Maxim Van Gils, giovane promessa del ciclismo belga, in questi giorni è stato al centro di un importante cambiamento che ha scosso il ciclismo belga e non solo.Dopo sette anni di crescita e successi con Lotto-Dstny, il fiammingo ha deciso di intraprendere una nuova sfida, firmando con la Red Bull – Bora Hansgrohe.
Una mossa un po’ improvvisa, che in Belgio hanno fortemente imputato ai procuratori di Van Gils, i Carera, che non solo riflette le ambizioni del corridore, ma anche le dinamiche complesse di un mondo che sta cambiando tanto e rapidamente. Quali sono dunque le motivazioni dietro questa scelta? Quali le implicazioni per il futuro del corridore? E quali le possibilità anche per la Red Bull-Bora-Hansgrohe? Questo innesto non è da poco e dice di una squadra che vuole ampliare i suoi orizzonti.
Maxim Van Gils (classe 1999) quest’anno ha vinto tre corse e ha chiuso al 14° posto nel ranking UCIMaxim Van Gils (classe 1999) quest’anno ha vinto tre corse e ha chiuso al 14° posto nel ranking UCI
Lotto-Dstny addio
Van Gils ha descritto il suo rapporto con Lotto-Dstny come una “seconda famiglia”, ma nonostante i legami personali, il richiamo di nuove opportunità è stato irresistibile. La decisione non è stata semplice: lasciare un team che l’ha cresciuto e valorizzato ha comportato un’intensa e lunga riflessione.
Anche se poi sono circa sei mesi che questa idea di cambiare aria gironzolava nella testa dell’atleta. Si erano fatte aventi Ineos Greandiers e Astana-Qazaqstan che offrendo più denaro lo avevano in qualche modo destabilizzato. La questione dell’importante aumento di stipendio (2 milioni l’anno a fronte dei 600.000, riporta sudinfo.be) è centrale in tutta questa storia.
Tuttavia Van Gils è un prodotto del settore giovanile della Lotto-Dstny come detto e anche l’atleta che più aveva portato (preziosi) punti UCI al team. Il cambiamento era possibile, specie in Belgio dove le regole in tal senso sono più flessibili, ma non scontato insomma. Chi lascerebbe andare via un prodotto del proprio vivaio, tra l’altro senza avere più la garanzia di un certo bagaglio di punti?
Van Gils si è mostrato competitivo sia alla Sanremo (4°) che alla Strade Bianche (3°) mostrando una grande duttilitàVan Gils si è mostrato competitivo sia alla Sanremo (4°) che alla Strade Bianche (3°) mostrando una grande duttilità
Approdo nel nuovo team
Ma chiaramente non ci si può limitare al solo peso del contratto. La Red Bull è una squadra molto ambiziosa, così come Van Gils. Ha messo il piede sul podio di due grandi Giri l’anno scorso: Martinez secondo al Giro e Roglic primo alla Vuelta. Ha un pacchetto scalatori come abbiamo visto molto forte e dei leader, su tutti Roglic, che danno garanzie nei grandi Giri. Ci sta che si voglia passare in un team così.
Ma mancava qualcosa: le classiche. La squadra di Denk vuole iniziare a costruire qualcosa d’importante anche sotto quel punto di vista. E a farlo in modo più strutturale, rispetto magari ai tempi di Sagan che era abbastanza isolato. Solo quest’anno sono arrivati Tratnik, Lazkano, Moscon, Meeus e Pithie: non sono nomi banali. Tra l’altro, togliendo l’italiano e lo sloveno, sono tutti piuttosto giovani. Questo è forse il risvolto tecnico più interessante di questa storia. E sarà curioso vedere come evolverà nel corso della stagione. Di certo, ora ad una Sanremo per esempio, anche la Red Bull-Bora Hansgrohe si schiererà con altre velleità.
Van Gils troverà una struttura di supporto di alto livello. La squadra ha investito su di lui non solo per il suo talento, ma anche per il potenziale di crescita a lungo termine.
Eccolo impegnato alla Liegi, una delle classiche che preferisceEccolo impegnato alla Liegi, una delle classiche che preferisce
Qualcosa su cui riflettere
Maxim Van Gils incarna il cambiamento e l’ambizione nel ciclismo moderno, un ciclismo che inizia a vivere il “gigantismo” come si è letto e scritto ultimamente. Il suo caso, ma se vogliamo anche quello di Pidcock, rappresenta una riflessione sul delicato equilibrio tra ambizione personale e sostenibilità del sistema sportivo. Sarà interessante vedere come Van Gils saprà sfruttare questa nuova fase per confermare il suo talento e consolidare la sua posizione.
«Sono stato orgoglioso dell’interesse mostrato dal team Red Bull-Bora-Hansgrohe sin da subito – ha detto intanto Van Gils – Fin dai primi contatti ho sentito un legame speciale con questa squadra. Mi metterò al lavoro senza indugi per raggiungere gli importanti obiettivi prefissati. Più passa il tempo e più rendo conto che sono per le corse di un giorno, piuttosto che le corse a tappe. Le classiche sono mia passione. Preferisco iniziare e gareggiare con una batteria completamente carica per una gara, piuttosto con una che è già all’80 per cento tappa dopo tappa».
L'apparizione di Piccolo a Capodarco ci permette di fare luce sul mistero di inizio stagione. Perché non correva? Lo abbiamo chiesto al manager e ad Andrea
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Si chiama “Seeking Excellence: Cycling Heritage” il documentario che Orbea e Lotto Dstny hanno presentato nei giorni scorsi con l’obiettivo di celebrare al meglio i valori e le aspirazioni comuni che uniscono l’azienda basca al team belga. Il documentario arriva al termine di una stagione davvero ottima per la Lotto Dstny, la prima corsa su biciclette Orbea. Seppur non faccia parte del WorldTour, la squadra belga ha infatti terminato l’anno al nono posto della classifica UCI per team, mettendo alle sue spalle ben dieci formazioni WorldTour.
La Lotto Dstny ha terminato la stagione al nono posto nella classifica UCI dedicata ai teamLa Lotto Dstny ha terminato la stagione al nono posto nella classifica UCI dedicata ai team
Passione per il ciclismo
Il documentario mette in relazione la ricca eredità ciclistica dei Paesi Baschi e del Belgio, due territori caratterizzati dalla comune passione per la bicicletta. Una passione che si può realmente toccare con mano ogni qualvolta si corre sulle strade di questi due territori che letteralmente vivono di pane e ciclismo.
Il documentario racconta degli oltre 40 anni di storia della Lotto nel mondo ciclismo professionistico in qualità di sponsor, un periodo davvero lungo. Contemporaneamente celebra i 200 anni di Orbea, un marchio nato come produttore di armi fino a diventare oggi una cooperativa impegnata nell’innovazione nel mondo della bicicletta e un punto di riferimento per la comunità basca. Orbea investe infatti nella manutenzione dei sentieri, collabora con organizzazioni come UNICEF e favorisce lo sviluppo del ciclismo femminile, insieme a molti altri progetti.
Il ciclismo femminile e il suo sviluppo sono un tema caro anche alla Lotto Dstny, così come la formazione di giovani talenti belgi.
Come evidenzia il comunicato stampa inviato da Orbea “Entrambe le organizzazioni concordano nel dare priorità al sostegno del potenziale umano rispetto ai benefici economici immediati”.
Sulle strade di tutto il mondo capita spesso di vedere la ikurriñas, la bandiera ufficiale dei Paesi BaschiSulle strade di tutto il mondo capita spesso di vedere la ikurriñas, la bandiera ufficiale dei Paesi Baschi
Il meglio di Orbea
Guardando “Seeking Excellence: Cycling Heritage” si possono vedere i corridori della Lotto Dstny sottolineare l’importanza di poter contare su biciclette in grado di supportarli al meglio in gara. Stiamo parlando di modelli come Orca e Orca Aero, progettati entrambi per rispondere al meglio alle esigenze delle gare più dure del circuito WorldTour.
