Lightweight cambia tutto (o quasi) ed il risultato è superlativo. Meilestein ART, le ruote che rappresentano (anche) l'evoluzione del marchio.
MISANO ADRIATICO – Lightweight ha lanciato in modo ufficiale il nuovo sistema ruota. Si chiama Meilestein ART e rappresenta anche una sorta di evoluzione dell’azienda tedesca. Nuovi materiali e processi produttivi, rinnovate soluzioni di ingegneria ed entrano prepotentemente in gioco le analisi dettate dalla galleria del vento.
Meilestein ART ha un cerchio tubeless ready (non hookless, quindi perfettamente compatibile con camere d’aria e copertoncini), ha raggi tutti in carbonio innestati nel cerchio. Come vuole la tradizione Lightweight ed un mozzo in alluminio che funge anche da sede e punto di snodo dei profilati rim-to-rim. Vediamo la Meilestein ART nel dettaglio.
Tutto nuovo, tranne i caratteri della scrittaTutto nuovo, tranne i caratteri della scritta
Nuova ruota, stessa qualità artigianale Lightweight
Meilestein ART è un sistema completamente nuovo, sotto ogni punto di vista. E’ difficilmente accostabile alle ruote Lightweight del passato, ma la produzione fatta a mano e di qualità artigianale resta, un vanto per il marchio tedesco. Per Meilestein ART sono stati ripensati in toto i processi di studio, design e sviluppo, produzione, così come la posa delle pelli di carbonio.
E’ un esempio la tecnologia Alpha Rib, che in parte sfrutta le conoscenze ed il DNA del passato, una soluzione che apre nuove frontiere alla categoria e mai utilizzata in passato. I raggi in carbonio si innestano direttamente nel cerchio, non ci sono nipples ed elementi metallici e non si fermano al pari della parete superiore del cerchio, ma proseguono verso il basso. Ognuno dei 24 raggi è collegato (appoggiato) ad una sorta di paratia interna al cerchio, una membrana che sostiene, irrobustisce, bilancia e rende il prodotto unico.
Il cerchio è tubeless ready e non necessita del nastro plastico all’interno del canale (largo 22,9 millimetri). Significa che la Meilestein ART èottimizzata per gli pneumatici da 28, ma si configura in modo ottimale con le gomme da 30 e 32 (restando in un ambito dove è importante sfruttare a pieno le potenzialità delle Lightweight).
Giovanni Mastrosimone e Andrea Rovaris di Bike Passion, storico distributore di LightweightLa legatura dei raggiLe flange dove “appoggiano” i raggiI raggi interni appoggiati ad una membranaLe flange, non ricoperte dal carbonioI mozzi e le flange sono un blocco unicoScompare l’incrocio delle fibre di carbonio per il cerchioNon c’è bisogno del tubeless tapeMeccanica DT Swiss con sistema interno Rachet System EXPGiovanni Mastrosimone e Andrea Rovaris di Bike Passion, storico distributore di LightweightLa legatura dei raggiLe flange dove “appoggiano” i raggiI raggi interni appoggiati ad una membranaLe flange, non ricoperte dal carbonioI mozzi e le flange sono un blocco unicoScompare l’incrocio delle fibre di carbonio per il cerchioNon c’è bisogno del tubeless tapeMeccanica DT Swiss con sistema interno Rachet System EXP
Alte 40 millimetri e raggi in un pezzo unico
Larghezza interna ampia, perfettamente in linea con le richieste attuali di un mercato che si spinge sempre più verso le gomme grandi. Il cerchio delle ART è alto 45 millimetri ed è arrotondato, un design dettato anche dalla galleria del vento, soluzione che permette di “alleggerire” le fasi di guida, evitando che sia la ruota a comandare e dettare le linee di guida. Non è un dettaglio banale e secondario, considerando che una Lightweight è tanto performante, quanto apprezzata e desiderata da differenti tipologie di utenza. Sempre in merito al cerchio, c’è una finitura liscia, con il filato di carbonio non più intrecciato.
I raggi sono rim-to-rim, sono incrociati in seconda e nel punto di incrocio adottano la storica “legatura” di rinforzo, eseguita con una pelle di carbonio. Ogni singolo raggio parte da un punto del cerchio, senza interruzioni ed arriva dal lato opposto, un blocco unico. Ogni singolo profilato si appoggia (ed è incollato) alle flange del mozzo in alluminio. I due mozzi, anteriore e posteriore non hanno dimensioni oversize (non hanno le flange in carbonio), sono dotati di una buona efficienza aerodinamica e contribuiscono a contenere il valore alla bilancia, molto basso. 1190 grammi dichiarati per le ruote in messa su strada. I mozzi hanno la meccanica interna che si basa sul Rachet System DT Swiss. Il prezzo di listino è di quelli importanti e si spinge oltre i 6000 euro.
MISANO ADRIATICO – Bioracer è una delle aziende storiche del panorama ciclistisco, una delle primissime a far collimare la tecnologia del tessuto, la ricerca aerodinamica applicata ai capi tecnici, ad investire importanti risorse nell’evoluzione dei capi stessi. L’azienda belga ora sbarca ufficialmente in Italia, vogliamo capire perché solo ora.
Abbiamo intervistato Marco Pancari, operation manager della filiale italiana dell’azienda che nasce nel 1986 in Belgio a Tessenderlo, nel cuore dell’attuale Bike Valley (dove ha sede anche Ridley e la sua galleria del vento). Bioracer ha sempre confermato la sua forza in diverse zone dell’Europa, ma la presenza in Italia si è palesata a spot. Eppure il know-how che mette sul piatto è di quelli importanti. Collaborazioni con team nazionali ed atleti (Ganna ad esempio, coinvolto nello sviluppo del body che lo ha portato al record dell’Ora, all’epoca Bioracer era partner del Team Ineos-Grenadiers) che hanno fatto incetta di risultati in ogni angolo del globo. Ampia offerta di capi tecnici custom mutuati direttamente dalle linee sviluppate per i professionisti. Entriamo nel dettaglio dell’intervista.
Marco Pancari durante l’IBF di MisanoMarco Pancari durante l’IBF di Misano
Finalmente Bioracer sbarca ufficialmente anche in Italia. Perché solo ora?
Bioracer ha sempre avuto una forte presenza in Europa, ma abbiamo voluto aspettare il momento giusto per entrare nel mercato italiano con una struttura solida e una strategia chiara. L’Italia è un paese chiave per il ciclismo e ora siamo pronti a offrire un’esperienza diretta, personalizzata e all’altezza delle aspettative dei ciclisti, ma anche dei dealer italiani.
Tutto nasce da qui, dalla valutazione biomeccanica, la passione di Raymond Vanstraelen (foto Bioracer)Tutto nasce da qui, dalla valutazione biomeccanica, la passione di Raymond Vanstraelen (foto Bioracer)
La filiale italiana avrà una sua autonomia, oppure dipenderà dal Belgio?
La filiale italiana opererà con un alto grado di autonomia, pur mantenendo un forte legame strategico con la sede centrale in Belgio. Questo ci permette di adattarci alle specificità del mercato italiano, mantenendo al contempo la coerenza, la qualità e l’innovazione che contraddistinguono il brand Bioracer.
Vi siete posti degli obiettivi e avete tracciato un percorso di crescita?
Assolutamente sì. Il nostro obiettivo è diventare il punto di riferimento per l’abbigliamento tecnico da ciclismo in Italia, sia per i team che per gli appassionati. Abbiamo un piano di crescita che include lo sviluppo della rete commerciale, l’apertura di showroom locali su tutto il territorio italiano e il rafforzamento delle collaborazioni con atleti e squadre locali.
