Campionati del mondo, Kigali 2025, corridori Eritrea, sposnsorizzati da Intermarché-Wanty

Girmay parla chiaro: l’Africa ha bisogno di bici, non di cattedrali

27.09.2025
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KIGALI (Rwanda) – Se nella sua conferenza stampa il presidente dell’UCI Lappartient ha magnificato la scelta di portare il mondiale in Africa, con dei toni autocompiaciuti che gli sono valsi i complimenti dei media locali, l’arrivo di Biniam Girmay rimette le cose parzialmente in equilibrio. Da velocista qual è diventato, il corridore eritreo della Intermarché-Wanty aveva annunciato la sua rinuncia alla sfida iridata, poi però ci ha ripensato. Perché? Le sue parole resteranno scolpite nella pietra in questo primo mondiale africano.

«In realtà – dice – risponderò in modo piuttosto semplice. Non posso andare alla Liegi e neanche al Lombardia, perché sono gare troppo difficili e non sarebbe bello andarci solo per essere al via e poi ritirarmi. Questo è il primo mondiale in Africa. E’ davvero un grande evento, peccato però che il percorso non sia adatto ad alcun corridore africano. Trovatemi un solo nome, è molto difficile per tutti. Forse per la prima volta in Africa, se posso essere sincero, sarebbe stato bello lasciare qualche opportunità anche ai corridori di casa. Per questo motivo ero un po’ in dubbio se essere qui. Il percorso è molto difficile per me, mi sarebbe piaciuto avere l’occasione di competere, cercare di fare qualcosa. Ma alla fine, sono sempre felice di indossare la maglia della mia nazionale e di rappresentare il mio Paese. Mi hanno chiesto di venire per aiutare i miei compagni e ho accettato».

Una Gand-Wevelgem, prima classica fiamminga vinta da un africano. Tre tappe al Tour e la maglia verde del 2024, altra prima volta. Una tappa al Giro d’Italia. A 25 anni, il palmares di Biniam Girmay è di tutto rispetto. Lui è il ragazzo che ce l’ha fatta, al pari di Tesfatsion, Ghebreigzabhier, Merawi Kudus, Henok Mulubrhan e pochi altri. Per questo le sue parole contano.

Campionati del mondo, Kigali 2025, Biniam Girmay
Girmay ha incontrato i media ieri mattina, spiegando le sue ragioni e indicando alcune soluzioni “facili” per il ciclismo in Africa
Campionati del mondo, Kigali 2025, Biniam Girmay
Girmay ha incontrato i media ieri mattina, spiegando le sue ragioni e indicando alcune soluzioni “facili” per il ciclismo in Africa
Però è anche vero che l’Eritrea è uno dei pochi Paesi africani che continua a portare atleti anche nelle categorie juniores e U23…

In effetti, come sappiamo, l’Eritrea è uno dei Paesi africani più interessati al ciclismo, fa parte della nostra cultura. Abbiamo molte gare e questo è il motivo principale della nostra presenza sempre numerosa. Investiamo molto per migliorare e sviluppare il ciclismo, tanti si impegnano in questo. Se ci fossero più opportunità e grandi investimenti, penso che potremmo crescere ancora. Spero che questo evento sia d’aiuto.

Che cosa significa esattamente un mondiale in Africa?

Se viaggi da un altro continente per correre un mondiale, è tutto diverso. L’Africa è un continente davvero immenso, quindi siamo completamente diversi l’uno dall’altro. Ho viaggiato in diversi Paesi africani, ci sono grandi differenze, ma è un vero onore e un piacere essere qui in Rwanda. E’ uno dei Paesi in cui amano il ciclismo e sono molto appassionati. La gente è sempre gentile, i posti sono davvero belli e sono anche molto adatti per andare in bici.

Girmay aveva già corso i mondiali dello scorso anno a Zurigo, ma aveva scelto di rinunciare a quelli di Kigali
Campionati del mondo Zurigo 2024, Biniam Girmay, allenamento
Girmay aveva già corso i mondiali dello scorso anno a Zurigo, ma aveva scelto di rinunciare a quelli di Kigali
Il presidente Lappartient ha parlato di come intenda far crescere il ciclismo in Rwanda e più in genere in Africa. Qual è la tua opinione in merito?

La prima necessità che abbiamo riguarda le cose di base, perché ci piace andare in bici e gareggiare, ma siamo già molto indietro rispetto alle gare europee. Ad esempio facciamo fatica a comprare una bici. In Europa ce ne sono da 14-15.000 euro, non so quale famiglia da queste parti possa spendere questi soldi. Quindi, ovviamente, hai bisogno di qualcuno che ti aiuti. Oltre a questo, anche i governi dovrebbero impegnarsi per cercare di sostenere le persone, soprattutto quelle che non hanno le risorse economiche, per aiutarle a progredire. Vedo molti corridori, qui e in diversi Paesi africani, con biciclette pesantissime e con le misure completamente sbagliate.

Davvero le cose più elementari…

A volte li vedi con il sellino troppo alto o lo sterzo troppo basso. Volendo fare attività di alto livello, questo ti distruggerà davvero in pochi mesi. Abbiamo bisogno di avere le cose di base, non ci serve avere gare più importanti o qualcosa del genere. Abbiamo bisogno di buoni allenatori e buone idee. Ad esempio in Europa alla fine di ogni anno le squadre cambiano bici. Quelle bici di seconda mano potrebbero essere di supporto per le federazioni in Africa. Potrebbero aiutare molti corridori, per trovare l’opportunità di correre in Europa (in apertura, Girmay in una foto della Intermarché-Wanty che sostiene i corridori dell’Eritrea, inviando ogni anno il materiale del precedente, ndr).

Campionati del mondo, Kigali 2025, prova su strada U23, atleta dell'Eritrea
L’Eritrea è uno dei Paesi africani a schierare il maggior numero di atleti, ma il percorso di Kigali è stato troppo duro per tutti
Campionati del mondo, Kigali 2025, prova su strada U23, atleta dell'Eritrea
L’Eritrea è uno dei Paesi africani a schierare il maggior numero di atleti, ma il percorso di Kigali è stato troppo duro per tutti
In breve, la tua storia…

Che continuo a raccontare, sperando che serva. Pochi di noi hanno avuto la chance, ma sarebbe la strada da seguire. Quando avevamo 17-18 anni, siamo andati ad Aigle. Abbiamo imparato un sacco di cose correndo da juniores con il team dell’UCI. E poi, nel momento in cui siamo arrivati al livello professionistico, non avevamo più bisogno di imparare. E’ andata così perché siamo arrivati in Europa molto presto. Penso che potrebbe essere di grande aiuto se anche ad altri venisse offerta questa opportunità.

Hai vinto tappe al Tour e grandi classiche: come ti sentirai nel correre un mondiale sulle strade africane?

E’ sempre bello gareggiare nell’evento più importante del mondo. Però è anche stressante. Ti mette molta pressione sulle spalle perché tieni davvero al tuo Paese e perché molte persone si aspettano che tu faccia di più. Questo è bello da un lato, ma dall’altro non lo è. Certo, se sei qui in Africa, ti senti davvero come se fossi a casa, soprattutto perché non abbiamo molte gare: direi che questa per me è l’unica opportunità dell’anno.

Campionati del mondo, Kigali 2025, folla, colore, tifosi, Africa
Il calore della gente di Kigali ha stupito Girmay, presente in Rwanda per amore della sua nazionale
Campionati del mondo, Kigali 2025, folla, colore, tifosi, Africa
Il calore della gente di Kigali ha stupito Girmay, presente in Rwanda per amore della sua nazionale
Com’è stata dunque l’accoglienza in Rwanda?

