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Cambio della guardia al Team Ballerini: l’insolito addio di Bardelli

27.08.2022
5 min
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Il Team Franco Ballerini, squadra juniores toscana, perde un direttore sportivo e ne trova un altro. Esce Andrea Bardelli, subentra Luca Scinto (in apertura con il team al Tour du Lac Leman in Svizzera). La notizia era da un po’ nell’aria e in sé fa scalpore conoscendo la passione che Bardelli ha sempre messo nella squadra. Un po’ per il nome di Franco e un po’ per aver sempre raccontato i corridori quasi come figli suoi. Da Stoinic a Svrcek, passando per Iacchi e più di recente Michale Leonard, promettente talento canadese in orbita Ineos Grenadiers.

Marzo 2022, Michael Leonard vince la gara di apertura, dedicata a Franco Ballerini
Marzo 2022, Michael Leonard vince la gara di apertura, dedicata a Franco Ballerini

Questioni personali?

Intercettiamo Bardelli durante una pausa dal lavoro e capiamo dalle sue esitazioni che, qual che ne sia la ragione, parlarne è faticoso.

«Per me è sempre stata una passione – dice – perché il mio vero lavoro è in una ditta di servizi a Firenze. Faccio le mie otto ore, non rischio di annoiarmi. E sto pianificando il futuro, perché dal ciclismo non esco di certo. Di solito le squadre del Sud cercano appoggio al Nord, stavolta potrebbe essere il contrario. Posso dire che ultimamente ho avuto un periodo difficile per un problema di salute di mio padre. Perciò ho preferito fare un passo indietro. Figurarsi, finiscono i matrimoni, poteva finire anche questo. Però mi è costato…».

Il passo indietro di Bardelli è avvenuto circa due mesi fa, in occasione della caduta di suo padre (foto Luccarini)
Il passo indietro di Bardelli è avvenuto circa due mesi fa, in occasione della caduta di suo padre (foto Luccarini)

Un nuovo progetto

Bardelli è stato a lungo uno dei nostri interlocutori nel mondo complesso degli juniores e non è un mistero che abbia in giro un ottimo credito. Ricordiamo il messaggio con cui proprio Leonard, colpito dal modo di lavorare del Team Ballerini, gli chiedeva di correre con lui in Toscana. Per cui, pur rispettando la sua voglia di non uscire dai limiti, qualche domanda abbiamo provato a fargliela. Nell’ambiente si dice che starebbe lavorando a un accordo con la CPS Professional, la squadra campana di Clemente Cavaliere, che ha già collaborato con la Hopplà-Petroli Firenze, in cui coinvolgere il gruppo ligure già in orbita al Team Ballerini. Ripiego o progetto precedente?

Il Team Ballerini alla Eroica Juniores, vinta nel 2021 con Svrcek e fatale a Leonard: caduto e fratturato
Il Team Ballerini alla Eroica Juniores, vinta nel 2021 con Svrcek e fatale a Leonard: caduto e fratturato
Che cosa è successo?

Non ero tranquillo. A un certo punto è entrato Luca (Scinto, ndr) e non si può dire che mi disturbasse. Però ho capito che sarebbe stato difficile convivere. E’ una squadra con cui avevo preso l’abitudine di andare all’estero, provando a farci vedere. E sono orgoglioso alla fine di aver portato Svreck alla Quick Step e Leonard alla Ineos. Alla base di tutto c’è aiutare questi ragazzi a trovare un posto, ma è chiaro che per farlo servono soldi.

Perché mollare?

Un po’ per il discorso di mio padre, che adesso per fortuna ne sta uscendo. Un po’ perché non mi sentivo più nel progetto. Non ho abbandonato i ragazzi. Ho sempre avuto carta bianca e nessuno si è mai lamentato. Abbiamo tirato fuori dei bei corridori e devo dire grazie a Citracca per l’attività che mi ha permesso di fare. Incluso la squadra di allievi. Servono soldi, siamo d’accordo, ma anche passione.

Si dice che per il prossimo anno, Bardelli starebbe lavorando a un nuovo progetto juniores fra Liguria e Campania
Si dice che per il prossimo anno, Bardelli starebbe lavorando a un nuovo progetto juniores fra Liguria e Campania
Va bene, ma perché mollare?

Sono andato un po’ fuori dal seminato, per due mesi non sono stato tranquillo e ho deciso di staccare, per quello che rappresenta la maglia con quel nome sopra. Non volevo tornare indietro e non parlo di vittorie, ma di immagine di una squadra in cui i corridori chiamavano per venire.

E’ vero che fra i problemi ci sarebbe stato proprio il passaggio di Leonard alla Ineos?

Michael è venuto qui scrivendomi un messaggio, senza procuratore né altro. Quando lo feci testare da Pino Toni, che ci ha sempre aiutato, vennero fuori dei numeri clamorosi. La notizia si è sparsa e si sono avvicinati dei manager, fra cui Piscina che collabora con Acquadro. Ma se anche ci fossero stati altri agenti interessati, l’obiettivo non è fare l’interesse del ragazzo?

Scinto con Sivok e Leonard, al Tour du Lac Leman dove nacque il contatto fra il canadese e il team
Scinto con Sivok e Leonard, al Tour du Lac Leman dove nacque il contatto fra il canadese e il team
C’era il progetto di portarlo alla Corratec?

Quello che so è che a un certo punto è intervenuta la sua famiglia e hanno deciso. Lui addirittura avrebbe voluto fare un anno da U23, ma gli hanno assicurato che lo inseriranno gradualmente, con 20 corse e un programma adeguato.

Capito il discorso, ma qualcosa non torna.

Non è il momento per dire altro, va bene così. Non voglio creare problemi. Il nome Ballerini significa troppo per me, ricordando Franco e la Sabrina che c’è dietro alla squadra. E comunque li ho lasciati in buone mani. Lo Scinto è stato professionista e sa fare il direttore sportivo. E’ un diesse esperto, questo lo sappiamo tutti.

Dalla batosta di Treviso, la lezione di Mosca ai giovani (e a certi team)

27.05.2022
6 min
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Una disattenzione sul Muro di Ca’ del Poggio poteva costare a “Juanpe” Lopez la maglia bianca e tutto il lavoro fatto finora per mantenere la top 10 nella generale. Sommando le osservazioni raccolte ieri dopo la tappa di Treviso, sul più fiammingo dei muri veneti le squadre dei velocisti hanno capito che la fuga stava diventando imprendibile e hanno accelerato in modo selvaggio. Il gruppo si è spezzato e nelle retrovie è rimasto il ragazzino della maglia rosa sull’Etna e delle 9 tappe successive. Una bella lezione, di quelle che ti svegliano: difficilmente Lopez si farà più sorprendere in coda al gruppo.

«Quando ti scontri con una situazione del genere – dice Jacopo Mosca, che ieri ha tirato come tutta la squadra – alla fine hai poco tempo per parlare in corsa. Lavori finché ne hai e noi alla fine siamo scoppiati. Sali sul pullman e potresti cadere nell’errore di dire parole di troppo, ieri non tutti erano contenti. Oppure fai un’analisi, valuti come è andata. Dipende da chi hai di fronte. La parola di un altro corridore quando sei a blocco può essere accettata male. Anche quella di un diesse. Ma se lo stesso concetto te lo spiega un compagno a freddo e in modo lucido, vale di più».

Dalla lezione di ieri a Treviso, Lopez ha imparato più che da mille parole
Dalla lezione di ieri a Treviso, Lopez ha imparato più che da mille parole

Su giovani e squadre

I giovani vanno aspettati. L’esperienza degli ultimi anni dice che il vincitore della maglia rosa s’è portato a casa anche la bianca. Ma non tutti sono fatti allo stesso modo. E non tutte le squadre, malgrado le belle interviste rilasciate nei giorni del Giro, hanno a cuore il discorso. Mosca ad esempio fu lasciato a piedi allo scadere del secondo anno.

