San Baronto e Mastromarco: la rivalità si rinnova tra gli juniores

21.01.2025
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Nel ciclismo le rivalità hanno segnato, forse più che in altri sport, epoche e identificato campioni. Tra queste ce n’è una che si legava e si lega tutt’ora ai giovani: quella tra San Baronto, nel pistoiese, e Mastromarco, nel fiorentino. Due località vicine ma divise da una collina e da una sana competizione sportiva. Una rivalità nata negli anni in cui Giovanni Visconti e Vincenzo Nibali si affrontavano tra gli under 23, infiammando le strade toscane e facendo accorrere tifosi da ogni angolo.

Oggi, quella sfida sembra pronta a rinascere, anche se con proporzioni diverse. A tenere alta la bandiera di San Baronto c’è il Team Franco Ballerini-Cesaro, una realtà ormai consolidata nel panorama juniores. Mentre Mastromarco rinasce con una nuova squadra che porta lo stesso nome, con l’intento di recuperare il prestigio di un tempo.

Luca Scinto, oggi direttore sportivo della Franco Ballerini, era il tecnico della Finauto, la squadra che all’epoca rappresentava San Baronto (e Visconti) nella sfida con Mastromarco. Con lui abbiamo ripercorso quegli anni e analizzato le prospettive future di questa storica rivalità.

Rispetto a questa salita, San Baronto si trova a destra in cima. Mastromarco a sinistra, ai piedi della collina. Pochi chilometri di distanza, due tifoserie distinte
Rispetto a questa salita, San Baronto si trova a destra in cima. Mastromarco a sinistra, ai piedi della collina. Pochi chilometri di distanza, due tifoserie distinte
Luca, ci risiamo dunque? San Baronto e Mastromarco come ai tempi di Visconti e Nibali?

Che tempi! Era una rivalità sana e scherzosa, che però portava entrambi a dare il massimo. I paesi della zona si svuotavano per vederli correre. Quel dualismo ha fatto bene al ciclismo perché spronava tutti a migliorarsi. Nibali è diventato un campione straordinario e Visconti ha avuto una carriera di tutto rispetto con 40 vittorie tra i professionisti.

Pensi che la rivalità possa tornare con le nuove squadre juniores?

Credo che oggi sia difficile ricreare una rivalità simile o almeno a quei livelli. Me lo auguro, sarebbe bello per il ciclismo toscano e italiano, ma i tempi sono cambiati. Oggi ci sono meno corse e le squadre WorldTour stanno prendendo tutto e sul fronte del valore tecnico si perde qualcosa. Tra qualche anno, tre o quattro, il ciclismo rischia di diventare elitario, per chi ha i soldi. Però sono contento che Mastromarco abbia rilanciato il progetto juniores.

Cosa succedeva quando le due squadre magari si incontravano per strada?

Ma no, un saluto e via. Però posso raccontarvi questa: io ho allenato Visconti e Nibali insieme. Mi ricordo di un’uscita dietro scooter con loro due prima dell’Europeo che vinse Giovanni. Nessuno dei due voleva mollare, si spingevano al limite. In salita era una lotta vera, ma sempre con rispetto. Era davvero uno spettacolo vederli. Due corridori che sono diventati quello che sono grazie anche ad episodi come questi. Oggi spero di rivedere qualcosa di simile, anche se in scala ridotta.

Dopo essersi scontrati tra gli U23 (e le colline toscane), Visconti e Nibali sono stati compagni in nazionale e tra i pro’ alla Bahrain
Dopo essersi scontrati tra gli U23 (e le colline toscane), Visconti e Nibali sono stati compagni in nazionale e tra i pro’ alla Bahrain
Quali sono le principali differenze rispetto ad allora?

Il livello è diverso. Ora ci sono poche squadre del Nord Italia molto più forti, come la Borgo Molino o il Team Giorgi, dalle nostre parti va bene la Vangi. Noi, come altri team, abbiamo una buona squadra, ma non possiamo competere con le giovanili dei team WorldTour. Mastromarco sta ricostruendo, ci vorranno un paio d’anni almeno per essere competitivi ad alto livello. Come ripeto, noi della Franco Ballerini abbiamo una buona squadra, ma il ciclismo di oggi è più veloce e non aspetta nessuno.

Voi organizzate il 2 marzo il GP Baronti: è un punto di partenza per la rivalità?

Può esserlo, è una gara importante che apre il calendario nazionale juniores. Ringrazio la famiglia Baronti della Neri Sottoli per il supporto. Sarà più dura rispetto all’anno scorso, con 130 chilometri e salite impegnative: abbiamo seguito le indicazioni che ci ha dato il cittì. Avremo 200 partenti e passeremo 4-5 volte proprio da Mastromarco.

Che squadra è la Franco Ballerini 2025?

Un buon team con 12 ragazzi promettenti. Mattia Proietti Gagliardoni (la stellina del gruppo, ndr) andrà in ritiro con la Intermarché-Wanty, poi abbiamo Michele Pascarella, Giuseppe Sciarra e altri giovani interessanti. In generale i ragazzi devono imparare in fretta, perché oggi il ciclismo non aspetta. Quest’anno poi abbiamo cambiato qualcosa in termini organizzativi.

Luca Scinto con i suoi ragazzi
Luca Scinto con i suoi ragazzi
Cosa?

Ognuno ha il suo preparatore. Io cerco di coordinare tutti al meglio. Quest’anno ho delegato di più per concentrarmi maggiormente sulla gestione sportiva, altrimenti finiva che non avrei fatto bene né il direttore sportivo, né il preparatore. Il ciclismo richiede sempre più specializzazione.

E la Mastromarco che squadra sarà?

Non so davvero, non posso esprimermi, ma come ho detto sono contento che Franceschi e Balducci non abbiano abbandonato del tutto il ciclismo dopo la chiusura del team under 23 e abbiano creato questa squadra. E’ un bene per la Toscana e non solo.

Langkawi iniziato nel segno di Syritsa e i ricordi di Scinto

29.09.2024
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KUAH (Malesia) – «Un’avventura a quei tempi. Ricordo le iguana per strada che a volte ci attraversavano la strada quando uscivamo in allenamento o i varani, quelle lucertolone al mattino in stanza che ci fissavano. Abbiamo persino dovuto firmare una dichiarazione di scarico di responsabilità per un volo interno su un aereo militare… che non ispirava certo sicurezza. Ma fu davvero una bella esperienza». Sono le parole di Luca Scinto che ci tornano in mente prima di partire per la Malesia, alla volta del Tour de Langkawi.

Un’avventura iniziata oggi con la Kuah-Kuah, andata al gigante dell’Astana-Qazaqstan Gleb Syritsa.

Lo sprint di oggi: Syritsa è a destra, Conforti (giunto 3°) a sinistra
Lo sprint di oggi: Syritsa è a destra, Conforti (giunto 3°) a sinistra

Langkawi… a noi

Questo Tour de Langkawi è dunque iniziato oggi e terminerà il 6 ottobre: otto tappe sparse in gran parte della Malesia. Per l’ente turistico nazionale sta diventando una vetrina alquanto importante, così come importanti sono i suoi sponsor: su tutti Petronas. Otto tappe, sei per velocisti, una per scalatori e una intermedia.

«All’epoca, era il 1997 – racconta Scinto – si correva a febbraio. Il Langkawi era ideale per fare la gamba. Il clima era buono e poi l’intero giro era bello lungo: ben 12 tappe. Arrivò un invito e Ferretti, il nostro diesse, ci portò appunto in Malesia. Arrivammo una settimana prima della corsa. Ricordo hotel bellissimi. Lì si era in pieno boom economico e stavano costruendo queste immense strutture. Un gran lusso».

In quella edizione di corridori italiani ce n’erano parecchi, anche Gianni Bugno. Il Tour de Langkawi era giovanissimo, un paio di edizioni, ma si stava aprendo ad un mondo nuovo e il ciclismo stesso iniziava il suo cambiamento. Quel cambiamento che lo ha portato oggi ad essere uno sport globale. 