Finora, tutto bene. A dire il vero, credo che l’ultima volta che ci sono stato fosse stata nel 2020, quindi sono già passati un po’ di anni. E’ sempre una bella sensazione, una bella esperienza correre in Africa. E questo mi dà anche molta motivazione per andare in bici. Appena arrivato dall’aeroporto, come ho detto, la gente è stata gentilissima, amichevole, un’accoglienza davvero calorosa. Finora sono felice e tutto sta andando bene. Ci vediamo sulla strada domenica, mi aspetto comunque una grandissima festa.

Busatto: piccoli falchi crescono. E il primo Giro si avvicina

24.03.2025
4 min
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Francesco Busatto si appresta ad entrare sempre più nel vivo della stagione. Lui è uno di quelli che ha iniziato a gennaio e a breve chiuderà il suo primo blocco di gare, prima di mettere il Giro d’Italia, il suo primo grande Giro, nel mirino. Debutto che non è isolato, infatti dopo l’Australia l’atleta della Intermarché-Wanty ha esordito anche alla Tirreno e alla Sanremo, segno di un calendario che prende sempre più corpo.

Busatto è una delle nostre speranze più concrete: 23 anni a novembre, un corridore che potremmo definire moderno: sa tenere in salita e dice la sua in arrivi ristretti. E non a caso ha vinto la Liegi U23. Per ora si gode la sua prima Sanremo: «Mi sentivo brillante fino all’attacco della Cipressa, poi a metà ho ceduto. Le gambe non erano al massimo, però tutto sommato non stavo male. E anche come squadra abbiamo corso bene. Purtroppo poi “Bini” (Biniam Girmay, ndr) è stato un po’ sfortunato. Dopo il Poggio ha avuto un salto di catena».

Francesco Busatto (classe 2002) è alla sua seconda stagione da professionista
Francesco Busatto (classe 2002) è alla sua seconda stagione da professionista

La condizione cresce

«Penso – ha detto Busatto – di arrivare bene a questo periodo. Ho passato due settimane a Gran Canaria ad allenarmi al caldo e mi sono allenato anche abbastanza e bene, quindi la gamba è quella giusta. Dopo essere sceso dall’altura, nelle corse francesi di Drome Classic non ero proprio brillantissimo, però dopo una settimana in recupero sono migliorato e la motivazione è quella giusta».

Archiviato il trittico Strade Bianche, Tirreno e Sanremo, con le quali spera di aver rifinito al meglio la condizione, per Busatto c’è all’orizzonte un primo vero spiraglio da leader: la Tour Engineering e la Paris-Camembert, in Francia.
«Sono corse minori, ma dove ho più possibilità anche di arrivare davanti, di fare risultato».

Quanto è importante il risultato e l’abitudine alla sua ricerca? Ormai tolti quei soliti noti, molti team iniziano a rivedere piani e calendari sulla gestione delle corse e su quelle dove puntare. E per un giovane di grandi ambizioni come Busatto avere delle possibilità, possibilità da leader, è quantomai determinante.

Crescono distanze e numero di gare WorldTour per il veneto
Crescono distanze e numero di gare WorldTour per il veneto

Giro in vista

Il grande obiettivo di Busatto si chiama Giro d’Italia. Quando ce lo dice gli si illuminano gli occhi. Debuttare nella corsa “di casa” deve essere qualcosa di davvero importante. Il momento è quello giusto.

«Dopo le due prove in Francia – riprende Busatto – farò un periodo in altura a Sierra Nevada, cercando di prepararmi al meglio per il Giro. Il mio obiettivo nella corsa rosa sarà quello di mettere nel mirino le tappe, ovviamente. Ho visto il percorso e ho notato che ce ne sono parecchie quest’anno che possono andare bene per le mie caratteristiche. E’ importante divertirci e penso che le occasioni per farlo ci siano, basta arrivare lì in condizione e poi viene tutto da sé.

«Insomma, sono super motivato. Poi vedo anche che la squadra ci tiene e vuole farmi crescere nel modo giusto. Al tempo stesso non ho chissà quali pressioni e quindi sono tranquillissimo».

Alla Sanremo, Busatto è stato vicino a Girmay (foto Instagram/Intermarché)
Alla Sanremo, Busatto è stato vicino a Girmay (foto Instagram/Intermarché)

Leader in crescita

Busatto dice di non avere pressione, ma al tempo stesso inizierà ad essere leader in alcune corse, come quelle che dovrà fare a breve in Francia o come alla Strade Bianche, dove era il primo della lista della sua Intermarché-Wanty, visto che l’anno prima era stato il migliore del team belga. La squadra gli dà le responsabilità a piccole dosi.

«L’idea di essere leader mi piace sicuramente – analizza Busatto – riguardo alla pressione, che dire? La sento fino a un certo punto. Comunque, alla fine, se sento di essere in condizione sono pronto ad assumermi le responsabilità e direi che è anche giusto così, bisogna puntare anche a questo. A volte si aiutano i compagni, a volte si è leader. Serve tutto e serve anche a crescere».

Busatto parla davvero con maturità. Vero, sin qui qualcosa è mancato e forse lui stesso si aspettava qualcosina in più, ma sappiamo che non è facile.

«Rispetto a un anno fa come mi sento? L’anno scorso, per dire, la Strade Bianche era la prima corsa WorldTour che facevo, adesso ne ho fatte già un po’, quindi mi sembra tutto più normale. Non è più un mondo del tutto inesplorato, ma lo è parzialmente. Sicuramente mi sento più maturo. Sono corse di livello top e sono diverse: si tratta di farle e farle ancora…».

ERE Research, marchio giovane a misura di WorldTour

09.11.2024
5 min
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ERE Research è un’azienda che inizia il suo percorso tra il 2017 e 2018, punta sulla componentistica di alto livello con prezzi competitivi. Il catalogo abbraccia diverse categorie di accessori e le ruote occupano un ruolo di primo piano. Con esse nel corso della stagione hanno corso anche gli atleti della Intermarché-Wanty.

ERE Research lancia Omnia II CLR45, ovvero una ruota dai contenuti tecnici elevati, sviluppata per essere performante su strada e nel gravel leggero. Molto interessante il prezzo di listino di 999 euro. Abbiamo chiesto a Piet Van der Velde, ingegnere e fondatore dell’azienda con origini svizzere, ma con sede in Olanda. Entriamo nel dettaglio del prodotto.

Il profilo wide che caratterizza le Omnia 45 (foto ERE)
Il profilo wide che caratterizza le Omnia 45 (foto ERE)

Passione, ricerca e test

«Progettiamo e realizziamo prodotti per aziende leader del settore – ci racconta Van der Velde – ad esempio Trek e Specialized, Colnago e Pinarello, Shimano, Sram, Prologo, Selle Italia, solo per citare alcuni dei nostri clienti. Dopo aver avviato l’azienda il 1° aprile 2017 e iniziato a progettare, attrezzare e sviluppare, il marchio è stato lanciato all’inizio del 2018.

«La nostra azienda si concentra su prodotti di alto valore tecnico con una grande attenzione su design, tecnologia e innovazione, raggiungendo il consumatore con prodotti specialistici realizzati su misura per la giusta esperienza utente. Per me e per il mio staff – prosegue Van der Velde – ERE Research è il culmine di una vita di passione per la bicicletta, con una particolare attenzione a concetti moderni come l’aerodinamica, l’ergonomia funzionale alle prestazioni non solo in ambito ruote, ma anche per i componenti e le selle».