Nel documentario viene inoltre celebrata la somiglianza tra le culture ciclistiche basche e belghe. In entrambi i territori la passione per il ciclismo coinvolge ogni aspetto della vita, sia che si tratti di competizioni internazionali che di semplici spostamenti quotidiani da effettuare naturalmente in sella ad una bicicletta.
A confermarlo è un membro dello staff Orbea nel corso del documentario: «E’ emozionante vedere le ikurriñas (la bandiera ufficiale dei Paesi Baschi, ndr) e le bandiere delle Fiandre sventolare insieme nelle gare. Ciò mostra quanto cose abbiamo in comune come comunità ciclistiche».
“Seeking Excellence: Cycling Heritage” non solo rende omaggio al passato di Orbea e della Lotto Dstny, ma guarda anche al futuro, evidenziando l’attenzione di tutte e due le realtà per l’innovazione tecnologica, l’impatto sociale e lo sviluppo del talento.
A basarsi su quanto si è visto sui social fino alla scorsa settimana, mezzo gruppo era ancora in vacanza e l’altro è andato a Singapore per il Criterium del Tour de France. A breve tutti saranno nuovamente a casa, godendosi gli ultimi scampoli di riposo e cominciando a riallacciare i fili. Ma almeno nei discorsi, il filo nessuno l’ha mai staccato. Ed è così che Arnaud De Lie in Estremo Oriente si è ritrovato a ragionare della sua stagione e su quella che verrà.
Giusto lo scorso anno di questi tempi, era il 15 novembre, suonammo al campanello della sua fattoria per conoscerlo un po’ meglio e raccogliemmo le prime sensazioni dopo il 2023 delle 10 vittorie, fra cui quella in Quebec. Tra infortuni e problemi di salute, il 2024 invece non è stato altrettanto positivo. Le soddisfazioni non sono mancate, ma ad eccezione di una tappa al Renewi, non ci sono state vittorie WorldTour. In compenso è venuta la maglia di campione belga, che da quelle parti è una bandiera assai ambita. Basti pensare che i primi cinque alle sue spalle sono stati Philipsen, Meeus, Nys, Van Aert e Merlier.
«In questa stagione – si racconta De Lie alla stampa prima del criterium di Singapore – sono successe cose belle e cose brutte, ma penso che sia stata positiva. Senza dubbio mi tengo stretta la vittoria nel campionato nazionale, perché mi permetterà di indossare una maglia molto bella per tutto l’anno. Sono soddisfatto anche per il mio debutto al Tour de France, che ritengo sia stato positivo».
Al Tour, sui Pirenei, De Lie si è ritrovato in fuga con Van der Poel: alla Roubaix sarà peggioAl Tour, sui Pirenei, De Lie si è ritrovato in fuga con Van der Poel: alla Roubaix sarà peggio
Seguire Val der Poel
Evidentemente non basta e anche se hai solo 22 anni, è chiaro che il metro di paragone siano ormai diventati i mostri sacri del pavé. Sono quelle le corse cui i tifosi attendono il Toro di Lescheret e per le quali anche lui sente un richiamo quasi primordiale. E’ singolare rendersi conto che questo ragazzo sia condannato a fare la corsa sui giganti – in volata o nelle classiche – in un ciclismo che è dominato dal ristretto gruppo dei fenomeni.
«L’obiettivo – dice allo spagnolo Marca – è arrivare nella migliore forma possibile alle classiche delle Fiandre. Spero di stare bene per le prime corse, arrivando al debutto già in condizione, in modo da raggiungere il picco nelle settimane cui tengo di più. Quest’anno in quel periodo stavo male per quel parassita e non ho preso parte a Fiandre e Roubaix. Però una cosa l’ho capita: per fare bene alla Roubaix bisogna avere le gambe per seguire la Alpecin. Sono due anni che vincono e sono la squadra migliore. La verità però è che stare dietro a Van Der Poel non sia così facile. Ma visto che ho solo 22 anni e non credo di essere ancora a quel livello, fatemi dire che le due Monumento sono importanti, ma ci sono anche classiche come Omloop Het Nieuwsblad e Gand-Wevelgem che per me sono grandi obiettivi».
A Quebec, da vincitore uscente, accanto a Pogacar quasi in forma mondialeA Quebec, da vincitore uscente, accanto a Pogacar quasi in forma mondiale
Ignorare Pogacar
Il Tour de France è stato una colossale centrifuga anche per lui e sarebbe stato davvero curioso avere una volata negli ultimi 3-4 giorni per capire in che modo sia effettivamente arrivato in fondo. Non ha vinto tappe, ma è entrato fra i primi cinque nella quinta e sesta tappa. Poi terzo nell’ottava, battuto da Girmay e Philipsen, e quinto nella dodicesima. Di lì in avanti, il suo Tour è stato un costante arrampicarsi su montagne messe lì come un dispetto e che hanno invece scatenato la lotta per la classifica.
«Il Tour de France è infinitamente difficile – ride – sono 21 giorni in cui vai a tutta e con tutto quello che hai. Devi essere sempre ben posizionato in ogni momento della tappa, altrimenti rischi di non arrivare al traguardo. E’ un’esperienza molto dura, ma sono felice di come sono andate le cose. Il livello dei velocisti è davvero altissimo, difficile dire chi sia stato il più forte e chi lo sarà nel 2025. Potrei dire Philipsen e Girmay, ma avete visto di cosa è capace Jonathan Milan? In certi giorni saranno loro i miei riferimenti, mentre per fortuna posso disinteressarmi di quello che fa Pogacar, cosa che Vingegaard ed Evenepoel per loro sfortuna non possono fare. Di certo quando attacca, seguirlo è molto difficile. Ho la fortuna di avere caratteristiche completamente diverse».
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Sembrano davvero lontani i tempi degli infortuni, della depressione, dei mille dubbi fra il continuare a insistere e mollare la presa. Per anni Thalita De Jong ha vissuto la sua attività ciclistica sull’altalena, pensando mille volte di mollare e per mille volte rilanciando sulla base delle sue ambizioni. Alla fine ha trovato la pace, la serenità, il fisico ha cominciato a rispondere, fino a questo 2024 davvero pieno di successi, scintillante.
Trionfo al Tour de l’Ardeche con 2 vittorie di tappa e classifica finale: Thalita De Jong è tornataTrionfo al Tour de l’Ardeche con 2 vittorie di tappa e classifica finale: Thalita De Jong è tornata
La sua storia l’avevamo raccontata tempo fa, ma non l’avevamo mai persa di vista e finalmente oggi possiamo raccontarne una diversa, insieme a lei, disponibile e “chiacchierona” come la definiscono nel suo ambiente alla Lotto Dstny. E sapendo quel che ha passato, sentirla parlare è un piacere potendo finalmente parlare di vittorie e non di sofferenze.
Ti aspettavi una stagione così positiva?
Ho sempre lavorato duramente durante la stagione invernale e anche tra una gara e l’altra, quindi sapevo che il mio livello fosse tendente verso l’alto. Anche se ogni anno bisogna migliorare un po’ perché tutte sono più forti dell’anno precedente. Quindi ogni volta che inizi una nuova stagione è sempre una sorpresa sapere a che punto sei rispetto alle avversarie. In realtà sapevo di essere forte, ma non sapevo quanto e non potevo credere di essere così costante ad alti livelli. Me la sto godendo al massimo, è fantastico che stia andando tutto così bene.
All’Ardeche l’olandese ha subito imposto la sua legge a Beauchastel (foto Frison)All’Ardeche l’olandese ha subito imposto la sua legge a Beauchastel (foto Frison)
Non vincevi dal 2022, cosa è cambiato da allora?