«Quando sono passato – ricorda – ero nella squadra di Pozzato agli ultimi anni di carriera. Nel suo modo di parlare e di porsi, ha sempre detto cose giuste al 95 per cento. Sono passato nella fase del cambiamento, all’alba di questo new cycling in cui si va sempre a tutta. Ricordo che il primo anno ruppi il gomito. Feci un po’ di gare a inizio anno e lo chiusi in Cina. L’anno dopo al ritorno dall’ennesima trasferta in Cina, dove avevo anche vinto una tappa, chiesi di andare al Tour of Hainan, che avevo vinto l’anno prima. Sarei partito col numero uno sulla schiena, solo alla fine li convinsi e mi mandarono.

«Correvo al minimo e all’ennesima richiesta sul contratto, Citracca mi disse che non ero abbastanza forte per essere un corridore. Mi disse che la maglia della classifica a punti della Tirreno potevano vincerla tutti: bastava andare in fuga. Sentendo da chi arrivavano certe parole, preferii lasciar correre. Ma capii che sarei rimasto a piedi, non fu facile».

Fu Ivan De Paolis ad accogliere Mosca quando fu scaricato da Scinto e Citracca
Fu Ivan De Paolis ad accogliere Mosca quando fu scaricato da Scinto e Citracca
Non sempre i giovani vengono aspettati. Di cosa ha bisogno oggi un neopro’?

Dipende da chi hai di fronte. Se il giovane sa imparare dagli altri, non ha bisogno di niente. Ruba il mestiere e va avanti. Se si perde e ha bisogno di essere inquadrato, deve essere disposto ad accettarlo. Non so se ci sia ancora tempo. Io passai a 25 anni e oggi sarei vecchietto, ma cerco ancora di imparare da Cataldo. Dario ha 10 anni più di me, è stato gregario con i più grandi campioni, ha tanto da dare.

I ragazzi vanno aspettati.

Se prendi un ragazzo consapevole di dover faticare per dimostrare quanto vale, allora ha bisogno di tempo. Tanti miei coetanei sono passati con la voglia di farsi vedere. Alcuni hanno smesso, altri sono in squadre professional, ma con un po’ di fortuna in più sarebbero potuti arrivare in una WorldTour come me. Perché ne hanno il livello. Se guardi ai numeri, passano spesso corridori che non meritano ed è chiaro che se non vai, ti lasciano al vento. Ma la colpa non è del ragazzo…

Mosca è approdato alla Trek-Segafredo nel 2019 ed è uno dei gregari più apprezzati
Mosca è approdato alla Trek-Segafredo nel 2019 ed è uno dei gregari più apprezzati
Di chi allora?

Di chi lo fa passare, che sia il procuratore o il dirigente sportivo. E’ facile approfittarsi delle voglia di un ragazzo che non vede altro, ma devi essere onesto e capire se davanti hai un corridore vero oppure uno sperso. E io secondo Citracca non ero abbastanza forte per essere un corridore (fa una pausa, lo sguardo si perde chissà dove, ndr).

Ne avete più parlato?

Nel 2020 eravamo alla partenza della tappa dello Stelvio, decisiva per il Giro. Stavamo facendo una bella corsa ed eravamo tutti motivati. Scinto era vicino al pullman parlando con Guercilena e quando mi vide passare, disse che aveva sempre saputo che fossi un buon corridore e che dovevo soltanto dimagrire. Ricordo che Luca lo guardò: «Ma tu – gli disse – zitto non stai mai?».

Cataldo e Mollema anche ieri verso Treviso hanno svolto un lavoro preziosissimo per difendere Lopez
Cataldo e Mollema anche ieri verso Treviso hanno svolto un lavoro preziosissimo per difendere Lopez
Nessuno parla. Corridori vengono e altri smettono…

Se uno fa il suo, sta zitto e le polemiche non servono. Se rispondi, ti segnano e hai finito di correre.

Ma allora perché passare a tutti i costi in squadre così?

Per me non ha senso dire a un ragazzo di fare un anno in più nei dilettanti. Se sei uno che vince e può scegliere, oppure sei consapevole del ruolo che avrai e ti sta bene tutto, vai e dimostra il tuo valore. Ma si deve distinguere fra chi merita e chi no. Perché al contrario ci sono stati miei amici che meritavano e hanno smesso senza avere la possibilità. Parlo di Alberto Amici, ma soprattutto di Alfio Locatelli.

Alfio Locatelli classe 1990 non è riuscito a passare malgrado grandi risultati, in quanto elite (foto Scanferla)
Alfio Locatelli classe 1990 non è riuscito a passare malgrado grandi risultati, in quanto elite (foto Scanferla)
Bel corridore…

Vinse il Trofeo Balestra battagliando in salita con Moscon e Ciccone. Non lo fecero passare perché era elite. Per lui mi sbilancio, metterei la mano sul fuoco per ogni aspetto. Invece tutto intorno passavano ragazzini che non sapevi chi fossero.

Come fai a metterti in luce se in certe corse il gap fra WorldTour e altri è abissale?

Sta all’intelligenza del ragazzo. Se passi e pensi di poter competere, sei fuori strada. Se poi sei in una piccola squadra, inutile pensare di fare i finali. Ti fai vedere, vai in fuga, che parlino di te. Così il giorno in cui verrà un risultato, sarai quello che da giovane andava in fuga e si faceva notare. Non si deve dare la colpa ai corridori e nemmeno scusarli troppo se non si danno da fare. Correre fuori dal WorldTour è difficile, ma devi andare sempre a testa alta.

La Trek-Segafredo all’arrivo di Treviso, dopo aver tirato allo stremo delle forze
La Trek-Segafredo all’arrivo di Treviso, dopo aver tirato allo stremo delle forze
Mosca neopro’?

Non avevo risultati clamorosi, il mio modo di correre era lo stesso di oggi quando ho le gambe. Se stai lì e aspetti il finale, non vai da nessuna parte. Adesso è ancora peggio, bisogna capire alla svelta il proprio ruolo. A un ragazzo come Guarnieri bisognerebbe fare un monumento: non ne sbaglia una. Si parla tanto di Morkov, ma lui non è da meno. Non si deve aver paura di svolgere il proprio ruolo e lavorare per gli altri appaga. Lo dico io, ma guardate Puccio e lo stesso Cataldo.

Perché non hai smesso?

Sapevo di non essere un campione, ma potevo ricavarmi uno spazio. Sapevo di valere più di quello che pensavano. E appena ho trovato una vera squadra, sono arrivato al posto giusto.

Quei due anni di Martinez a San Baronto. Scinto racconta

30.04.2022
6 min
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Quel pugno stretto alla volta di Bernal sulla salita verso Sega di Ala. La vittoria al Delfinato 2020 e poi la tappa a Pas de Peyrol nel Tour dello stesso anno. I Paesi Baschi poche settimane fa. Quando pensiamo a Dani Martinez, che dallo scorso anno è passato dalla EF Pro Cycling alla Ineos Grenadiers, abbiamo davanti agli occhi l’armatura inscalfibile che solitamente si associa ai corridori del team britannico. Eppure c’è stato un periodo in cui il colombiano è stato un ragazzino da scoprire, arrivato in Italia senza sapere che cosa sarebbe diventato da grande.

Base a San Baronto

Il suo procuratore Acquadro infatti lo consegnò fra le mani di Luca Scinto, in quella fucina di ottimi corridori che è stato a lungo San Baronto. Arrivò in un giorno di gennaio del 2015, con la valigia e un mondo tutto nuovo da scoprire.

«Ci proposero lui e altri ragazzini – ricorda il tecnico toscano – Amezqueta, Rodriguez e l’anno dopo anche Florez. Di Martinez parlavano già tutti un gran bene. Aveva il contratto con il Team Colombia di Claudio Corti, che però chiuse. Quando andai a prenderlo all’aeroporto, mi trovai davanti un bambino di 19 anni, con l’apparecchio ai denti. Lo sistemammo nell’hotel di San Baronto, con cui avevamo fatto una convenzione, e lo affidammo per la preparazione a Michele Bartoli. Fu lui dopo i primi test a confermare che fosse fortissimo. Che aveva da crescere, ma non aveva numeri tanto comuni…».