«A quei tempi bastavano pochi chilometri che i corridori asiatici quasi sparivano del tutto. Davanti era una lotta tra noi europei». Prima di allora quel poco di ciclismo che c’era era tutto locale. Bisogna pensare che il Langkawi fu una vera rivoluzione.

Il primato di Scinto

Quell’anno succede che nella salita simbolo della Malesia, il loro Stelvio potremmo dire, Luca Scinto mette a segno un gran colpo. In quel periodo il toscano va forte… anche in salita.

«Io venivo da un 1996 molto difficile  – racconta Luca – avevo corso pochissimo, 7 forse 8 gare per via di un problema al ginocchio. Per fortuna che avevo il contratto anche per l’anno successivo… Quell’inverno dunque partii molto forte e infatti in Malesia andai bene. Verso Genting Highlands, questa salita simbolo, feci il vuoto. Era una scalata dura e lunga. Gli ultimi 4 chilometri erano al 20 per cento a quasi 2.000 metri di quota. Grazie a quella fuga vinsi la tappa e poi l’intero Langkawi mettendo dietro gente come Jens Voigt.

«Francois Belay, speaker del Tour de France presente laggiù, mi disse che fui il primo europeo a vincere la corsa». Alla fine era la seconda edizione del Langkawi, almeno per come lo conosciamo oggi, ma quella dichiarazione fece colore». Di certo Scinto fu, e chiaramente resta, il primo italiano ad averla vinta.

Quest’anno la salita di Genting Highlands non ci sarà. Il tappone, quasi certamente decisivo, sarà quello della terza frazione, quando il gruppo affronterà le rampe di Cameron Highlands, una sorta di doppia scalata, una sequenza stile Passo Tre Croci e Tre Cime di Lavaredo per intenderci. Ma solo per il profilo: le pendenze sono decisamente meno impegnative. Solo negli ultimi 8 chilometri la salita si fa un po’ più dura. Per il resto il Langkawi resta terreno di caccia per le ruote veloci. Nella quarta tappa c’è una lunga salita in avvio, ma poi solo tanta pianura.

Primi anni 2000 si parte dall’Aquila di Kuah, simbolo dell’isola di Langkawi dove quest’anno è avvenuta la presentazione dei team
Primi anni 2000 si parte dall’Aquila di Kuah, simbolo dell’isola di Langkawi dove quest’anno è avvenuta la presentazione dei team

Che premi!

Negli anni Scinto ha vissuto questa gara anche da tecnico. E pertanto ha avuto anche un altro punto di vista.

«Guardini è il re della Malesia, ci ha vinto moltissime corse e anche Mareczko (che quest’anno è presente, ndr) ha fatto molto belle cose. I ragazzi sono contenti di andare laggiù. Alla fine stanno bene.

«La prima cosa che chiedono è: “Come sono gli hotel? Come si mangia”? Lì gli standard sono buoni. Insomma non è la Cina dove in qualche caso la questione igienica non è al top. Ma poi oggi è tutto diverso. I team e gli hotel stessi sono organizzati, noi mangiavamo quel che trovavamo e lì era tutto molto piccante. Pollo… piccante. Un’altro tipo di carne… piccante. A volte persino il riso era piccante! Niente pasta, ma tante uova. Poche storie e pedalare».

I ragazzi del Li Nang Star, squadra cinese, si cambiano al volo prima di prendere il traghetto per la terra ferma

I ragazzi del Li Nang Star, squadra cinese, si cambiano al volo prima di prendere il traghetto per la terra ferma

«Il Langkawi era generosissimo. Noi della Mg-Technogym vincemmo due tappe, la classifica finale e altri premi: tornammo a casa con un bel gruzzolo a testa. Un gruzzolo che però riuscimmo a riprendere solo grazie agli uffici di Parsani, all’epoca in Mapei, in seguito ad un disguido. Ma vi dico questa, tanto per rendere l’idea delle cifre che giravano. Paolo Bettini era appena passato professionista con noi. Aveva firmato al minimo sindacale che era di 25 milioni di lire l’anno: tornò dal Langkawi con 28 milioni di premi!».

Oggi chiaramente i premi non sono più quelli e le tappe sono anche di meno, d’altra parte con un calendario così fitto è impensabile proporre una gara a tappe di 12 frazioni. Il Langkawi però è una corsa molto sentita in Asia. E di fatto apre al colpo di coda del calendario in questa parte di mondo, visto che poi si corre anche in Giappone e dopo ancora in Cina, con il Taihu Lake prima e il Tour of Guangxi poi, che chiude il WorldTour.

Proietti Gagliardoni e quel dato che fa discutere

14.03.2024
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Di Mattia Proietti Gagliardoni si fa davvero un gran parlare. Dopo i buoni risultati internazionali nel ciclocross sono arrivate la piazza d’onore al GP Baronti e le parole lusinghiere del cittì Pontoni, che su di lui confida molto per il “dopo Viezzi”. Una sua affermazione però ha suscitato clamore nell’ambiente, tanto che Luca Scinto, il direttore sportivo del Team Franco Ballerini (dove l’umbro corre da quest’anno) ha fatto sentire la sua voce tramite Facebook. Abbiamo voluto allora andare direttamente alla fonte per capirne di più.

«Il cittì è stato molto preciso nella definizione di Mattia – dice Scinto – salvo che per un passaggio, quando parla delle sue ore di allenamento. Dire che si allena per 25 ore settimanali è esagerato, non siamo di fronte a un professionista e so che il suo preparatore Massimiliano Gentili è molto attento nel dosare la sua crescita. Condivide con me le tabelle e i lavori, so che siamo intorno alle 13-14 ore settimanali e d’inverno, quando preparava il cross, andavamo dalle 9 alle 11 ore.

Proietti Gagliardoni in gara al GP Baronti, in 2ª posizione, battuto dal solo Enea Sambinello (foto Team Ballerini)
Proietti Gagliardoni in gara al GP Baronti, in 2ª posizione, battuto dal solo Enea Sambinello (foto Team Ballerini)

Il talento e la pazienza

«Certamente l’attività degli juniores – prosegue Scinto – non è quella dei miei tempi. I corridori arrivano già svezzati e praticamente quando ancora non sono maggiorenni si giocano il loro futuro come professionisti. Ma non bisogna precorrere i tempi, noi siamo abituati a coltivare i talenti con attenzione e parsimonia, facendoli crescere con calma».

Scinto ne fa una questione di rapporto tra quantità e qualità: «Dire che pedala tante ore è sbagliato perché non fa parte del nostro concetto di lavoro. Sia io che Massimiliano guardiamo alla qualità dei lavori, è su quella che facciamo leva. Le 25 ore sono un numero che di per sé dice poco. Mattia ci arriverà, con il tempo. Non dimentichiamo che stiamo parlando di un ragazzo che va ancora a scuola…».

In nazionale con il cittì Pontoni. Per l’umbro due piazzamenti in Coppa del Mondo entro i primi 20 (foto Fci)
In nazionale con il cittì Pontoni. Per l’umbro due piazzamenti in Coppa del Mondo entro i primi 20 (foto Fci)

Valori da corridore vero

Come si sono incrociate le strade di Proietti Gagliardoni e di Scinto? «Lui viene dal ciclocross perché lì lo ha portato il padre che era un praticante e un appassionato. So che poi all’Uc Foligno ha lavorato con Gentili che me ne ha parlato molto bene ed effettivamente ho potuto constatare che ha numeri eccezionali, come ho potuto raramente constatare nell’ambiente e proprio per questo bisogna lavorarci con calma».

Il tecnico toscano, anche se ha potuto lavorare ancora poco con il giovane appena approdato al suo team e alla categoria, si è già fatto un’idea sulle sue caratteristiche.

