Cassani? E’ sempre uguale: chiama ancora nel cuore della notte

20.05.2024
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LIVIGNO – Francesco Pancani è già in Val Gardena. Dovendo lavorare al traguardo della tappa di domani, il contingente di RAI Sport si è spostato ieri dopo l’arrivo e sta trascorrendo il giorno di riposo ai piedi delle Dolomiti. E mentre a Livigno il cielo si fa facendo grigio, da quella parte di mondo la giornata è tersa. Domani però dovrebbe essere brutto come qua, tanto che secondo alcune voci si starebbe ragionando di non fare neppure l’Umbrail Pass: speriamo non sia così. Parliamo con il commentatore toscano per raccontare il ritorno di Davide Cassani ai microfoni della tivù di Stato. La collaborazione, pur rinfrescata con alcune presenze, si era interrotta nel 2014 (la foto di apertura è del Giro 2011). Da allora Cassani ha fatto il tecnico della nazionale e il Presidente del Turismo dell’Emilia Romagna, si susurrava persino che stesse per costruire una squadra pro’, ha portato il Tour in Italia. Per questo Pancani è rimasto un po’ sorpreso quando Auro Bulbarelli, direttore di Rai Sport, ha tirato fuori il nome del romagnolo.

«Ne avevamo parlato con il direttore a inizio anno – conferma Pancani – e inizialmente mi ha stupito perché non pensavo che Davide avesse il tempo per farlo, visti i suoi tanti impegni. Questo si può dire: l’ho saputo prima che gli venisse proposto. E a quel punto ero sicuro che se avesse avuto la possibilità di organizzarsi, avrebbe detto di sì. E’ sempre stato molto legato all’azienda, l’ha fatto per tanti anni. Conosce tutti, conosce me, ero sicuro non ci sarebbero stati problemi».

Cassani torna ai microfoni Rai dopo essere stato fra gli artefici del via del Tour dall’Italia: a luglio avrà il piacere di raccontarlo
Cassani torna ai microfoni Rai dopo essere stato fra gli artefici del via del Tour dall’Italia: a luglio avrà il piacere di raccontarlo
Che effetto ha fatto ritrovarsi per la prima volta in cabina con lui?

Come se l’avessi lasciato il giorno prima. C’è sempre stato un grandissimo rapporto anche a livello personale. Se c’è una persona nel ciclismo cui devo dire grazie, quello è proprio lui, perché mi ha aiutato tantissimo quando ho cominciato nel 2010. C’è sempre stato un bellissimo rapporto, per cui siamo entrati subito in sintonia. Ce lo dicevamo nelle prime tappe: sembrava che avessimo smesso il giorno prima, invece erano dieci anni che non lavoravamo insieme. Nonostante questo c’è sempre stato anche il piacere di sentirsi, di chiacchierare di cose extra ciclismo, come fra veri amici.

Nel frattempo a livello tecnologico è cambiato qualcosa? Davide ha avuto bisogno di aggiornarsi su pulsanti, monitor, cuffie?

No, su questo il problema non c’è mai stato, perché lui con pulsanti e pulsantini è sempre stato un disastro. Me l’aveva detto anche Auro quando mi passò il testimone: «Guarda, occhio, perché col “Cassa” è un disastro». E in quello non è cambiato. Infatti lui ha la cuffia col filo lungo e la cassettina con tutti i pulsanti ce l’ha molto distante e la manovro io. Se si aspetta lui, si fa dei danni.

Nel frattempo sono molto cambiate anche le figure degli opinionisti, che sono diventati estremamente più tecnici. Qual è la risposta di Davide, su cosa fa leva?

Passione, curiosità e competenza, innanzitutto la passione e la curiosità. Un anno abbiamo fatto insieme tutte le ricognizioni e per aiutarlo nel montaggio e nella preparazione, rimasi con lui. Rimasi allibito dalla sua curiosità. Dovunque andassimo, che fosse un Comitato di tappa o una Pro Loco, era continuamente a chiedere e informarsi. Devo dire che anche in questo mi ha insegnato tanto, perché secondo me la curiosità è la base del giornalismo. Adesso cerca di fare la persona saggia e anziana, ma è uno che vive tutt’ora in bicicletta. Quindi se c’è qualcosa di nuovo, qualche innovazione, qualche modifica, lui la sa di sicuro perché passa le giornate in sella.

Nel 2014 Cassani è diventato tecnico della nazionale: qui al debutto di Ponferrada con Bennati, suo successore
Nel 2014 Cassani è diventato tecnico della nazionale: qui al debutto di Ponferrada con Bennati, suo successore
A livello di riscontri di pubblico, tramite numeri e social, come è stata accolta dal pubblico?

Bene, molto bene, anche se io non sono un grandissimo fanatico né dei social né dei dati Auditel.

Forse gli si può imputare un eccesso di realismo: per lui la fuga è sempre spacciata…

Secondo me lui deve dire quello che pensa, fa bene. Ieri per esempio, quando è partito Pogacar, ha detto subito che avrebbe vinto anche questa tappa. C’era ancora Quintana a 40 secondi e così gli ho fatto il gesto di aspettare un momento. Invece a sua volta ha ricambiato il gesto e ha ripetuto che avrebbe vinto Pogacar. E infatti ha vinto lui.

E’ come se vi foste lasciati ieri, ma nel tempo di cronaca avete dovuto riprendere il passo?

No, tutto a posto. Anche in questo secondo me Davide è bravissimo, così come era bravissimo Silvio Martinello, altra persona con cui ho sempre avuto un rapporto molto stretto e molto particolare. Hanno la dote, che secondo me non la impari, di avere i tempi televisivi. Quindi siccome in postazione hai 300 segnali che ti arrivano in cuffia, fra la pubblicità da lanciare, la linea alla moto, la linea al Processo e tutto il resto, a volte occorre cambiare le cose in un battito d’occhio. Per cui chiudo le cuffie sia a Davide sia a Fabio Genovesi, per evitare che vadano in confusione, ma se c’è da chiudere un discorso in tre secondi oppure prolungarlo di 15, con Davide non abbiamo problemi.

Uscito di scena Cassani, nel 2015 in postazione passò Silvio Martinello
Uscito di scena Cassani, nel 2015 in postazione passò Silvio Martinello
Quindi il gran traffico in cuffia ce l’hai solo tu?

Esatto e vi garantisco che è veramente un gran casino. C’è radio corsa, oppure la regia che preme il pulsante sbagliato e manda a noi i messaggi destinati magari a Rizzato sulla moto, quindi i segnali in cuffia sono davvero da perdere la testa. Però è una questione di abitudine.

Rispetto al primo Davide che aveva il suo quaderno e il computer, quello di oggi ha soltanto il telefono…

Ha due telefoni e un tablet. Quindi non ha il computerone come prima, ma ne ha tre piccoli e il risultato comunque è lo stesso. Ha sempre tutto, tutto sotto controllo. Un’altra cosa fantastica di Davide è che lui condivide tutto.

Cioè?

