Il quarto Muro d’Huy cambierà il film della Freccia?

12.02.2024
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«Partiamo da questo – dice Bartoli secco – alla Freccia Vallone dovevano cambiare qualcosa, perché non mi piace una corsa così che generalmente arriva agli ultimi 150 metri con 70-80 atleti. Non è assolutamente la classica che deve avere questo svolgimento. Quindi secondo me fare una volta in più il Muro d’Huy, visto il coraggio superiore che c’è in gruppo negli ultimi tempi, è sicuro che potrebbe far male».

Il quarto Muro

Per celebrare il quarantesimo arrivo in cima al Muro d’Huy, inserito nel programma della Freccia Vallone nel 1985, gli organizzatori di ASO hanno deciso che il 17 aprile, la 88ª edizione della Freccia Vallone che partirà nuovamente da Charleroi scalerà il celebre Chemin des Chapelles per quattro volte, cioè una in più del solito. Il circuito finale, lungo 140 chilometri, vedrà la scalata del muro ogni 31,6 chilometri. Non ci sarà la Cote de Cherave, ma fra un muro e l’altro i corridori dovranno scalare la Cote d’Ereffe.

«La tradizionale Cote de Cherave – ha spiegato Jean-Michel Monin, responsabile della corsa per ASO – quest’anno non ci sarà a causa di lavori nel centro di Huy. L’aggiunta di un quarto passaggio sul Muro non ha precedenti per la Freccia Vallone. Chissà come reagiranno i corridori a queste due salite extra. Nulla però dice che la formula verrà mantenuta anche nel 2025, perché la Cote de Cherave è molto bella nel finale e recuperarla potrebbe essere un nostro obiettivo».

Lo scorso anno Pogacar vinse la Freccia Vallone aspettando l’ultima scalata del Muro d’Huy
Lo scorso anno Pogacar vinse la Freccia Vallone aspettando l’ultima scalata del Muro d’Huy

Preparata a tavolino

Bartoli la Freccia Vallone la vinse con un’azione da lontano, resa ancora più eroica dalla giornata di tregenda, fra pioggia e neve. Il toscano non attese l’ultima scalata del Muro, pur avendo l’esplosività per giocarsela con i rivali di allora.

«Mi ricordo – spiega – che chiesi alla squadra di fare a tutta il penultimo Muro d’Huy. C’erano Steinhauser e Noè e lo fecero davvero forte. Avevamo programmato l’attacco sulla salita successiva. In quel modo fu facile fare selezione, scremammo un po’ gli avversari e nel punto prestabilito andammo via in tre e poi rimasi da solo. Mi sarebbe piaciuto avere un quarto passaggio, una gara più dura. Però si poteva attaccare anche prima avendone tre, si sfruttava quel che si aveva. Secondo me è soprattutto una questione di coraggio. Puoi mettere anche due muri in più, ma se poi li fanno piano, non serve a niente».

Il record di vittorie alla Freccia Vallone è di Alejandro Valverde, che nel 2017 siglò la quinta
Il record di vittorie alla Freccia Vallone è di Alejandro Valverde, che nel 2017 siglò la quinta

Questione di coraggio

Sta tutto a trovare chi avrà le gambe e la voglia di attaccare prima della scalata finale. Se anche l’imprevedibile Pogacar lo scorso anno si accontentò di fare la differenza sull’ultima, chi potrebbe anticipare sapendo che nel finale li avrebbe tutti sul collo?

«La Freccia Vallone – ribadisce Bartoli – deve essere più selettiva, è brutto aspettare la volatina negli ultimi 150, non ha senso. Quindi apprezzo questa scelta degli organizzatori, anche perché il Muro lo si affronta ogni 30 chilometri e non a troppa distanza una volta dall’altra. Ed è anche positivo che nel mezzo ci sia anche un’altra salita, in modo che il giro sia comunque impegnativo. Diciamo che chi si sente battuto nel corpo a corpo sull’ultima salita adesso ha il terreno per provarci. E’ una questione di tattica e di coraggio. Come all’Emilia con il San Luca. Non sempre si decide all’ultimo passaggio, qualche volta il colpaccio riesce…».

Le storie di Gabriele Sol(a), primo addetto stampa d’Italia

05.12.2023
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ROMA – In città per assistere a un musical al Teatro Brancaccio che vede sua figlia Giulia Sol come protagonista, Gabriele Sola si presta al racconto, che parte dal ciclismo e arriva alla sua nuova vita (nella quale è incluso anche il cambio del cognome). Un passo per volta, tuttavia. Quando non c’erano gli addetti stampa, se con il corridore avevi sufficiente confidenza, l’intervista si faceva in camera oppure ai massaggi. Altrimenti, se il compagno di stanza stava riposando, ci si dava appuntamento nella hall. I cellulari non c’erano, i social e i loro ideatori erano ancora embrioni. In questo quadro decisamente nostalgico, Gabriele Sola fu il primo degli addetti stampa italiani.

Dopo essersi dimesso dalla Regione Lombardia rinunciando al vitalizio, Gabriele Sol è oggi un mental coach
Dopo essersi dimesso dalla Regione Lombardia rinunciando al vitalizio, Gabriele Sol è oggi un mental coach

Un giornalista della radio

La Mapei aveva appena salvato la Eldor-Viner di Marco Giovannetti, subentrando come sponsor nel 1993. E quando successivamente si trattò di strutturare la squadra a cubetti che, in un modo o nell’altro, avrebbe fatto la storia del ciclismo italiano, Giorgio Squinzi si guardò intorno e decise di introdurre qualcuno che facesse da filtro nei rapporti con i media. Ai tempi si ragionava di grandi giornali, riviste, radio e televisioni. E l’unica squadra ad essere già dotata di una figura del genere era la Banesto, che per fare muro attorno a Miguel Indurain aveva investito del ruolo Francis Lafargue.

«In realtà – ricorda Gabriele con un bel sorriso – la figura che era stata individuata da Squinzi era lo stesso Giovannetti. Lo aveva sempre apprezzato, è una persona talmente ricca su piano personale e bravo nelle relazioni, che la scelta era caduta su di lui. Credo però che Marco in quella fase avesse compreso che non era quello che desiderava fare e declinò l’offerta. Io arrivai a fine 1995. Nel frattempo avevo lavorato con RTL102,5 e avevo iniziato una collaborazione con Telemontecarlo, che faceva la trasmissione Ciclissimo con Davide De Zan. Mapei era uno degli sponsor, quindi ci fu modo di conoscersi e da lì partì il progetto».

Fino a quel momento, il solo team con un addetto stampa era la Banesto, con Lafargue per Indurain (foto El Diario Vasco)
Fino a quel momento, il solo team con un addetto stampa era la Banesto, con Lafargue per Indurain (foto El Diario Vasco)
Qual era lo scopo? Avvicinare la stampa alla squadra o tenerla lontana?

Gestire la stampa. A volte avvicinarla, tenerla lontana mai. Credo che uno degli aspetti che portò alla scelta del sottoscrittore fu proprio il fatto che venissi dal mondo del giornalismo. L’anno precedente ero al Tour de France e ci fu un incidente diplomatico con Rominger.

Cosa accadde?

Da bravo giornalista rampante, gli arrivai davanti dopo una cronosquadre che non era andata particolarmente bene e gli feci una domanda secca. Tony, che parlava benissimo italiano, mi rispose in inglese o francese, dicendomi: «Ma è possibile che un giornalista al Tour de France mi faccia una domanda in italiano? Forse è il caso che tu vada a fare il Giro d’Italia». Mi trattò malissimo. Immaginate la sorpresa quando al primo giorno di lavoro in Mapei, mi ritrovai a lavorare con lui.

Quale compito ti fu affidato?

Mi fu chiesto di mediare. L’idea era di agevolare l’interazione tra tutte le parti, facendo in modo che si trovassero dei punti di equilibrio. Quindi in alcuni momenti è capitato di dover limitare un po’ la stampa, in altri è stato il contrario.

La Mapei nacque per la spinta del patron Giorgio Squinzi, che creò un patto di acciaio con Aldo Sassi
La Mapei nacque per la spinta del patron Giorgio Squinzi, che creò un patto di acciaio con Aldo Sassi
Per il ciclismo italiano era un periodo di grande popolarità e grandi campioni, non c’erano ancora i social. Forse era davvero un altro mondo…

Manco da parecchio, ma forse in quel periodo c’era più rispetto delle reciproche esigenze. C’era un rapporto di calore umano, a volte anche conflittuale. C’erano tensioni, ma anche momenti meravigliosi di unione. Il racconto dello sport veniva trasposto in una dinamica molto accesa, oggi molto meno. Leggo ancora i giornali e mi sembra che su quel versante sia tutto un pochino impoverito. E questo nonostante ci siano più strumenti per interagire. Anche i social, usati in un certo modo, potrebbero consentire un’interazione migliore. Il fatto che non sia più così forse arriva anche alla gente, perché alla fine diventa tutto un po’… plasticoso. Un certo stile va bene per le altre discipline, non per il ciclismo.

