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La spalla slogata, poi il Covid: Vendrame si arrende

17.05.2023
5 min
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La tappa di Salerno ha fatto cadere tutti, una frazione corsa in condizioni meteo difficili che hanno complicato ancora di più il percorso. Le insidie sono arrivate fino alla linea dell’arrivo, considerando che Cavendish l’ha attraversata scivolando sull’asfalto. Tra gli atleti coinvolti nella caduta finale c’era anche Andrea Vendrame (nella foto Instagram di apertura mentre viene medicato). Il corridore della AG2R Citroen ha riportato una disgiunzione acromioclavicolare di primo grado, con vari punti di sutura sulla spalla. 

Nella volata di Salerno, Vendrame è stato coinvolto nella caduta finale, insieme anche a Mirco Maestri
Nella volata di Salerno, Vendrame è stato coinvolto nella caduta finale, insieme anche a Mirco Maestri

La caduta

Vendrame si è ritrovato a terra non capendo bene come, la volata era praticamente finita, infatti è caduto dopo aver tagliato la linea del traguardo. Le barriere in quel punto non avevano più la protezione e Vendrame ci è franato sopra. L’arrivo non era dei migliori, più volte si è visto pattinare la ruota posteriore di qualche sprinter sulle strisce pedonali poste poco prima dell’arrivo.

«Fiorelli – dice il veneto – è rimasto in piedi appoggiandosi alle barriere, io non ho avuto modo di farlo. La tappa è stata caotica per tutti i 170 chilometri, c’è stata la caduta di Evenepoel all’inizio. Poi ne sono arrivate tante altre, soprattutto negli ultimi chilometri, quando la tensione è salita maggiormente. Al Giro d’Italia è così, tutti vogliono fare del proprio meglio e mettersi in mostra, i finali diventano sempre molto caotici. D’altronde è una grande corsa a tappe».

Il veneto ha lasciato in barella l’arrivo, ma il giorno dopo è tornato in sella nella sesta frazione: la Napoli-Napoli
Il veneto ha lasciato in barella l’arrivo, ma il giorno dopo è tornato in sella nella sesta frazione: la Napoli-Napoli

Il recupero

Andrea Vendrame ci risponde durante il giorno di riposo, dopo che ha finito i massaggi e la seduta di fisioterapia. La caduta non lo ha fermato, e “Vendramix” il giorno dopo si è presentato alla partenza di Napoli

«Insieme alla squadra – continua – ho scelto di dormirci sopra e vedere come sarei stato il giorno dopo. Sono andato avanti momento per momento: come detto, siamo al Giro e la corsa va onorata fino in fondo. Non tutti possono partecipare, noi che abbiamo il privilegio di esserci dobbiamo fare di tutto per correre.

«Grazie allo staff medico del team – dice Vendrame – in questi giorni mi sono sentito sempre meglio. La cosa importante è togliere il dolore dalla parte coinvolta e guarire. La lesione è seria, una persona normale dovrebbe passare quindici giorni con il braccio appeso al collo. La cura che faccio tutti i giorni prevede osteopatia, Tecar e massaggi. Nel giorno di riposo abbiamo lavorato più a fondo a livello intercostale, si è fatta qualche Tecar in più per entrare più profondamente e recuperare il funzionamento della spalla».

Soltanto nella frazione di Fossombrone, Andrea ha provato ad alzarsi nuovamente sui pedali, nonostante il dolore alla spalla
Soltanto nella frazione di Fossombrone ha provato ad alzarsi nuovamente sui pedali, nonostante il dolore alla spalla

Napoli, il giorno più duro

Il giorno dopo le cadute fanno più male, rimettersi in bici non è semplice, soprattutto ai ritmi di un Giro d’Italia che non lascia molto respiro. 

«Il primo obiettivo – ammette Vendrame – era risalire in bici il giorno dopo e finire la tappa. Non è stato affatto semplice, a causa dell’infortunio non potevo alzarmi in piedi sui pedali. Quel movimento di braccia mi causava troppo dolore. Durante la tappa di Napoli dovevo rilanciare la bici da seduto e non è facile, soprattutto quando prendi le “frustate” a fine discesa. In più erano presenti dei tratti di pavé sui quali la spalla mi faceva davvero male.