La galleria del vento che ha sede nella Bike Valley (foto Bioracer)La galleria del vento che ha sede nella Bike Valley (foto Bioracer)
Cosa rappresenta Bioracer per la categoria dei capi tecnici dedicati al ciclismo? Customizzato incluso?
Bioracer è sinonimo di performance, innovazione e personalizzazione da oltre 40 anni. I nostri capi tecnici sono progettati per ottimizzare l’aerodinamica, il comfort e la resa dell’atleta. Il servizio custom è uno dei nostri punti di forza. Offriamo soluzioni su misura che uniscono tecnologia e identità visiva, ideali per team e brand che vogliono distinguersi.
PROTOLab, orgoglio dell’azienda per ricerca e sviluppo (foto Bioracer)PROTOLab, orgoglio dell’azienda per ricerca e sviluppo (foto Bioracer)
Tecnologia e capi d’abbigliamento, aerodinamica. Bioracer può essere e restare un riferimento?
Sì e lo dimostriamo ogni giorno investendo in ricerca e sviluppo. Collaboriamo con ingegneri, biomeccanici e atleti per creare capi che migliorano le prestazioni. Il nostro PROTOLab in Belgio è tra i più avanzati in Europa. Continueremo a innovare per mantenere la leadership nel settore. Possiamo contare sull’accesso diretto all’Areo Performance Lab, l’innovativa galleria del vento presente nella Bike Valley.
Ganna, Bioracer e lo storico record dell’OraGanna, Bioracer e lo storico record dell’Ora
L’azienda è da sempre legata ad alcuni team nazionali, è sbarcata nel WorldTour al fianco di Ineos, qual è la situazione attuale e quale sarà la strategia futura?
Le collaborazioni con i team evolvono in base a strategie e obiettivi condivisi. Attualmente Bioracer è fornitore del team francese Total Energies Pro Cycling. La partnership con Ineos Grenadiers è stata un capitolo importante che ha rafforzato la nostra visibilità a livello globale. Insieme a Belgian Cycling, abbiamo portato queste esperienze in nuove collaborazioni con altri team professionistici e nazionali quali il German Cycling, che si allineano perfettamente con la nostra visione futura.
MISANO ADRIATICO – La calzatura top di gamma della gamma road di Northwave impatta per il suo look completamente bianco, per la tomaia, i dettagli e la suola, ma c’è qualcosa in più.
L’aggiornamento, che si aggiunge alle livree cromatiche previste per la collezione 2026, porta in dote anche una miglioria in fatto di riduzione del peso, ventilazione e comfort.
Tutta bianca, più ventilata, tecnicamente la base è Veloce ExtremeTutta bianca, più ventilata, tecnicamente la base è Veloce Extreme
Il DNA Northwave non cambia
Veloce Extreme è una scarpa estremamente tecnica. Non è un compromesso sotto alcun punto di vista, sezione e processo di sviluppo, una calzatura Made in Italy che porta in dote una suola innovativa. E’ realizzata in carbonio unidirezionale in tutto il suo percorso, con la sezione dell’arco plantare PowerShape per il pieno supporto interno al piede. PowerShape offre dei notevoli vantaggi in fatto di resa tecnica, quasi come fosse un plantare integrato nella suola. Inoltre, la stessa suola prevede un abbondante supporto posteriore che si allunga verso l’alto, con design asimmetrico.
L’obiettivo è stabilizzare il piede nelle fasi di spinta, massimizzando la trasmissione della potenza, quasi ad eliminare ogni dispersione. Ne guadagna anche il comfort, per un piede che resta contenuto al meglio all’interno della calzatura, in ogni situazione. Nella versione total white, Northwave ripropone in toto la suola, che ora è tutta bianca, in perfetta sintonia con il resto della Veloce Extreme.
Suola “piena”, ventilata e con predisposizione SpeedPlaySupporto PowerShape all’arco plantareImpattano la sagomatura ed il design della suolaLa particolarità della suola che si alza sul talloneUna scarpa filante disegnata anche a favore dell’aerodinamicaSuola “piena”, ventilata e con predisposizione SpeedPlaySupporto PowerShape all’arco plantareImpattano la sagomatura ed il design della suolaLa particolarità della suola che si alza sul talloneUna scarpa filante disegnata anche a favore dell’aerodinamica
Tomaia più fresca ed aerata
Rispetto alle versioni già presenti a catalogo, si risparmia qualcosa in fatto di ago della bilancia, ma soprattutto la nuova tomaia contribuisce ad aumentare la ventilazione interna. C’è la linguetta con la rete mesh nella parte inferiore ed è giustamente spessorata per contrastare le forze che naturalmente si generano con i cavi in Dyneema. Non cambiano i due rotori SLW3 con tiraggio differenziato dei cavi, quello superiore è diretto, quello inferiore è incrociato e si snoda all’interno di passanti in tessuto. Buono il valore dichiarato del peso, 295 grammi nella taglia di riferimento, mentre il prezzo di listino è di 399,99 euro.
La @PARKPREBicycles K3 GRAVEL si basa sul nuovo telaio gravel in carbonio monoscocca UD che grazie al reggisella Parkpre Areo e al manubrio integrato monoscocca PFR DIRT rende l'insieme areodinamico ma adatto anche per le lunghe escursioni. Un gravel a tutti gli effetti anche grazie alla predisposizione in vari punti del telaio di portapacchi e agganci per le borse.
MISANO – Si chiama Parkpre K3 Gravel ed è stata una delle bici più apprezzate all’Italian Bike Festival. I veli sulla “toscanaccia” si sono levati proprio in quei giorni e l’attenzione non è mancata. Già a prima vista si è notato un vero salto rispetto alla precedente K1, che resta comunque un mezzo estremamente valido.
Nella sua livrea bianca con dettagli neri, a spiegarcela nel dettaglio, come si vede nel video, è stato Dino Gelli, responsabile tecnico di Parkpre, il quale in mezzo alla vasta gamma dello stand ci ha portato nei meandri della K3.
La Parkpre K3 Gravel: qui nella colorazione bianca. Da notare anche le viti per l’alloggio per le borseLa Parkpre K3 Gravel: qui nella colorazione bianca. Da notare anche le viti per l’alloggio per le borse
Telaio monoscocca
Partiamo dal telaio. Quello della K3 Gravel è un monoscocca UD che la rende davvero fedele al comportamento sui vari terreni, sia dal punto di vista delle performance che del comfort. Si tratta di tubi abbastanza grandi e questo è un vantaggio non da poco ai fini della comodità, che nel gravel, a seconda del tipo di utilizzo, può diventare anche motivo di prestazione. Tubi la cui lavorazione è stata calibrata dagli ingegneri di Parkpre in un lavoro durato oltre otto mesi. Non si trovano tubi semplicemente tondi o squadrati: ogni linea ha un suo perché. «Si è partiti dalla base del telaio K1. Abbiamo preso quanto di meglio aveva quel modello e abbiamo cercato di esaltarlo», ha riferito Gelli.
E a proposito di linee, molto interessante è il carro posteriore. L’attacco dei foderi alti è piuttosto basso, una soluzione insolita per una gravel. Ma questo rende la bici molto comoda e confortevole alle sollecitazioni verticali. Il pregio della K3 è che, nonostante questa scelta, trovano posto gomme fino a 45 millimetri. In teoria potrebbe entrarci anche un 50, ma in casa Parkpre lo sconsigliano in quanto troppo al limite.