Il cuore è il cerchio

Tutto è partito dal cerchio, con l’obiettivo di creare una ruota versatile e moderna, accattivante e capace di calzare diverse tipologie di pneumatici (con un ampio range di sezioni). Si tratta di un cerchio in carbonio da 45 millimetri di altezza, con un canale interno da 21 (una sorta di standard attuale) e una larghezza totale di 28 (una vera forma wide, piuttosto spanciata). Qui si spiega la polivalenza della ruota che, nonostante un canale interno non eccessivamente largo, si configura al meglio con pneumatici da 26, fino a 36 millimetri (le sezioni raccomandate vanno da 26 a 30). Il cerchio è tubeless ready e nel complesso la ERE Research Omnia 45 è un sistema approvato UCI.

«Per quanto riguarda le ruote Omnia II CLR45 – racconta Van der Velde – volevamo creare un set conveniente, robusto e leggero, prestazionale e con un ottimo valore complessivo. Il cerchio da 45 millimetri che offre buone prestazioni in termini di rigidità, aerodinamica e stabilità orizzontale, in grado di garantire l’assorbimento di impatti, vibrazioni ed imperfezioni. Un pacchetto ruote adatto ad una guida fluida, con performance assolute. Il set di mozzi Iona Star Ratchet è molto affidabile, non perde mai un colpo e funzionerà per sempre. I raggi Sapim sono una garanzia. Quindi, le ruote Omnia II CLR45, in termini di prodotto e valore non sono seconde a nessuno».

Mozzi in alluminio, raggi in acciaio

Nelle ruote ERE Research c’è anche un pizzico di Italia, grazie ai raggi Sapim CX. Sono 20 per la ruota anteriore e 24 per la posteriore con incroci in seconda. Da sottolineare che ogni lato ha una tensione dedicata (il destro è diverso dal sinistro), in modo da creare un bilanciamento ottimale, sicurezza, stabilità e resa tecnica. I nipples sono esterni al cerchio, soluzione voluta per semplificare eventuali interventi.

I mozzi sono in alluminio e fanno parte della famiglia Iona S. Hanno un design elegante con un corpo dalle forme contenute in termini di volumi e flange che si alzano leggermente. Non sono oversize. La struttura dei mozzi collima con la raggiatura dando vita al design Torque2. Quest’ultimo ha il compito di non sbilanciare le ruote in frenata, dissipando le forze negative trasportate dal disco ai profilati in acciaio. Il medesimo concetto è riportato sui pignoni in fase di cambiata repentina. Quello anteriore ha due cuscinetti sigillati customizzati su specifiche ERE Research, mentre il posteriore ne ha quattro, sempre con specifiche ERE. Il meccanismo interno al mozzo posteriore si basa su una ruota dentata con 36 denti. Il corpetto della ruota libera è disponibile per Shimano, Sram e Campagnolo. Le Omnia II adottano le misure standard per quanto concerne i perni passanti e la sede per i dischi è CenterLock.

Garanzia a vita

Un servizio non banale, un valore aggiunto. Tramite la registrazione del prodotto, direttamente sul sito ERE Research è possibile attivare la garanzia a vita ed accedere al programma di crash replacement in caso di rottura. Per quanto concerne i numeri delle Omnia II CLR45, hanno un valore alla bilancia dichiarato di 1582 grammi (705 per l’anteriore e 877 per la posteriore)

ERE Research

La rincorsa di Girmay al Tour è iniziata sui Muri

05.06.2023
3 min
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Girmay è di ritorno, finalmente. Dopo il tappo di spumante nell’occhio al Giro, infatti, il suo percorso era diventato tortuoso, ma il quarto posto di ieri alla Brussels Cycling Classic potrebbe segnare un nuovo inizio, che attraverso il Giro di Svizzera lo porterà al debutto del Tour.

«Le prime tappe nei Paesi Baschi vanno davvero bene per me – dice lui – e ovviamente vado con ambizione. Da bambino sognavo un giorno di fare il Tour. Ma prima devo assicurarmi di poter essere al via in buona forma».

La sua primavera si è fermata al Fiandre, con una caduta rovinosa a 72 chilometri dall’arrivo
La sua primavera si è fermata al Fiandre, con una caduta rovinosa a 72 chilometri dall’arrivo

Caduta al Fiandre

La primavera era iniziata con il passo sbagliato e si era fermata a 72 chilometri dall’arrivo del Fiandre, nella caduta che ha messo fuori gioco anche Aime De Gendt (gomito fratturato) e Taco Van der Hoorn (commozione cerebrale). Anche per Girmay il danno maggiore è stato il colpo alla testa, con ferite su metà del volto, profondi tagli all’anca e varie contusioni, in seguito al quale è stato subito portato all’ospedale di Renaix, dove gli è stata diagnosticata una grave commozione cerebrale, e poi a quello di Kortrijk, dove ha trascorso quasi dieci giorni.

«Soprattutto i primi giorni dopo la caduta – racconta – sono stati duri. Le ferite non volevano rimarginarsi bene e nel frattempo ero fermo. Non potevo fare niente. E’ stato difficile, soprattutto mentalmente».

La Brussels Cycling Classic l’ha vinta Demare, al secondo successo stagionale
La Brussels Cycling Classic l’ha vinta Demare, al secondo successo stagionale

Dubbi fugati

Qualche interrogativo però c’era: in che condizioni si sarebbe ripresentato Girmay alle corse, rientrato in Europa giovedì scorso? Ma i dubbi sono durati giusto il tempo di vederlo all’opera. Infatti a metà corsa, non solo ha saputo tenere testa agli attacchi sul Muur di Geraardsbergen e sul Bosberg, ma ha addirittura preso in mano la situazione e rilanciato l’azione che poi è andata all’arrivo. Semmai la sensazione che non sia ancora il vecchio Girmay s’è avuta allo sprint: ci sta che perdesse da Demare, non da Andresen e Meus.

«Ma io sono molto contento della mia prestazione – ha commentato dopo il quarto posto – sono stato in grado di rendere la gara dura, le mie gambe si sentivano abbastanza bene e non ho avuto problemi. Tutto molto positivo. Abbiamo sicuramente una buona base su cui costruire, c’è ancora tempo. Il Tour inizierà tra meno di quattro settimane, prima pensiamo al Giro di Svizzera».

Sul Muur si è visto un Girmay pimpante, sebbene fosse appena rientrato dall’altura (photonews)
Sul Muur si è visto un Girmay pimpante, sebbene fosse appena rientrato dall’altura (photonews)

Destinazione Tour

La commozione cerebrale ha scombussolato i piani. Girmay voleva andare ad allenarsi subito in Eritrea, ma è dovuto rimanere in Europa più a lungo del previsto. E’ partito soltanto dopo i dieci giorni in osservazione, per cui la ripresa non è stata troppo lineare.

«Le cose non sono andate nel modo migliore – ha spiegato a Het Nieuwsblad il suo direttore sportivo Aike Visbeek – ecco perché siamo sorpresi che sia rientrato così bene alla prima corsa. Ma allo stesso tempo rimaniamo cauti. Questo non è ancora un gruppo WorldTour, a luglio le cose saranno diverse. Ad ogni modo, ha chiaramente fatto un grande passo e può continuare a migliorare nelle prossime settimane. Lo vedremo sicuramente al Tour de France».