Ho vinto alcune kermesse in Belgio e criterium olandesi, ma anche una gara UCI, il GP de Mouscron. Da giugno 2022 correvo in una squadra WWT in cui c’erano chiaramente 2 leader. Un corridore per gli sprint e un corridore per i percorsi di salita e le corse a tappe. Abbiamo lavorato per anni interi, io non mi sono tirata indietro e ho dato il mio contributo. Ora ho le mie possibilità e posso correre per me stessa. Non è cambiato molto, solo che ho molta fiducia in me stessa e da parte delle persone intorno a me.
I grandi problemi fisici dal 2017 al 2021 sono ormai dimenticati, ma quella lunga e dura esperienza che cosa ti ha lasciato?
Tanto.Che hai “amici” solo nei momenti belli e non quando le cose vanno male. Che il mondo è abbastanza egoista. Mi ha reso davvero più forte della persona che sono e so che cosa posso aspettarmi dalle altre persone. Ho imparato che hai solo un corpo, quindi me ne prendo cura come sempre, ma ora tutto sta andando per il verso giusto e questo rende le cose molto più facili.
Thalita ha dato il suo contributo agli europei (nella foto) e poi ai mondiali, lavorando nella prima parte di garaThalita ha dato il suo contributo agli europei (nella foto) e poi ai mondiali, lavorando nella prima parte di gara
Quest’anno hai già conquistato 5 vittorie e ben 46 top 10: c’è stata una gara in particolare nella quale hai capito che qualcosa era cambiato?
Non una gara specifica, io guardo l’intera stagione ad alto livello, nella quale ho mancato solo poche volte il gradino più alto del podio che meritavo, ma dal Tour de France e dal Tour de Ardeche si vede tutto il mio duro lavoro ripagato. E’ fantastico, ma sapevo già che stavo andando forte. Quindi forse le vittorie sono state la ciliegina sulla torta.
Le corse a tappe sono la tua dimensione ideale?
Sapevo già dai miei primi anni che le corse a tappe mi si addicono bene, il mio corpo ha ottime doti di recupero, ma dipende anche dal tipo di gara. Dai percorsi, per ottenere un buon risultato, se si adattano alle mie caratteristiche. Ma mi piacciono di sicuro le corse a tappe!
Le corse a tappe sono la sua dimensione, sulla quale la Lotto Dstny sta investendo moltoLe corse a tappe sono la sua dimensione, sulla quale la Lotto Dstny sta investendo molto
Il ciclocross lo hai completamente messo da parte o pensi di tornare a fare qualche gara?
Non c’è abbastanza tempo per combinare entrambe le cose nella maniera giusta. Sto correndo in una squadra di corse su strada, quindi devo fare un’intera stagione su strada, il calendario è già ricco a febbraio fino a metà ottobre, quindi non c’è molto tempo per riposare e prepararsi per la nuova stagione. Il ciclocross mi piace, ma devo metterlo da parte come un bel ricordo del passato.
Quanto ha influito nella tua stagione l’approdo alla Lotto e quanto influisce il fatto che non sia un team WorldTour?
Mi hanno dato la “libertà” in inverno e durante la stagione. Potevo gestirmi nel mio programma di gare, allenamenti e periodi di riposo. Con la mia esperienza di così tanti anni, hanno creduto in me e in quello che ho fatto, e questo è anche qualcosa che aiuta. Ho sempre avuto un buon equilibrio riposo/allenamento/gara e non troppa pressione. Ovviamente ho avuto pressione nelle corse perché ero io quella che doveva portare a casa un buon risultato, in qualsiasi tipo di percorso. Ma sapevano anche che per questo dovevo gestirmi e essere presente solo nel finale o già a metà gara, quindi non è stato più facile conquistare un risultato di alto livello.
La decima piazza al Tour non rispecchia il suo valore: prima dell’Alpe d’Huez era quintaLa decima piazza al Tour non rispecchia il suo valore: prima dell’Alpe d’Huez era quinta
Cos’è che apprezzi del team belga?
Il fatto che mi piace molto lavorare con cicliste più giovani che devono anche imparare e crescere, quindi a volte non è che non volessero, ma semplicemente non potevano aiutarmi. Anche lavorare con la diesse Grace Verbeke, ex vincitrice del Giro delle Fiandre, è stato super bello. Abbiamo imparato l’una dall’altra e avevamo una “band speciale”, ci confrontavamo e ci ascoltavamo a vicenda.
A questo punto, quali sono le tue ambizioni per il prossimo anno?
Vincere una grande gara Uci, fare progressi su più aspetti e lavorare in squadra per raggiungere gli obiettivi di ciascuna di noi.
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Ieri Arnaud De Lie ha vinto anche il Wallonie: terzo centro in 12 giorni. Il periodo nero sta finendo e pare che dipendesse tutto dalla puntura di una zecca
CASTELL’ARQUATO – «Ah, da quando Guarnieri non corre più…». E’ la simpatica dedica social fatta a Jacopo Guarnieri sul suo addio agonistico da Francesco, uno dei suoi cari amici, parafrasando il celebre ritornello di Marmellata #25 di Cesare Cremonini quando parla di Senna e Baggio…
Per il 37enne piacentino d’adozione e per i suoi tifosi adesso “non è più domenica”. Ufficialmente il suo ritiro verrà registrato a fine dicembre, ma Guarnieri è da venti giorni nel pieno della fase ex pro’, anche se era iniziata – col senno di poi – quasi un mese prima. In pratica la sua sedicesima stagione è terminata il 7 agosto con l’ultima tappa della Arctic Race of Norway, che è coincisa anche con la millesima gara (precisa!) della sua carriera nella massima categoria.
Un traguardo all’orizzonte di cui avevamo già parlato con lui, benché ancora un paio di anni fa ci avesse confidato l’intenzione di chiudere a fine 2025, dopo aver contribuito a riportare la sua Lotto-Dstny nel WorldTour. Così siamo andati a suonare al campanello di casa sua, per capire cosa ci sia stato dietro la sua decisione e certi di non trovarlo più fuori in allenamento. E’ stata una lunga chiacchierata, ma Guarnieri ha sempre tanto da raccontare.
La quarta tappa dell’Arctic Race in Norvegia è stata l’ultima gara e la numero 1.000 della sua carriera. Il modo perfetto per dire addioLa quarta tappa dell’Arctic Race in Norvegia è stata l’ultima gara e la numero 1.000 della sua carriera. Il modo perfetto per dire addio
Jacopo come hai vissuto i giorni dal tuo addio ad oggi?
Direi molto bene. Ho chiuso la carriera all’Arctic Race in un Paese come la Norvegia che ha il sole a mezzanotte e che mi piace tantissimo. Sono sempre stato una persona molto decisa una volta intrapresa una strada, anche se la decisione di smettere risale ad inizio luglio. Quando l’ho resa pubblica è stato come liberarmi di un peso, perché sembra assurdo, ma se non lo dici sui social non è vero (sorride, ndr). Mi ha aiutato ad andare oltre. Adesso sono già pronto a partire con nuove cose.
A proposito di social, sui tuoi profili hai ricevuto tanti messaggi da parte di molta gente. Ce n’è stato qualcuno che ti ha sorpreso o ti ha fatto più piacere di altri?
Sicuramente quelli dei miei colleghi sono stati molto belli. Alcuni avevano un tono scherzoso. Se però devo essere un po’ romantico dico quello della Groupama-Fdj. Mi hanno lasciato un messaggio su twitter (l’attuale X, ndr) con un collage di foto ringraziandomi. Lì è dove ho lasciato il mio cuore perché quello che ho vissuto nei sei anni con loro è inarrivabile.