E’ stato Bartoli a capire subito dai test che Martinez avesse numeri non comuni (foto Instagram)
E’ stato Bartoli a capire subito dai test che Martinez avesse numeri non comuni (foto Instagram)
Vi fu dato perché lo faceste maturare?

Si fece un programma di crescita graduale. Però lo portai in entrambi gli anni al Giro d’Italia. Era giovane, ma qualche sprazzo lo fece vedere nelle crono. Tirò quasi tutto lui nella cronosquadre della Coppi e Bartali che chiudemmo al quarto posto. Stessa cosa al Giro del Trentino, ottavi. In salita invece stava nei gruppetti, ma ci stava perché era tanto giovane. Nel 2016 arrivò fino a Milano, il secondo anno lo fermammo dopo la tappa di Bormio vinta da Nibali, quella di Dumoulin con il mal di pancia, in cui lui arrivò a 23 minuti. Il dottore voleva farlo fermare sullo Stelvio. Era andato in crisi, ebbe un calo di zuccheri. Però fu cocciuto e arrivò al traguardo. A fine stagione avemmo la conferma che avesse davvero qualcosa di più…

Vale a dire?

Arrivò nei primi dieci alla Tre Valli Varesine e alla Milano-Torino. Quarto nella generale, con un terzo di tappa al Giro di Turchia. Con noi c’era il contratto in scadenza, arrivò la EF e se lo portò via. Non potevamo trattenerlo. Se fossimo stati cinici, lo avremmo fatto firmare al Giro, ma sarebbe stato ingiusto trattenerlo contro voglia e davanti a una WorldTour.

Al primo anno con la squadra di Scinto, Martinez dimostra subito di andare forte nelle crono
Al primo anno con la squadra di Scinto, Martinez dimostra subito di andare forte nelle crono
Pensi che quei due anni gli siano serviti?

Fu tutelato, come è giusto che sia per un ragazzino di 19 anni. Dopo il Giro lo scorso anno venne a San Baronto (foto di apertura, con Scinto e il diesse Tomas Gil, ndr) e mi disse che un po’ di scuola di Scinto servirebbe a tanti giovani. Lui si è costruito da solo, gli dicevo di essere partecipe della propria crescita e lo è sempre stato. Gli stranieri non sono mammoni come gli italiani, noi abbiamo proprio un’altra struttura mentale. Questo partì a 19 anni dalla Colombia per venire in Italia, si capisce che la voglia di sfondare fosse tanta.

Dicevi che con lui arrivarono Amezqueta e Rodriguez…

Gli altri non erano al suo livello, ma anche con loro avemmo pazienza e alla fine sono venuti fuori dei corridori dignitosi (Amezqueta corre dal 2018 alla Caja Rural, Cristian Rodriguez è al secondo anno con la TotalEnergies, mentre Florez è al secondo anno con la Arkea-Samsic, ndr). Buoni corridori, non fenomeni, che sono cosa rara ma ci sono sempre stati. Come Saronni che vinse il Giro a 21 anni. Tutti vogliono diventare corridori subito e l’ambiente li spinge ad aver fretta.

Perché dici questo?

Perché un giovane non capisce ed è normale che voglia bruciare le tappe. E se alle corse di allievi e juniores, vedi quasi più procuratori che genitori, il ragazzino magari potrebbe pensare di essere un fenomeno.

Il primo Martinez non era tirato come adesso, la crescita ha fatto la sua parte…

Non era grosso, ma ha avuto seri problemi di allergia. Tanto che, prima con il dottor Gianmattei e poi tramite Bartoli, andammo per risolverla e per fortuna se ne venne a capo. Sapevamo che fosse un corridore vero e per quello facemmo il possibile per aiutarlo. I test continuavano a dire questo e a crono ha sempre avuto dei numeri incredibili. Se quest’anno avessero deciso di portarlo al Giro, parlo da tecnico e da tifoso, al 90 per cento sarebbe salito sul podio. Al Tour sarà diverso, troverà avversari di un livello superiore.

Nel 2018 arriva la EF Pro Cycling e lo porta via. Qui in Colombia con Bernal e Geoghegan Hart
Nel 2018 arriva la EF Pro Cycling e lo porta via. Qui in Colombia con Bernal e Geoghegan Hart
Cosa si prova a vederlo così forte?

Ho sempre detto che fosse un talento e sarebbe diventato un corridore. Qualcuno rideva. Ricordo di aver fatto questo discorso con Pancani. Quando fai una squadra con dei corridori giovani, devi avere pazienza. Poi arriva la WorldTour e te li porta via: è la legge del gruppo. Potresti farli firmare per cinque anni, ma non sarebbe giusto. Sarebbe da prevedere un riconoscimento, questo sì. L’ho tenuto qua, ho pagato vitto e alloggio, aveva lo stipendio un po’ sopra al minimo, gli ho insegnato un mestiere. L’UCI potrebbe prevedere qualcosa…

Con questo Scinto è sempre un piacere ragionare, ritrovando in lui il lampo dei primi tempi. Il professionismo lo ha messo da parte e lui ha scelto di ripartire dagli juniores. Eppure nel vivaio di una squadra importante, la sua passione e la capacità di coinvolgere i ragazzi sarebbero ancora un prezioso valore aggiunto. Quegli anni magici di San Baronto – tra Visconti, Gatto e Giordani – non si dimenticano. Su tutto il resto, probabilmente s’è avuta troppa fretta di appendere responsabilità.

Dal mondo dei pro’ a quello degli juniores: in viaggio con Scinto

15.04.2022
7 min
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Dai professionisti, agli juniores. E’ la storia di Luca Scinto che dopo un anno di stop è risalito in ammiraglia, quella del Team Franco Ballerini. L’ex corridore toscano è stato tra i fondatori di questa società, tuttavia ci tiene subito a chiarire che a tenere le redini della squadra non è lui, ma Andrea Bardelli. «E’ lui che conosce i corridori e la categoria», dice.

Il discorso però non verte sul team, ma sulla categoria. Scinto può essere un bel paragone tra questi due mondi, appunto quello dei pro’ e quello degli juniores, che tra l’altro sono sempre più vicini.

Scinto ha smesso di correre nel 2002, è salito in ammiraglia nel 2003 tra gli U23. Dopo qualche stagione è passato ai pro’. Qui con Visconti
Scinto ha smesso di correre nel 2002, è salito in ammiraglia nel 2003 tra gli U23. Dopo qualche stagione è passato ai pro’. Qui con Visconti
Luca, appunto, juniores categoria importante e delicata. Partiamo dall’inizio: quanto è diversa rispetto ai tuoi tempi?

Quanto è diversa? E’ cambiata come da zero a cento. E’ un altro ciclismo. Quando ero io tra gli juniores iniziavano ad arrivare i primi cardio, ma non sapevamo praticamente nulla di battiti cardiaci. E infatti non lo guardavamo. Eravamo “grassi”, muscolati come bambini normali. Iniziavamo ad andare in bici dopo la Befana. Ma che dico, a fine gennaio. Semmai prima si andava un po’ a correre a piedi.

E oggi?

Oggi sono dei pro’ e infatti a 20 anni raggiungono il top, mentre prima la maturazione era molto più lenta e s’iniziava ad andare forte a 24-25 anni. Prima era davvero una categoria giovanile. Bartoli ed io il sabato andavamo a giocare a pallone e la domenica andavamo a correre. Io giocavo nell’Altopascio, okay facevo il portiere, ma per dire che approccio ci poteva essere. Proprio io e Michele, credo siamo stati i primi ad utilizzare la Mtb d’inverno, a fare il ciclocross, ma già eravamo più grandicelli. E ancora l’impostazione in bici. Prima ti prendevano la misura del cavallo e via in sella. Adesso i ragazzi passano per più di una visita biomeccanica.

Cosa ti piace di questo mondo così diverso però?

Sto imparando a conoscerlo. Prima andavo solo a vedere qualche corsa ogni tanto, ora ci sono più dentro e mi diverto. Devo imparare ad entrare nella mente di questi ragazzi di nuova generazione. Però la cosa che più mi piace è come ti guardano quando gli parli. Ancora ti ascoltano. Ti stanno a sentire. Ed è bello, fa piacere.