Il manubrio PFR DIRT è stato progettato e costruito del tutto in casa Parkpre. Parte dalla misura 37 cm (centro-centro)Da notare la sua campanatura che lo rende adatto al gravelIl reggisella Aero Parkpre, una scelata che ci ha colpito per essere una bici gravel, ma di grande impatto esteticoIl manubrio PFR DIRT è stato progettato e costruito del tutto in casa Parkpre. Parte dalla misura 37 cm (centro-centro)Da notare la sua campanatura che lo rende adatto al gravelIl reggisella Aero Parkpre, una scelata che ci ha colpito per essere una bici gravel, ma di grande impatto estetico
Componentistica top
La K3 Gravel si avvale poi di altri due pezzi davvero di pregio e sempre “made in Parkpre”: il reggisella e il manubrio integrato. Il reggisella è l’Aero Parkpre, pensato appositamente per questo telaio. Ha una forma “ovaleggiante” che ci saremmo aspettati più su una bici da corsa di pura impostazione racing, eppure dai test effettuati ha dato eccellenti risposte anche nell’offroad. Di sicuro è di grande impatto estetico.
Si passa poi al manubrio. Anche questo è in carbonio monoscocca ed è il PFR DIRT, con una campanatura delle curve ad hoc per il gravel. Questo fa sì che il peso della K3 sia davvero contenuto e che nel complesso non risulti una linea massiccia, ma pulita. Nessun cavo esterno, nessun fronzolo: la K3 è pura sostanza.
Questo continuo mix di prezzi dall’assoluto DNA racing (un must per la casa toscana), come appunto la piega integrata, e alcune soluzioni invece più “soft” del telaio ci piace molto, in quanto fa della K3 una bici adatta davvero a tanti usi. Non è un caso che ci siano anche le predisposizioni per le borse con le viti su forcella, pendenti e orizzontale. Insomma con la Parkpre K3 Gravel ci si può correre viaggiare o anche semplicemente divertirsi.
Il configuratore per il design del telaio sul sito: https://custom.parkpre.it/configuratore/Il configuratore per il design del telaio sul sito: https://custom.parkpre.it/configuratore/
Montaggio e dettagli
Il modello che abbiamo ammirato noi montava il Campagnolo Ekar 1×13, con cassetta 11-46 e monocorona da 38 denti. Ma c’è anche la versione con l’L-Twoo 1×12, il gruppo del brand cinese che si sta espandendo sempre di più anche nel mercato europeo. Un set davvero interessante.
Le ruote, parte fondamentale in una gravel, sono le PFR Infinity38 Carbon TLR, con coperture Vittoria Terreno da 45 millimetri. La sezione maggiorata delle gomme rappresenta uno dei grandi salti in avanti rispetto al modello precedente.
In ogni caso la personalizzazione del K3 è totale: sia negli allestimenti, c’è anche l’opzione solo kit telaio (telaio, forcella, reggisella e ruotismi), sia nelle colorazioni, grazie al servizio MyParkpre. In pratica, grazie alla realtà aumentata, ci si può creare il proprio modello direttamente dal sito Parkpre, così da avere un gioiello unico al mondo.
Abbiamo approfittato di Italian Bike Festival per approfondire la conoscenza con il mondo RMS, il partner di chi ripara le biciclette. Distribuzione e assistenza di brand importanti, garanzie (dal 2026 anche @dtswiss ). E anche formazione e aggiornamento: dai meccanici professionisti ai giovani che vorrebbero entrare nel mondo del ciclismo.
MISANO ADRIATICO – Dove nascono i meccanici? Se le biciclette sono ormai dei concentrati pazzeschi di elettronica, può bastare aver corso per essere in grado di tenerle in ordine? Ormai anche i professionisti più esperti, fatta salva un po’ di pulizia, si guardano bene dal metterci le mani e si rivolgono ai tecnici della squadra. Non è un caso che la domanda se la siano fatta anche in RMS, che da 40 anni distribuisce in Italia alcuni dei marchi più importante del mondo del ciclismo e lo ha visto evolvere rapidamente verso l’estrema sofisticazione (in apertura il gruppo di Misano, in una foto dal profilo Instagram). La risposta che si sono dati è stata coerente: i meccanici non nascono sugli alberi, sarà meglio che iniziamo a formarli noi. Non è per caso che il loro slogan sia: il miglior partner per chi ripara le biciclette.
Italian Bike Festival è stato così l’occasione per conoscere uno dei “Professional Bike Mechanic” formati da Bike Technical Hub di RMS. Un centro tecnico professionale che si occupa di formazione con la RMS Academy e di assistenza tecnica. E dato che ottobre sarà il mese in cui i corsi riprenderanno, ci è sembrato interessante parlarne con Stefano Aresi, Managing Director della Bike Academy, e con Giuseppe Strozza che il corso l’ha affrontato e superato.
Stefano Aresi è Managing Director della Bike Academy di RMSStefano Aresi è Managing Director della Bike Academy di RMS
Un corso di 100 ore
Del servizio di formazione vi avevamo già raccontato. Il calendario formativo per professionisti si aprirà il 13 ottobre, mentre il 28 ottobre nella sede di Bovisio Masciago ripartirà il corso di 100 ore per diventare meccanici professionisti.
«Da due anni a questa parte – spiega Aresi – abbiamo inserito questo servizio che si occupa di formare o aggiornare competenze di professionisti o di portare nel settore ragazzi che vogliono inserirsi come meccanici professionisti. Per chi già lo fa già per lavoro abbiamo un’offerta formativa ampia, che si occupa di più tematiche, dalle ruote alle sospensioni, fino alle e-bike. Gestiamo in esclusiva i corsi di brand come Bosch, TQ, Magura, Cane Creek e altri. Per quanto riguarda chi vuole entrare nel settore, c’è molta richiesta sia lato offerta che lato domanda. Così abbiamo ideato un corso di 100 ore di formazione che si sviluppa in 13 giornate nell’arco di un mese».
Ad ora, su 20 allievi che hanno partecipato ai corsi di RMS, ben 15 sono approdati nel mondo del lavoro, con la comprensibile soddisfazione di Aresi e del suo staff.
Giuseppe Strozza ha conseguito il diploma nella RMS Academy e punta a un lavoro nel mondo bikeGiuseppe Strozza ha conseguito il diploma nella RMS Academy e punta a un lavoro nel mondo bike
L’allievo Giuseppe Strozza
Uno di loro, dicevamo, è Giuseppre Strozza, milanese che in passato ha corso in mountain bike e negli ultimi anni si è occupato di ristorazione come direttore operative di varie realtà della Lombardia. Quando però ha deciso di voler cambiare vita, è partito dal corso delle 100 ore di RMS.
«Ho partecipato a questo corso – spiega nella baraonda della fiera – perché volevo provare un’esperienza in un settore differente da quello in cui ho lavorato per tanti anni ed entrare nel mondo del ciclismo che mi ha sempre appassionato. L’ho trovato molto impegnativo, ma anche adatto sia ai principianti sia a chi magari già ha qualche nozione di meccanica. Io ad esempio correvo in mountain bike e mi sono sempre occupato delle mie biciclette. Avevo già un po’ di dimestichezza, ma sicuramente ora il mio approccio è molto più professionale. Ho dovuto studiare davvero. Non ci sono stati argomenti che mi abbiano messo davvero in difficoltà, ma alcuni aspetti hanno avuto bisogno di maggiore attenzione. Le trasmissioni elettroniche sono comunque molto più difficili da affrontare, ma con le lezioni giuste e la pratica siamo riusciti a gestire qualsiasi problema. Con questa competenza, il mio orizzonte potrebbe essere quello di diventare meccanico professionista o comunque di cercare qualcosa nel mondo della bike economy».
