Van Aert è tornato a casa con un bottino di 10 record

30.07.2022
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Gli aggettivi sono finiti. Persino l’avversario Matxin ieri ha parlato di Wout Van Aert come del corridore più forte del Tour. Allo stesso modo in cui nei giorni scorsi riconoscimenti simili gli sono venuti da tutto il mondo del ciclismo e dal pubblico che è corso ad applaudirlo nel circuito di Herentals, la sua città. Si parla di quasi 50.000 spettatori.

Eppure ci sono casi in cui i numeri descrivono la realtà meglio delle sensazioni e del colpo d’occhio. Non parliamo di dati di allenamento e gara, che pure nel suo caso sarebbe interessante conoscere, ma della misura del suo Tour de France. Che una settimana dopo è stato possibile quantificare.

1) Tre vittorie come nel 2021

Una da solo, una volta in uno sprint di gruppo, una volta nella cronometro. Proprio come l’anno scorso, Van Aert è tornato in Belgio con tre vittorie di tappa. La tipologia delle sue vittorie mostra ancora una volta la sua estrema versatilità. Con le tre di quest’anno, il suo bottino francese sale ora a nove tappe. Wout non è mai tornato in Belgio a mani vuote: anche nel 2019 in cui si è ritirato, è riuscito prima a conquistare una vittoria di tappa. Quattro Tour di fila, nove tappe vinte.

Con il figlio George, alla fine del Tour, ritrovando il clima di casa
Con il figlio George, alla fine del Tour, ritrovando il clima di casa

2) 480 punti: un record

Nessuno nella storia recente ha mai raccolto più punti nella classifica della maglia verde. Fino a sabato, Sagan era il detentore del record con i suoi 477 punti del 2018. Van Aert lo ha superato con la vittoria nella cronometro del sabato, salendo a 480 punti. In questa edizione del Tour, ha conquistato la classifica con 200 punti di vantaggio su Jasper Philipsen, anche lui belga e secondo a Parigi. Nel 2021, nonostante le quattro vittorie di tappa, Cavendish si fermò a 337 punti.

3) 20 giorni in verde

Solo dopo la cronometro di Copenhagen, Van Aert ha dovuto cedere la maglia verde al vincitore Lampaert. Il giorno dopo aveva già riparato l’errore. Van Aert ha indossato la maglia verde per venti giorni di seguito. Solo cinque prima di lui sono riusciti nell’impresa: Van Looy, Kelly, Vanderaerden, Abdoujaparov e Sagan. Solo due – Darrigade e Maertens – hanno fatto meglio e l’hanno indossata dall’inizio alla fine.

4) 8 volte tra i primi tre

Dove ha ottenuto tutti quei punti? Ovunque e praticamente ogni giorno. In ben otto tappe, più di un terzo dell’intero Tour, Van Aert è arrivato fra i prime tre di tappa. Oltre alle tre vittorie, è arrivato quattro volte secondo. Aggiungendo il settimo posto a Saint Etienne, si raggiungono nove piazzamenti nei dieci.

Tour de France 2022, Hautacam: vincendo la tappa, Van Aert avrebbe vinto la maglia a pois
Tour de France 2022, Hautacam: vincendo la tappa, Van Aert avrebbe vinto la maglia a pois

5) Un altro belga in verde

Quattordici belgi hanno preceduto Van Aert come il vincitore del verde a Parigi. Ma per l’ultimo, Tom Boonen nel 2007, dobbiamo tornare indietro di quindici anni.

6) Quinto per la maglia a pois

Sembra un dettaglio del Tour di Van Aert, ma davvero non lo è. Fino all’ultima vera salita, Van Aert ha lottato per la maglia a pois. Se a Hautacam non avesse vinto Vingegaard ma lui – sarebbe forse bastato non fermarsi per aiutarlo – il Belgio avrebbe trovato il successore di Lucien Van Impe, vincitore del Tour del 1976 e per ben sei volte della maglia a pois. Wout ha dovuto… accontentarsi del quinto posto nella classifica della montagna.

7) 42 secondi su Ganna

Questa ci fa male, perché riguarda noi. La differenza di Rocamadour è il più grande distacco fra i due a cronometro. Se Ganna è stato per anni la bestia nera di Van Aert nelle cronometro – si pensi ai mondiali in Belgio dello scorso anno – in questo Tour, Wout si è preso la rivincita. Van Aert è stato più forte dell’azzurro a Copenaghen e poi appunto a Rocamadour, dove Pippo ha dovuto concedergli 42 secondi su oltre 40 chilometri. 

La lunga fuga in maglia gialla nella prima settimana, che tanto fu criticata
La lunga fuga in maglia gialla nella prima settimana, che tanto fu criticata

8) Quinto belga nel Super Combat

Con 687 chilometri in testa al gruppo, Van Aert ha vinto due volte il premio di atleta più combattivo e poi si è portato a casa la classifica finale (per 549 chilometri è stato in fuga). Il totale delle preferenze è stato così travolgente che la formula scelta è stata quella di “unanimità di voti”, senza che ASO abbia divulgato il numero. Peccato, sarebbe stato interessante conoscerlo. Il premio ha reso alla squadra altri 20.000 euro, mentre Van Aert è stato il quinto belga a conquistare il premio. Prima di lui Pauwels, Van Looy, Merckx (quattro volte) e Wellens.

9) Quattro sprint intermedi 

La maglia verde si conquista anche quando le telecamere non girano e i fotografi non scattano. Così alle tre vittorie di tappa, si sommano quattro volate negli sprint intermedi. Più tre secondi posti e un’altra serie di piazzamenti fra i primi 10. Ci fosse ancora una maglia per i traguardi volanti, Van Aert avrebbe conquistato anche quella.

10) 130.570 euro di premi

Le vittorie, i piazzamenti, gli sprint intermedi e altri premi hanno portato a Van Aert un totale di 130.570 euro di premi. La sola maglia verde a Parigi ne vale 25.000. Il quinto posto nella classifica delle montagne ne vale per 3.500. A confronto: il numero tre della classifica finale, Geraint Thomas, ha conquistato a Parigi… solo 100.000 euro.

Il Tour di Vingegaard, un piano ben riuscito

26.07.2022
6 min
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Sui Campi Elisi c’è ancora l’eco del vociare sfinito e festante di domenica sera, anche se la carovana del Tour si è dispersa in mille scintille, schizzate dalla fiamma di Parigi verso casa, verso i circuiti o la prossima corsa. Vingegaard invece continua a vivere nella sua bolla e a giudicare dalla sua espressione, ci rimarrà ancora parecchio. Il ritorno a casa ha il sapore di una festa in Olanda, poi una in Danimarca. Poi finalmente per la maglia gialla verrà il momento di trascorrere qualche giorno a casa. Il racconto dei suoi giorni da re lo ha fatto come di rito nell’ultimo incontro con la stampa, il momento in cui finalmente si abbassano le armi e ci si lascia un po’ andare. Anche se del suo essere riservatissimo abbiamo già detto.

Sulla sua Cervélo celebrativa, poche parole chiare: Jonas conquista il giallo
Sulla sua Cervélo celebrativa, poche parole chiare: Jonas conquista il giallo
Cosa ricorderai di questo Tour?

Abbiamo trascorso tre settimane incredibili. Personalmente, ricorderò per sempre le due vittorie al Col du Granon e ad Hautacam. Non è tanto il fatto di aver vinto che le rende così speciali. E’ stato più il modo in cui abbiamo corso in quei due giorni, dando tutto, applicando una strategia offensiva che preparavamo da mesi. E poi ovviamente, il giorno del pavé. A un certo punto ero davvero nei guai e mi hanno salvato i miei compagni. Se non avessero fatto tutto quel lavoro per riportarmi in gruppo, non credo che avrei vinto il Tour de France.

Ci sono stati momenti di dubbio?

Ovviamente. Sul pavé ho perso solo 13 secondi, ma Primoz (Roglic, ndr) è caduto. Quel giorno sembrava che il piano ci stesse sfuggendo di mano. Avevamo pianificato tutto attorno a due leader. Molti giornalisti sembravano dubitare che io e Primoz potessimo davvero convivere. Quella sera ci siamo imposti di continuare a crederci e a combattere come avevamo programmato. Ci siamo aggrappati al nostro desiderio di mostrare di cosa fosse capace il nostro team.