Capito l’errore del Gran Sasso, Petilli riaccende la sfida

16.05.2023
4 min
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Il riposo trascorre fra Modena e Reggio Emilia, in un giorno senza pioggia. Petilli finisce i massaggi alle 16,40, il pomeriggio è ancora lungo e c’è tutto il tempo per fare due chiacchiere. Il ricordo della resa sul Gran Sasso fa ancora male, ma i chilometri hanno iniziato a lenirlo e presto sarà il momento di riprovarci. Intanto però, quando ci ripensa, il lecchese si mangia le mani per non essersela giocata al meglio. Ha dato più di una volta la sensazione di poter staccare Bais e Vacek, invece alla fine ha dovuto inchinarsi ad entrambi. Terzo a 16 secondi, tutti accumulati in quegli ultimi 300 metri.

La fuga dei tre verso Campo Imperatore partita ai meno 211. All’inizio c’era anche Mulubrhan
La fuga dei tre verso Campo Imperatore partita ai meno 211. All’inizio c’era anche Mulubrhan
Hai recuperato?

Mi sto riprendendo. Se comunque sono arrivato a quel punto, ho l’obbligo di crederci ancora. Fino ai meno 5, più o meno, ero sicuro di vincere, forse anche troppo. L’errore più grosso che ho fatto è stato quello di essere troppo sicuro di me stesso.

Perché?

Ho voluto la fuga dal mattino, perché le possibilità di vincere contro i migliori erano davvero poche. D’altra parte era molto difficile che la fuga arrivasse con una tappa così lunga e soprattutto perché eravamo solamente in quattro. Poi ho visto che dietro lasciavano fare e ci ho creduto. Bais e Vacek li ho visti parecchio in difficoltà all’inizio della salita finale. Solo che invece di muovermi, mi sono messo ad aspettare gli ultimi chilometri, che erano quelli più duri, per provare a fare la differenza. Li ho sottovalutati e nel finale l’ho pagata.

Hai lanciato tu la volata…

Sinceramente, quando siamo arrivati alla volata mi sentivo già sconfitto. La svolta secondo me c’è stata ai meno 5, quando è iniziato il pezzo più duro e ho provato ad attaccare. E’ stato un attacco deciso, infatti Vacek si è staccato subito, solo che mi ha sorpreso Bais, che mi è rimasto attaccato a ruota. A quel punto per provare a staccarlo ho accelerato, ma il vento contrario così forte mi ha ammazzato, mi ha spezzato le gambe. E da lì ho iniziato a soffrire…

Petilli si è sentito a lungo più forte di Vacek e di Bais, ma forse ha giocato male le sue carte
Petilli si è sentito a lungo più forte di Vacek e di Bais, ma forse ha giocato male le sue carte
Quindi il vento c’era effettivamente?

C’era davvero. Infatti vedendo com’è andata la corsa dietro, col senno di poi mi sono spiegato perché non sia riuscito a fare la differenza. Potevo gestirla un po’ meglio, non recrimino come ho corso, però potevo provare un’altra tattica, prendendomi qualche rischio in più lontano dall’arrivo. Quando a inizio salita ho visto che erano in difficoltà nel darmi i cambi, avevo quasi pensato di attaccare. Provare ad andare da solo, visto che avevamo tanto vantaggio. Invece ho avuto paura di saltare o che comunque da dietro mi avrebbero ripreso. E così, pur non essendo veloce, mi sono rassegnato allo sprint. L’idea era provare ad arrivare da solo, ma loro sono stati migliori.

Era prevedibile che il gruppo non venisse a prendervi?

Al mattino non me l’aspettavo, la tappa era facile da controllare proprio grazie al vento. Invece c’è stato un tentennamento tattico. La DSM voleva solamente tenere la maglia rosa e tra Soudal e Jumbo nessuno ha voluto prendersi la responsabilità di tirare, col rischio che magari vincessero gli altri. In tante corse ho sempre attaccato al primo arrivo in salita, perché nessuno ha la certezza di vincere e quindi non sempre una squadra si prende la responsabilità piena di fare la corsa.

Come è stato rialzarsi dalla sconfitta?

Il giorno dopo sono stato a testa bassa (sorride, ndr), perché la tappa di Fossombrone non è stata semplice e ho sofferto un po’. Però sono riuscito ad arrivare senza problemi, quindi c’è stata la cronometro che ho usato ancora per recuperare. Il giorno di riposo è stato molto utile. Si resetta come ho sempre fatto, scacciando il rammarico, visto che non ci si può fare più niente.

La crono è stata un altro momento di recupero: ora l’obiettivo di Petilli sono le grandi salite
La crono è stata un altro momento di recupero: ora l’obiettivo di Petilli sono le grandi salite
Il Giro riparte senza Evenepoel. Come vivete questo ritorno di Covid?

Sta mettendo un po’ di stress. Era passato tutto, sembrava che ormai fosse un brutto ricordo, invece ecco tante positività e tanti abbandoni. Ovviamente la prima cosa è stata riprendere tutte le precauzioni possibili, cioè igienizzarsi le mani quando si è in mezzo a tanta gente, indossare la mascherina e quelle piccole attenzioni che potrebbero aiutare. Per il resto, purtroppo non ci si può fare nulla. Questo virus è più contagioso delle vecchie influenze e così bisogna avere qualche precauzione.

Il fatto di fermare il corridore positivo dipende solo dalla valutazione del medico?

Sì, decide il dottore. Secondo me in qualsiasi ambito la salute viene prima di tutto, quindi anche se per regolamento un corridore potrebbe continuare, se il medico dice di no per la sua salute la prima cosa è fermarsi. Giri d’Italia se ne faranno sicuramente altri.

Il ritorno alla mascherina…

Purtroppo cambia anche per noi. Ad esempio fino ad ora, quando alle partenze ci chiedevano gli autografi, eravamo sempre disponibili. Adesso dovremo stare attenti anche solo a fare le foto con i tifosi.

I pro’ e le scarpe. L’esperienza di Petilli con Gaerne

01.05.2023
6 min
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«Sono stato contento quando quest’inverno la mia squadra, ha annunciato Gaerne come sponsor tecnico. Per me si è trattato di un ritorno al passato». Simone Petilli esordisce così parlando delle sue scarpe, le Gaerne G.Stl.

Il classe 1993 è di ritorno dal ritiro in altura a Sierra Nevada. «Ci ero stato due settimane prima del Giro di Sicilia e ci sono tornato subito dopo», ha detto Simone con il suo solito spirito allegro.

Gaerne è uno di quei marchi che ancora è made in Italy vero, dalla progettazione alla scelta dei materiali. La casa trevigiana fornisce le scarpe a molti pro’ e quest’anno è divenuta sponsor ufficiale di un team WorldTour la Intermarché-Wanty Gobert appunto.

E si sa che nel ciclismo attuale non basta più sostenere un team con una sponsorizzazione di facciata. No, oggi il prodotto va seguito passo dopo passo. Deve esserci un filo costante con gli atleti per accontentarli e trarre poi dei feeback per lo sviluppo di nuovi prodotti.

Le G.Stl sono la scarpa top di gamma di Gaerne. Leggerezza ma soprattutto rigidità sono le sue peculiarità, assieme alla tomaia “monoscocca”, cioè un pezzo unico, in microfibra microforata. In particolare la rigidità è dovuta principalmente alla Gaerne Eps Lightweight Full Carbon Sole 12.0, suola ultraleggera e ultrasottile, la cui trama della in fibra in carbonio è stata ottimizzata proprio per le spinte del piede. Questo assicura che ogni watt venga trasferito ai pedali. 

Simone Petilli (classe 1993) con le sue Gaerne G.Stl. Per lui è stata realizzata una scarpa quasi del tutto su misura
Simone Petilli (classe 1993) con le sue Gaerne G.Stl. Per lui è stata realizzata una scarpa quasi del tutto su misura
Simone, come ti trovi con queste scarpe?