«La frazione con arrivo a Campo Imperatore è stata più semplice, la parte finale in salita mi permetteva di fare il mio ritmo e non rendeva più semplice il fatto di non alzarsi sui pedali. La cronometro non ha portato ulteriori difficoltà. Dal punto di vista della posizione non ho portato modifiche alla bici, si è trattato quasi di un giorno di recupero: quasi».

Nella cronometro di domenica ci sono stati meno problemi, le basse velocità e la posizione lo hanno aiutato
Nella cronometro di domenica ci sono stati meno problemi, le basse velocità e la posizione lo hanno aiutato

Il morale tornerà

La motivazione Vendrame l’ha trovata dentro di sé ed al proprio animo di ciclista professionista. Il morale, invece, un po’ latita, d’altronde il veneto era partito per fare bene a questo Giro. E proprio mentre i suoi obiettivi erano stati rivalutati, è arrivata la tegola del Covid.

«Piano piano – aveva detto giusto ieri prima del tampone fatale – il morale torna. Un grazie va alla mia ragazza e al mio preparatore che mi sono stati vicini in questi giorni. Vedere gli appassionati alla partenza di ogni tappa mi rende felice, c’è un grande amore intorno al Giro, che è quello che mi ha spinto a continuare».

P.S. Purtroppo per Vendrame e i suoi tifosi, quel che non ha fatto la caduta di Salerno è riuscito al Covid. E’ proprio di stamattina la notizia che il veneto è risultato positivo a un tampone ed è stato costretto alla resa. Con lui sono sette i corridori che oggi lasciano la corsa rosa. Si annotano infatti le defezioni di Gandin, Hirt, Cattaneo, Cerny e Vervaeke (questi ultimi tutti compagni di Evenepoel alla Soudal-Quick Step).

Soudal-Quick Step, sulla bici di Remco l’occhio di Oppici

12.05.2023
5 min
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NAPOLI – Quando Evenepoel si è ritrovato per terra sulla via di Salerno per colpa del celebre cagnolino, il primo a scendere dall’ammiraglia con la bici di scorta è stato Fausto Oppici, meccanico della Soudal-Quick Step.

Fino allo scorso, il milanese era al Team Bike Exchange, oggi Jayco-AlUla, dove seguiva le corse e (quando era a casa) si occupava del magazzino. Quando si è reso conto di non avere più una vita, è tornato alla squadra belga da cui aveva spiccato il volo e adesso è con il campione del mondo al Giro d’Italia. C’era lui anche alla fine del 2022, quando Remco andò a fare i sopralluoghi in costiera amalfitana, gettando le basi per la sfida al Giro.

Fausto Oppici ha 52 anni: prima d diventare meccanico è stato un buon dilettante
Fausto Oppici ha 52 anni: prima d diventare meccanico è stato un buon dilettante

«In realtà con lui – quasi si schermisce – non ho un grandissimo rapporto, perché abbiamo fatto corse differenti, ma da quello che ho visto in questi primi giorni del Giro, come tutti i grandi campioni vuole avere il meglio possibile. Fanno fatica, quindi è giusto cercare di dargli il massimo».

Oppici è stato anche meccanico della nazionale per 19 mondiali fra Italia e Australia e ha lavorato in due Olimpiadi con gli azzurri e due con gli australiani.

Si fa qualcosa di diverso nel preparare le bici di una squadra che punta alla maglia rosa?

La differenza non è molta, perché l’occhio deve essere lo stesso. Se sbagli qualcosa, devi intervenire e soprattutto il corridore se ne accorge, che sia campione o gregario. Il lavoro è lo stesso, ma sicuramente lo stimolo è diverso. Un conto è andare al Giro sperando di vincere una tappa, altra cosa se vuoi il bottino pieno. La mentalità magari è la stessa, le motivazioni cambiano. Per cui c’è qualche bici in più, qualche ruota in più, qualche attenzione in più.

