WorldTour che giustamente devono fare l’attività su strada, perché sono stipendiati dai loro team.

Aver corso il Giro d’Italia ha dato a Guazzini e Consonni un passo superiore nella madison
Aver corso il Giro d’Italia ha dato a Guazzini e Consonni un passo superiore nella madison
Restando sulle ragazze, l’anno scorso dopo Glasgow fu necessario fermarsi e fare il punto, richiamandole a una maggior presenza. Come ti sembra che sia andata?

E’ un gruppo giovane che può benissimo arrivare a Los Angeles, con l’ambizione di essere protagonista. Lo ha dimostrato anche il quartetto americano, con Dygert e Faulkner che hanno fatto la prova su strada e subito dopo sono andate a prendersi l’oro su pista. Però anche loro hanno lavorato più di un mese e mezzo dedicandosi più alla pista che alla strada e qui torniamo al discorso di prima. L’attività su strada è sempre più intensa, il calendario femminile ormai è pari a quello maschile, ma ci sono meno atlete. C’è da parlare con le squadre di appartenenza, con i manager, con le ragazze stesse. Se hanno la volontà di arrivare a Los Angeles, bisognerà programmare un po’ meglio e avere una disponibilità maggiore per fare un quartetto da podio, perché ci sono andate vicinissime. Hanno lavorato tutti assieme veramente per pochissimi giorni. Per contro, aver fatto il Giro d’Italia ha funzionato bene per le prove di fondo come la madison, in cui le azzurre hanno dimostrato di essere superiori a tutte.

Che cosa ha rappresentato per te vedere Viviani vincere quest’ultima medaglia olimpica?

E’ un risultato importante, perché a causa del numero limitato di atleti, abbiamo dovuto fare delle scelte forti. Con un atleta in meno a disposizione, significava che i quattro del quartetto avrebbero dovuto fare tutte le prove di endurance, quindi anche l’omnium e la madison. Avrebbe significato lasciare fuori un corridore come Viviani, che nelle ultime due Olimpiadi aveva già dato un oro e un bronzo nell’omnium. Conoscendo la sua professionalità e grazie anche a Bennati che ha capito la nostra richiesta, l’operazione ci ha dato ragione. Che Elia avesse la gamba si era visto anche nell’omnium e nella madison ha tirato fuori veramente il massimo. Anche Consonni è stato bravissimo, perché ripartire dopo la caduta e tenere quei ritmi non era facile. Consideriamo che l’americana è stata corsa oltre i 60 di media per 50 chilometri!

Viviani e Consonni sono stati fortissimi anche dopo la caduta che ha falsato il finale di gara
Viviani e Consonni sono stati fortissimi anche dopo la caduta che ha falsato il finale di gara
Peccato per la caduta…

A quelle velocità, Elia ha fatto quattro giri da solo a tutta. Subito dopo, a cinque giri dalla fine, ha fatto un grande recupero, rimettendosi in gioco per la volata finale. Però bisogna anche dire che Leitao e Oliveira sono andati fortissimo, hanno fatto un finale veramente incredibile. Forse nel caos della caduta, abbiamo perso di vista la situazione dei punti. Non si è capito che i portoghesi stessero recuperando in modo importante e perdere a quel punto il filo della corsa è stato fatale. Però i nostri sono stati bravissimi. Elia ha corso in maniera impeccabile, una madison da maestro. Meritava un gran finale come quello.

Ruolo, tattica, aspettative: l’Olimpiade di Cecchini

17.08.2024
5 min
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Elena Cecchini è stata una delle protagoniste azzurre alle Olimpiadi di Parigi. Cecchini ha fatto parte del quartetto femminile impegnato nella prova in linea. Con lei, lo ricordiamo, Elisa Balsamo, Elisa Longo Borghini e Silvia Persico. La gara non è andata proprio bene. Alla fine il verdetto è stato: nona Longo Borghini, venticinquesima proprio Elena e oltre la cinquantesima posizione Balsamo e Persico.

Elena aveva un determinato ruolo, quello di essere la road capitan o regista in corsa, per dirla all’italiana. A mente fredda ripercorriamo un po’ la sua Olimpiade da un punto di vista tecnico-tattico. Da anni Cecchini è un perno della nazionale, una di quelle atlete sulle quali sai sempre di poter contare. E non è un caso che il cittì Paolo Sangalli abbia deciso di schierarla all’ombra della Tour Eiffel.

