Oldani ci riprova: nuovo preparatore e finalmente i tubeless

04.01.2025
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Oldani è di buon umore e quando gli diciamo che la nuova maglia della Cofidis piacerà sicuramente ai tifosi della Roma, la guarda e sorride. I nuovi colori, con il giallo e il rosso, danno alla divisa un tocco vivace e sbarazzino. Quasi il segno di un nuovo inizio nelle forme e nella sostanza. L’arrivo di Mattia Michelusi e del suo staff fra i preparatori e l’adozione di nuove ruote e nuovi materiali ha rinfrescato l’approccio degli atleti e il cambio di marcia, per ora nell’attitudine, si percepisce chiaramente.

«Sono a casa fino a martedì- dice Oldani, che il 10 gennaio compirà 27 anni – poi martedì vado in ritiro a Denia con la squadra. L’inverno sta andando bene, tutto tranquillo. Quello che sta cambiando in squadra ci voleva proprio, sul fronte della prestazione e dei materiali. E’ quello che effettivamente fa la differenza nel ciclismo moderno. Secondo me l’anno scorso alcuni risultati sono dipesi anche da questo. Con Mattia per quello che ho potuto vedere finora, abbiamo un’altra marcia. Un’altra mentalità, un’altra voglia di fare».

La squadra francese ha scelto il velodromo di Roubaix per le foto di inizio anno, approfittandone per test su posizioni e materiali (foto Team Cofidis)
Hai cambiato anche tu preparatore?

Non sono direttamente con Michelusi, ma con Luca Quinti, però con la coordinazione di Mattia. C’è un lavoro coeso di tutti i preparatori interni alla squadra. Mi sto trovando molto bene. Lavoriamo più in linea con le moderne metodologie, la squadra ha preso una decisione corretta.

Il tuo 2024 era partito con grandi attese, poi un infortunio e un continuo rincorrere…

E’ stato sicuramente un anno molto molto complicato, è inutile nasconderci. Sono stato molto sfortunato e penso che questo lo abbiano visto tutti. Cadute e una serie di vicissitudini che hanno portato a una stagione molto travagliata. Nel male sicuramente ho imparato qualcosa, perché non mi era mai successo di iniziare la stagione con una frattura, in questo caso dello scafoide.

Che cosa hai imparato?

A gestirla oppure come si sarebbe dovuta gestire. Non mi era mai successo e non ho avuto la freddezza, né io né chi mi era vicino, di prendere il tempo giusto. Avremmo dovuto capire che non saremmo riusciti a ripresentarci bene alla Tirreno, alla Sanremo e agli appuntamenti che ci eravamo dati. Io da corridore mi sono fatto prendere dalla voglia di fare: stavo già bene, ho avuto troppa fretta di rientrare. E alla fine l’ho pagata per metà stagione. Ho capito che l’importanza delle basi nella preparazione è fondamentale. Una cosa su cui mi sono concentrato molto quest’anno.

L’intervento sullo scafoide rotto da Oldani il 28 gennaio è stato eseguito dall’equipe del dottor Loris Pegoli
L’intervento sullo scafoide rotto da Oldani il 28 gennaio è stato eseguito dall’equipe del dottor Loris Pegoli
In che modo rientrare troppo in fretta ti ha danneggiato?

Facevo un giorno molto bene, diciamo alle stelle, e i cinque successivi alle stalle. Diventava complicato far combaciare il momento giusto con le stelle, per cui per la maggior parte delle volte ero alle stalle (sorride, ndr). Ne soffrivo sia mentalmente sia fisicamente. Poi è stato tutto un rincorrere, aggiungere corse, continuare ad avere sfortune, ricadere, rincorrere di nuovo. Anche il Giro d’Italia non era programmato, si è inserito poco prima.

Non era nei programmi?

C’è entrato un mese prima, più o meno. Avrei voluto prepararlo, poi è stato aggiunto il Romandia e ci sono arrivato che ero già a mezzo e mezzo. In Svizzera ho preso freddo, sono arrivato alla partenza da Torino che non andavo. Mi sono ammalato, altre vicissitudini. Per fortuna dopo il Giro sono stato bravo. Non sono andato al Tour, ma sono riuscito a resettarmi mentalmente e fisicamente. Sono stato per tre settimane in altura, mi sono allenato molto bene e quando sono tornato, ho fatto un mese abbondante senza uscire dai primi 10. Sono ritornato lo Stefano di sempre.