Secondo me è una regola fondamentale per lavorare bene con un commentatore tecnico, lo facevo anche prima quando seguivo la pallavolo. Non bisogna essere gelosi di quello che uno trova. Se io trovo una notizia, una curiosità, una cosa che può arricchire la telecronaca, non devo dirla per forza io. Secondo me la cosa carina è che ci siano ritmo e scambio di voci. In questo per esempio Davide è fantastico. Prima della tappa, arriva e snocciola 250 cose che lo hanno colpito. Oppure mi chiama a mezzanotte e mezza per dirmi che l’indomani si potrebbe dire una cosa e non riesci a fargli capire che potrebbe dirtela anche il giorno dopo. Ha sempre fatto così, a testimonianza appunto della sua grandissima passione e della voglia di condividere tutto. Anche per questo secondo me ci troviamo bene, perché ridiamo, scherziamo. E poi (ride, ndr), per fortuna è uno che non se la prende…

Tutto Pogacar, da mattina a sera, nel giorno dell’impresa

19.05.2024
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LIVIGNO – Quando un corridore del Team Polti arriva, solleva lo sguardo verso la vetta e si chiede sconsolato se non si potesse arrivare un po’ più in alto, la gente intorno ride, mentre Tadej Pogacar è già nel pieno del racconto. La tappa è finita come avevano pianificato, ma tra il dire e il fare c’erano di mezzo l’ultima salita e una scalata prodigiosa per riprendere tutti i fuggitivi e per ultimo il brillante Quintana.

Matxin ha seguito la tappa nel box dei giornalisti, 100 metri dopo il traguardo. Seduto su una sedia e senza farsi notare, inviava aggiornamenti nel gruppo whatsapp dei DS del UAE Team Emirates. Tempi e annotazioni. Poco prima che Tadej attaccasse, uno sguardo per anticiparci quanto stava per succedere. Poi, quando era ormai chiaro che lo sloveno fosse involato verso la vittoria, abbiamo messo da parte la scaramanzia, chiedendogli qualche lume. La conferma dal tecnico spagnolo arrivava puntuale. L’attacco è venuto nel punto desiderato, dove iniziava il vento a favore. E poi ammetteva di trovare insolito vivere le tappe da fermo e non in ammiraglia, ma a guidare la squadra oggi c’erano i diesse italiani: Baldato, Mori e Marcato.

Tadej appare un po’ stanco, ma di certo quelli che continuano ad arrivare dopo di lui (lo faranno ancora per un’ora e 58 minuti) sono conciati decisamente peggio. La crono ha presentato il conto ai suoi sfidanti, ma è ragionevole pensare che per vincere oggi qua in cima anche lui abbia dovuto fare i conti con la fatica. Però quando ha attaccato sembrava che volasse. Agile e potente, con quel 55 spinto senza apparente fatica, ma la fatica c’è stata. Il suo umore tuttavia è decisamente migliore rispetto alla prima settimana e lo si capisce quando con le risposte salta da un tema all’altro con leggerezza e la voglia di sorridere.

Ricordi quando sei stato a Livigno per la prima volta?

Sono stato qui molte volte, la prima al primo anno da junior. Eravamo stati a Sankt Moritz per dieci giorni in una casa in ritiro con la nazionale, quello che potevamo permetterci. E così venimmo a Livigno con un furgone mezzo rotto per fare benzina, perché costa meno e per comprare del cibo. Quella è stata la prima volta, un bellissimo ricordo. Da lì ci sono tornato quasi ogni anno e qui ho anche uno dei ricordi più belli della mia vita. Questa vittoria si avvicina alla cima della lista, ma è ancora molto lontano dal numero uno. Sono super felice di essere di nuovo qui e di aver vinto la tappa regina.

Adesso però dovrai dire qual è il ricordo più bello della tua vita…

Forse posso dirlo, che diavolo! E’ stato quando ho iniziato a uscire davvero con la mia ragazza, la mia fidanzata Urska. A Livigno ci fu il primo appuntamento, un bellissimo momento della mia vita.

Veniamo alla tappa, è durata più di sei ore, come era stato il risveglio? Puoi dirci qualcosa della tua colazione oppure è segreta?

No, non è segreto (ride, ndr). Mi sono svegliato alle 7,20, per fare colazione alle 7,30. Ho mangiato porridge di riso, insomma del riso dolce. Si sposa bene con le fragole e i mirtilli. Poi il pane, quello fatto in casa a lievitazione naturale dal nostro chef, con una piccola omelette. Poi i waffle, sempre fatti dal nostro chef, con marmellata di pesche e anche di lamponi. Insomma, una colazione abbondante e siamo rimasti a tavola per circa 40 minuti. E alle 8,30 siamo partiti dall’hotel per andare alla partenza.

Da adesso in poi, forse comincia un nuovo Giro, dato che i distacchi sono così ampi. Pensi di correre in modo accorto o proverai a vincere ancora per fare la storia della corsa?

Non so cosa dire cosa serva per essere una leggenda o per fare la storia del Giro. Di sicuro però ogni Giro ha la sua storia e le sue storie. In ogni grande corsa avviene qualcosa che poi finirà nei libri. Perciò ora penso più al giorno di riposo qui a Livigno, che per me è uno dei posti più belli d’Italia. E poi vedremo cosa porterà la prossima settimana. Per ora posso dire che sono felice del vantaggio, dei risultati e della mia squadra, il resto lo vedremo giorno per giorno. Mancano ancora sei tappe, speriamo di arrivare a Roma allo stesso modo.

Riprendere Quintana per Pogacar è stato rivivere i ricordi di quando da ragazzo guardava il Tour in tv
Riprendere Quintana per Pogacar è stato rivivere i ricordi di quando da ragazzo guardava il Tour in tv
Matxin ha detto che avete eseguito il piano alla perfezione: avere Quintana là davanti lo ha reso più faticoso?

Sì, il piano era esattamente questo. Quando ho sentito il divario da Steinhauser, ho pensato: “Sì, facciamolo. Proviamo ad aumentare il divario con gli avversari in classifica generale”. Quando abbiamo alzato il ritmo con Majka, non avevo molto chiara la strada, però sapevo che c’era il vento a favore e che mi avrebbe favorito. Mi piace il vento a favore. Poi ho sentito che Steinhauser si stava spegnendo lentamente e che Quintana lo aveva scavalcato. Però non mi sono mai preoccupato davvero. Anche se non avessi vinto la tappa, sarebbe stata comunque una giornata fantastica.

Hai qualche ricordo di Quintana, di quando lottava per i Tour?

Guardavo sempre il Tour quando Froome e Quintana si attaccavano a vicenda ed ero sempre arrabbiato con Nairo. Mi chiedevo perché non provasse ad attaccare prima, a scattare a dieci chilometri dall’arrivo. Invece aspettava sempre gli ultimi tre chilometri. Sono questi i miei ricordi ed era bello comunque da vedere in televisione e ragionare su come avrei voluto fare io. Oggi è andato forte, quelli dalla fuga sono andati tutti.

Il calore deitifosi si è fatto sentire: Pogacar ha sostenitori davvero in ogni angolo d’Italia
Il calore deitifosi si è fatto sentire: Pogacar ha sostenitori davvero in ogni angolo d’Italia
Attila Valter ha provato a seguirti, ma ha detto che era folle rendersi conto della facilità con cui andavi oltre i 400 watt. Ti sorprende che i rivali della classifica non abbiano provato a seguirti?

Non ho guardato indietro quando Majka ha accelerato. Sapevo cosa dovevamo fare, so come corre Rafal e anche cosa mi aspettava. Non mi sono voltato. Ho semplicemente guardato avanti e ho cercato di impostare il mio ritmo. Ho sentito che Martinez ha provato a seguirmi, ha fatto davvero un buon lavoro. Dopo aver preso vantaggio, sapevo che se fossi riuscito a respirare, poi avrei trovato un ritmo davvero buono e così è stato. Quando sono rientrato nel gruppo di Attila Valter, ho dato subito un po’ più di gas. Si fa quando riprendi una fuga, perché qualcuno prova sempre a seguirti. Così è il ciclismo…

Ti manca il fatto di non avere uno sfidante come Vingegaard?