Molto bene. Devo essere sincero, con Gaerne correvo anche prima di arrivare in Intermarché. Le utilizzavo quando ero più giovane e già all’epoca mi ero trovato bene. Quindi sono stato contento quest’anno quando sono diventate sponsor di squadra. Partivo avvantaggiato perché in azienda già avevano la mia forma del piede. Ed io ho delle richieste un po’ particolari in quanto ho un piede strano.

Definiamo strano…

Ho un piede magro, ma abbastanza largo sul lato esterno. In Gaerne sono molto disponibili e mi hanno fatto una scarpa quasi su misura.

Quindi l’azienda è attenta alle richieste degli atleti?

Sì, siamo seguiti da vicino. Già da questo inverno, quando abbiamo fatto il primo ritiro a Charleroi, sono venuti i responsabili per incontrare ogni corridore personalmente. Hanno annotato tutte le nostre richieste. Successivamente ci hanno inviato a casa un primo paio di scarpe. Le abbiamo provate e passo dopo passo ognuno ha fatto delle richieste per arrivare alla scarpa ottimale. Magari qualcuno si è trovato bene al primo paio. Io ho dovuto farne due prima di trovare quella perfetta, ma devo dire che adesso sono davvero soddisfatto.

Quali sono stati gli step per arrivare alla tua scarpa perfetta?

Loro hanno una scarpa standard – come detto – e una scarpa “Slim fit”, cioè un po’ più stretta proprio per chi ha i piedi magri. Io avevo il 42,5 normale, ma questa taglia mi era un po’ larga. Allora ho provato la Slim fit, ma questa, una volta che serravo i Boa, era troppo stretta. Allora la soluzione è stata questa: hanno preso la forma del mio piede, l’hanno riprodotto in tutto e per tutto e alla fine mi hanno fatto una Slim taglia 43, anziché una 42,5 normale. Con le ultime modifiche per l’esterno dove il mio piede era un po’ più largo siamo arrivati alla mia scarpa perfetta.

La chiusura con i BOA Li2 è rapida e micrometrica
La chiusura con i BOA Li2 è rapida e micrometrica
Un bel processo…

In effetti sono stato seguito parecchio, dal vivo e anche in videochiamata. Questo vale per me, ma anche per gli altri chiaramente. Con i nostri feedback si arriva al dettaglio e questo è un aspetto molto importante nel ciclismo di oggi.

Qual è dunque la scarpa perfetta per Simone Petilli? 

Come ho detto, ho sempre avuto dei problemi ai piedi, ho sempre sofferto sul lato esterno e più precisamente nella parte poco dietro al mignolo. Questo su entrambi i piedi. Forse anche perché negli anni non ho mai avuto una pedalata perfetta. Il lato esterno dei miei piedi è un po’ più largo e quindi le mie scarpe devono essere sempre abbastanza curate. Per questo dico che nella mia scarpa perfetta al primo posto metto il comfort. Quando ci pedali tante ore non devi avere dolore. E il bello di questa scarpa è che oltre ad essere confortevole è anche rigida. Sento che posso spingere davvero bene.

Quindi comfort e rigidità più del peso?

Sì: comfort, rigidità e poi peso, questo è il mio ordine. Il peso influisce, chiaramente, ma è più importante che la scarpa sia rigida e confortevole. Almeno per me…

Preferisci sentire il piede fisso dentro la scarpa? Oppure che abbia un po’ di gioco?

A me non piace avere il gioco dentro, ma al tempo stesso voglio che non sia rigida intorno ai lati. Deve essere di un materiale abbastanza confortevole. E infatti uno dei motivi per cui mi trovo bene con Gaerne è che utilizzano dei materiali per la tomaia davvero morbidi. E, non sono un tecnico, ma immagino che per essere così morbidi e fascianti al tempo stesso debbano essere di grande qualità.

Petilli aveva già corso con Gaerne, per lui una delle differenza maggiori è stata nella suola, ora più confortevole e molto più rigida
Petilli aveva già corso con Gaerne, per lui una delle differenza maggiori è stata nella suola, ora più confortevole e molto più rigida
Riguardo al caldo e al freddo, adotti qualche soluzione particolare per i tuoi piedi?

Di solito soffro un po’ di più con il caldo, perché i miei piedi si gonfiano un po’. Ma torniamo al discorso di prima: se la scarpa è confortevole mi trovo sempre bene, anche col caldo. E quindi non faccio nulla di particolare. Mentre per il freddo l’unico modo è mettere qualche copriscarpe, ma in questo caso conta molto l’abitudine per me.

Caldo e freddo sono anche piuttosto legati al discorso della circolazione e di conseguenza del serraggio. A tal proposito le tue Gaerne hanno due Boa…

Le G.Stl hanno due Boa, il sistema che va per la maggiore. Io mi trovo bene perché la pressione sul piede è omogenea e la posso gestire. Inoltre una volta che serri la scarpa, non hai bisogno di regolarla poi molto. Quando capita però questi Boa sono velocissimi.

Passiamo anche all’estetica. Che colore preferisci?

Bianco – replica secco Petilli – è il migliore per me. Purtroppo si sporca facilmente, però è quello più elegante. E che in gruppo va per la maggiore a prescindere dal marchio.

A tavola con Piva, fra Busatto, il Belgio e i giovani

29.04.2023
8 min
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RIEMST (Belgio) – Valerio Piva conosce i corridori e il Nord come pochi altri. Da anni il tecnico della Intermarché-Wanty Gobert vive in Belgio, ci ha pedalato e sempre a quelle latitudini dirige e segue i corridori. Da quest’anno, tra questi c’è anche Francesco Busatto, vincitore della Liegi U23.

Incontrato a casa sua, dove tra le altre cose ha un hotel – l’Hove Malpertuus – che da anni ospita molti team durante la campagna del Nord, Valerio ci parla di questo giovane italiano. Ma di riflesso il discorso si estende anche a ragionamenti più vasti, che riguardano sempre i giovani e alcuni aspetti del ciclismo in Belgio.

Busatto (a destra) aveva dimostrato ottime cose già durante i ritiri invernali con la prima squadra (foto Instagram)
Busatto (a destra) aveva dimostrato ottime cose già durante i ritiri invernali con la prima squadra (foto Instagram)
Valerio, parliamo di Busatto. Questo autunno ancora non lo avevi conosciuto, ora ci sei stato più a contato: cosa ci puoi dire di lui?

Francesco ha iniziato questa stagione debuttando coi grandi e lo ha fatto con me. Avevamo avuto problemi con un corridore che si era ammalato per l’Oman e abbiamo portato lui. Era già in Spagna con la squadra, aveva fatto entrambi i ritiri e abbiamo visto che aveva una buona condizione. Grazie al regolamento, che prevede questo scambio tra il team devo e la WorldTour, lo abbiamo schierato subito.

Ed è andato bene…

Alla prima corsa, il Gran Premio di Muscat, è finito quarto. Fra l’altro era anche una corsa abbastanza selettiva, impegnativa, con il finale su uno strappo. Si è destreggiato anche bene in volata. Era rimasto anche da solo nel primo gruppo. Da lì abbiamo visto che i primi approcci, anche col livello più alto, erano positivi, e l’Oman ne è stata la conferma.

Che corridore è?

Non è uno scalatore. Si difende su percorsi vallonati. Ha uno spunto veloce ed è esplosivo, quindi direi che è un corridore moderno. Oggi è importante essere veloci.