Splendida la cornice parigina, ma che caos controllare la corsa in quattro e senza radioline
Splendida la cornice parigina, ma che caos controllare la corsa in quattro e senza radioline
Elena, iniziamo dalla tua Olimpiade: cosa ci dici?

E’ stata una bellissima esperienza. Volevo fare anche qualcosa sui social che la raccontasse, ne parlavo con Elia (Viviani, il marito, ndr) ma sto ancora valutando. E’ iniziato tutto dall’aeroporto di Verona, quando siamo scesi dalla Val di Fassa, dove eravamo in ritiro con altri ragazzi, e siamo andati a prendere il volo per Parigi. Già lì ho iniziato a pensare ai mesi e agli anni di preparazione per arrivare fino a quel punto. Pensavo che alla fine noi ciclisti siamo fortunati, la nostra gara è una delle più lunghe, mentre altri atleti si giocano tutto in 10”-15”. E’ un insieme di emozioni e considerazioni enormi…

Parliamo un po’ della tua gara…

Ho ricevuto un messaggio da Elia prima del via che mi ha fatto commuovere. Per me era la seconda esperienza olimpica dopo Rio e la volevo vivere intensamente. Avevo aspettative altissime. Volevo fare una bella gara, ma come squadra non siamo rimaste soddisfatte. Almeno però rispetto a Tokyo è stata una gara vera e le più forti sono tutte rimaste davanti.

Qualche recriminazione?

Una e nasce da una serie di cose messe insieme. Ne ho anche parlato con Paolo Sangalli. Quando siamo entrate nel circuito e c’è stata la caduta. Sullo strappo di Montmartre è scoppiata la bagarre e mi sono detta: “Faccio un passo forte ma regolare”. E invece quando ho finito di tirare, dietro di me in cima non c’era nessuna. Ma quello non era un passo perché si restasse da sole. E infatti Elisa poi mi ha detto: “Elena, ho cercato di dirti che c’era stata una caduta”. Ma io non sentivo proprio. In vita mia non avevo mai visto tanta gente a bordo strada, tanto caos e non era facile comunicare.

Elena impegnata sullo strappo di Montmartre
Elena impegnata sullo strappo di Montmartre
Le altre però tra cui la Longo erano scappate…

A saperlo sarei andata davvero a tutta così magari avrei potuto aiutare Elisa. Ma neanche potevo tirare per Kopecky e Vollering che erano dietro. Alla fine per come è stata dura la gara non sarebbe cambiato nulla. Però sai, se intanto sei lì davanti in due. Quantomeno esserci… Questa è l’unica recriminazione che ho.

Per di più eravate senza radioline…

E infatti succede solo due volte l’anno che si corra senza radioline e io non ho sentito proprio nulla: né Elisa che cercava di avvertirmi, né la caduta. Anche per questo nelle ore successive alla gara non eravamo felicissime. Volevamo di meglio. Personalmente avevo avuto un avvicinamento molto sereno. Già a maggio sapevo che facevo parte di un lotto di 5-6 ragazze e non di 10-12 in lotta per 4 posti. E da quando poi ho saputo della convocazione ho corso un Giro Women in tutto relax, potendomi concentrare sul mio lavoro e sulla ricerca della condizione. Insomma stavo bene.

Anche per questo quando ti hanno chiesto del tuo ruolo di regista hai detto che volevi di più? Avevi paura che fosse qualcosa di riduttivo quel ruolo? Spiegaci meglio…

Il ruolo di regista è molto importante, ma credo che in un grande Giro o in un mondiale in cui si corre in 6-7 atlete è un conto, in un Olimpiade in cui si corre in quattro, è un altro. E’ normale che si debba prendere delle decisioni anche senza radio. In questo caso eravamo tutte esperte. Quel che volevo dire è che da me stessa mi aspettavo una presenza attiva in gara e di non essere lì solo per prendere decisioni o per dire alle altre cosa fare.

Cecchini e Longo Borghini dopo il traguardo
Cecchini e Longo Borghini dopo il traguardo
Vai avanti…

Infatti ho cercato di prendere la fuga, insomma volevo essere, e sono stata, regista ma anche attrice. Mi è piaciuta la pressione che mi sono messa addosso da sola. Lo stesso vale per l’approccio alla gara. Il ruolo di regista non è affatto riduttivo, anzi mi piace, ma in una corsa a quattro non era abbastanza serviva di più. E così ho fatto.

Quindi non volevi di più a livello di gerarchie?