So che quella sfida arriverà a luglio. Per ora posso dire che in questo Giro mi sto divertendo, e d’ora in avanti mi permetterà di fare le mie cose. Non vedo l’ora che arrivi luglio per incontrare Jonas, Remco, Primoz e forse qualcun altro. Perciò, cerchiamo di sopravvivere a questa settimana e poi concentriamoci su luglio.

Ieri hai dimostrato di aver fatto dei grandi passi avanti anche nella crono: una buona notizia proprio pensando a luglio?

Avevamo migliorato la posizione già prima dei campionati del mondo dell’anno scorso, ma era un po’ troppo aggressiva e mi ha rovinato i glutei e anche la testa. Quella con cui ho corso al Giro è un po’ meno aggressiva e nel frattempo sto lavorando sul mio fisico per spingere e adattarmi meglio alla posizione. Ogni allenamento che faccio è migliore, sono davvero soddisfatto della direzione e del miglioramento del mio corpo, della mia posizione, delle mie gambe, della mia motivazione. Dobbiamo concentrarci finché non arriviamo a curare ogni dettaglio.

Tiberi ha pagato la fatica della crono arrivando a 3’59”. E’ 5° nella generale
Tiberi ha pagato la fatica della crono arrivando a 3’59”. E’ 5° nella generale
Dopo queste prestazioni così esaltanti, pensi di essere ancora un atleta con dei margini?

Di sicuro sì. Posso migliorare soprattutto nella crono, perché penso che il mondo del ciclismo ci porterà nei prossimi anni a sfide ancora superiori. E io penso di poter crescere molto. Quindi andiamo per gradi, ma sono davvero felice del punto in cui sono. Le bici per il Tour de France dovranno essere perfette.

Qualcuno dice che il Giro è finito.

No, il Giro finisce sul Monte Grappa, a Bassano. E’ l’ultima dura tappa di montagna, una giornata davvero brutale. Per questo ho continuato a guadagnare vantaggio. Meglio farlo quando si può. Oggi è stato un bel giorno.

Piganzoli-Pellizzari: cuore e gambe, ma a Livigno destini diversi

19.05.2024
5 min
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LIVIGNO – L’aria ai quasi 2.400 metri del Mottolino, frazione di Livigno, è frizzante e pizzica le narici. Fa freddo, la temperatura non supera gli otto gradi e i corridori arrivano uno ad uno con distacchi che danno tempo al sole di nascondersi dietro l’orizzonte. Uno dei primi ad arrivare, alle spalle del vincitore di giornata e maglia rosa, Tadej Pogacar, è Davide Piganzoli. Il corridore della Polti-Kometa oggi ha corso in casa e all’attacco. E’ andato in fuga e si è dimostrato uno dei più attivi.

La Polti-Kometa oggi ha lavorato per Piganzoli, qui alle spalle di Fabbro sul Mortirolo
La Polti-Kometa oggi ha lavorato per Piganzoli, qui alle spalle di Fabbro sul Mortirolo

L’aria di casa

Il calore che i tifosi, assiepati fuori la zona mista, riservano a Piganzoli è fortissimo. Un boato lo accoglie, lui sorride, si siede e racconta questa giornata lunga e impegnativa. «Era la tappa di casa – dice – ci ho provato. Ci ho creduto ma alla fine sono mancate un po’ le gambe».

«Mi aspettavo più bagarre all’inizio – continua il valtellinese – invece la fuga è andata via subito, con un gruppo numeroso di una cinquantina di atleti. Con il passare dei chilometri c’è stata più selezione e siamo rimasti in trenta. Eravamo in cinque della Polti e ho chiesto ai miei compagni di lavorare. Fabbro ha fatto un gran ritmo sul Mortirolo. Io conoscevo bene la discesa e quindi mi sono riportato facilmente sui corridori che si erano avvantaggiati.

Generoso

Sulla strada che lentamente ha portato il gruppo da Bormio alla cima del Passo di Foscagno, Piganzoli è stato uno dei più attivi. Sembrava quello con la gamba migliore, più fresca, tanto che è stato lui a fare la prima mossa ai meno 30 dall’arrivo.

«Non penso di essere stato impaziente – riprende seduto sulla sedia della zona mista – stavo bene e avevo l’opportunità di vincere una tappa al Giro d’Italia, cosa che non capita tutti i giorni. L’ho fatto un po’ con il cuore e un po’ con le gambe, per la mia terra e i miei tifosi. Ho vissuto una giornata di grandi emozioni che mi hanno dato tanta voglia di fare.

«Le gambe alla fine erano quelle che erano. Quando ho provato ad allungare pensavo fosse il momento giusto. Pogacar è stato più forte e si è visto».

Per Pellizzari una fuga dal sapore di rivalsa dopo tre giorni difficili
Per Pellizzari una fuga dal sapore di rivalsa dopo tre giorni difficili

Pellizzari per ritrovarsi

Nel folto gruppo che questa mattina è scappato nei primi chilometri c’era anche Giulio Pellizzari. Lui era anche tra i sei corridori che sulle rampe del Colle San Zeno si sono avvantaggiati anticipando la fuga di giornata.

«Siamo andati via in discesa – sul Colle San Zeno – ero alla ruota del ragazzo della Alpecin-Deceuninck che è sceso davvero forte e gli sono rimasto a ruota. C’era anche Piganzoli, ma ha preso un buco e non ci ha seguiti».

«Forse ci siamo un po’ cucinati nella valle, con quella strada che piano piano saliva e non dava troppo respiro. Probabilmente sarebbe stato meglio stare nel secondo gruppo. Quei 45 chilometri nella valle li abbiamo pagati, tanto che alla prima accelerazione (ad opera proprio di Piganzoli, ndr) sono saltato».

Il sogno di arrivare a Roma

Pellizzari respira. Ha la voce bassa e prima di parlare prende degli integratori dal massaggiatore per accelerare il recupero. Li manda giù insieme a sorsi d’acqua amari come la giornata di oggi, ma lo spirito non si affievolisce

«Sono finito, cotto – ci confida con ancora la fatica negli occhi – ci ho provato più di testa che di gambe. Era una tappa dura per tutti, quindi ho provato ad anticipare ma è stata veramente tosta. Non sto proprio un granché, nei giorni scorsi sono stato male e oggi ho voluto provarci per dare un segnale anche a me stesso».

«Fisicamente sto a pezzi, volevo quasi andare a casa. Domani c’è il giorno di riposo, per fortuna, ci vuole proprio. Arrivare a Roma sarà già un successo ma mi va di provare a finire questo mio primo Giro d’Italia. Infatti, appena mi hanno staccato sono venuto su del mio passo per salvare un po’ di energie. Anche perché la settimana più dura deve ancora iniziare».

Applausi per Quintana: «Adesso sono fiducioso»

19.05.2024
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LIVIGNO – La faccia non è di quelle tristi di chi ha perso una tappa. Anche da dietro gli occhiali, si capisce che Nairo Quintana sorride. A parte il terrore per la curva pendente, stretta e in sterrato, in pratica un baratro, dopo l’arrivo, poi il volto del colombiano si distende.