Percepivi nei corridori la voglia di raccontarsi?

Allora (sorride, ndr), c’erano corridori e corridori. Franco Ballerini era un grande narratore. Percepivi davvero il piacere di raccontare, non lo faceva per esibizionismo, come alcuni suoi colleghi di cui non faccio il nome. Franco aveva il piacere di condividere con i giornalisti l’esperienza che viveva. E quando raccontava, ti sembrava essere in bicicletta con lui, come se volesse rivelarti le sensazioni più profonde e autentiche del suo vivere il ciclismo. Soprattutto al Nord.

Franco era una grande eccezione?

Di sicuro, c’erano quelli che tendevano a sgomitare per farsi vedere e anche quelli estremamente riservati e chiusi, che quasi consideravano il dover incontrare i giornalisti un dovere ingiustificato. E allora toccava a me spiegargli che facesse parte del loro lavoro e che la giornata non finiva nel momento in qui tagliavano il traguardo. Ho avuto a che fare con persone molto diverse, con cui negli anni si sono create belle interazioni.

Bartoli vince la Freccia Vallone 1999 sotto la neve: Gabriele ricorda distintamente il freddo di quel giorno
Bartoli vince la Freccia Vallone 1999 sotto la neve: Gabriele ricorda distintamente il freddo di quel giorno
Qualche esempio?

Quella con Gianni Bugno, che poi è stato padrino di mio figlio. Col tempo abbiamo fatto alcune cose molto belle. Mi piace pensare che il Gianni della Mapei fosse diverso da quello degli anni precedenti. E poi Bartoli, con cui ho vissuto una complicità bellissima. Michele era talmente immerso nel trip della competizione, che con lui creai una specie di routine. Per 2-3 minuti dopo l’arrivo, andava blindato. A quel punto, una volta sbollita l’adrenalina, tornava una persona meravigliosa. Una delle persone più belle e autentiche che abbia conosciuto nel mondo del ciclismo. E questo a volte è stato il suo problema nelle relazioni con i giornalisti, perché era davvero schietto. Arginarlo nel dopo gara era un modo per tutelarlo soprattutto da se stesso… 

Quali sono gli episodi che porti con te?

Ce ne sono diversi. Uno proprio con Michele, quando vinse la Freccia Vallone del 1999 sotto una nevicata terribile. Dopo l’arrivo era veramente intirizzito e mi ricordo che gli diedi il mio giubbino. Mi guardò come per dire «Grazie». Non me lo disse, bastò lo sguardo. Invece un episodio da ridere ci fu proprio con Bugno.

Cosa successe?

Un giorno al Tour de France, c’era la crono e come al solito ci dividevamo per seguire i corridori. Io di solito ero dietro qualche gregario, invece la sera prima Gianni chiese che seguissi lui. A me prese un colpo. Gli dissi: «Gianni, sei sicuro? Io ho due mani sinistre, non sono capace di aiutarti. Se capita una cosa alla bicicletta, sei fritto…». Lui invece disse che non avrebbe fatto la crono al massimo e così il giorno dopo mi misi nella sua scia con la mia Ulysse tutta cubettata.

Bugno è stato uno degli atleti seguiti da Gabriele Sol, che ne è poi diventato amico
Bugno è stato uno degli atleti seguiti da Gabriele Sol, che ne è poi diventato amico
Andò bene?

Era pieno di tifosi in mezzo alla strada. Faceva veramente paura, perché lui era popolarissimo in Francia. A un certo punto però alza la mano, problema meccanico: terrore. Mi avvicino. Lo affianco. E lui mi fa: «E’ un Ecureuil». E mi descrive la marca e le caratteristiche dell’elicottero della televisione che lo stava inquadrando dall’alto. Questi sono due episodi personali, ma ci sono state anche fasi più complesse.

Ad esempio?

Eravamo al Tour e Rominger era particolarmente in difficoltà. Non stava bene e cominciava a perdere sicurezza nei suoi mezzi. Poiché è molto intelligente, creammo una sorta di narrazione parallela a quella reale. Non si negò mai all’attenzione dei media, solo che per proteggerlo decidemmo di raccontare una versione che non rivelasse al mondo esterno il suo momento di difficoltà.

Per finire, che personaggio è stato per te Giorgio Squinzi?

Fantastico. Io ero tra i pochi che spesso veniva chiamato nel suo ufficio al sesto piano. E nel momento in cui il ciclismo entrava nella sua stanza, era come se si accendesse la luce. E’ stato un grandissimo imprenditore con lo stress delle sfide adeguate al suo ruolo. Ma quando veniva alle corse, guai se non c’era la pastasciutta aglio, olio e peperoncino fatta da Giacomo Carminati. C’era tutto un insieme di rituali, complicità e situazioni che lui viveva intensamente. L’ammiraglia, il pullman, iIl rapporto con il corridore e con tutti i membri dello staff. Viveva tutto con grande generosità e si stupiva di vedere che per altri non fosse lo stesso. Io non l’ho mai vissuto nei panni di presidente di Confindustria o in una trattativa importante, ma credo che lo Squinzi visto nel ciclismo, fosse il vero Squinzi.

Mondiale di Varese, Bettini e Gabriele Sol, che faceva parte dell’organizzazione: per entrambi l’ultima corsa
Mondiale di Varese, Bettini e Gabriele Sol, che faceva parte dell’organizzazione: per entrambi l’ultima corsa
Perché finì?

Nel 1999 venni contattato dalla Juventus. C’era la possibilità di prendere il posto di capo ufficio stampa e io mandai il curriculum. Questa cosa credo non la sappia praticamente nessuno. Mi chiamarono a fine Vuelta. A ottobre ci furono tutti i colloqui e alla fine scelsero me. Avrei iniziato il 2 novembre del 1999, senonché mia moglie si mise di traverso. Non voleva andare a Torino. Giulia aveva appena quattro anni e alla fine rinunciai. Solo che lo avevo già detto a Squinzi. Lui non era stato entusiasta, mi aveva lasciato andare a malincuore, essendo per giunta milanista. Così quando tornai indietro, mi aprì le porte, però percepii che le cose erano cambiate. Perciò nel 2000 aprii la mia agenzia e iniziammo a seguire la Liquigas, una parte della comunicazione internazionale per il Tour de France e nel 2008 i mondiali di Varese.

Sappiamo della carriera politica in Regione Lombardia e ora del tuo lavoro di mental coach. Hai mai sentito la mancanza del ciclismo?

La parentesi politica fu istruttiva è un po’ distruttiva. Sono felice di seguire alcuni corridori, ma con la conoscenza attuale, mi piacerebbe essere più dentro al mondo del ciclismo: il cuore è lì. Non vengo più alle corse, perché rischio di star male e quindi me le guardo in TV. E nel frattempo abbiamo anche cambiato nome. Abbiamo seguito nostra figlia Giulia. Lavorando come artista a Roma, ha scelto come nome d’arte Giulia Sol. Finché un bel giorno, dato che come mental coach lavoro in tutta Italia e faccio pubblicità sul web, ho pensato che chiamarsi Sola non fosse un bel biglietto da visita. Così siamo andati dal Prefetto e abbiamo tutti cambiato cognome. Esattamente un anno fa sono diventato Gabriele Sol, ma per il resto giuro che sono sempre lo stesso.

Un giro con Bartoli nel motore (potente) di Tiberi

23.11.2023
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Quando dal primo giugno si decise che Antonio Tiberi avrebbe corso con la Bahrain Victorious, fu anche stabilito che della sua preparazione si sarebbe occupato Michele Bartoli. Non è mai facile subentrare alla guida di un corridore che nelle ultime due stagioni ha lavorato nella stessa direzione, per cui il toscano si limitò a osservare, capire e portare piccoli correttivi, seguendo la logica che a breve ci spiegherà.

Di Tiberi si parla come di uno degli italiani potenzialmente più adatti ai grandi Giri e per questo Luca Guercilena si è mangiato le mani quando il laziale è andato via. Lo aveva pescato dopo un solo anno fra gli under 23 e per lui aveva impostato una crescita graduale, interrotta sul più bello e passata fra le mani del team di Miholjevic.