Nonostante Roglic già in ritardo, gli attacchi sul Galibier erano stati preparati così
Nonostante Roglic già in ritardo, gli attacchi sul Galibier erano stati preparati così
Senza nessun condizionamento?

Il fatto che Primoz abbia perso più di due minuti da Pogacar ci ha davvero disturbato, perché la nostra idea era di attaccare in montagna avendo entrambi lo stesso distacco da Tadej, ma abbiamo giocato le nostre carte come se fosse così. Penso che fossimo tatticamente superiori e che per il pubblico sia stato un Tour emozionante da guardare.

Come è stato veder andar via Roglic?

Primoz ha lottato tanto, per dieci tappe. Ogni giorno lo vedevamo soffrire e ci rattristava. Poi una sera ci ha detto che le cose andavano davvero male. E’ stato commovente perché, pur salutandoci, ha detto anche che era fiero di noi e che dovevamo continuare a lottare, che era orgoglioso di quello che avevo fatto e che credeva in me.

I rulli dopo la tappa, con addosso i segni della caduta sul pavé
I rulli dopo la tappa, con addosso i segni della caduta sul pavé
E’ stato un Tour di forti emozioni…

E’ raro vedere una tale emozione collettiva nel ciclismo. Le lacrime di Wout, le mie, sono come valvole che cedono dopo tre settimane di estrema tensione. Credo che questo parli della grandezza di ciò che abbiamo raggiunto collettivamente. Alla Jumbo Visma c’è un gruppo che va molto d’accordo, abbiamo costruito una solida amicizia tra di noi perché trascorriamo molto tempo insieme. Non è che ci vediamo tre o quattro volte l’anno. Da metà maggio viviamo in comunità, lavoriamo, ceniamo tutti insieme, ridiamo, ma ci prendiamo cura anche l’uno dell’altro. Ecco perché eravamo così commossi.

Immaginavi che la tua vittoria smuovesse anche certi sospetti?

I sospetti non mi danno fastidio, è giusto farci queste domande. Ma il nostro sport è cambiato. E se si tratta della mia squadra, metto la mano nel fuoco per ciascuno dei miei compagni di squadra. Siamo puliti al 100 per cento.

La squadra come una famiglia. Qui l’abbraccio con Kuss dopo la crono: il Tour è vinto
La squadra come una famiglia. Qui l’abbraccio con Kuss dopo la crono: il Tour è vinto
Credi fosse necessario avere due leader per battere Pogacar?

Non ne abbiamo la certezza, ma penso di sì. Senza il lavoro che ha fatto Primoz durante la tappa del Granon, tutti i suoi attacchi che hanno stancato Pogacar, non so se sarei riuscito a batterlo.

E’ stato facile accettare la coabitazione?

Tutti erano d’accordo su questa strategia. Successivamente, abbiamo concordato che se uno di noi avesse ottenuto un vantaggio, l’altro si sarebbe messo al suo servizio. Andiamo molto d’accordo, non è stato un problema accettarlo. Mi dispiace solo che Primoz sia stato eliminato nuovamente da un incidente, non lo meritava. Dopo il pavé, ci credeva ancora, ma era ferito in modo davvero serio.

Non solo la maglia gialla: alla fine Vingegaard ha portato a casa anche quella della montagna
Non solo la maglia gialla: alla fine Vingegaard ha portato a casa anche quella della montagna
La vittoria cambierà questi equilibri?

No, abbiamo messo in atto la soluzione giusta e non vedo perché dovremmo cambiare. In realtà non ne abbiamo ancora parlato e sta ai tecnici rispondere. Io continuo a pensare che essere in due resti un vantaggio.

Sogni di diventare un corridore completo come Pogacar?

No, rimarrò concentrato sulle gare a tappe. Quelle di un giorno mi vanno meno bene perché sono un corridore resistente, che aumenta lentamente di potenza. Ho sempre bisogno di due o tre giorni per raggiungere il mio livello.

Nel 2019, primo anno con la Jumbo Visma, Vingegaard era un talento ancora da sgrezzare
Nel 2019, primo anno con la Jumbo Visma, Vingegaard era un talento ancora da sgrezzare
SI è parlato dei tuoi pochi risultati nelle categorie giovanili…

Non è facile sfondare a 23 anni. Ci sono tanti fattori che determinano il successo di un corridore. Allenamento, vita, carattere. Prima dei vent’anni, io non avevo idea di poter essere un professionista, non brillavo su nessun terreno, l’unica cosa che parlava di buone potenzialità erano i miei test. Il mio allenatore alla Jumbo, Tim Heemskerk, mi disse subito che avevo progressi da fare in tutti i settori: recupero, alimentazione, allenamenti…

Cosa farai nei prossimi giorni?

Voglio solo andare a casa e riposarmi! Ma prima ci saranno due cerimonie, martedì (oggi, ndr) in Olanda e mercoledì in Danimarca. Tornerò a Tivoli, il luogo in cui si è svolta la presentazione delle squadre

Vingegaard commosso alla presentazione delle squadre a Copenhagen
Vingegaard commosso alla presentazione delle squadre a Copenhagen
Bei ricordi?

Quando seppi che il Tour si sarebbe svolto in Danimarca, mi dissi subito che avrei voluto esserci. Ebbene, a causa del Covid, è stato posticipato di un anno, ma per ogni corridore danese è stato pazzesco.

Quel giorno hai pianto.

Sì, sono un tipo emotivo. Ero così sconvolto, da non essermi accorto che mentre il pubblico gridava il mio nome, Primoz avesse preso il microfono per gridarlo anche lui

Il giorno dopo, a piccoli passi nel mondo di Jonas

25.07.2022
6 min
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Dalla Coppi e Bartali del 2021 al podio del Tour nello stesso anno e da lì alla maglia gialla, il percorso di Jonas Vingegaard potrebbe essere raccontato come una favola, perché della favola ha la partenza e il lieto fine.

Nel mezzo invece, la vita del danese della Jumbo Visma è un concentrato di dedizione e senso del dovere, come quando cresci sapendo che il pane prima di mangiarlo, devi sostanzialmente guadagnarlo. E come quando l’arrivo di una figlia ti suggerisce che c’è un motivo in più per rimboccarsi le maniche.

L’uomo del pesce

Fino ai 22 anni, quindi fino al 2018, Vingegaard correva infatti per la continental danese ColoQuick. E siccome questo non gli sarebbe bastato per vivere, univa alla bici il lavoro nel mercato del pesce, dove rimuoveva le interiora dal pesce dalle 5 del mattino a mezzogiorno. Solo allora poteva iniziare ad allenarsi. Di fatto, Jonas ha lasciato quel lavoro solo alla firma del contratto con la Jumbo Visma, ma nessuno in patria è più riuscito a togliergli di dosso il soprannome di “pescatore”.

Tutto di giallo per il gran finale, Vingegaard ha vissuto la celebrità con discrezione
Tutto di giallo per il gran finale, Jonas ha vissuto la celebrità con discrezione

Una bici in vacanza

I suoi genitori ricordano di quando una volta, durante una vacanza di famiglia, Jonas fosse sparito su per una salita, tornandone a tarda ora e con un sorriso grande così. Che a pensarci bene è il racconto che accomuna alcuni fra i più grandi campioni di questo sport.

La passione per il ciclismo viene dopo quella per il calcio, abbandonato per lasciare posto alla bicicletta, e venne scatenata il giorno in cui il Giro di Danimarca attraversò Hillerslev, la loro città natale.

Sua madre Karina, che è forse la sua tifosa più grande, ha raccontato in alcune interviste che il metodo danese di avviare i ragazzi al lavoro già al termine del percorso scolastico sia il modo migliore per farli maturare. Anche grazie a questo suo figlio è approdato al professionismo già formato al lavoro, conoscendo regole e strutture, e pronto per le difficoltà che esso comporta.