La Cofidis ti aveva preso perché portassi risultati e punti: si riparte con gli stessi obiettivi?

Di sicuro le mie ambizioni non cambiano. Penso che con il supporto giusto del preparatore e i nuovi materiali, posso tornare a dimostrare di avere le qualità che servono. Forse sono un po’ diminuite le attese, ma va bene così. Sarà uno stimolo per dimostrare quello che valgo. Ho un bel programma, ne sono soddisfatto. L’unica corsa che non farò e un pochino mi dispiace è la Sanremo, ma bisogna ammettere che per un corridore come me è una corsa chiusa. Però farò Mallorca, Valencia, Laigueglia, Murcia, Almeria, la Tirreno, poi il Cataluyna. Tante corse con percorsi selettivi e la possibilità di arrivare a sprint ristretti.

Al Tour de l’Ain sono arrivati i migliori risultati di Oldani: 3° in classifica e maglia a punti (foto Instagram/Getty Images)
Al Tour de l’Ain sono arrivati i migliori risultati di Oldani: 3° in classifica e maglia a punti (foto Instagram/Getty Images)
Hai parlato spesso di materiali, quello che salta agli occhi è che avete cambiato ruote e userete finalmente pneumatici tubeless…

Quando sono arrivato dalla Alpecin, ho cercato di portare la mia esperienza. Ma visti i risultati che avevo, mi sono rimboccato le maniche e ho pensato solo a pedalare. Quest’anno la prima cosa di cui si è parlato è stato proprio questa svolta tecnica e io sono super felice, perché usavo i tubeless già in Alpecin. Avremo le gomme Vittoria che ho usato anche alla Lotto e sono prodotti eccezionali, hanno un grip e una scorrevolezza notevoli che permetteranno di andare forte e risparmiare energie. Le ruote sono le Bora Campagnolo, che sono rigide, aerodinamiche e scorrevoli. Sono molto felice, l’abbiamo provata e la bici è svoltata completamente.

Il telaio resta lo stesso?

Sì, è sempre stato un bel telaio che forse non rendeva al meglio, mentre ora è molto più performante. Davvero una svolta.

Ben O’Connor, che ha trascorso quattro anni in una squadra francese ha raccontato di aver dovuto imparare per forza il francese: come procede il tuo inserimento in squadra?

Ho un bel rapporto con tutti e anche io sto imparando il francese. Non lo parlo fluentemente però mi faccio capire. Mi è capitato anche di intervenire bene durante il meeting. A livello tecnico, riesco a spiegarmi, quindi dinamiche di corsa e vari aspetti del ciclismo. Per il resto della conversazione sono un po’ impacciato perché ci sono parole che si usano un po’ meno, ma piano piano ci arrivo. La squadra sta diventando un po’ più internazionale, però anche Michelusi e lo staff performance ci spingono ad andare nella direzione del francese. Se proprio è necessario ci si sforza di usare l’inglese, ma se fai capire che vuoi imparare il francese, non ti dicono di no…

I direttori sportivi parlano francese?

Alcuni anche inglese, alcuni solo francese. L’anno scorso ad esempio al Tour de l’Ain si parlava solo francese. Ero secondo in classifica generale e la comunicazione era importante e abbiamo faticato un po’. Però alla fine è andata bene, ci siamo arrangiati e le cose si dicevano. Quello che conta ora è fare una buona base, avere una buona preparazione e i materiali giusti. Adesso sta a me, lingua o non lingua. Voglio far vedere che Oldani sa ancora fare il suo mestiere.