Hai detto che Busatto, non è scalatore eppure vince la Liegi. Chi ti ricorda se dovessi fare un paragone tecnico?

Difficile fare dei paragoni. Busatto ha vinto una corsa rinomata per essere dura: ha fatto la Redoute, ma non è la corsa dei pro’. E’ importante che sia riuscito ad uscire bene da questi strappi e che abbia mantenuto la sua esplosività. Se poi dovessi dire chi mi ricorda, proverei un Bettini. Ma in generale è uno di quei corridori che riescono a “fare la corsa” su tanti tipi di percorso.

Lo sprint vincente di Busatto sul traguardo di Blegny sede di arrivo della Liegi U23 (foto Cyclingmedia Agency)
Lo sprint vincente di Busatto sul traguardo di Blegny sede di arrivo della Liegi U23 (foto Cyclingmedia Agency)
Ti aspettavi questo successo alla Liegi? E’ stata una sorpresa per te?

Per niente sorpreso. Dopo l’Oman, l’ho rivisto qui in Belgio e l’ho portato di nuovo a correre con me, al Limburgo. Tra l’altro lo avevo fatto venire un giorno prima per fargli vedere il percorso. Il giorno della corsa però non è andato molto bene: freddo, acqua e lui non stava un granché. A quel punto è tornato con la squadra under 23. Ha disputato altre corse in Belgio, di nuovo il Brabante con noi, che era una settimana prima della sua Liegi.

Un ottimo banco di prova…

Esatto ed è andato forte, perché essere davanti in una gara come la Feccia del Brabante, quattordicesimo, vuol dire molto. E’ stata la conferma delle sensazioni che avevamo avuto a inizio stagione. E cioè quelle di un corridore che ha qualità. Chiaramente deve crescere, è giovane deve maturare. E infatti io glielo avevo detto dopo il Brabante: «Guarda che la Liegi è l’obiettivo. Se hai una gamba così puoi solo che vincere». Tra l’altro ho scoperto che nessun italiano aveva mai vinto la Liegi under 23.

E ora?

Adesso un po’ di tranquillità, poi l’obiettivo prossimo sarà il Giro d’Italia under 23. Successivamente altre corse, ma adesso non conosco con precisione il suo calendario. L’anno prossimo sarà con noi nella WorldTour.

Piva ha portato Busatto al Limburgo per saggiare strade simili all’Amstel e alla Liegi. Un’esperienza utile per il breve e il lungo periodo
Piva ha portato Busatto al Limburgo per saggiare strade simili all’Amstel e alla Liegi. Un’esperienza utile
Tu, Valerio, quassù sei di casa. I tuoi consigli avranno avuto un certo peso…

Il tracciato del Limburgo è una piccola Amstel Gold Race e spesso usiamo quelle strade per valutare i ragazzi. E anche per fargli conoscere i percorsi. Alla fine possono essere esperienze per il futuro. Ci pensavo giusto qualche giorno fa…

A cosa?

Proprio Francesco mi ha detto: «Sai, Valerio, quest’anno non ho ancora corso in Italia». E questo è già un approccio diverso. Mi diceva: «Sì, vado bene, però io un ventaglio non so cosa sia. Non ho mai corso col vento vero». In Italia è difficile trovarle giornate dove veramente c’è il vento che condiziona la corsa. Prenderci confidenza adesso è importante: capire le posizioni, imparare a conoscere e a riconoscere i percorsi…

Riconoscere i percorsi. Sembra un aspetto banale, ma non lo è…

Esatto. Quando dicono che i corridori belgi sono bravi sui percorsi del Fiandre, di Harelbeke… Vivono qua, come ci vivo io. Non è che ce l’hanno nel Dna o che li sanno interpretare bene per natura. Vanno forte perché conoscono le strade. Io esco e pedalo sul percorso della Liegi, della Freccia e dell’Amstel. Li conosco a occhi chiusi. E così vale per i ragazzi che vanno in bici. 

Per Piva conoscere e riconoscere le strade vuol dire molto. E chi cresce quassù poi è avvantaggiato
Per Piva conoscere e riconoscere le strade vuol dire molto. E chi cresce quassù poi è avvantaggiato
Vanno a memoria. Si ricordano i punti più insidiosi, il vento, le curve, gli strappi, le pendenze…

E così facendo arrivano al professionismo con un bagaglio diverso rispetto agli altri ragazzi. E’ importante quindi crescere qui se si vuole andare forte in certe gare. Ricordo quando mi proposero Ballerini: «Siamo sicuri che farà bene nelle classiche in Belgio», mi dissero. Okay, ma alla fine? Sì, è un ottimo corridore, ma ci vuole del tempo per fare di più. Devi essere abituato a correre qua da giovane. Busatto si è ritrovato in una squadra belga e correrà quassù molto di più di tanti altri. E sicuramente avrà un bagaglio diverso.

E qui ci si allaccia indirettamente al discorso dei giovani italiani… 

Io penso che i giovani italiani ci sono. L’abbiamo visto anche adesso. Bisogna chiaramente lavorarci. Semmai il problema è un altro.

Quale?

Non essendoci delle grandi squadre italiane hanno meno certezze sul futuro. Un ragazzo che corre in Italia inizia a pensare: «Se voglio diventare un professionista devo andare all’estero». E deve dimostrare qualcosa subito. A volte come nel caso di Busatto ci sono i manager, ma tante altre volte non è così. C’è pertanto questo handicap: non c’è uno sbocco diretto in una squadra importante, come poteva essere anni fa la Liquigas della situazione.

Campioni come Van Aert ed Evenepoel (qui in uno spot per una catena di pizzerie) sono spendibili anche per brand extra ciclistici
Campioni come Van Aert ed Evenepoel (qui in uno spot per una catena di pizzerie) sono spendibili anche per brand extra ciclistici
E in tal senso non si vedono grosse aperture, almeno guardandola nel breve periodo…

Tante squadre si trovano in difficoltà. Io faccio parte di una squadra WorldTour piccola, in cui le difficoltà ci sono e i budget non sono grandi. Però abbiamo la fortuna di stare in Belgio in cui ci sono più industrie interessate al “prodotto ciclismo”.

Quassù ti fermi all’autogrill e trovi la pubblicità con Van Aert. Al supermercato c’è la gigantografia di Remco…

Il ciclismo in Belgio è al primo posto come simbolo di sport. Il ciclista è ancora considerato un vero atleta. Uno sportivo che fa sognare i giovani ed è per quello che tanti ragazzi vanno in bici. Il Belgio è un Paese piccolo. Il ciclismo è nelle tradizioni di famiglia e ogni giorno gli passa davanti alla porta di casa una corsa. Già un mese prima del Fiandre, in tv facevano programmi di approfondimento, storia, tecnica… Senza contare che hanno miti come Evenepoel e Van Aert, come noi un tempo avevamo Pantani.

Tornando a Busatto, abbiamo raccontato che c’è questo bel feeling con Paolo Santello, il suo preparazione. Ora che passera nel World Tour, questa collaborazione si dovrà interrompere?

Noi abbiamo una struttura con allenatori, dietisti, massaggiatori… e la mettiamo a disposizione di tutti i nostri atleti. Ma se un ragazzo arriva e mi dice: «Guarda Valerio sono tanti anni che lavoro col mio preparatore e mi trovo bene», perché fermarlo? Chiaramente deve essere un preparatore coordinato con noi, che non dia fastidio. I nostri atleti lavorano con TrainingPeaks e quindi vengono monitorati anche dal nostro trainer di riferimento. 