Guarnieri è cresciuto nel CC Cremonese 1891 fino agli allievi. Qui un ricordo dell’album tenuto da una sua ziaGuarnieri è cresciuto nel CC Cremonese 1891 fino agli allievi. Qui un ricordo dell’album tenuto da una sua zia
Invece tra i messaggi privati, qualcuno ti ha detto qualcosa di particolare?
Le prime persone a sapere della mia decisione sono stati i compagni di squadra con cui ero alla Arctic Race e a cui l’ho detto a voce. Dopo una decina di giorni ho mandato un messaggio nella chat di noi corridori della Lotto-Dstny. Al di fuori dell’ambiente di squadra, la prima persona nell’ambito ciclistico a cui l’ho detto è stato Daniel Oss. Era da un po’ di tempo che mi scriveva chiedendomi cosa avrei fatto. L’ho dovuto chiamare perché non potevo scriverglielo e basta. Abbiamo riso assieme, perché lui sta ancora facendo fatiche terribili e un po’ mi invidia.
Hai avuto il tempo di metabolizzare, ma quando e perché hai preso questa decisione a luglio?
In realtà me ne sono fatto una ragione nell’arco di ventiquattro ore. Questa scelta arriva da molto lontano. Quando avevo firmato per la Lotto-Dstny nella mia testa sarebbe stato l’ultimo contratto. In realtà sia in questa stagione che nella scorsa, pur sentendomi molto bene fisicamente, mi sono sentito poco valorizzato. Volevo continuare solo per fare vedere alla squadra che ero ancora “bravo” e che avevo ancora le mie capacità. Così avevo preso contatto con un’altra formazione tra inverno e primavera in cui ero interessato ad andare.
Ciao a tutti. Guarnieri ha annunciato il ritiro ad inizio settembre. Liquigas, Astana, Katusha, Groupama-Fdj e Lotto-Dstny i suoi teamCiao a tutti. Guarnieri ha annunciato il ritiro ad inizio settembre. Liquigas, Astana, Katusha, Groupama-Fdj e Lotto-Dstny i suoi team
E com’è andata a finire?
Non si è materializzato nulla e già a giugno avevo capito. Era una questione di età, non di valori, visto che l’anno prossimo ne faccio 38. Difficile trovare una nuova squadra che voglia investire su un corridore della mia età per una stagione o due. Ed anch’io ero pienamente d’accordo con questo ragionamento. Nel frattempo era subentrata una seconda squadra, ma anche con loro non si è concretizzato nulla. Mi sono ricordato il mio pensiero di due anni fa. Avrei dovuto fare ancora questa vita ed ora è molto più impegnativa. Anche in quel caso mi sono sentito sollevato.
Quanto ti è costato non fare il Tour de France, considerando la partenza dall’Italia e nello specifico anche da Piacenza?
Ecco, quello mi ha fatto tanto male, più di ricevere un “no” per l’anno prossimo o di decidere di smettere. Questa era veramente un’occasione unica. Per me sarebbe stata veramente la ciliegina sulla torta. Peccato perché stavo bene e andavo forte. C’erano tutte le premesse perché i miei capitani mi volessero al via, però i tecnici non hanno voluto cambiare idea ed andata così. Soprattutto per i modi con cui l’hanno comunicato.
La mancata convocazione al Tour è stato un duro colpo, ma Guarnieri ha fatto le prime tappe come commentatore della rete britannica ITVLa mancata convocazione al Tour è stato un duro colpo, ma Guarnieri ha fatto le prime tappe come commentatore della rete britannica ITV
Ovvero?
A dire il vero non è stata comunicata. Ho scoperto che non sarei andato consultando il nostro sito in cui vediamo la logistica di ognuno di noi ed il relativo programma gare. L’ho trovato un colpo un po’ basso, mi aspettavo più professionalità. Visto che in un team come Lotto-Dstny che cerca tanti punti e occasioni per fare belle corse, penso che potevano dirmelo portando attenzione e motivazione su altre gare. Questo è un errore che non è stato fatto solo con me, ma so che è una situazione che non capita raramente, anche in squadre più blasonate.
Cosa ti hanno detto i compagni quando avevi scritto nella chat?
Nonostante siano stati due anni nei quali non mi sia sentito veramente espresso, i compagni, soprattutto quelli con cui ho corso di più, mi hanno conosciuto e mi hanno apprezzato per quello che so fare, non solo sulla bici. Anche perché non è una banalità, ma talvolta vivi proprio assieme ai compagni per tantissimo tempo. E questo mi ha fatto molto piacere.
Il primo cartellino di Guarnieri. Da giovanissimo a professionista, una vita in bici lunga 31 anni e piena di soddisfazioniIl primo cartellino di Guarnieri. Da giovanissimo a professionista, una vita in bici lunga 31 anni e piena di soddisfazioni
E i tuoi diesse?
Qualche giorno prima avevo comunicato la mia decisione al management e malgrado ci fossero stati degli attriti, ho trovato la correttezza che è mancata in altri momenti. Alla fine, posso dire che forse non si sono comportati nella maniera migliore, ma non ci siamo tirati i piatti in testa. Visto che voglio restare nell’ambiente ciclistico, non avrò problemi a fare delle puntate nei ritiri della Lotto-Dstny. Per me non è stata una bella esperienza, ma credo che possa succedere in tanti anni di carriera, così come è successo anche in passato.
Sei stato riconosciuto da tutti come il maestro del lead out. Pensi che questo ruolo improvvisamente sia diventato vecchio? Oppure ti saresti sentito vecchio tu se avessi continuato?
Non lo so onestamente. Le gare sono cambiate tanto, stesso discorso per gli approcci. Si sono ridotte molto le occasioni per le volate. Nei Grandi Giri dove sono rimaste comunque tante tappe per velocisti, specie al Tour, adesso è molto difficile arrivare in fondo se non si è degli ottimi scalatori. Di conseguenza vedo tanto caos. Non c’è un vero treno anche nella squadra più attrezzata e spesso è formato da chi non lo fa durante l’anno. Quindi la figura del “pesce pilota” si vedrà sempre meno, anche se vedo in Simone Consonni un mio erede. La coppia che sta formando con Milan è una bella realtà, anche perché per essere un buon ultimo uomo devi avere un grande finalizzatore.
Guarnieri (qui con Demare) resterà nell’ambiente ciclistico come manager di corridori. Seguirà principalmente juniores e U23Guarnieri (qui con Demare) resterà nell’ambiente ciclistico come manager di corridori. Seguirà principalmente juniores e U23
Farai il manager di corridori. Che caratteristica deve avere un tuo potenziale assistito?
Inizierò a lavorare con i giovani, sposterò quindi l’attenzione alle gare di U23 e juniores. L’aspetto principale, soprattutto se è in procinto di passare pro’, credo che sarà il talento fisico. Tuttavia una cosa che cercherò molto, e che ho sempre cercato nei rapporti attorno a me quando correvo, è quello di trovare persone intelligenti, ancor prima che corridori. Ad esempio mi piacciono quei ragazzi che mi hanno già detto che continueranno a studiare per avere un’alternativa pronta qualora in bici non dovesse andare bene o come vogliono loro. Chi si immagina un fallimento in bici, è anche pronto a sostenerlo e quindi rialzarsi. Quelli che invece puntano tutto sul ciclismo, a mo’ di “o la va o la spacca”, sono i più fragili.
E quale caratteristica vorresti avere tu come procuratore?
Spero di essere quello che è stato per me Manuel Quinziato, il mio manager negli ultimi anni. Lui è stato come lo scoglio o un’isola di salvezza nel mare aperto. Ho sempre pensato che il manager non è soltanto colui che ti trova il contratto. Alla fine il corridore è da solo e ci sono tanti momenti che possono essere negativi. Sapere di avere un punto fermo che è solo tuo, è molto importante e ti dà molta tranquillità. Vorrei avere un gruppo contenuto di corridori per poterli seguire o aiutare al meglio.