Rivoluzione Cofidis, Vasseur dà a Michelusi le chiavi del team

30.12.2024
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Cedric Vasseur, deus ex machina del Team Cofidis era stato chiaro al termine della stagione: molto sarebbe cambiato, per ritrovare le sensazioni e soprattutto i risultati del 2023. Il dirigente transalpino non ha proceduto come fanno tanti suoi colleghi, rivoluzionando l’elenco dei corridori, o almeno non ha agito solo in tal senso, ma ha messo mano direttamente al “motore” del team, ai suoi principi di base. Il Team Cofidis 2025 sarà un’altra cosa e per realizzarla Vasseur si è affidato a un nome completamente nuovo: Mattia Michelusi.

Trentanovenne di Thiene (a sinistra nella foto di apertura), Michelusi è stato messo a capo del settore prestazioni, il che significa che, al di là di direttori sportivi e preparatori, tutto passerà sotto la sua lente d’ingrandimento. Un grande salto di qualità per il veneto, proveniente dalla Q36.5 dove ha lasciato molti buoni ricordi.

La nuova maglia del Team Cofidis. La banca francese ha rinnovato il contratto fino al 2028 (foto Facebook)
La nuova maglia del Team Cofidis. La banca francese ha rinnovato il contratto fino al 2028 (foto Facebook)

«Ho lavorato nel team di Douglas Ryder sin dagli inizi e ho imparato molto da lui e dal suo staff, accompagnando tutte le varie fasi, sin dall’era NTT. Poi durante il Tour de France, quando normalmente si gettano le basi per la nuova stagione, Vasseur mi ha prospettato questa eventualità, che era per me una grande opportunità per cambiare, per fare qualcosa di nuovo. Con Cedric ci conoscevamo da un paio d’anni, mi aveva già accennato alle sue idee, ora c’è la possibilità di concretizzarle».

Parlavi di fare qualcosa di nuovo…

E’ come se Cedric mi avesse messo in mano una grande tavolozza bianca, sulla quale io posso ridisegnare tutto il team dalle sue fondamenta. E’ una grande sfida, lui mi ha chiesto se me la sentivo e io ho detto subito di sì. Ho parlato in queste settimane con i suoi collaboratori, con i diesse, per permettere alla squadra di fare quel salto di qualità che è richiesto e che, senza la collaborazione di tutti, è impossibile.

Lo staff messo in piedi da Michelusi ha iniziato subito i lavori con i ragazzi attraverso test specifici
Lo staff messo in piedi da Michelusi ha iniziato subito i lavori con i ragazzi attraverso test specifici
Che situazione hai trovato? Vasseur non era stato certamente tenero in sede di consuntivo…

Non sono arrivato per stravolgere tutto, ma per prendere quel che è utile unendolo e adeguandolo a nuove usanze, a quella cultura che viene dal mio background. Perché una squadra funzioni bisogna trovare la giusta combinazione tra tutto quel che riguarda la prestazione di ogni corridore, sono come tante tessere di un mosaico che vanno posizionate nel modo giusto. Solo allora avremo il salto di qualità e io sono convinto che possiamo arrivarci anche in tempi brevi.

C’è da lavorare più sull’aspetto tecnico o su quello psicologico?

Questo entra sempre in gioco. Le due ultime annate della Cofidis sono state esemplari in tal senso: nel 2023 si è vinto subito e da allora è stato tutto un susseguirsi di soddisfazioni, l’anno dopo invece si è faticato, è sopravvenuto un po’ di scoramento e tutto è diventato difficile, macchinoso. Noi dobbiamo lavorare a 360° perché l’idea del team è quella di mutare profondamente le sue basi, ad esempio internazionalizzandolo di più.

Emanuel Buchmann approda al ruolo di leader, soprattutto nei Grandi Giri dove punterà alla classifica
Emanuel Buchmann approda al ruolo di leader, soprattutto nei Grandi Giri dove punterà alla classifica
Non è quello che avviene in tutti i team del WorldTour?

Sì, ma se guardate bene, i team francesi tengono ad avere una solida base nazionale. Anche la lingua ha un suo peso. Io con il francese sono quasi digiuno, sto imparando, ma il mio ingresso è la dimostrazione che si vuole cambiare. C’è voglia, anzi bisogno di aprirsi al mondo e la campagna acquisti effettuata sposa in toto questa nuova politica.