La consegna del diploma di “Professional Bike Mechanic” a Giuseppe StrozzaIl diploma riporta il voto e la qualifica: nei 2 anni di corso, 15 partecipanti su 20 iscritti hanno rovato un lavoroLa consegna del diploma di “Professional Bike Mechanic” a Giuseppe StrozzaIl diploma riporta il voto e la qualifica: nei 2 anni di corso, 15 partecipanti su 20 iscritti hanno rovato un lavoro
Da gennaio garanzia DT Swiss
E’ bastato guardarsi intorno per rendersi conto contemporaneamente che la RMS Academy è una goccia nel mare di prodotti e materiali distribuiti da RMS e che hanno fatto del grande stand un approdo per centinaia di appassionati e addetti ai lavori. A ciò ha concorso di certo anche il fatto che, per un insolito incrocio di correnti, lo stand dell’azienda lombarda fosse il più fresco di IBF.
«Il secondo servizio che proponiamo sempre ai professionisti del settore – prosegue Stefano Aresi – è l’assistenza tecnica sulle sospensioni, sulle ruote e le e-bike, per le quali siamo centro di garanzia ufficiale per il marchio TQ. Per le sospensioni siamo un centro di assistenza multibrand. Ci occupiamo della garanzia di Suntour e Cane Creek su tutta Italia, ma seguiamo anche Fox, Rock Shox, Ohlins e svariati altri marchi. Sul fronte delle ruote invece c’è una succosa novità che per noi è una grande notizia. Vale a dire che dal primo gennaio saremo centro di garanzia ufficiale e riferimento per i negozi di tutta Italia per DT Swiss».
MISANO ADRIATICO – «Vengo dalla scuola Fiorin – dice Rebecca Fiscarelli, 17 anni – dove la multidisciplina è all’ordine del giorno. Ho sempre fatto strada, pista e ciclocross. Preferisco la pista perché mi è sempre piaciuta, però penso che al giorno d’oggi per crescere si debba provare tutto. Anche perché da una specialità impari cose nuove che puoi applicare nell’altra. Il ciclocross per guidare in pista, la strada per avere resistenza nel cross. Da ognuna hai un beneficio, per cui mettendo tutto insieme, hai sicuramente una marcia in più».
Era sabato 11 marzo 2023, quando incontrammo per la prima volta Rebecca Fiscarelli, tricolore al primo anno da allievaEra sabato 11 marzo 2023, quando incontrammo per la prima volta Rebecca Fiscarelli, tricolore al primo anno da allieva
Il cerchio che si chiude
Parla così la neo campionessa del mondo della velocità a squadre juniores ad Apeldoorn – titolo conquistato con Cenci e Trevisan (Campana ha corso le qualifiche, in cui l’Italia ha anche stabilito il miglior tempo) – già campionessa europea ad Anadia. In un certo senso è un cerchio che inizia a chiudersi. Sorridiamo entrambi ricordando il primo incontro, in un sabato di marzo del 2023, quando i suoi anni erano appena 15. La Tirreno-Adriatico arrivava a Osimo, Roglic stava per vincere un’altra tappa, quando nello stand di Alé facemmo la conoscenza della giovanissima marchigiana in maglia tricolore. Con lei sua sorella Ylenia, che le faceva e ancora le fa da addetta stampa. Oggi Ylenia è in vacanza a Ibiza, ma è stata lei con i suoi messaggi a guidare Rebecca fino al truck di bici.PRO a Italian Bike Festival.
«Ritengo che la strada sia molto importante anche per crescere – dice per completare il concetto – e per vedere nuove cose. Sono ancora giovane quindi voglio capire dove posso andare e dove no. Sicuramente in pista abbiamo visto che vado forte, adesso ci concentriamo nuovamente su strada. Corro con il Conscio Pedale del Sile, vediamo che cosa ci propone la strada».
Fino al 2024, Rebecca Fiscarelli ha corso nel Team Fiorin, dove si pratica sul serio la multidisciplina (immagine Instagram)Fino al 2024, Rebecca Fiscarelli ha corso nel Team Fiorin, dove si pratica la multidisciplina. Ora è alla Conscio Sile (immagine Instagram)
Pistard senza pista
Tiene fra le mani la maglia iridata e le due medaglie: una col nastro azzurro della UEC, l’altra invece è color arcobaleno. Sono giorni di foto ricordo e racconti, ma a breve ricomincerà anche la scuola al Bonifazi-Corridoni di Civitanova Marche e allora si tornerà alla routine di lezioni al mattino, un rapido pranzo e poi gli allenamenti. Almeno quelli su strada, perché nelle Marche piste non ce ne sono.
Ad Ascoli Piceno hanno smantellato quella che già c’era per allargare un campo da calcio e hanno iniziato la costruzione di quella nuova, che per ora è ancora in alto mare. Semmai si va ad Avezzano, ma si tratta pur sempre di fare 400 chilometri fra andata e ritorno, con il Gran Sasso nel mezzo. Oppure a Forlì e in quel caso i chilometri sono 380.
La vittoria del titolo europeo ad Anadia aveva fatto capire che al mondiale si sarebbe potuto fare bene (foto UEC)La vittoria del titolo europeo ad Anadia aveva fatto capire che al mondiale si sarebbe potuto fare bene (foto UEC)
Che effetto fa aver vinto il campionato del mondo?
Una bellissima emozione. Venivamo già dal bellissimo risultato dell’Europeo, quindi ci aspettavamo di fare bene, ma non così tanto. Le ultime settimane non erano state molto semplici, ma ci siamo riprese, per fortuna, ed è andata molto bene. Io per prima non ero nella migliore condizione, perché appena arrivata in Olanda, ho preso la febbre. Quaranta non era dell’idea di farmi correre, però mi sono impuntata. In un modo o nell’altro sapevo che dovevo riuscirci.
La velocità a squadre si corre in tre, qual era il tuo turno?
L’ultimo. Si parte da fermi e abbiamo corso con Matilde Cenci e Siria Trevisan, che ha fatto una partenza perfetta. Poi è toccato a Matilde, come sempre strepitosa, e poi è toccato a me. Abbiamo girato su bei tempi anche in finale, nonostante la pista non fosse molto calda rispetto a quella dell’europeo, che mi è parsa più scorrevole. Siamo riusciti a portare a casa questo grande risultato, che sicuramente per me è un biglietto da visita per l’anno prossimo, dato che sono ancora di primo anno. Mi piacerebbe anche vincere un titolo singolo, però farlo con loro è stato bellissimo. Anche perché Siria e Matilde hanno un anno in più e sono molto più forti di me, quindi riuscire a stare con loro è stato veramente molto bello.
Essere l’ultima, dopo aver avuto la febbre, è stato una responsabilità?
Ero un po’ titubante, però mi sono auto convinta che per 49 secondi la febbre non l’avrebbe spuntata. Non dovevo fare un lungo di 3 ore, non dovevo fare 100 chilometri, ma solo 750 metri. E in effetti in gara sono stata bene, sul momento ero felicissima, però la notte dopo ne ho risentito.
Fiscarelli tira per terza, subito dopo Matilde Cenci. Per prima parte Siria TrevisanFiscarelli tira per terza, subito dopo Matilde Cenci. Per prima parte Siria Trevisan
Visto che Cenci e Siria Trevisani diventeranno under 23, con chi pensi che correrai il prossimo anno?
Del settore velocità resto solo io, però avremo l’aiuto di Agata Campana. Lei fa parte del gruppo endurance, però in realtà è una forte velocista. Vince su strada, la velocità in pista non le piace poi tanto, il team sprint è una specialità che invece l’attira parecchio. Ha visto che si può fare, ha visto che andiamo bene e quindi l’anno prossimo saremo noi due e poi troveremo delle ragazze che vengono su dagli allievi. Abbiamo già un po’ di nomi, si tratterà di vedere come andranno le cose.