La categoria juniores segna non solo il passaggio verso il mondo dei pro’, ma anche dall’infanzia all’adolescenza più matura
La categoria juniores segna non solo il passaggio verso il mondo dei pro’, ma anche dall’infanzia all’adolescenza più matura
Beh, fino a pochi mesi fa trattavi con i pro’: il metro di paragone è ancora fresco…

So che vanno a documentarsi su internet. Chi era Scinto, cosa ha fatto da corridore, diesse, con chi gareggiava… Più che altro devi stare attento ai genitori, tra mamme troppo premurose e alcuni papà che pensano che il loro figlio sia un campione. Ma questo è un discorso generale, non della mia squadra. La cosa invece che mi piace è che, almeno guardando i miei, ho trovato ragazzi di personalità. E anche che c’è una netta differenza fra stranieri e italiani.

In che senso?

I nostri ragazzi, stando a casa, sono più viziati, meno autosufficienti. Mentre vedo il canadese, Leonard, che a 17 anni vive da solo, lava, si fa da mangiare… E mi chiedo: uno dei nostri sarebbe in grado di vivere da solo non dico in Canada, che è dall’altra parte del mondo, ma in Belgio? Ci riuscirebbero i suoi genitori? 

E invece una cosa che ti piace meno?

Che rispetto ai miei tempi non so se questi ragazzi arriveranno a 35-37 anni. Di fatto si salta il dilettantismo. Anche le squadre dei pro’ vogliono tutto e subito e questo credo che alla lunga ammazzerà il mondo under 23 e continental. Magari per alcuni va bene, ma per altri ragazzi che hanno bisogno di più tempo per maturare no. Uno Scinto corridore non ci sarebbe, o ancora di più un Ballan. Non credo che vedremo più un Nibali che a 37 anni lotta per entrare nei cinque al Giro d’Italia.

I ragazzi della Franco Ballerini: impegno ed educazione i valori che cerca di passare Scinto
I ragazzi della Franco Ballerini: impegno ed educazione i valori che cerca di passare Scinto
E invece quando si va alle corse: cosa è cambiato?

Alla fine questa parte è quella che resta più semplice. Oggi la tecnologia aiuta e con una chat di squadra è più facile comunicare, purché non se ne abusi. Io faccio riferimento agli orari per partire, agli appuntamenti, alle soste in autogrill… Per il resto anche la riunione dei diesse è sempre quella. L’altro giorno ero ad una corsa il cui finale era in sterrato e stretto. Le macchine non potevano starci. Nessuno ha parlato e io ho chiesto al giudice se potevamo andare avanti e metterci ad assistere i corridori da terra. Chiaramente se tutti fossero stati d’accordo. Da che non parlava nessuno, mi sono venuti tutti a ruota. Ma io sono così. Anche con Rcs al Giro se dovevo parlare, parlavo. Semmai vorrei che ci fosse più preparazione nei giudici regionali. 

Cioè?

Noto che spesso sono impreparati e con poca esperienza. Il giudice non deve solo punire, ma deve essere anche una figura di dialogo. In una gara hanno squalificato un mio corridore per un rifornimento a 5 chilometri dal traguardo. Okay, non si fa, ma fammi un’ammenda, perché squalificare il ragazzo? Mi ricordo per esempio della Francesca Mannori. Lei si vedeva che era brava, che aveva personalità. E infatti adesso è al Tour de France. Come i corridori, anche i giudici bravi si vedono subito.

Lo Scinto diesse cosa diceva ad un pro’ prima di una gara e cosa dice ad uno juniores?

Partiamo dal fatto che per i primi è un lavoro. Quindi che devono dare il massimo per fare bene. Agli junior dico di mettercela tutta, ma anche di stare attenti, di comportarsi bene in gruppo, di non fare scenate dopo l’arrivo. Anche in virtù della maglia che portiamo in giro. Per noi il nome Franco Ballerini è orgoglio e soddisfazione. Oppure che non devono innervosirsi se c’è un guasto meccanico o di non abbattersi se una corsa va male. Questa categoria è davvero particolare. E’ un insegnamento di vita. E’ quella in cui capisci se del ciclismo puoi farne il tuo lavoro oppure no.

Andrea Garosio
Il diesse toscano mentre seguiva un suo atleta pro’ dall’ammiraglia durante una crono
Andrea Garosio
Il diesse toscano mentre seguiva un suo atleta pro’ dall’ammiraglia durante una crono
E invece i ragazzi cosa ti chiedono?

Più che chiedere si parla e si affrontano le situazioni. C’era un ragazzo che veniva dalla frattura del polso. Diceva che sentiva dolore e così gli ho fatto una fasciatura, un taping. Era poca cosa, però è servito a renderlo più tranquillo. Oppure un altro mi ha detto: quando arrivo in fondo alla discesa e poi c’è lo strappo le gambe mi fanno male, non girano. Allora gli ho chiesto: e ti bruciano anche? E lui: sì, sì… Ecco, ho ribattuto, è li che devi insistere, perché come bruciano a te, bruciano anche agli altri. Tante volte si molla venti metri prima degli altri. Solo che a quel punto hai perso il treno. E lui mi è sembrato aver capito.

Riporti mai qualche aneddoto?

Sì, proprio su questo discorso gli dissi come in un Giro del Lazio mi stavo quasi per ritirare, volevo mollare dopo una salita. In fondo alla discesa, complice anche un rallentamento, sono rientrato. E così prima dell’Appia, su quel bel ciottolato mi sono detto: visto che non vado, anticipo. Cavolo, volavo! Finii secondo. In generale cerco di raccontargli più delle mie esperienze da diesse, dei tanti momenti con Visconti, che quelle da corridore.

Però dai, parli con passione. Alla fine il ciclismo, il nocciolo, è sempre quello…

Guardate, ho vinto con radioline e senza radioline, con il tablet in ammiraglia e senza… non sono contro la tecnologia, ma alla fine il ciclismo è sempre quello – ammonisce Scinto – E quando mi dicono che sono vecchio, che il ciclismo è cambiato, rispondo che il ciclismo di una volta è più bello di quello attuale. I fondamentali sono cambiano. Non esiste che si facciano le tattiche per e-mail tre giorni prima della corsa. E succede nei pro’, credetemi. Ci sono tante cose poi che andrebbero chiarite anche tra gli juniores, come per esempio il motivo per cui da noi non si possono utilizzare i rapporti liberi, ma solo il 52×14, e al tempo stesso si mandano i ragazzi a fare la pressa in palestra. Sì, dai: mi piace questa categoria e mi piacerebbe continuare. 

Quanti anni insieme. Stavolta è Scinto che racconta di Visconti

26.03.2022
7 min
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Qualche screzio non può rovinare una rapporto di una vita. I battibecchi se vogliamo ci sono sempre stati tra Luca Scinto e Giovanni Visconti. Ma sono stati ben più i momenti di gioia, di crescita, di abbracci e di successi.

Qualche giorno fa, il nostro direttore Enzo Vicennati vi ha raccontato di Visconti con Giovanni stesso, stavolta vi racconto del siciliano tramite i ricordi di Scinto. Eravamo alla Ballero nel Cuore, a casa loro in pratica, e ce li siamo divisi. Uno a te, uno a me.

Seduti su una panchina al sole di primavera Scinto racconta…

Luca Scinto in ammiraglia: il tecnico toscano ha seguito Visconti da U23 e due volte da pro’ (2009-2011 e 2019-2020)
Luca Scinto in ammiraglia: il tecnico toscano ha seguito Visconti da U23 e due volte da pro’ (2009-2011 e 2019-2020)
Luca, i ricordi sarebbero tantissimi e allora seguiamo la storia: qual è il primo che hai di Visconti?

La prima volta che l’ho visto in allenamento. Io ancora correvo. Mi stavo allenando per il mondiale. Era settembre, forse fine agosto. L’ho visto e lui è tornato indietro. Gli faccio: chi sei tu? Io sono Visconti. Sai che il prossimo anno vengo a correre nella squadra in cui tu fai il direttore sportivo?