La squadra in effetti ha mutato forma…

Sono arrivati ben 12 nomi nuovi e sono tutti strutturali, ossia danno un’impronta diversa al team. E’ chiaro che l’obiettivo principale è raccogliere punti per la sopravvivenza nel WorldTour e quindi si è andati a pescare gente che sia in grado di portarli: Aranburu, Carr, Buchmann, lo stesso Teuns. Si sa che ci si gioca tutto su quello perché siamo nell’imminenza di promozioni e retrocessioni.

Il britannico Simon Carr sarà una delle punte nelle brevi corse a tappe
Il britannico Simon Carr sarà una delle punte nelle brevi corse a tappe
Proprio la caccia ai punti dà un’impronta chiara al team. Che idea ti sei fatto, quali potranno essere gli obiettivi della squadra?

Noi innanzitutto, essendo un team francese, abbiamo l’obbligo di partecipare a tutte le prove del calendario nazionale e quindi cercheremo di fare punti lì. L’impostazione del team la vedo più orientata verso le prove d’un giorno, ho molta fiducia in gente come Aranburu e Teuns, poi spero che da queste tante gare arrivino non solo punti ma anche vittorie. Per le corse a tappe non abbiamo il grande campione, ma un corridore come Buchmann è uomo da classifica in ogni contesto ma attenzione anche a Moniquet e Carr che per le prove brevi possono dire la loro.

Non ti mancano gli italiani?

Che devo dire, un po’ sì. Quando ho iniziato alla NTT c’era solo Sbaragli, ma con gli anni i corridori italiani sono aumentati sempre di più perché sanno leggere le gare, sono importanti in un team. Qui per ora c’è solo Oldani, ma sottolineo per ora, perché sono sicuro che anche alla Cofidis potrà avvenire lo stesso, potranno aumentare, soprattutto corridori giovani e ambiziosi. Attenzione però, perché nel team c’è comunque tanta Italia.

Stefano Oldani resta l’unico corridore italiano del team, ma in futuro potrebbero arrivare giovani
Stefano Oldani resta l’unico corridore italiano del team, ma in futuro potrebbero arrivare giovani
A chi ti riferisci?

Innanzitutto Damiani che è un riferimento per tutti i direttori sportivi, poi ho portato nel mio staff altri due tecnici di valore come Luca Quinti e Luca Festa, insieme al francese Matthieu Desfontaine e al belga Bart Nonneman, allo specialista del bike checking Niklas Quetri e al nutrizionista Scott Gillham. E’ un gruppo ambizioso e con tanta voglia di lavorare, poi il responso come sempre lo darà la strada.

Caro Michelusi, cos’è la firma del preparatore?

02.03.2023
5 min
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Cos’è la “firma” del preparatore? Nel calcio si riconosce il gioco di questo o quell’allenatore. E la sua firma è più identificabile. Nel tennista c’è quel colpo giocato con quello specifico modo. Anche il ciclista in molti casi ha la sua firma: Pantani che scattava con le mani basse. Cavendish che fa le volate col “mento sulla ruota anteriore”. Ma riconoscere la firma di un preparatore è cosa ben più complessa (in apertura foto @tizian.jasker).

Eppure qualche giorno fa, Matteo Moschetti ci disse queste parole parlando del suo arrivo nella nuova squadra, il Team Q36.5 e del suo nuovo preparatore, Mattia Michelusi: «Alla fine i lavori sono quelli, cambia però il modo di fare le cose, perché ogni preparatore mette la sua impronta e il suo modo di ragionare. Nei dettagli riconosci la firma. Il passaggio non è troppo faticoso da assorbire e anzi… alla fine diventa uno stimolo in più». 

Mattia Michelusi è da diversi anni nel gruppo che fa capo a Douglas Ryder (foto @1_in_the_gutter)
Mattia Michelusi è da diversi anni nel gruppo che fa capo a Douglas Ryder (foto @1_in_the_gutter)

Parola a Michelusi

E indovinate a chi siamo andati a chiedere lumi?! A Mattia Michelusi chiaramente, coach appunto della giovane squadra svizzera.