Karina e Claus, i genitori di Vingegaard: una piccola porta sul suo mondo (foto Norway Posts)
Karina e Claus, i suoi genitori: una piccola porta sul suo mondo (foto Norway Posts)

Da Strava al WorldTour

La storia racconta che Jonas fosse già tra gli osservati, ma la Jumbo Visma fosse in realtà più interessata a Mikkel Honoré (ora alla Quick-Step). Tuttavia i tecnici decisero alla fine di scommettere su Vingegaard, valutando che i suoi risultati fossero meno prestigiosi a causa del minor tempo per allenarsi, dovuto proprio al lavoro e a qualche infortunio.

Così, dopo aver riscontrato su Strava il celebre KOM sul Coll de Rates (salita usata dalle squadre per i test durante i ritiri nella zona di Alicante), lo convocarono in Olanda per una valutazione più approfondita. Da questa emerse una capacità cardiaca fuori dal comune, del 15 per cento superiore alla media dei corridori. E questo, visti i 58 chili di partenza, gli avrebbe consentito un rapporto potenza/peso piuttosto importante (anche se i numeri non sono mai stati diffusi).

In salita, già dal Granon, ha dimostrato di avere un passo vincente
In salita, già dal Granon, ha dimostrato di avere un passo vincente

Lacrime a Copenhagen

La partenza del Tour dalla Danimarca è stata la chiusura del cerchio. Le immagini della sua commozione hanno fatto il giro del mondo, travolto dall’affetto ricevuto dal pubblico di casa. I danesi amano gli sfavoriti e Vingegaard, con il suo aspetto infantile, era l’eroe perfetto all’ombra dell’imbattibile Pogacar.

Durante i racconti messi insieme nei giorni del Tour, Vingegaard ha ripetuto che quella partenza gli ha dato una motivazione speciale. Che il Tour è stato una serie di avventure indimenticabili, ma i giorni in Danimarca li ricorderà per sempre.

Grande stima per Pogacar, ma caratteri diversi
Grande stima per Pogacar, ma caratteri diversi

Vingegaard vs Pogacar

Il dualismo con Pogacar viene vissuto con garbo tutto nordico. Da quando ha capito di poterlo battere e dopo aver vissuto dall’interno il dramma del compagno Roglic al Tour del 2020, Vingegaard si è dedicato anima e corpo a migliorare nella cronometro. La chiave per aspirare alla maglia gialla e per scongiurare finali come quello di due anni fa.

I due sono profondamente diversi. La giovialità del primo si contrappone alla riservatezza del secondo. La loro capacità di relazione durante il Tour, la correttezza di Vingegaard nel non attaccare quando Pogacar è caduto e le congratulazioni dello sloveno dopo le tappe perse, hanno conquistato i tifosi, ma il rapporto fra i due resta strettamente professionale. Rispetto e stima reciproca, più che amicizia. Vingegaard ha raccontato di non avere il numero di telefono del rivale.

La coppia delle meraviglie: Vingegaard e Van Aert, il Tour sulle loro spalle
La coppia delle meraviglie: Vingegaard e Van Aert, il Tour sulle loro spalle

Affari di famiglia

Del resto, che ci sia un muro fra il danese e il mondo è abbastanza evidente. Jonas Vingegaard è una persona tranquilla, poco disposta a condividere la sua vita fuori dalla bici con degli estranei. Provate durante la prossima conferenza stampa a fargli dire qualcosa di diverso dalla gara: cambierà discorso. Ecco perché per conoscere i dettagli della sua vita è stato necessario rivolgersi a compagni di squadra, tifosi e anche ai suoi familiari. I suoi stessi profili social sono funzionali alla carriera di ciclista, altro non contengono.

L’unica eccezione alla privacy lo abbiamo visto nell’abbraccio con la sua compagna e la figlia quando l’hanno raggiunto al traguardo della crono. In quel nucleo così stretto c’era tutto il suo mondo. E gli altri, pur potendo osservare, hanno avuto la chiara sensazione di non essere invitati.

La famiglia è il centro di Vingegaard: dopo la crono, i tre sono stati un lampo di bellezza
La famiglia è il centro di Vingegaard: dopo la crono, i tre sono stati un lampo di bellezza

Doping, no grazie

Sempre garbato e mai oltre il limite, anche quando nella conferenza stampa di fine Tour gli è stato chiesto se sia giusto fidarsi di lui, con evidente riferimento al doping.

Intendiamoci, abbiamo sentito varie invettive di stampa nei confronti di chi ha posto la domanda e non le condividiamo. I giornalisti devono fare domande: per troppi anni in passato questa indignazione di maniera ha permesso di coprire scempi di cui paghiamo ancora il conto. E soprattutto la domanda ha permesso a Vingegaard di rispondere da campione.

«Non è più lo stesso ciclismo – ha detto – sono nato nel 1996, anno della vittoria al Tour di Bjarne Riis (che nel 2007 ammise di essersi dopato, ndr). So che la Danimarca ha una storia con il doping, come tanti altri Paesi del resto. Ma non è la mia storia. So come lavoro, come lavora la mia squadra ed è per questo che mi fido completamente dei miei compagni. Non ho assolutamente dubbi sul fatto che non stiano barando. Quando ho iniziato a considerare di diventare professionista, era a condizione che non facessi nulla di illegale. Non voglio usare il doping, non voglio essere così, è una convinzione profonda. Se per essere un corridore professionista e avere questo livello, la condizione fosse quella di dover prendere dei prodotti, sceglierei di non esserlo e di non prendere niente. Preferirei fare qualcos’altro, non so, un altro lavoro».

Jumbo Visma, la corazzata rinata dal fango. Oggi vince Laporte

22.07.2022
8 min
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Da dove nasce la Jumbo Visma che sta guidando il Tour e che oggi ha lanciato al successo Laporte? E’ davvero una fortezza inespugnabile come in altri anni il Team Sky di Wiggins e Froome, oppure c’è qualcosa di diverso?

Come sempre, quando un team si rivela così vincente, apre una strada che gli altri si affrettano a copiare. Anche per questo, la differenza fra ciò che viene mostrato e quel che effettivamente c’è è piuttosto marcata. La Jumbo Visma arriva da molto lontano, dalle ceneri della Rabobank che nel 2007 vestiva saldamente la maglia gialla con Rasmussen. Almeno fino al giorno in cui Cassani raccontò, in diretta e in buona fede, di averlo visto dove non doveva essere e in breve il giallo e il contratto vennero strappati. La Rabobank se ne andò a fine 2012, scossa da casi e sospetti di doping. Il team di Vingegaard e Van Aert nacque dalle sue radici e da quel fango.

Il colpo di mano di Laporte rende la prima vittoria francese del Tour. Festa alla Jumbo
Il colpo di mano di Laporte rende la prima vittoria francese del Tour. Festa alla Jumbo

La maglia bianca

Il lavoro di questi giorni degli inviati al Tour è stato il viaggio a ritroso nella loro storia, fino all’inverno del 2015, quando Merijn Zeeman, responsabile della preparazione, e il manager Richiard Plugge, misero mano alla rifondazione.

Anni difficili, dovuti sostanzialmente alla mancanza di mezzi. Stage invernali in altura dormendo in hotel fatiscenti. Le rinunce imposte da un budget risicato, dopo anni in cui la corazzata arancione poteva permettersi di guardare tutti dall’alto. Quando nel 2012 Rabobank decide di lasciare il ciclismo dei pro’, la squadra cambia nome e passa a Blanco, come il colore della maglia. A significare che si sarebbe ripartiti da un foglio ancora da scrivere. C’è sempre la banca a coprire le spese, avendo ancora un contratto, ma il 2013 è l’ultimo.

«Siamo passati dall’avere il secondo budget al mondo, a doverci accontentare del più piccolo – ha raccontato Zeeman a L’Equipe – eravamo lo zimbello del gruppo. Il ciclismo era immerso in una cultura del doping e questa non era neanche più una buona squadra. Zero comunicazione, trasparenza, coesione. Era tutto negativo, tanti preferirono abbandonare la nave, i corridori non facevano risultato. Ed è stato a quel punto che abbiamo deciso di tracciare una linea».