No, no… i nostri punti di riferimento erano Elisa ed Elisa! Balsamo, nel caso di un rimescolamento continuo da dietro e di un arrivo in volata. Longo Borghini nel caso di una corsa più dura e selettiva, come poi è stata. E io credo che l’Italia abbia schierato le migliori quattro atlete a disposizione per questa sfida e per quel percorso.

E ora? 

Riprenderò a Plouay il 24 agosto. Per ora sono a casa, a Montecarlo. Ho fatto una settimana di recupero, di relax post olimpico, ed ho ripreso ad allenarmi, mentre Elia recupererà ancora un po’. Però fa un gran caldo. Di solito qui c’è sempre un po’ di aria e invece niente. Anche se fai tre ore, poi passi il resto del giorno a recuperare. 

Il velodromo di Parigi sarà veloce come quello di Tokyo?

06.08.2024
5 min
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Ieri sono iniziate le Olimpiadi di Parigi anche su pista, al velodromo di Saint-Quentin-en-Yvelines o Velodromo Nazionale, visto che è la sede della Federazione ciclistica francese. La speranza italiana è concentrata soprattutto sui quartetti, ma non solo ovviamente. Certo è che dopo le prestazioni di Tokyo e il primato mondiale, da Ganna e compagni ci si aspetta moltissimo.

Ma stavolta non parliamo tanto dei ragazzi quanto piuttosto del velodromo stesso. Per grandi prestazioni serve anche un “campo gara” che possa proporre condizioni eccellenti. L’equazione sarebbe sin troppo facile: una pista, un posto al chiuso, uguali prestazioni ripetibili. Un po’ come succede in una piscina… per dire. In realtà non è proprio è così. Ci sono molti fattori esterni. Fattori che riguardano la struttura stessa del “campo” di gara.

Pensiamo per esempio alla super pedana dei salti in lungo e triplo agli Europei di atletica di Roma e ora quella “meno performante” di Parigi. Non sempre un campo di gara standard è poi davvero così uguale.

Il Velodromo di Saint-Quentin-en-Yvelines o Velodromo Nazionale sorge ad Ovest di Parigi. E’ stato costruito nel 2014
Il Velodromo di Saint-Quentin-en-Yvelines o Velodromo Nazionale sorge ad Ovest di Parigi. E’ stato costruito nel 2014

Da Tokyo a Parigi

Quindi che prestazione possiamo aspettarci dal Velodromo olimpico? A Tokyo di record ne abbiamo visti molti, uno su tutti: quello del quartetto azzurro con quel memorabile 3’42”032, un primato che in questi anni nessuno ha neanche avvicinato. E’ vero anche che gli studi aerodinamici hanno fatto passi da gigante e oltre alla pista, si è visto quanto il vestiario conti di più, lo stesso vale per i caschi e per le bici. E anche per le preparazioni e alimentazione.

Ma questi sono altri fattori. Concentriamoci sulla pista.  

Quali sono quindi le condizioni che rendono veloce una pista piuttosto che un’altra? Le principali sono quattro: la superficie, l’altitudine, la temperatura interna e, sembra assurdo visto che si è al coperto, anche il meteo esterno, pressione e in parte l’umidità.

E’ noto infatti che quanto più bassa è la pressione atmosferica, tanto minore è la densità dell’aria e migliore è la penetrazione nella stessa da parte dei corridori. Solitamente la pressione dell’atmosfera va di pari passo con l’altitudine (più è alta la quota, minore è la colonna d’aria sulla testa, minore è la pressione), ma anche con l’umidità. Un’aria umida è meno densa di quella secca. E infine conta anche la temperatura. Più è alta e meno è densa, posto che poi oltre un certo limite (solitamente i 21-23 gradi) diventa controproducente per il rendimento del corpo umano.

E infatti di solito i velodromi sono tenuti a questa temperatura. Ricordate quanta ricerca ci fu per il Record dell’Ora di Pippo Ganna?

Queste condizioni ambientali erano tutte presenti a Tokyo nel velodromo di Izu, per quella tempesta tropicale che coinvolse il Giappone in quei giorni. A Parigi nei prossimi giorni sia l’umidità che la pressione sono date in aumento. E’ un bene nel primo caso (anche se poi è costante all’interno del velodromo), un male nel secondo.