«Ha valori da corridore vero, che va forte in salita e che riesce a essere presente nelle corse dure, proprio com’era il GP Baronti, in quelle occasioni allora può essere anche veloce e giocarsi la vittoria. C’è però tanto da fare, perché il ciclocross può darti la brillantezza, ma ora c’è da riabilitare il suo fisico sul piano della resistenza e del fondo. Si deve abituare alla categoria, ai carichi di lavoro. Quando avrà finito la scuola potrà lavorare con più calma e assiduità, anche aumentare un po’ i carichi, ma sempre senza esagerare».

Per Proietti Gagliardoni tanti risultati d’inverno. Qui secondo a Osoppo al Giro d’Italia (foto Billiani)
Per Proietti Gagliardoni tanti risultati d’inverno. Qui secondo a Osoppo al Giro d’Italia (foto Billiani)

Attesa per la crono

La piazza d’onore al Baronti è stata una sorpresa, considerando la sua relativa esperienza? «Un po’ sì, ma so che se un ragazzo ha talento si vede subito, sa emergere anche se non è al massimo e quel giorno Mattia non era certo al 100 per cento».

Va forte in salita, si difende bene in volata, ha grandi capacità sul passo. Ma a cronometro? «Non ci ha ancora lavorato, per questo aspetto che ci sia il tempo per farlo. Non puoi scendere da una bici e salire sull’altra aspettandoti chissà che cosa. Io dico che ha i mezzi per far bene anche lì, ma dovrà intanto essere dotato di una bici adeguata e so che gli sta per arrivare la Corratec da crono della squadra pro’, poi deve imparare a lavorarci. Ci vogliono almeno 20 giorni, cronoman non ci s’improvvisa…».

Mattia e Massimiliano Gentili: il corridore ha voluto l’ex pro’ al suo fianco
Mattia e Massimiliano Gentili: il corridore ha voluto l’ex pro’ al suo fianco

Il legame con Gentili

Chiamato in causa anche da Scinto, lo stesso Massimiliano Gentili ha voluto dire la sua, partendo dalla propria storia personale.

«Io avevo interrotto i contatti con il suo team, Uc Foligno alla fine del 2022. Nei primi mesi dello scorso anno – spiega – Mattia era un po’ sbalestrato e stava perdendo gusto per quest’attività. Ricordiamo che si parlava di un allievo: io dico sempre che fino al primo anno, il ciclismo è un gioco, poi al secondo si comincia a fare sul serio, più che altro per non trovarsi impreparati all’approccio con la categoria juniores, diventata ormai il vero serbatoio del professionismo. Mattia mi ha contattato per chiedermi se potevo tornare ad allenarlo e così è stato. Per me è come un figlio, lo seguo con enorme passione e piano piano è tornato a essere il campioncino che conosco, infatti ha conquistato due vittorie e tanti piazzamenti.

«Mattia sta imparando come allenarsi per la nuova categoria. Voglio che cresca con calma, fa parte della mia filosofia: l’allenamento è un percorso graduale. Non ho problemi a fornire i suoi dati: dal 2 gennaio a oggi non ha mai superato le 14 ore settimanali, fino al 12 marzo ha fatto 72 uscite per 4.200 chilometri totali con una media mensile di 1.200 chilometri. La mia ottica non è quella di farlo vincere prima di tutti e più di tutti ora, ma di vederlo crescere costantemente, nei valori, nel rendimento».

Con la medaglia d’argento Magagnotto all’Eyof 2023, dove l’umbro ha chiuso al 6° posto
Con la medaglia d’argento Magagnotto all’Eyof 2023, dove l’umbro ha chiuso al 6° posto

25 ore settimanali? Con il tempo…

Sulle parole di Pontoni, Gentili aggiunge: «Ringrazio il cittì perché ha espresso giudizi lusinghieri sul ragazzo, ma era giusto puntualizzare le cose. Altrimenti si potrebbe pensare che emerge solo perché lavora come un pro’ e questo non è assolutamente vero. Alle 25 ore ci arriverà, con il tempo, ma io non guardo a quello, preferisco privilegiare l’intensità. Diamogli tempi e vedrete che ci darà belle soddisfazioni».

Juniores, 7 giorni al via: con Scinto sul percorso del GP Baronti

26.02.2024
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SAN BARONTO – Ancora una settimana e domenica prossima scatterà anche la stagione dell’ultima categoria internazionale. Dopo i professionisti e gli under 23 infatti è la volta degli juniores. Partiranno dalla Toscana, più precisamente da Cerbaia di Lamporecchio, Pistoia, con il Gran Premio Giuliano Baronti.

Qui siamo in uno dei cuori ciclistici della regione. E il GP Baronti è dedicato ad un super appassionato di ciclismo, appunto Giuliano Baronti, scomparso nell’agosto del 2022, noto nel mondo del pedale come Neri Sottoli. Per anni ha sponsorizzato, e lo fa ancora, diverse squadre anche professionistiche.

Una foto al monumento dei ciclisti davanti a San Baronto. Qui, Scinto con due suoi ragazzi, Pavi Dell’Innocenti e Buti
Una foto al monumento dei ciclisti davanti a San Baronto. Qui, Scinto con due suoi ragazzi, Pavi Dell’Innocenti e Buti

Baronti nel cuore

Ad organizzare la gara è il Team Franco Ballerini, guidato da Luca Scinto. Siamo a Lamporecchio e questo era il “confine” tra Visconti, a San Baronto, e Nibali, a Mastromarco.

«L’idea di fare una corsa – racconta Scinto – già c’era, poi dopo la morte di Giuliano, i figli Alessio e Stefano volevano in qualche modo continuare l’opera del padre. A quel punto sono stato io a proporre una corsa di più alto livello, una corsa nazionale. E infatti il prossimo 3 marzo è da qui che si aprirà la stagione della categoria juniores».

Insomma, una piccola storia di passione ciclistica. Di rinascita, di tradizioni che vanno avanti.

«Vengono i team più importanti. Ci sono 198 iscritti. Non faremo pagare la tassa dei 5 euro, anche se va detto che questa norma non vale per le corse nazionali, ma non l’avremmo fatta pagare ugualmente. Potranno mangiare sia i ragazzi che gli accompagnatori. In più abbiamo previsto una sintesi su Radio Corsa, la trasmissione di Rai Sport del giovedì».

Tredici giri più uno

Proprio con Luca Scinto e due dei suoi ragazzi, siamo andati alla scoperta del percorso. Si tratta di un tracciato equilibrato. Non duro, ma che non regala nulla. In tutto 121 chilometri, in linea con gli standard attuali della categoria. E’ prevalentemente pianeggiante, poi nel finale si affronta una salita di 4 chilometri, prima di planare di nuovo su Cerbaia di Lamporecchio. 

«La salita l’abbiamo inserita nel finale – va avanti Scinto – così che tutti i ragazzi possano finire la corsa, mettere chilometri giusti nelle gambe. E prendere fiducia. A quel punto poi anche se si staccheranno, potranno di passo andare al traguardo che, ricordo, così come la partenza, è davanti la sede di Neri Sottoli».

Il GP Giuliano Baronti si articola su 14 giri in totale: 13 in pianura, lungo un anello di 8 chilometri, e uno di 17 chilometri che comprende anche la scalata e la discesa.

L’anello in basso è pianeggiante. Non è assolutamente difficile, ma è sempre ondulato. Le strade sono ampie, l’asfalto buono e le curve non sono affatto pericolose. Ce n’è solo una che è più secca e più stretta. Si tratta di una svolta a destra nella quale si arriverà abbastanza veloci, dopo un rettilineo. Ma nulla di pericoloso. E poi dopo la prima tornata i ragazzi l’avranno memorizzata.

Salita a San Baronto

Ma se l’anello in basso non riserva grosse peculiarità tecniche, per quello finale il discorso cambia.

«Per la salita – spiega Scinto – abbiamo scelto il versante di San Baronto noto come il Frantoio, che si attacca da località Centocampi e passa per San Giugnano».

Dalla curva (a sinistra) di Centocampi alla vetta ci sono 4,4 chilometri. Le prime centinaia di metri sono in falsopiano, praticamente pianura. Terminato il falsopiano, si passa man mano al 4, 5, 6 e 7 per cento. E per un po’ resta così.