Busatto è allenato da Paolo Santello dalla fine del 2021: la collaborazione prosegue con la regia del team
Busatto è allenato da Paolo Santello dalla fine del 2021: la collaborazione prosegue con la regia del team
L’importante è che il preparatore sia allineato a filosofie e programmi: è così?

Chiediamo la collaborazione diretta col nostro capo allenatore. Nel caso di Francesco, se vuol lavorare con un italiano perché parla meglio la lingua, ci sta. Ma posso dire che col tempo è successo più spesso il contrario: dai preparatori esterni, sono passati a quelli interni dopo che hanno visto come lavora la squadra. Siamo partiti come una professional piccola che ha comprato la licenza ed è vero, ma poi abbiamo investito molto nella struttura. E non solo nel nome.

E torniamo in parte al discorso del prodotto ciclismo in Belgio e della capacità di vedere il tutto a 360° …

Abbiamo puntato molto sullo staff di allenatori, nutrizionisti… nel progetto. E questa è la miglior pubblicità. Adesso tanti manager ci propongono atleti di livello, anche giovani forti, che prima neanche osavano accostare a noi. Invece hanno visto che chi viene qua riceve l’attenzione che merita, la qualità che serve e in corsa tutti i nostri atleti hanno una chance, perché non lavoriamo solo attorno al grande nome. La squadra pertanto è diventata appetibile. E anche gli atleti si fidano.

Cerchiamo di capire meglio la storia di Busatto

18.04.2023
7 min
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Zero vittorie, ma proprio nemmeno una. E chi ti prende? Mettetevi nei passi di Francesco Busatto, con tre podi in due anni da junior, due al primo da U23 e dodici al secondo (fra cui otto secondi posti). Va bene che la vittoria fosse ormai nell’aria, ma arrivare a vincere la Liegi U23 non è stato per niente scontato.

Dopo gli juniores infatti, fuori dalla sua porta non c’era la fila. La prima squadra che si fece avanti – la Italian Cycling Group di Cordioli e Bortolotto – non riuscì neppure a partire. Per fortuna arrivò la Trevigiani-Campana Imballaggi e l’anno dopo, nel 2022, la General Store. E ora che il veronese ha trovato la sua dimensione con la maglia della belga Circus-ReUz e ha appena firmato un biennale con la Intermarché-Wanty, è interessante andare a vedere cosa ci sia stato alle sue spalle. Ci guida da Paolo Santello, che lo allena dalla fine del 2021.

Busatto è allenato da Paolo Santello dalla fine del 2021: la collaborazione prosegue con la regia del team
Busatto è allenato da Paolo Santello dalla fine del 2021: la collaborazione prosegue con la regia del team

Il Sarto del Ciclista

Santello, il Sarto del Ciclista, ha 65 anni e opera assieme ai figli Andrea e Matteo nel centro di Cazzago, in provincia di Venezia. Fra i corridori che ha seguito ci sono Endrio Leoni, Baldato, Minali e Andrea Tonti. Oggi è l’allenatore della Campana Geo&Tex Imballaggi di Alessandro Coden e probabilmente dietro il salto di qualità di Busatto c’è anche lui, che l’ha spinto a crederci e ad assecondare lo sviluppo fisico. I due continuano a lavorare insieme, perché la Intermarché non ha voluto turbare gli equilibri: ha solo messo accanto per conoscenza Ioannis Tamouridis, l’ex pro’ greco di 42 anni, che cura la preparazione di Girmay e altri pezzi forti della squadra.

La vittoria alla Liegi segna l’inizio di un nuovo cammino (foto Circus-ReUz)
La vittoria alla Liegi segna l’inizio di un nuovo cammino (foto Circus-ReUz)
Buongiorno Paolo, avete finito di brindare?

Diciamo di sì (sorride, ndr)! Però io dico sempre di non festeggiare mai troppo, perché domani bisogna riconfermarsi. Gioire il giusto, insomma. Questo è il mio modo di pensare, non si è mai arrivati.

La sensazione è che anche Busatto la pensi allo stesso modo…

Francesco ha tutto del campione, questo posso dirlo. Ha soprattutto la testa e il modo di pensare, la fame di migliorarsi. La vera fame che in questo momento non è facile trovare. 

Da quanto lavorate insieme?

Da dicembre 2021. E se nel suo caso vogliamo parlare di svolta, posso dire che è stata soprattutto mentale. Prima lo conoscevo di vista, finché un mio ex atleta mi ha chiesto se avessi piacere di seguirlo e io gli ho detto di sì. Così ho cominciato a valutarlo. Dopo il primo test, ho pensato che avesse dei numeri. Dopo il secondo, ho pensato che fosse eccezionale. A suo fratello ho detto: «Questo, entro due anni vince nel WorldTour». Pensava che scherzassi, ma ero serio, anche se può sembrare azzardato.

L’anno scorso ha fatto otto secondi posti.

Ha cominciato con un 18° nella Per Sempre Alfredo, la prima corsa finita coi professionisti: non male. E poi ha cominciato a fare un po’ di piazzamenti. Il primo secondo posto l’ha fatto al GP Industria del Marmo e quando mi ha chiamato, era arrabbiato. Era convinto di poter vincere, ma gli era saltato il rapporto. Io gli ho detto che era arrivato secondo non ventesimo, quindi era un punto da cui poter crescere: «Prendilo come un bel risultato, non come una sconfitta». Poi quando i secondi posti sono continuati ad arrivare, ho avuto la conferma delle sue qualità.

Di cosa parliamo?

I preparatori e i direttori sportivi guardano i watt e i suoi watt sono importantissimi. Il suo rapporto potenza/peso è molto importante, ma la cosa che guardo più di tutte è la mentalità: dove sei e dove vuoi arrivare. Ho visto subito una modestia impressionante, però una grandissima convinzione di andare avanti. Forse non lo fa vedere, ma lui dentro di sé è convinto delle sue possibilità. Come dicevo prima, la cosa più importante che ha è la fame.

Questa fame può dipendere dal fatto che finora non avesse mai vinto?

Ha sempre corso per vincere, solo che nel frattempo è arrivata la maturazione. L’anno scorso è stato riserva al mondiale e non l’ha presa benissimo. Le scelte non si discutono e allora gli ho chiesto: «Un anno fa ti saresti aspettato di andare al mondiale?». Lui ha risposto di no e allora gli ho detto che essere riserva era comunque un grande risultato. Insomma, ai corridori cerco sempre di dare un punto di arrivo superiore a quello attuale.

Anche lui ha parlato di maturazione fisica da venire.

Glielo dico spesso che ancora non ha la barba. Ma sono certo che quando diventerà più maturo, avrà in mano un’altra arma vincente. Busatto non l’ho costruito io, magari veniva fuori anche senza di me, perché è facile allenare uno forte. Però bisogna gestirlo bene e la squadra sta facendo un buon lavoro, correndo un po’ con gli U23 e un po’ con i professionisti. Il fatto di averlo visto ancora davanti a menare ai meno 10 della Milano-Torino, in pianura accanto a Girmay con i suoi 62 chili, fa capire che è un corridore.

A Laigueglia si ritira, ma corre nella WorldTour accanto a Girmay
A Laigueglia si ritira, ma corre nella WorldTour accanto a Girmay
Parlando del Giro d’Italia U23, tende a nascondersi. Lei dove lo vede?

E’ difficile ancora, secondo me può essere un corridore da corse a tappe, ma ancora deve crescere. Deve lavorare sulla bicicletta da cronometro, cosa che l’anno scorso non gli hanno permesso di fare più di tanto.

In cosa andare all’estero lo sta aiutando?