Guarnieri è stato un maestro del lead out, ma i veri treni non esistono più ed il suo ruolo nel ciclismo moderno sta cambiandoGuarnieri è stato un maestro del lead out, ma i veri treni non esistono più ed il suo ruolo nel ciclismo moderno sta cambiando
Nel tuo addio social, hai scritto che vorresti fare anche il commentatore tecnico televisivo, che hai già fatto in occasione del Tour de France. In questo caso che stile vorresti avere?
Faccio subito una premessa. Non c’è nulla di definito perché non è una cosa che dipende da me, ma ho avuto contatti per questo ruolo. Tuttavia, compatibilmente agli altri impegni, avendo smesso da poco mi piacerebbe portare questa esperienza e magari rinfrescare un po’ il linguaggio tecnico. Ho seguito il Tour per ITV (una rete televisiva pubblica britannica, ndr) ed è stato molto stimolante perché era in una lingua diversa dalla mia e mi piaciuto molto farlo, perché vivi la corsa.
Chi è stato Jacopo Guarnieri in tutti questi anni?
Non lo so, ma penso di essere stata una persona professionale. Sono sempre stato fedele a quello in cui credevo. Fedele ai lavori da fare in bici, uscendo con un meteo infame, ma anche fedele a non andare ai ritiri quando so che sono controproducenti. Ovviamente nei primi anni di carriera non ero così solido. Però questo aspetto mi ha formato per diventare quello che ero, a costo di essere difficile da modellare. Sono contento di questo, anche se non sono stato solo quello.
Guarnieri da G1 con la maglia di campione provinciale di Cremona. «Il mio unico titolo conquistato su strada nella mia carriera»Guarnieri da G1 con la maglia di campione provinciale di Cremona. «Il mio unico titolo conquistato su strada nella mia carriera»
E prima di lasciare casa sua, sfogliamo l’album dei ricordi con i ritagli di giornali tenuti da una zia su quel promettente bimbo della C.C. Cremonese 1891. Ecco che arriva in piena zona Cesarini l’ultimo scoop della vita ciclistica di Guarnieri: «Ho corso in bici per 31 anni. Mi è capitato di andare in nazionale, vincere italiani in pista, ma l’unico titolo su strada l’ho vinto da G1 nel 1994. Campione provinciale di Cremona. L’unica maglia di campione che sono riuscito a conquistare». E mentre richiudiamo il libro ridendo, salutiamo e ringraziamo il ragazzone di Castell’Arquato. Lo ritroveremo in giro con altre vesti.
Mikel Landa riparte e punta sulla Vuelta. Cercherà di dimenticare la sfortuna del Giro e di salire sul podio. Nessun dichiarazione però e i piedi per terra
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Ugualmente non correrà agli europei. Dopo aver vinto l’ultima tappa del Renewi Tour su e giù per il Muro di Geraardsbergen, Arnaud De Lie ha preso atto di non essere fra i convocati del Belgio per la gara di Hasselt, anche se la caduta della Vuelta ha tolto di mezzo Wout Van Aert. Così il Toro di Lescheret è tornato a casa per recuperare le forze e farsi trovare pronto per la gara di Amburgo di domenica prossima, per poi fare rotta sulle prove canadesi del WorldTour. Fu proprio vincendo il GP Quebec dello scorso anno che il campione belga mise un piede nella dimensione del grande corridore, che fino a quel momento era stata una previsione più che una certezza.
«Vincere con questa maglia tricolore significa sempre qualcosa – dice – e farlo in un luogo così mitico, nella tappa regina del Renewi Tour, è stato ancora più iconico. Il Muro di Geraardsbergen, che abbiamo scalato più volte, fa parte della storia del ciclismo. Non farò gli europei perché Merlier e Philipsen sono più veloci di me. Mentre corridori come Van Lerberghe e Rickaert sono più bravi di me nel tirare le volate. Non sono uno che fa il leadout, perché è qualcosa che devi imparare lavorando in modo specifico. Però mi piace lavorare per un compagno di squadra, come è stato con Segaert al Renewi Tour».
La vittoria di Geraardsbergen mimando il toro, in onore al suo soprannomeL’attacco sul Muur, scalato per tre volte e mezza, ha piegato anche gli ultimi avversariLa vittoria di Geraardsbergen mimando il toro, in onore al suo soprannomeL’attacco sul Muur, scalato per tre volte e mezza, ha piegato anche gli ultimi avversari
Due diamanti in cassaforte
La Lotto Dstny intanto si frega le mani, avendo messo in mostra nella gara belga due talenti di assoluto rispetto. Il primo, Alec Segaert, che vincendo la crono si era proposto per i piani alti della classifica. Il secondo, lo stesso De Lie, che ha giocato la sua carta nella tappa finale, quando si è capito che il compagno non sarebbe stato in grado di rispondere all’affondo di Tim Wellens.
«L’ho fatto tutto sui pedali – sorride – uomo contro uomo. E’ bella anche una vittoria in volata, ma quell’ultima tappa è stata una gara vera. Sono state più di quattro ore con un caldo fuori dal comune. E’ stato durissimo scalare per tre volte e mezzo il Muro. Nel primo passaggio mi sono sentito benissimo e il nostro primo obiettivo era difendere la maglia di Segaert. Quando però l’ammiraglia ha capito che Alec era troppo indietro, ha dato via libera a me. Wellens non era recuperabile, ma possiamo essere ugualmente molto soddisfatti di ciò che abbiamo ottenuto. Dopo tutto Alec ha solo 21 anni, io 22. Nelle due tappe che non si sono concluse con uno sprint, siamo stati i più forti. Ciò fa ben sperare per i prossimi anni».
Sfiniti. De Lie e Wellens sorridono: il primo per la tappa, il secondo per la classificaL’ultima tappa del Renewi Tour aveva un percorso da classica, ha detto De Lie, ma il caldo l’ha resa anomalaSfiniti. De Lie e Wellens sorridono: il primo per la tappa, il secondo per la classificaL’ultima tappa del Renewi Tour aveva un percorso da classica, ha detto De Lie, ma il caldo l’ha resa anomala
La primavera bruciata
Quello che più brucia, ascoltando il racconto di De Lie è la primavera buttata a causa del morbo di Lyme, l’infezione trasmessa dalle zecche. Per un ragazzo nato e cresciuto in fattoria, sembra quasi una beffa. I suoi sintomi comprendono varie irritazioni cutanee, come pure alla lunga alterazioni neurologiche, cardiache o articolari che, se non trattate, possono trasformarsi in vere e proprie complicazioni. Per curarla si ricorre ad antibiotici che hanno ridotto le sue capacità nel periodo delle corse più adatte. Dopo il decimo posto alla Omloop Het Nieuwsblad infatti, il belga non è stato più in grado di ottenere prestazioni di alto livello.
«Vincendo in questa tappa del Renewi Tour – ha confermato De Lie – ho dimostrato che se non ho problemi fisici, ci sono. Solo chi l’ha sperimentato sa cosa sia quella malattia. Sono arrivato a chiedermi cosa ci facessi su una bici, una sensazione che ogni corridore prima o poi si trova a provare, ma questa volta era diverso. Non ho toccato la bici per dieci giorni e quando l’ho ripresa, non avevo più voglia di salirci sopra. Ho fatto molti sacrifici per riprendermi. E adesso sono tornato e ho la conferma che questi sono i miei percorsi preferiti».