Le bici ricevono lo stesso trattamento, che siano del capitano o del gregario
Le bici ricevono lo stesso trattamento, che siano del capitano o del gregario
Quante bici in più?

Soprattutto quelle del leader sono sempre due più degli altri. Comprese le 8 che corrono, abbiamo 25 bici da corsa e 17 da crono. Per quello che invece riguarda le ruote, il numero è sempre quello, perché ne servono sempre tante. E considerando tutti i profili a disposizione, il numero è notevole. Abbiamo 50 coppie di ruote da strada, più 25 da crono.

Hai trovato grandi differenze in questa squadra rispetto alla tua prima esperienza?

No, la mentalità è sempre quella. Qui si corre per vincere ed essendo una squadra belga, c’è la passione della gente che ti spinge a fare sempre più di quello che potresti.

L’occhio è lo stesso, le motivazioni sono più forti. Sapere di mettere le mani sulla bici di Remco moltiplica l’attenzione?

Attenzione sì, mentre la metti a posto ti fermi a guardare qualcosa che potrebbe essere diverso o migliore. Una volta che hai finito il lavoro, devi essere sicuro di quello che hai fatto. Se continui a pensare che manca qualcosa, metti mano ed è sempre un toccare. E finisci col peggiorare, invece che migliorare.

Anche il meccanico deve studiare il percorso del Giro per valutare le varie scelte tecniche?

Prima lo facevamo molto di più. Adesso magari si dice ai ragazzi che partiamo tutti col i pignoni 11-34 e facciamo tutto il Giro con quel rapporto. Invece prima magari si partiva con l’11-21, poi magari se le salite erano ripide si metteva il 25. Poi è arrivato il 28. Invece adesso con le 12 velocità, a partire dall’11 hai una gamma di rapporti praticamente completa.

Oppici è subentrato nello staff dei meccanici belgi, di cui aveva già fatto parte
Oppici è subentrato nello staff dei meccanici belgi, di cui aveva già fatto parte
Per le ruote invece c’è da scegliere?

C’è da dire che tutta la gente ringrazia quando passa il Giro, perché si fanno le strade nuove. Quindi da quel lato, può capitare la buca, ci mancherebbe, ma le strade mediamente sono tutte belle. Quanto allo scegliere il tipo di pneumatico, noi usiamo il copertoncino in cotone con la camera d’aria in lattice. Abbiamo avuto a disposizione anche i tubeless, ma i corridori si sentono meglio sul copertoncino.

Il tubeless non viene usato davvero mai?

Solo quando piove. Abbiamo sul camion le ruote preparate per la pioggia: sono lì ferme, sperando di non usarle troppo spesso. La terza bici è montata con quelli. E se vediamo che è brutto, le prendiamo prima di partire. Altrimenti rimaniamo con i copertoncini e come scorte sull’ammiraglia teniamo bici montate allo stesso modo.

Oggi si scala Campo Imperatore, quali ruote e che rapporti per Evenepoel?

Ruote basse e come sempre il 34.

La festa di Pedersen, il tormento di De Marchi

11.05.2023
6 min
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Pedersen passa come una freccia, mentre accanto alla transenna sulla sinistra s’è fermato De Marchi cercando un po’ di silenzio nel baccano di Napoli e del cuore che martella. Una corsa per raggiungerlo e poi ci fermiamo rispettandone il respiro. Un metro più avanti, Simon Clarke ha tolto casco e occhiali e sta piangendo. Sono entrambi del 1986 e per entrambi la vittoria di tappa avrebbe significato molto, ma il gruppo ha recuperato forte e le minime schermaglie fatte negli ultimi 500 metri sono state fatali.

«Insomma, ho giocato un po’ – mormora Alessandrolui era molto più veloce di me e allora ho voluto provare a vincere. Insomma, fare secondo sarebbe stata una gran cosa, ma arrivati a questo punto, bisogna giocare per la vittoria. Quindi ho dovuto fare una cosa che forse non ho mai fatto in tutta la carriera: non dare più un cambio e me ne dispiace. L’avevo vista questa tappa, poi stamattina sono andato in partenza e ho visto che c’era un grande nervosismo e siamo andati…».