Curve ad ampio raggio e rettilinei corti: ottimo per il quartetto
Curve ad ampio raggio e rettilinei corti: ottimo per il quartetto

Rettilinei corti

L’anello di Saint-Quentin-en-Yvelines è da 250 metri, su legno di abete siberiano. E’ stato costruito nel 2014, ma il parquet è stato rifatto a maggio e questo non è un punto a favore di eventuali record. Il legno vecchio infatti risulta più scorrevole, ma per il Giochi tutto doveva essere alla perfezione. 

Dalla Francia assicurano che è comunque velocissimo.

Mentre è un punto a favore la forma dell’anello. I due rettilinei infatti sono relativamente corti e questo consente di mantenere la velocità in modo leggermente più semplice e, nel caso del quartetto, anche la compattezza del treno.

In più nonostante sia un anello “corto” è largo 8 metri, quindi le sponde consentono di salire abbastanza in alto. Tanto per fare un paragone con l’Izu di Tokyo la pista era larga 7,60 metri quindi si poteva salire circa 40 centimetri in meno. Tuttavia è anche vero che l’inclinazione delle curve era di 45°, un grado in più del Saint-Quentin-en-Yvelines che è di 44°. Il raggio di curva è di 23 metri, quindi abbastanza ampio e dovrebbe risultare più fluido per le specialità di endurance e dell’inseguimento a squadre.

Il velodromo francese ha ospitato i mondiali su pista del 2015 e del 2022. Ospita ben 5.000 spettatori
Il velodromo francese ha ospitato i mondiali su pista del 2015 e del 2022. Ospita ben 5.000 spettatori

Pista fluida

Énergies & Services è l’azienda responsabile del velodromo, da anni è a guardia della pista al fine di renderla sempre performante. Ogni mattina vengono controllate la temperatura e l’umidità, prima e dopo ogni corsa. La precisione dello stato del parquet è talmente elevata che la pista viene monitorata costantemente. Inoltre viene eventualmente corretta la regolazione dei cunei tra il terreno e le travi di sostegno, che a seconda dell’essiccazione del legno e delle vibrazioni si muovono, in modo impercettibile, ma si muovono.

Insomma, forse non ci sarà un uragano come a Tokyo a rendere la pressione perfetta, ma gli altri ingredienti ci sono tutti. La pista è scorrevole e gli atleti sono soddisfatti. Chiudiamo con una frase di qualche tempo fa di Gregory Bauge, ex pistard francese e oggi tecnico dei “galletti”, nove volte campione del mondo nella velocità e plurimedagliato olimpico: «Questa pista è un tavolo da biliardo: è ampia e fluida. Su alcuni tracciati si avvertono degli strappi tra i rettilinei e le curve, ma su questo anello niente!».

Bettiol, parole chiare: «La corsa sarà una continua esplosione»

02.08.2024
5 min
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VERSAILLES (FRANCIA) – Tre è il numero delle Olimpiadi di Parigi. Il 3 agosto, domani, si tiene la prova in linea. Gli azzurri correranno in tre. E si corre per tre medaglie. Tutti concetti che ha ben presente la punta dell’Italia, Alberto Bettiol. Un talento che sa farsi valere nelle gare in linea e a cui forse è sempre mancato il grande colpo.

Chissà che non possa essere proprio a Parigi, in una gara che può essere imprevedibile. Tutti parlano di Evenepoel, già campione a cronometro, Van Aert, Pedersen e Van der Poel. Ma se ci dovesse essere spazio per inserirsi, e magari in una situazione del genere c’è, Alberto Bettiol è pronto.

Il toscano ha disputato una discreta cronometro a Parigi: 18° a 1’54” da Evenepoel
Il toscano ha disputato una discreta cronometro a Parigi: 18° a 1’54” da Evenepoel
Com’è fare il capitano di una squadra composta da tre persone?

E’ strano. Sono le Olimpiadi, è una gara diversa dalle altre. Sarà così per tutti, per cui bisogna adattarsi e farsi forza con ciò che si ha. Ci siamo immaginati come possa andare, ma è talmente incerta che bisogna essere flessibili mentalmente. Ci sono squadre da tre corridori, otto Nazioni ne hanno quattro, qualcuna uno. Difficile fare tatticismi. Quando la corsa esploderà, non smetterà più di esplodere. Sarà dura, anche se altimetricamente non lo è, ma è diversa da tutte le altre. Bisogna prenderla per quella che è e pensare che in Italia ci sono più di duecento professionisti e qui siamo in tre a rappresentarli. Io, Luca ed Elia siamo fieri di esserci. Faremo la nostra corsa cercando di stare uniti e di muoverci bene.