Condivisione totale

Zeeman ha studiato scienza della formazione. Richard Plugge è un ex giornalista, formato in programmazione neurolinguistica. La linea tracciata prevede di ripartire dagli uomini e non dalle regole. Da interviste approfondite in cui ciascuno possa ragionare sul suo comportamento dentro e fuori la gara.

«Ad alcuni corridori non piace essere spinti – ha spiegato Plugge – ma se invece della persona ne analizzi il comportamento, allora l’approccio cambia. Non diciamo loro cosa devono fare, cerchiamo di creare un ambiente in cui i corridori pensino da soli e prendano le proprie decisioni. La motivazione intrinseca è fondamentale, si chiama assunzione di responsabilità, sia che si tratti di stabilire il programma di allenamento, sia la dieta…».

Tra i fedelissimi della prima ora c’è Gesink: c’era nel Team Blanco e ha il contratto Jumbo Visma fino al 2023
Tra i fedelissimi della prima ora c’è Gesink: c’era nel Team Blanco e ha il contratto fino al 2023

Gli All Blacks e l’Ajax

Nessuna costrizione, insomma, quanto piuttosto il coinvolgimento. Si parla di tutto davanti a tutti e tutti sono coinvolti nello sviluppo della struttura. Nessuna invenzione cervellotica però, tiene a precisare ancora Plugge con L’Equipe, bensì l’ispirazione da un lato agli All Blacks (la leggendaria squadra neozelandese di rugby), passati per una rifondazione analoga dopo il tracollo dovuto all’alcol, dall’altro al calcio totale dell’Ajax di Cruyff.

«Fra le dieci regole di condotta interna – spiega – ho voluto inserirne una ispirata proprio agli All Blacks. E quella che chiamano “lasciare la maglia in un posto migliore”, il fatto che ogni giocatore abbia il compito di rendere la maglia più prestigiosa di quando l’ha ricevuta. Così ognuno può lasciare al gruppo una sorta di eredità personale.

«E come insegnato dal calcio totale, vogliamo praticare un ciclismo che ci permetta di essere forti e vincere con tutti i corridori. Vogliamo essere sempre davanti. L’Ajax e la nazionale di quegli anni giocavano insieme, tutti in attacco e poi tutti in difesa. Sarebbe fantastico se un giorno, la gente parlasse della nostra squadra gialla come noi abbiamo parlato di quella arancione».

Al Tour 2020 Roglic superiore a Pogacar, ma lo ha spesso graziato, forse per la comune nazionalità
Al Tour 2020 Roglic superiore a Pogacar, ma lo ha spesso graziato, forse per la comune nazionalità

L’istinto tradito

I colori della maglia sono la conseguenza di un ragionamento nel ritiro invernale 2016, con la dominante gialla chiaramente ispirata al Tour. A fine 2015 è arrivato Roglic dal salto con gli sci, che nel 2016 vince una crono del Giro e nel 2017 centra la prima tappa al Tour. Nel 2019 Kruijswijk sale sul podio della Grande Boucle dietro Bernal e Thomas. Nel 2020, la squadra si presenta al via da Nizza con il coltello fra i denti e domina dall’inizio. Salvo fermarsi contro il muro della crono a La Planche des Belles filles che rivela al mondo la stella di Pogacar.

«Pensavamo troppo a fare i nostri calcoli – racconterà Roglic, rivivendo la pagina più drammatica della sua carriera sportiva – io in particolare. Mi facevo tante domande, non correvo in modo naturale e nemmeno la squadra. Non ci piaceva affatto il divertimento, l’istinto. Avevamo scelto di controllare tutto e ci siamo chiusi su noi stessi».

Lo spirito libero

L’anno scorso, l’uscita di scena di Roglic in avvio di Tour compie il miracolo, come l’uscita di scena di Thomas al Giro del 2020 permise alla Ineos di diventare simpatica.

«Contrariamente ai nostri grandi discorsi – spiega Plugge – nel 2020 ci è mancato il coraggio quando in certe fasi avremmo dovuto chiudere la partita. Nel 2021 l’abbandono di Roglic e il fatto che Vingegaard fosse ancora giovane e al primo Tour ci hanno permesso di correre senza pressioni e sono venute quattro vittorie di tappa. Al contempo però abbiamo spinto maggiormente sui miglioramenti. Ogni nuovo corridore viene scelto per la capacità di inserirsi nel progetto e supportato per raggiungere il meglio delle sue possibilità. A ogni livello, corridori e staff».

Tour con tre punte

I direttori sportivi e gli allenatori vengono aggiornati con il supporto di formatori esterni. Lo staff è stato ampliato inserendo cinque cuoche-nutrizioniste, tutte dipendenti a tempo indeterminato come gli altri dirigenti della squadra. La precarietà, dice chiaramente Plugge, è un deterrente al fatto che si partecipi davvero allo sviluppo del progetto. Dopo aver cambiato le bici, passando da Bianchi a Cervélo, l’anno scorso il focus verteva sull’alimentazione. Per cui, in collaborazione con i Supermercati Jumbo, è stata sviluppata un’app che offre ai corridori menù e quantità in base ai tempi di allenamento o di gara. Infine la strategia, per anni punto debole di una squadra che si stava costruendo.

«Abbiamo scelto di rischiare con Vingegaard, Roglic e Van Aert nella stessa squadra – dice Zeeman – ma solo dopo molti ragionamenti con i corridori. Era necessario tenere conto del loro ego, per sapere cosa fossero pronti a sacrificare, sapendo che la ricerca più alta era la vittoria finale».

L’apoteosi nella tappa di Hautacam, con Van Aert che tira per Vingegaard e stacca Pogacar
L’apoteosi nella tappa di Hautacam, con Van Aert che tira per Vingegaard e stacca Pogacar

Il gigante verde

La risposta di Van Aert è stata illuminante e la sua condotta irreprensibile. «Ho bisogno di avere la speranza di vincere le tappe per me stesso – ha spiegato nell’ultimo giorno di riposo – e penso di essere più utile alla squadra con questa possibilità che essere un semplice gregario per tre settimane. Mi motiva avere la prospettiva di vittoria e mi permette di aiutare meglio gli altri».

Quello che ha fatto ieri a Hautacam lo ha confermato fugando ogni dubbio. Ciascuno di loro ha fornito un contributo decisivo. E’ presto per dire che abbiano davvero inventato il ciclismo totale. Di sicuro sono sulla strada giusta per fare di quel giallo la loro prossima conquista.

Jonas signori e vengo da lontano…

21.07.2022
6 min
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Se anche finirà così, Pogacar se ne andrà dal Tour con tre tappe vinte, il secondo posto e l’onore delle armi. Quale che ne sia stata la ragione, lo sloveno si è trovato indietro e ha fatto quel che poteva per risalire la china. Purtroppo per lui, è inciampato su Jonas Vingegaard, un danese fortissimo a capo di una squadra altrettanto forte, che hanno approfittato del suo passo falso sulle Alpi e l’hanno appeso sulla croce.

Che vinca il migliore: c’è questo nello scambio di saluti al via della tappa fra Pogacar e Vingegaard
Che vinca il migliore: c’è questo nello scambio di saluti al via della tappa fra Pogacar e Vingegaard

Duello fra uomini veri

Un duello fra due ragazzi che non si sono risparmiati colpi, ma sempre nei limiti della grande correttezza. E quando oggi Pogacar è caduto, la maglia gialla non ha neanche immaginato di approfittarne. Vingegaard si è subito rialzato sul manubrio. Lo ha aspettato. Nel voltarsi per stringergli la mano quasi finiva anche lui giù dalla scarpata e poi la corsa è ripartita.

«Penso che Tadej abbia sbagliato la curva – ha detto Vingegaard a caldo – e poi sia finito sulla ghiaia. Ha cercato di uscirne, ma la bici è scivolata via. Poi l’ho aspettato. Ma oggi devo ringraziare tutti i miei compagni di squadra. Incredibile. Alla fine vedi Wout Van Aert che resce a staccare Tadej Pogacar. Anche Sepp Kuss è stato fantastico. Sono stati tutti incredibili. Tiesj Benoot, Christophe Laporte, Nathan Van Hooydonck. Non ci sarei mai riuscito senza di loro».