Due palleggi nella città dello scudetto: Remco torna alle origini e paragona Merckx a Maradona
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Cambi saltati

Parla e poi riflette, il rimpianto lo scuote. Sembra che le domande gli nascano da dentro e lui risponda mano a mano che vengono fuori. Poi lentamente De Marchi si riconnette con questa strada assolata in riva al mare e il discorso riparte.

«Sono mancati 300 metri – dice – eravamo in due, era un po’ un azzardo. Però l’unica cosa da fare era provare da lontano, sperando di avere le gambe sufficienti. E’ stata una gara entusiasmante, sapevamo che poteva essere adatta alla fuga e ci abbiamo provato. Credo che Clarke sia più dispiaciuto di me, perché essendo più veloce sapeva di avere più chance. Però dovevo giocare un po’, rischiare e provare a fargli lanciare la volata lunga per saltarlo. Stasera forse sarò più contento, adesso ho solo un gran mal di gambe e di schiena…».

L’omaggio di Pedersen

Sono arrivati agli ultimi 3 chilometri con 30 secondi di vantaggio, sembrava fatta. Dietro il gruppo era largo, tirato da Ineos e Bora, che volevano solo tenere davanti i capitani e si disinteressavano della volata. Tanto che quando chiedono a Pedersen come mai abbiano impiegato così tanto per chiudere sui primi, il danese vincitore quasi si stranisce.

«Davanti c’erano due corridori fortissimi – queste le parole del danese della Trek-Segafredo – dietro abbiamo dato quello che potevamo. Non penso che riuscire a vincere sia stato un fatto di fortuna. Abbiamo lavorato molto per trovare questo livello. Sono maturato, ho iniziato a lavorare di più. La squadra è costruita accanto a me e oggi sono riuscito a concretizzare. Certo, al mio palmares mancano alcune classiche, ad esempio non ho un grande rapporto con la Roubaix. Ma proverò a vincere tutto quello che posso…».

Pedersen ha voluto fortemente venire al Giro: non aveva ancora mai vinto una tappa
Pedersen ha voluto fortemente venire al Giro: non aveva ancora mai vinto una tappa

Lo stile De Marchi

De Marchi ritrova il sorriso, un sorriso amaro. Dall’altro lato della strada lo chiamano per chiedergli la borraccia e un tipo poco attento chiede al suo amico se abbia vinto lui. La città è rivestita di drappi azzurri, l’arrivo si specchia nel mare.

«Quando ho saltato i cambi? Nell’ultimo chilometro – spiega Alessandro – bisognava fare così. Forse nei chilometri precedenti ho lavorato di più, ho fatto più fatica, non ero proprio perfetto. Per stare lì davanti abbiamo fatto il nostro. Alla fine ho deciso di lasciare sulla strada tutto quello che avevo e questa è la cosa più importante. Se esiste uno stile De Marchi? Sì, quello di attaccare e poi non vincere. Però non si può rimanere sempre nel gruppo, dopo un po’ ti annoi. E onestamente oggi avrei sofferto molto di più a fare in gruppo quella discesa sulla Costiera».

Le strade del Giro

Le strade del Giro d’Italia, se ne parla tanto. I giornalisti stranieri giocano a fare gli agitatori, chiedendo ai corridori di fuori di parlarne. Qualcuno abbocca, qualcuno no.

«Le strade oggi erano davvero impegnative – commenta De Marchi – era una continua curva, un buco dietro l’altro e insomma, non è stata una passeggiata. Francamente non ho avuto occasione di guardare il panorama. Speravo di riuscire a portarmi dietro Gavazzi, sarebbe stato una spalla ideale. Oggi sono due anni dalla maglia rosa di Sestola e per questo mi scoccia ancora di più non essermi fatto un regalo».