Asciugamano attorno al collo. Diversi colpi di tosse. Ma anche il tifo dei suoi connazionali. Il rumore fastidioso dell’ennesimo elicottero porta-vip e finalmente il corridore della Movistar inizia a raccontare. La gentilezza è rimasta quella di un tempo.

Nairo Quintana (classe 1990) dopo l’arrivo ai 2.385 metri del Mottolino, secondo a 29“ da Pogacar
Nairo Quintana (classe 1990) dopo l’arrivo ai 2.385 metri del Mottolino, secondo a 29“ da Pogacar

Nairo risorge

Tra i prati innevati del Mottolino per rubare un pezzetto di scena all’azione bellissima di Tadej Pogacar, serviva lui. Serviva un campione importante. A spingere Nairo erano in tanti. Rivederlo ai vertici ha fatto piacere a tanta gente. E la ressa per intervistarlo dopo il traguardo la dice lunga.

«Era una tappa che mi piaceva – spiega Quintana – era molto difficile, c’era molto dislivello. Ci pensavo da quando era iniziato il Giro d’Italia. Peccato essere arrivato al Giro in una condizione non facile. Ma aver tenuto duro è stato importante. E questa tappa è stata emozionante, molto significativa per me».

Nella testa dello scalatore scattano tante cose. Oggi Quintana è tornato ad assaporare, come lui stesso ha detto, le sensazioni di una volta. E probabilmente è per questo motivo che sorride. «La strada – aggiunge – è quella giusta».

Questa frazione misurava 222 km e 14 erano oltre i 2.000 metri: quote che piacciono molto a Nairo
Questa frazione misurava 222 km e 14 erano oltre i 2.000 metri: quote che piacciono molto a Nairo

Mai abbattersi

E’ vero: Pogacar se lo è divorato. Una volta era lui a fare così, ma gli anni passano, la concorrenza oggi più che mai è spietata e i problemi non si può dire non ci siano stati per Nairo. Ma essere ancora qui a lottare è stato significativo.

«Pogacar – riprende Quintana – è stato molto forte. E’ solido e può vincere tutto quello che vuole. Dalla macchina mi dicevano che Tadej era uscito e che dovevo accelerare. Così ho fatto. Il mio è stato un passo importante, ma quando mi ha ripreso sapevo che tenerlo sarebbe stato molto difficile. A quel punto mi sono gestito, cercando di non andare fuori giri e di salire regolare nel finale. Pogacar voleva vincere… c’era poco da fare».

Durante le partenze delle tappe al mattino si parla. E tra le varie chiacchiere Max Sciandri, il suo direttore sportivo, ci aveva detto che Quintana sicuramente sarebbe venuto fuori col passare dei giorni. «Uno col suo motore – aveva detto il tecnico toscano – prima o poi emerge. Anche se non è al top. Gli altri caleranno di più». E così è andata.

Vedere Nairo in piedi è una rarità, ma sapendo dell’attacco di Pogacar stava spingendo a tutta
Vedere Nairo in piedi è una rarità, ma sapendo dell’attacco di Pogacar stava spingendo a tutta

Non finisce qui

Se poi ci si mette anche l’esperienza il gioco è fatto. O almeno sarebbe stato fatto se non ci fosse stato Pogacar. Quintana è stato nella fuga. Dapprima con qualche compagno, poi da solo. Ha contribuito all’attacco, ma sempre senza esporsi troppo. 

Il colombiano è uscito allo scoperto quando era il momento giusto. Quando bisognava dare tutto. Quando ci si avvicinava alle sue quote, quelle del Foscagno, valico over 2.000 metri. E lo ha fatto col suo tipico intercedere: rapporto lungo, spalle fisse verso l’anteriore e nessuna espressione. Sembrava andasse piano. Sembrava…

«Io ero convinto oggi – riprende Quintana – ho spinto forte, ma come ho detto Pogacar voleva vincere. Il Monte Grappa? Eh, lo conosco, lo conosco… lì ho bei ricordi (ci vinse al Giro 2014, ndr). Aspettiamo dai. Il Giro non è finito e adesso sono più fiducioso».

Contador intervista Quintana, tra i due un gesto d’intesa prima di congedarsi
Contador intervista Quintana, tra i due un gesto d’intesa prima di congedarsi

Intesa tra scalatori

Poco prima che lo staff lo caricasse sull’ovovia per tornare a valle, arriva Alberto Contador, inviato di Eurosport. Lui e Nairo parlano in spagnolo. Alberto gli pone più o meno le stesse domande, salvo che Quintana aggiunge che merito di questo suo miglioramento è anche del buon clima che si respira in squadra. «C’è armonia. Ci aiutiamo e le cose vanno bene. Ringrazio la squadra per avermi riportato alle competizioni».

Una volta loro due se le davano di santa ragione, adesso le loro strade sono separate. Ma finita l’intervista tra i due campioni scatta come un gesto d’intesa. Un’intesa tra scalatori. Alberto gli dice all’orecchio, probabilmente gli sospira un: «Bravo». Poi appoggia la sua spalla a quella di Nairo, che contraccambia e ribatte. «Es bueno, es bueno…».

E la fiducia o quel “es bueno”, non sono solo di facciata o di sensazioni. Negli ultimi 15 chilometri, cioè da quando è scattato Pogacar, Nairo è stato il terzo più veloce. Ha incassato 2’58”, una decina di secondi in più di Bardet, che però non era stato in fuga tutto il giorno, ma aveva sempre viaggiato coperto a ruota.

Ha ragione Sciandri: il motore, quando c’è, prima o poi viene fuori.

Alé La Merckx cambia mano e scenari: si va a Livigno

30.12.2023
4 min
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Livigno aggiunge un’altra perla alla sua estate ciclistica, che seguirà di poche settimane la tre giorni del Giro d’Italia sulle stesse strade. La 18ª edizione della Granfondo Alé La Merckx, un appuntamento internazionale, che ogni anno attira quasi 2.000 partecipanti, nel 2024 avrà infatti una nuova casa ed un nuovo team organizzativo. Il celebre brand Alé, organizzatore storico di questa granfondo, passa il testimone al Comune di Livigno, ma resta title sponsor e partner della manifestazione dedicata al Cannibale Eddy Merckx. 

Un nuovo contesto magico per le due ruote che abbraccia la Valtellina arrivando sul Piccolo Tibet con tutto il suo carico di storia e di valori sportivi, per permettere ai suoi appassionati di raggiungere nuovi e diversi traguardi. Il tutto sfidando le grandi vette e i passi epici, che arricchiscono lo splendido orizzonte livignasco. L’appuntamento per l’Alé La Merckx 2024 è fissato per sabato 29 giugno con partenza e arrivo al Centro Acquagranda di Livigno (SO). Una scelta di grande effetto, nel periodo in cui la città è invasa da ciclisti: per gli organizzatori un notevole impegno, così come per le strutture ricettive.

Luoghi unici da scoprire in sella alle due ruote e in compagnia
Luoghi unici da scoprire in sella alle due ruote e in compagnia

Nuovi panorami

Nuovi contesti e panorami da esplorare in sella alla propria bici nella piena sicurezza della granfondo. Due percorsi, disegnati ad hoc per mantenere intatto lo spirito di questo storico evento: un lungo di 173 km con 4.100 metri di dislivello, ed un medio di 96 km con 1.300 metri di dislivello. Il nuovo obiettivo dei tracciati è anche quello di incentivare una partecipazione attiva da parte dei ciclisti desiderosi di mettersi alla prova su salite e tornanti di assoluto valore sportivo.