E così il settore velocità che era ormai estinto, ha ricominciato a mietere successi…
Diciamo che grazie al nostro tecnico Ivan Quaranta stiamo facendo rinascere un settore ormai morto, perché si può dire che fosse così. Anche noi ragazze abbiamo vinto un titolo che alla Federazione mancava, quindi è stato anche molto bello anche per questo. Un nuovo titolo e quindi nuove speranze anche in vista di Los Angeles 2028. Dopo le imprese di Matilde Cenci, che ha vinto tre ori e un bronzo, dopo tutti noi insieme e compresi anche i ragazzi, speriamo di esserci guadagnati un po’ più di fiducia anche da parte della Federazione. In modo di fare più trasferte e riuscire a fare più cose.
Hai parlato del cittì Quaranta, come ti trovi con lui?
Ivan è sicuramente un tecnico molto bravo e molto giusto. Quando c’è da lavorare si lavora, però quando c’è da scherzare, ci puoi scherzare tranquillamente. E’ serio al punto giusto, riesco ad avere un bel confronto.
Rebecca Fiscarelli ha conquistato europeo e mondiale nella velocità a squadre al primo anno da juniorFiscarelli oro europeo e mondiale nella velocità a squadre al primo anno da junior. Al suo fianco, Agata Campana
Ad esempio?
Per la finale stavamo ragionando se cambiare il mio rapporto oppure no. E lui si è messo accanto a me e mi ha chiesto le sensazioni che avevo. In semifinale io mi ero sentita abbastanza dura e proponevo di accorciarlo, invece abbiamo fatto un’analisi a ritroso.
E che cosa è venuto fuori?
Ci siamo resi conto che prima della semifinale avevo fatto un riscaldamento un po’ scarso. Ne abbiamo parlato. Ho fatto un riscaldamento migliore e alla fine sono partita con il 56×15. Invece all’euorpeo avevo fatto la semifinale con il 56 e la finale con il 57. Quaranta è veramente super disponibile.
E adesso ricomincia la scuola.
Giusto, faccio un tecnico a Civitanova Marche, il Bonifazi Corridoni. Studio grafica ed è tosta, però riesco a conciliare bene tutto. Anche perché la scuola mi piace, studiare mi è sempre piaciuto fin da piccola e quindi riesco bene anche sui libri. La mattina mi alzo e vado a scuola, faccio pranzo lì e appena torno a casa – di solito all’una e mezza ci sono già – vado a fare subito allenamento, che sia in palestra o su strada.
Dopo l’accoppiata europei più mondiali, Rebecca Fiscarelli è stata ricevuta da Fabrizio Ciarapica, sindaco di Civitanova MarcheDopo l’accoppiata europei più mondiali, Rebecca Fiscarelli è stata ricevuta da Fabrizio Ciarapica, sindaco di Civitanova Marche
Che cosa fa Rebecca quando non studia e non si allena?
Mi piace uscire con le mie amiche, mi svago un po’ e vado a fare shopping. Quando ho vinto il mondiale, le mie amiche sono state felicissime. Sono tornata a casa che era notte fonda e la mattina dopo mia sorella mi ha buttato giù dal letto e mi ha portato a fare colazione perché loro mi avevano organizzato una specie di sorpresa. Mi aspettavano al bar e poi abbiamo passato la giornata insieme. Gli ho fatto vedere la maglia ed erano più contente di me.
Quando due anni fa ci siamo incontrati a Osimo avresti immaginato che oggi saremmo stati qui a parlare di un titolo mondiale?
Assolutamente no. Avevo addosso la maglia tricolore, mi aspettavo di arrivare in alto, questo non posso negarlo, ma così tanto in così poco tempo no. E’ stato veramente bello, è successo tutto in fretta, forse troppo. Devo ancora realizzare, però è stato veramente molto bello.
bici.PRO e la MTB hanno poco in comune, ma l'opportunità di incontrare un campione italiano, europeo e mondiale è ghiotta. Ecco Avondetto, atleta WIlier
MISANO ADRIATICO – Il 31 agosto, nel giorno in cui alla Vuelta Vingegaard batteva Pidcock alla Estación de Esquí de Valdezcaray, Salvatore Puccio impegnato a Plouay annunciava il suo ritiro dopo 14 stagioni di professionismo. Il siciliano cresciuto in Umbria e padre di un bimbo di due anni e mezzo, è stato per anni la bandiera solida e discreta del Team Ineos Grenadiers, che quando ci entrò si chiamava semplicemente Team Sky. Quando lo incontriamo nei viali dell’Italian Bike Festival ha l’espressione rilassata di uno studente alla fine di maggio. Il suo percorso sta per finire, i compiti li ha fatti e nelle sue parole si percepisce la curiosità per la nuova vita che lo attende. Trentasei anni sono tanti per un corridore, molti meno per tutti gli altri.
Salvatore è abbronzato e tirato, pronto per correre. Occhiali da sole con le lenti tonde e grandi che gli danno l’aspetto più sbarazzino. La tuta nera e accanto Omar Fraile e l’addetta stampa della squadra che lo segue e scandisce i tempi tra un impegno e il successivo. Lo conosciamo dal 2010 e non c’è stato un solo giorno in cui non si sia dimostrato una persona perbene.
Giro d’Italia 2013, il primo di Puccio: il Team Sky vince la cronosquadre a Ischia e Salvatore veste la maglia rosaGiro d’Italia 2013, il primo di Puccio: il Team Sky vince la cronosquadre a Ischia e Salvatore veste la maglia rosa
Quando hai cominciato a pensare di fermarti?
Gli ultimi due anni hanno avuto alti e bassi. L’età si fa sentire, i giovani vanno fortissimo quindi è stata una decisione naturale. Dopo le difficoltà del 2024, mi ero detto che in ogni caso questo sarebbe stato un anno di prova. Mi sono messo in testa di ripartire bene. Infatti quest’inverno mi sono allenato più che in tutti i quattordici anni da professionista. Purtroppo però già alla Tirreno non avevo delle buone sensazioni, per cui l’obiettivo è diventato fare il Giro e vedere cosa sarebbe venuto fuori nella prima settimana. Mi sono allenato al massimo, facendo il professionista al 110 per cento. Magari un altro anno potevo continuare, poi ho avuto l’infortunio al Tour of the Alps e lì ho pensato che fosse un segnale (sorride, ndr). Ho recuperato. Sono tornato alle gare e sto continuando ad allenarmi al 100 per cento, ma ho capito che è tempo di smettere.
Perché?
L’età è quella giusta. Ho sempre visto maluccio chi continuava dopo una certa età, trascinandosi. Non mi piaceva lasciare il ciclismo pensando che mi avrebbero visto come un… cadavere. Ci sta che negli ultimi anni di contratto non rendi più, non puoi sapere come starai l’anno dopo. Per cui ho fatto una scelta decisa. Sono contento, non ho nessun rimpianto, rifarei tutto allo stesso modo. Forse mi sarebbe piaciuto andare una volta al Tour, ma ho fatto per tanti anni il Giro in cui sono stato sempre molto rispettato.
Colle delle Finestre al Giro del 2018: Puccio tira nel tratto asfaltato. Dietro Froome prepara l’attacco che gli darà la maglia rosaColle delle Finestre al Giro del 2018: Puccio tira nel tratto asfaltato. Dietro Froome prepara l’attacco che gli darà la maglia rosa
Tanti fanno fatica a smettere, tu sembri molto deciso.