Al Tour, De Lie ha avuto modo di conoscere meglio il suo idolo Van der PoelAl Tour, De Lie ha avuto modo di conoscere meglio il suo idolo Van der Poel
L’amico Van der Poel
David Van der Poel, fratello di Mathieu, collabora con il suo agente. Si conoscevano prima quando anche lui correva, si conoscono meglio ora che collaborano. E questo crea un’insolita commistione di affetti e ambizioni. De Lie infatti correrà il prossimo Giro delle Fiandre con la maglia di campione belga e in quanto tale sarà una sorta di bandiera contro il dominatore Van der Poel che, per citare l’Iliade, tanti dolori inflisse ai belgi. Secondo alcuni nel suo non esporsi c’è proprio la voglia di prendergli le misure.
«Mathieu van der Poel – dice De Lie – è Mathieu van der Poel, giusto? Questa è un’altra differenza fra noi. Penso che sia prima di tutto un bravo ragazzo. Con il suo modo di fare dimostra che il divertimento viene prima di tutto e con il divertimento arrivano i risultati. Questo è anche il mio pensiero. Ricordo che nei miei primi anni da professionista non osavo davvero avvicinarlo, non avevo il carattere per farlo. Invece nell’ultimo Tour abbiamo spesso pedalato uno accanto all’altro. In fuga, nel gruppetto o anche semplicemente in gruppo. Al Tour c’è anche tempo per parlare. E comunque non credo di avere ancora le gambe per contrastarlo, anche se sarebbe bello. Credo che sia ancora un obiettivo lontano. Perciò preferisco concentrarmi su quello che posso raggiungere davvero».
Van der Poel potrebbe aver superato i suoi acciacchi e in Spagna si sta allenando per tornare. Una distanza di 7 ore a Denia fa pensare al ritorno imminente
CHAMPOLUC – Lo vede è lì. E’ da 45 chilometri che lo insegue a testa bassa, spingendo come un ossesso. Due chilometri all’arrivo. Lo acciuffa. Meno di un chilometro all’arrivo: gli scatta in faccia e se ne va. Una grinta pazzesca, una forza delle natura. Jarno Widar è stato spietato oggi con Vicente Rojas. Per il belga della Lotto-Dstny Devo il più classico dei “tappa e maglia” al Giro della Valle d’Aosta.
Una tappa lunghissima. Difficile, che in tanti pensavano potesse mettere in crisi il re del Giro Next, rimasto con un solo uomo. E la stessa cosa Ludovico Crescioli, maglia gialla al via da Saint Vincent, visto che i suoi compagni non erano degli scalatori. Invece Jarno non ha fatto una piega. E già scattano i paragoni con Pogacar, per la fame, per la forza.
Partenza complicata. Alla fine ne esce una fuga a sette della quale fanno parte tra gli altri anche Vicente Rojas e Matteo Scalco della VF Group-Bardiani e anche Filippo Agostinacchio. Scalco fa un lavoro eccezionale per il compagno cileno. Il quale da parte sua si porta a casa quasi tutti i Gpm e a fine giornata si consola della beffa della vittoria con la maglia a pois.
Il cileno Rojas (classe 2002) in fuga è stato ripreso all’ultimo chilometro (foto Giro VdA)Grande bagarre al via e tanti leader presto restano soli (foto Giro VdA)Jarno Vidar (a destra) e il suo unico compagno Kamiel Eeman stamattina al via: entrambi sono del 2005Il cileno Rojas (classe 2002) in fuga è stato ripreso all’ultimo chilometro (foto Giro VdA)Grande bagarre al via e tanti leader presto restano soli (foto Giro VdA)Jarno Vidar (a destra) e il suo unico compagno Kamiel Eeman stamattina al via: entrambi sono del 2005
VF Group all’attacco
Sullo Tsecore si decide, forse, l’intero Valle d’Aosta. Widar per un attimo smette di tirare, iniziano gli scatti e lui risponde con veemenza. Solo l’ex maglia gialla, Dostiev, lo tiene. Davanti anche Rojas resta solo. Inizia un lungo duello a distanza. Il cileno davanti, il belga dietro, con a ruota il kazako.
Nel vallone finale, in leggerissima ascesa, il vantaggio di Rojas è quasi di un minuto. Sembra fatta anche perché il vento è a favore. Invece…
«Invece nel finale ero un po’ stanco – ci racconta Rojas dietro al palco in attesa di vestire la maglia dei Gpm – e sono saltato sia di gambe che un po’ anche di testa. A mentre fredda posso dire sia andata così. Forse anziché insistere potevo farmi riprendere e giocarmi il finale in volata».
Rojas però è sereno. Sa di aver dato tutto e non ha poi tutti questi rimpianti. Domani ha ancora una chance.
«Verso Cervinia ci sarà ancora una tappa dura. Io poi vado sempre meglio con il passare dei giorni. Il ciclismo inoltre è sport di squadra e la mia è forte. A proposito, ringrazio i ragazzi che mi hanno dato una mano oggi. Domani ci riproverò».
E la squadra potrebbe essere l’unica crepa per far vacillare Widar. Lui infatti di compagni ne ha uno solo. Nel tratto pianeggiante iniziale potrebbe far fatica a difendersi. Però è anche vero che ha mostrato una forza incredibile e su Rojas vanta oltre 2′ di vantaggio.
Nel finale azione clamorosa di Widar che va a prendersi tappa e magliaNel finale azione clamorosa di Widar che va a prendersi tappa e maglia
Jarno o Tadej?
Widar invece davvero in certi momenti ricorda Tadej Pogacar. Stamattina al via, Jarno era il ritratto della tranquillità. Ad un tratto gironzolava per Saint Vincent e con tutta calma ci ha chiesto dove fosse il foglio firma. Poi eccolo spianato sulla sua Orbea. Mani fisse sulle leve e giù a stantuffare.
Ha demolito ad uno ad uno tutti gli avversari. Non si è innervosito quando nel falsopiano, adatto ai passistoni, il kazako non gli dava i cambi e all’ultimo chilometro ha dato un colpo da finisseur. E pesa appena 52 chili (per 167 centimetri di altezza).
Mentre divora gli ormai noti orsetti gommosi, Widar racconta: «E’ stata una tappa difficile, ma io ero tranquillo. Mi sono sempre sentito molto bene. Nel finale ho chiesto a Ilkhan Dostiyev di aiutarmi negli ultimi chilometri. Ha detto che non poteva farlo, che non ce la faceva e così ho fatto tutto io. Ma avevo paura. Non lo conoscevo molto bene, ma come abbiamo visto nella prima frazione è veloce».
Per il belga incetta di orsetti gommosi a ChampolucUna bella immagine di sport con Rojas e Widar che parlano della tappa e fino a pochi minuti prima erano rivaliWidar in giallo: ora guida la classifica con 2’20” su Rojas, 4’04” su Crescioli e 4’30” su DostiyevPer il belga incetta di orsetti gommosi a ChampolucUna bella immagine di sport con Rojas e Widar che parlano della tappa e fino a pochi minuti prima erano rivaliWidar in giallo: ora guida la classifica con 2’20” su Rojas, 4’04” su Crescioli e 4’30” su Dostiyev
Animale da gara
Come Pogacar, Widar dopo la tappa era quello più fresco. Segno che sta molto bene. Il suo finale famelico non è stato cosa da poco. Chiunque si sarebbe accontentato della maglia gialla. E avrebbe contestualmente risparmiato qualche energia in vista di domani.
«Negli ultimi chilometri – continua il suo racconto Widar – ci ho creduto. Però sono diventato strabico per un chilometro, guardavo avanti e dietro. Mi sono detto supero una rotatoria e vado. Ho aspettato il triangolo rosso dell’ultimo chilometro, appena l’ho visto mi sono detto: “Vediamo cosa succede” e sono andato».