Correre in Costiera è impegnativo, ma gli scenari non passano inosservati
Correre in Costiera è impegnativo, ma gli scenari non passano inosservati

Un turno di riposo

Sul tema delle strade, interviene anche Pedersen, che sorride come avendo esaudito un bel sogno e quindi non ha voglia di cercare per forza la polemica: chi lo conosce sa che dice sempre quel che pensa. E questo è il suo pensiero.

«Le strade sulla costa sono bellissime – dice – se non le vedi, vuol dire che sei cieco. Abbiamo corso a tutto gas, certo, ma ci siamo resi conto che erano bellissime. Oggi abbiamo trovato un misto di asfalto brutto e anche nuovo. Sono le corse, abbiamo da fare 3.500 chilometri di corsa, non possiamo pretendere che siano perfette e sempre uguali. Perciò stasera faremo festa e poi da domani penseremo a quale altra tappa puntare. Non certo Campo Imperatore, domani ci prenderemo un turno di riposo, anche i compagni meritano di recuperare…».

Pedersen va avanti con le interviste. De Marchi si avvia con pedalate lente verso il pullman della Jayco-AlUla. Dall’altro lato della strada passa Leknessund atteso nella zona mista delle tivù. Napoli inizia a defluire dalle strade del Giro, mentre sulla corsa si allunga già l’ombra lontana del Gran Sasso.

Il sogno di Verre è diventato realtà

06.05.2023
4 min
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Alessandro Verre è il secondo corridore più giovane al Giro d’Italia, dietro solo a Matthew Riccitello della Israel Premier Tech. L’atleta dell’Arkea-Samsic si prepara al suo esordio in una grande corsa a tappe. Non traspare troppa tensione, anche se un punta c’è, d’altronde è la corsa dei sogni.

«Tutto sembra iniziato molti giorni fa – ci racconta Alessandro Verre – c’è tanto stress intorno al Giro. Solamente giovedì con il viaggio ed il problema avuto con la consegna delle bici da crono da parte del corriere. Le aveva la squadra in Francia, sono arrivate verso l’ora di pranzo e siamo andati subito a sistemare la posizione».

Ecco Pozzovivo e Verre, entrambi lucani, tra i due ci sono quasi 20 anni di differenza
Ecco Pozzovivo e Verre, entrambi lucani, tra i due ci sono quasi 20 anni di differenza
Come mai?

Non mi trovavo con la posizione usata lo scorso anno, avevo dei dolori, soprattutto i giorni dopo averla usata. 

La bici si trovava in Francia, vuol dire che l’hai usata poco quest’anno?

E’ la prima volta che la prendo in mano, non sono uno specialista di queste prove, anche se non le disdegno. Abbiamo fatto una pedalata per prendere le misure con la bici giovedì, volevamo visionare il percorso della crono, ma era troppo lontano dal nostro albergo. Così si è deciso di fare una pedalata sulle strade della terza tappa.

Quando hai scoperto che saresti venuto al Giro?

Due settimane fa, dopo le ultime corse. La squadra ha visto che stavo andando bene e che la condizione c’era, ed è arrivata la convocazione. 

L’Arkea durante la presentazione delle squadre di giovedì sera, avvenuta a Pescara, Verre è il primo da destra
L’Arkea durante la presentazione delle squadre di giovedì sera, avvenuta a Pescara, Verre è il primo da destra
Che cosa hai fatto per curare al meglio l’avvicinamento?

Sono stato dodici giorni in ritiro sull’Etna. Ho fatto qualche allenamento per migliorare i cambi di ritmo, mi ero accorto che mancasse qualcosa in quell’ambito. Non ho mai affrontato allenamenti troppo intensi. 

Cosa pensavi da solo in cima al vulcano, ti ha sopraffatto l’emozione di questa convocazione?

Ho cercato di pensarci il meno possibile, sono un po’ scaramantico, meno ci penso meglio sto. In fondo vado in bici per piacere, già questo è un ottimo passatempo, poi tutti i giorni avevo la salita per tornare in hotel. Insomma, facevo prima a pensare quanto fosse dura, anche perché dovevo farla tutti i giorni (dice con una risata, ndr). 