A circa metà scalata, all’uscita da un tratto boscoso, ecco la zona dei tornanti. Sono tre in successione ravvicinati. Carreggiata stretta e pendenza del 12 per cento. Questo tratto misura più o meno 500 metri. 

Degli uliveti annunciano la fine del tratto duro. Poi la pendenza crolla, fino a diventare pianura per 150 metri. Di nuovo gli ultimi 4-500 metri sono al 4-7 per cento. Lo scollinamento è precisamente davanti alla vecchia Chiesa di San Baronto.

E’ una salita impegnativa, ma non impossibile. «Non so neanche io – dice Scinto – quante volte l’abbia fatta da atleta. Proprio nel tratto in cui spiana scoppiava la bagarre con Sorensen, Sciandri e Ballerini. Si metteva su il rapporto lungo e si menava forte. Il pezzetto finale mi dava noia, ma si faceva una grande gamba.

«Sempre su questa salita, qualche anno dopo, quando il “Ballero” era cittì, gli chiesi quante possibilità avessi di far parte della nazionale di Zolder. Lui mi rispose: “Tu al 60 per cento, ma motivato per fare un certo lavoro, vali più di molti altri, Luca”. Fu una carica incredibile per allenarmi al meglio e non deluderlo. E infatti in quel mondiale andai fortissimo».

Verso l’arrivo

Dopo aver scollinato a San Baronto, inizia la picchiata verso Lamporecchio, planata lunga 3,8 chilometri. E’ una strada larga. L’asfalto è ottimo e non mancano le curve, quasi sempre ampie e con ottima visibilità.

«E’ qui che transita anche il Gp di Larciano dei pro’ e proprio lungo questa discesa (in un tratto rettilineo, ndr) Matej Mohoric ha stabilito la velocità record di 107 all’ora».

Una volta ritornati in pianura restano circa 3 chilometri prima dell’arrivo. Le difficoltà altimetriche sono terminate, ma occhio al finale. L’ultimo chilometro, tende impercettibilmente a salire: la scelta del rapporto giusto potrebbe essere quantomai determinante.

Ai 500 metri c’è una rotatoria. E’ l’ultima curva. Da lì con una pendenza forse dell’uno per cento si va all’arrivo del Gran Premio Baronti. Si percorrono questi 500 metri finali in senso opposto alla partenza.

I guanti di Scinto per la Freccia di Bartoli…

20.02.2024
5 min
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Un paio di guanti, Luca Scinto, Michele Bartoli e la Freccia Vallone: metti tutto insieme e ne esce un bell’aneddoto di ciclismo.

Qualche giorno fa Michele Bartoli ci ha parlato della classica delle Ardenne. Il campione toscano è intervenuto sugli effetti tecnico-tattici che potrebbe avere l’inserimento del quarto passaggio sul Muro d’Huy. Inevitabilmente si finì per parlare anche della sua Freccia Vallone, quella del 1999.

Un’edizione storica, sia perché fu l’ultima ad essere stata vinta con un attacco da lontano e non con la selezione sul muro finale, sia per il maltempo che imperversava ad Huy quel giorno. Vento, neve, pioggia… insomma tipico meteo da Belgio. Ma c’è dell’altro. 

Michele Bartoli e Luca Scinto ai tempi della Mapei
Michele Bartoli e Luca Scinto ai tempi della Mapei

Guanti oversize

C’è una storia di un guanto e del suo proprietario, Luca Scinto. Un guanto, anzi, un paio di guanti a dire il vero che iniziarono la corsa con Luca e la finirono con Michele. 

«Ricordo – racconta Scinto con grande passione – che cominciava il tempo brutto. Iniziava a nevischiare. Michele ci disse di andare avanti. Avevamo appena superato il penultimo passaggio sul Muro d’Huy. E lì il gioco si faceva duro. Si scendeva decisi. C’erano curve e controcurve, per di più la strada era bagnata. Poi ad un tratto si girava secchi e con questa curva a 90 gradi iniziava la salita».

Scinto è una fonte di particolari. Ancora una volta fa impressione ascoltare certi racconti. I corridori rammentano tutto. A momenti il direttore sportivo toscano ricorda il rapporto che aveva in canna! Parla della salita, al 5-7 per cento di pendenza che fece da antipasto allo scatto di Bartoli.

«Era una salita stretta – prosegue Scinto – Bartoli ci disse di farla forte e che poi ci avrebbe pensato lui. La feci come se il mio arrivo fosse in cima. Quando dovevo fare un lavoro lo facevo al massimo. Ci si mise a tirare. Il gruppo si allungò. Già dopo il Muro d’Huy era bello allungato, figuriamoci in fondo alla discesa. Anche per questo iniziammo la salita forte. Chi era in coda, dopo quella curva a 90 gradi, ancora doveva finire la discesa e chi era davanti invece era già in piena salita. Così io e Coppolillo facemmo a tutta questi cinque chilometri di salita. In cima eravamo rimasti in venti o poco più. Dietro c’era uno sparpaglio della miseria».

La corsa va come vuole Bartoli. Grande ritmo, grande selezione, davanti solo i migliori. E proprio in quel frangente, con il grosso della selezione ormai fatta e il gruppo esploso, Bartoli fa a Scinto: «Luca, mi vai a prendere i guanti lunghi in ammiraglia? Qui comincia a nevicare e fa freddo».

«Come i guanti, Michele? L’ammiraglia sarà chissà dove – racconta Luca – così gli diedi i mei. Infatti se osservate bene, all’arrivo, quando Michele alza le mani, indossa dei guanti troppo grossi. Le miei mani sono il doppio delle sue!».

Bartoli festeggia sul muro… con i guanti giganteschi di Scinto
Bartoli festeggia sul muro… con i guanti giganteschi di Scinto

Mani nude nella neve

Poco dopo lo scambio dei guanti Bartoli attaccò. Andò via portandosi dietro Den Bakker e Camenzind. Li cucinò per bene strada facendo. Mentre Scinto, Bettini e Coppolillo erano dietro che remavano. Nonostante tutto, Luca concluse la sua Freccia al 15° posto.

«Arrivai per la disperazione, faceva un freddo cane a quel punto. Ricordo che a Bettini si girò un dito dal gelo. E infatti si ritirò. Salii sull’ammiraglia di Damiani, mentre Parsani era davanti con Bartoli. Io avevo le mani scoperte e in certe situazioni è la peggior cosa. Non riuscivo più a cambiare. Per togliere il 53, sul Muro d’Huy usai il palmo della mano. All’epoca la leva Shimano dovevi spostarla tutta. E lo stesso per mettere il 28 dietro, ammesso sia stato un 28!».

Mani congelate, ma sorriso in volto, o almeno interiore, per Scinto. Dalla radiolina, ricorda il toscano, arrivò la notizia che Michele, circa 4′ prima di lui, aveva tagliato il traguardo per primo.

Sul bus della Mapei scattarono i racconti, più che la festa. «Quando Bartoli puntava le Ardenne – aggiunge Scinto – di festa se ne faceva poca». La Liegi era lì che lo chiamava e Michele non l’avrebbe mai buttata all’aria per un bicchiere di troppo. Né lui, né i suoi compagni. Compagni che erano amici oltre che gregari. Per di più alcuni di loro erano toscani come lui.

«Ognuno – va avanti Scinto – raccontava la sua. Io dissi che nell’ultima discesa, prima di prendere il Muro, scesi con una mano sul manubrio e con l’altra a riparare gli occhi dalla neve che arrivava forte di traverso. Avevo gli occhiali giù, ormai appannati, quindi con una mano guidavo e con l’altra appunto mi riparavo dalla neve. Per 15 giorni ho avuto i polpastrelli gelati e non sentivo nulla».