«Il momento più difficile di oggi? Forse l’inizio della tappa. C’è stata una grande lotta per andare in fuga e io ero nelle retrovie. Avevo bisogno di andare davanti. Aspettavo le salite quindi. Sapevo che gli ultimi 50 chilometri erano una follia! E io queste salite non le conoscevo e neanche questa zona dell’Italia».
Domani verso Cervinia è attesa pioggia e lui da buon belga dovrebbe aver un certo feeling con il meteo avverso. «Va bene! Ovviamente a nessuno piacciono la pioggia e il freddo, ma la pioggia all’inizio è un’ottima cosa per me. Sì, penso che sia perfetto».
Crescioli ha lottato come un leone anche in pianura, dove ha persino tentato il contrattaccoLudovico all’arrivo non era affranto. Ora dovrà difendere il podioCome i pro’: molti ragazzi hanno fatto i rulli e qualcuno persino col giubbino di ghiaccioCrescioli ha lottato come un leone anche in pianura, dove ha persino tentato il contrattaccoLudovico all’arrivo non era affranto. Ora dovrà difendere il podioCome i pro’: molti ragazzi hanno fatto i rulli e qualcuno persino col giubbino di ghiaccio
Crescioli tenace
Ma un plauso lo merita anche Ludovico Crescioli. Il suo sogno giallo è durato 24 ore. Certe pendenze sono troppo per lui. O più semplicemente è stato troppo questo Widar.
«Oggi – ha detto l’atleta dellaTechnipes #InEmiliaRomagna – è stato un tappone molto duro. Mi sono staccato sullo Tsecore e ho cercato di gestirmi al meglio. Già avevo perso contatto nella salita precedente. Ero rientrato, ma poi non c’è stato nulla da fare. A quel punto mi sono ritrovato con Torres e ci siamo dati i cambi fino all’arrivo. E tutto sommato è un buon quarto posto alla fine.
«All’inizio, visto il caos che c’è stato nei primi chilometri con mille tentativi di fuga ho provato anche io ad entrarci però non è andata. Da parte mia sono contento. Ho dato il massimo e ora sono terzo nella generale. Domani c’è un podio da difendere. Se si pensa all’Avenir? Sì, ma prima voglio finire al meglio questo Giro della Valle d’Aosta»
Martin Tjotta scatta poco prima del penultimo Gpm di giornata e pianta tutti in asso. De Cassan recupera, sfrutta il lavoro del compagno Ermakov e torna in lotta per il podio
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BARCELONETTE (Francia) – Dice Campenaerts che per vincere questa tappa al Tour è stato per nove settimane a Sierra Nevada. Per quattro, ci sono stati anche i suoi compagni di squadra, poi loro se ne sono andati e lui è rimasto. Il primo ad arrivare, l’ultimo ad andarsene. La famiglia è stata con lui a lungo, come lo hanno seguito nella settimana centrale del Tour, piuttosto vicina al Belgio. Hanno passato del tempo insieme. Dice che gli piacerebbe stare a casa con loro, ma se prevalesse questo sentimento, allora non potrebbe fare il Tour de France.
Dice Campenaerts di aver cerchiato questa tappa da dicembre, quando gli hanno detto che la Lotto Dstny sarebbe venuta in Francia con De Lie. Arnaud è un grande velocista, ma che lui per vincere avrebbe avuto bisogno di una tappa come questa. E infatti l’ha vinta, come vinse quella di Gorizia al Giro 2021, chiudendo idealmente la porta su ciò che di interlocutorio c’è stato in questa corsa così bella.
Victor Campenaerts batte in volata Vercher e Kwiatkowski: soprattutto quest’ultimo un bell’osso duroCampenaerts ha raccontato che la sua Orbea è su misura per avere meno rigidità verticale a favore della schienaNove settimane di altura per una tappa cerchiata di rosso da dicembre: un bello shock emotivo, no?Campenaerts ha 32 anni, è alto 1,73 e pesa 68 chili. Dopo la tappa al Giro 2021, ecco una vittoria al TourVictor Campenaerts batte in volata Vercher e Kwiatkowski: soprattutto quest’ultimo un bell’osso duroCampenaerts ha raccontato che la sua Orbea è su misura per avere meno rigidità verticale a favore della schienaNove settimane di altura per una tappa cerchiata di rosso da dicembre: un bello shock emotivo, no?Campenaerts ha 32 anni, è alto 1,73 e pesa 68 chili. Dopo la tappa al Giro 2021, ecco una vittoria al Tour
A casa di Remco
Domani infatti cominciano i tre giorni che decideranno il Tour de France. Si potrebbe dire che tutto sia ormai definito, ma le due tappe di montagna e poi la crono finale sono così cattive che la minima flessione potrebbe costare parecchio. Pogacar ha appena sottolineato l’importanza di conoscere le strade e ha escluso ogni alleanza con Evenepoel, perché saranno tappe che richiederanno più forza che tatticismi. Eppure il belga è l’oggetto misterioso. Non perché possa vincerlo, ma perché il passare dei giorni ha visto anche il crescere della sua fiducia.
Il suo Tour è una sorpresa e una conferma, questo dice Tom Steels, direttore sportivo della Soudal-Quick Step con 9 tappe vinte al Tour e 2 Gand-Wevelgem. Lui lo ha visto nascere, crescere e diventare corridore e sul suo Tour si è fatto un’idea. Parliamo all’ombra del pullman, l’asfalto si squaglia sotto i piedi.
«Siamo venuti qui con l’ambizione di arrivare tra i primi cinque – dice – e poi, passo dopo passo, di avvicinarci al podio. Abbiamo vinto la crono. Ora però ci sono ancora tre giorni duri, sarà molto difficile. Spero che riusciremo a difendere la posizione, ma possiamo essere fiduciosi. Remco ha comunque recuperato molto bene. Salire sul podio a Nizza va bene, se viene fuori qualcos’altro, ci proveremo».
Tom Steels, classe 1971, è diesse alla Soudal-Quick Step dal 2011Tom Steels, classe 1971, è diesse alla Soudal-Quick Step dal 2011
Anche gli altri soffrono
In quell’attaccare sconclusionato di Pogacar nella tappa di ieri, l’allungo di Evenepoel nel finale è stato un punto di svolta. Di quelli che cambiano una carriera. Non tanto per il vantaggio, ma per averlo pensato e portato a termine.
«E’ stato importante – conferma Steels – è decisivo per lui sentire che è fisicamente è ancora vicino a Vingegaard e Pogacar. Deve rendersi conto che soffrono anche gli altri, anche se Pogacar adesso vola. Mentalmente è molto importante sentire di poter fare qualcosa. Vedremo come andrà domani, ma almeno sa di essere vicino al loro livello. Non sappiamo quale squadra scandirà il ritmo sulla Bonette o come sarà fatta la discesa. Poi Isola 2000 sarà difficile da affrontare. In ogni caso, Remco ha confermato che il Tour è il suo ambiente naturale. Non sente la pressione della gara e del fuori gara. Si comporta come quando non è al Tour e vi garantisco che qui c’è tanta pressione. Lui invece continua come al solito. Sono molto sorpreso dal percorso dalla prima tappa fino ad oggi, da come affronta la corsa. Questa per me è la vera sorpresa».
Sui rulli dopo l’arrivo con il suo giubbino del ghiaccio: Evenepoel è atteso a tre giorni molto importantiSui rulli dopo l’arrivo con il suo giubbino del ghiaccio: Evenepoel è atteso a tre giorni molto importanti
Parla l’allenatore
Certe cose non riescono se non si hanno grandi gambe. E la sensazione è che il ragazzino belga in maglia bianca stia crescendo. Forse è funzionale al fatto che poi ci saranno le Olimpiadi o forse si potrà davvero parlare di lui come di un corridore per corse a tappe. Koen Pelgrim che lo allena sembra ottimista circa la sua tenuta.