Il percorso breve prenderà il via dal centro sportivo di Aquagranda, per poi attraversare il centro, passando sulla strada principale, fino a raggiungere il Passo della Forcola, ed entrare così in Svizzera. Da lì, tratto suggestivo e tecnico sul Passo del Bernina, compresi gli ultimi durissimi tornanti. Poi la discesa lungo l’Engadina, fino a Zernez, poi risalita al Passo del Forno, attraversamento finale del tunnel Munt La Schera e traguardo con ritorno all’Aquagranda. 

Impegno che praticamente raddoppia, per il percorso lungo, quello più atteso e spettacolare. Stessa identica partenza del breve, con Aquagranda e centro paese ad accogliere i corridori, ma tracciato che poi si distingue in quanto a difficoltà e complessità tecniche. Prima il Passo dell’Umbrail, appena sotto lo Stelvio, poi discesa verso Bormio, dove si inforca la via che conduce al Foscagno. Da qui, due giganti del ciclismo: il Passo del Foscagno e il Passo Eira, prima del passaggio conclusivo, ancora in Aquagranda. Un disegno impegnativo e pieno d’insidie, che metterà a dura prova gli atleti.

Alessia piccolo insieme al cannibale Eddy Merckx a cui è dedicata la GF
Alessia piccolo insieme al cannibale Eddy Merckx a cui è dedicata la GF

L’impegno di Alé

Un nuovo evento, che cambia il contesto, ma che sarà capace di restare fedele ai valori e allo spirito che Alé ha voluto infondere nella granfondo, nei suoi 17 anni di organizzazione.

«Per 17 anni con Alé ho organizzato – ha dichiarato Alessia Piccolo, AD di APG l’azienda a cui Alé fa capo e storico organizzatore della granfondo – questo meraviglioso evento. Siamo partiti a Brentino e poi nel 2016 siamo arrivati a Verona. Grazie all’ottima collaborazione con l’Amministrazione Comunale, per 7 anni ho potuto far partire i ciclisti davanti all’Arena e farli correre sulle strade di una delle più suggestive città al mondo. Dopo l’edizione del 2023, però, ho dovuto fare un bilancio onesto e capire se, nelle condizioni attuali, vi fossero ancora i presupposti per offrire quell’organizzazione di qualità a cui avevamo abituato i nostri ciclisti.

«Con enorme dispiacere – conclude la Piccolo – ho deciso di rinunciare all’organizzazione dell’Alé La Merckx ed ho trovato qualcuno che avesse le caratteristiche per poterne prendere il testimone. Volevo che garantisse la nostra qualità e mettesse la nostra stessa passione e professionalità. Penso di aver trovato nel Comune di Livigno il candidato ideale».

Livigno con le sue salite è pronto ad accogliere la granfondo
Livigno con le sue salite è pronto ad accogliere la granfondo

Ecosistema Livigno

La nuova casa è quindi Livigno, un luogo che trova legami a questo evento nella storia sportiva. Proprio qui, nel 1972, la tappa Parabiago-Livigno del Giro d’Italia, portò per la prima volta la maglia rosa nel livignasco, con un arrivo in quota domato proprio da quell’Eddy Merckx, a cui la granfondo è dedicata.

«L’arrivo de l’Alé La Merckx a Livigno – afferma Luca Maretti Presidente di APT Livigno – certifica ancora una volta la qualità del lavoro che stiamo facendo sia sul territorio che nei confronti della comunità sportiva internazionale. La nostra località è sinonimo tra le altre cose, anche di ciclismo, e non è un caso che molte squadre di primissima fascia ci scelgono per preparare i grandi Giri e le competizioni olimpiche.

«Ospitare l’Alé La Merckx nello stesso anno in cui anche il Giro d’Italia torna nel Piccolo Tibet, crea un affascinante ponte con il passato, visto che proprio sulle nostre strade, nel 1972, il Cannibale vinse una tappa storica, involandosi verso la maglia rosa. Un augurio per le imprese future, che dall’ispirazione delle leggende prendono sempre linfa e spunti nuovi».

Alé

Livigno

Il regno dei biker diventa tappa del Giro. Andiamo sul Mottolino

01.12.2023
4 min
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Tappa numero 15 del 107° Giro d’Italia, Manerba del Garda-Livigno. Anzi, Livigno (Mottolino). Quel nome nella parentesi cambia tutto. Forse anche il Giro d’Italia stesso.

Il Mottolino non è nuovo al mondo delle bici, anzi. E’ uno dei totem della mountain bike. E’ qui che appassionati di gravity, e non solo, di tutto il mondo vengono a pedalare o a percorrere in discesa le sue paraboliche. Questo è un vero bike park.

Eira + sterrato

Eppure, come detto, il prossimo Giro arriverà ai suoi 2.385 metri. Si salirà da Livigno appunto e di fatto si scalerà l’intero Passo Eira. Tutto meno una decina di metri, forse anche meno. Infatti una manciata di metri prima del cartello marrone che indica il passo, si svolta a destra e s’inizia a salire lungo una strada sterrata.

L’intera salita finale a quel punto misurerà 8,2 chilometri e vedrà pendenze anche del 18 per cento, su fondo sterrato. Dall’Eira al Mottolino mancheranno 1.850 metri al traguardo. Non ci sarà più un tornante, ma solo un paio di curve un po’ più strette. Poi di fatto sarà come un fendente, che tira forte verso il cielo, tra prati ampi, cime a perdita d’occhio e Livigno, che ora si vede e ora no, sulla destra.

“Ballero” biker

Davide Ballerini quassù è quasi di casa, come molti suoi colleghi di fatto, visto che in tantissimi e in tantissime passano qui tante settimane di ritiro e conoscono a menadito certe strade. Solo che il “Ballero” è anche un “biker mancato”.

Il comasco infatti non solo viene quassù in ritiro con la specialissima, ma quando può pedala in mtb. La usa moltissimo. E spesso anche con biker di vertice come Samuele Porro, pluricampione italiano marathon.

Davide si arriva sul Mottolino, ci hai girato in mountain bike?

Sì, sì… Quasi tutti gli anni ci vado, almeno un paio di volte, durante i ritiri estivi, solitamente. Questa estate infatti ho ripreso con una settimana di sola mtb e ci sono transitato spesso. E ogni tanto uso la parte del bike park, con le paraboliche e gli appoggi, per scendere a Livigno divertendomi.

Ballerini durante una delle sue uscite in mtb nella zona di Livigno e del Mottolino
Ballerini durante una delle sue uscite in mtb nella zona di Livigno e del Mottolino
Il Giro d’Italia chiaramente salirà sin lassù dal Passo Eira, che corsa ti aspetti quel giorno?

Sarà una tappa molto dura. Di fatto si salirà sin da Tirano, quindi arriveranno a Livigno dalla Forcola. E quella è una salita di almeno un’ora e un quarto. Breve discesa e poi si salirà verso Trepalle.

Trepalle, che è in cima a Passo Eira. Che salita è quest’ultima?

Non è difficilissima. E’ molto regolare, la sua pendenza è al 6-7 per cento. E’ una salita che in allenamento, al medio, si fa in una ventina di minuti. Poi in cima si gira a destra e si prende appunto il Mottolino, che è in sterrato. Io credo che dal bivio alla cima ci saranno altri 10 minuti di scalata.

E questo paio di chilometri finali come sono?