Fu bello diretto!

Io non ero sicuro ancora di farlo. Però mi sembrò bravo. Gli dissi: dai, accompagnami a Montecatini. Praticamente mi accompagnò a casa. Io andavo da mia mamma a Galleno, che distava una cinquantina di chilometri dal punto in cui eravamo. Pedalavamo, ad un certo punto gli chiesi: ma tu dove abiti? A Vaiano, mi rispose. Come a Vaiano, esclamai io. E quanti chilometri fai? Lui era uno juniores. Credo che quel giorno finisse intorno a 170 chilometri per venire con me. Pensai: questo è suonato come le campane! Quando smisi di correre me lo trovai effettivamente in squadra (la Finauto, team U23, ndr) e capii subito che era uno buono per davvero.

Come?

Una volta, a gennaio, facemmo il Serra. Chiamai Citracca. Gli dissi: gli altri non sono super, ma questo Visconti è un bel corridore. Ha fatto un tempo sul Serra che non lo facevo neanche quando ero professionista. Da lì cominciò l’avventura coi dilettanti. Riuscimmo a vincere. E anche grazie alle sue vittorie, mi feci conoscere come direttore sportivo. Non lo posso negare. Poi ci sono stati parecchi alti e bassi con lui, come sapete. Però credo di aver fatto del bene e mai del male. Giovanni sapeva che gli potevo dare tanto e sapeva che ciò che gli dicevo nell’ambito ciclistico era valido. A prescindere poi dalle discussioni che abbiamo avuto…

Siete anche caratteri simili per certi aspetti. Due caratteri forti…

Più carismatici direi. Io non rinnego le mie decisioni. Gli devo anche tanto: ragazzo serio, professionale, grintoso, che non mollava mai….

Lo spirito del “Marines” è venuto fuori con te…

Il “Marines” lo tirai fuori io quando vinse il primo italiano da professionista. Lo allenavo io, lo seguivo io e mi ricordo che quattro, cinque giorni prima si fece un allenamento dietro macchina. Facemmo il giro dei Bagni di Lucca. E gli dissi: se non arrivi nei primi 3-4 al campionato italiano, io di ciclismo non ci capisco niente. Stava andando veramente forte. E infatti vinse.

Visconti conquista a Conegliano il secondo dei suoi tre titoli nazionali. Eccolo col tricolore consegnatogli poco prima da Scinto
Visconti conquista a Conegliano il secondo dei suoi tre titoli nazionali. Eccolo col tricolore consegnatogli poco prima da Scinto
Qualche rammarico?

Che poteva aver vinto tanto di più. Ha vinto tanto, ma gli manca una classica. E non capisco come mai non sia riuscito ad imporsi in una Sanremo o un’Amstel Però ha fatto 20 anni ad alti livelli.

E invece qual è il ricordo più importante?

La vittoria del secondo campionato italiano, quando gli ho dato la bandiera tricolore. Credo non sia mai successo che un diesse nascondesse la bandiera tricolore. L’avevo messa sotto al sedile dell’ammiraglia. E all’ultimo chilometro gliela consegnai. Non lo sapeva neanche lui. Ecco, Giovanni che arriva con questa bandiera in mano che sventola è un’immagine unica. E per poco mi dimenticavo di dargliela! Quel giorno presi anche 1.000 euro di multa.

Come mai?

Perché non dovevo passare il gruppetto che lo inseguiva per andare su di lui. Eravamo ai 15 chilometri all’arrivo. Multa o espulsione dalla corsa non mi interessava. Con 40” di vantaggio, anche se non potevo, gli sono andato dietro. Quando è arrivato il presidente di corsa, mi ha guardato e si è messo le mani nei capelli. Gli ho detto: fai come ti pare, scrivi pure, ma io non mi muovo. Anzi, dissi al meccanico di slacciare il cinghietto della bicicletta di scorta che per ogni evenienza avremmo cambiato subito la bici. Mancavano ormai 14 chilometri dall’arrivo. Dissi alla giuria: se il gruppo rientra è interesse mio fermarmi. Non gli farò da punto d’appoggio. Però meglio io che il cambio ruote della corsa. 

Giovanni Visconti_Giro 2020_ Etna
Giro 2020: sull’Etna Visconti sfiora l’impresa con Scinto in ammiraglia, furioso poiché il giudice gli impedì di rifornire il suo atleta
Giovanni Visconti_Giro 2020_ Etna
Giro 2020: sull’Etna Visconti sfiora l’impresa con Scinto in ammiraglia, furioso poiché il giudice gli impedì di rifornire il suo atleta
Se tornassi indietro qual è una cosa che non rifaresti e una cosa che invece rifaresti, con Giovanni?

Sia le discussioni che gli insegnamenti, sono stati fatti in buona fede. Mi ci sono dedicato tanto, forse anche troppo. Con me si sentiva protetto, si sentiva in un’altra dimensione. E per questo è ritornato. Il fatto che oggi (domenica scorsa, ndr) è qui a dare il via alla nostra corsa, è segno che tante cose sono state dimenticate. E poi io credo che sia anche umano discutere, perché nei rapporti veri le persone che stanno tanti anni insieme si beccano. Se non c’è mai discussione c’è falsità. Quando invece c’è allora il rapporto è vero, sincero.

Invece, Luca, quando vedevi Visconti vincere con le maglie delle altre squadre cosa pensavi?

Mi ha fatto piacere. Anche perché un corridore che dalle mie mani passa ad una WorldTour e vince è segno che ho lavorato bene. Ed è una soddisfazione personale. Non c’è invidia. L’unica cosa che gli ho detto quando è tornato da me è stata: hai vinto tappe al Giro con altre squadre, adesso regala una soddisfazione anche a me! Sull’Etna non ce l’ha fatta. Quello forse è stato l’ultimo colpo. Non ce l’ha fatta, però non cambia niente.

Di aneddoti ne avrai a milioni, ma ce n’è qualcuno in particolare?

Trofeo Melinda. Litigata furibonda… in corsa. Giovanni aveva vinto la Coppa Agostoni, mi pare. Quel giorno dopo 50 chilometri si voleva ritirare, era quasi sceso di bici. Io l’ho infamato, ma di brutto… Tralasciando le parolacce, gli dissi: in bicicletta bisogna soffrire. Fai più di 100 chilometri e vedrai che ti sblocchi perché la condizione c’è. La stanchezza è solo apparente. Vedrai che ti sblocchi…

Visconti vince il Melinda 2009 (davanti a Garzelli) dopo essere stato ad un passo dal ritiro
Visconti vince il Melinda 2009 (davanti a Garzelli) dopo essere stato ad un passo dal ritiro
E lui?

Mi mandò a quel paese! Mi rispose: ti sto a sentire solo perché sei il diesse. E sapete come andò? Vinse il Trofeo Melinda battendo Garzelli. Fu una soddisfazione, per la vittoria e per il mio ruolo di diesse. Lo presi sull’orgoglio. Pensò: vado avanti per farlo contento e alla fine ha vinto!

Un aneddoto stavolta te lo lanciamo noi. Un aneddoto vissuto in prima persona da dentro il gruppo. Corsa under 23 ad Indicatore, nell’aretino, eravamo in un gruppo di una trentina di corridori. Al chilometro 100 spaccato sei piombato con l’ammiraglia. Ero a ruota di Giovanni e gli dicesti: fermo, fermo. Basta così. Quattro giorni dopo Visco vinse l’italiano…

Aveva corso parecchio in quel periodo. E lo vedevo un po’ stanco. Non che fosse finito, però sentivo che doveva recuperare. Così lo fermai. Ricordo anche che lui voleva continuare… E anche lì, la sera aveva il muso lungo. Ma poi vinse l’italiano. E fu il primo titolo della squadra e il mio da diesse. Poi vinse anche l’europeo. Dai, qualcosa gli ho insegnato! E magari è anche grazie a me se ha capito cosa significasse davvero fare il corridore.