Van Aert vs Pogacar

Era la tappa per la resa dei conti, quella in cui Pogacar avrebbe dovuto tentare il tutto per tutto e Vingegaard cercare di respingerlo. E’ finita, come aveva in qualche modo ipotizzato ieri Martinello, che la UAE Emirates si è ritrovata senza Bjerg, sfinito dopo la tappa di ieri, e con un McNulty a un livello più basso. Mentre la Jumbo Visma, che ieri ha ceduto troppo presto, si è ritrovata a menare le danze a pieno organico. E quando anche Kuss ha finito il suo lavoro, sulla strada è spuntato Van Aert, ripreso a 6 chilometri dal traguardo. Kuss gli ha chiesto se ce la facesse ancora e il ghigno sul volto del gigante di Herentals gli ha fatto capire che avrebbe potuto spostarsi in serenità. Ed è stato a quel punto, come raccontato da Vingegaard, che il forcing di Van Aert ha stroncato Pogacar.

«Non potrebbe esserci modo migliore per me di perdere il Tour. Penso di aver dato tutto – ha ammesso con trasparenza lo sloveno – lo prendo senza rimpianti. Penso che i ragazzi della Jumbo Visma abbiano fatto un ottimo lavoro. Congratulazioni a loro, erano molto forti. Oggi ha vinto il migliore. E penso che vincerà anche il Tour».

Ciccone ha provato l’assalto alla maglia a pois di Geschke, ma nulla ha potuto contro Vingegaard
Ciccone ha provato l’assalto alla maglia a pois di Geschke, ma nulla ha potuto contro Vingegaard

Macron in prima fila

Dire se la caduta abbia influito resterà motivo di discussione da bar. E così, mentre il presidente Macron si godeva lo spettacolo dalla privilegiata ammiraglia di Christian Prudhomme (come immaginarsi Mattarella in auto con Mauro Vegni), Van Aert ha lanciato il suo piccolo capitano verso la conquista, esultando poi a sua volta sul traguardo: grosso, verde e cattivo come un Hulk 2.0.

«E’ stata una giornata molto bella per noi – ha detto la maglia verde – era anche chiaro che avessimo un piano. Rispetto a ieri, oggi Jonas si sentiva molto più a suo agio grazie alle salite più lunghe e ripide. L’intenzione era davvero quella di attaccare e guadagnare ancora più tempo. Davanti volevo essere utile a Jonas prima che finisse la salita ripida e per riuscirci mi sono staccato dalla fuga, per non rischiare che mi prendessero troppo avanti. Ed è andata come volevamo».

La resa (onorevole) di Tadej

Tadej non si abbatte. E’ una corsa. Ha lottato. Forse ha appreso qualche lezione per il futuro. E ha pagato con la sfortuna che ti si attacca quando le stelle hanno già emesso il verdetto in favore di un altro. Non si è mai visto un vincitore di Tour che cade nel giorno decisivo: forse il finale è già scritto in favore di Jonas Vingegaard, ma è stato bello vedere il ragazzino sloveno cercare di opporvisi.

«Sto bene – ha detto tornando sulla caduta – è successo tutto molto in fretta e altrettanto velocemente sono tornato in sella. Qualche graffio, ma sto bene. Ho dato tutto sulla penultima salita, perché avevo ancora speranza. Ma quando sono caduto, ho iniziato a pagare e la motivazione si è un po’ affievolita. Jonas aveva ancora dei compagni di squadra. Ho provato a seguirlo, ma non ci sono riuscito. Erano troppo forti. Volevo reagire, ma non ce la facevo più».

La vittoria numero due di Vingegaard, dopo quella del Granon. Due attacchi, entrambi decisivi
La vittoria numero due di Vingegaard, dopo quella del Granon. Due attacchi, entrambi decisivi

«E’ incredibile – gli ha fatto eco Jonas nel suo racconto – questa mattina ho detto a mia figlia e alla mia ragazza che avrei vinto per loro. L’ho fatto. Ne sono molto orgoglioso. Questo è specialmente per loro. Ero solo felice che la corsa fosse finita perché è stata davvero dura. Sono molto contento di aver vinto, ma mancano ancora due giorni prima di arrivare a Parigi. Quindi è importante rimanere concentrati. Questo Tour lo prendiamo giorno per giorno. Non voglio ancora parlare della vittoria assoluta».

Da Tignes ai Pirenei, il Tour a distanza di Affini e compagni

21.07.2022
5 min
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Nelle stesse ore in cui i compagni al Tour combattevano sui Pirenei contro Pogacar e i suoi uomini, sulle strade alpine nella zona di Tignes dieci corridori della Jumbo Visma uscivano per la… distanzona del mercoledì. Fra loro Edoardo Affini, salito lassù tre settimane fa per riprendere dopo il Giro d’Italia e avviato sulla via della Vuelta España. E’ la prima volta che il mantovano affronterà due Grandi Giri nello stesso anno. Ma intanto, tra i motivi di curiosità e i chilometri di lavoro, al rientro da ogni allenamento la squadra si mette davanti alla tivù a tifare per i compagni in Francia. Ieri però hanno fatto in tempo a vedere soltanto gli ultimi 3 chilometri, perché alla fine sono scappate fuori 7 ore.

«Si lavora ancora fino a domenica – spiega Affini, in apertura nella foto Bram Berkien – tre settimane sono il periodo giusto per ottenere dei buoni frutti. Fossi venuto solo per una decina di giorni, sarebbe servito a poco».

Tignes è da anni quartier generale della Jumbo Visma per i ritiri in altura (foto Jumbo Visma)
Tignes è da anni quartier generale della Jumbo Visma per i ritiri in altura (foto Jumbo Visma)
Com’è guardare il Tour in tivù, con un compagno in maglia gialla?

Si guarda molto volentieri soprattutto con una squadra così. Stanno facendo davvero un bel Tour, ma è una corsa matta. Sono sempre a blocco.

E’ più sorprendente la maglia gialla di Vingegaard o la forza pazzesca di Van Aert?

Sono entrambi dei fenomeni (ride, ndr), capaci di fare grandi cose. I preparatori e lo staff che hanno seguito Vingegaard in ritiro erano abbastanza ottimisti che potesse fare queste cose.

Giusto ieri Martinello diceva che Pogacar sta ancora pagando gli errori del Granon.

E ha ragione. Quel giorno noi abbiamo fatto un grande numero, mentre lui è caduto nella trappola o si è sentito superiore. Del resto, negli ultimi tempi ha vinto tutte le corse a tappe cui ha partecipato, un po’ di peccato di presunzione ci può anche stare.

Affini racconta che Roglic e Vingegaard sono partiti alla pari, poi la strada ha scelto
Affini racconta che Roglic e Vingegaard sono partiti alla pari, poi la strada ha scelto
Cosa ti è piaciuto quel giorno della tua squadra?

Vedere Roglic che si è messo subito a disposizione, senza accampare scuse sul fatto che avrebbe potuto rientrare in classifica.

Il ragazzo ha la sfortuna che lo perseguita.

Sarà anche vero, ma trovo assurdo che al Tour si cada per una balla di paglia spostata da una moto. Dalle immagini si vede che i tifosi o addirittura un poliziotto avrebbero potuto dargli un calcio e toglierla di mezzo, ma non lo ha fatto nessuno ed è una vergogna. Se Primoz fosse passato dall’altra parte dello spartitraffico, magari ora vedremmo un altro Tour oppure no.

Da dove ricominci?

Dalla Vuelta a Burgos e poi ho vinto il biglietto omaggio per la Vuelta. Non so quando la squadra renderà ufficiali le convocazioni, ma a me l’hanno detto. Adesso sono tutti impegnati al Tour, anche quelli dell’ufficio stampa. Il povero Ard (Ard Bierens, addetto stampa del team olandese, ndr) ha da gestire Van Aert che a livello mediatico è fra i top 3 al mondo. E poi la maglia gialla che attira giornalisti da tutte le parti.

Affini ha condiviso con Vingegaard i ritiri di inizio anno e la Tirreno (foto Bram Berkien)
Affini ha condiviso con Vingegaard i ritiri di inizio anno e la Tirreno (foto Bram Berkien)
La Vuelta potrebbe venire bene per i mondiali, no?