Quanto potrei fare ancora? Uno o due anni per allungare l’agonia? Gli anni importanti, quelli in cui molti corridori fanno un po’ “i vagabondi” perché tanto hanno il contratto, io li ho fatti al 100 per cento. Fortunatamente nella mia carriera non ho mai avuto tanti infortuni, quindi ho corso sempre. Alcuni colleghi restano attaccati all’ultimo contratto per mettere via ancora qualche soldino, perché prima si sono presi degli anni sabbatici. Io sono stato professionale al 100 per cento. Quando era necessario ho lavorato e adesso ho tutto il tempo per andare alle feste. Ho 36 anni, per la vita normale sono giovanissimo.
La prima svolta c’è stata quando hai lasciato Monaco per tornare a Petrignano?
Quello era stato più per la famiglia. Era nato mio figlio e con mia moglie c’era un accordo iniziale. Anche a lei piaceva vivere lì, ma sempre con un occhio al paese. Quando è nato il bambino avremmo comunque dovuto cambiare casa anche a Monaco e poi sinceramente avrei voluto che mio figlio Tommaso crescesse con i nonni, dargli una famiglia vera. Noi corridori viaggiamo 200 giorni l’anno e il bambino sarebbe cresciuto solo con sua madre. Invece così è a casa, i suoceri abitano sotto, i miei genitori sono a 6 chilometri. Ci sono gli zii, è tutta un’altra vita. E’ una famiglia e a me piaceva che crescesse con una famiglia. Monaco è una piccola città, ma è anche grande. Non conosci neanche quello che ti abita accanto.
Puccio ha chiesto di conservare una sola bici: la Pinarello celeste del mondiale 2017 a BergenPuccio ha chiesto di conservare una sola bici: la Pinarello celeste del mondiale 2017 a Bergen
Quando tuo figlio ti chiederà che corridore è stato suo padre Salvatore Puccio, che cosa gli racconterai?
Che è stato un professionista. Nel suo ruolo, ma un professionista. Non mi sono mai lamentato, non sono mai stato male. Ho visto molte volte corridori, anche miei compagni, non presentarsi alle corse dicendo che stavano male. Mi sembra di essermi ritirato solo una volta in Australia, perché stavo male. Non ho mai chiamato il giorno prima perché avevo la febbre o un virus. A 36 anni inizi a valutare anche queste cose. Questo è il periodo dell’anno in cui ci si ammala, a me non è mai successo.
Hai detto che quest’inverno ti sei allenato tantissimo: adesso che lo hai annunciato hai ancora voglia di allenarti?
E’ duro partire, però ieri ho fatto distanza, visto che per venire qui a Misano non sarei andato in bicicletta. Due giorni fa ho fatto una doppia uscita, perché queste sono le nuove tipologie di allenamento. A 20 giorni dalla fine carriera potevo anche scrivere all’allenatore e dirgli che non avevo voglia, oppure la mattina potevo inventarmi che stavo male. Invece mi sono fatto due giorni pieni di lavoro. La mattina con blocchi di un’ora e mezza e 40 minuti al medio. E la seconda uscita fuori soglia. E’ roba da pazzi per uno che tra due settimane smette. Mancano tre gare, ci posso andare in scioltezza, ma voglio essere serio sino all’ultimo. Ho chiesto solo di fare le ultime corse in Italia, è la sola cosa che ho chiesto.
Per gli italiani del Team Ineos Grenadiers, Puccio è stato per anni un riferimento. Qui con Ganna all’Etoile de Besseges 2021Per gli italiani del Team Ineos Grenadiers, Puccio è stato per anni un riferimento. Qui con Ganna all’Etoile de Besseges 2021
Quanto è cambiato l’allenamento da quando sei passato?
Quello che fa impressione sono gli allenamenti sui rulli tutti vestiti. Quest’anno l’ho fatto anche io. All’ultimo anno da professionista, mi sono dovuto vestire dentro il garage col termico, la cuffia e sudare per avere vantaggio dall’heat training. Quest’anno mi sono iscritto anche in palestra, andavo due volte a settimana alle sei me mezza del mattino. Un’ora e mezzo di palestra e poi andavo in bici.
Sei passato professionista dopo aver vinto il Giro delle Fiandre U23, ma non hai mai avanzato pretese…
Quando sono arrivato qui, la squadra era forte. C’erano Cavendish e Wiggins, in tutte le gare in cui andavo c’era un capitano. Non è come oggi, che arriva il diciottenne, gli dici di andare a tirare e ti risponde di mandarci un altro, perché lui fa classifica. Poi ho visto che facendo quel tipo di lavoro, ero rispettato in squadra. Ho guadagnato bene, almeno per il mio ruolo. Quando fai il capitano c’è molto più stress, devi rimanere ad alto livello. Quindi ho detto che andava bene così.
Puccio ha lavorato con tanti leader. Qui è con Carapaz, che nel 2022 perderà la rosa nel finale sul FedaiaPuccio ha lavorato con tanti leader. Qui è con Carapaz, che nel 2022 perderà la rosa nel finale sul Fedaia
Qual è il capitano più in gamba per cui hai lavorato?
Capitani ne ho avuti diversi, ma il più maniacale era Froome. In gara faceva da corridore, allenatore, direttore. Lui vedeva tantissimo la gara. Poi ce ne sono stati tanti. Thomas poteva partire anche con un’altra bici, perché non se se sarebbe accorto. C’è stato Bernal, c’è stato Tao. Ho vinto il Giro con Froome, Bernal e Tao, poi la Vuelta con Froome. E devo dire che in quella Vuelta del 2017 stavo bene. E’ stata una delle gare in cui sono stato meglio. Ero stato in altura, avevo fatto una settimana a Livigno e una sullo Stelvio. Avevo uno stato di forma pazzesco, in confronto alle altre gare, dove soffri sempre. Lì soffrii, ma il giusto. Adesso invece ho solo tanto mal di gambe.
Ci sarà ancora la bicicletta nella vita di Salvatore Puccio?
Per fare passeggiate da caffè. Tutt’ora quando vengono con me gli amici che fanno quattro ore con me, io poi mi ritrovo morto sul divano il pomeriggio e mi chiedo come facciano.
Salvatore Puccio, classe 1989, è pro’ dal 2012. Ha sempre corso nel gruppo Ineos Grenadiers, prima Team SkySalvatore Puccio, classe 1989, è pro’ dal 2012. Ha sempre corso nel gruppo Ineos Grenadiers, prima Team Sky
Hai deciso insieme a tua moglie che avresti smesso?
No, l’ho deciso da solo. Mia moglie mi diceva di smettere già da diversi anni (ride, ndr). E adesso c’è da organizzarsi una vita. Sono ancora giovane, stare tutto il giorno in casa è anche negativo. Mi sono iscritto al corso di direttore sportivo, mi piacerebbe rimanere in questo sport. Ho fatto la prima corsa che avevo sette anni. Ho fatto gli ultimi allenamenti, anche ieri, facendo strade che forse poi non vedrò più. Addirittura mi sono lanciato su una strada sterrata e ho pensato che se avessi bucato, mia moglie non sarebbe venuta a prendermi.
Cosa terrai della tua carriera?
Una maglia per ogni stagione e la bici azzurra dei mondiali di Bergen del 2017. Ho conservato anche tutti i dorsali dei Grandi Giri. Dieci Giri e sette Vuelta. Sono stato per 14 anni nella stessa squadra perché mi hanno valorizzato. Non ho vinto nemmeno una corsa, ma ho due secondi posti: una al Giro e una alla Vuelta. Ho avuto poche possibilità e ho perso da Cummings e De Marchi, due esperti delle lunghe fughe. Si vede che era destino che non vincessi.