Beh, tu ne avevi di esperienza anche come corridore…

Anche quando era diventato professionista mi sono dedicato a lui moltissimo, perché sapevo che era importante il momento del passaggio. Lui era abituato bene ed è stato nel ritiro con i dilettanti anche da pro’, si allenava con loro. Poi quando gli under finivano lo portavo a fare dietro moto. E arrivava alle corse sempre pronto. Questo per due anni. Credo siano stati i più importanti per la sua carriera da professionista. Il tutto grazie anche ad Angelo (Citracca, ndr) che mi ha dato l’opportunità di farlo stare lì.

Visconti si è ritirato, il Marine c’è ancora

22.03.2022
7 min
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A San Baronto, non per caso. E’ una mattina fresca di marzo, i dintorni sono silenziosi. Lungo la strada abbiamo incontrato ben più di un ciclista, la vallata in basso respira piano. Giovanni aspetta davanti al bar, la barba, i jeans e il giubbino nero. Sono passati venti giorni dall’annuncio del ritiro, prima non era tempo di venire. Serve tempo per chiudere la pagina, anche se la sensazione è che in cuor suo il viaggio si fosse già fermato prima. L’ultima volta si prese qui un caffè a dicembre 2020. Contratto con la Bardiani, tanta grinta e voglia di fare. Ma niente è andato come avrebbe voluto. Ora Visconti (in apertura nella foto di Alessandro Federico) ha lo sguardo sereno, il volto rilassato. Ma non è stato facile.

Appuntamento a San Baronto, nel bar di mille interviste
Appuntamento a San Baronto, nel bar di mille interviste

«La prima volta a San Baronto – pensa voltandosi indietro – fu uno di quei viaggi con mio padre e la Fiat Uno. Giravamo l’inverno per fare le gare di cross e un inverno ci fermammo nell’albergo qui accanto. Mio padre aveva portato un fornellino e mi fece la pasta. Avevo 15-16 anni e una bicicletta messa male. Ora San Baronto è la mia casa. Amo la mia terra, ma qui mi sento a casa. Non sono un siciliano di mare, dopo una settimana che sono giù mi viene la voglia di tornare. Non sono come Fiorelli, che senza il mare non ci sa stare…».

Da quanto tempo avevi capito che era finita?

Da un anno e mezzo, da quando cominciai a stare male. Al Giro del 2020 mi svegliavo e dicevo a Mirenda che avevo mal di testa. Pensavo fosse la cervicale, per cui andavo dall’osteopata. Poi scoprii di avere la tiroidite, scatenata dal Fuoco di Sant’Antonio, che è davvero una brutta bestia. La prima reazione fu una magrezza eccessiva, poi il tempo di andare alla Bardiani e mi diede l’effetto opposto. Presi peso e non riuscivo a buttarlo giù, avevo sensazioni tremende. Mi sono rasserenato quando ho capito che anche guarendo del tutto, non sarebbe cambiato niente. A 39 anni e con 17 stagioni da professionista sulle spalle, ho capito che non sarebbe bastato contro questi giovani che sgommano. Fosse stato per me, avrei smesso lo scorso luglio…

Accanto a Bettini nel Giro del 2008, quando tutto sembrava possibile
Accanto a Bettini nel Giro del 2008, quando tutto sembrava possibile
Invece decidesti di continuare.

La squadra mi è stata vicino. Reverberi mi ha invogliato a crederci e ho ripreso. Un nuovo allenatore (Alberati), il mental coach, sono anche dimagrito. Sono andato a Benidorm con Fiorelli, ero 63 chili, facevamo allenamenti bellissimi. Invece ho preso il Covid e quella è stata l’ultima batosta. A Mallorca il terzo giorno ho fatto 60 chilometri da solo fra le macchine. Sono arrivato che Valverde scendeva dal podio e neanche mi hanno classificato. A Laigueglia stessa cosa. Le ammiraglie mi passavano e io immaginavo i commenti su come mi fossi ridotto. Mi sono fermato, morivo dal freddo. Un cicloturista mi ha dato una mantellina mezza rotta e mi ha scortato all’arrivo. Volevo smettere, ma Reverberi ha insistito e sono andato alla Tirreno.

Cosa è successo?

Il secondo giorno siamo passati da Capannoli, dove avevo vinto la prima da dilettante. Poi siamo passati da Peccioli, la prima vittoria da pro’. Ho pensato che non fosse un giorno a caso, ho collegato quei due momenti. Ero staccato, ma sono stato zitto finché Roberto (Reverberi, ndr) non ha detto dove fosse il furgone del rifornimento. E a quel punto ho parlato alla radio. «Io finisco qui – ho detto – chiuso il discorso». Mi sono scusato con i ragazzi e li ho incitati a non mollare. E poi mi sono ritirato. Quando sono salito sul bus, mi sono sentito sereno. Ho scritto un messaggio a Roberto, per dirgli che sarebbero venuti a prendermi mio padre e mio figlio. Non era organizzata, la mattina era venuta a trovarmi mia moglie visto che poi la corsa passava sull’Adriatico…

Alla Per Sempre Alfredo, un premio speciale: gli appunti di Martini sul suo secondo tricolore
Alla Per Sempre Alfredo, un premio speciale: gli appunti di Martini sul suo secondo tricolore
La lettera d’addio?

Avevo già iniziato a scriverla durante il Gran Camino, poi di volta in volta l’ho corretta. Questo non lo sa nemmeno Alberati, l’avevo detto solo alla psicologa, Cristiana Conti, bravissima. Le dissi che io a certe cose non credo, invece mi ha aiutato tanto.

Cosa pensi della tua carriera?

Sono fiero. Sono stato per tutta la vita un musone anche con me stesso, anche se con gli anni sono migliorato. Sono passato con l’idea, che mi hanno inculcato, di diventare il nuovo Bettini. Non ci sono riuscito e questo mi è pesato. Negli ultimi 2-3 anni ho cominciato a vedermi in modo diverso, più aperto, purtroppo però è coinciso con il momento in cui ho iniziato a stare male. Tanti però vorrebbero aver fatto la mia carriera…

Tante dimostrazioni di affetto e stima.

Mi ha scritto Quintana. Mi ha scritto Valverde. Anche Chiappucci, invitandomi a essere fiero di quello che ho fatto, perché di solito tendo a sminuirmi. Mi ha chiamato anche Stanga. «Sono Gianluigi Stanga, posso parlare con Giovanni Visconti che ho fatto passare professionista?». Mi ha spronato a fare qualcosa…

Già, cosa farai da grande?

La mattina mi sveglio, ma non ho un’idea ben precisa. Mi piacerebbe diventare un diesse importante. Ho vissuto tre generazioni di ciclismo, vedo come si lavora oggi. E’ finito il periodo della quantità, ora si fa tanta qualità. L’esempio di Guercilena, che è passato attraverso tanti ruoli, potrebbe essere quello da seguire.

Nel 2009, Visconti ha lasciato la Quick Step per tornare da Scinto
Nel 2009, Visconti ha lasciato la Quick Step per tornare da Scinto
Ti sei mai sentito il Visconti campione che tanti si aspettavano?

Ci sono stati dei momenti. Alla Quick Step, quando a 24 anni ho vinto il primo tricolore. Oppure quando ho vinto alla Sabatini con Bettini campione del mondo che lavorava per me. Poi ho fatto un passo indietro, passando in una professional. Ho vinto ancora, ma è calata la qualità. Già allora tra WorldTour e professional c’era tanto divario, ora tocca fare a botte.

Fare a botte?

Vanno bene le differenze, ma non c’è rispetto. Quando si affiancavano a me, vedevano le strisce tricolori sulla manica e si calmavano. A Laigueglia, è venuto un francesino e pretendeva che mi spostassi, perché lui doveva stare davanti e io no. I ragazzi oggi crescono così e i loro direttori hanno fatto tutta la carriera allo stesso modo. Il gruppo non è più composto di tante maglie, ma da blocchi di squadre. Davanti le WorldTour, dietro le altre. Mi ricordo quando ero alla Movistar che un paio di volte andai davanti a urlare perché facessero partire la fuga. Si fa tanta fatica a stare dietro e ottenere risultati, non avete idea quanto.