«In qualche misura – spiega Bartoli – il fatto che Antonio sia stato cresciuto in modo così graduale potrebbe rivelarsi una fortuna. Si allenava con una metodologia non sbagliata, ma leggera, quasi da categorie giovanili. Ora invece è entrato in una dimensione a tutti gli effetti professionistica ed è pronto per fare tutto al 100 per cento. Quando prendi un atleta, valuti anche il suo storico per avere un’idea su come partire. A lui soprattutto serviva un grande Giro che non aveva ancora fatto. Dopo una Vuelta così, anche fisicamente sei pronto a tutto».

Michele Bartoli
Michele Bartoli, 54 anni, è uno dei preparatori del Team Bahrain Victorious
Michele Bartoli
Michele Bartoli, 54 anni, è uno dei preparatori del Team Bahrain Victorious
E’ difficile prendere un corridore a stagione già iniziata?

Il vero rischio, la difficoltà è che i feedback che ricevi potrebbero condizionarti l’anno dopo. Se prendi un atleta che ha comunque lavorato in una direzione, anche se utilizzi una metodologia diversa, quella non la cancelli. Puoi intervenire, correggerlo se ha sbagliato, però il flusso di quello che ha fatto rimane. Quindi il tuo lavoro non lo valorizzi al 100 per cento e il rischio è che lui perda fiducia. Perciò devi fargli capire che tutto quello che state per fare potrebbe non dare risultati immediati, ma se lo ritroverà l’anno dopo. Il difficile è non fargli perdere la fiducia nel nuovo metodo. Il pregresso non lo cancelli, invece a fine stagione fai un mese di riposo e poi riparti da zero.

Quindi con Antonio non hai introdotto grosse variazioni oppure c’è stato un cambio di registro?

Ho cambiato registro, studiando quello che aveva fatto. Io sono un preparatore, ho le mie idee e magari proviamo a inserirle pian piano.

Su cosa sei intervenuto?

Quantità, qualità e la dedizione. Secondo me Antonio è un ragazzo di assoluta prospettiva, ma ha bisogno di crescere uniformemente sotto tutti gli aspetti, come quando si sale di categoria, anche nell’approccio al lavoro. Ho notato che faceva dei volumi inferiori rispetto al suo essere professionista, non so se per consiglio o se perché nella sua testa gli andava così.

La sua stagione è ripresa dalla Svizzera, in maglia Bahrain. Qui la crono al Tour de Suisse
La sua stagione è ripresa dalla Svizzera, in maglia Bahrain. Qui la crono al Tour de Suisse
Perché secondo te?

Sul passato non mi piace neanche fare troppe domande, perché non mi piace entrare nel lavoro che hanno fatto gli altri. Però faccio una considerazione: ai giovani si chiede tutto subito. E proprio per questo averlo fatto crescere per gradi, va bene. Non si può sempre fare riferimento a Pogacar e Remco, perché sono due su migliaia di atleti. Il confronto è pericoloso perché quel livello è impossibile da trovare per gli altri. Oppure lo trovano, ma si bruciano. Comunque sia a 21-23 anni oggettivamente non hai le stesse qualità atletiche che puoi avere a 26-28. Quindi perché sacrificarlo all’estremo a quell’età, se già sai che non può darti il 100 per cento? Allora è meglio farlo maturare con calma. 

In base a cosa Tiberi è un corridore di grandi prospettive?

Fisicamente, senza dubbio. Ha un motore importante. E poi mentalmente è uno che non si fa problemi di niente. Questo potrebbe essere un pro e un contro. E’ un ragazzo molto deciso, quando ti risponde non lo fa mai a mezza bocca. E’ segno di una determinazione che a lungo andare è importante.

Tiberi ha appena iniziato il primo inverno sotto la tua regia, in che modo lavorerà?

I primi 15 giorni sono stati una fase di attivazione, in cui si rimette tutto in moto. Subito dopo inizieremo con uno specifico per indirizzare il fisico. E chiaro che non parliamo di un vero e proprio allenamento come quello che farà fra tre settimane, comunque se gli dai una direzione e gli stimoli giusti, la risposta che avrai nelle settimane successive sarà migliore. Inutile fare cose che non portano vantaggi, meglio preparare l’organismo per quando andrai ad allenare certe qualità in modo più sostanzioso.

Tiberi ha ripreso ad allenarsi in modo blando da una decina di giorni: salite al medio e nessun fuori giri
Tiberi ha ripreso ad allenarsi in modo blando da una decina di giorni: salite al medio e nessun fuori giri
Antonio è uno preciso che segue tutto e poi carica il lavoro sulla piattaforma?

E’ molto preciso, ma su questo vorrei fare una riflessione. Secondo me l’allenatore non può essere troppo autoritario come invece è necessario per altre figure della squadra. L’allenatore deve essere anche un confidente, un collaboratore. Se è troppo rigido, il rischio è che il corridore si chiuda a riccio e la collaborazione non funziona più. L’ho visto negli anni. E’ capitato che quando un atleta fa ripetutamente lo stesso errore, la tentazione sia quella di mandarlo a quel paese. Ma se gli dici le cose in modo troppo rigido, non ottieni nulla. Devi mettergli davanti il fatto compiuto, fargli vedere l’errore, però non serve a nulla scontrarti, perché poi non ti crede più e magari chiede di cambiare allenatore. E’ chiaro che un giovane come Antonio commetta degli errori, tutti li fanno. E allora bisogna fargli capire le cose nel modo giusto e lui è uno che ascolta.

Nel suo inverno ci sarà anche palestra?

Da qualche anno si fanno tutti i giorni gli esercizi di core. Poi ci sarà da fare uno specifico un pochino più intenso, che richiederà 2-3 sedute alla settimana. In più, Antonio continua a nuotare. Gli piace, non è un lavoro inserito in qualche programma, lo fa occasionalmente.

Con Tiberi si farà una preparazione mirata a obiettivi specifici?

Vedendolo e studiandolo in gara e negli allenamenti, dato che è forte a cronometro e in salita, pensi subito ai grandi Giri. Però è anche un corridore rapido. E’ vero che oggi i corridori da Giri vincono anche le classiche, ma in assoluto nell’impostare il lavoro si cerca di privilegiare quello in cui la squadra crede di più. Non so se sarà il suo caso, perché ancora i programmi non sono stati fatti, però se dovesse fare il Giro d’Italia si dovrà impostare il lavoro già dall’inverno. E se prima dovrà fare la Liegi, ci saranno piccoli aspetti da aggiustare.

Il miglior risultato di Tiberi alla Vuelta è stato il 7° posto a Guadarrama, 20ª tappa della corsa
Il miglior risultato di Tiberi alla Vuelta è stato il 7° posto a Guadarrama, 20ª tappa della corsa
Come va sulle salite lunghe ?

Molto bene, per quello che si è visto alla Vuelta. E’ salito di livello con il passare dei giorni e il suo gruppetto di appartenenza si assottigliava sempre di più. Mi viene in mente la tappa dell’Angliru. Una salita di tanti minuti, dura, immensa. Quel giorno ha fatto una tappa veramente bella (Tiberi si è piazzato 18° a 4’10” da Roglic, ndr), che per giunta era a fine Vuelta. Ha davvero un bel recupero.

Come lo alleni? Riesci a seguirlo di persona?

Sì, perché viene spesso in Toscana. Avendoci corso da junior, ha degli amici da cui a volte si ferma. Credo venga anche questa settimana. E poi partirà per il ritiro e qualche giorno ci andrò anche io. Sono contento che lo abbiate trovato cresciuto, siamo facendo un bel lavoro.  

Van Aert e Van der Poel: il bilancio di Bartoli un anno dopo

19.10.2023
5 min
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Wout Van Aert e Mathieu Van der Poel con Bartoli un anno dopo. Il grande ex toscano, oggi preparatore, aveva stilato un bilancio e un’analisi tra i due. Dopo una stagione tanto diversa per l’olandese e il belga non possiamo non riprendere il discorso.

Ma prima un rapidissimo sunto di cosa è stato il loro 2023. Van der Poel vince il mondiale di cross a gennaio in volata sul rivale, ma perdendo quasi tutti i duelli di avvicinamento con Van Aert. Segue un periodo di stacco molto simile, poi una primavera che si chiude per entrambi con la Roubaix. Il Tour, il mondiale (Van Aert ha fatto anche la crono, Van der Poel no) e poi un finale leggermente differente.

In totale 46 giorni di gara su strada per Van der Poel, 54 per Van Aert. I due quest’anno hanno gareggiato insieme 31 volte: in 17 occasioni è arrivato prima Van Aert, in 14 Van der Poel. Solo che il corridore della l’Alpecin-Deceuninck ha vinto alla Roubaix, alla Sanremo e al mondiale.