Partendo dagli stimoli, Michelusi afferma subito che già il solo fatto di cambiare allenatore è uno stimolo. E non solo mentale, ma proprio fisico. Basta fare un lavoro in certo modo, o un diverso numero di ore che l’organismo risponde in maniera diversa.

«Penso che la frase di Moschetti – dice Michelusi – possa avere più interpretazioni. Alla fine allenarsi è fare un totale di ore di attività e questo vale per tutti, ma poi la differenza la fanno i dettagli ed è lì che c’è la firma, come dice Matteo. Un preparatore preferisce un determinato metodo di lavoro, ed un altro ne predilige un altro ancora, ma soprattutto come questo interpreta i lavori specifici. La base è quella».

Matteo Moschetti, qui re della Clasica de Almeria, è allenato da Michelusi. E’ stato lui a parlare di “firma del preparatore”
Matteo Moschetti, qui re della Clasica de Almeria, è allenato da Michelusi. E’ stato lui a parlare di “firma del preparatore”

La firma negli specifici

E qui Michelusi entra nel dettaglio della firma. Quando si lavora sulla base, per esempio la Z2, c’è poco da intervenire. Sì, potranno esserci piccole differenze d’intensità ma di fatto si tratta di pedalare per un “X” ore ad un ritmo regolare non troppo impegnato. Il coach ha ben poco da modificare. Non è come quando si fa del fuorisoglia, delle SFR…

«In riferimento ad un velocista come Moschetti – dice Michelusi – la mia firma può essere su come s’interpretano i lavori specifici per gli sprint. Magari altri dicono di fare 10 volate ad una determinata intensità, io invece imposto ogni volata con una velocità e un rapporto di partenza. Ma alla fine entrambi i coach ed entrambi gli atleti hanno assegnato e svolto dieci sprint.

«Un altro aspetto molto importante su cui può essere posta la firma del coach è la forza, visto che prima avete parlato di SFR… Io credo che lì si concentri la maggior parte della differenza fra i preparatori. Come si allena questa componente? Sempre nel caso di Moschetti per lui che è un velocista magari le SFR non sono lo specifico più indicato e quindi gli faccio fare altro. Mentre le SFR vanno bene per uno scalatore. Insomma vario in base all’atleta, in base al modello di prestazione che ho di fronte».

 

Michelusi (al centro) fa parte del gruppo performance della FCI
Michelusi (al centro) fa parte del gruppo performance della FCI

Come un sarto

Modello prestativo: un concetto ben intuibile: ci si concentra sull’atleta e soprattutto su ciò che questo è chiamato a fare… E di conseguenza si regola il preparatore. 

«Certamente – va avanti Michelusi – non sarò l’unico a seguire questo approccio, ma io gli do molta importanza. E’ un po’ come un cliente che va da un sarto. Prima prende bene le misure del cliente e poi vi confeziona intorno l’abito su misura».

Per Michelusi è importante spiegare all’atleta il programma, esattamente ciò che sta facendo Maurizio Mazzoleni (Astana) nella foto
Per Michelusi è importante spiegare all’atleta il programma, esattamente ciò che sta facendo Maurizio Mazzoleni (Astana) nella foto

Questione di feeling

Ma se nella sua squadra di club Michelusi è più “libero” e può essere un sarto, quando è impegnato nel gruppo della nazionale e della pista, in cui ci si muove soprattutto secondo le direttive di Marco Villa, come fa a mettere la sua firma? E’  più complicato?

«Con la FCI siamo un gruppo e il bello è che ognuno porta la sua conoscenza, tanto più che si arriva da esperienze diverse. Non si tratta di avere “le mani legate”, quanto piuttosto di condividere le idee. C’è Bragato che gestisce il gruppo e non solo quello relativo alla pista ma anche di altri settori, come mtb o bmx per esempio.

«Molto poi dipende dal feeling con l’atleta. Io sono uno che parla molto con i ragazzi che seguo. Voglio che sappiano ciò che fanno e perché. Devono sapere perché fanno una SFR a 50 rpm anziché a 70, per dire… Devono apprendere certi concetti».

E questo è verissimo. Quando si ha cognizione di causa il lavoro è assimilato meglio, anche dalla mente. E se oltre a capirlo lo si condivide appieno è ancora meglio.