Nibali è un buon amico, ma in passato è stato la molla per migliorare
Nibali è un buon amico, ma in passato è stato la molla per migliorare
Che cosa ha rappresentato Scinto nella tua carriera?

Una figura importante, anche se a volte ha avuto dei comportamenti per cui abbiamo litigato. Anche per il Visconti del WorldTour sarebbe servita una persona come Scinto. Avendo accanto uno con la sua passione, avrei reso di più.

E Nibali?

Lo reputo un amico. Mi ha fatto crescere, è stato un bel guanto di sfida. Siamo partiti uguali, poi lui è andato su un altro pianeta. E’ stato bello correrci insieme, credo che ora siamo ottimi amici. Nel fine settimana è stato in Toscana, dovevamo andare in bici insieme, poi è saltata.

Hai più preso la bici?

La prima volta con mio padre: 31,5 chilometri in un’ora e 20′. C’era vento, me la sono goduta. Ho voluto ringraziare mio padre. Ci eravamo allontanati. La mia carriera ormai stava calando e lui è stato male anche perché mi vedeva soffrire. Ora si è liberato anche lui.

Suo padre Antonino è stato il primo a credere nelle possibilità di Giovanni
Suo padre Antonino è stato il primo a credere nelle possibilità di Giovanni
E tu sei contento?

Vedo i bambini felici. Prima ero un vecchio corridore, ora sono un giovane uomo. Anche in casa non ero sereno, tornavo sempre in condizioni pietose e mi svegliavo con le occhiaie. Avevo addosso la rabbia, un bambino se ne accorge. Ora mi alzo alle 6,30 per portarli a scuola e non ho altri pensieri. Ho voltato pagina, ma per un po’ continuerò a pensarci. Alla gente è piaciuto come sono uscito. Volevo chiudere con l’immagine del combattente. E quanto è vero Iddio, ho combattuto con tutto me stesso, ma vanno tanto forte che non mi vedevano neanche…

Resta in silenzio. Nello sguardo passano gli anni e i tanti romanzi che ciascuno di essi potrebbe raccontare. Ordina un altro caffè. Scherza con la barista. Il corridore ha dismesso i panni da gara. Il Marines lampeggia ancora nello sguardo.

La “stagione 2.0” della Vini Zabù. Caro Scinto, a te la parola

01.07.2021
4 min
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La Vini Zabù di certo non ha passato dei momenti belli dopo il caso De Bonis e la conseguente esclusione dal Giro d’Italia. I ragazzi di Angelo Citracca e di Luca Scinto si erano anche autosospesi già prima dello stop di 30 giorni impostogli poi dall’Uci nella speranza di guadagnare tempo, come poi di fatto è avvenuto.

La loro stagione è ricominciata in Ungheria, nei giorni proprio del Giro.

Luca Scinto (53 anni) diesse della Vini Zabù
Luca Scinto (53 anni) diesse della Vini Zabù
E non è stato facile, vero Luca? Come hai fatto a tenere alto il morale dei tuoi ragazzi?

No, non è stato facile – racconta Scinto – Però bisogna pensare che siamo dei professionisti, tutti. Dai diesse ai corridori, benché molti siano dei giovani. Non fare il Giro è stato complicato dal punto di vista degli stimoli, ma poi era giusto ripartire. La motivazione c’è sempre stata nelle corse che abbiamo affrontato.

E sul fronte della preparazione come vi siete regolati?

Ognuno ha il suo preparatore. Kuba (Mareczko, ndr) per esempio si rivolge al Centro Mapei e ognuno si è regolato di conseguenza. Jakub stesso dopo l’esclusione dal Giro, di ritorno dall’Ungheria è andato in altura. Poi ai ragazzi ho dato qualche consiglio anche io: tipo attenzione al peso, occhio a come mangiate. Nei giorni dello stop ho detto loro di fare ore di sella e di lasciar perdere le tabelle. Quelle sarebbero tornati a seguirle solo dopo che avremmo avuto di nuovo un programma di gare. E poi gli ho detto di fare parecchio dietro scooter, perché è il metodo migliore per simulare una gara. Un paio di volte a settimana fare 4 ore, anche 4 ore e mezza, dietro motore.

E sì perché poi di corse ne avete fatte e ne farete parecchie…

Abbiamo corso in Ungheria, in Belgio, in Italia. Da dopodomani saremo al Sibiu Tour in Romania e poi ancora Limburgo, Tour du Limousin, altre gare tra Danimarca, Portogallo… No, no, le gare non ci mancano. E questo è importante perché diamo la possibilità a tutti i ragazzi di mettersi in mostra.

Viviani precede di un soffio Mareczko nella tappa finale dell’Adriatica Ionica Race
Viviani precede di un soffio Mareczko nella tappa finale dell’Adriatica Ionica Race
Avete fatto più richieste o comunque erano gare già in programma?

Noi facciamo richiesta a prescindere, ma essendo la Vini Zabù una professional siamo legati agli inviti. Noi abbiamo gli stessi doveri delle WorldTour ma meno diritti e programmare non è facile. Ah – sospira Scinto – come vorrei vedere un diesse di quelle squadre fare programmazione in situazioni come le nostre in cui non sai nulla.

Tra i tuoi corridori c’è qualcuno che sta bene, che ti ha colpito?

Consideriamo che siamo una squadra improntata per Mareczko, quindi molti sono legati alla preparazione delle sue volate. Detto ciò, mi piace molto Pearson. Questo ragazzo è davvero un bello scalatore, me ne parlò bene Ciano Rui della Zalf. E poi Stacchiotti ragazzi: è serio, l’uomo ideale per Kuba, al Sibiu magari avrà anche un po’ di spazio per sé stesso. Anche Stojnic è forte, lui è un giovane: è da WorldTour. Orrico anche è un giovane: è battagliero e ci mette l’anima sempre.

Hai detto Vini Zabù improntata per Mareczko: nonostante abbiate corso poco e con un programma ben diverso da quello ipotizzato ad inizio stagione lui le sue vittorie le ha fatte…

Un paio di vittorie. Dispiace per la prima tappa alla Ionica quando vinse Viviani. Jakub aveva forato e poi ha avuto un problema ai 400 metri: è dovuto ripartire da fermo. E nella tappa finale ha perso di pochissimo proprio da Viviani. Ma sono contento di lui perché è migliorato di un 30-40% in salita.

Daniel Pearson arrivato quest’anno alla corte di Scinto
Daniel Pearson arrivato quest’anno alla corte di Scinto
E gli esperti Zardini e Frapporti? Edoardo lo abbiamo visto in grande spolvero in ritiro questo inverno, ma forse dopo quella terribile caduta di qualche anno fa al Gp Lugano qualcosa è cambiato in lui. E Marco è il tuo “diesse in gruppo”…

Zardini ha un grande potenziale, ma ancora non sono riuscito a tirarlo fuori: mi ci metto anche io. Ha dei momenti in cui va molto forte e altri in cui si perde. Mi aspetto un grande settembre da lui. E Frappo è un uomo squadra. L’ho fatto stare vicino a Kuba. E’ esperto ma anche istintivo. Se ti deve dire una cosa te la dice senza tanti giri di parole. E’ venuto a correre nonostante gli stesse per nascere una figlia. Ci teneva molto. 

E poi la bella notizia di Liam Bertazzo convocato per le Olimpiadi…

Eh, speriamo che possa essere anche titolare nel quartetto. Sarebbe bello per lui e per la squadra. Un vero professionista che non mi ha dato mai problemi, anzi… semmai mi ha aiutato a risolverli. Ma in pista contano i tempi e Villa saprà scegliere il quartetto più veloce.

Si è parlato di programmazione e preparazione. Quali sono i vostri obiettivi?

Proprio perché abbiamo corso poco, o meglio perché siamo ripartiti dopo lo stop in piena primavera, vogliamo sfruttare bene queste gare estive per affinare la condizione in vista del finale di stagione e fare bene da fine agosto-settembre in poi.