Michele, partiamo appunto dal quadro d’insieme della loro stagione. Che idea ti sei fatto?

Il rendimento è stato super per entrambi, il risultato super per uno solo, Van der Poel chiaramente. Io pendo per Van Aert, ma in quanto all’essere vincenti, se VdP continua così gli dà un bel distacco.

Mondiale di cross, VdP batte Van Aert e da quel momento l’annata prende la direzione in favore dell’olandese
Mondiale di cross, VdP batte Van Aert e da quel momento l’annata prende la direzione in favore dell’olandese
Come mai questa differenza?

Perché Van Aert è troppo generoso, è sempre preso anche nelle dinamiche di squadra. Lui è sempre protagonista anche nelle corse a tappe, grandi o piccole che siano. Mentre Van der Poel si stacca, recupera, non fa la stessa fatica e questo oltre che dargli un risparmio fisico, gli porta anche un risparmio di energie mentali. Lo fa essere più “cattivo”, più pronto nelle tappe in cui punta. Il che è fisiologico. 

Chiaro…

Accumuli voglia, desiderio, puoi fare un picco più marcato. Su 60 gare, Van Aert ne fa 55 a tutta, Van der Poel ne fa 20, ma quelle 20 le centra.

Ci avevi detto che prima o poi avrebbero dovuto scegliere se continuare con il ciclocross. Inizieranno a pensarci davvero? Van Aert ha detto che vorrebbe fare qualcosa di meno in tal senso…

Quella era ed è la mia idea. Anno dopo anno il non staccare diventa pesante sul piano psicologico. Poi magari loro hanno una grande convinzione e mentalmente sono ben predisposti, ma con l’andare avanti dell’età le cose cambiano. A me per esempio se a 27-28 anni avessero detto che a 33 non avrei più avuto la stessa voglia, li avrei presi per matti. Gli avrei risposto che avrei corso fino a 40 anni. Ma poi a un certo punto inizi ad avere più bisogno di recupero. E’ anche vero che loro di super hanno tanto e di umano poco!

Van der Poel al lavoro per Philipsen, l’olandese quest’anno è stato anche gregario
Van der Poel al lavoro per Philipsen, l’olandese quest’anno è stato anche gregario
Michele, quanto conta anche l’aspetto economico riguardo al cross? Oppure lo fanno per solo passione? O magari per abitudine?

Io dico passione. Chiaro che la parte economica ha importanza ma credo che loro non abbiano bisogno di quello.

E facendo un discorso di preparazione, se lo ritrovano o è un boomerang?

Gli serve, è un beneficio. Sono sforzi intensi che da giovane allenarli ha poca importanza, da grandicelli ne ha di più, da “vecchi” si dovrebbe fare solo quel tipo di sforzo, perché i fuorigiri si perdono più facilmente.

Ma questo non cozza un po’ col discorso che il cross li logora?

Ma conta anche la mente. Quel tipo di allenamento lo si può ricreare anche senza cross. Se lo fanno non è un danno. Non dico che gli faccia bene, ma dico che non gli fa male. Poi c’è un aspetto da valutare: la percezione della fatica non è sempre uguale. Ad una certa età ti sembra stare al 100 per cento, a tutta, e invece sei al 90 ed è lì che cala la prestazione. Tu magari potresti ancora rendere in quel modo, ma non sopporti più fatica allo stesso livello.

All’europeo Van Aert è 2°: pochi “millimetri” che secondo Bartoli sono dovuti ad un maggior dispendio energetico
All’europeo Van Aert è 2°: pochi “millimetri” dovuti forse ad un maggior dispendio energetico
Nelle “non vittorie” di Van Aert, incidono gli ordini di scuderia? L’altro invece ha carta bianca…

Non so come siano organizzati in Jumbo-Visma e come gestiscano certe dinamiche, ma Van Aert ha più responsabilità e spesso le prende da solo… proprio perché è un generoso. Però devo dire che anche VdP si è messo nei panni dell’aiutante. E anche bene, ma solo per Philipsen. L’altro aveva Vingegaard, Roglic, Kooij, Kuss… VdP doveva lavorare nei finali in pianura, l’altro in salita.

Dopo questa stagione Van Aert lo patisce psicologicamente?

Un po’ credo di sì. Col carattere che avevo io, sapendo che in volata mi avrebbe battuto o che già era davanti, avrei dato una frenatina per fare quarto. Non sarei salito sul podio con quel tipo di rivale. Mi avrebbe dato fastidio.

Van Aert ha anche le crono, VdP la Mtb, ma l’ha gestita col contagocce…

Io infatti non sono sorpreso per i risultati, ma proprio per la sua gestione. VdP è stato bravo. Così come approvo che la sera finale del Tour se ne sia stato tranquillo e non sia andato alla cena con gli sponsor. In certi momenti, al termine di una gara di tre settimane e con un mondiale in testa, stare fuori anche solo due ore in più equivale ad un mese

Lombardia: avvicinamento e preparazione ideale con Bartoli

06.10.2023
5 min
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Era il 18 ottobre 2003 e Michele Bartoli conquistava il suo secondo Giro di Lombardia. Quell’anno si andava da Como a Bergamo, esattamente come sabato prossimo. I chilometri allora erano 249, stavolta saranno 238, ma i connotati di quel tracciato erano davvero simili a quello che sta per arrivare. Specie nella parte iniziale e in quella finale con lo strappo di Bergamo Alta.

Oggi Bartoli è un preparatore affermato e ci aiuta ad entrare nei segreti del tracciato del prossimo Giro di Lombardia anche da un punto di vista della prestazione.

Ottobre 2003 Bartoli (classe 1970) fa doppietta e dopo un anno rivince il Lombardia (immagine da video)
Ottobre 2003 Bartoli (classe 1970) fa doppietta e dopo un anno rivince il Lombardia (immagine da video)

Finali a confronto

Da Como Bergamo, dicevamo: 239 chilometri, 4.400 metri di dislivello. Si va da un ramo del Lago di Como all’altro. Si sale sul Ghisallo in avvio, ci si tiene sul filo dell’Alta Brianza e ci si sposta verso est superando nell’ordine le alture di: Roncola, Berbenno, Passo della Crocetta Dossena, Zambla Alta, Passo di Ganda (zona Selvino) e infine Bergamo Alta, prima di planare sulla città in pianura.

Il finale di Como dello scorso anno era più impegnativo, con due salite a ridosso dell’arrivo. Per contro, ed è la teoria di Giulio Ciccone (che purtroppo non vedremo al via), arrivando a Bergamo ci sono da affrontare salite più lunghe e regolari.

«Il percorso del Lombardia – dice Bartoli viene sempre selettivo. Io credo che vinceranno gli stessi che potevano vincere anche a Como. E lo dico non solo per le caratteristiche del percorso, ma perché gli atleti che possono vincere sono tutti veloci. Pogacar, Roglic… sono loro i favoriti numero uno».

«Salite più lunghe dice Ciccone: questa analisi ci sta benissimo, è vera, ma le cose non cambiano. Il Lombardia resta quello. Ci sono il Ghisallo, il Selvino, la Roncola. Forse quando vinsi io il Berbenno era più vicino al traguardo e il fatto che non ci sia potrebbe togliere una difficoltà. Ma come ripeto, cambia poco. L’ultima vera differenza si farà su Bergamo Alta e dopo 240 chilometri farà male».

La tattica

Il percorso del prossimo Lombardia, con salite più lunghe e regolari, inciderà non solo sulle prestazioni degli atleti, ma anche sull’andamento tattico della corsa. Una corsa che in teoria potrebbe essere più facile da controllare.

«Su un tracciato così – prosegue Bartoli – le squadre riescono ad organizzarsi meglio. E’ un po’ più facile per loro controllare la corsa rispetto a quando c’è il Sormano o più salite nel finale. Poi bisogna considerare che siamo a fine stagione: le forze sono contate e non è detto che qualcuno non possa fare una sorpresa o che un attacco non possa andare più avanti e risultare più incisivo del previsto. Succede poche volte, ma succede».

Energie al lumicino, dunque, tuttavia viene da chiedersi se nel ciclismo attuale in cui ogni aspetto è calibrato si arrivi ancora con le energie contate. Anche in questo caso Bartoli fa delle precisioni importanti.

«Che in generale ci si arrivi meglio è vero – spiega il toscano – ma questo discorso vale ancora. Chi più e chi meno, tutti hanno a che fare con le ultime risorse. Il fisico è stanco e per me riesce a fare la differenza chi gestisce meglio questo avvicinamento. Chi riuscirà a conservare qualcosa in più. E se in questa fase vincono sempre gli stessi è anche perché sono più bravi anche a gestire le energie.