MISANO ADRIATICO – Alle 12 ci aspetta Marta Cavalli allo stand di Prologo, con cui ha collaborato a lungo. L’atleta cremonese è a un passo dall’ultima corsa di stagione, il Tour de l’Ardeche. Il 2025 è stato l’anno del ritorno in gruppo, quando neppure lei credeva di meritarsi un posto. La giornata è calda, ma all’ombra si sta ancora bene e il momento va bene per fare quattro chiacchiere in libertà, spaziando dalla sua storia a quello che si sta muovendo sotto il cielo del ciclismo femminile. In tanti anni di incontri e interviste, raramente si è raggiunta la profondità di quando davanti c’è lei.
«E’ stata una stagione particolare – dice – che ha avuto il suo lato positivo, perché non mi aspettavo niente. L’avrei presa come fosse arrivata. E’ iniziata bene, meglio delle mie aspettative. Ripartivo da zero, dall’infortunio dell’anno scorso, e la costruzione della forma fisica è stata graduale. A differenza di tutti gli inverni, dove a un certo punto mi ammalavo perché facevo troppo, non ho avuto delle interruzioni quindi sono arrivata alle classiche bene e senza chiedere troppo al mio corpo. E’ stato un crescendo, con gli occhi puntati sul ritiro in altura che mi avrebbe aiutato a migliorare la condizione, ma qualcosa non è andato secondo il piano».
Abbiamo incontrato Marta Cavalli allo stand Prologo dell’Italian Bike FestivalAbbiamo incontrato Marta Cavalli allo stand Prologo dell’Italian Bike Festival
Che cosa?
Subito dopo l’altura sono andata in Svizzera e sono tornata un po’ malata e da lì non ho più recuperato, infatti ai campionati italiani non stavo benissimo. Al Giro ho fatto fatica sin dalle prime tappe e mi è spiaciuto veramente tanto doverlo abbandonare. Di conseguenza le cose non sono andate bene per il Tour, che sembrava una corsa troppo ambiziosa per la quale non ero pronta. Non mi sentivo di prendere la responsabilità di un posto in squadra e non essere al livello che avrei voluto. Quindi mi sono concentrata di più sulla preparazione. E adesso mi trovo con l’ultima gara della stagione, l’Ardeche. Ho dei bei ricordi dagli anni scorsi, quindi vediamo di fare qualcosa di buono e poi ci sarà tempo per pensare. Devo fare dei ragionamenti. Pensare un po’ e vedere cosa chiedermi e cosa aspettarmi per il prossimo anno. Adesso come adesso non lo so, vorrei solo concludere la stagione e prendere del tempo per estraniarmi e valutare quello che è stato.
Ti piace ancora il mondo delle corse, l’allenamento, l’adrenalina?
Diciamo che dopo un po’ di anni inizia ad essere la stessa cosa, la stessa routine, c’è sicuramente meno entusiasmo. La sensazione degli ultimi anni di non riuscire, di dover spingere di più ma non riuscirci mi sta mettendo alla prova. Il ciclismo è cambiato, è diventato tutto migliore e io sento di essere rimasta indietro. Mi sembra di essere sempre in rincorsa. Rincorro la mia miglior condizione, ma so che in questo momento la mia miglior condizione non è più sufficiente, quindi vedremo.
Marta Cavalli ha riscoperto il gusto di correre grazie al Team PicNic, che le ha permesso un rientro gradualeMarta Cavalli ha riscoperto il gusto di correre grazie al Team PicNic, che le ha permesso un rientro graduale
Si è fermato tutto con l’incidente del Tour 2022?
Lì c’è stata una brusca interruzione che non mi aspettavo e mi ha dato la scossa. Quasi come se mi avesse fatto crescere, uscire dalla sfrontatezza della gioventù. Mi ha dato qualcosa su cui riflettere sul fatto che si rischia tanto. Ho riconquistato fiducia, ma da lì è stato sempre più facile perderla. Ci sono stati altri infortuni, è stato un rincarare la dose. Mi hanno cambiato come atleta, ma anche come persona.
Come è stato assistere da fuori alla vittoria di Ferrand Prevot al Tour?
Avevo un piccolo sentore, perché lo capisci quando un’atleta è tanto concentrata. Dai messaggi che cerca di far trasparire sui social, per esempio. So che lei è un atleta forte e determinata, soprattutto l’ha dimostrato quando anni fa ha vinto tutti e tre i mondiali in un anno. Non è una cosa facile. Poi penso che anche lei abbia avuto un momento difficile, poi è riuscita a rivincere e a ritrovare la serenità. Me la ricordo benissimo alla Sanremo, poi molto bene alla Roubaix. E lì ho iniziato a pensare che facesse sul serio anche su strada. Quando poi ho visto tutte le storie della preparazione in altura per il Tour, ho pensato che avrebbe potuto davvero scuotere le gerarchie del gruppo.
Il Giro è stato un momento difficile per Cavalli, ritirata alla 4ª tappaIl Giro è stato un momento difficile per Cavalli, ritirata alla 4ª tappa
Sentire quei commenti sul suo peso cosa ti ha fatto pensare? Addirittura Marlene Reusser si augurava che lei non vincesse…
Tifare che uno non vinca non mi è mai piaciuto. Ognuno nella propria vita sceglie cosa è giusto e cosa è sbagliato. C’è chi fa scelte di un tipo, chi fa scelte di un altro e vanno tutte rispettate, così come le idee e le opinioni. Non credo sia giusto giudicare quanto fatto da altri. Lo dico perché tante volte ho ricevuto giudizi su quello che facevo io, ma alla fine ognuno si prende la responsabilità per se stesso. Con l’attenzione che c’è adesso nelle squadre, credo che non sia stato fatto niente di troppo pericoloso. Sono d’accordo con l’altra sponda della corrente, perché noi atlete veicoliamo un messaggio. Però mi sembra che siano state prese le dovute precauzioni.
Quindi un limite esiste?
E’ giusto perdere peso, è giusto prepararsi. Questo definisce anche la mentalità e la determinazione di un atleta, la sua serietà. Se è sotto controllo di un medico non fa niente di sbagliato, anche perché poi ha fatto il suo periodo di riposo, di recupero e preparazione. L’importante è non finire in giri negativi, di cui risente la salute. Ci si prende cura della sicurezza per quanto riguarda caschi e attrezzature, si deve prendere molto a cuore anche la sicurezza fisica e della salute. Perché finito il ciclismo, poi c’è un’altra vita da affrontare. Ed è quello che sto facendo. Dopo anni in cui ho tirato la corda, adesso ho capito che è meglio lasciare un po’, mollare ogni tanto. E dire: «Okay, però per la Marta del futuro cosa è meglio? Continuare ad allenarsi forte o fare un passo indietro, riposare, recuperare e guadagnare di freschezza, di tranquillità e di poterlo spendere da altre parti?».
Tour de l’Ardeche 2023, l’ultima vittoria di Cavalli, che precede Erica Magnaldi e Anastasyia KolesavaTour de l’Ardeche 2023, l’ultima vittoria di Cavalli, che precede Erica Magnaldi e Anastasyia Kolesava
Si può dire, estremizzandola molto, che si smette di essere atleti a quel livello estremo quando si comincia a pensare al dopo?
Sì, certo. Quando sei fuori dal loop di essere sempre a gas aperto, inizi a dirti che forse sta arrivando un cambiamento. Ho iniziato a prendermi più cura di me. Mi rendo conto che anni fa andavo a tutta d’estate, inverno, in pista e strada. Poi inizi a capire che non puoi reggere quei ritmi e inizi a centellinare energie. Poi anche centellinarle non è più sufficiente. Cambiano le generazioni, arrivano altri più nuovi, con più forza.