Den Bakker, Bartoli e Camenzind in fuga alla Freccia del 1999. L’ultimo a cedere fu il corridore della Rabobank (Bridgeman Images)
Den Bakker, Bartoli e (dietro ma nascosto) Camenzind in fuga in quella Freccia del 1999 (Bridgeman Images)

Bartoli l’inventore

Scinto spiega che il percorso lo conoscevano, ma non lo avevano provato e riprovato come si fa ai tempi attuali: «Avevamo fatto una ricognizione, ma Michele improvvisava. 

«Non era come oggi che i ragazzi si dice di ogni curva, di ogni tombino prima di partire. Poi montano in bici, vanno alla partenza e si sono già scordati tutto. Michele si ricordava quello che serviva. Sapeva quali erano i punti decisivi e su quelli si concentrava. Era un inventore. Quello che gli veniva in mente in corsa, lo faceva. Io credo che se Michele Bartoli avesse corso oggi sarebbe stato un Van der Poel della situazione».

E i guanti che fine hanno fatto?

«Michele – conclude Scinto – me li restituì. Ma fra la trasferta, gli anni e tutto il resto… me ne è rimasto uno solo. La gente non ci crede, ma quel guanto ha vinto una Freccia! Michele fece un numero quel giorno e mi ringraziò. Senza i miei guanti forse si sarebbe congelato e addio Freccia».

Cambio della guardia al Team Ballerini: l’insolito addio di Bardelli

27.08.2022
5 min
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Il Team Franco Ballerini, squadra juniores toscana, perde un direttore sportivo e ne trova un altro. Esce Andrea Bardelli, subentra Luca Scinto (in apertura con il team al Tour du Lac Leman in Svizzera). La notizia era da un po’ nell’aria e in sé fa scalpore conoscendo la passione che Bardelli ha sempre messo nella squadra. Un po’ per il nome di Franco e un po’ per aver sempre raccontato i corridori quasi come figli suoi. Da Stoinic a Svrcek, passando per Iacchi e più di recente Michale Leonard, promettente talento canadese in orbita Ineos Grenadiers.

Marzo 2022, Michael Leonard vince la gara di apertura, dedicata a Franco Ballerini
Marzo 2022, Michael Leonard vince la gara di apertura, dedicata a Franco Ballerini

Questioni personali?

Intercettiamo Bardelli durante una pausa dal lavoro e capiamo dalle sue esitazioni che, qual che ne sia la ragione, parlarne è faticoso.

«Per me è sempre stata una passione – dice – perché il mio vero lavoro è in una ditta di servizi a Firenze. Faccio le mie otto ore, non rischio di annoiarmi. E sto pianificando il futuro, perché dal ciclismo non esco di certo. Di solito le squadre del Sud cercano appoggio al Nord, stavolta potrebbe essere il contrario. Posso dire che ultimamente ho avuto un periodo difficile per un problema di salute di mio padre. Perciò ho preferito fare un passo indietro. Figurarsi, finiscono i matrimoni, poteva finire anche questo. Però mi è costato…».

Il passo indietro di Bardelli è avvenuto circa due mesi fa, in occasione della caduta di suo padre (foto Luccarini)
Il passo indietro di Bardelli è avvenuto circa due mesi fa, in occasione della caduta di suo padre (foto Luccarini)

Un nuovo progetto

Bardelli è stato a lungo uno dei nostri interlocutori nel mondo complesso degli juniores e non è un mistero che abbia in giro un ottimo credito. Ricordiamo il messaggio con cui proprio Leonard, colpito dal modo di lavorare del Team Ballerini, gli chiedeva di correre con lui in Toscana. Per cui, pur rispettando la sua voglia di non uscire dai limiti, qualche domanda abbiamo provato a fargliela. Nell’ambiente si dice che starebbe lavorando a un accordo con la CPS Professional, la squadra campana di Clemente Cavaliere, che ha già collaborato con la Hopplà-Petroli Firenze, in cui coinvolgere il gruppo ligure già in orbita al Team Ballerini. Ripiego o progetto precedente?

Il Team Ballerini alla Eroica Juniores, vinta nel 2021 con Svrcek e fatale a Leonard: caduto e fratturato
Il Team Ballerini alla Eroica Juniores, vinta nel 2021 con Svrcek e fatale a Leonard: caduto e fratturato
Che cosa è successo?

Non ero tranquillo. A un certo punto è entrato Luca (Scinto, ndr) e non si può dire che mi disturbasse. Però ho capito che sarebbe stato difficile convivere. E’ una squadra con cui avevo preso l’abitudine di andare all’estero, provando a farci vedere. E sono orgoglioso alla fine di aver portato Svreck alla Quick Step e Leonard alla Ineos. Alla base di tutto c’è aiutare questi ragazzi a trovare un posto, ma è chiaro che per farlo servono soldi.

Perché mollare?

Un po’ per il discorso di mio padre, che adesso per fortuna ne sta uscendo. Un po’ perché non mi sentivo più nel progetto. Non ho abbandonato i ragazzi. Ho sempre avuto carta bianca e nessuno si è mai lamentato. Abbiamo tirato fuori dei bei corridori e devo dire grazie a Citracca per l’attività che mi ha permesso di fare. Incluso la squadra di allievi. Servono soldi, siamo d’accordo, ma anche passione.

Si dice che per il prossimo anno, Bardelli starebbe lavorando a un nuovo progetto juniores fra Liguria e Campania
Si dice che per il prossimo anno, Bardelli starebbe lavorando a un nuovo progetto juniores fra Liguria e Campania
Va bene, ma perché mollare?

Sono andato un po’ fuori dal seminato, per due mesi non sono stato tranquillo e ho deciso di staccare, per quello che rappresenta la maglia con quel nome sopra. Non volevo tornare indietro e non parlo di vittorie, ma di immagine di una squadra in cui i corridori chiamavano per venire.

E’ vero che fra i problemi ci sarebbe stato proprio il passaggio di Leonard alla Ineos?

Michael è venuto qui scrivendomi un messaggio, senza procuratore né altro. Quando lo feci testare da Pino Toni, che ci ha sempre aiutato, vennero fuori dei numeri clamorosi. La notizia si è sparsa e si sono avvicinati dei manager, fra cui Piscina che collabora con Acquadro. Ma se anche ci fossero stati altri agenti interessati, l’obiettivo non è fare l’interesse del ragazzo?

Scinto con Sivok e Leonard, al Tour du Lac Leman dove nacque il contatto fra il canadese e il team
Scinto con Sivok e Leonard, al Tour du Lac Leman dove nacque il contatto fra il canadese e il team
C’era il progetto di portarlo alla Corratec?

Quello che so è che a un certo punto è intervenuta la sua famiglia e hanno deciso. Lui addirittura avrebbe voluto fare un anno da U23, ma gli hanno assicurato che lo inseriranno gradualmente, con 20 corse e un programma adeguato.

Capito il discorso, ma qualcosa non torna.

Non è il momento per dire altro, va bene così. Non voglio creare problemi. Il nome Ballerini significa troppo per me, ricordando Franco e la Sabrina che c’è dietro alla squadra. E comunque li ho lasciati in buone mani. Lo Scinto è stato professionista e sa fare il direttore sportivo. E’ un diesse esperto, questo lo sappiamo tutti.

Dalla batosta di Treviso, la lezione di Mosca ai giovani (e a certi team)

27.05.2022
6 min
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Una disattenzione sul Muro di Ca’ del Poggio poteva costare a “Juanpe” Lopez la maglia bianca e tutto il lavoro fatto finora per mantenere la top 10 nella generale. Sommando le osservazioni raccolte ieri dopo la tappa di Treviso, sul più fiammingo dei muri veneti le squadre dei velocisti hanno capito che la fuga stava diventando imprendibile e hanno accelerato in modo selvaggio. Il gruppo si è spezzato e nelle retrovie è rimasto il ragazzino della maglia rosa sull’Etna e delle 9 tappe successive. Una bella lezione, di quelle che ti svegliano: difficilmente Lopez si farà più sorprendere in coda al gruppo.