Non dico un muro, ma ci sono almeno un paio di tratti che superano il 15 per cento. Io l’ho fatta in mtb ed è tosta. In teoria ci si può andare anche con la bici da strada, ma è complicato. In più il fondo è rovinato. Ci passano molti camion che portano su materiale per il lavoro del bike park. Immagino che per il Giro la sistemeranno. D’inverno è una pista da sci.

Abbiamo visto che questo tratto finale è scoperto, senza alberi, ci sarà il rischio vento per te?

Non molto, perché in realtà la strada è coperta (dal monte stesso, ndr). Forse nel finale, che è più aperto, si potrebbe sentire. Semmai il vento si sentirà di più sulla Forcola. Di solito in quella valle il vento è a favore e potrebbe fare la differenza. Altrimenti se è contro, diventa dura.

Se l’Eira non richiede particolarità tecniche, che rapporti serviranno invece per questo tratto finale?

Bella domanda. Io lì ci sono passato solo in mtb, ma ad occhio e croce credo che un 40×32 servirà tutto.

Un Masnada sorridente è pronto a ritornare alle corse

22.08.2023
6 min
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Cinquanta giorni lontano dalla bicicletta e questa è solo l’ultima delle maledette soste forzate. Se si parte dal 2022, Masnada ha dovuto fare i conti con Covid, mononucleosi, cisti e un’infezione prima del Giro. In molti se lo sono domandati quest’estate, ma Fausto dov’è? 

Lo abbiamo ritrovato in altura, sorridente dopo aver concluso un training camp con la Soudal-Quick Step e aver messo alle spalle un’operazione tutt’altro che semplice, nella zona delicata del soprasella. Il giorno del rientro alle corse da maggio si avvicina e le sensazioni sono sempre più buone. 

Per Masnada un ritorno in bici e in squadra
Per Masnada un ritorno in bici e in squadra
Dove ti trovi in questo momento?

Allora ho terminato il training camp con la squadra al Passo San Pellegrino. Ora invece sono sul passo Pordoi, all’Hotel Pordoi dove rimarrò fino al 25 agosto. Ho deciso di fare una settimana in più rispetto al camp della squadra, dato che sono in zona e ne ho approfittato.

Fai un po’ di altura e riprendi allenamenti più specifici?

Sì, esatto. Diciamo che ho fatto un bel blocco d’altura perché prima ancora di andare al training camp sul San Pellegrino ero stato in Svizzera a St. Moritz, poi avevo fatto qualche giorno a Livigno e poi sono andato al San Pellegrino. Questo per arrivare con una condizione ottimale per affrontare l’allenamento con la squadra e con i corridori che poi saranno gli stessi che andranno alla Vuelta, per cui non volevo essere indietro.

A livello emotivo come stai?

Diciamo che adesso è la parte più facile. Ho ripreso a pedalare il 9 luglio, quindi un mese e due settimane fa. Quando ricominci a pedalare stai bene, comunque capisci che le sensazioni sono buone e già il primo step c’è. Ho già raggiunto l’obiettivo che mi ero posto nel momento nel quale ho effettuato l’intervento, dato che comunque l’operazione non è stata una semplice incisione, come tutti dicono, ma è stato qualcosa di più profondo. 

Il training camp è stato per Masnada un test per vedere il proprio livello di preparazione
Il training camp è stato per Masnada un test per vedere il proprio livello di preparazione
A che intervento ti sei sottoposto?

Un’operazione per asportare un’insieme di cisti che si erano raggruppate e avevano formato una sacca nella zona che va a contatto con la sella. Dove in precedenza c’era stata anche un’infezione abbastanza importante, che aveva formato una sorta di ascesso che era andato all’interno della pelle. Quando dall’ecografia o visivamente all’esterno sembrava migliorare, in realtà la parte veramente infiammata era quella che c’era all’interno di questo deposito di tessuto extracellulare. Il chirurgo ha dovuto mettere 15 punti di sutura, in quanto la parte esportata era veramente grossa. Essendo una zona delicata abbiamo dovuto aspettare che la cicatrice si rimarginasse nel modo migliore per poi procedere ad allenarmi e ricominciare gradualmente con le ore in sella.

I medici cosa ti hanno detto sul dopo intervento? Che percentuali di ripresa ci sono?

Quando abbiamo deciso di fare l’intervento, ovviamente la decisione che ho dovuto prendere è stata quella di scegliere il miglior chirurgo che c’è in Italia per fare queste tipologie di intervento. Mi sono rivolto al chirurgo maxillo facciale Antonio Cassisi di Bergamo. Lui era abbastanza tranquillo, sicuro di quello che andava a fare e della riuscita. Dall’altra parte i medici della squadra ovviamente sapevano che sarebbe stato lo step definitivo. O l’intervento andava bene e risolveva il problema definitivamente, oppure, se ad esempio la cicatrice fosse stata troppo grande o se lo spessore della cicatrice nel riassorbirsi sarebbe rimasto troppo largo andando a formare un cheloide, ci sarebbero stati dei problemi e probabilmente non avrei più potuto continuare ad andare in bicicletta.

E adesso?

Per il momento siamo soddisfatti, mi sto allenando a regime, sto facendo tantissime ore in bicicletta. Sento un po’ ovviamente il fastidio della cicatrice, ma questo è normale e previsto. Ci vorranno due o tre mesi per ricostruire i tessuti interni e per far sì che il corpo accetti che tutto venga rigenerato nuovamente al meglio. 

Masnada ha avuto l’occasione di provare la nuova Tarmac Sl8
Masnada ha avuto l’occasione di provare la nuova Tarmac Sl8
L’ultima volta prima del Giro nel momento peggiore ti abbiamo sentito con il morale a terra. Adesso ti troviamo entusiasta e pronto. Tra il 2022 e il 2023 ti è capitato varie volte di fermarti e riprendere. Come gestisci questi momenti?

Ci sono stati anche nel passato momenti in cui ho dovuto interrompere il percorso agonistico a seguito di infortuni. Questa fase è stata la più lunga rispetto alle altre, per cui ho fatto un po’ di fatica nel ricostruire da zero quella che può essere una condizione ottimale per arrivare alle corse. Questa è infatti la ragione per cui ho fatto circa un mese di altura, per andare appunto a lavorare sull’endurance, sulle lunghe salite e sulle tante ore in bicicletta. Settimana dopo settimana, ovviamente faticando parecchio, però la condizione è cresciuta e ho fatto un test l’altro giorno quando eravamo sul San Pellegrino con la squadra e i valori non erano per niente male. Sono numeri che mi potrebbero permettere di rientrare alle corse, ovviamente non per ottenere risultati inizialmente, ma comunque per essere competitivo.

Ti sei fatto un’idea di quando tu possa tornare a un regime di prestazioni sportive ottimale?

Basterà confrontarsi già alle prime corse per capire quali sono le lacune e in quale parte del gruppo mi troverò. Ogni ritorno ha la sua storia, solitamente quando rientro anche dopo infortunio ho sempre una buona resa, per cui dipenderà ovviamente dalle gare che la squadra deciderà di farmi fare, ma non penso e non credo di essere troppo lontano da quello che è il mio standard. 

Le voci di mercato sono nell’aria ma non disturbano lo spirito di squadra
Le voci di mercato sono nell’aria ma non disturbano lo spirito di squadra
Per quanto riguarda le voci di mercato che orbitano intorno a Remco. Ne avete parlato in ritiro? 