Voler fare tutto accorcia le carriere?
Sicuramente. Sono anni che spingo, spingo, spingo. Invece ogni tanto ci sta prendersi un anno più tranquillo. Ora guardo un po’ fuori dalla mia bolla. Per quello mi è piaciuto quest’anno. Smettere dopo l’anno scorso sarebbe stata un’interruzione brutta e brusca, che mi avrebbe fatto lasciare con dei brutti ricordi. Non mi sarebbe piaciuto.
Che cosa ti ha convinto a riprovarci?
Tante persone, la squadra in primis. Mi hanno preso sotto braccio senza pressione e mi hanno invitata al primo ritiro, poi al secondo, poi mi hanno proposto di fare le prime gare e mi sono ritrovata con il numero sulla schiena. Non l’avrei mai detto, per questo non so che cosa avverrà nel futuro. Però ho avuto la soddisfazione di aver superato la paura. Gradualmente sono riuscita a godermi una nuova opportunità ed è stato bello. Ho vissuto sul lato umano le mie compagne, mentre prima ero più concentrata su di me. Anni di corse ne ho, quindi magari non mi sono resa utile in corsa, ma ho potuto dare dei consigli con l’esperienza che ho messo insieme. Mi ha fatto piacere condividerla.
Cavalli ha scoperto il gusto di mettersi a disposizione delle compagna: qui con CiaboccoCavalli ha scoperto il gusto di mettersi a disposizione delle compagna: qui con Ciabocco
Quindi ti è piaciuto di avere il numero sulla schiena?
Sì, ma proprio non me lo aspettavo. Per me era un no categorico e invece pian piano ci ho provato, l’ho vissuto, me la sono anche goduta. Mi è piaciuto, ha portato fuori una parte di me e spero di averla trasmessa. Spero che sia stata utile alle ragazze giovani della squadra, a cui auguro un bel futuro perché lo sport dà tante soddisfazioni. Sono convinta che se anche uno non arriva al top, è importante che abbia dato il massimo per se stesso. Di questo mi sono resa conto e ho imparato che lo sport non è solo eccellere, vincere ed essere perfetti. Esiste anche uno sport agonistico in cui hai dato il massimo. Sai quanto c’è voluto per arrivare lì. Non importa se le altre persone non lo sanno, ma è importante che tu sia convinto di aver fatto tutto quello che potevi. Mi rendo conto che negli anni ho fatto anche cose che io in prima persona magari non avrei mai fatto perché per me non erano essenziali. Però in quel momento per arrivare là serviva e sforzandomi l’ho fatto.
Hai davanti due porte. Cosa potrebbe convincerti a continuare?
A volte si va avanti per abitudine, ma a me quell’abitudine non è mai piaciuta. Per me deve esserci il vero fuoco dentro. Quando il fuoco si spegne, puoi tenerlo acceso soffiando, però sai che il grande falò non tornerà. Però il fatto di aver trovato un modo per essere di supporto e godersi ancora questo mondo potrebbe essere una spinta per continuare. Veramente, voglio vedere come va questa gara. Ho fatto delle buone settimane di allenamento, mi sono goduta paesaggi differenti. E’ una gara che mi piace, le mie compagne continuano a credere in me ed è bello. Mi piace così e poi vedremo…
E’ un (ulteriore) traguardo importante quello raggiunto quest’anno dall’Italian Bike Festival: l’evento espositivo & test di riferimento per il mercato della bici e della mobilità sostenibile in Italia, ma non solo, in programma dal 15 al 17 settembre prossimo nel magnifico contesto del Misano World Circuit a Misano Adriatico (Rimini). IBF ha difatti ricevuto la qualifica di Fiera Internazionale dalla Regione Emilia Romagna. Un “timbro” prestigioso che ne decreta l’inserimento all’interno del ristretto pool delle manifestazioni fieristiche internazionali della Conferenza delle Regioni. Ma anche delle Province Autonome e nel calendario degli eventi fieristici della Regione Emilia Romagna.
Come appena anticipato, l’Italian Bike Festival 2023 andrà in scena per la sua sesta edizione ancora all’interno del Misano World Circuit. Partirà il 15 settembre e terminerà il 17 settembre 2023. Un appuntamento, quello di IBF, che aggrega gli appassionati del settore bici, i media, i buyer e gli operatori economici provenienti da tutto il mondo. Un evento che richiama l’attenzione sul sistema produttivo italiano ed incentivando la competitività del nostro Paese a livello globale.
L’IBF partirà venerdì 15 settembre e terminerà domenica 17L’IBF partirà venerdì 15 settembre e terminerà domenica 17
Le parole di Cassani
«Un riconoscimento che è la conferma della maturità di IBF – ha dichiarato il Presidente di Apt Servizi Emilia Romagna Davide Cassani – che indirettamente premia anche il territorio che ospita questa manifestazione. L’IBF è tra le punte di diamante degli appuntamenti in Regione dedicati al ciclismo e al mondo bicicletta. Questo è ormai un settore divenuto sempre più importante nell’ambito della nostra offerta turistica. Ospitare una fiera internazionale dedicata all’universo della bici a 360 gradi rende sempre più dell’Emilia Romagna una vera e propria “Bike Valley” di assoluto riferimento».
Davide Cassani si è detto soddisfatto della crescita dell’IBF in questi anni (foto Apt Servizi)Davide Cassani si è detto soddisfatto della crescita dell’IBF in questi anni (foto Apt Servizi)
Oltre 600 brand
«Quello che abbiamo ricevuto – hanno ribattuto Lucrezia Sacchi, Fabrizio Ravasio e Francesco Ferrario di Taking Off, la società organizzatrice di IBF – è davvero un importante riconoscimento che certifica la rilevanza dell’Italian Bike Festival, la piattaforma più attrattiva del settore bike in Europa. Una qualifica quest’ultima che rappresenta per i nostri partner in arrivo dall’estero un’ulteriore conferma della qualità e dell’innovazione del nostro format. Per l’edizione 2023 sono attesi espositori internazionali provenienti da oltre 15 Paesi che daranno l’opportunità ai visitatori di conoscere in anteprima e testare le novità del mercato. Per i ciclisti professionisti, e per gli appassionati, ritorna confermatissimo il ricco palinsesto di gare de La Gialla Cycling. Si tratta di una serie di eventi ideali per incentivare lo sviluppo della mobilità sostenibile sul territorio emiliano-romagnolo con conseguenti ricadute turistiche estremamente positive».
Torna la Gialla Cycling: gli eventi per incentivare lo sviluppo della mobilità sostenibile sul territorio emiliano-romagnoloTorna la Gialla Cycling: gli eventi per incentivare lo sviluppo della mobilità sostenibile sul territorio emiliano-romagnolo
«La nostra manifestazione- conclude – si avvale del supporto di APT Servizi Emilia-Romagna e Visit Romagna, raduna migliaia di persone nei suoi tre giorni. Nel corso degli anni si è dimostrata sempre più attrattiva anche fuori dai confini italiani. Nell’edizione 2022, IBF ha registrato una quota di visitatori esteri pari a circa il 5% sul totale di 42.000 visitatori provenienti da 42 paesi, tra cui spiccano Cina, Francia, Germania, Spagna e Stati Uniti. Oltre 500 i brand internazionali presenti, esposti da più di 300 aziende in rappresentanza di Austria, Belgio, Bulgaria, Cina, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, Irlanda, Paesi Bassi, Polonia, Slovenia, Spagna e Svizzera».
Le strade restano pericolose per corridori e amatori. E se lo Stato non si muove, Acsi e Zerosbatti aggiungono la tutela legale al normale tesseramento