«Quando ti scontri con una situazione del genere – dice Jacopo Mosca, che ieri ha tirato come tutta la squadra – alla fine hai poco tempo per parlare in corsa. Lavori finché ne hai e noi alla fine siamo scoppiati. Sali sul pullman e potresti cadere nell’errore di dire parole di troppo, ieri non tutti erano contenti. Oppure fai un’analisi, valuti come è andata. Dipende da chi hai di fronte. La parola di un altro corridore quando sei a blocco può essere accettata male. Anche quella di un diesse. Ma se lo stesso concetto te lo spiega un compagno a freddo e in modo lucido, vale di più».

Dalla lezione di ieri a Treviso, Lopez ha imparato più che da mille parole
Dalla lezione di ieri a Treviso, Lopez ha imparato più che da mille parole

Su giovani e squadre

I giovani vanno aspettati. L’esperienza degli ultimi anni dice che il vincitore della maglia rosa s’è portato a casa anche la bianca. Ma non tutti sono fatti allo stesso modo. E non tutte le squadre, malgrado le belle interviste rilasciate nei giorni del Giro, hanno a cuore il discorso. Mosca ad esempio fu lasciato a piedi allo scadere del secondo anno.

«Quando sono passato – ricorda – ero nella squadra di Pozzato agli ultimi anni di carriera. Nel suo modo di parlare e di porsi, ha sempre detto cose giuste al 95 per cento. Sono passato nella fase del cambiamento, all’alba di questo new cycling in cui si va sempre a tutta. Ricordo che il primo anno ruppi il gomito. Feci un po’ di gare a inizio anno e lo chiusi in Cina. L’anno dopo al ritorno dall’ennesima trasferta in Cina, dove avevo anche vinto una tappa, chiesi di andare al Tour of Hainan, che avevo vinto l’anno prima. Sarei partito col numero uno sulla schiena, solo alla fine li convinsi e mi mandarono.

«Correvo al minimo e all’ennesima richiesta sul contratto, Citracca mi disse che non ero abbastanza forte per essere un corridore. Mi disse che la maglia della classifica a punti della Tirreno potevano vincerla tutti: bastava andare in fuga. Sentendo da chi arrivavano certe parole, preferii lasciar correre. Ma capii che sarei rimasto a piedi, non fu facile».

Fu Ivan De Paolis ad accogliere Mosca quando fu scaricato da Scinto e Citracca
Fu Ivan De Paolis ad accogliere Mosca quando fu scaricato da Scinto e Citracca
Non sempre i giovani vengono aspettati. Di cosa ha bisogno oggi un neopro’?

Dipende da chi hai di fronte. Se il giovane sa imparare dagli altri, non ha bisogno di niente. Ruba il mestiere e va avanti. Se si perde e ha bisogno di essere inquadrato, deve essere disposto ad accettarlo. Non so se ci sia ancora tempo. Io passai a 25 anni e oggi sarei vecchietto, ma cerco ancora di imparare da Cataldo. Dario ha 10 anni più di me, è stato gregario con i più grandi campioni, ha tanto da dare.

I ragazzi vanno aspettati.

Se prendi un ragazzo consapevole di dover faticare per dimostrare quanto vale, allora ha bisogno di tempo. Tanti miei coetanei sono passati con la voglia di farsi vedere. Alcuni hanno smesso, altri sono in squadre professional, ma con un po’ di fortuna in più sarebbero potuti arrivare in una WorldTour come me. Perché ne hanno il livello. Se guardi ai numeri, passano spesso corridori che non meritano ed è chiaro che se non vai, ti lasciano al vento. Ma la colpa non è del ragazzo…

Mosca è approdato alla Trek-Segafredo nel 2019 ed è uno dei gregari più apprezzati
Mosca è approdato alla Trek-Segafredo nel 2019 ed è uno dei gregari più apprezzati
Di chi allora?

Di chi lo fa passare, che sia il procuratore o il dirigente sportivo. E’ facile approfittarsi delle voglia di un ragazzo che non vede altro, ma devi essere onesto e capire se davanti hai un corridore vero oppure uno sperso. E io secondo Citracca non ero abbastanza forte per essere un corridore (fa una pausa, lo sguardo si perde chissà dove, ndr).

Ne avete più parlato?

Nel 2020 eravamo alla partenza della tappa dello Stelvio, decisiva per il Giro. Stavamo facendo una bella corsa ed eravamo tutti motivati. Scinto era vicino al pullman parlando con Guercilena e quando mi vide passare, disse che aveva sempre saputo che fossi un buon corridore e che dovevo soltanto dimagrire. Ricordo che Luca lo guardò: «Ma tu – gli disse – zitto non stai mai?».

Cataldo e Mollema anche ieri verso Treviso hanno svolto un lavoro preziosissimo per difendere Lopez
Cataldo e Mollema anche ieri verso Treviso hanno svolto un lavoro preziosissimo per difendere Lopez
Nessuno parla. Corridori vengono e altri smettono…

Se uno fa il suo, sta zitto e le polemiche non servono. Se rispondi, ti segnano e hai finito di correre.

Ma allora perché passare a tutti i costi in squadre così?

Per me non ha senso dire a un ragazzo di fare un anno in più nei dilettanti. Se sei uno che vince e può scegliere, oppure sei consapevole del ruolo che avrai e ti sta bene tutto, vai e dimostra il tuo valore. Ma si deve distinguere fra chi merita e chi no. Perché al contrario ci sono stati miei amici che meritavano e hanno smesso senza avere la possibilità. Parlo di Alberto Amici, ma soprattutto di Alfio Locatelli.

Alfio Locatelli classe 1990 non è riuscito a passare malgrado grandi risultati, in quanto elite (foto Scanferla)
Alfio Locatelli classe 1990 non è riuscito a passare malgrado grandi risultati, in quanto elite (foto Scanferla)
Bel corridore…

Vinse il Trofeo Balestra battagliando in salita con Moscon e Ciccone. Non lo fecero passare perché era elite. Per lui mi sbilancio, metterei la mano sul fuoco per ogni aspetto. Invece tutto intorno passavano ragazzini che non sapevi chi fossero.

Come fai a metterti in luce se in certe corse il gap fra WorldTour e altri è abissale?

Sta all’intelligenza del ragazzo. Se passi e pensi di poter competere, sei fuori strada. Se poi sei in una piccola squadra, inutile pensare di fare i finali. Ti fai vedere, vai in fuga, che parlino di te. Così il giorno in cui verrà un risultato, sarai quello che da giovane andava in fuga e si faceva notare. Non si deve dare la colpa ai corridori e nemmeno scusarli troppo se non si danno da fare. Correre fuori dal WorldTour è difficile, ma devi andare sempre a testa alta.

La Trek-Segafredo all’arrivo di Treviso, dopo aver tirato allo stremo delle forze
La Trek-Segafredo all’arrivo di Treviso, dopo aver tirato allo stremo delle forze
Mosca neopro’?

Non avevo risultati clamorosi, il mio modo di correre era lo stesso di oggi quando ho le gambe. Se stai lì e aspetti il finale, non vai da nessuna parte. Adesso è ancora peggio, bisogna capire alla svelta il proprio ruolo. A un ragazzo come Guarnieri bisognerebbe fare un monumento: non ne sbaglia una. Si parla tanto di Morkov, ma lui non è da meno. Non si deve aver paura di svolgere il proprio ruolo e lavorare per gli altri appaga. Lo dico io, ma guardate Puccio e lo stesso Cataldo.

Perché non hai smesso?

Sapevo di non essere un campione, ma potevo ricavarmi uno spazio. Sapevo di valere più di quello che pensavano. E appena ho trovato una vera squadra, sono arrivato al posto giusto.

Quei due anni di Martinez a San Baronto. Scinto racconta

30.04.2022
6 min
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Quel pugno stretto alla volta di Bernal sulla salita verso Sega di Ala. La vittoria al Delfinato 2020 e poi la tappa a Pas de Peyrol nel Tour dello stesso anno. I Paesi Baschi poche settimane fa. Quando pensiamo a Dani Martinez, che dallo scorso anno è passato dalla EF Pro Cycling alla Ineos Grenadiers, abbiamo davanti agli occhi l’armatura inscalfibile che solitamente si associa ai corridori del team britannico. Eppure c’è stato un periodo in cui il colombiano è stato un ragazzino da scoprire, arrivato in Italia senza sapere che cosa sarebbe diventato da grande.