Avete già individuato la strategia?

Non abbiamo le radio, siamo in pochi, bisogna essere sempre vigili. Conterà preservare le energie, ma di sicuro non si può pensare di rimanere coperti. Se rimani dietro, nessuno tira per rientrare. Bisogna stare sempre davanti. Sarà una corsa lunga, magari anche più di sei ore. E un percorso come questo lo senti negli ultimi 30 o 40 chilometri, perché lì si sente la stanchezza. Non c’è un punto chiave che si possa individuare, non è come una Sanremo dove sai che il Poggio è decisivo. Ogni momento può essere quello giusto, bisogna essere pronti e magari anche un po’ fortunati. Non è solo questione di forza, anche di istinto e di intuizione. Ma questo ci deve far ben sperare. 

Oggi si è tenuto un incontro con la stampa nella zona di Versailles, dove risiedono gli azzurri del ciclismo. Bettiol ha parlato con chiarezza
Oggi si è tenuto un incontro con la stampa nella zona di Versailles, dove risiedono gli azzurri del ciclismo. Bettiol ha parlato con chiarezza

Che tipo di gara ti auguri?

Noi vogliamo una corsa dura. Luca ha fatto il Tour, è preparato. Elia ha lavorato tanto anche sulla pista, è pronto. Io devo stare insieme ai corridori con le mie caratteristiche, non vorrei trovarmi all’arrivo con uno più veloce di me. Devo anticiparlo. E poi qui si lotta per una medaglia, non solo per il primo posto. Bisogna tenerne conto, è una gara diversa.

Hai già provato una gara olimpica e non è andata benissimo.

A Tokyo potevo fare di più, mi è venuto un crampo e l’ho pagato. Certo, con un terzetto come quello, con Carapaz, van Aert e Pogacar, era difficile pensare al podio. Avevo un problema fisico, poi l’ho risolto. Mi è servita per abituarmi al clima olimpico. Non è tutto bello, ci sono anche le controindicazioni. Mi riferisco a quando devi muoverti per andare a Parigi, o per arrivare in albergo, devi portarti sempre il pass, sei scortato, ci sono tanti protocolli da seguire. Non puoi fare come vuoi. Insomma, ti devi adattare. 

Per Bettiol (a destra) un selfie sotto la Torre Eiffel a Cinque Cerchi con Viviani e Mozzato che correrano con lui la prova di domani (immagine Instagram – FCI)
Per Bettiol (a destra) un selfie sotto la Torre Eiffel a Cinque Cerchi con Viviani e Mozzato che correrano con lui la prova di domani (immagine Instagram – FCI)
La condizione com’è?

La preparazione è andata bene. Mi sono ritirato dal Tour perché ho percepito che sarebbe stato troppo, per questo ho evitato la parte più dura. L’appuntamento più importante è l’Olimpiade e ho pensato solo a questa gara di Parigi. Mi sono allenato insieme alle ragazze, ho provato il percorso, mi sento bene. Negli ultimi due giorni sono arrivati anche Luca ed Elia e siamo pronti a farci valere. 

L’approccio a una gara del genere è diverso?

Io affronto ogni gara allo stesso modo. La preparo alla stessa maniera, mi alimento allo stesso modo, cerco sempre di ottenere il massimo. Ma non c’è niente da fare, l’Olimpiade è un’altra cosa. Lo percepisci chiaramente. Non rappresenti il ciclismo italiano come può essere ai mondiali o agli europei. Lottiamo tutti per una medaglia che è per tutti uguale, per il ciclismo, per la scherma, per il basket, per il ping-pong. Rappresenti tutto lo sport italiano. Qui non siamo ciclisti, siamo atleti olimpici. E’ una grande responsabilità e una cosa molto bella. Dobbiamo esserne orgogliosi. 

Hai mai sognato la medaglia olimpica?

E’ una cosa difficile anche da sognare. E’ una cosa troppo grande. Come dicevo prima, non cambio il mio approccio alla gara. Quando smetterò magari mi renderò conto e saprò capire cosa ho combinato. Ora non ti fermi mai, già so che dopo questa gara avrò altri obiettivi e a fine carriera metterò tutto a fuoco. Di sicuro, però, se dovessi raccogliere una medaglia olimpica, saprei subito di aver fatto qualcosa di indimenticabile non solo per me, ma per tutto lo sport italiano. Perché l’Olimpiade è un’altra cosa. E forse questa può essere la nostra forza.