«In questa fase della stagione non esiste più una prestazione, ma la reazione ad un’azione. E non a caso le tabelle di allenamento variano. E’ importante comunicare bene con se stessi. Oggi bastano 3 ore fatte male che ti mancano energie».

Pogacar ha vinto sia con l’arrivo a Bergamo (qui con Masnada mentre scatta proprio su Bergamo Alta) che con l’arrivo a Como
Pogacar ha vinto sia con l’arrivo a Bergamo (qui con Masnada mentre scatta proprio su Bergamo Alta) che con l’arrivo a Como

Preparazione al dettaglio

La corsa durerà circa sei ore. E’ prevedibile una selezione importante sul Passo di Ganda e quindi uno scatto, una fiammata decisiva verso Bergamo Alta. Fiammata che potrebbe decidere il vincitore o chi si giocherà l’ultimo Monumento dell’anno allo sprint.

Se dunque le energie sono contate, se Bergamo Alta sarà decisiva ed è uno strappo breve che non va oltre i 3 minuti di sforzo, come si deve fare per essere al top in quel preciso momento? Si fa un avvicinamento mirato? Preparare il finale di Como con Civiglio e San Fermo in successione prevede delle differenze?

«E’ chiaro che si devono fare degli aggiustamenti – spiega Bartoli – ma partiamo dal presupposto che le squadre devono far correre chi ha ancora energie. E questo già incide. Si personalizza qualcosa, ma non c’è una differenza sostanziale nella preparazione come per un Fiandre o una Liegi, in cui hai la necessità di allenarti su percorsi molto simili e riprodurre sforzi e stimoli analoghi. Non fai una volata in più perché l’arrivo di Bergamo è, sulla carta, più facile di quello di Como. Quando dico di aggiustamenti intendo, come ho detto prima, della gestione dell’avvicinamento.

«Per esempio, per chi ha corso all’Emilia in questa settimana è importante il recupero, ma anche fare dei richiami di Vo2 Max. Non si può stare troppi giorni senza allenamento specie a fine stagione quando il fisico stanco tende a rallentare e a perdere con più facilità certi stimoli. Quindi si farà un po’ meno quantità, ma più qualità».

Remco, dov’eri domenica scorsa? L’analisi di Bartoli

12.08.2023
5 min
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Ieri è stato incoronato campione del mondo a cronometro. Una settimana fa a Glasgow è stato il grande assente tra i big. Da campione in carica ha dovuto inchinarsi allo strapotere che Mathieu Van der Poel ha dimostrato sul circuito infernale scozzese. Ed è proprio su quelle curve che Remco Evenepoel non si è fatto trovare così lucido e brillante come è suo solito quando ha un obiettivo in testa. 

Le dichiarazioni del giorno prima di suo padre e di Lefevere, un mondiale non così nelle sue corde, una giornata storta, insomma, le considerazioni che si possono fare a una settimana distanza sono molteplici. Per fare chiarezza e capire meglio quali siano le possibili cause della sua mancata riconferma ci siamo affidati al parere esperto e tecnico di Michele Bartoli.

La tecnicità del circuito e la pioggia sono due cause che hanno tagliato fuori Remco dai giochi
La tecnicità del circuito e la pioggia sono due cause che hanno tagliato fuori Remco dai giochi
C’è una foto emblematica (utilizzata in apertura) dove ci sono Van der Poel, Van Aert, Pedersen e Pogacar pronti a giocarsi il mondiale. Sono tutti dei corridori molto potenti, “disegnati” per quel percorso, a parte Pogacar…E Remco dov’era?

Tadej lo puoi mettere dove vuoi che va forte. A parte quello, sì, diciamo che è un po’ la fotografia a tutti gli effetti di quella giornata. Remco non c’è stato.

Partiamo dalla sua posizione in corsa. Lo stare sempre defilato in un percorso così tecnico, ha inciso?

Secondo me, questa è un’analisi giusta. Lui in altre gare come la Liegi è stato bravo a limare, attaccare e stare davanti. La Liegi era a inizio stagione ed era al 100% della condizione. Probabilmente domenica scorsa può aver influito anche una forma non ottimale. E’ chiaro, quando uno non ha come punto di forza la posizione, se gli mancano un po’ di energie, perde lucidità e perde tutto. In un mondiale del genere è chiaro che si è tagliati fuori. Secondo me però, è una somma di cose. Se fosse stato in una giornata d’oro, questo suo “problema” non avrebbe inciso. Perché sarebbe venuta fuori la condizione e sarebbe rimasto nel gruppetto con i primi. Però è chiaro che ha influito la sua scarsa abilità nel posizionamento.

Un altro spunto può essere la caduta di Narvaez che ha rotto il gruppo e lui è rimasto dietro?

Sarebbe stato tagliato fuori ugualmente. Si vedeva che ha provato anche una volta o due a fare un attacco, ma non era pungente come al solito. Erano allunghi su momenti in cui il gruppo calava la velocità. Non era esplosivo.

Alla Liegi Remco Evenepoel ha sbaragliato ogni avversario anche con la pioggia, arrivando da solo
Alla Liegi Remco Evenepoel ha sbaragliato ogni avversario anche con la pioggia, arrivando da solo
Tre tentativi dove ha provato e lo hanno chiuso subito. Al di là del fatto che era l’osservato speciale perché era campione in carica, non hai visto una convinzione, una brillantezza da mondiale?

No, secondo me non era nella sua giornata. Percorso a parte, perché poi anche quello ha influito, però secondo me non ha trovato una super condizione quel giorno.

Hai citato il percorso. Non era per Remco secondo te?

E’ un corridore totalmente inadatto a un percorso del genere. Poi non è detto che un domani se ritroverà un percorso così, non possa vincere, perché i fenomeni possono fare tutto. Poi, soprattutto quando ha iniziato a esserci la strada umida lo è stato ancora meno nelle sue corde. Si sa che nonostante sia migliorato molto, il suo punto debole è sempre stata la capacità di guida. Ha iniziato a correre da grandicello quindi la sensibilità sul mezzo se inizi da ragazzino la acquisisci in un modo, invece nel suo caso un minimo di difficoltà gli rimarrà sempre.

Gli attacchi di Remco Evenepoel non hanno convinto e sono stati subito rintuzzati
Gli attacchi di Remco Evenepoel non hanno convinto e sono stati subito rintuzzati
Oltre al lato tecnico non era nelle sue corde anche da un punto di vista fisico?

Dal punto di vista degli sforzi muscolari non era affatto male per lui. Perché comunque quando ci sono un rilancio dopo l’altro, Evenepoel ha dimostrato di essere forte. Però è stata proprio la difficoltà tecnica nel guidare la bici che lo ha molto penalizzato secondo me. Non credo onestamente che la durezza o la particolarità del percorso abbia influito negativamente su di lui. E’ riassumibile in un problema di planimetria più che di altimetria. 

Invece staccandosi dal lato tecnico e affrontando quello della motivazione. Lui ha dimostrato qualche segnale di nervosismo prima della partenza per quello che han detto suo padre e Lefevere. Credi che anche quello possa avere inciso?

Secondo me un po’ sì. Non ho mai visto un corridore vincere un mondiale se non è veramente a posto sotto tutti i punti di vista. Questa guerra interna è normale che un po’ ti condizioni. Anche se non vuoi pensarci incide ugualmente.

Remco Evenepoel con la nuova maglia di campione del mondo a cronometro
Remco Evenepoel con la nuova maglia di campione del mondo a cronometro
L’avevamo visto anche al Giro essere nervoso in alcuni frangenti, subire questi momenti. E’ un punto su cui deve lavorare?

Secondo me sì, deve lavorarci. Ma non è neanche un aspetto così negativo, anzi gli può servire molto per le classiche.  Lui è un tipo adrenalinico, lo abbiamo visto ieri nella crono. Sembra a volte anche scontroso con gli avversari, ma nel modo giusto. Anche perché non bisogna essere troppo delicati in queste dinamiche. A me piace la gente tosta come lui. Però per i grandi Giri questo ti penalizza perché diventi troppo teso e spendi energie anche mentali. Quando sei sempre lì con la tensione a fior di pelle, recuperi anche di meno. Lui deve cambiare sistema, ma secondo me non lo cambierà, perché così si nasce. Dimostra che il campione, il fuoriclasse, vince anche quelle corse che non sono propriamente nelle sue corde. Ha già vinto una Vuelta e se saprà bilanciare questi lati del suo carattere potrà migliorare ancora tanto.

Abituato a dominare ha trovato una giornata storta e si è lasciato affondare. La forma però l’ha confermata nella cronometro vinta ieri. Come lo vedi per il finale di stagione?