«Non mi aspettavo di trovarmi così a tre tappe dalla fine – dice – ma lo speravo. Sapevamo che se Remco fosse arrivato nella forma migliore, avrebbe potuto competere con i primi cinque. Penso che ogni giorno sia stato importante e lui è sempre stato stabile fin dai primi giorni in Italia, poi sul Galibier, gli sterrati e la crono. Non c’è stata una tappa in particolare: sta crescendo passo dopo passo. Sapevamo dalla Vuelta vinta che se avesse fatto un buon Tour, allora nell’ultima settimana avrebbe potuto recuperare il terreno perso e questo sta accadendo. Le due corse non sono paragonabili, troppe differenze di temperature, alture, distanze. Ma la sua costanza resta interessante da osservare, in una corsa che non ha avuto un solo giorno privo di agonismo. Stiamo traendo le indicazioni su cui ragionare e poi lavorare».
Koen Pelgrim con Van Wilder al suo arrivo al pullman: il racconto della tappa e delle sensazioniKoen Pelgrim con Van Wilder al suo arrivo al pullman: il racconto della tappa e delle sensazioni
Due anni da colmare
All’arrivo di ogni corridore al pullman, Koen si ferma a parlare e ne chiede i feedback immediati. Landa è stanco, ma sembra stare bene. Van Wilder ha fastidio a un ginocchio. Moscon, arrivato per primo, sta alla grande. Forse nel valutare questa corsa, si dovrebbe considerare che Evenepoel ha due anni meno di Pogacar e quattro meno di Vingegaard.
«Il fatto di migliorare – spiega l’allenatore – è legato al crescere. Non penso che il cambio di ritmo sia il vero punto debole, soprattutto osservando le tappe qui. Il divario da Pogacar è dovuto al fatto che Tadej al momento è un corridore migliore, soffre di meno e quindi ha più margine per l’accelerazione. In più è un corridore esplosivo per natura. Quindi, se ha ancora molta riserva, la sua accelerazione è davvero impressionante. Penso sia solo un fatto di maturare e far crescere il motore. E se ci riusciamo, anche le accelerazioni saranno più facili da gestire. Forse domani sarà la chiave del suo Tour, con la Bonette così lunga il grande caldo. Guai però sottavalutare il giorno successivo. La tappa è più corta, il dislivello è maggiore. E poi c’è la crono. Sono tre giorni, ma saranno lunghissimi…».
Il Pogacar visto ieri all'Amstel è parso affaticato, come se non avesse recuperato dopo la Roubaix. Avrebbe dovuto recuperare? Un peccato non averci pensato
Pogacar gli ha mandato a dire che domenica sarà un altro gioco ed Evenepoel si diverte a rispondere. Poi approfondisce, ma si capisce che la tensione sale
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Al suo primo anno da U23, Jarno Widarè considerato fra i maggiori prospetti belgi. Di lui si era parlato molto lo scorso anno, in particolare per le sue ripetute vittorie sulle nostre strade, ma da allora molto è cambiato anche perché Widar, che corre nel Lotto Dsnty Development Team si sta dimostrando sempre più affidabile anche come uomo da corse a tappe.
La vittoria all’Alpes Isere Tour ha un po’ ridisegnato il suo inizio stagione che non l’aveva lasciato troppo soddisfatto: «Non è stato eccezionale, ma è normale, credo, essendo all’esordio nella categoria. Inoltre ci sono stati un po’ di problemi fisici. Prima di maggio, salvo la vittoria in una corsa olandese, non avevo ottenuto molto».
Widar premiato all’Alpes Isere Tour, vinto con 41″ sullo spagnolo Parra (foto DirectVelo)Widar premiato all’Alpes Isere Tour, vinto con 41″ sullo spagnolo Parra (foto DirectVelo)
L’ultima stagione avevi detto di non sapere ancora in quale devo team saresti andato. Perché hai scelto la Lotto, dato che non è nel WorldTour?
Penso che sia la squadra più adatta alle mie caratteristiche, la scelta giusta per emergere con i tempi necessari, in un team prestigioso e che fa attività al massimo livello. Il fatto che non sia nel WorldTour è molto marginale, le gare sono le stesse e la considerazione che il team ha è quella di un team della massima serie.
Quanto ha pesato nella tua scelta il fatto che la Lotto sia belga?
Ha avuto la sua importanza, perché mi consente di continuare ad allenarmi a casa, di avere il quartier generale del team vicino. E’ un valore importante, diciamo una sorta di continuità con quello che ho fatto fino ad ora.
Il fiammingo si è fatto vedere anche alla Settimana Coppi & Bartali, chiusa al 22° postoIl fiammingo si è fatto vedere anche alla Settimana Coppi & Bartali, chiusa al 22° posto
Hai già fatto esperienze con la prima squadra, c’è tanta differenza con il tuo team?
Non direi. Ho gareggiato con il team principale sin dalla prima occasione al Laigueglia. E’ chiaro che la prima squadra eleva tutto al massimo grado, ma come professionalità siamo anche noi molto in alto. Cambiano il valore delle corse e la concorrenza, è tutto molto più grande.
Ora cominci a emergere anche nelle corse a tappe, 2° all’Isard, primo all’Alpes Isere. Che cosa è cambiato, dopo le tante vittorie nelle corse d’un giorno dello scorso anno?
Io credo di essere sempre stato portato per le corse a tappe. Per ora mi sono concentrato su quelle, poi a fine stagione farò un po’ il punto della situazione per capire le mie caratteristiche, se sono da classifica o più per traguardi parziali. Ora vado avanti un po’ alla giornata.
Il belga aveva iniziato la stagione con la vittoria alla Ronde Van Limburg (foto Corvos)Il belga aveva iniziato la stagione con la vittoria alla Ronde Van Limburg (foto Corvos)
Raccontaci la tua vittoria all’Alpes Isere…
Ero abbastanza convinto delle mie possibilità, sapevo che la tappa decisiva era quella finale dove si giocava tutto e io avevo solo un secondo di ritardo dal francese Verschuren. Era una tappa con alcune brevi salite piuttosto ripide. Ho controllato la corsa e quando lo spagnolo Parraha allungato gli sono andato dietro. Lui puntava alla vittoria parziale, io guardavo alla classifica così i nostri obiettivi collimavano. A quel punto era fatta.
Ora verrai al Giro Next Gen, quale sarà il tuo obiettivo, vincere le tappe e correre per la classifica?
Io andrò per la classifica generale con obiettivo il podio finale. Ho studiato con attenzione il tracciato, credo che la terza e la sesta tappa saranno decisive per costruire la classifica e voglio farmi trovare pronto, prendere l’iniziativa. In Italia d’altronde mi sono sempre trovato bene e mi porta anche abbastanza fortuna…
Protagonista da junior nel 2023 in Italia, ora Widar cerca gloria al Giro Next GenProtagonista da junior nel 2023 in Italia, ora Widar cerca gloria al Giro Next Gen
In Belgio ci sono ora tanti giovani molto forti nel ciclismo: la tua generazione è più attirata dal ciclismo o dal calcio?
Buona domanda. Abbiamo una generazione decisamente qualificata, lo dicono i risultati, ma bisognerà vedere nel futuro se siamo davvero forti. Sicuramente verso il ciclismo c’è molta attenzione, abbiamo ottimi esempi al più alto livello, ma non saprei dire se questo basta a soppiantare il calcio.
Avrai altre occasioni per correre in prima squadra?
Delle opportunità ci sono, ma il calendario per la mia categoria è molto ricco, gli impegni non mancano di certo, anche perché sono soprattutto corse a tappe. Considerando queste e i necessari tempi di recupero, non so se ci sarà occasione per correre ancora con i più grandi, ma non è certo una preoccupazione, io vado avanti per la mia strada.