In ritiro non c’erano i miei compagni che hanno fatto il mondiale. Però le voci di mercato vanno e vengono. Per quanto mi riguarda sono tranquillo perché ho ancora un anno di contratto con questa squadra, quindi posso rimanere concentrato e fare del mio meglio. Ho ascoltato quello che dicono i compagni, letto i quotidiani e ovviamente a tavola ne parlavamo. Che Remco se ne vada in questo momento è molto, molto difficile. Per una serie di fattori, il primo è che lui stesso si trova molto bene qui. Viene considerato il vero e unico capitano della squadra, com’è giusto che sia. Poi ovviamente tutti gli altri litigi e battibecchi fanno parte un po’ del mercato, no? Come ci sono nel calcio, ci sono anche del ciclismo, però alla fine bisogna vedere le cose concrete. Lui ha un contratto fino al 2026. Rescindere non è così facile, non è che con i soldi si può sempre comprare tutto. Tutto possibile ma in questo caso è difficile. Ci sono delle clausole e delle regole da rispettare. Se cambiasse, sarebbe una cosa che stravolgerebbe il team e nessuno se lo aspetterebbe. Se si guardano anche i movimenti di mercato, come l’acquisto di Landa e il rinnovo di Van Wilder e di Vervaeke, indicano che di base Lefevere è convinto del suo futuro e di quello che sarà la squadra per i prossimi almeno due anni.

Vedrai questa Vuelta da casa tifando Remco e la squadra. Ti pesa?

Se i tempi di recupero fossero stati minori e se l’intervento fosse stato fatto precedentemente, cosa matematicamente impossibile, sarei stato il primo a voler combattere per guadagnarmi un posto alla Vuelta. Però, dato che ho ripreso in bici da un mese sono realista ed è improponibile affrontare un grande giro soprattutto sapendo che il capitano va per vincerlo. Per un Giro d’Italia si inizia a marzo a prepararlo con alture e tutto. Per cui sono stato io il primo a dire che non avrebbe avuto senso la mia presenza soprattuto perché c’è Remco da supportare al 100%. Lui vuole riprovare a vincerla. Io ripartirò a settembre con corse di un giorno e successivamente farò probabilmente una corsa a tappe. Poi ci saranno le corse di fine stagione in Italia.

La Bella, la junior filosofa all’esame del mondiale

04.08.2023
5 min
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Se dodici mesi fa qualcuno avesse detto ad Eleonora La Bella che quest’anno al primo anno da junior avrebbe corso il mondiale, probabilmente lo avrebbe preso per visionario. Invece no, domani sarà una delle azzurre che il cittì Paolo Sangalli schiererà nella prova iridata di Glasgow.

L’annata della 17enne della BFT Burzoni finora è stata al di sopra delle aspettative, anche se i suoi attuali tecnici ne avevano già intravisto il potenziale da allieva. La Bella era riuscita ugualmente a sorprenderli con i primi test invernali. Non solo, aveva rilanciato centrando la vittoria in solitaria a Ceriale all’esordio stagionale. Poi è arrivato il bis in Friuli alla quarta gara nella categoria fino al terzo centro ottenuto a metà luglio a Breganze. Nel mezzo c’è stato tanto altro. Piazzamenti, convocazioni in nazionale, due secondi posti ai campionati italiani sia a crono che in linea ed una crescita costante. Eleonora ha appena concluso il ritiro azzurro a Livigno, ne valeva la pena quindi sentire come sta vivendo questo periodo.

Iniziamo dagli ultimi giorni. Cos’hai provato quando hai saputo che correrai il mondiale?

E’ un sogno che si avvera. Già lo era la stagione che stavo facendo, ma così ancora di più. Paolo (il cittì Sangalli, ndr) ci ha anticipato qualcosa durante gli allenamenti a Livigno. Poi un giorno di brutto tempo stavamo facendo i rulli ed è passato da ognuna di noi per comunicare la sua scelta. Quando è stato da me e mi ha detto che avrei corso per poco cado dai rulli (sorride, ndr). In quel momento mi sono sentita subito più energica. Resto concentrata, ma non sento tensione. Domani partiremo con compiti ben precisi.

Avete già parlato di tattica?

Qualcosa sì, anche se è ancora tutta da vedere. Ne parleremo ancora prima della gara. Sappiamo però che correremo per Venturelli, che è il gioiello da proteggere. La capitana è lei, è giusto così ed io sono ben contenta di poterle essere d’aiuto. Ovvio che voglio farmi trovare pronta qualora si dovesse aprire spazio per me ma ora non è nei miei pensieri.

Il podio del tricolore in linea. Dopo l’argento a crono, La Bella ancora seconda, stavolta tra Venturelli e Cagnazzo (foto Franz Piva)
Il podio del tricolore in linea. Dopo l’argento a crono, La Bella ancora seconda, stavolta tra Venturelli e Cagnazzo (foto Franz Piva)
Com’è il rapporto con la nazionale in generale?

Molto buono benché abbia fatto poche corse. La Omloop Van Borsele, dove mi sono dovuta ritirare per una caduta, e il Fiandre dove invece sono riuscita a fare un buon nono posto. Al Nord si impara a correre. Il ritmo è alto e tutte vanno sempre all’attacco. Tra i tecnici ho trovato persone che mi stanno insegnando molto. Anche con le compagne va molto bene. Ad esempio con Federica (Venturelli, ndr) siamo diventate molto amiche. A Livigno siamo state compagne di stanza e ci siamo conosciute meglio. Lei è molto più matura della sua età e di me. Mi dà consigli su tutto e poi è molto precisa, come lo sono io e forse anche di più.

Secondo te perché sei riuscita ad entrare nel giro azzurro?

Eh (sospira e sorride, ndr) forse perché me lo sono meritata. Naturalmente contano le vittorie e i risultati, ma in realtà è per altri motivi. Uno è il coraggio. Quest’anno ho osato di più e ogni tanto sono stata premiata dalla fortuna. Ma principalmente il merito è del buon lavoro che sto facendo grazie alla mia squadra, la BFT Burzoni. Sono cresciuta a livello psicofisico. Siamo un gruppo molto unito. I diesse e lo staff tecnico mi danno sempre tanti suggerimenti e mi chiamano spesso.

Avversarie e amiche. La Bella ha stretto un bel rapporto con Venturelli grazie ai ritiri azzurri
Avversarie e amiche. La Bella ha stretto un bel rapporto con Venturelli grazie ai ritiri azzurri
Che cosa ti dicono?

Le loro telefonate abbattono la lunga distanza che ci divide. L’ambientamento è stato ottimo anche se io sono timida e ci metto un po’ a sciogliermi. In squadra siamo tutte di regioni diverse e il mio accento laziale mi ha aiutato (ride, ndr). Le gare poi hanno rafforzato il nostro legame.

Vista la tua stagione avverti un po’ di pressione?

Assolutamente no. Non mi aspettavo di fare un 2023 del genere, ma non mi monto la testa. So che devo crescere e migliorare ancora. Prendo tutto quello che viene, sia le cose positive che le negative. Sono al primo anno da junior e non sono preoccupata dalla differenza fisica o anagrafica. Ogni domenica faccio un reset dimenticando tutto quello che ho fatto prima. Parto per fare la corsa se mi si addice, altrimenti mi metto al servizio delle compagne ben volentieri o comunque seguo quello che mi dicono i diesse.

Completiamo la tua descrizione. Chi è Eleonora La Bella?