Sì, la forma c’è sicuramente e l’ha fatta vedere. Per il finale di stagione dipende come si risolve anche la situazione di squadra. Se lo renderà felice l’eventuale cambiamento, avrà anche stimoli maggiori. Se invece, per un qualche motivo, sarà costretto a seguire una strada per interessi societari, ordini che non lo soddisfano, è chiaro che può incidere anche per il prossimo anno. È per questo che secondo me converrebbe a tutti trovare una soluzione dove anche Remco sia più tranquillo.

18 marzo-9 aprile: scelte diverse fra Sanremo e Roubaix

12.04.2023
7 min
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Il solo programma di allenamento che va osservato alla lettera è quello invernale. Durante la stagione invece si asseconda il corpo, in modo da andare incontro alle esigenze che si creano. Alla luce di questa massima, che ci fu consegnata tempo fa da Michele Bartoli, torniamo alle scelte recenti di tre campioni – Van der Poel, Van Aert, Ganna – e al diverso programma che hanno seguito dopo la Sanremo del 18 marzo e la E3 Saxo Classic della settimana successiva.

Ciascuno dei tre aveva esigenze diverse. Van der Poel, in ottima condizione (in apertura durante il sopralluogo sul pavé di venerdì 7 aprile), cercava freschezza per contrastare Pogacar in salita e poi brillantezza sulla via della Roubaix. Van Aert sapeva già dalla Sanremo di non avere una grande condizione in salita, ma ha scelto le fatiche della Gand. Ganna ha usato le corse fino alla Gand per prendere confidenza con il terreno, poi ha scelto di allenarsi a casa. E allora siamo tornati da Bartoli, per sentire quale idea si sia fatto dei tre avvicinamenti.

Tre diversi avvicinamenti

Ecco il programma delle gare di Van der Poel, Van Aert e Ganna a partire dalla Milano-Sanremo, di cui hanno occupato i tre gradini del podio. Hanno tutti fatto la E3 Saxo Classic, poi le loro strade di sono divise, seguendo ragionamenti tecnici diversi.

DataGaraMathieu Van der PoelWout Van AertFilippo Ganna
18 marzoMilano-SanremoVincitore3° a 15″2° a 15″
24 marzoE3 Saxo Classic2° s.t.Vincitore10° a 1’31”
26 marzoGand-Wevelgem=2° s.t.Ritirato (caduta)
29 marzoDwaars door Vlaanderen==91° a 3’38”
2 aprileGiro delle Fiandre2° a 16″4° a 1’12”=
5 aprileScheldeprijs124°==
9 aprileParigi-Roubaix3° a 46″6° a 50″
Caro Michele, intanto vale la pena dire, dopo aver letto l’intervista sulla Gazzetta dello Sport, che Van der Poel ha ammesso di aver vissuto un inverno meno impegnativo nel cross e di aver trovato di conseguenza più freschezza su strada…

Insomma, lo si disse già due anni fa: le energie non sono infinite. Anche se mentalmente sono forti e sopportano la fatica, prima o poi il conto lo paghi. Non si può far tutto. La vita è sempre stata una questione di scelte.

Come vedi il fatto che dopo Harelbeke, Van der Poel che è parso più forte in salita si sia fermato, mentre Van Aert ha corso la Gand?

Se si fosse fermato anche lui, forse avrebbe avuto un po’ di margine per il Fiandre. Non a caso a volte certe corse vengono saltate, per privilegiare quelle che contano. Quando sei al 100 per cento, non sempre ti conviene correre. Perciò se si salta una corsa, privilegiando un allenamento ben fatto, a volte si migliora. Andare a correre e subire il ritmo della gara, se non stai bene a volte un po’ ti toglie.

Già alla E3 Saxo Classic si era capito che Van Aert, già sofferente alla Sanremo, fosse meno forte in salita
Già alla E3 Saxo Classic si era capito che Van Aert, già sofferente alla Sanremo, fosse meno forte in salita
Si parla per ipotesi, ma secondo te, non correndo la Gand, Van Aert sarebbe stato più forte al Fiandre?

Non si può dire che sia andato piano, perché anche lui almeno inizialmente ha staccato tutto il gruppo. Però poi ha pagato dagli altri due. A questi livelli si considerano anche i dettagli in apparenza più piccoli. Per cui, pur non potendo cambiare il rendimento di un atleta in un periodo breve come gli 8 giorni fra Harelbeke e il Fiandre, lo si sarebbe potuto amministrare diversamente. Non è che puoi metterti a fare lavori sul VO2 Max, perché allora ti converrebbe quasi correre. Ma se ti rendi conto che ti manca qualcosa, staccare per qualche giorno può restituirti un po’ di brillantezza. Recuperi un po’ più a lungo, ti concentri sui lavori aerobici con la speranza di arrivare al momento decisivo un po’ più carico di energie e poi incroci le dita…

Quindi è più un fatto di recupero e di freschezza?

Esatto. A quel punto il motore difficilmente lo cambi. Lavori un po’ più sulla fase aerobica, magari speri che in tutti i momenti della gara dove non si spinge a fondo, il dispendio energetico sia inferiore e arrivi un pochino più carico al finale. E’ anche vero che se devi inseguire, è sempre più difficile.

Nel mercoledì tra Fiandre e Roubaix, Van der Poel ha chiesto di correre la Scheldeprijs per trovare ritmo
Nel mercoledì tra Fiandre e Roubaix, Van der Poel ha chiesto di correre la Scheldeprijs per trovare ritmo
Tra il Fiandre e la Roubaix, Van der Poel ha inserito la Scheldeprijs dicendo di volere più ritmo…

E’ quello che si sta dicendo. Quando sei al top, sai su cosa puoi lavorare. Si tratta di aggiustare piccole cose, non hai il tempo per cambiare completamente la situazione, ma a quei livelli le piccole cose sono decisive.

E’ possibile che la Gand una settimana prima del Fiandre abbia appesantito Van Aert, perché non era al top, mentre la Scheldeprijs prima della Roubaix abbia dato più qualità a Van der Poel, che stava già molto bene?

Puo essere assolutamente così. Non so cosa abbiano fatto nel periodo dopo il cross, mi pare però che siano rientrati su strada negli stessi giorni di marzo. Normalmente il valore principale di Van Aert è la resistenza. Lo dimostra al Tour, andando in fuga e tenendo anche sulle montagne come Hautacam. Invece sembra che ora la resistenza gli manchi. Fa uno sforzo, due sforzi e il terzo lo subisce. Gli anni non sono tutti uguali e si sta discutendo su sottigliezze, perché magari si sarebbe staccato anche non correndo la Gand. Però se si vuole un’analisi, qualcosa di diverso poteva essere fatto.

Van Aert ha speso molto alla Gand (26 marzo), tre giorni dopo Harelbeke. Uno sforzo su cui ragionare per il futuro
Van Aert ha speso molto alla Gand (26 marzo), tre giorni dopo Harelbeke. Uno sforzo su cui ragionare per il futuro
In carriera ti è capitato di aggiungere o togliere corse dal programma in base alla condizione?

Certo, più di una volta. Sono cose che si fanno. Quella che è programmata e bisogna cercare di mantenere il più possibile fedele alla tabella è la preparazione invernale, perché si strutturano gli allenamenti con una cadenza articolata. Quando iniziano le gare, devi lavorare in base a quello che ti senti. La programmazione potrebbe andare a perdersi e devi essere bravo ad adeguare il calendario.

In che modo?

Se sono sul filo, magari una gara in più mi potrebbe danneggiare, allora la tolgo. Oppure sto bene, mi manca un po’ di ritmo e allora la inserisco come ha fatto Van der Poel. Ha recuperato qualche giorno in più, ha messo dentro la Scheldeprijs, ha ripreso il ritmo e alla Roubaix era a posto. Sono calcoli che si fanno.

Alla Roubaix, Ganna è andato forte, ma ha pagato il conto all’inesperienza. Qui è con Mads Pedersen
Alla Roubaix, Ganna è andato forte, ma ha pagato il conto all’inesperienza. Qui è con Mads Pedersen
Cosa possiamo dire di Ganna, che non ha corso il Fiandre per preparare la Roubaix?

E’ un caso diverso, perché Ganna non ha l’esperienza di Van Aert e Van der Poel per le gare in Belgio. Non ha la loro sicurezza, non conosce i percorsi. Gli mancano tante sfumature, quindi una corsa in più per lui sarebbe stata più utile di un allenamento fatto a casa sua. Lo avrei buttato anche sul Fiandre.

E’ stata l’osservazione fatta lassù dopo averlo visto così forte alla Sanremo.