Base a San Baronto

Il suo procuratore Acquadro infatti lo consegnò fra le mani di Luca Scinto, in quella fucina di ottimi corridori che è stato a lungo San Baronto. Arrivò in un giorno di gennaio del 2015, con la valigia e un mondo tutto nuovo da scoprire.

«Ci proposero lui e altri ragazzini – ricorda il tecnico toscano – Amezqueta, Rodriguez e l’anno dopo anche Florez. Di Martinez parlavano già tutti un gran bene. Aveva il contratto con il Team Colombia di Claudio Corti, che però chiuse. Quando andai a prenderlo all’aeroporto, mi trovai davanti un bambino di 19 anni, con l’apparecchio ai denti. Lo sistemammo nell’hotel di San Baronto, con cui avevamo fatto una convenzione, e lo affidammo per la preparazione a Michele Bartoli. Fu lui dopo i primi test a confermare che fosse fortissimo. Che aveva da crescere, ma non aveva numeri tanto comuni…».

E’ stato Bartoli a capire subito dai test che Martinez avesse numeri non comuni (foto Instagram)
E’ stato Bartoli a capire subito dai test che Martinez avesse numeri non comuni (foto Instagram)
Vi fu dato perché lo faceste maturare?

Si fece un programma di crescita graduale. Però lo portai in entrambi gli anni al Giro d’Italia. Era giovane, ma qualche sprazzo lo fece vedere nelle crono. Tirò quasi tutto lui nella cronosquadre della Coppi e Bartali che chiudemmo al quarto posto. Stessa cosa al Giro del Trentino, ottavi. In salita invece stava nei gruppetti, ma ci stava perché era tanto giovane. Nel 2016 arrivò fino a Milano, il secondo anno lo fermammo dopo la tappa di Bormio vinta da Nibali, quella di Dumoulin con il mal di pancia, in cui lui arrivò a 23 minuti. Il dottore voleva farlo fermare sullo Stelvio. Era andato in crisi, ebbe un calo di zuccheri. Però fu cocciuto e arrivò al traguardo. A fine stagione avemmo la conferma che avesse davvero qualcosa di più…

Vale a dire?

Arrivò nei primi dieci alla Tre Valli Varesine e alla Milano-Torino. Quarto nella generale, con un terzo di tappa al Giro di Turchia. Con noi c’era il contratto in scadenza, arrivò la EF e se lo portò via. Non potevamo trattenerlo. Se fossimo stati cinici, lo avremmo fatto firmare al Giro, ma sarebbe stato ingiusto trattenerlo contro voglia e davanti a una WorldTour.

Al primo anno con la squadra di Scinto, Martinez dimostra subito di andare forte nelle crono
Al primo anno con la squadra di Scinto, Martinez dimostra subito di andare forte nelle crono
Pensi che quei due anni gli siano serviti?

Fu tutelato, come è giusto che sia per un ragazzino di 19 anni. Dopo il Giro lo scorso anno venne a San Baronto (foto di apertura, con Scinto e il diesse Tomas Gil, ndr) e mi disse che un po’ di scuola di Scinto servirebbe a tanti giovani. Lui si è costruito da solo, gli dicevo di essere partecipe della propria crescita e lo è sempre stato. Gli stranieri non sono mammoni come gli italiani, noi abbiamo proprio un’altra struttura mentale. Questo partì a 19 anni dalla Colombia per venire in Italia, si capisce che la voglia di sfondare fosse tanta.

Dicevi che con lui arrivarono Amezqueta e Rodriguez…

Gli altri non erano al suo livello, ma anche con loro avemmo pazienza e alla fine sono venuti fuori dei corridori dignitosi (Amezqueta corre dal 2018 alla Caja Rural, Cristian Rodriguez è al secondo anno con la TotalEnergies, mentre Florez è al secondo anno con la Arkea-Samsic, ndr). Buoni corridori, non fenomeni, che sono cosa rara ma ci sono sempre stati. Come Saronni che vinse il Giro a 21 anni. Tutti vogliono diventare corridori subito e l’ambiente li spinge ad aver fretta.

Perché dici questo?

Perché un giovane non capisce ed è normale che voglia bruciare le tappe. E se alle corse di allievi e juniores, vedi quasi più procuratori che genitori, il ragazzino magari potrebbe pensare di essere un fenomeno.

Il primo Martinez non era tirato come adesso, la crescita ha fatto la sua parte…

Non era grosso, ma ha avuto seri problemi di allergia. Tanto che, prima con il dottor Gianmattei e poi tramite Bartoli, andammo per risolverla e per fortuna se ne venne a capo. Sapevamo che fosse un corridore vero e per quello facemmo il possibile per aiutarlo. I test continuavano a dire questo e a crono ha sempre avuto dei numeri incredibili. Se quest’anno avessero deciso di portarlo al Giro, parlo da tecnico e da tifoso, al 90 per cento sarebbe salito sul podio. Al Tour sarà diverso, troverà avversari di un livello superiore.

Nel 2018 arriva la EF Pro Cycling e lo porta via. Qui in Colombia con Bernal e Geoghegan Hart
Nel 2018 arriva la EF Pro Cycling e lo porta via. Qui in Colombia con Bernal e Geoghegan Hart
Cosa si prova a vederlo così forte?

Ho sempre detto che fosse un talento e sarebbe diventato un corridore. Qualcuno rideva. Ricordo di aver fatto questo discorso con Pancani. Quando fai una squadra con dei corridori giovani, devi avere pazienza. Poi arriva la WorldTour e te li porta via: è la legge del gruppo. Potresti farli firmare per cinque anni, ma non sarebbe giusto. Sarebbe da prevedere un riconoscimento, questo sì. L’ho tenuto qua, ho pagato vitto e alloggio, aveva lo stipendio un po’ sopra al minimo, gli ho insegnato un mestiere. L’UCI potrebbe prevedere qualcosa…

Con questo Scinto è sempre un piacere ragionare, ritrovando in lui il lampo dei primi tempi. Il professionismo lo ha messo da parte e lui ha scelto di ripartire dagli juniores. Eppure nel vivaio di una squadra importante, la sua passione e la capacità di coinvolgere i ragazzi sarebbero ancora un prezioso valore aggiunto. Quegli anni magici di San Baronto – tra Visconti, Gatto e Giordani – non si dimenticano. Su tutto il resto, probabilmente s’è avuta troppa fretta di appendere responsabilità.

Dal mondo dei pro’ a quello degli juniores: in viaggio con Scinto

15.04.2022
7 min
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Dai professionisti, agli juniores. E’ la storia di Luca Scinto che dopo un anno di stop è risalito in ammiraglia, quella del Team Franco Ballerini. L’ex corridore toscano è stato tra i fondatori di questa società, tuttavia ci tiene subito a chiarire che a tenere le redini della squadra non è lui, ma Andrea Bardelli. «E’ lui che conosce i corridori e la categoria», dice.

Il discorso però non verte sul team, ma sulla categoria. Scinto può essere un bel paragone tra questi due mondi, appunto quello dei pro’ e quello degli juniores, che tra l’altro sono sempre più vicini.

Scinto ha smesso di correre nel 2002, è salito in ammiraglia nel 2003 tra gli U23. Dopo qualche stagione è passato ai pro’. Qui con Visconti
Scinto ha smesso di correre nel 2002, è salito in ammiraglia nel 2003 tra gli U23. Dopo qualche stagione è passato ai pro’. Qui con Visconti
Luca, appunto, juniores categoria importante e delicata. Partiamo dall’inizio: quanto è diversa rispetto ai tuoi tempi?