L’idea sarebbe proprio quella, anche se il viaggio potrebbe dare da pensare. In Spagna si chiude l’11 settembre e là si corre il 18. Un giorno se ne va con il volo, se non altro però a livello fisico le tre settimane della Vuelta saranno perfette. Ma è la prima volta che faccio due Giri, non so come risponderò. Confido che se lo hanno deciso, abbiano valutato che sia all’altezza. E poi si parte dall’Olanda, la cronosquadre sarà a mezz’ora da dove vive la mia compagna. Avrò il fan club olandese…

Invece gli europei?

M’è toccato dire di no alla nazionale e mi è dispiaciuto. Si corrono 3-4 giorni prima che parta la Vuelta e sarebbe troppo. Mi dispiace perché la nazionale è importante, ma per il mio sviluppo credo che abbia più senso fare la Vuelta.

Vi sentite mai con i ragazzi del Tour?

Con parsimonia e senza interferire troppo. Sappiamo da chi c’è stato che razza di tensioni ci siano là, quindi siamo rispettosi. Però dopo la tappa del pavé gli ho scritto che erano andati bene, perché quel giorno potevano volare minuti pesanti.

La sera della tappa del pavé, da Tignes sono partiti messaggi di complimenti verso Arenberg
La sera della tappa del pavé, da Tignes sono partiti messaggi di complimenti verso Arenberg
Vingegaard e Roglic sono partiti alla pari?

L’anno scorso, Primoz aveva la precedenza. Quest’anno sono partiti sullo stesso piano e poi sarebbe stata la strada a decidere. E purtroppo ha deciso presto.

E questo Vingegaard che l’anno scorso vinceva la Coppi e Bartali e adesso ha la maglia gialla?

Incredibile, vero? Mi sembra rimasto uguale a prima. Devo essere onesto, ho corso poco con lui. Abbiamo fatto insieme i ritiri, poi la Tirreno, dove è stato secondo dietro Pogacar. E’ sempre molto tranquillo, anche se di suo non è tanto estroverso.

Ad Affini piacerebbe entrare nel gruppo Tour?

In una squadra così c’è sempre rivalità. Non che ci prendiamo a legnate, però siamo tutti in lizza per qualcosa. E’ chiaro poi che le scelte vengano fatte dai tecnici. Si compone la rosa più ampia, che poi viene via via snellita. Ci si basa sul rendimento dell’anno prima e magari se c’è qualche nuovo, lo mettono dentro perché l’hanno preso apposta.

Vingegaard e Van Aert sono partiti per il Tour con grandi attese
Vingegaard e Van Aert sono partiti per il Tour con grandi attese
Fra poco smetterai di essere il solo italiano della Jumbo…

Ho letto la notizia dell’arrivo di Belletta. Non lo conosco, è giovanissimo, ma quassù sono bravi a far crescere i ragazzi.

Come è andata la distanza?

Eterna. E’ caldo anche qui, siamo vicini al Monte Bianco, ma di neve se ne vede proprio poca. Abbiamo fatto sette ore senza lavori specifici, ma a un bel passo. Qualcuno ha fatto meno e ha tagliato. Ma insomma, non è che siamo proprio andati a spasso

Peyragudes, fuori una. Sul Tour pesa il verdetto del Granon

20.07.2022
6 min
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«Forse anche chi lo gestisce pensava di vincere facile – riflette Martinello – e invece hanno commesso sul Galibier l’errore che sta costando a Pogacar il Tour. Ci sono ancora domani e poi la crono, per carità, ma quando l’ho visto fare il segno di dare gas prima del Granon, ho pensato che fosse troppo spavaldo e l’avrebbe pagata. Senza tutti gli errori di quel giorno, il Tour si risolverebbe per secondi. E probabilmente Pogacar avrebbe ancora la maglia. Ma nulla toglie che Vingegaard sia davvero una roccia».

Un Tour che secondo Martinello è stato fortemente condizionato dal giorno del Granon
Un Tour che secondo Martinello è stato fortemente condizionato dal giorno del Granon

Pirenei, tappa a Pogacar

Come quando vai a vedere il film del secolo, poi esci e hai quasi paura di dire che non t’è piaciuto. La prima tappa pirenaica del Tour si è risolta in una bolla di sapone, ricalcando l’equilibrio che era costato al Giro bordate di critiche e qui si risolve invece in una grandeur oggi (forse) immotivata. Pogacar ha vinto la tappa (risultato che tanti sognano e pochi raggiungono), ma Vingegaard ha fatto un altro passo verso Parigi.

Chi viene da lontano, si aspettava i dieci scatti e il brillantino fatto saltare e sarà rimasto certamente deluso. C’è chi dice che al posto del brillantino ormai si guardi il misuratore di potenza e quando quello dice che sei al massimo, ti fermi. E poi per fortuna c’è chi fa un’analisi meno di pancia e conclude che semplicemente le forze in campo sono queste e sarebbe stato illogico aspettarsi di più.

Abbiamo scelto Martinello come avvocato del Tour, cercando di capire cosa sia successo finora e cosa potremo eventualmente aspettarci nei quattro giorni che restano.

McNulty fenomenale: ha portato i primi due fino ai 300 metri. Forse dietro non c’erano grandi gambe
McNulty fenomenale: ha portato i primi due fino ai 300 metri. Forse dietro non c’erano grandi gambe
Se un gregario come McNulty porta i primi due del Tour ai 300 metri di una tappa di montagna, forse dietro non c’erano tante gambe…

Stanno interpretando un Tour di alto livello, ma si vede che sono tutti morti. Oggi La UAE Emirates ha provato con le ultime forze a disposizione e Pogacar ha giocato d’astuzia. Ha finto di non averne più e poi ha vinto la tappa perché è più veloce.

Nell’unico giorno in cui Vingegaard è rimasto davvero solo.

Oggi la Jumbo non era quella dei giorni scorsi, Kuss non ha avuto una grande giornata. Semmai ci si poteva aspettare un atteggiamento diverso da parte della Ineos, ma è chiaro che siano tutti lì a difendere le posizioni. Il caldo li sta ammazzando. E McNulty è stato superlativo, però chi può dire se domani anche lui non pagherà?

La vittoria di Pogacar è stata figlia del suo grande cambio di ritmo: in volata fra i due non c’è partita
La vittoria di Pogacar è stata figlia del suo grande cambio di ritmo: in volata fra i due non c’è partita
Vingegaard isolato non ha tremato, si poteva pensare che accadesse?

Hanno raggiunto l’obiettivo di privarlo dei compagni, ma non ha mostrato cedimenti. Il vantaggio inizia a essere rassicurante. E se domani non cambia nulla, l’ultima crono sarà un fatto di energie rimaste e lui ha forza e sa difendersi contro il tempo. Non credo che arrivi a perdere più di 2 minuti da Pogacar.

Tanti hanno criticato la Jumbo Visma.

Non sono d’accordo neanche un po’. Possono aver commesso qualche sbavatura, ma nei giorni decisivi, da quello del Galibier alla tappa di ieri, la maglia gialla si è sempre ritrovata sul percorso i compagni mandati in fuga. Davanti hanno un Pogacar che non fa la differenza, perché finora Vingegaard non ha perso un millimetro. Sta diventando determinante davvero il giorno del Granon.

Dopo la tappa mirabolante di ieri (al pari di McNulty oggi), Kuss ha pagato pesantemente dazio
Dopo la tappa mirabolante di ieri (al pari di McNulty oggi), Kuss ha pagato pesantemente dazio
Spiega, per favore…

Hanno corso con troppa spavalderia, giocando come il gatto col topo. Si sono gestiti con superficialità. Perché inseguire Roglic sul Galibier, quando dopo il pavé ha già 2’36” di ritardo? Lascialo andare. E se Pogacar voleva inseguirlo perché ha 23 anni ed è esuberante, doveva intervenire l’ammiraglia.

Che cosa dovevano fare?