«Per questo motivo – conclude Michelusi – è importante dare non solo il programma settimanale, ma sapere e fare sapere all’atleta cosa si andrà a fare settimana per settimana da lì all’obiettivo. Quale sarà il cammino, poi chiaramente i piccoli aggiustamenti specifici (se fare per esempio 5 ripetute a 300 watt o 6 a 330 watt, ndr) si fanno col procedere della preparazione».

Parola a Michelusi, l’angelo del motore di Aru

04.02.2021
3 min
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Da quest’anno dunque Fabio Aru lavorerà seguendo le direttive di Mattia Michelusi, veneto classe 1985 (in apertura nella foto @1_in_the_gutter), laureato in Scienze Motorie con specializzazione in Scienza e Tecnica dello Sport. Un passato da corridore, quindi gli studi, il passaggio per il Centro Studi Federale come formatore dei direttori sportivi, l’approdo al professionismo con la Androni Giocattoli e poi al WorldTour, prima con la Ef Cannondale e ora con il Team Qhubeka Assos. Tuttavia, al netto dei titoli in suo possesso, quando un allenatore inizia a collaborare con un atleta, non sono certo i libri la prima fonte cui attinge.

Il Team Qhubeka Assos, 25 corridori: 17 sono nuovi
Il Team Qhubeka Assos, 25 corridori: 17 sono nuovi
In effetti se fosse così semplice…

Infatti non lo è affatto. Conoscevo Aru come atleta, ma non conoscevo Fabio come persona. La tecnologia ci aiuta nel programmare allenamenti a distanza e sapere quali effetti hanno sul corridore, ma l’aspetto fondamentale del ritiro in Spagna è stato proprio quello di fare la sua conoscenza. Ne avevamo in programma uno in altura a gennaio, ma lui ha preferito il cross, così abbiamo adeguato la preparazione. Io sono favorevole a questa disciplina, può essere utile per qualsiasi atleta, anche per lo scalatore. Offre stimoli che però hanno bisogno di essere integrati con la preparazione per la strada. Ovviamente il suo obiettivo non era diventare campione del mondo, ma allenarsi e farlo in un contesto senza stress.

Quindi avete ridisegnato la preparazione in funzione del lavoro fatto nel cross?

Inserendo questi stimoli allenanti in un contesto ampio, fatto ad esempio di sedute più lunghe. Il fatto di conoscersi porta anche ad analizzare quel che si è vissuto, perché si impara sia dai momenti belli, sia da quelli brutti. La sensazione è che il primo Aru si allenasse sulle salite per vincere, ora invece la salita è una difficoltà da affrontare e superare. Per questo abbiamo anche analizzato il modo in cui lavorava all’inizio e quello che ha fatto negli ultimi due anni.

Brillantezza e resistenza nel menù di Aru stilato da Michelusi (Photo: @breakawaydigital)
Brillantezza e resistenza nel menù di Aru (Photo: @breakawaydigital)
Quindi è sbagliato pensare che con Michelusi si possa o si debba ripartire da zero.

Fabio è un atleta di esperienza, sarebbe sbagliato pensare di fare tabula rasa. Ma occorre lavorare accanto a lui per capire come risponde a certi stimoli. Possiamo avere tutti i dati del mondo, ma per capire come reagisca ai carichi di lavoro, ad esempio, non c’è niente di meglio che guardarlo in faccia. Se arriva in cima a una salita stravolto, vuol dire che lo sforzo è stato eccessivo. Se arriva e sorride, allora si può fare di più. Chiaramente in modo progressivo. Non siamo ancora al top della stagione, più avanti aumenteremo di sicuro perché potremo valutare meglio le sue risposte.

Finora avete introdotto elementi nuovi nel suo piano di lavoro?

No, nulla. Abbiamo semplicemente integrato il cross. Anche se lo ha interrotto, continuiamo a inserire sforzi concentrati che sarebbe inutile mollare del tutto. Fabio credeva in questa strada ed è stato giusto portarla avanti, prevedendo ancora qualche pizzico della stessa intensità.

Come lo vedi?

Lo vedo davvero molto motivato.