Sono una ragazza che vive ad Anagni, in provincia di Frosinone. Ho corso con il Punto Bici di Aprilia da esordiente e da primo anno allieva. L’anno scorso invece ero con Il Pirata Vangi tra Toscana e Lazio. Frequento il liceo classico Alighieri della mia città e l’anno prossimo affronterò la maturità visto che ho fatto la “primina”. La media dei voti è alta e vorrei continuare facendo l’Università, magari Lettere o Psicologia. A scuola stiamo studiando filosofia con i testi di latino e greco. Sono affascinata da queste materie, mi hanno aiutato a crescere, anche in gara. Carpe diem, “cogli l’attimo”, o Pàthei màthos, “apprendimento attraverso la sofferenza” sono frasi precise per noi ciclisti.

Due picchi di forma nella stessa stagione: come si fa?

15.07.2023
5 min
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«Ad aprile e maggio ho fatto terzo al Romandia e poi quarto al Giro. Ora lavoriamo per avere un secondo picco di forma e andremo alla Vuelta». Questa frase detta da Damiano Caruso durante la nostra ultima intervista merita un approfondimento. Il ragusano ha incentrato la sua stagione su due picchi di forma: il primo al Giro ed il secondo alla Vuelta. Ma come si lavora per arrivare pronti a due momenti così diversi della stagione?

Come il corridore della Bahrain Victorious, anche Remco Evenepoel si presenterà alla Vuelta, dopo il ritiro dalla corsa rosa per Covid. Il campione del mondo è stato terzo al Tour de Suisse (foto di apertura), ha poi conquistato il campionato belga su strada e ora si preparerà a difendere la maglia rossa.

I corridori di punta delle varie squadre tendono ad avere due picchi di forma durante la stagione (foto Instagram Hindley)
I corridori di punta delle varie squadre tendono ad avere due picchi di forma durante la stagione (foto Instagram Hindley)

Parola ad Artuso

Il caso specifico di Caruso è interessante ed apre spiragli e ragionamento che prendono il mondo della preparazione a 360 gradi. Abbiamo chiamato in causa Paolo Artuso, che con Caruso ha lavorato molto negli anni passati, prima di andare a seguire i corridori della Bora Hansgrohe

«Di base – spiega Artuso – un corridore può decidere tre modi diversi di affrontare la stagione. Il primo è quello di avere un solo picco di forma, di solito in corrispondenza del Tour. E’ un metodo che ha usato per anni Froome, ma è diventato sempre più raro nel ciclismo moderno. Il secondo, è quello deciso da Caruso (ma anche da Thomas, ndr), con due grandi picchi di forma. Questi possono essere in corrispondenza di Giro e Vuelta o di Classiche e Tour. L’ultimo è avere tre macro momenti di forma durante la stagione, in questo caso non si arriverà mai al 100%. Questa scelta di solito la si fa con dei gregari forti che si vogliono portare a più corse possibili».

Il terzo posto al Romandia è servito a Caruso per avere le prime risposte sulla preparazione in vista del Giro
Il terzo posto al Romandia è servito a Caruso per avere le prime risposte sulla preparazione in vista del Giro
Quando si opta per due picchi di forma come si lavora?

Solitamente si fa un performance plan, partendo dal determinare gli obiettivi durante la stagione. In questo caso Giro e Vuelta. Poi all’interno della stagione ci possono essere dei sotto obiettivi, le classiche “tappe di avvicinamento”. Queste consistono in corse dove arrivare pronti ma non al massimo (Caruso quest’anno ha optato per il Romandia, chiuso terzo, ndr). 

E poi?

Da qui si individuano i processi per raggiungere gli obiettivi, come i volumi di allenamento ed il peso. Per esempio: si decide che a dicembre si arriveranno a fare 90 ore di bici e che il peso sarà uno o due chili sopra quello ideale. Le tappe di preparazione variano a seconda dei periodi, più ci si avvicina alla corsa più si entra nello specifico. Magari verso marzo e aprile inserisci dei lavori ad alta intensità, come ripetute sui 30 minuti. 

Una volta portato a casa il risultato come si lavora per preparare il secondo obiettivo?

E’ come se si fosse ad ottobre, praticamente diventano due stagioni in una, così da arrivare freschi alla Vuelta, nel caso di Caruso. Diventa fondamentale fare del recupero attivo, per non perdere tonicità muscolare. Damiano ha un motore rodato e questo gioca a suo favore, ha tante stagioni alle spalle e ciò è un punto a favore. 

Andare ad allenarsi in altura permette agli atleti di essere monitorati e di aver maggior supporto tecnico
Andare ad allenarsi in altura permette agli atleti di essere monitorati e di aver maggior supporto tecnico
Anche se forte delle sue qualità lo stesso Caruso ha detto che ha fatto un recupero attivo, per non arrivare troppo riposato al ritiro in altura, che vuol dire?

Semplice. Se arrivi troppo riposato, passi da zero a cento in breve tempo e il fisico ne risente. In altura per forza di cose si fa fatica, si accumulano chilometri e tanti metri di dislivello, se sei troppo fresco rischi di non lavorare bene. C’è la possibilità di dover rivedere i carichi di lavoro e cambiare i programmi e questo non va bene.

Quando si è a casa come si lavora per arrivare pronti al ritiro?

Si attuano dei protocolli dedicati. Noi avevamo tre fasi, gestite sia per allenamento, che per nutrizione e monitoraggio. La prima fase riguarda l’adattamento: per arrivare pronti in ritiro non bisogna stare fermi ma nemmeno accumulare troppa fatica, solitamente si sta sulle 20 ore di allenamento settimanali. Un paio di settimane prima del ritiro si fanno gli esami del sangue, per capire i livelli di: transferrina, ferro, ematocrito ed emoglobina. Si fa anche un check dei profili ormonali. Da questi dati si decide la strategia alimentare. 

Per quali motivi si va in altura?

Per tre motivi: il primo è avere una risposta ematica, quindi rinnovare i globuli rossi. Quando hai la squadra al seguito si è monitorati al meglio, si tengono sotto controllo tutti i valori: frequenza cardiaca, saturazione, qualità del sonno, peso e idratazione. 

In altura si dorme in quota e ci si allena più in basso (foto Instagram Hotel Spol Livigno)
In altura si dorme in quota e ci si allena più in basso (foto Instagram Hotel Spol Livigno)
Una volta saliti in ritiro?

Per i primi giorni, dai due ai quattro, si riduce il volume di allenamento del 25% più o meno, in funzione dell’adattamento. Va detto che se non è il primo ritiro in altura dell’anno, l’atleta si adatta più velocemente. Nei giorni successivi si lavora, con l’obiettivo di dormire in alto e allenarsi in basso, così si può tenere alta l’intensità. 

E nell’ultima fase?

Si valuta quanto ridurre i carichi in base agli obiettivi. Solitamente chi va alla Vuelta corre prima alla Vuelta Burgos e al Tour de Pologne (questo è anche il programma di Caruso, ndr). Solitamente si riducono i carichi di lavoro anche del 50% rispetto a quando si era in altura. Al termine del periodo di adattamento, a casa, si fanno tre o quattro giorni con allenamenti ad alta intensità, come dietro motore o simili. 

Poi si va a correre…

Le corse di avvicinamento funzionano allo stesso modo della prima parte di stagione. Si va alle gare per vedere lo stato di preparazione e per fare qualche buon risultato in vista dell’obiettivo principale.