Quindi pochi pensieri sul Giro?

Pochi, preferivo guardare il panorama e concentrarmi sul lavoro da fare, mi davo delle piccole sfide per portare a casa il dislivello che volevo. 

L’anno scorso la corsa rosa era passata da casa tua, quest’anno torna, qualcuno ti verrà a trovare?

Praticamente l’anno scorso mi è entrato in casa, quest’anno arriva a Melfi, che è un’oretta da dove abito. Non so se qualcuno verrà a salutarmi, non mi sono sentito con nessuno, lasciamo la sorpresa. 

L’arrivo di Lago Laceno dista 120 chilometri dal tuo paese, Marsicovetere. L’hai già fatta?

Mai! Volevo andare a fare una ricognizione, ma la neve me lo ha impedito, l’affronterò anche io ad occhi chiusi. In Costiera sono andato spesso in inverno per sfuggire dal freddo, è un percorso mosso che si addice tanto alla fuga.

Mentre quella di Bergamo?

Su quelle strade mi sono allenato per un anno intero quando correvo alla Colpack. Quella sarà una tappa davvero impegnativa, pronti via e si fa passo Valcava dal lato di Lecco, il più duro. Poi Selvino, un’altra breve salita ed infine Roncola e città alta. Non sarà una passeggiata. E’ la nostra tappa di casa visto che si arriva vicino alla sede di Bianchi. 

La tappa di Bergamo la conosce bene, su quelle strade si è allenato per un anno intero quando era alla Colpack
La tappa di Bergamo la conosce bene, su quelle strade si è allenato per un anno intero quando era alla Colpack
Se pensi al Giro cosa ti viene in mente?

E’ la corsa che sognavo da bambino, dopo scuola e dopo gli allenamenti tornavo a casa per guardare tutte le tappe. 

Tensione?

Lo sto vivendo nella maniera più tranquilla possibile, la tensione un pochino c’è, in fondo è una grande corsa a tappe. Andrò avanti giorno per giorno con un due parole guida. 

Quali?

Esperienza e… sopravvivere.

Napoli, quasi una Liegi: l’avvertimento di Illiano

14.05.2022
6 min
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«Ci sarà il mondo – dice Illiano – gente che viene a parcheggiare al mio Lido di Acherusia, che sta a 500 metri dal percorso. Poi ci saranno quelli da Benevento e Caserta. Tanti verranno in bici, perché è il percorso di quelli che partono la mattina da Napoli e Caserta. Fanno Bacoli e Monte di Procida, poi tornano. Ho fatto vedere al sindaco che secondo Strava da queste parti passa una media di 7.000 ciclisti a settimana. Capito perché si potrebbe investire nel ciclismo in Campania?».

Strade da classiche

Tappa di Napoli dedicata a Procida, Capitale italiana della cultura: poche ore alla partenza. Quaggiù Raffaele Illiano è un po’ l’anima del ciclismo. Professionista dal 2002 al 2010, una tappa vinta alla Tirreno del 2008 e la maglia azzurra dell’Intergiro nel 2004, da quando si è ritirato si è dedicato alla biomeccanica, allo stabilimento balneare di famiglia e all’organizzare viaggi in bici alla scoperta della regione. A giugno arriverà la laurea in Scienze Motorie, mentre di recente ha messo in bici Fabio Cannavaro, che vive e lavora nel pallone, ma si diverte su due ruote.

«Sarà una piccola Liegi – dice descrivendo la tappa – che in effetti si potrebbe trasformare in una classica. Qua intorno ci sono parecchi imprenditori che potrebbero essere coinvolti, ci si potrebbe lavorare. Paesaggisticamente i posti sono stupendi. Si potrebbe fare un anello grande per coinvolgere altri Comuni, poi cinque giri del circuito di Procida. Sarebbe un bel Giro di Campania, ma dovresti farlo a marzo-aprile o settembre-ottobre, perché sennò dai fastidio alla stagione balneare. Qua è pieno di ristoranti che fanno cerimonie, quando si è saputo che avrebbero chiuso le strade, qualcuno ha protestato».