Intanto per il programma di lavoro fatto di blocchi: allenamento, gare, recupero. Poi per l’abitudine ad essere un atleta. Purtroppo in Italia non abbiamo corridori. Anzitutto c’è una vita completamente diversa, lassù si allenano con la pioggia e con la neve. Noi qua abbiamo un’altra mentalità e se usassimo la stessa di lassù, i corridori li perderemmo tutti. Non è un bel quadro. 

Dopo il Tour of Oman, il 2023 di Busatto è proseguito fra i pro’ con la Faun Ardeche Classic
Dopo il Tour of Oman, il 2023 di Busatto è proseguito fra i pro’ con la Faun Ardeche Classic
Quando è a casa Francesco si allena da solo?

Io gli do delle tabelle di settimana in settimana, in modo da guardare il meteo e la sua condizione. Mi faccio chiamare il Sarto del Ciclista perché non faccio il copia e incolla, per ciascuno faccio delle preparazioni e gliele consegno a mano, non via mail. Con le mie tabelle, Francesco si allena principalmente da solo. La Liegi è un bel ricordo, ripartiremo domani o giovedì per i prossimi obiettivi. Adesso è giusto che respiri un attimo, anche perché io dico che l’allenamento è una cosa sacra, ma il recupero non è da meno. Il troppo carico non va bene. La stagione è appena cominciata, figuriamoci la carriera.

Continuerete a lavorare insieme?

Per quello che vedo, la squadra si sta comportando bene, non cerca di metterci contro. Altre volte è successo: trovano il corridore forte e lo vogliono tutto per sé. Ci sono tanti preparatori bravi in questo mondo. Io dalla mia posso dire che ci metto il cuore.

A Sassotetto con Pozzovivo. Rapporti, watt, tattica

07.12.2022
5 min
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In attesa di conoscere il suo futuro, Domenico Pozzovivo continua ad allenarsi sodo. Il lucano è un veterano e mette a nostra disposizione la sua esperienza per conoscere la salita di Sassotetto, il grande arrivo in salita della prossima Tirreno-Adriatico. Da Sarnano ai 1.465 metri della cima, laddove ci sono gli impianti di risalita di Sassotetto-Bolognola, ci sono da affrontare 13,1 chilometri.

Il “Pozzo” nazionale ha scalato diverse volte la salita incastonata sugli splendidi Monti Sibillini. E una delle ultime volte è stata proprio alla Tirreno. Era il 2018, vinse Mikel Landa e lui, all’epoca in Bahrain-Merida (foto di apertura), arrivò 12° ad appena 6” dallo spagnolo. Basta imbeccarlo sull’argomento che Domenico fa subito centro.

Domenico, si torna sul Sassotetto. Con grande probabilità è qui che si deciderà la Corsa dei Due Mari…

E il giorno dopo c’è la tappa dei muri. E ormai che è insidiosa lo sanno anche… i muri! Comunque sì: ci sta che possa essere decisiva.

Che salita è?

L’ho fatta diverse volte, è una salita impegnativa. Non ha mai pendenze impossibili, ma è pur sempre una scalata di quasi 15 chilometri. Poi dipende molto da dove s’inizia a contare i chilometri: se dal paese o se dal bivio poco più avanti. E’ un Terminillo, ma più corto. L’unica differenza è che la salita reatina ha un tratto di recupero nel mezzo (Pian de Rosce, ndr), mentre Sassotetto ce l’ha nel finale.

Quale può essere per te il passaggio chiave?

C’è un drittone in cui si può fare la differenza, laddove attaccò Landa nel 2018. Adesso non ricordo di preciso il punto, ma dovrebbe essere tra i 4,5-5 chilometri dal traguardo. La pendenza c’è ed è il punto giusto se si vuole scavare un certo margine, anche perché poi gli ultimi due chilometri sono facili.

Come si approccia questa salita?

E’ diversa dalla scalata singola, perché quest’anno arriva subito dopo due salite concatenate. E nel ciclismo moderno qualche squadra potrebbe mettersi a fare il ritmo alto, già dalla scalata che precede Sassotetto.

Cambia tanto?

Abbastanza. Non hai margine di recupero. Scollini, c’è una piccola discesa e subito la salita finale. Quindi uno sforzo che sarebbe dovuto durare 35′-40′ diventa di un’ora.

Tra Abruzzo e Marche, poca pianura. Quest’anno ci saranno due brevi salite ad anticipare la scalata finale
Tra Abruzzo e Marche, poca pianura. Quest’anno ci saranno due brevi salite ad anticipare la scalata finale
Che rapporti si utilizzano?

Io su una scalata così sono un po’ al limite con il 53, viste le scale posteriori attuali. Penso ad un 53×30-28, ma visto che è lunga ipotizzo un 39×18. Un 39×21 nei tratti più duri. 

Scusa Domenico, ma allora perché non pensare ad un 42? Tu sei scalatore e vai di potenza…

In effetti con la mia pedalata un rapporto più grande davanti ci sta. Oggi Shimano per esempio ti propone il 40 e va bene, il 42 non lo so. A quel punto preferisco direttamente il 53. Fino all’8% scelgo il 53: se sono salite lunghe di 4-5 chilometri non ho dubbi. Se invece sono più lunghe magari vado di 39. Io ho un tipo di pedalata che non devo frullare. Poi in allenamento ci si concentra anche su certe cadenze, ma in corsa quando sei a tutta privilegi ciò che ti è “più comodo”.

Quanto conta stare a ruota?

Conta abbastanza. E infatti l’ultima volta, anche quando andarono via, furono in due o tre e si diedero i cambi. E’ fondamentale stare a ruota nell’ultimo chilometro, perché è molto veloce. Mentre il rettilineo finale tira un po’. Devi uscire proprio negli ultimi 150-200 metri. E’ un chilometro asfissiante, che si fa con le gambe piene di acido lattico. Uno di quelli che se in volata fai 700 watt è grasso che cola. Sei poi ti capita Pogacar che ne fa 900 ti lascia lì! Impossibile per noi comuni mortali.

C’è solo la pendenza a dare fastidio?

E poi c’è il vento – Pozzovivo è davvero interessato e rilancia lui gli spunti tecnici – ma su questa salita si sente poco. Giusto se ci fosse tramontana o vento da Est potrebbe favorire un po’ la scalata. Mentre inciderebbe di più nel chilometro e mezzo finale. Nel caso venisse da Ovest sarebbe contro. Ma di base si sale parecchio sotto parete, c’è il “muro dei Sibillini” che ti ripara.

Sassotetto presenta dei tornanti ampi. La curva non è durissima, ma all’uscita la strada tira e anche bene. Come si affronta questo genere di curva?

Nel mio caso, tornando al discorso della pedalata, non conviene prenderlo troppo stretto. Se invece si è dei corridori che frullano, che per fare watt devono fare alte cadenze, si può anche tagliare la curva: puntare all’interno e lavorare col cambio. Un’altra cosa che conta in questo caso è la posizione. Se c’è un gruppetto ancora folto, già in ventesima piazza arriva un po’ di frustata… e non è piacevole. Meglio stare tra i primi dieci: si riduce l’effetto elastico.

Quante calorie si consumano su una scalata simile? E come ci si alimenta?

Beh – fa due conti Pozzovivo – è la salita finale, si fa a tutta… 600 calorie si bruciano tranquillamente. Si prende un gel ai piedi della salita e poi ci si aiuta con le borracce, che ormai contengono maltodestrine. Anche se io preferisco l’acqua. Prendo un altro gel a metà salita o un po’ prima.