Vini Zabù: a Mareczko il compito di finalizzare

02.04.2021
3 min
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Tanti cambiamenti nella squadra italiana, il team di Citracca e Scinto ha profondamente cambiato il suo roster e a ben guardare la rivoluzione è tesa a un salto di qualità. Si punta fortissimo su Jakub Mareczko, che fa un salto indietro lasciando il World Tour, ma ha in questo modo più spazio e una squadra che crede fortemente in lui come futura stella internazionale delle volate. Nella Vini Zabù oltretutto ci sono molti corridori che possono costruire lo sprint ideale per il corridore di nascita polacca, a cominciare da Liam Bertazzo e Marco Frapporti, passisti da anni nel giro della nazionale su pista.

Mareczko vince su Cavendish la prima tappa della Coppi e Bartali
Mareczko vince su Cavendish la prima tappa della Coppi e Bartali

Ci sono anche Panama e Serbia…

In casa Vini Zabù si fa molto affidamento sull’esperienza di gente come Zardini e Stacchiotti per gestire in corsa i più giovani, sapendo che alla squadra si chiede soprattutto di mettersi in mostra il più possibile in ogni occasione. Un’occhiata di riguardo la meritano due corridori provenienti da nazioni che non hanno certamente una grande tradizione ciclistica, ma il panamense Gonzalez e il serbo Stojnic hanno già dimostrato di sapersela cavare più che bene, soprattutto il secondo, i cui limiti sono tutti da scoprire.

Riccardo Stacchiotti, confermato per tirare le volate di Mareczko
Riccardo Stacchiotti, confermato per tirare le volate di Mareczko

Due tricolori in cerca di rilancio

Un cenno a parte lo merita Mattia Bevilacqua, campione italiano junior nel 2017, che dopo un primo approccio nel mondo professionistico con tanta voglia d’imparare è pronto ora a mostrare le sue qualità, anche come finalizzatore. Lo stesso dicasi per Simone Bevilacqua (non sono parenti), tricolore su strada tra gli Under 23 nel 2015, corridore con tutte le caratteristiche del finisseur.

L’ORGANICO

Nome CognomeNato aNaz.Nato ilPro’
Andrea BartolozziBorgomaneroIta03.05.19992019
Liam BertazzoEsteIta17.02.19922015
Mattia BevilacquaLivornoIta17.06.19982020
Simone BevilacquaThieneIta22.02.19972018
Matteo De BonisGaetaIta26.09.19952020
Andrea Di RenzoLancianoIta24.01.19952016
Marco FrapportiGavardoIta30.03.19852008
Roberto GonzalezPanama CityPan21.05.19942019
Kamil GradekKozieglowyPol17.09.19902013
Alessandro IacchiBorgo San LorenzoIta26.05.19992019
Jakub MareczkoJaroslaw (POL)Ita30.04.19942015
Davie OrricoComoIta17.02.19902011
Daniel PearsonCardiffGbr26.02.19942015
Jan PetelinCittà del LussemburgoLux02.07.19962016
Joab SchneiterIttigenSui06.08.19982019
Riccardo StacchiottiRecanatiIta08.11.19912014
Veljko StojnicSomborSrb04.02.19992020
Leonardo TortomasiPartinicoIta21.01.19942020
Wout Van ElzakkerHoogerheideNed14.11.19982019
Etienne Van EmpelTrichtNed14.04.19942020
Edoardo ZardiniPeschiera del GardaIta02.11.19892013

DIRIGENTI

Angelo CitraccaItaGeneral Manager
Luca ScintoItaDirettore Sportivo
Francesco FrassiItaDirettore Sportivo
Tomas Aurelio Gil MartinezEspDirettore Sportivo

DOTAZIONI TECNICHE

Per la Vini Zabù la Corratec ha messo a disposizione il modello CCT EVO, bici molto rigida soprattutto nella parte posteriore del telaio, in grado di supportare al massimo lo sprint di Mareczko e non solo. La maglia è targata BicycleLine.

CONTATTI

VINI ZABU’ – ITA

Tharcor Limited, 69 Trinity Street, Dublin 2 Dublin (IRE)

admin@tharcorltd.com – www.vinizabuprocyclingteam.com

Facebook: @ViniZabuProTeam

Twitter: @ViniZabuProTeam

Instagram: vinizabu_procyclingteam

Con Bartoli nelle Fiandre: Scinto, ti ricordi?

25.03.2021
3 min
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C’erano giorni che Scinto non vedeva l’ora di andare alle corse, perché allenarsi con Bartoli per il Fiandre era troppo pesante. Il periodo era più o meno questo, con la Sanremo alle spalle e davanti la trasferta del Nord. Erano gli anni 90, il ciclismo italiano aveva grandi squadre e grandi campioni anche per le pietre. E quando si andava al Nord con certi nomi – Bartoli e Ballerini, Tafi e Bortolami, Zanini e Baldato – si veniva guardati con rispetto.

In azione nel Fiandre vinto nel 1996, assieme a Tchmil
In azione nel Fiandre vinto nel 1996, assieme a Tchmil

«Ma Bartoli era davvero un fuoriclasse – ricorda Scinto – con un motore impressionante. Era nato per vincere e andare forte. Gli veniva tutto facile. Ha vinto tanto, ma avrebbe meritato di vincere tanto di più. Con lui ci si preparava prima per il Fiandre e poi per le Ardenne. E non so quale parte del lavoro fosse peggio, forse però quella della Liegi. Io lo dico sul serio: in corsa mi riposavo!».

Un cappuccino a Pasqua

Un anno riuscirono a passare la Pasqua a casa e gli parve strano. Il tempo era traballante, come fa a marzo quando non si decide ancora a passare dall’inverno alla primavera.

Vince al terzo Fiandre, dopo un 41° e un 7° posto
Vince al terzo Fiandre, dopo un 41° e un 7° posto

«Avevo la tavola apparecchiata – ricorda Scinto – con mia madre e altri parenti, quando intorno all’una esce uno spicchio di sole e squilla il telefono. Fu un tutt’uno. Era Michele e mi disse di andare fuori in bici. Lasciai tutti lì. Partimmo, dando appuntamento alle mogli a Forte dei Marmi per le cinque del pomeriggio. Le aspettammo prendendo un cappuccino al bar, mentre il tipo ci guardava pensando che fossimo matti. Un cappuccino alle cinque di pomeriggio del giorno di Pasqua. Poi quando arrivarono le mogli, facemmo dietro macchina fino a casa, dove arrivammo col buio dopo 190 chilometri. Si poteva pensare che fossimo matti, ma pochi giorni dopo Michele vinse la Freccia Vallone».

Gregario e amico

Partivano la mattina e andavano a cercarsi gli strappi che più somigliavano a quelli della prima corsa. Verso Lucca c’erano quei due o tre in pavé che venivano bene per il Fiandre, mentre quelli asfaltati erano più lunghi e si trovavano dovunque.

Quarto al Fiandre del 1999 vinto da Van Petegem
Quarto al Fiandre del 1999 vinto da Van Petegem

« Avere in corsa un corridore come me – racconta Scinto – per Michele era importante, perché psicologicamente gli davo lo stimolo che serviva. In una Liegi in maglia Asics, voleva fermarsi per l’allergia. Eravamo fissi in fondo al gruppo e io gli dicevo che non poteva mollare, che non eravamo al circuito di Poggio alla Cavalla. Finì che io tirai fino all’imbocco della Redoute, poi toccò a Coppolillo e Bettini e alla fine Michele andò via e vinse la Liegi. Io mi rialzai e lui alla fine fece un regalo a tutti e a me ne fece uno supplementare. Erano gesti che ripagavano di ogni sacrificio. Ma io gli stavo sempre accanto. Lo riparavo dal vento laterale, lo pungolavo, gli portavo l’acqua. Un anno al Fiandre, sul muro prima del Grammont, disse che gli era caduto l’Extran. Andai alla macchina e poi mi toccò risalire il gruppo, ma gli portai i suoi zuccheri a 35 chilometri dall’arrivo. Glieli diedi e mi staccai. Lo conoscevo, sapevo come prenderlo. Era un modo di fare ciclismo che si dovrebbe insegnare anche oggi, perché corridori che fanno il lavoro sporco ce ne sono pochi. E sono pochi anche i campioni come lui…».