Alla Sanremo si è visto che dopo Van der Poel il più forte è stato lui, poi è mancato qualcosa: questo è lampante. Su Ganna vorrei parlare poco, perché spesso sono stato critico: non su di lui, ma sul programma che ha fatto. Filippo è una forza della natura e forse andrebbe sfruttato un pochino meglio. Sappiamo che vince in pista, che fa record dell’Ora, che diventerà campione del mondo a crono, però a lui ora serve qualcosa in più. Quest’anno ha iniziato.

Van Aert e Van der Poel hanno chiuso la stagione del cross al mondiale, debuttando su strada ai primi di marzo
Van Aert e Van der Poel hanno chiuso la stagione del cross al mondiale, debuttando su strada ai primi di marzo
Hanno detto che il Fiandre sia troppo duro per lui.

L’ho sentito dire anche io. Sarà anche pesante rispetto agli altri, ma ha una qualità muscolare adeguata al suo peso. Se Van der Poel sul Paterberg fa 600 watt, Ganna naturalmente ne fa 680. Perché è strutturato per supportare quel carico lì. Quindi anche il fatto del peso, alla fine, non è così proibitivo.

Correndo di più lassù avrebbe dei vantaggi nella guida e spenderebbe meno?

Rilanciare dopo ogni curva costa tanto, soprattutto perché le curve sono quello che si vede. Mi viene da pensare che forse Ganna, non essendo tanto esperto, molte volte ha dovuto rilanciare per una traiettoria sbagliata e tutti gli altri movimenti che succedono in gruppo e che da fuori non noti. Se è successo in curva, mi viene da pensare che lo abbia fatto anche in altre situazioni. Quindi la sua è stata una gara dispendiosa e ugualmente è andato fortissimo. Era lì fino all’ultimo tratto, quindi sono convinto che in futuro, quando avrà più esperienza, la Roubaix sarà la sua gara. Dovrà solo lavorare per arrivare con un po’ di riserva nel finale, quando si fa la vera differenza…

Caro Bartoli, Pogacar può davvero vincere il Fiandre?

31.03.2023
5 min
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Anche all’interno della nostra redazione si scatenano le discussioni “da bar”. Che poi da bar mica tanto… Sono sempre analisi tecniche e ponderate (e guai se non lo fossero). E così tra chi diceva che Pogacar non avrebbe potuto vincere un Fiandre finché ci saranno di mezzo quei due bestioni di Van Aert e Van der Poel, e chi sosteneva il contrario, abbiamo deciso di mettere un giudice super partes, ma anche super preparato: Michele Bartoli.

Michele il Fiandre lo ha vinto nel 1996. I suoi numeri di allora sono assolutamente paragonabili a quelli di un Pogacar: 176 centimetri per 66 chili lo sloveno; 179 centimetri e 65 chili il toscano. Ma soprattutto Bartoli ha le capacità e le esperienze dirette per affrontare questo tema, che riguarda non solo il peso, ma anche i watt, la guida, la tattica…

Michele Bartoli (classe 1970) conquista il Giro delle Fiandre 1996. Il toscano era super magro
Michele Bartoli (classe 1970) conquista il Giro delle Fiandre 1996. Il toscano era super magro
Michele, partiamo con la domanda delle domande: Tadej Pogacar può vincere un Fiandre con Van Aert e VdP di mezzo?

Non sono mica tanto convinto che sia impossibile, anzi… Se guardiamo come è andata ad Harelbeke, Pogacar ha dimostrato di essere il più forte di tutti, specialmente sull’ultimo strappo e l’ultimo strappo del Fiandre è 60 chilometri dopo quello di Harelbeke. Io sono convinto che se si farà una corsa dura, Pogacar potrà vincere il Fiandre.

Però Tadej non ha la stessa potenza di quei due. Lui ha un ottimo rapporto peso/potenza, ma i muri sono troppo brevi perché questo rapporto sia più efficace della forza pura di quei due…

Questo è vero, ma non è solo questione di potenza pura o di rapporto peso/potenza: è questione di resistenza agli sforzi. E su questo aspetto Pogacar mi sembra più avanti di Van Aert e Van der Poel. Dopo il quarto o quinto sforzo massimale gli altri due perdono efficienza, Pogacar no. O comunque ne perde molta meno.

Lo scorso anno infatti se ci fossero stati solo 50 metri in più di Paterberg, Pogacar avrebbe vinto il Fiandre. VdP era oltre il limite. Non sarebbe rientrato…

Esatto e torna il discorso della resistenza. Se andiamo a rivedere le immagini, all’inizio del Paterberg a soffrire di più era Pogacar e non VdP. Poi ad un certo punto, e lo si nota chiaramente, la situazione s’inverte. In più lo scorso anno Van der Poel era al 100%, in giornata super… Se non dovesse esserlo di nuovo, le cose potrebbero andare diversamente.

L’altro giorno, ad Harlebeke, sul Paterberg sono passati a lungo sulla canalina laterale in cemento (e quindi liscia) e non sul pavè: questo ha agevolato l’affondo dello sloveno?

Il pavè in pianura può metterlo in difficoltà, ma sui muri non credo che possa essere decisivo. Alla fine, proprio per il discorso fatto sulla resistenza, se ti rimane più benzina nelle gambe, se hai più energia quella differenza si assottiglia e anche sul pavé uno come Pogacar può fare la differenza. Inoltre ricordo che gli sforzi dopo i 200 chilometri sono tutt’altra cosa rispetto a quelli sotto i 200.

Giro delle Fiandre 2022, sul Paterberg l’azione di Tadej Pogacar e Mathieu Van der Poel
Giro delle Fiandre 2022, sul Paterberg l’azione di Tadej Pogacar e Mathieu Van der Poel
Numeri alla mano, almeno su carta, tu avevi quasi lo stesso peso di Pogacar (65 chili tu, 66 lui): non credi che questo possa svantaggiarlo nei confronti di quei due? Oppure le soluzioni tecniche attuali, tra telai, ruote e coperture più larghe e più sgonfie lo agevolano?

In realtà io ero più leggero di quel peso! Ho vinto il Fiandre a 63 chili, quindi come vedete si può fare al netto delle soluzioni tecniche.

Messa così, Michele, allora Pogacar ha più chance di vincere un Fiandre che una Sanremo…

Per me sì. E’ davvero difficile fare la differenza sul Poggio. Casualmente dovrebbe trovare quei due entrambi in giornata no. Ed entrambi la vedo dura. Alle velocità con cui viene oggi affrontato il Poggio, in scia si sta bene. Per toglierli di ruota devi essere due gradini al sopra di loro. E due gradini al di sopra di Van Aert e Van der Poel è impossibile. Con gli altri ce la può anche fare, ma con loro due no. A meno che, ripeto, non li becchi entrambi con “una gamba su e una gamba giù”.

Abbiamo parlato di peso, di potenza, resta la guida. Van Aert e VdP ci sono cresciuti su quelle strade, Pogacar le ha scoperte dopo: quanto conta il feeling di guida?

Certamente è un valore importante, che resta e resterà per sempre. A parità di forza tra uno bravo e uno non bravo, il risultato è che quello bravo non si stacca. Ma Pogacar ha mostrato di trovarsi bene anche in quelle condizioni e soprattutto di trovarcisi bene anche sotto sforzo. E poi uno come lui anche se dovesse perdere un pizzico di terreno su un tratto in pavé ha talmente tanta forza e tanta resistenza che appena finisce rientrerebbe subito su asfalto.

Per contrastare i picchi di forza di Van Aert e Van der Poel, Pogacar dovrà fare corsa dura secondo Bartoli
Per contrastare i picchi di forza di Van Aert e Van der Poel, Pogacar dovrà fare corsa dura secondo Bartoli
Tatticamente invece cosa dovrebbe fare Pogacar?

Come ho detto: corsa dura. Se aspetta gli ultimi 20 chilometri (la sequenza Oude Kwaremont-Pateberg, ndr) è troppo tardi. Con due pesi massimi come loro si rischia di fare come ad Harelbeke.

La corsa dura taglia fuori tutti gli altri? E’ un discorso a tre?

Sì, con la corsa dura outsider e sorprese si eliminano. L’unica cosa che posso appuntare a Pogacar è quella di essere un po’ meno presuntuoso, o di essere più scaltro…

Cioè?