Fallo andare, hai attorno ancora tutta la squadra, lo riprendi quando vuoi. Anzi, vedrai che torna indietro da solo ben prima del Granon. Invece ha fatto lo spavaldo ed è andato in crisi perché ha gestito male l’alimentazione in una tappa durissima, in cui sono passati più volte sopra i 2.000 metri. Se avessero corso con un minimo di intelligenza tattica, avevano ancora il Tour in mano. E comunque anche in quell’occasione, Tadej si è rivelato un fenomeno.

Nonostante fosse decimata, oggi la UAE Emirates è stata maiuscola. Qui con Bjerg
Nonostante fosse decimata, oggi la UAE Emirates è stata maiuscola. Qui con Bjerg
In cosa?

Il giorno dopo, all’Alpe d’Huez, non lo avrà staccato, però era già in palla. Non ho mai creduto che avesse altro, quella è stata una crisi di fame. Ed essere così forti il giorno dopo è cosa da numeri uno.

Anche Vingegaard non usa la squadra quando scatta Pogacar.

L’ho notato e per me sbaglia anche lui. Ma forse pensa che l’attacco di Pogacar possa essere decisivo. Insomma, Pogacar è Pogacar… Però se invece di saltargli a ruota, lo inseguissero di squadra, correrebbero meno rischi.

Thomas ha difeso alla grande il suo terzo posto dal possibile ritorno di Quintana e Bardet
Thomas ha difeso alla grande il suo terzo posto dal possibile ritorno di Quintana e Bardet
Perché Pogacar ha corso così sul Galibier?

Forse perché si era abituato a vincere facilmente. Se alla Planche des Belles Filles ha davvero dichiarato che Vingegaard è lo scalatore più forte al mondo, forse il giorno del Granon avrebbe potuto essere più attento.

A cosa è servito invece lo scattino di oggi al Gpm di Val Louron?

Ci ha provato. Oppure lo ha fatto perché è un corridore che un po’ concede allo spettacolo. Oppure magari ha in mente anche la maglia a pois. E’ terzo in classifica a 18 punti da Geschke e magari domani potrebbe puntare a prenderla.

Entrambi sfiniti dopo l’arrivo: Pogacar ha vinto, ma la giornata è positiva anche per Vingegaard
Entrambi sfiniti dopo l’arrivo: Pogacar ha vinto, ma la giornata è positiva anche per Vingegaard
Ci si poteva aspettare un finale come fra Pantani e Tonkov a Montecampione?

Pantani fece una serie di scatti e Tonkov alla fine si staccò, ma Pantani era molto più scalatore di Tonkov. Qua invece la sensazione è che Vigegaard sia molto più scalatore di Pogacar. Mentre lo sloveno è più abile a limare e più veloce.

Ti aspettavi un Vingegaard così?

L’anno scorso ha vinto la Coppi e Bartali e tre mesi dopo ha fatto il podio al Tour. Quest’anno è cresciuto ancora, dall’inizio dell’anno è sempre davanti. Non è un predestinato, ha dovuto lavorare sodo ed è migliorato tanto fisicamente e mentalmente. Una situazione come questa, con la maglia gialla, potrebbe destabilizzarti e logorarti. Invece mi pare ben saldo sulle gambe. Insomma, domani se la giocano ancora. Ma Vingegaard sembra avere le carte in regola per tenere ancora duro.

Poche storie Wout, oggi non vinci. E in Belgio protestano…

16.07.2022
4 min
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L’appetito vien mangiando e saziarsi diventa progressivamente più difficile. E così in Belgio c’è chi mugugna per il fatto che ieri Wout Van Aert non abbia potuto vincere la terza tappa. Ricordiamo infatti che la prima l’ha vinta in maglia gialla a Calais e la seconda a Losanna. Per la prima volta dall’inizio del Tour, infatti, la Jumbo Visma ha deciso di voltarsi dall’altra parte. Probabilmente se avessero voluto, i fortissimi corridori del team olandese avrebbero potuto chiudere il buco sulla fuga, riprendere Pedersen e giocarsi la tappa, eppure non l’hanno fatto. Sono rimasti alla finestra, come si conviene a chi deve difendere la maglia gialla, affidandosi semmai al lavoro della Bike Exchange.

«Avevo delle buone gambe – ha ammesso Van Aert – e mi sarebbe piaciuto partecipare a uno sprint. Ma abbiamo sofferto molto nei giorni scorsi, abbiamo lavorato sodo e quindi è stato più saggio risparmiarsi e salvare le gambe, anche se è stata una tappa difficile. Alla fine la tattica ha pagato. Quando è partita la fuga e ho sentito i nomi, ho capito che sarebbe stato difficile rivederli. Le altre squadre ci hanno creduto a lungo, ma negli ultimi quindici chilometri si sono rassegnati».

Sul traguardo di Saint Etienne, Van Aert ha vinto la volata del gruppo con disarmante facilità
Sul traguardo di Saint Etienne, Van Aert ha vinto la volata del gruppo con disarmante facilità

Belgio in rivolta

La squadra si divide fra il verde del belga e il giallo di Vingegaard e ieri per la prima volta il leader del Tour ha avuto la precedenza. E a quanto dice la stampa belga, Het Nieuwsblad su tutti, più di qualche vecchio campione fiammingo ha drizzato le orecchie, facendo notare che è un peccato che la squadra non abbia portato compagni in appoggio a Van Aert e che questi abbia dovuto rinunciare alle sue possibilità.

Il più acceso contestatore sarebbe Eddy Planckaert, maglia verde nel 1988, che già nel 2020 aveva criticato Van Aert che a suo dire si stava sacrificando troppo per Roglic. Tuttavia né Wout né ovviamente i suoi tecnici ne fanno un problema. Ci mancherebbe che ne facessero, aggiungiamo noi, visto che la squadra è nata per vincere il Tour e per due volte ha dovuto arrendersi a Pogacar.

Frans Maassen, classe 1965 (un’Amstel e una tappa al Tour in bacheca), è uno dei diesse della Jumbo Visma
Frans Maassen, classe 1965 (un’Amstel e una tappa al Tour in bacheca), è uno dei diesse della Jumbo Visma

Fra verde e gialla

Così ieri hanno deciso di non lavorare, recuperando le forze in vista della tappa di oggi, che invece porterà fatica e grattacapi.

«Wout ha pienamente acconsentito – ha spiegato il diesse Frans Maassen – a gestire la tappa nel modo che gli abbiamo proposto e credo che sia stata una scelta saggia. Nel nostro Tour ci sono due priorità: la maglia gialla e la verde. Wout è sulla buona strada per vincere la classifica a punti. Se riesce a vincere un’altra tappa è fantastico, ma non vogliamo rischiare tutto per questo. Sta arrivando un’altra settimana difficile e non possiamo andare ogni giorno a tutto gas».

Ieri la Jumbo Visma non ha tirato: inseguimento sulle spalle della Alpecin-Deceuninck
Ieri la Jumbo Visma non ha tirato: inseguimento sulle spalle della Alpecin-Deceuninck

Gregari felici

La tattica non ha scontentato i gregari del team olandese. A pensarci bene, avere in squadra dei leader così ti costringe potenzialmente a correre ogni giorno per la vittoria. In montagna con Vingegaard e Roglic, in ogni altra tappa con Van Aert. 

«Abbiamo sentito caldo e siamo andati forte – ha detto Van Hooydonck alla stampa belga – soprattutto con una fuga come quella. Non abbiamo mai pensato di metterci davanti, non era una priorità. Sono certo di non esagerare se dico che un corridore del calibro di Wout ha 100.000 possibilità di vincere. E’ candidato vincitore in 15 delle 21 tappe del Tour. Quindi bisogna fare delle scelte. Non capisco perché ci sia così tanto da protestare nel nostro Paese. Dovremmo brindare per il fatto che Wout ha già vinto due tappe, non lamentarci per una volata che non ha fatto».

All’ennesimo scatto di Vingegaard, la maglia gialla affonda

13.07.2022
7 min
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Cinque chilometri alla vetta. Il Col du Granon è solo l’ultimo di una tappa in cui i corridori della Jumbo Visma hanno messo in mezzo Pogacar, ricavandone ogni volta risposte sconfortanti. Sul Galibier gli scatti di Vingegaard e Roglic lo hanno preoccupato giusto il tempo di reagire e poi metterli a sua volta in riga. Il gesto di dare gas in favore di telecamera è ancora oggetto di dibattito in sala stampa. Ma lassù Pogacar stava bene, al punto che Roglic l’ha pagata cara e si è staccato.