Quanto è diversa? E’ cambiata come da zero a cento. E’ un altro ciclismo. Quando ero io tra gli juniores iniziavano ad arrivare i primi cardio, ma non sapevamo praticamente nulla di battiti cardiaci. E infatti non lo guardavamo. Eravamo “grassi”, muscolati come bambini normali. Iniziavamo ad andare in bici dopo la Befana. Ma che dico, a fine gennaio. Semmai prima si andava un po’ a correre a piedi.

E oggi?

Oggi sono dei pro’ e infatti a 20 anni raggiungono il top, mentre prima la maturazione era molto più lenta e s’iniziava ad andare forte a 24-25 anni. Prima era davvero una categoria giovanile. Bartoli ed io il sabato andavamo a giocare a pallone e la domenica andavamo a correre. Io giocavo nell’Altopascio, okay facevo il portiere, ma per dire che approccio ci poteva essere. Proprio io e Michele, credo siamo stati i primi ad utilizzare la Mtb d’inverno, a fare il ciclocross, ma già eravamo più grandicelli. E ancora l’impostazione in bici. Prima ti prendevano la misura del cavallo e via in sella. Adesso i ragazzi passano per più di una visita biomeccanica.

Cosa ti piace di questo mondo così diverso però?

Sto imparando a conoscerlo. Prima andavo solo a vedere qualche corsa ogni tanto, ora ci sono più dentro e mi diverto. Devo imparare ad entrare nella mente di questi ragazzi di nuova generazione. Però la cosa che più mi piace è come ti guardano quando gli parli. Ancora ti ascoltano. Ti stanno a sentire. Ed è bello, fa piacere.

La categoria juniores segna non solo il passaggio verso il mondo dei pro’, ma anche dall’infanzia all’adolescenza più matura
La categoria juniores segna non solo il passaggio verso il mondo dei pro’, ma anche dall’infanzia all’adolescenza più matura
Beh, fino a pochi mesi fa trattavi con i pro’: il metro di paragone è ancora fresco…

So che vanno a documentarsi su internet. Chi era Scinto, cosa ha fatto da corridore, diesse, con chi gareggiava… Più che altro devi stare attento ai genitori, tra mamme troppo premurose e alcuni papà che pensano che il loro figlio sia un campione. Ma questo è un discorso generale, non della mia squadra. La cosa invece che mi piace è che, almeno guardando i miei, ho trovato ragazzi di personalità. E anche che c’è una netta differenza fra stranieri e italiani.

In che senso?

I nostri ragazzi, stando a casa, sono più viziati, meno autosufficienti. Mentre vedo il canadese, Leonard, che a 17 anni vive da solo, lava, si fa da mangiare… E mi chiedo: uno dei nostri sarebbe in grado di vivere da solo non dico in Canada, che è dall’altra parte del mondo, ma in Belgio? Ci riuscirebbero i suoi genitori? 

E invece una cosa che ti piace meno?

Che rispetto ai miei tempi non so se questi ragazzi arriveranno a 35-37 anni. Di fatto si salta il dilettantismo. Anche le squadre dei pro’ vogliono tutto e subito e questo credo che alla lunga ammazzerà il mondo under 23 e continental. Magari per alcuni va bene, ma per altri ragazzi che hanno bisogno di più tempo per maturare no. Uno Scinto corridore non ci sarebbe, o ancora di più un Ballan. Non credo che vedremo più un Nibali che a 37 anni lotta per entrare nei cinque al Giro d’Italia.

I ragazzi della Franco Ballerini: impegno ed educazione i valori che cerca di passare Scinto
I ragazzi della Franco Ballerini: impegno ed educazione i valori che cerca di passare Scinto
E invece quando si va alle corse: cosa è cambiato?

Alla fine questa parte è quella che resta più semplice. Oggi la tecnologia aiuta e con una chat di squadra è più facile comunicare, purché non se ne abusi. Io faccio riferimento agli orari per partire, agli appuntamenti, alle soste in autogrill… Per il resto anche la riunione dei diesse è sempre quella. L’altro giorno ero ad una corsa il cui finale era in sterrato e stretto. Le macchine non potevano starci. Nessuno ha parlato e io ho chiesto al giudice se potevamo andare avanti e metterci ad assistere i corridori da terra. Chiaramente se tutti fossero stati d’accordo. Da che non parlava nessuno, mi sono venuti tutti a ruota. Ma io sono così. Anche con Rcs al Giro se dovevo parlare, parlavo. Semmai vorrei che ci fosse più preparazione nei giudici regionali. 

Cioè?

Noto che spesso sono impreparati e con poca esperienza. Il giudice non deve solo punire, ma deve essere anche una figura di dialogo. In una gara hanno squalificato un mio corridore per un rifornimento a 5 chilometri dal traguardo. Okay, non si fa, ma fammi un’ammenda, perché squalificare il ragazzo? Mi ricordo per esempio della Francesca Mannori. Lei si vedeva che era brava, che aveva personalità. E infatti adesso è al Tour de France. Come i corridori, anche i giudici bravi si vedono subito.

Lo Scinto diesse cosa diceva ad un pro’ prima di una gara e cosa dice ad uno juniores?

Partiamo dal fatto che per i primi è un lavoro. Quindi che devono dare il massimo per fare bene. Agli junior dico di mettercela tutta, ma anche di stare attenti, di comportarsi bene in gruppo, di non fare scenate dopo l’arrivo. Anche in virtù della maglia che portiamo in giro. Per noi il nome Franco Ballerini è orgoglio e soddisfazione. Oppure che non devono innervosirsi se c’è un guasto meccanico o di non abbattersi se una corsa va male. Questa categoria è davvero particolare. E’ un insegnamento di vita. E’ quella in cui capisci se del ciclismo puoi farne il tuo lavoro oppure no.

Andrea Garosio
Il diesse toscano mentre seguiva un suo atleta pro’ dall’ammiraglia durante una crono
Andrea Garosio
Il diesse toscano mentre seguiva un suo atleta pro’ dall’ammiraglia durante una crono
E invece i ragazzi cosa ti chiedono?

Più che chiedere si parla e si affrontano le situazioni. C’era un ragazzo che veniva dalla frattura del polso. Diceva che sentiva dolore e così gli ho fatto una fasciatura, un taping. Era poca cosa, però è servito a renderlo più tranquillo. Oppure un altro mi ha detto: quando arrivo in fondo alla discesa e poi c’è lo strappo le gambe mi fanno male, non girano. Allora gli ho chiesto: e ti bruciano anche? E lui: sì, sì… Ecco, ho ribattuto, è li che devi insistere, perché come bruciano a te, bruciano anche agli altri. Tante volte si molla venti metri prima degli altri. Solo che a quel punto hai perso il treno. E lui mi è sembrato aver capito.

Riporti mai qualche aneddoto?

Sì, proprio su questo discorso gli dissi come in un Giro del Lazio mi stavo quasi per ritirare, volevo mollare dopo una salita. In fondo alla discesa, complice anche un rallentamento, sono rientrato. E così prima dell’Appia, su quel bel ciottolato mi sono detto: visto che non vado, anticipo. Cavolo, volavo! Finii secondo. In generale cerco di raccontargli più delle mie esperienze da diesse, dei tanti momenti con Visconti, che quelle da corridore.

Però dai, parli con passione. Alla fine il ciclismo, il nocciolo, è sempre quello…

Guardate, ho vinto con radioline e senza radioline, con il tablet in ammiraglia e senza… non sono contro la tecnologia, ma alla fine il ciclismo è sempre quello – ammonisce Scinto – E quando mi dicono che sono vecchio, che il ciclismo è cambiato, rispondo che il ciclismo di una volta è più bello di quello attuale. I fondamentali sono cambiano. Non esiste che si facciano le tattiche per e-mail tre giorni prima della corsa. E succede nei pro’, credetemi. Ci sono tante cose poi che andrebbero chiarite anche tra gli juniores, come per esempio il motivo per cui da noi non si possono utilizzare i rapporti liberi, ma solo il 52×14, e al tempo stesso si mandano i ragazzi a fare la pressa in palestra. Sì, dai: mi piace questa categoria e mi piacerebbe continuare.