Quando attacca come ha fatto sul Poggio e non li stacca, non può fare altri 600-700 metri in quel modo con loro dietro pensando di toglierli di ruota. Non può pensare di staccarli. Se pensa così sbaglia, perché alla fine “s’impicca” anche lui. Invece ti rialzi, chiedi un cambio… Poi magari va allo stesso modo. Van der Poel attacca, ma di certo lo fa con meno efficienza e tu hai le gambe per provare ad inseguirlo

Sanremo ’99, partono Pantani e Bartoli: Cipressa in fiamme

16.03.2023
6 min
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Suo padre Graziano lo chiamò Michele in onore di Dancelli, che in quel 1970 vinse la Sanremo. Eppure, nonostante tanta benedizione, per Bartoli la Classicissima non è mai stata un gran campo di gioco, come furono il Fiandre, la Freccia Vallone, la Liegi oppure il Lombardia. Quelli fra il 1993 (quando passò professionista) e il 2004 (in cui smise) erano anni di velocisti capaci di deglutire facilmente la Cipressa e il Poggio. Per questo scendevano in Riviera circondati da squadroni, che si alleavano fra loro per rintuzzare ogni attacco. Non come oggi, che non ci sono più velocisti così resistenti da autorizzare una squadra a fare blocco compatto. Oggi ci si preoccupa di Pogacar che potrebbe staccare tutti nel finale e di altri attaccanti, cui non si opporrebbero certo le squadre dei velocisti, quanto piuttosto quelle dei rivali diretti.

«Probabilmente – ragiona Bartoli – è una questione di mancanza di velocisti con determinate caratteristiche. Oppure le squadre non si fidano più a puntare tutto su uno e non lavorano per tenere chiusa la corsa. Probabilmente oggi i velocisti tengono un pochino meno in salita. Ma soprattutto si trovano davanti parecchie squadre più determinate a fare la corsa dura. Prima era difficile trovare alleati, a miei tempi c’era il Panta, però poi il 95 per cento del gruppo voleva arrivare in volata. E a quel punto era difficile per una squadra da sola fare la gara selettiva».

La legge di Zabel non perdona: nel 2000 batte Baldato in maglia Fassa Bortolo
La legge di Zabel non perdona: nel 2000 batte Baldato in maglia Fassa Bortolo
Oggi è il contrario.

A parecchie squadre fa comodo la gara dura per togliere di mezzo i velocisti. Alla Uae non vedono l’ora. Van der Poel uguale. Insomma, ci sono squadre che hanno interesse che la Sanremo venga dura. Di conseguenza è più facile fare selezione.

Una Sanremo sarebbe stata bene nel tuo palmares?

Appena passato, vidi questa corsa e pensai che fosse una di quelle adatte a me, poi però basta. Non sono mai andato forte, tranne quella volta che attaccai sul Poggio, mi agganciò Konychev in discesa e poi ci ripresero tutti sull’Aurelia, ma non sono mai andato particolarmente bene o vicino a vincerla (i suoi risultati migliori vennero nel 1995 e nel 1997 con due quinti posti, rispettivamente alle spalle di Jalabert e Zabel, ndr).

E’ vero che uno dei motivi era l’allergia alla polvere delle foglie degli ulivi?

Purtroppo sì. Che poi è il motivo per cui ho fatto solo due volte il Giro d’Italia. Perché io morivo. Le cure che si potevano fare sono ancora le stesse, magari ti salvavano, ma quando eri proprio immerso nella vegetazione, eri fritto. Ed è chiaro che sulle colline della Sanremo gli olivi regnano come in alcune tappe al Giro d’Italia. Magari per due settimane stavo bene, poi c’era quella in cui si attraversavano posti per me… proibiti e basta.

Sanremo del 2001, vincerà Zabel su Cipollini, vani i tentativi di Bartoli e Bettini di attaccare
Sanremo del 2001, vincerà Zabel su Cipollini, vani i tentativi di Bartoli e Bettini di attaccare
Quindi alla fine non averla vinta non si può definire un grosso rimpianto?

Mi è dispiaciuto, perché la Sanremo per noi italiani è una delle gare più belle da vincere. Però poi pian piano ho perso la determinazione a farla. Provi un anno, provi due, provi tre, vedi che non riesci mai ad andare bene e alla fine un po’ molli. Non è che molli la corsa, ma ci vai con una tensione diversa, non come al Fiandre, alla Liegi e alle altre.

Però qualche piazzamento è venuto, no?

Ho sempre continuato a provarci. E chiaro che essendo anche abbastanza veloce, non mi tiravo indietro. In quegli anni lì c’era la Telekom ed era un casino metterli nel sacco, a meno che non avessi una condizione super. Ma io, lo ripeto, non l’ho mai avuta alla Sanremo. Anche nella settimana prima, durante la Tirreno andavo bene, ma un po’ a sprazzi.

Sempre per l’allergia?

Partivo. Facevo inizi di stagione molto buoni, in cui vincevo anche spesso. Poi arrivavo alla Tirreno e soffrivo sempre. E quella cosa me la portavo fino al Belgio, dove finiva tutto. Per questo non vedevo l’ora di partire per il Nord, perché lassù l’allergia era zero. Ma è chiaro che certi problemi mi toglievano anche un po’ di convinzione. Se se sai che corri con l’handicap, non ci metti mai la cattiveria al 100 per cento.

Sanremo 1999: terminata la discesa della Cipressa, sull’Aurelia l’azione di Bartoli e Pantani si appesantisce
Sanremo 1999: terminata la discesa della Cipressa, sull’Aurelia l’azione di Bartoli e Pantani si appesantisce
La Sanremo più bella da ricordare è quella dell’attacco sulla Cipressa col Panta (foto di apertura)…

Era il 1999 e sia Marco sia io si puntava a vincere la Sanremo. Eravamo gli unici che volevano la corsa dura. Io sapevo che il Panta sarebbe partito sulla Cipressa e infatti partì. Mi aspettavo anche un po’ di movimento da parte di altri. Pensai: «Cavoli, va via il Panta, qualcuno si muoverà». Invece alla fine non si mosse nessuno. Così andai io e lo agganciai. Facemmo una bella salita, ma poi arrivati alla pianura in fondo alla discesa si formò quel gruppetto in cui non collaborava praticamente nessuno. Perciò ci si rialzò e finì lì. 

Pur correndo con la Mapei, i tuoi rapporti con Marco erano buoni?

Eravamo rivali, ma nel senso buono, sportivo. Fra noi non c’è mai stata una scorrettezza, si andava d’accordo. Anche quando andammo a Sydney, alle Olimpiadi, passammo delle giornate molto belle.

Faceste la Cipressa quasi tutta sui pedali…

Sulla Cipressa difficilmente toglievi il 53. Magari ora è diverso, perché anche le tecniche di allenamento sono cambiate e vai più agile. Non è che vanno più piano, anzi magari vanno più forte perché battono in continuazione tutti i record. Hanno anche materiali più veloci. Però prima il sistema di pedalare era diverso. Si andava più duri. Utilizzavi quasi sempre 53.

La tirata di Van Aert nella tappa di Osimo della Tirreno ha messo gli avversari sul chi vive
La tirata di Van Aert nella tappa di Osimo della Tirreno ha messo gli avversari sul chi vive
Chi vince sabato?

Se dovessi fare un nome, direi Van Aert. La tirata che ha fatto nella tappa di Osimo della Tirreno vuol dire che ha gamba e anche tanta. Poi è chiaro, magari non è al 100 per cento della sua condizione, però va già molto molto forte. Secondo me è difficile toglierlo dal pronostico.

Non è al top secondo te?

Va sicuramente più piano di quando due anni fa arrivò secondo alla Tirreno. Per me ha tentato comunque di partire forte, perché i numeri che ha fatto, non li fai senza essere ben allenato. Magari a volte capita che la condizione ti arrivi una settimana dopo, però secondo me ha preparato il periodo. Invece Van der Poel…

Lo vedi indietro?

Sono rimasto deluso, perché proprio lo vedo spento. Mi sembra che subisca quello che è, come se le idee di partenza fossero state diverse. Ci sta che voglia essere fortissimo ad aprile, però vedendo come si muove, che all’inizio cerca anche di tener duro e poi salta, secondo me nella sua testa c’era anche qualche cos’altro.

Van der Poel sta vivendo un periodo sotto tono: condizione ancora in arrivo o si è nascosto?
Van der Poel sta vivendo un periodo sotto tono: condizione ancora in arrivo o si è nascosto?
Che cosa hai capito guardandolo?

Secondo me lui ambiva anche a qualcosa di più, perché non è che mollava subito. Lo vedevo anche nella tappa di Osimo. Si staccava, poi rientrava. Se uno fa così, probabilmente va alla ricerca di qualcosa che ancora non ha. Quando ricerchi quello che ti manca, vuol dire che comunque il periodo l’hai preparato, perché sennò ti metti lì tranquillo e ti alleni. Invece vedevo che tentava di tener duro. Alla fine ci sta anche lui sul Poggio sabato…