Manca così poco all’arrivo con Majka che tira e Pogacar che gestisce, da pensare che anche oggi attaccheranno domani. Invece Vingegaard parte ancora e questa volta alle sue spalle qualcosa si rompe. I trenta gradi e la quota si fanno sentire. Pogacar di colpo abbassa la lampo sul torace bianco e la sua pedalata perde consistenza.

«Solo quando ho fatto l’ultimo ultimo attacco sul Granon – dice Vingegaard – ho capito che me ne ero andato. Mi sono voltato, ho visto che non veniva. Poco prima avevo fatto un semplice pensiero: se non ci provi, non lo saprai».

Tutto in un quarto d’ora

Come sia stato che in un quarto d’ora sia crollato il dominatore dell’ultimo Tour è qualcosa che resterà nell’aria fino a che stasera in hotel la UAE Emirates non avrà approfondito il discorso. Intanto Vingegaard spinge con tutto se stesso, con la forza che il suo allenatore Zeeman ha spiegato ieri dopo il traguardo.

«Pogacar ha ancora molta esplosività – ha detto cercando di spiegare quel che ci attendeva – che può esprimere dopo una salita più breve. Jonas in proporzione ne ha meno, ma sulle salite più lunghe si avvicina a Tadej. I valori che ha espresso qui al Tour sulle salite più brevi sono i migliori che abbia mai avuto. Questo ci dà fiducia per il resto del Tour. Presto ci saranno salite dove non puoi nasconderti. E’ lì che si deciderà il Tour».

Solo quando si è voltato sul Granon, Vingegaard ha avuto la certezza di aver staccato Pogacar
Solo quando si è voltato sul Granon, Vingegaard ha avuto la certezza di aver staccato Pogacar

Il sogno di una vita

Vingegaard ha mollato la proverbiale agilità e porta sul Granon i suoi 60 chili con una cadenza cattiva, messa lì per scavare il solco profondo. Alle sue spalle Pogacar deve vedersela con Thomas che gli va via e poi anche con Yates. E come succede in questi casi, la fatica del fuggitivo porta solo buone sensazioni, mentre dietro sta trascinando lo sloveno a fondo.

«Penso che sia davvero incredibile – dice Vingegaard – è difficile per me metterci le parole. Questo è quello che sognavo. Ho sempre sognato una vittoria di tappa al Tour e ora è venuta anche la maglia gialla. E incredibile. Abbiamo preparato un piano dall’inizio della tappa e immagino che abbiate capito quale fosse. Volevamo fare una gara super dura e ne ho ricavato molto vantaggio. Non ci sarei riuscito senza i miei compagni, li devo ringraziare. Sono stati incredibili oggi.

«Negli ultimi due chilometri ho sofferto tanto, volevo solo finirlo – prosegue – ero già totalmente al limite da un chilometro e ho dovuto lottare fino alla fine. A dire il vero, quando abbiamo fatto la ricognizione dei passi con il team, non avevo provato quest’ultima salita, ero salito in macchina. Quindi non avevo grandi sensazioni. Ma ora che l’ho provato, posso dire che è stato duro».

Prima di ritirarsi, Van der Poel non ha resistito all’ultima punzecchiatura ed è andato in fuga con Van Aert
Prima di ritirarsi, Van der Poel non ha resistito all’ultima punzecchiatura ed è andato in fuga con Van Aert

Il giorno perfetto

Fra i compagni c’è sicuramente Van Aert, partito in fuga di buon mattino con il suo… amico Mathieu Van der Poel, che ha concluso il Tour con un ritiro.

«Quando mi sono girato – racconta la maglia verde – ho visto Mathieu ed è stata una bella sorpresa. Siamo subito andati a tutta. E’ stato divertente. Io volevo soprattutto vincere il traguardo volante, ho preso i punti e ora abbiamo anche la maglia gialla. E’ stata una giornata perfetta per la squadra. Eravamo pronti per questo giorno, ma non è stato facile. Pogacar è riuscito a stroncare ogni attacco sul Galibier. Ho pensato che sarebbe stata un’altra giornata dura. Gli stavamo già mettendo pressione dall’inizio del Tour. Avevamo già fatto degli sforzi, ma dovevamo andare oltre. Volevamo farlo soffrire. E alla fine Jonas è riuscito a staccarlo».

Jumbo al settimo cielo

In casa Jumbo Visma il buon umore è contagioso, anche se il Tour è ancora lungo e Pogacar potrebbe ancora rivestire i panni del cannibale.

«Questo era il piano – dice il manager Richard Plugge – i nostri direttori e i corridori lo avevano pianificato da un pezzo ed è riuscito al 90 per cento. Il programma infatti era che Roglic se la cavasse sulla Galibier, ma questo sfortunatamente non ha funzionato. Ma era caldo ed erano sopra i 2.000 metri. Vedendo Pogacar contrattaccare, ho pensato che avrebbe speso tanto…».

“Spallone” Kruijswijk al traguardo era fra i più contenti, dopo anni a tirare per conquiste spesso sfumate.

«Abbiamo cercato di demolire Pogacar – dice l’olandese che vide naufragare la sua maglia rosa al Giro del 2016 – è stata davvero una bella giornata. Lo aspettavamo da molto tempo. Speravamo anche in un risultato migliore, perché volevamo riportare davanti anche Primoz (Roglic, ndr). Abbiamo cercato di mettere su Pogacar. Tadej è davvero forte, ma non poteva rispondere a tutti. Avevamo molta fiducia in Jonas e adesso siamo pronti a difendere la maglia».

Bardet ha attaccato sulla salita finale: è arrivato 3° a 1’10” e ora è secondo in classifica a 2’16”
Bardet ha attaccato sulla salita finale: è arrivato 3° a 1’10” e ora è secondo in classifica a 2’16”

Fino a Parigi

Dopo l’arrivo Vingegaard è crollato in un pianto coinvolgente, anche se fra le immagini più belle di questo pomeriggio sulle Alpi, ci sono state le congratulazioni da parte di Pogacar mentre il danese faceva girare le gambe sui rulli.

«E’ molto difficile per me esprimere a parole quello che penso – ha detto il danese – tutto questo è incredibile. Sul Galibier, Tadej mi ha fatto paura. Era molto forte e ripreso tutti. Ero insicuro se valesse la pena provarci. Poi mi sono scosso. Arrivare secondi è un bel risultato, ma l’ho già fatto l’anno scorso e ora voglio puntare alla vittoria in classifica generale. Per fortuna oggi ci sono riuscito e ora ho la maglia gialla.

«Ovviamente Pogacar reagirà. Lo vedo ancora come uno dei miei principali avversari – dice Vingegaard – è un grande corridore, probabilmente il migliore al mondo. Togliergli la maglia gialla era impensabile. Mi aspetto che cerchi di attaccarmi ogni giorno, ogni volta che ne ha la possibilità. Sarà una gara difficile fino a Parigi, cercheremo di fare del nostro meglio ogni giorno per vincerla. Sarà una bella battaglia».

Jonas Vongegaard è nato il 10 dicembre 1996. E’ altro 1,75 e pesa 60 chili. E’ pro’ dal 2019
Jonas Vongegaard è nato il 10 dicembre 1996. E’ altro 1,75 e pesa 60 chili. E’ pro’ dal 2019

Meritato riposo

L’ultima parola è per il direttore sportivo Grischa Niermann, che ha seguito Vingegaard dalla prima ammiraglia ed è fra coloro che hanno elaborato la strategia di attacco.

«Jonas questa mattina – racconta – mi ha detto che poteva vincere. La strada è ancora lunga, ci sono ancora dieci tappe e alcune sono molto dure. Dipenderà dalla situazione se nei prossimi giorni gareggeremo in modo offensivo o difensivo. Jonas ha fatto molti passi avanti negli ultimi anni, anche come leader. Sono convinto che guiderà bene la squadra nella prossima settimana. I piani non sempre funzionano, ma stasera potremo andare a letto soddisfatti».