Nel 2008, Illiano batte Gasparotto alla Tirreno-Adriatico
Nel 2008, Illiano batte Gasparotto alla Tirreno-Adriatico
Parliamo di questa tappa, cosa ti aspetti?

La salita di Monte di Procida ha media del 6-7 per cento ed è dritta. Ha giusto due curve. Secondo me il velocista si stacca, anche perché farà caldo. Ieri l’ho fatta in bici e c’erano 29 gradi. Quindi si fa questa salita di 2 chilometri, scendi, costeggi il mare e poi sali per un altro chilometro e scendi ancora.

E’ vero che nel percorso c’è una salita che sul Garibaldi non viene riportata?

Una salita di un chilometro al 15 per cento, confermo, fra Monte di Procida e Lago Lucrino. Vieni da un rettilineo, fai la discesa e nel bel mezzo di una curva veloce a sinistra, c’è questo imbocco che non si vede. Chi non riesce a cambiare, rischia che gli vada giù la catena e se si pianta, fa il tappo. E’ un tratto ripido, i velocisti si staccano tutti. L’altro giorno mi ha chiamato Bramati. Gli ho detto che se Cavendish riesce ad arrivare allo sprint, allora sta andando proprio fortissimo. Anche perché la discesa è dritta e ripida, non puoi recuperare.

Vedi andar via la fuga?

Senza dubbio. Può essere la tappa per Nibali, ma anche di Conti, Ulissi o Van der Poel. Poi c’è da vedere come corrono. E’ venuto a provarla anche Pozzovivo. Ieri ci sono voluti 70 chilometri prima che partisse la fuga, oggi potrebbe partire subito dopo il via…

Addirittura?

A Napoli si parte subito da via Petrarca, che è messa male ed è subito in salita per 2 chilometri. Poi si va a Bagnoli in discesa e si risale verso la solfatara di Pozzuoli. Un avvio così si presta per andare via subito. Se invece arrivano compatti al circuito, allora la corsa esplode e li troviamo sparpagliati da tutte le parti.

Dopo i quattro giri sul Monte di Procida, c’è ancora salita per andare all’arrivo…

C’è un tratto veloce e ondulato. Sono salite che si fanno di rapporto, ma sono certo che all’arrivo saranno morti. Se pensate che domani c’è il tappone del Block Haus, capirete perché questo weekend lascerà il segno. Bisognerà vedere cosa fa Ciccone…

Lui magari penserà alla tappa di domani, in casa sua.

E’ da vedere, perché potrebbe giocare il jolly nel finale e mettersi alla prova in vista del Block Haus. Spero solo che non ci siano cadute. Mentre nelle nostre zone le strade sono in ottimo stato, a Napoli non ci hanno creduto e non hanno fatto tanto.

Illiano ha convertito a ciclismo Fabio Cannavaro, campione del mondo 2006 di calcio
Illiano ha convertito a ciclismo Fabio Cannavaro, campione del mondo 2006 di calcio
Quante volte hai pedalato sul percorso?

Tantissime, sono andato anche ieri sera. Tra una cosa e l’altra, ho riempito un hotel di australiani. Vi ricordate di Trent Wilson, che correva con me alla Selle Italia? E’ in Italia per il Giro con un gruppo di cicloturisti e seguono due settimane del Giro, prenotando in begli hotel. Credo sia gente che può spendere, infatti prenota solo in hotel di un certo tipo. Invece ho prenotato il ristorante per il gruppo di Rodolfo Massi.

Si parla di corsa e anche di turismo, insomma?

Esatto. Ci sono dei paesaggi stupendi, parliamo di un territorio stupendo. Se le istituzioni guardassero bene i numeri e ne capissero le potenzialità, potremmo davvero fare il boom col ciclismo quaggiù. E’ quello che mi piacerebbe fare, vediamo se il Giro in qualche modo ci darà una mano.